Arcireport n 16 2014

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settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 16 | 8 maggio 2014 | www.arci.it | report @arci.it

L’Unione europea lavori per la pace e uno stato federale in Ucraina di Flavio Mongelli responsabile Arci Pace e solidarietà internazionale

Le prime manifestazioni di piazza in Ucraina, regioni ‘russofile’ comprese, chiedono, nel nome dell’Europa, libertà, democrazia, giustizia sociale, contro un regime oligarchico e corrotto, mettendone in crisi il sistema di potere. Crisi che stimola gli appetiti e gli interessi di una molteplicità di soggetti, dentro e fuori il paese. La reazione violenta e repressiva del regime apre poi la via a una evoluzione in cui a prevalere sono inevitabilmente poteri forti, altre oligarchie, soggetti ambigui, le destre, la violenza. A farne le spese è il popolo, senza distinzioni ‘etniche’, sotto la minaccia reale di una bancarotta del paese, della sua balcanizzazione, di altri oligarchi, dei padroni della politica, dei gruppi eredi del filonazismo ucraino, della xenofobia più violenta, della guerra civile. Decifrare la questione ucraina, gli attori e gli interessi geopolitici in campo, le loro eventuali strategie, le diverse linee di tensione e di potenziale frattura, oggi non è facile, e si può fare solo a un patto: depurare la comunicazione, sempre più a senso unico, andare oltre la propaganda e la retorica, buttare via il ciarpame da guerra fredda e orso russo. Occorre allora

domandarsi oggi dove finisce l’ovest e comincia l’est in Europa, e cosa sono l’est e l’ovest in Europa, dove a contrapporsi eventualmente sono ‘capitalismi reali’ solo fantasiosamente diversi, e non sistemi economici e sociali opposti. A meno che essere ovest oggi non voglia dire essere nella Nato o acquirenti di F35! Per noi ci sono i cittadini dello spazio europeo, titolari di eguali diritti. Ieri Praga e Berlino est erano Europa, come lo sono oggi Zurigo e Sarajevo, pur se esterne ai confini formali U.E. Una prima questione è che la Russia (ecco un primo attore), troppo grande per entrare nella U.E. (ne convengono entrambi), ambisce tuttavia al ruolo di potenza internazionale, ricerca proprie zone di influenza, e, perso in parte il proprio carattere multietnico, rafforza la propria identità facendosi paladina dei russi ovunque siano, ha interessi sullo scenario asiatico e sul fronte della vendita di gas. Un secondo attore sono gli Usa, interessati invece a ridurre la Russia a potenza regionale, a indebolirla nell’area asiatica, e a ‘rientrare’ in qualche modo dagli investimenti fatti nel ‘94 nella primavera arancione ucraina, nonché,

presumibilmente, a vendere il proprio gas alla sponda est dell’Atlantico. Terzo attore NON protagonista è l’U.E.: condizionata dalla dipendenza energetica dal gas russo, politicamente acefala, subalterna alla politica USA, dimostra tutta la sua inconsistenza. Molte parole a sproposito e pochi fatti. Quasi distratta e incidentale, l’U.E. assiste al risorgere dei nazionalismi in Europa, lascia crescere il protagonismo di vecchi arnesi nazisti in Ucraina, tollera l’affermarsi di tendenze xenofobe e fasciste nel suo seno. Ungheria docet. E questo dopo la lezione Jugoslava. Incapace di giocare la sua partita, al servizio di una nuova cittadinanza e comunità europea, a difesa dei diritti di coloro che vivono nello spazio culturale e geografico europeo. Emblematiche a questo proposito le parole della nostra ministro alla difesa, che dichiara l’Italia pronta a partecipare a una forza multilaterale, con ciò ribadendo, come a proposito degli F35, che la nostra politica estera consiste nella disponibilità a partecipare a schieramenti internazionali più o meno volonterosi (ricordate Afghanistan, Iraq, Libia, Kosovo?), quasi sempre in barba alla nostra Costituzione. Più esplicite le dichiarazioni di Rasmussen che ne approfitta per chiedere l’aumento delle spese militari dei paesi europei, anche finalizzate al contenimento della Russia, in piena convergenza con il disegno USA di ridurre le proprie spese militari girandone una parte agli europei. Peccato che tale scelta si ponga CONTRO l’interesse strategico della UE ad avviare il processo di integrazione militare europea che, con un nuovo modello di difesa, superando l’esistenza dei tanti eserciti nazionali, porterebbe ad una riduzione delle spese militari, ora pari al 50% degli Usa e al doppio della Cina. Eppure un ruolo l’U.E. potrebbe e dovrebbe giocarlo per non demolire ulteriormente il suo edificio comunitario, fondandolo finalmente sulla cittadinanza e non sui mercati, per favorire in Ucraina la garanzia dei diritti di tutti i cittadini, la realizzazione di una stato federale in cui tutte le componenti ‘etniche’ partecipino al governo del paese, la sua indipendenza e neutralità, il disarmo delle milizie armate, la lotta alla xenofobia e alle organizzazioni neonaziste, per utilizzare la leva gasdotto per fare dell’Ucraina un ponte aperto tra Russia e resto d’Europa e non un baluardo del suo contenimento.


