Arcireport n 14 2015

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIII | n. 14 | 16 aprile 2015 | www.arci.it | report @arci.it

Una ferita alla democrazia che resta aperta di Francesca Chiavacci presidente nazionale Arci

Un grande maestro delle parole che ci ha lasciato alcuni giorni fa, Eduardo Galeano, scriveva: «I torturati torturano i sogni del torturatore». Ovviamente pensiamo che non sia un buon esercizio augurare torture a chi ha torturato. Pensiamo però che sia auspicabile che quella sospensione dei diritti civili e democratici che sono stati i fatti del G8 2001 siano e debbano rappresentare una spina nel fianco delle istituzioni italiane e della memoria collettiva del nostro paese. Nel giorno in cui chiudiamo questo numero di Arci Report, leggiamo su Repubblica la lettera inviata dal capo della polizia Pansa in cui annuncia la sospensione dal servizio dell’agente che sul proprio profilo facebook aveva reagito alla sentenza di condanna della Corte di Strasburgo rivendicando la sua volontà di entrare mille e mille volte nella Diaz. Leggiamo che non ci sarà mai più un caso Diaz, che la polizia è sana e che va rifiutata l’idea della presenza nella polizia di una sottocultura di violenza e di omertà. Ecco, di fronte a quanto scritto, diciamo subito che non ci basta. La verità ha subito troppi colpi in questi anni. E non soltanto per Genova. Basta ricordare gli applausi ai poliziotti condannati per il

caso Aldovrandi e gli insulti alla mamma di Federico. Non ci bastano le scuse a Giuliano Giuliani per le parole su Carlo, non basta la cancellazione del post di Tortosa, non basta la sospensione dal servizio del vicequestore di Cagliari, che addirittura era stato indicato come «nuovo volto dei Reparti Celere» e di una nuova visione della gestione dell’ordine pubblico. Non ci basta tutto questo. Rimane ancora in piedi l’inopportunità di tenere una figura come De Gennaro ai vertici di Finmeccanica. Rimane tutta la convinzione che, come abbiamo visto in questi anni, le nostre forze di polizia siano popolate da qualcosa di più di un cestino di mele marce. La ‘rete’ di silenzi e coperture che consentì e ha consentito in questi anni la cappa sulla verità di quello scempio democratico non si può dimenticare facilmente e non riusciranno a farlo dimenticare nemmeno due sospensioni dal servizio, che alla fine produrranno solo altri meccanismi di infimo vittimismo. Come ricorda il pm Zucca, il magistrato che ha condotto l’inchiesta sulla Diaz insieme al pm Francesco Albini Cardona, quel processo «ha svelato una pratica ancora più disgustosa della tortura e cioè la co-

pertura della tortura. La Cassazione parla di ‘violenza inusitata’, ma anche di una ‘scellerata operazione mistificatoria perpetrata dai vertici della polizia’. Di questo non si parla e anche la politica evita questo argomento». Ecco. Per questo diciamo che tutto quello che sta avvenendo non ci basta. Serve urgentemente, come abbiamo già detto in tante occasioni, l’introduzione del reato di tortura. Serve, e Luigi Manconi giustamente lo ha ricordato con forza in questi giorni, una radicale riforma delle forze di polizia, a cominciare dalle modalità di accesso, visto che da oltre dieci anni il reclutamento è riservato esclusivamente a quanti provengono dall’Esercito professionale. Serve rivedere il sistema della formazione (culturale e tecnica) che rivela carenze enormi e pericolosissime. Serve l’adozione del codice identificativo che potrebbe consentire di individuare e sanzionare i responsabili di abusi e violenze e di tutelare quanti operano nel rispetto della legalità. Insomma, non saranno due dovuti provvedimenti di sospensione dal servizio a togliere la spina nel fianco che si porta dietro da 14 anni la nostra democrazia e la storia dei diritti civili del nostro paese.


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reteeuromed

Le richieste della delegazione di società civile tunisina in Italia Opporsi all’applicazione degli accordi tra Italia e Tunisia in materia di immigrazione, che hanno comportato circa settemila espulsioni verso il paese africano dal 2011 a oggi. Chiedere la chiusura dei Cie e una commissione di inchiesta congiunta sulla sorte di circa 300 tunisini scomparsi mentre tentavano di raggiungere il nostro paese. E, infine, portare all’attenzione la poca trasparenza dell’accordo Aleca di libero scambio tra Tunisia ed Europa. Obiettivi e messaggi chiari, quelli lanciati dalla delegazione di esponenti della società civile tunisina che in questi giorni è in Italia per incontrare istituzioni e componenti delle organizzazioni civili italiane e «chiedere a Parlamento, Governo e Unione Europea impegni politici di sostegno al consolidamento della transizione democratica» nel Paese maghrebino. La visita è coordinata dalla Rete Euromediterranea dei Diritti Umani (REMDH), attiva da 15 anni per la protezione dei diritti umani nella re-

gione e composta da 80 organizzazioni sociali di 30 paesi diversi. Della Rete fa parte l’Arci, che insieme alla sua ong Arcs e alla Cgil ha accolto la delegazione in Italia. «L’interesse comune è che la Tunisia continui ad essere un Paese democratico - ha spiegato Raffaella Bolini, responsabile relazioni internazionali Arci e componente della REMDH durante la conferenza stampa alla Camera proporremo al Parlamento di costituire un comitato unico con la società civile italiana e quella tunisina per un confronto continuo. È nei nostri interessi avere una relazione diretta, mantenere un contatto e una riflessione costanti, attivare il principio di solidarietà tra i popoli». La delegazione, composta da Messaoud Romdhani, vicepresidente del Forum tunisino per i diritti economici e sociale, Sadok Belhaj Hsine, rappresentante dell’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt), Ramy Salhi, direttore dell’Ufficio Maghreb e Lilia Rebai, responsabile del progetto Ue-Tunisia del REMDH,

Chiediamo la chiusura dei Cie e più trasparenza «Troppi tunisini espulsi, l’accordo con l’Italia non è trasparente - sottolinea Sadok Belhaj Hsine, rappresentante dell’Unione Generale Tunisina del Lavoro - ci preoccupa in particolare l’accordo tra Italia e Tunisia, siglato all’indomani della rivoluzione: ne abbiamo chiesto la pubblicazione ma il governo tunisino ci ha risposto che trattandosi di una ‘dichiarazione’, e non di un vero accordo, non poteva esser reso noto. Ma i fatti ci dicono che dal 2011 sono stati 7000 i tunisini espulsi dall’Italia verso la Tunisia. Persone che sono state rimpatriate da aeroporti secondari per essere meno visibili all’opinione pubblica. Su questo abbiamo chiesto maggiore trasparenza. Ci preoccupa anche il tipo di detenzione che subiscono i migranti in Italia, per questo chiediamo la chiusura dei Cie, la verificare del rispetto dei diritti umani nei centri dove soggiornano i migranti e la possibilità che le famiglie possano andare a far loro visita. In Tunisia abbiamo accolto un milione e centomila libici dopo la guerra, non abbiamo gridato né chiuso le frontiere come l’Europa sta cercando di fare. Serve adottare un principio di responsabilità condivisa. In questo momento, invece, i paesi europei stanno cercando di accelerare l’esternalizzazione del controllo delle frontiere, ma questa non è una gestione che si basa sul rispetto dei diritti come chiediamo noi».

ha avuto incontri con la Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica, il Ministero degli Interni e il Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. «Dopo l’attentato al Museo del Bardo l’attenzione nei confronti della Tunisia è salita molto, per questo dobbiamo tenerla viva. La Tunisia sta affrontando sfide enormi: sicurezza, minacce interne ed esterne, la sfida economica e migratoria - spiega Ramy Salhi - e oggi più che mai serve un appoggio serio. Tutto ha avuto inizio dalla crisi economica e sociale e dalla richiesta di giustizia sociale». «La rivoluzione del 2011 fu questo - ha voluto sottolineare Lilia Rebai - e la soluzione non è l’accordo di libero scambio con l’Ue che la Tunisia dovrebbe firmare. In che modo una simile intesa può davvero migliorare la situazione?». Unanime dunque il parere della delegazione tunisina a Roma: «Serve una risposta alla povertà e una maggiore giustizia sociale».

Vogliamo la verità sui tanti dispersi nel Mediterraneo «Abbiamo consegnato all’Italia la lista di 300 tunisini scomparsi senza ottenere risposta. Nel 2011 e poi di nuovo nel 2013 siamo venuti in Italia per portare la voce delle famiglie dei tanti dispersi nel Mediterraneo spiega Messaoud Romdhani, vicepresidente del Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali - la voce di tante madri che chiedono solo una cosa: sapere la verità sulla sorte dei propri figli. Abbiamo consegnato una lista di trecento persone scomparse ma il governo italiano ad oggi non ha dato nessuna risposta. Questo non è solo un problema umanitario, ma è un problema diritti umani che riguarda tutti». In particolare, si cercano i dispersi di due naufragi avvenuti nei mesi di settembre e novembre del 2012. Casi rispetto ai quali il governo tunisino non ha mai dato la piena disponibilità a collaborare. «Il governo italiano ci ha detto di volerci aiutare, ma ad oggi non abbiamo risposta - aggiunge - Chiediamo quindi la costituzione di una commissione mista del governo italiano e tunisino, di cui facciano parte anche i parenti dei dispersi e rappresentanti della società civile, per poter arrivare finalmente alla verità».


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solidarietàinternazionale

è tempo che la comunità internazionale garantisca terra e libertà al popolo sahrawi di Franco Uda Coordinatore Pace, Solidarietà internazionale e Cooperazione

«Solo chi è perso nel deserto/senza canti di uccelli/né stormire di fronde/nell’arido grigiore di pietra e sabbia/la vera solitudine conosce». Basta qualche giornata trascorsa in uno dei campi sahrawi, Auserd o Smara o Laayoune, e un briciolo di conoscenza della storia di questo popolo, per capire subito che la strofa di questo canto sahrawi descrive una condizione esistenziale individuale, valida tanto per chi nel deserto ci è nato quanto per chi ci è capitato accidentalmente, determinata principalmente dalla vastità di un mare sabbioso esteso quanto l’intero continente Europeo. Sono gli «interminati spazi [...], e sovrumani silenzi, e profondissima quiete» che pure la poesia leopardiana prova a descrivere, non senza un forte senso di smarrimento. Certamente non descrive la loro condizione collettiva, quella di popolo. Infatti non possiamo dire che nel deserto si siano persi, tutt’altro, nel Sahara occidentale ci volevano proprio andare. Provenivano dallo Yemen e, per spingersi verso ovest, dovettero attraversare Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, fino a che le 40 tribù sahrawi trovarono lì il loro spazio, intorno al 1200. Popolo di carovanieri che ancora oggi, negli insediamenti della Rasd liberata, mostra vive le proprie origini nomadi. Nè si può affermare che siano soli: non nel senso che intorno a loro ci siano grandi moltitudini, l’antropizzazione, nel deserto, è molto bassa (circa 1 abitante ogni 10 kmq, rispetto a 34/kmq del continente africano), ma rispetto a quanto la causa del popolo sahrawi ha prodotto empatia e solidarietà nel mondo. Hanno formato una generazione di abili e valorosi diplomatici, alcuni di loro provengono dalle fila dell’esercito dopo il ‘cessate il fuoco’ del 1991, altri sono giovani istruiti nelle università di mezza Europa (e di Cuba, che non ha mai cessato di fornire il dovuto sostegno, in molti modi), che incessantemente tessono orditi di relazioni con la società civile di tutto il mondo, sviluppando elementi concreti di solidarietà politica e umanitaria raramente riscontrabili nella stessa misura. Forse sarà perchè «i Sahrawi hanno una dignità che include qualcosa di metafisico» come diceva Tom, o forse perchè appare fin troppo chiaro, nella loro annosa vicenda, quale è la parte oppressa. Diversa

fortuna hanno avuto in questi ultimi 40 anni presso le istituzioni internazionali, complici gli intrecci di interessi della Francia e degli Usa con il Marocco e un ruolo esiziale della Spagna, che pure porta gravi responsabilità storiche. Eppure stupisce la loro allegria, la disarmante limpidezza con la quale cercano o accolgono una approccio nuovo, i sorrisi di cui non sono avari, gli sguardi al tempo stesso apertamente ingenui e carichi di sofferenze troppo profonde per essere raccontate. Tenacemente vivono in uno dei luoghi più inospitali del pianeta, dove la terra non è generosa e non produce frutti per sviluppare una seppur minima

economia di autosussistenza. Ma le scuole sono molto frequentate e di buon livello, gli ospedali e i dispensari dignitosi e con medici e operatori competenti: sono questi i frutti migliori di una cooperazione dal basso, fatta di centinaia di municipalità di mezza Europa, di associazioni e Ong che collaborano con le professionalità locali continuando a garantire un vero e proprio sistema di welfare che regge le fragilità sociali presenti. L’Arci è ben conosciuta qui, a partire dalla figura di Tom. Quello che ha prodotto attraverso i propri circoli e comitati che nel corso di tanti anni si sono innamorati di questo popolo con progetti, scambi di giovani e bambini, iniziative di solidarietà materiale. Di questo c’è ancora bisogno. Appare però chiaro come oggi, una più decisa azione presso le istituzioni, nazionali e internazionali, verso il mondo della politica, attraverso azioni di sensibilizzazione e di lobbing, sia non più procrastinabile, ed è quanto chiedono alla nostra associazione: è il tempo di una road map per il popolo dei Sahrawi, per la ricerca di una soluzione nel segno del diritto internazionale, che ponga fine alle violazioni dei diritti umani nell’ultima colonia del XXI secolo. Aprire la strada dell’autodeterminazione per questo popolo non va solo nella direzione della ricerca della giustizia e dell’ottenimento della libertà, ma la spinta verso la stabilizzazione di questa area corrisponde a una necessità che dovrebbe scuotere tutte le istituzioni internazionali, a partire dall’Europa.


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Approvata la delega per la riforma del terzo settore Norme più rigorose e maggiore sostegno a una realtà sempre più vitale nel paese di Paolo Beni Arci e deputato PD

A quasi un anno dalla presentazione delle linee guida e dopo un ampio dibattito pubblico e un intenso lavoro in Commissione Affari Sociali, la Camera ha approvato la legge delega di riforma del terzo settore. Un provvedimento che non è azzardato definire di portata storica, da tempo atteso dalle oltre trecentomila organizzazioni sociali attive nel paese con un milione di lavoratori e 4 milioni e mezzo di volontari. È proprio la rilevanza assunta in Italia dal terzo settore a rendere necessario un intervento organico sulla corposa legislazione di riferimento, disomogenea e in parte non più adeguata, allo scopo di superare la frammentazione delle singole norme, aggiornarle e armonizzarle alla luce di nuove esigenze e di vecchie lacune, tutelare l’identità e l’autonomia delle formazioni sociali, incentivarne l’azione con idonei strumenti di sostegno. Il testo proposto inizialmente dal governo è stato ampiamente modificato e migliorato dalla Camera, grazie anche al metodo partecipativo adottato nel lavoro parlamentare, con decine di audizioni e un costante confronto con gli enti del terzo settore. Dialogo che sarà bene proseguire anche nella fase di preparazione dei decreti delegati. Molti gli aspetti innovativi presenti nella riforma. Anzitutto il superamento della rappresentazione frammentata del terzo settore e della confusione terminologica con cui è stato finora definito. Per la prima volta in un testo di legge si definisce con precisione il terzo settore elencando natura, identità, finalità, campi di attività degli enti, nonché principi e criteri che ne ispirano l’azione, tracciando così il perimetro che delimita e identifica questi enti nel campo ben più ampio dei soggetti privati senza fini di lucro riconducibili al Libro I del Codice civile. Opportunamente la delega interviene anche sulla disciplina del Codice civile in materia di istituzioni private senza fini di lucro, semplificando le procedure di accesso alla personalità giuridica, ribadendo l’autonomia statutaria degli enti ma anche i loro obblighi in relazione alla responsabilità verso terzi.

La delega risolve in modo convincente anche un annoso dibattito: se la normativa sul terzo settore debba basarsi sulla natura degli enti oppure sulle loro attività. La nuova disciplina dovrà disporre infatti criteri vincolanti sia in merito alla forma costitutiva e al possesso dei requisiti da parte degli enti, che alle attività da essi svolte, alla loro coerenza coi fini statutari e all’impatto sociale positivo prodotto. Approccio sicuramente corretto, che in sede di stesura dei decreti attuativi richiederà però molta attenzione nel differenziare e graduare vincoli e oneri burocratici tenendo conto della grande diversità dei soggetti coinvolti, per forma giuridica, dimensione economica e organizzativa, numero di aderenti, tipologia di attività. È evidente che le piccole associazioni non potrebbero sostenere i medesimi oneri delle grandi. Positiva anche la scelta di andare a superare l’attuale frammentazione del sistema di accreditamento prevedendo che l’iscrizione a un unico registro nazionale del terzo settore sia condizione necessaria per l’accesso a benefici fiscali o normative di favore. Registro unico che dovrà essere necessariamente articolato, sia per sezioni regionali che per settori corrispondenti a specifiche normative di specie o tipologie giuridiche, così come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a cui viene affidata la gestione del registro, dovrà coordinarsi con gli altri ministeri coinvolti. Molto discussa è stata la parte della legge dedicata all’impresa sociale, contestata da alcuni in quanto l’apertura ai soggetti profit, e in particolare il venir meno per questi enti del totale divieto di distribuzione degli utili, rischierebbe di snaturare l’identità non lucrativa che è tratto distintivo e unificante dei diversi enti del terzo settore. Non credo che sia questo il problema e ritengo invece positiva la crescita nel terzo settore di esperienze a più marcata vocazione imprenditoriale capaci di attrarre capitali di investimento, purché sia salvaguardato con opportuni vincoli il carattere non speculativo e la preminente vocazione sociale di queste imprese. Su molti aspetti, per valutare la reale