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Marche: una regione a rischio frane e allagamenti di Tullio Bugari Arci Marche

Gli automobilisti che percorrevano la statale Arceviese, verso l’interno, hanno incontrato lungo la strada un torrente d’acqua che gli correva incontro. «Più a sud - racconta una ragazza – all’improvviso abbiamo visto un’ondata di acqua fangosa che saliva lungo la strada». Ha invaso scantinati, giardini e appartamenti al piano terra. I residenti dei piani bassi si sono rifugiati ai piani superiori, come i ragazzi di una scuola, tratti in salvo alla sera dai vigili del fuoco con il gommone. Chi era in altre zone è rimasto bloccato fuori casa. Centinaia gli interventi dei vigili del fuoco con le idrovore. L’acqua ha iniziato a ritirarsi il giorno dopo lasciando strati di fango. Molte le auto danneggiate. Nella frazione di Borgo Bicchia ci sono state tre vittime; la terza è deceduta in ospedale dopo due giorni. Allerta meteo in ritardo? C’è chi fa notare che mentre alcune zone della città andavano sott’acqua, sul sito della protezione civile era previsto un allarme moderato.

La ‘bomba’ d’acqua ha causato danni e allagamenti anche in altre zone della regione (Pesaro, Jesi, Osimo, Porto San Giorgio, Porto Sant’Elpidio, il Fermano e il Maceratese). A Senigallia, oltre al Misa, esondato fuori città, hanno straripato diversi fossi e torrenti e l’acqua ha raggiunto velocemente i due metri. Coinvolta anche la statale adriatica e il lungomare di levante. Hanno tenuto, fortunatamente, gli argini del Misa nel centro storico, con l’acqua al livello estremo. Sarebbe stato

I circoli Arci nell’alluvione del 3 maggio di Sergio Montesi Arci Senigallia

L’ esondazione del fiume Misa ha colpito una grossa parte di Senigallia con enormi danni: sommerse case, scuole, capannoni e colture. I quartieri più colpiti, Borgo Bicchia e Borgo Molino, dove ci sono state anche vittime. Nella fase più acuta, mentre il fiume stava esondando, siamo concordi con i molti che lo hanno provato direttamente, c’è stata più di una mancanza da parte delle cosiddette autorità. Oltre alla prevenzione, abbiamo colto la mancanza di coordinamento per gli interventi immediati, l’evacuazione delle scuole e la messa in sicurezza delle persone in stato di pericolo. Comunque i soccorritori hanno dato il massimo che potevano, per portare soccorso e aiuto e, più importante ancora, molti ora stanno aiutando e lavorando: studenti, cittadini, volontari e addetti, per poter ripartire. Tra i nostri Circoli, il colpo più duro lo hanno subito il Circolo Arci Casa del Popolo di Borgo Bicchia e il Circolo Arci di Borgo Molino: gli restano solo i muri della

sede, hanno perso tutte le attrezzature e gli arredi. Parlando con i due presidenti ci siamo posti, con imbarazzo, la questione di chiedere aiuto per i circoli, quando la totalità dei loro stessi soci sono sfollati, hanno le abitazioni parzialmente inagibili e hanno perso le automobili per quando potranno riprendere il lavoro. Alla fine, però abbiamo concordato che i circoli sono un luogo di aggregazione e socialità importante per queste comunità e vanno ricostruiti, per tornare a vivere con la giusta serenità. Ci troviamo, quindi, a chiedere all’Arci nazionale una sottoscrizione, da rivolgere a tutti i Comitati e Circoli. Il comitato territoriale Senigallia, farà da tramite per destinare i fondi ai due Circoli, che ne decideranno in autonomia l’utilizzo, sia per la ricostruzione diretta dei Circoli, ma anche per aiutare persone e famiglie, che si trovano nelle situazioni più drammatiche. L’Arci di Senigallia ringrazia per la vicinanza già dimostrata in questi giorni.