efficacia della riforma sarà comunque determinante vedere il dettaglio dei decreti legislativi di attuazione. Come ad esempio sul riordino delle agevolazioni fiscali, materia da sempre controversa sulla quale andranno sciolti nodi delicati come quello della definizione di ente non commerciale e delle attività economiche accessorie e connesse alle finalità istituzionali. Questione rilevante, perché quelle attività sono il mezzo con cui tantissime associazioni prive di sostegno pubblico autofinanziano le proprie iniziative di utilità sociale. Un’altra novità significativa, a cui è dedicato l’articolo 7 della delega, è la particolare attenzione alle funzioni di vigilanza e controllo affidate al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Sarebbe stata forse preferibile la soluzione di un’autorità indipendente di vigilanza, ma l’aver dato rilevanza a questo tema è comunque una scelta positiva, a patto che la struttura deputata venga dotata di mezzi adeguati e operi attraverso un costante confronto col mondo del terzo settore attraverso l’Osservatorio rappresentativo degli enti. Bisognerà semplificare gli obblighi formali e sostanziali, meno regole ma più chiare e sostenibili, comprensibili a tutti. Molto bene la scelta di introdurre, a questo proposito, la possibilità dell’autocontrollo affidato alle stesse organizzazioni rappresentative degli enti. È evidente infatti che la riforma sarà tanto più efficace proprio se saprà investire sulla responsabilizzazione dei soggetti sociali, nell’ambito di un rapporto leale e trasparente con le istituzioni. E soprattutto se saprà valorizzare insieme alle potenzialità economiche e occupazionali del terzo settore anche la sua vocazione civica e solidaristica, quella dimensione partecipativa e popolare che rappresenta il tratto più peculiare e il valore aggiunto dell’esperienza italiana di terzo settore. Miglioramenti sono ancora possibili nel prossimo passaggio in Senato, ad esempio precisando meglio l’oggetto della delega su alcuni punti relativi al codice civile, alla materia fiscale, al servizio civile, ai centri di servizio per il volontariato. continua alla pagina successiva


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Andranno poi chiarite le incognite che gravano sulla disponibilità di risorse finanziarie adeguate a garantire la piena attuazione degli intenti dichiarati nella legge. Ma nel complesso siamo in presenza di un disegno coerente che può dare ulteriore slancio e sostegno nonché maggiore trasparenza a tutto il terzo settore. Sulla base di queste valutazioni sarebbe stato auspicabile un più ampio consenso parlamentare nel voto finale alla Camera. A parte la preannunciata opposizione della Lega, non era proprio scontato il voto contrario di Sel e Cinque Stelle, su cui ha influito soprattutto il giudizio

pesantemente negativo sulla parte della legge relativa all’impresa sociale. Secondo queste forze politiche la delega, pur contenendo diverse misure positive per gli enti del terzo settore, avrebbe come principale obbiettivo l’apertura delle porte dell’impresa sociale alle società di capitali, snaturando così la stessa identità no profit del terzo settore e facendone uno strumento per l’assalto del mercato ai servizi sociali e la conseguente demolizione del welfare pubblico. Lettura discutibile, evidentemente ispirata da esigenze di posizionamento politico, ma che non trova giustificazione nell’effettivo contenuto del testo. È vero che nella legge c’è molta attenzione alla

dimensione economica del terzo settore, ma è pur vero che in più parti si puntualizzano requisiti e limiti che devono caratterizzare la gestione dei servizi da parte di questi enti. Non è nello sviluppo del terzo settore che risiede il rischio di un attacco alla dimensione pubblica del welfare. Al contrario il ruolo degli enti di terzo settore nell’offerta di servizi può contribuire a rafforzare il welfare pubblico ed elevarne la qualità, a patto che si inserisca dentro una cornice di regole chiare e nell’ambito di un sistema nel quale il soggetto pubblico mantiene saldamente in mano l’indirizzo politico, la regia e la programmazione degli interventi, proprio a garanzia della sua dimensione universalistica.

Anche dal circolo San Niccolò le slot se ne andranno

Pubblichiamo il testo preparato dai soci del San Niccolò e affisso nei locali del circolo a cura dei soci del circolo di San Niccolò

Cerchiamo di mettere ordine alle cose… dobbiamo partire dall’insediamento del nuovo consiglio direttivo avvenuto in gennaio e più precisamente alla riunione del 13 gennaio 2014, durante il quale il consiglio delibera all’unanimità a favore della recessione dai contratti (Lottomatica ed Elettronolo) che regolano le slot-machine, rispettando gli obblighi contrattuali senza incorrere nelle penali previste. Cioè: la prima decisione presa dal nuovo Consiglio è stata quella di non rinnovare i contratti per le macchinette per poter porre fine a questa triste storia ma nella salvaguardia del circolo stesso, perché una cosa è dover far fronte al mancato introito delle macchinette, altra è aggiungere a questo anche le penali - altissime - della cessione anticipata. L’Arci, che da tempo cerca di sensibilizzare al problema tutti i circoli, era in quel periodo impegnata nella campagna Mettiamoci in gioco per l’eliminazione del gioco d’azzardo e ci ha proposto una giornata di informazione-denuncia contro i rischi del gioco d’azzardo alla quale sarebbe stata presente la Presidente Boldrini e don Armando Zappolini. Era il 25 gennaio 2014, dodici giorni dopo la nostra decisione, ed era anche l’occasione per ‘urlare’ il nostro forte impegno per l’eliminazione delle slot-machine dal circolo, cosa in cui abbiamo sempre creduto e che tuttora crediamo. Abbiamo peccato di ingenuità? Può darsi, ma noi eravamo coscienti che non sarebbe stato possibile chiudere il

giorno dopo, tanto che al circolo erano presenti i cartelli in cui si annunciava la decisione del consiglio di non rinnovare i contratti, non i cartelli con scritto «Da domani niente slot». Certo pensavamo però di poter arrivare ad un accordo per poter accorciare i tempi, questo sì. La cosa certa? Che le slot se ne andranno, così come deliberato con convinzione come nostra prima decisione del consiglio! Quando? Appena sarà possibile! Quindi nessun caso del San Niccolò, nessuna notizia eclatante, nessuna slot che va e viene, ma se volete aiutarci nell’impegno di porre la parola fine a questa storia siete i benvenuti! Sì, perché di questo c’è bisogno, di qualcuno che

aiuti in questa battaglia, lo sapete che le macchine non si possono spengere? Che non si può ostacolare il gioco? Che i contratti si rinnovano automaticamente se non si dà disdetta mesi prima della scadenza? Avete idea delle penali imposte per la chiusura di questo tipo di contratti da un giorno all’altro? Quindi se di qualcosa c’è bisogno è di meno retorica, meno snobismo e più aiuto concreto! I circoli Arci sono un patrimonio da tutelare, imparate a sostenerli, a frequentarli e… a consumare! Purtroppo i circoli stanno chiudendo, la gente è meno disposta a fare volontariato, ci piace stare in cattedra e giudicare, belli e puri… ma con poca voglia di fare. Da una parte si chiede al circolo di essere ‘Casa del popolo’ e quindi di usufruire delle stanze per le riunioni senza contributi economici, di non scendere a nessun compromesso, di tenere i prezzi più bassi, di offrire attività di ogni tipo… ma vi siete mai chiesti cosa c’è dietro a questo? Del lavoro di volontariato e dei costi? Quindi quando dopo la riunione al circolino andate a farvi l’aperitivo nel bar fighetto (dove lì siete disposti a spendere senza porvi domande) ricordatevi che i circoli vivono (o meglio sopravvivono) sul vostro contributo, un contributo di idee, di volontariato ma anche di consumi! E quando vi chiediamo di rinnovare la tessera smettetela di accampare scuse! Come dice la nostra presidente, Francesca Chiavacci, le slot sono solo una piccola parte di questo mondo… anche se sì, la parte brutta!


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versoil25aprile

Presentata l’iniziativa ‘Liberi anche di cantare e ballare’ Colonna sonora dell’evento sarà ‘Bella Ciao’ nella versione di Paolo Fresu È stata presentata a Roma l’iniziativa Liberi anche di ballare e cantare, promossa da Anpi, Arci, Insmli e Radio Popolare. L’evento, che ha avuto il riconoscimento della Struttura di missione del Governo per gli anniversari di interesse nazionale e l’adesione della Confederazione italiana tra le Associazioni combattentistiche e partigiane, vuole essere un ‘omaggio corale’ alla Resistenza ispirato alla grande Festa Popolare dell’estate 1945 che l’allora sindaco di Milano, Antonio Greppi, promosse per festeggiare in piazza con canti e balli l’avvenuta liberazione dall’occupazione nazi-fascista. E saranno proprio le feste in piazze, circoli, luoghi simbolo della Resistenza a celebrare il 24 aprile sera la vigilia del settantesimo anniversa-

rio della Liberazione con centinaia di iniziative che si terranno in decine di città italiane. Tanti luoghi che saranno uniti allo scoccare della mezzanotte dall’esecuzione di una delle canzoni simbolo della lotta partigiana: Bella ciao. E proprio di Bella ciao è stata presentata la versione rea-

lizzata appositamente per l’evento dal musicista Paolo Fresu, una cover jazz della celebre canzone che sarà la colonna sonora di Liberi anche di cantare e ballare. È stato inoltre presentato l’elenco delle iniziative comunicatoci finora che conta già più di 50 città. Concerti, feste in piazza, djset, letture partigiane, fiaccolate, spettacoli pirotecnici, flash mob, momenti di commemorazione e di incontro avranno luogo dal Nord al Sud d’Italia per rendere omaggio a quanti 70 anni fa sacrificarono la loro vita per la libertà di tutti. Info e aggiornamenti sulle iniziative su www.liberidicantareballare.it Le iniziative in programma il 24 e il 25 aprile vanno segnalate a castagnini@arci.it

Be Antifascist Stay Free!

Il 25 aprile dell’Arci per il 70°anniversario della Liberazione Come ogni anno, l’Arci e i suoi circoli organizzano sul territorio tante iniziative per celebrare la Resistenza contro il nazifascismo e festeggiare il 25 aprile. Manifestazioni, commemorazioni, concerti, passeggiate, testimonianze di partigiani, mostre, proiezioni, pranzi e cene sociali, reading, spettacoli si terranno in tante città d’Italia per celebrare il 70° anniversario della Liberazione. Di seguito alcune delle iniziative promosse da comitati e circoli Arci per il 25 aprile. Su www.arci.it l’elenco completo. TORINO - 25 Aprile/1 Maggio Una settimana di RESISTENZA Al circolo No.à il 24 aprile si terrà l’inaugurazione del fondo di libri ‘Enzo Lalli’, partigiano scomparso nel 2010 e animatore della vita politica della città sabauda dal dopoguerra in poi. Del suo immenso lascito, una parte è stata donata alle Biblioteche Civiche Torinesi, mentre la collezione di testi legata al grande e vasto tema della storia politica del marxismo è stato donato all’Arci Torino che le dividerà in due biblioteche all’interno del circolo No.à e presso il circolo La Cadrega. Il 25, sempre nei locali del circolo No.à, grigliata e aperitivo resistente, una mostra fotografica a cura dell’Anpi, testimonianze partigiane e concerto. Le iniziative continueranno fino al 1°

letture partigiane, concerti, pranzi e cene sociali, djset e molto altro ancora fino al 30 maggio. Info: www.arcimantova.com

maggio.

Info: www.arcitorino.it

MANTOVA - Verso il 25 aprile: ciclo di eventi tra storia, musica e socialità La Lunga strada della Liberazione è un percorso organizzato in collaborazione tra Arci Virgilio, Anpi Mantova ed eQual: tante voci differenti per ricordare che a 70 anni dalla Liberazione i valori della Resistenza non sono ancora stati realizzati e anzi, sempre più spesso vengono traditi in un crescendo di revisionismo storico e... sopraffazione. Il calendario di iniziative, partito l’11 aprile, vedrà sabato 25 un aperitivo resistente e a seguire concerto di Vincenzo Fasano e Daniela Savoldi. Info: FB ARCI Virgilio

Inoltre Arci Mantova e tanti circoli provinciali propongono un ricco calendario di iniziative in occasione del 70° anniversario della Liberazione. Incontri pubblici,

SINALUNGA (SI) - La Città dei Narratori Dal 24 al 26 aprile, nel cuore della Val di Chiana, va in scena La Città dei Narratori promossa dall’Arci Ponti di Memoria in collaborazione con Anpi Sinalunga. Una tre giorni di concerti, spettacoli teatrali e presentazioni di libri a cui parteciperanno tra gli altri Antonio Scurati, Herve Falciani, Lirio Abbate, Adele Marini, Giulio Cavalli e molti altri artisti che si esibiranno animati da passione civile. L’iniziativa si terrò alla Tenuta La Fratta con il patrocinio di Regione Toscana, Anpi, Arci, Libera, Comune di Sinalunga e Provincia di Siena. Info: http://pontidimemoria.it

PALERMO Quasi un mese di iniziative, promosse da Comitato per il Settantesimo, di cui l’Arci è parte, Anpi e Comune di Palermo, che culmineranno nella giornata del 25 aprile: alle 9 del mattino corteo con partenza dal Giardino Inglese, nel pomeriggio ci si sposterà a Casa Professa con attività per i ragazzi e dalle 19 fino a mezzanotte testimonianze, concerti, musica, mostre, banchetti.

FB 25 Aprile Palermo #settantesimo


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cultura

A Reggio Emilia la sesta edizione delle ‘Giornate della laicità’ É possibile una nuova stagione dei diritti civili in Italia? A chiederselo, dal 17 al 19 aprile, alcuni tra i più illustri intellettuali italiani nel corso della sesta edizione delle Giornate della laicità di Reggio Emilia. Un momento di confronto e discussione organizzato da Iniziativa Laica in collaborazione con Arci Reggio Emilia, Politeia e Fondazione Critica Liberale, articolato in dieci dibattiti che si svolgeranno all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (via Allegri). Tanti gli spunti dell’attualità che saranno approfonditi, a cominciare dallo stato di attuazione dei diritti costituzionali al tema del fine vita e del rapporto tra scienza, medicina ed etica, fino alla discussione sulle coppie di fatto e i matrimoni tra persone dello stesso sesso. A declinarli nelle diverse sfaccettature ci saranno: Gilberto Corbellini, Beppino Englaro, Carlo Flamigni, Enzo Marzo, Sergio Lariccia, Pierfranco Pellizzetti, Gaetano Azzariti, Maria Novella De Luca, Pippo Civati, Filomena Gallo, Enrico Donaggio, Marcello Sala, Michele De Luca, Carlo Pontesilli, Roberto Escobar, Persio Tincani, Eugenio Lecaldano, Maurizio Mori, Demetrio Neri, Carlo Troilo, Maria Laura Cattinari. «Sono passati quarant’anni da quella memorabile e lontanissima stagione degli anni ‘70 in cui furono conquistati importanti diritti civili e di libertà, come il divorzio, l’autodeterminazione della donna in materia di aborto o il nuovo diritto di famiglia - spiega Giorgio Salsi, presidente di Iniziativa Laica e ideatore e direttore delle Giornate della Laicità. «Conquiste ottenute in un’epoca per molti aspetti più difficile e complessa dell’attuale, di strapotere della gerarchia ecclesiastica e di ingerenza da parte del partito di maggioranza relativa, la DC. Dopo quella stagione di grande fermento, non ci sono state altre conquiste altrettanto importanti. Com’è potuto accadere che il nostro Paese sia rimasto così arretrato sul tema dei diritti? È evidente che questo sia accaduto anche a causa della tendenza dei laici a un atteggiamento perennemente difensivo, a rimorchio dell’agenda dettata da altri. Ora penso sia tempo di assumere un ruolo da protagonisti, di cittadini ‘costituzionali’ orgogliosi dei propri principi e valori, determinati a incidere sull’agenda politica e mediatica del paese, quasi sempre conformista e

gregaria». Accanto ai tradizionali dibattiti, l’edizione 2015 si arricchisce di un momento più ludico in programma venerdì 17 aprile ai Musei Civici di Reggi Emilia. Una serata in cui s’intrecceranno musica, cinema e cultura e che culminerà con la presentazione dei migliori cortometraggi a tema laico selezionati dal Reggio Film Festival. L’ingresso agli incontri è gratuito per gli iscritti di Iniziativa laica, previa prenotazione (tessera Arci+Iniziativa laica 20 euro, solo Iniziativa laica 10 euro). Per i non soci il costo di ciascun singolo biglietto è di 3 euro. Durante le Giornate della laicità i biglietti saranno venduti all’ingresso di ogni incontro. Per info e programma completo: www.giornatedellalaicita.com

La terra, la memoria, il calcio: Eduardo Galeano La vita di uno scrittore sono i suoi libri che continuano a parlarci al di là della sua scomparsa, ma anche le sue idee, le sue prigioni, le sue lotte, le sofferenze condivise con il suo popolo. Se sei Eduardo Galeano. Come lui, uruguayano, così Isabel Allende, cilena, ha dovuto fuggire dal proprio paese devastato e insanguinato da colpi di stato fascisti. E scrisse: «Non ho potuto portare via molto con me» - tra le poche cose - «una manciata di terra del mio giardino e due libri: una vecchia edizione delle Odi di Pablo Neruda e il libro dalla copertina gialla, Le vene aperte dell’America Latina». Ecco le due cose veramente importanti: la terra e la sua memoria. Quel libro, scritto da Galeano in tre mesi, gli ultimi del 1970, poco prima che si aprisse l’orrida stagione dei golpe in quel continente, ebbe ed ha un’immensa fortuna. Chavez - una celebre fotografia lo immortala - lo regalò ad Obama in un incontro nel 2009. Un libro antiretorico, essenziale, come sono i veri atti d’accusa, che comincia con queste lapidarie parole: «Paesi specializzati nel guadagnare e paesi specializzati nel rimetterci: ecco il

significato della divisione internazionale del lavoro… l’America Latina è stata precoce: si è specializzata nel rimetterci fin dai lontani tempi in cui gli europei del Rinascimento si sono lanciati attraverso i mari per azzannarle la gola». Certo, dopo la stagione dei golpe quel continente ha fatto dei grandi progressi in campo democratico, sociale e politico, ma nel contempo il frutto avvelenato della globalizzazione è stato l’enorme aumento su scala globale delle diseguaglianze. Altre vene si sono aperte e continuano a buttare sangue. Galeano pur scrivendo di storia e quindi di politica, quella vera, come pochi, fu soprattutto un grande scrittore popolare. Di quelli che lottano con il popolo, non solo per il popolo. Da qui il suo amore per il calcio: metafora e concretezza insieme della vita di ogni giorno, desiderio di affermazione nella socialità. Valori traditi dalla spettacolarizzazione capitalistica di questo sport. Ma se uno oggi immagina un bambino che gioca a pallone, magari in Africa e non solo in America Latina, pensa a Eduardo Galeano.