un disastro totale. I danni, ingenti, interessano metà Senigallia, una città di circa 40 mila abitanti. Sono saltati i collegamenti telefonici e il 70% della popolazione è rimasta senza energia elettrica. La zona più colpita è a ridosso dell’autostrada, da tempo con i lavori in corso per la terza corsia. Colpite anche zone commerciali e industriali, in alcuni capannoni l’acqua ha superato il metro e mezzo danneggiando materiali e macchinari. Situazione drammatica anche nelle frazioni dei comuni limitrofi. Perfino la caserma dei vigili del fuoco ha subito ingenti danni. In aiuto sono arrivati oltre 200 vigili da Toscana, Emilia Romagna e Abruzzo, dal resto delle Marche, e squadre di soccorritori acquatici da Venezia e Ravenna. La Regione ha chiesto lo stato di calamità e in città tutti si sono attivati per spalare via la melma. Nella regione, l’ultima inondazione c’era stata il 2 marzo 2011, con tre vittime; altre alluvioni c’erano state a dicembre e nel febbraio scorso. L’Irpi-Cnr, in un rapporto, ha di recente cartografato oltre 1500 frane. Anche il nostro territorio, purtroppo, come altri, è esposto ai problemi del dissesto. Secondo il Ministero dell’Ambiente sono 236 - praticamente quasi tutti - i comuni marchigiani a rischio idrogeologico, di cui 124 a rischio frana, 1 a rischio alluvione e 111 a rischio frana e alluvione. Secondo uno studio di Legambiente sul consumo di suolo, il paesaggio costiero ha conosciuto una forte urbanizzazione che ha fatto scomparire sotto il cemento circa il 60% della fascia litoranea. Sono indispensabili interventi strutturali per la messa in sicurezza del territorio e prestare invece uno sguardo più critico alle grandi infrastrutture che il territorio lo rendono più fragile. Senigallia vuole fare in fretta, anche perché la stagione turistica è alle porte, ma il lavoro da fare è grande. Nell’immediato, si apre anche, insieme al censimento dei danni, la partita dei risarcimenti - se e quanti ce ne saranno - da seguire con molta attenzione; ma oltre a questi, occorrerà chiarire cosa e perché accaduto, come prevenire davvero, quali gli interventi necessari, non solo di emergenza ma che tengano conto di un equilibrio più strutturale.


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Tesseramento Arci 2014: un primo bilancio di Federico Amico responsabile tesseramento e sviluppo associativo Arci

Dobbiamo tutti compiere uno sforzo proprio per rendere riconoscibile il nostro patrimonio e capitale sociale se vogliamo davvero fare in modo che la nostra idea associativa venga valorizzata appieno. Il principio della trasparenza, non solo sulle attività, ma anche sulle modalità di gestione e sulle finalità che ognuno cerca di compiere, servirà sia a renderci maggiormente consapevoli, sia a illustrare compiutamente quelle

regole identitarie. Insomma dobbiamo far emergere con chiarezza il nostro valore associativo, certi che questo ci porterà a una maggiore solidità delle nostre pratiche e servirà mantenere unita l’associazione. Soprattutto se il nostro associazionismo continua ad essere fedele ai propri ideali di emancipazione collettiva, libertà, socialità che lo hanno fatto nascere e lo rafforzano.

Un bando di concorso per la prossima campagna di tesseramento Siamo ormai a metà della campagna tesseramento 2014 e può essere opportuno fare alcune valutazioni. Dal 2009 al 2013 abbiamo assistito a una stabilizzazione dei numeri dei nostri associati (1.120.000 è il dato medio e le linee di tendenza per questo anno confermano questo dato) mentre prosegue l’erosione nel numero di basi associative (ad oggi le affiliazioni ammontano a 4.841 contro le 4.976 dello stesso periodo dello scorso anno). Sempre di più dunque si fa urgente definire azioni e strumenti per contrastare questa condizione e mettere all’ordine del giorno in via definitiva una discussione sul merito della questione e ragionare sulle scelte strategiche da compiere nell’ambito dello sviluppo associativo. La crisi economica che sta mettendo in discussione da diversi anni il sistema del nostro paese inevitabilmente si riverbera anche all’interno del nostro tessuto, in primo luogo nella flessione del numero di basi associative affiliate. Di converso la conferma del numero di soci individuali ci indica come l’offerta della nostra Associazione intercetti sempre più bisogni e desideri dei cittadini e sia in grado di dare una risposta positiva alla voglia di partecipazione di tanti. Sappiamo come il tesseramento, quale pratica di auto finanziamento e condivisione di spazi e attività, non è sempre facile in una società che sembra confondere la libertà con la non appartenenza e la non identità.