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pace&diritti

Spese militari ancora troppo alte: continuando a preparare la guerra non si otterrà mai la pace Il 13 aprile in tutto il mondo centinaia di associazioni hanno celebrato la Giornata globale di azione contro le spese militari, un evento promosso in particolare dall’International Peace Bureau, organismo vincitore del premio Nobel per la pace nel 1910. In Italia è stata la Rete italiana per il Disarmo a cercare di pubblicizzare il tema diffondendo informazioni sulla spesa militare, per ribadire la necessità di ridurre lo spreco dei fondi pubblici assegnati ad armi ed eserciti per investire invece in ambiti più importanti e utili per i cittadini. Strumento utile in questo senso sono i video realizzati dalla campagna Taglia le ali alle armi contro l’acquisto da parte del Governo italiano di cacciabombardieri F-35. Una serie di video ironici per sottolineare l’inutilità dei soldi investiti in tali aerei e rendere visibile la contrarietà degli italiani. In ogni scena uno ‘stratagemma’ comunicativo ha fatto cogliere un utilizzo diverso, ben più importante, dell’ingente quantità dei soldi pubblici ad essi dedicati. Tradizionalmente la giornata internazionale di azione contro le spese militari viene celebrata nel giorno in cui l’Istituto di ricerca svedese SIPRI diffonde le proprie stime sulla spesa militare mondiale. Si tratta di dati molto importanti soprattutto per definire i trend generali che caratterizzano la spesa per gli eserciti e gli armamenti a livello internazionale.

Nel 2014 la spesa militare mondiale si è attestata su 1776 miliardi di dollari: il massimo storico, corrispondente al 2,3% del PIL mondiale, con una lieve flessione (lo 0,4%) in termini reali rispetto all’anno precedente. Una decrescita generalizzata è avvenuta nel Nord America, nell’Europa Centrale e Occidentale ed anche in America Latina mentre è continuata la crescita della spesa militare dell’Asia e Oceania, nel Medio Oriente, dell’Europa dell’est ed anche della stessa Africa. Gli Stati Uniti continuano ad essere il paese con la più alta spesa militare (610 miliardi di dollari, quota cresciuta del 45% dopo gli attacchi alle Torri Gemelle) pur avendo sperimentato una riduzione. Dietro agli USA si collocano invece la Cina, la Russia, l’Arabia Saudita (+17% in un anno!) e la Francia. Si confermano quindi le dinamiche degli anni scorsi, con una preoccupante crescita dell’investimento militare nelle aree più calde del globo. Secondo le stime del SIPRI l’Italia ha sperimentato, così come la Germania, la Spagna ed il Regno Unito, una minima flessione della propria spesa militare. Lo si deduce anche dall’analisi dei dati ufficiali per il bilancio del 2015 da cui si ricava una spesa militare complessiva di 23,5 miliardi di euro, dei quali 5,5 sono dedicati all’acquisizione di nuovi sistemi d’arma e quasi 6 in venti anni per comprare nuove navi militari. Secondo queste cifre

Campagna ‘Un’altra Difesa è possibile’. Ultimo mese

di raccolta firme Siamo all’ultima fase della Campagna Un’altra Difesa è possibile, per la Difesa civile, non armata e nonviolenta. Resta solo un mese di tempo per la raccolta firme: considerato che i moduli vanno consegnati entro il 23 maggio alla presidenza della Camera dei Deputati, il termine ultimo per la raccolta (per i necessari adempimenti finali) è stato individuato della giornata di domenica 3 maggio. Nei giorni immediatamente successivi è necessario procedere alla certificazione delle firme (chiedere ai Comuni i certificati di iscrizione alle liste elettorali dei sottoscrittori). Entro venerdì 8 maggio bisogna spedire i moduli con allegati a: Centro per la Nonviolenza, via Milano 65, 25128 Brescia, tel. 030 3229343.

Mail: movimentononviolento.bs@alice.it Il comitato bresciano dal 10 al 20 maggio farà tutti i controlli e conteggi necessari. Per velocizzare e semplificare la fase finale, chi ha moduli già completi, o comunque chiusi, li può già certificare e inviare a Brescia, proseguendo nel contempo la raccolta su altri moduli fino al 3 maggio. Non c’è un giorno da perdere, e bisogna usare bene il tempo che rimane. Ogni singola firma è importante! Per qualsiasi dubbio, richiesta, informazione, di seguito sono indicati i contatti della segreteria della campagna: Casa per la Nonviolenza, via Spagna 8, Verona. Telefono e fax 045/8009803. info@difesacivilenonviolenta.org www.difesacivilenonviolenta.org

la spesa militare italiana del 2015 continua ad essere maggiore del livello investito nel 2012. La Rete italiana per il Disarmo e gli organismi che ad essa aderiscono continuano a pensare che una cospicua parte di questi ingenti investimenti potrebbe essere invece indirizzata verso politiche di welfare, di protezione del territorio, di stimolo alla creazione di nuovi posti di lavoro, di investimenti sulle strutture scolastiche e sanitarie, sulle alternative alla difesa armata a cominciare dal Servizio Civile nazionale. La nostra azione continuerà anche oltre la Giornata mondiale di azione contro le spese militari, in particolare con la diffusione di informazioni ed infografiche.

Reato di tortura subito! Commentando il voto favorevole espresso dalla Camera dei deputati alla proposta di legge sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha rilasciato la seguente dichiarazione: «La Camera dei Deputati ha approvato una legge sicuramente non perfetta. È stato fatto, tuttavia, un importante passo avanti. Ora infatti esiste la prospettiva concreta che la parola ‘tortura’ faccia il suo ingresso nel nostro codice penale e che si ponga fine all’impunità, pressoché garantita nella situazione attuale, di coloro che nel nostro paese si rendono colpevoli di atti di tortura». «Ora tocca nuovamente al Senato. È dalla fine degli anni Ottanta che chiediamo al parlamento di onorare l’impegno preso dall’Italia più di un quarto di secolo fa con la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Il monito lanciato pochi giorni fa dalla Corte europea dei diritti umani nella sua sentenza sul caso Diaz non può e non deve essere ignorato». Per sollecitare il Senato a dare il voto definitivo al provvedimento, Amnesty International Italia ha organizzato a Roma venerdì 17 aprile la manifestazione Reato di tortura subito!. All’iniziativa, che si svolgerà sulla scalinata del Campidoglio alle 18.30 e a cui hanno finora aderito Arci, Antigone e Cittadinanzattiva, prenderanno parte familiari di persone che hanno subito violazioni dei diritti umani in Italia.


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migranti

La Ue punta sull’esternalizzazione del controllo delle frontiere di Sara Prestianni Arci

Quasi 20mila i profughi sbarcati sulle nostre coste dall’inizio dell’anno. Ancora più pesante il macabro bollettino delle vittime da gennaio, un migliaio, contando l’ultimo tragico naufragio emerso dalle testimonianze raccolte tra i migranti sbarcati a Reggio Calabria. Con un ritmo di 5000 migranti ogni tre giorni, la logica emergenziale con cui l’Italia gestisce l’accoglienza fa emergere sempre di più le sue contraddizioni e carenze del nostro sistema. Dal lato europeo la risposta si ripete, tragicamente uguale nel tempo: creazione di un sistema comune d’asilo - annunciato già da anni e ancora lontano dal compimento -, lotta al traffico di essere umani, aumento del budget di Frontex che, a guardare il ruolo centrale della Guardia Costiera Italiana e della Marina Militare nelle decine di sbarchi degli ultimi giorni, sembra servire a ben poco. L’asse su cui l’Europa sembra però avanzare è la collaborazione con i paesi terzi nella gestione delle frontiere. Se la politica di esternalizzazione del controllo che mira ad affidare la gestione

delle frontiere ai paesi di transito dei migranti – rinforzando e spesso finanziando il loro sistema d’asilo e controllo della frontiera oltre che esportando pratiche repressive della gestione della frontiera quali campi di detenzione e procedure di respingimento - é uno dei pilastri della politica europea oggi, e a detta dei vari governi, sembra essere diventata l’unica soluzione. Dopo il processo di Rabat, che lanciava, nel 2007, la collaborazione nella gestione della migrazione con alcuni paesi del Maghreb, l’Italia durante la sua presidenza della UE ha ospitato il secondo incontro del Processo di Khartoum, che prevede la collaborazione con i paesi di origine dei rifugiati - il Corno d’Africa - e di transito - Egitto, Tunisia, Sudan, Niger tra gli altri - per bloccare il flusso migratorio in arrivo in Italia. I capi di Stato riuniti a Roma nel novembre 2014 sembravano però essersi scordati che dal Corno d’Africa arrivano principalmente rifugiati che gli Stati Membri, in quanto firmatari della Convenzione di Ginevra, sono obbligati

Approvata dalla Camera la legge che istituisce il 3 ottobre la Giornata della Memoria delle vittime dell’immigrazione L’Arci esprime soddisfazione per l’approvazione da parte della Camera della proposte di legge che istituisce il 3 ottobre Giornata della Memoria delle vittime dell’immigrazione. Continuano però, anche in queste ore, le stragi in mare. È di questi giorni infatti la notizia dell’ennesimo naufragio, con più di 400 dispersi, vittime delle leggi che impediscono gli ingressi legali in Italia e in Europa, costringendo chi fugge da guerre o violenze a mettersi nelle mani dei trafficanti di morte. Mentre ci auguriamo che l’iter della legge approvata mercoledì si concluda positivamente, chiediamo che con coerenza si arrivi a un radicale cambiamento delle politiche seguite sin qui sull’immigrazione: si riatti-

vi subito un’operazione di ricerca e salvataggio (con le caratteristiche di Mare Nostrum), gestita col concorso dell’Unione europea; si aprano canali di ingresso umanitari, impegno che peraltro era stato assunto dalla vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini nel suo intervento al Festival Sabir, organizzato lo scorso ottobre a Lampedusa. A due anni dalla strage del 3 ottobre, in cui persero la vita 368 migranti, purtroppo ci troviamo a dover rinnovare le richieste di allora. L’istituzione di una Giornata della Memoria è sicuramente importante, ma l’obiettivo vero dev’essere che non ci siano più morti di frontiera da ricordare.

ad accogliere e proteggere. Il principio difeso dal processo di Khartoum si concretizza nelle parole di Angelino Alfano, che propone, come soluzione, di creare dei campi nei paesi di transito. Poco dopo si citano i paesi in cui questi campi sorgeranno a breve: Niger, Sudan e Tunisia. Nessun altro dettaglio sulla natura giuridica di questi campi. Si teme però che possano essere come i famosi centri d’accoglienza in Libia, sostenuti nell’accordo bilaterale firmato dal nostro paese, che sono risultati di fatto campi di detenzione con pratiche sistematiche della tortura. Si rischia anche di riprodurre dei modelli quali Choucha e Saloum, i campi creati l’indomani della guerra libica, dove centinaia di profughi sono rimasti in un man’s land desertico in attesa di un reinsediamento che, per molti, non è mai arrivato. Se l’obbiettivo non è quello di richiedere la solidarietà degli Stati Membri nell’accogliere i migranti ed evitare loro il viaggio in mare, questi campi si trasformeranno sicuramente in luoghi di attesa e disperazione. È datato lo stesso periodo, marzo 2015, un documento ufficioso, fuoriuscito da una riunione dei Ministri dell’Interno degli Stati Membri, in cui l’Italia si spinge fino a proporre, come soluzione per la gestione dell’«emergenza sbarchi», la formazione delle guardie costiere tunisine ed egiziane perché siano loro, e non gli italiani, ad intervenire nelle operazioni di salvataggio che si produrrebbero non lontano dalle coste libiche per poi riportarli in Tunisia ed Egitto e se possibile nei rispettivi paesi di origine dei migranti. La proposta però sembra non considerare che chi parte sui barconi è principalmente un richiedente asilo, che la Tunisia non ha firmato la Convenzione di Ginevra e che l’Egitto, non meno di una settimana fa, ha aperto il fuoco con i mezzi della marina militare su un barcone di migranti. Ed è in questa prospettiva che il Commissario UE all’immigrazione Avramopoulos, di fronte all’ennesima tragedia del mare, ha annunciato una visita, la settimana prossima, in Italia, a cui seguiranno quelle in Tunisia ed Egitto. Nel frattempo, l’Arci ha lanciato un’operazione di monitoraggio, con l’obiettivo di seguire l’evoluzione delle politiche di esternalizzazione e svolgere una pressione politica costante per ottenere delle risposte.


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scuola

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La scuola che cambia il paese Appello al Parlamento Il 14 aprile presso la Cisl di Roma si è tenuta la conferenza stampa delle associazioni promotrici dell’appello La scuola che cambia il Paese sottoscritto anche dall’Arci. Di seguito il testo completo. Ci rivolgiamo al Parlamento per chiedere di cambiare il disegno di legge sulla scuola presentato dal Governo. Rappresentiamo studenti, insegnanti, genitori, forze sociali e sindacali, associazioni interessate a una scuola buona. I vari governi che si sono succeduti dal 2011 a oggi, tuttavia, nonostante le proposte di confronto avanzate, non ci hanno mai dedicato uno spazio di ascolto. L’investimento di tre miliardi nella scuola pubblica può essere una positiva inversione di tendenza, se finalizzato a innalzare i livelli di istruzione e di competenza di tutto il Paese e a contrastare le gravi diseguaglianze socio-culturali e territoriali che condizionano gli esiti scolastici. Siamo convinti che senza la partecipazione attiva dei soggetti che rappresentiamo, nessuna riforma possa raggiungere questi obiettivi decisivi per lo sviluppo del Paese. La consultazione sui temi della Buona Scuola, come dimostrato dagli stessi dati esposti dal Miur, non ha purtroppo coinvolto il Paese nell’auspicato dibattito capillare. Pertanto, consideriamo indispensabile aprire un ampio confronto nel Paese per delineare una visione generale, il più possibile condivisa, sul nuovo ruolo della scuola nella società della conoscenza. A questo proposito riteniamo decisivo partire dal diritto di ogni persona all’apprendimento permanente come base per un progetto complessivo di cambiamento del sistema educativo italiano. Pur rappresentando organizzazioni con punti di vista anche molto diversi, abbiamo individuato in cinque punti le proposte per cambiare il disegno di legge presentato dal governo: Diseguaglianze I risultati delle indagini internazionali dicono che la nostra scuola è penalizzata dall’essere tra le più diseguali d’Europa, con il rendimento degli studenti legato non tanto al merito individuale quanto al contesto territoriale e alle scelte dell’indirizzo e dello specifico istituto. Il fatto che ci siano, di norma, basse differenze di rendimento all’interno della stessa scuola e alte differenze fra scuole diverse significa che il contesto socioeconomico delle scuole stesse incide al

momento più di quello delle famiglie sui risultati dei discenti. Potenziare l’autonomia scolastica significa allora ridurre le diseguaglianze che frenano il diritto al successo formativo di ogni studente e la crescita di qualità dell’intero sistema. L’organico dell’autonomia non deve essere destinato prioritariamente alla copertura delle supplenze, ma al rafforzamento delle strategie per combattere la dispersione scolastica e a promuovere il successo scolastico di tutti. Si deve sviluppare quel progetto di scuola che non è la somma di mille progetti, ma corrisponde alla costruzione di curricoli che sappiano misurarsi con i nuovi modi di apprendere e di vivere dei giovani, facendo della scuola un laboratorio permanente di innovazione educativa, partecipazione ed educazione civica. Per fare questo ci vogliono sperimentazione e costante ricerca, così che la scuola possa assumere anche un ruolo centrale nel sistema nazionale di formazione degli insegnanti. È altresì fondamentale garantire l’accesso al diritto allo studio, nel rispetto della Costituzione e come primo essenziale strumento di uguaglianza sostanziale, adottando una legge quadro nazionale che imponga dei livelli essenziali di prestazione e che sia soprattutto finanziata: qualsiasi intervento legislativo in materia di diritto allo studio che non preveda un grande investimento dello Stato sarebbe semplicemente inutile. È poi necessario, in secondo luogo, potenziare gli strumenti di welfare studentesco attraverso un sistema di servizi, che garantiscano una piena inclusione degli studenti e delle studentesse non solo nella dimensione scolastica ma anche in quella di cittadini. La strategia di innalzamento dei livelli di istruzione e competenza riguarda anche la popolazione adulta, come ci ricorda l’indagine Ocse-Piaac. Un significativo investimento di una quota di organico funzionale per lo sviluppo dell’Istruzione degli Adulti rappresenta un passo decisivo per la costruzione del Sistema Integrato dell’Apprendimento Permanente (Legge 92/2012). Governance Occorre rafforzare l’autonomia nel senso pieno del DPR 275 e quindi come «garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale», strumento per porre al centro l’apprendimento degli studenti e «garantire loro il successo

formativo». A questi fini è nata l’autonomia scolastica, come strumento di democratizzazione della scuola: tramite il decentramento dei livelli decisionali e attivando una reale partecipazione delle componenti, la scuola deve diventare una comunità che si auto-governa, dove tutti sono soggetti attivi del processo educativo e delle scelte chiave. In questo modo la scuola potrà rispondere alle nuove esigenze della società odierna, così multiforme e diseguale. Invece l’eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del preside-manager, previsto nel ddl, e la conseguente completa estromissione degli studenti, dei docenti, dei genitori e del personale ATA dai processi decisionali non rispondono affatto alle necessità di corresponsabilità e partecipazione che riteniamo essere imprescindibili per conseguire le finalità originarie dell’autonomia. Vanno quindi riviste a fondo le prerogative previste per il dirigente scolastico, che nell’articolato del ddl ne vede enfatizzati poteri e ambiti di competenza, evidenziando una parallela compressione della dimensione collegiale della scuola: riaffermiamo il valore degli organi collegiali come cuore di una comunità educante che svolge anche la funzione di palestra di democrazia per gli studenti. La scuola ha fondato le sue conquiste più importanti su un clima di cooperazione reso possibile proprio dalla impersonalità delle norme e dalla crescita di un sistema complesso a responsabilità diffusa. I poteri del dirigente scolastico non escono né umiliati né diminuiti dal fatto che le sue responsabilità sono chiamate a coesistere con le prerogativa affidate agli altri soggetti della scuola: il dirigente dirige, ma non dei ‘sottomessi’. La responsabilità è certo necessaria ma non deve essere monocratica e unilaterale, perché la partecipazione attiva delle componenti si concretizza solo se queste hanno un effettivo potere decisionale. È necessario perciò affinare gli strumenti di gestione dei processi educativi e formativi, che costituiscono in definitiva l’essenziale ragion d’essere del sistema scolastico, affinché sia perseguibile un sostanziale esercizio delle distinte e sinergiche responsabilità nel processo di costruzione delle decisioni. Riteniamo dunque importante riformare gli organi collegiali in direzione radicalmente continua alla pagina successiva