Al fine di rilanciare la partecipazione per la definizione della nostra identità abbiamo deciso di lanciare un bando di concorso per la realizzazione della grafica della campagna di tesseramento 2015. Allo scorso congresso di Bologna è stato infatti approvato un ordine del giorno in questo senso e, pur nella provvisoria gestione del Comitato di Reggenza, all’unanimità si è provveduto a indire un concorso rivolto ai comitati, a studi grafici, a studenti per far sì che l’immagine che finirà nelle tasche di oltre un milione di persone nel corso del 2015, sia il frutto di una proposta plurale. Nel caso specifico indichiamo come il progetto di comunicazione dovrà tenere conto degli indirizzi generali dell’associazione nel prossimo futuro. In particolare: • l’Arci promuove la libera auto-organizzanizzazione dei cittadini che si costituiscono in forma associativa. Siamo per tanto impegnati nella diffusione del nostro progetto associativo chiamando all’azione e all’impegno il maggior numero di cittadini;

• l’Arci è fortemente impegnata nella difesa dei diritti civili, sociali, culturali, di cittadinanza attraverso le proprie attività;

• In questa fase di grande crisi economica e sociale, l’Arci è impegnata

in un vasto progetto di educazione popolare che fornisca ai cittadini gli strumenti necessari per interpretare i cambiamenti del nostro tempo e per partecipare attivamente alla vita civile e culturale del nostro Paese.

• l’Arci ha adottato nel corso della campagna tesseramento 2014 il pay off Più cielo per tutti e intende mantenere il succitato pay off anche per l’anno 2015.

• Il tesseramento per l’Associazione è pratica sostanziale che ogni anno garantisce a quel milione di soci partecipazione, democrazia, trasparenza, nonché la possibilità di essere parte di un progetto che agisce localmente per determinare una presenza di carattere nazionale.

Certo data la velocità dei tempi in questa fase sperimentale non siamo stati in grado di cogliere tutti gli aspetti dell’ordine del giorno approvato a congresso, ma si tratta di una specie di numero zero che intende aprire una strada nuova e partecipata. Bando e materiali utili per partecipare concorso possono essere consultati qui http://goo.gl/fGtzAZ e ci sarà tempo fino al prossimo 4 giugno per fare arrivare le proposte.


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diritti

La morte di Riccardo Magherini: un altro caso su cui fare luce di Francesca Chiavacci Arci Firenze

La questione del corto circuito tra libertà personale dei cittadini e l’uso della forza da parte degli organi dello Stato preposti torna a riproporsi. Si era già proposto in questi anni. E non solo per quanto riguarda le piazze, ma proprio nel rapporto tra Stato e singoli cittadini. Nei giorni scorsi siamo rimasti colpiti dalla vicenda del Sap e del nuovo oltraggio a Federico Aldrovandi e alla sua famiglia, a cominciare dalla mamma Patrizia. Ma quello che è accaduto al congresso di quel ‘sindacato di polizia’ è giunto in un momento in cui affiorava agli occhi dell’opinione pubblica un altro caso, quello di Riccardo Magherini: un qua-

rantenne fiorentino, deceduto nel corso di un controllo di polizia nelle strade dell’Oltrarno, in pieno centro storico. Lo schema che si è riprodotto è stato il solito: nelle ore successive alla morte il gran polverone sulle condizioni psichiche dell’uomo («gridava e si dimenava»), confusione nella ricostruzione degli eventi e sulla presenza di testimoni, riflessioni sulla vita dello stesso, rapide considerazioni sull’autopsia tendenti a eliminare qualsiasi responsabilità degli operatori giunti sul posto. Salvo poi, trascorse alcune settimane, scoprire che l’ambulanza intervenuta sul posto non aveva un medico a bordo, fotografie che mostravano ecchimosi e

Vergognosi gli applausi del Sap agli agenti condannati per la morte di Aldrovandi

L’Arci esprime la sua indignazione per l’ovazione che ha accolto, al loro ingresso al congresso del Sap, i tre poliziotti condannati in via definitiva per la morte di Federico Aldrovandi. Episodi simili, oltreché oltraggiosi verso la memoria del giovane ragazzo ucciso, devono indurre ad aprire un’ampia riflessione sul ruolo delle forze dell’ordine, che deve essere, sempre, quello di garanti della sicurezza di tutti. Sono tanti gli episodi che stanno venendo alla luce, grazie alla determinazione e al coraggio dei familiari delle vittime, in cui questo ruolo viene sostituito da comportamenti ingiustificatamente violenti, dall’ accanimento contro persone ormai inermi, fino a provocarne la morte. Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini dei corpi martoriati di Cucchi, Aldovrandi, Uva, solo per citarne alcuni. Ultimo, l’episodio che riguarda la morte di Magherini a Firenze, su cui è stata aperta un’indagine.

Ma non possiamo non ricordare anche i comportamenti tenuti dalle forze dell’ordine in occasione di manifestazioni di piazza. Quanto successo a Genova nel 2001 ha aperto una ferita, che si rinnova ogniqualvolta gli agenti infieriscono contro i manifestanti, come documentato anche in occasione dell’ultimo corteo per la casa che si è tenuto a Roma. L’immagine dello stivale del poliziotto che calpesta il corpo della giovane ragazza stesa a terra suscita indignazione e getta discredito anche su chi, tra le forze dell’ordine, rifiuta simili comportamenti. Anche per questo chiediamo che tutti gli agenti in servizio siano dotati di un codice identificativo, così come è finalmente giunto il tempo che nel nostro codice penale venga inserito il reato di tortura. Ma non basta. Accanto a queste misure urgenti appare sempre più necessaria una vera e propria azione di ‘rieducazione’ delle forze dell’ordine, che ne riporti i comportamenti entro le finalità assegnate loro dalla Costituzione e dalla nostra legislazione. A Patrizia Moretti va la nostra affettuosa solidarietà, e a tutti i familiari delle vittime che si battono per ottenere verità e giustizia vogliamo far sapere che l’Arci sarà al loro fianco.

tumefazioni ‘eccessive’ rispetto ad un cosiddetto intervento di ‘contenimento’ delle escandescenze del giovane, fino ad arrivare ai video e agli audio dei residenti che tolgono certezze alle ricostruzioni ‘ufficiali’. A tutto questo si aggiunge che, ancora una volta, la vicenda rimane aperta grazie alle denunce provenienti dalla famiglia della persona deceduta e dall’isolato supporto di parlamentari (il Sen. Luigi Manconi). E solo dopo questi interventi gli agenti e i sanitari vengono indagati con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Quello che per ora rimane certo è questo corto circuito tra uso della forza e garanzia delle libertà personali costituzionalmente garantite e chiaramente indicate nell’art. 13 della Carta. Sicuramente serve introdurre il reato di tortura, ed è importante, come deterrente, la dotazione sulle tute degli agenti di un codice identificativo. Ma il numero dei casi di decessi in mano alle forze dell’ordine a cui abbiamo assistito negli ultimi dieci anni (Aldro, Cucchi, Uva, Lonzi, Ferrulli.., e senza dimenticare Franceschi, finito nelle mani della polizia penitenziaria francese), il comportamento vergognoso di un sindacato di polizia e le stesse rivendicazioni degli agenti condannati per la morte di Aldro, sembrano riportare alla mente non soltanto l’educazione al rispetto della libertà personale delle forze dell’ordine, ma ripropongono la questione di fondo su come lo Stato si concepisca nei confronti dei cittadini. Ancora tanta parte della pubblica amministrazione ha una visione di questo legata allo schema che, in nome dell’ordine pubblico, genera la convinzione che ci siano casi in cui qualcuno può considerarsi al di sopra della legge, la confusione tra norme e varie ‘morali’ dominanti (era drogato, e quindi passibile di minore tutela). Insomma esiste una questione culturale, che riguarda in generale il modo in cui in Italia viene visto lo Stato e in cui lo Stato vede se stesso. Una questione culturale che pervade anche la politica e che crediamo si leghi anche all’arretratezza che il nostro Paese vive sul fronte del riconoscimento dei diritti civili e sociali. Una questione su cui anche l’Arci dovrà lavorare nei prossimi anni.