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opposta ed incentrata su una maggiore partecipazione di studenti e famiglie, così da rendere la gestione della scuola sempre più collettiva, responsabilizzando tutte le componenti del tessuto scolastico nell’elaborazione dell’offerta formativa, nella scrittura di progetti, nell’individuazione di punti deboli e strategie collettive di miglioramento. Sono improrogabili interventi per valorizzare il lavoro nella scuola nel rispetto della funzione contrattuale, indispensabile per raggiungere soluzioni efficaci e condivise. Risorse economiche La scuola italiana necessita urgentemente di un aumento dei finanziamenti pubblici, almeno fino a riallineare il nostro paese con la media europea. Sono inammissibili le dichiarazioni per cui lo Stato non può coprire le spese per l’istruzione. È tuttavia possibile prevedere forme di finanziamento aggiuntivo, che in ogni caso non possono andare a finanziare singole istituzioni scolastiche: le diseguaglianze tra regioni e tra scuole della stessa regione sono altrimenti destinate ad aumentare, nonostante gli interventi perequativi che si possano prevedere. Riteniamo indispensabile quindi che forme di finanziamento privato totalmente libere e dirette, come la cessione del 5 per mille, siano finalizzate a potenziare il sistema educativo pubblico migliorandone i livelli di qualità ed equità. Il F.I.S. e il M.O.F., i canali con cui viene ordinariamente finanziata l’attività autonoma delle singole scuole, devono essere rinforzati e stabilizzati, così come peraltro annunciato nelle linee guida iniziali della Buona Scuola. La ripresa di una politica di investimenti nel sistema educativo pubblico deve inoltre essere accompagnata a un piano pluriennale che permetta all’Italia di raggiungere almeno la media europea. Rapporto scuola e lavoro Lo sviluppo del rapporto-scuola lavoro deve essere orientato ad arricchire il percorso educativo e potenziare le opportunità occupazionali di tutti i giovani, assicurando a ognuno effettive capacità di apprendimento lungo tutto il corso della vita. Deve essere superato il pregiudizio, ancora molto radicato, dei percorsi per il lavoro destinati a chi è ritenuto poco adatto per gli studi. Tutti i percorsi scolastici devono essere aperti alla cultura del lavoro anche attraverso concrete esperienze di alternanza scuola-lavoro. I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro devono essere articolati secondo criteri

di gradualità e progressività rispettosi dello sviluppo personale, culturale e professionale degli studenti in relazione alla loro età. Per questo ha grande rilievo la qualità della funzione tutoriale svolta dal docente tutor scolastico e dal tutor formativo. I diritti delle studentesse e degli studenti in alternanza scuola lavoro devono essere garantiti per mezzo di uno Statuto che impedisca la creazione di sacche di lavoro gratuito mascherate da opportunità formative. La didattica laboratoriale deve essere sostenuta e diffusa in tutti i percorsi formativi. A ogni giovane, a conclusione del percorso formativo, deve essere assicurata la certificazione di tutte le competenze acquisite e la possibilità di accedere all’università.

Un’idea molto diversa si rintraccia nel ddl laddove si prevede la possibilità di svolgere l’alternanza nelle pause estive, affidando alle sole imprese la gestione del percorso formativo; così facendo si afferma un’idea che dequalifica l’idea di apprendistato prevedendo una remunerazione nulla o irrisoria per le ore di formazione. L’utilizzo del contratto di apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio deve essere esclusivamente finalizzato all’apprendimento e comunque successivo al conseguimento dell’obbligo di istruzione. La possibilità di acquisire un diploma di istruzione in apprendistato deve essere reintrodotta per dare continuità e sviluppo al programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda e come opportunità per i giovani neet privi di diploma. Deleghe al Governo Riteniamo che le numerose deleghe al Governo previste nel ddl siano un errore perché vi sono previsti temi troppo importanti, cruciali per il miglioramento della scuola italiana, che non possono essere affrontati senza un serio dibattito

scuola parlamentare. Crediamo inoltre che i criteri direttivi previsti siano insufficienti e spesso troppo vaghi, per determinare in quale direzione debbano andare queste importanti riforme; allo stesso tempo è inaccettabile la specifica previsione di non finanziare queste deleghe, perché temi come il diritto allo studio necessitano prioritariamente di un finanziamento da parte dello Stato. L’idea che il Parlamento abdichi alla sua funzione legislativa in favore del Governo, delegando senza i necessari criteri direttivi e senza finanziamenti su materie che sono determinanti per una qualsiasi riforma scolastica, è per noi ingiusta e inammissibile. Davvero oggi occorre cambiare la scuola, per cambiare l’Italia. Dunque riteniamo che, su un tema tanto cruciale per il futuro del nostro Paese, la discussione parlamentare non possa essere sottoposta a scadenze perentorie, ma anzi debba essere aperta all’ascolto e al confronto con il mondo della scuola e la società civile. Studenti, docenti, famiglie e personale hanno diritto a una ‘buona scuola’, già dal prossimo anno scolastico. Auspichiamo dunque che il Parlamento possa inserire nel proprio dibattito le questioni che abbiamo voluto segnalare come qualificanti, per la costruzione di una scuola che risponda ai dettati costituzionali e alle sfide del moderno contesto nazionale e comunitario. Per consentire di portare a sistema interventi ambiziosi come quelli che noi, tutti insieme, portiamo all’attenzione, riteniamo necessario lo stralcio del tema delle assunzioni per garantire il regolare ed efficace avvio del prossimo anno scolastico e dare una risposta ai tantissimi docenti precari che da anni tengono in piedi la nostra scuola. Tempi adeguati all’ascolto e al confronto non sono un modo per rallentare o, peggio, per rinviare i primi interventi di rilancio della scuola pubblica. Sono, invece, la condizione per correggere gli errori contenuti nel testo di ingresso e creare il necessario clima di condivisone per avviare nel minor tempo possibile i primi interventi di cambiamento. Aderiscono: Agenquadri, Aimc, Arci, Auser, Cgd, Cgil, Cidi, Cisl, Cisl Scuola, Edaforum, Fnism, Flc Cgil, Irase, Irsef-Irfed, Legambiente, Legambiente Scuola e Formazione, Libera, Link - Coordinamento Universitario, Mce, Movimento Studenti di Azione Cattolica, Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica, Proteo Fare Sapere, Rete della Conoscenza, Rete degli Studenti Medi, Rete29Aprile, Uciim, Udu, Unione degli Studenti, Uil, Uil Scuola


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daiterritori

Radio Barrio festeggia il suo secondo compleanno Tra i traguardi raggiunti, la nuova location e l’obiettivo del crowdfunding Grande partecipazione al secondo compleanno della web radio crotonese Radio Barrio. Venerdì 10 aprile lo staff dell’associazione di promozione sociale Il Barrio, nonché circolo Arci, ha promosso un evento per celebrare la seconda candelina della radio presso il circolo Arci Le CentoCittà. L’evento, iniziato intorno alle 18.30 con l’apertura della diretta, ha visto l’alternanza ai microfoni degli speaker di Radio Barrio. Ad allietare l’evento la musica dal vivo di Michele Scerra, cantautore crotonese vincitore del premio Bindi perla migliore canzone con Il circo Gelsomino e i Coffea strange, band musicale formata da Daniele Sorrentino, Davide Otranto, Ivan De Luca, Emmanuele Sestito e Mirko Caruso. La serata è stata chiusa dal dj set Roots libero a cura di Pousada Vianelo con musica reggae e roots. «Spegnere la seconda candelina è stata una grande emozione – ha detto Alfredo Lucente, presidente dell’associazione Il Barrio – perché il compleanno della radio che abbiamo creato con Raffaele Drago, Gianfelice Giaquinta, Enrica Tancioni e Chiara Ranieri, è stato coronato da due eventi: il raggiungimento dell’obiettivo del crowdfunding, grazie al quale possiamo garantire una programmazione costante e ricca di contenuti, e il trasferimento in una nuova sede». La web radio crotonese ha iniziato a conquistare il cuore del Barrio pitagorico. Sì perché la struttura si è trasferita nel centro storico: «Il nostro obiettivo – ha continuato Lucente – è quello di creare un polo culturale che

possa portare nel centro storico e in tutta la città musica, cultura e attività sociali. Questo anche grazie al sostegno e alla continua collaborazione con l’Arci e il gruppo Fotoamatori Crotone». Radio Barrio, dunque, dal mese di marzo si diffonde nell’etere da una delle location più caratteristiche della città pitagorica: via Lucifero 15, luogo da sempre vocato alla cultura, all’arte e alla musica. Dalla terrazza della nuova sede la musica e i contenuti della radio vengono costantemente diffusi in tutto il mondo. In una condivisione globale che rimane tuttavia legata alla tradizione della città. La programmazione di Radio Barrio, che spazia dal puro intrattenimento musicale

il palco del 1 maggio BOLOGNA Quest’anno Eugenio

Finardi e Arci Bologna curano insieme il programma del concerto che si terrà il 1 maggio in Piazza Maggiore. Tra le novità, la proposta di #BolognaPalcoAperto, formula per far suonare una band emergente sul palco in occasione della Festa del Primo Maggio promossa da Cgil, Cisl e Uil Bologna. Possono partecipare gruppi o artisti di massimo 35 anni, che abitano a Bologna o nelle zone limitrofe. Il 24 aprile scade la possibilità di partecipare, bando e info su www.arcibologna.it

MACERONO ROMA Arci Solidarietà onlus organizza e promuove l’iniziativa MaceroNO, a sostegno dell’editoria indipendente e per il rifiuto della messa al macero. Si potranno acquistare a 4 euro libri delle case editrici DeriveApprodi, Ortica, Atmosphere, Eleuthera, Alegre, Novalogos. L’iniziativa si terrà il 18 aprile dalle ore 16 presso l’associazione culturale Centofiori, in via Goito 35/B. Alle 18.30 aperitivo e musica di Adriano Bono. www.arcisolidarietaonlus.eu

al sociale, con le dirette radiofoniche di eventi dedicati al terzo settore, è stata inoltre arricchita. In palinsesto ci sono infatti programmi di approfondimento dedicati sempre al sociale e all’informazione. «Radio Barrio – spiega Raffaele Drago, vicepresidente dell’associazione – è nata per dare spazio alle categorie che non hanno molta visibilità. Ci siamo sempre dedicati al Terzo settore, perché crediamo che sia una risorsa da condividere e sostenere». www.radiobarrio.it

La città (In)visibile Conoscere e capire la ricchezza culturale e naturale del luogo in cui si vive; valorizzare il patrimonio dimenticato della città; scoprire le trasformazioni che ha subito nel tempo, le influenze delle diverse culture e dei popoli che l’hanno abitata e la abitano. Sono questi gli obiettivi de La città (In) visibile, il progetto promosso da Arci Catania, Mangiacarte, Zeronove, Melquiades, Catania insieme, Ghezà e finanziato dal Ministero della Gioventù e del Servizio Civile. Il progetto è stato appena avviato ed è rivolto ai giovani catanesi, italiani e

in più

migranti, di età compresa tra i 19 e i 35 anni. L’obiettivo è favorire il confronto e l’integrazione positiva tra culture e confessioni religiose diverse che coabitano nello stesso territorio. Attraverso 9 laboratori i partecipanti scopriranno un’altra Catania, dando il via ad un network di realtà giovanili che lavorano su territorio, ambiente e sviluppo sostenibile. I laboratori sono gratuiti, avranno una durata dai 5 agli 8 mesi e prevedono attività pratiche e teoriche. www.cataniacittainvisibile.org

i lunedì del bellezza MILANO Saranno serate dedica-

te alla politica, alla letteratura, alla scienza e alla storia, ma anche a cinema, arte, teatro e musica I lunedì del Bellezza, una nuova iniziativa del circolo Arci Bellezza che organizza, a partire dal 13 aprile, diversi eventi a cui parteciperanno numerosi ospiti. Lunedì 20 aprile dalle 20 ci sarà Democomica: la grande Bellezza, un gruppo di ‘comici scomodi’ dal 2004. www.arcibellezza.it

deconstructing reality VITERBO Dal 23 al 26 aprile al

circolo Arci Biancovolta sarà possibile visionare Deconstructing reality, mostra collettiva di video sullo spazio pubblico in area mediterranea a cura di Marco Trulli. Il progetto è a cura di Cantieri d’Arte con il patrocinio di BJCEM – Biennale dei giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo e in collaborazione con il programma di azioni di arte pubblica La Ville Ouverte. arte.cantieri.blogspot.it


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arcireport n. 14 | 16 aprile 2015

culturascontata i tanti vantaggi della tessera Arci

w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo

La Rosa di fuoco Ferrara - Palazzo dei Diamanti,

dal 19 aprile al 19 luglio. Effervescente e ammaliante, estrosa e ribelle, Barcellona all’inizio del Novecento era ‘la rosa di fuoco’. Un fervore nuovo infiammava la scena artistica e culturale, dove spiccavano gli astri di Picasso e Gaudí, sullo sfondo di una rovente tensione sociale. La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudí racconterà questi anni fecondi e inquieti in un caleidoscopio di dipinti, opere grafiche, gioielli, fotografie, sculture, modelli architettonici e teatrali. www.palazzodiamanti.it

Boldini. Lo spettacolo della modernità Forlì - Musei San Domenico,

fino al 14 giugno. Rispetto alle recenti mostre sull’artista Giovanni Boldini, questa rassegna si differenzia per una visione più articolata e approfondita della sua multiforme attività creativa, intendendo valorizzare non solo i dipinti, ma anche la straordinaria produzione grafica, tra disegni, acquerelli e incisioni. www.mostraboldini.com

Da Kirchner a Nolde Genova - Palazzo Ducale, fino

al 12 luglio. Una rassegna sulla nascita dell’Espressionismo Tedesco con oltre 150 opere tra dipinti, stampe e disegni dei fondatori del gruppo, a documentare una rivoluzione artistica, nel fermento che porterà l’Europa alla Grande Guerra del ‘15-’18 di cui quest’anno si ricordano i cento anni. www.espressionismogenova.it

Alle origini del gusto Asti - Palazzo Mazzetti, fino al

5 luglio. L’idea di una mostra ad Asti sull’alimentazione nel mondo antico si ispira alle linee guida dell’Expo 2015 di Milano: Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita. La mostra Alle origini del gusto. Il Cibo a Pompei e nell’Italia antica, conduce il visitatore in un viaggio alle origini del comportamento alimentare italiano. Sale tricliniari, cucine, scorci di campagne coltivate, mercati animati con botteghe e macelli, vengono narrati da voci fuori campo, luci suoni e odori, a cui si accompagnano presentazioni video, che - come olografie - fluttuano nel vuoto attorno alle opere. www.civita.it

società

18 aprile: il mondo si mobilita contro TTIP e trattati di libero scambio Sabato 18 aprile cittadini e movimenti della società civile scenderanno nelle piazze di oltre 300 città in tutto il mondo (saranno decine in Italia) per chiedere di fermare i trattati di libero scambio con uno slogan comune: «Le persone e il pianeta prima dei profitti». Il più importante per lo scacchiere geopolitico globale è il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), che gli Stati Uniti stanno discutendo in sostanziale segreto con l’Unione Europea. L’accordo prevede l’abbattimento di tutte le barriere non tariffarie al commercio, ossia normative e regolamenti a protezione di beni comuni e servizi pubblici, che le grandi compagnie multinazionali che spingono per la chiusura dell’accordo ambiscono a monetizzare. In cambio di un abbassamento degli standard qualitativi, gli studi più ottimistici prevedono, nel caso improbabile in cui tutte le condizioni fossero soddisfatte, un aumento del PIL europeo appena dello 0.5%, a partire dal 2027. Quelli meno ottimistici, una perdita di posti di lavoro in UE di minimo 600mila unità. L’approvazione del TTIP costituirebbe l’architrave di un cambio di sistema economico che presenta forti rischi per la sostenibilità sociale e ambientale, già in pericolosa deriva. L’Italia potrebbe veder travolti i suoi settori fondamentali: agricolo, industriale, dei servizi pubblici. Più che un volano per le piccole imprese, il trattato transatlantico è la loro più grave minaccia di finire rapidamente fuori mercato. Per questo, le oltre 200 organizzazioni nazionali che hanno aderito alla Campagna Stop TTIP Italia parteciperanno alla Giornata di azione globale con circa 30 iniziative in tutto il Paese. Vi saranno manifestazioni e flash mob nelle grandi città - da Roma a Milano, da Torino a Napoli, fino a Firenze - e in molti centri minori. Sarà l’occasione per unire le voci ed esprimere un netto rifiuto nei confronti di un modello di architettura sociale che deve segnare il passo. Lo dimostra il grande movimento che si è addensato a livello comunitario, unito e deciso nel chiedere maggiore trasparenza alla Commissione Europea nel processo negoziale. E anche nel denunciare i rischi di un abbattimento dei regolamenti che si tradurrebbe in un degrado dei livelli di salute dell’ecosistema, assistenza sanitaria, accesso all’istruzione e al mondo del lavoro. In una parola, di democrazia. Oltre un

milione e 700mila cittadini europei hanno sottoscritto la petizione per chiedere alla Commissione l’immediato arresto delle trattative sul TTIP. Una raccolta di firme che prosegue intercettando il crescente consenso dell’opinione pubblica sul tema, con l’intento di tagliare il traguardo dei 2 milioni ad ottobre. L’intenzione dei due blocchi, USA e UE, è convergere su una bozza di accordo entro quest’anno, ma la forza dell’opposizione sociale e la richiesta di maggiore trasparenza sta rallentando le decisioni. Una parte del Parlamento Europeo si è detta contraria a un’armonizzazione delle normative con quelle degli Stati Uniti, perché i rischi sono troppo alti e il processo irreversibile. Il TTIP può e deve essere fermato, come sta chiedendo da più di un anno la società civile globale. Con la valanga tweet del TTIPtuesday, iniziativa che ogni martedì inonda con migliaia di tweet ‘StopTTIP’ gli account dei Parlamentari europei, si darà il via alla settimana di iniziative che culminerà con la giornata del 18 aprile: un’altra decisiva tappa del percorso di opposizione sociale ai trattati di libero scambio. stop-ttip-italia.net

arcireport n. 14 | 16 aprile 2015 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 19 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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