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Troppo spesso quel che manca non è la memoria ma la volontà di impegnarsi di Alessandro Cobianchi coordinatore Carovana Inernazionale Antimafie

Il ventennale della carovana quest’anno incrocia un anniversario che ha cambiato, di molto, l’impegno politico di tanti giovani di allora. Nel 1989 non c’è stata solo la caduta del Muro di Berlino, ma anche qualcos’altro. Nelle campagne del casertano veniva assassinato Jerry Esslan Masslo, lavoratore agricolo che sarebbe stato, se avessimo avuto una legge adeguata, un rifugiato politico. L’omicidio di Masslo disvelò ai più distratti i rapporti fra caporalato, criminalità organizzata e razzismo. Nel viaggio di carovana attraverso la Puglia e la Campania, scopriamo che le centinaia di lavoratori africani e non solo, incontrati nelle varie tappe, non conoscono la storia di Jerry Masslo e nemmeno quella di Hiso Telaray, bracciante albanese, anche lui assassinato, in Puglia, dai caporali ai quali si era ribellato. La memoria come si sa, è una materia difficile, la selezione non la fa quasi mai chi ne avrebbe diritto. I braccianti stranieri assassinati e picchiati sono ben presto dimenticati. Le figure simbolo della lotta al caporalato, come lo sono quelle della lotta alle mafie, dovrebbero essere maggiormente impresse nel nostro bagaglio collettivo. C’è un vuoto di memoria che non si riassume nelle tante storie individuali ascoltate: lo sfruttamento del lavoro, in questo nostro Paese, sembra essere meno ‘epico’ di

altre espressioni criminali. Ascoltiamo storie talmente note che ci chiediamo con tutta l’ingenuità possibile, perché non si faccia di più per sconfiggere questa forma di schiavitù. Uomini e donne che lavorano per 8,10 ore a testa china, per pochi euro, costretti a pagare anche i servizi accessori: il trasporto dai ghetti o dalle baracche verso le campagne (5 euro) e persino il panino (3,5 euro) e l’acqua (che ha gli stessi prezzi di un punto ristoro delle Frecce di Trenitalia), devono essere obbligatoriamente acquistati dal caporale. Eppure ci sono pochi controlli statali rispetto alle aziende che sfruttano i lavoratori e che ‘taroccano’ i contratti (quando ci sono). A Brindisi, a Benevento, a San Severo si suona la stessa nota: i datori di lavoro conoscono la capacità degli uomini venuti da tante latitudini a cercare lavoro ma non sono poi disponibili a retribuirli regolarmente e correttamente, negando loro ogni situazione previdenziale. Intanto gli ‘imprenditori mediatici’, quelli che fiancheggiano gli sfruttatori, irretiscono l’opinione pubblica, convincendola che, in fondo, la colpa di tutto è sempre dei migranti e mai di chi li sfrutta. Una situazione d’impunità che abbassa quotidianamente l’asticella dei diritti. A discapito dei migranti ma, come insegna la storia, di tutti. Il singolo lavoratore che protesta viene

immediatamente allontanato (non si può licenziare chi non è stato assunto). Va cambiata la legge Bossi Fini, certo. Ma va spezzato anche il filo d’acciaio che lega gli sfruttatori, i controllori mancati, la criminalità organizzata che vive sulla pelle dei lavoratori schiavi. A San Severo, a casa Sankara, nella tappa di Carovana antimafie dovevano esserci anche due ragazzi africani impegnati nel progetto del villaggio autogestito, un modo concreto per sconfiggere la cultura dei tanti ghetti, in cui vivono i lavoratori agricoli. I due uomini sono stati brutalmente aggrediti con delle spranghe da un gruppo di caporali e sono ricoverati in ospedale. I due accompagnavano il pullman che avrebbe dovuto portare alcuni ospiti del ghetto alla manifestazione. I media non ne hanno parlato più di tanto. Noi di Carovana avevamo appena salutato molti di loro all’angolo di case prefabbricate denominate ‘via Di Vittorio’ e decorate da un meraviglioso murales di Thomas Sankara, icona della speranza africana. Forse non manca del tutto la memoria, manca il presente, il quotidiano impegno di una comunità che, fatte salve minoritarie eccezioni (istituzioni illuminate, qualche associazione o il sindacato), sceglie di convivere con la schiavitù degli altri, preparando la propria. Pregiudicando il futuro, di tutti.

La Carovana Antimafie fa tappa a Brindisi di Michela Almiento Cgil Brindisi

La pioggia battente ha in parte condizionato il programma organizzato per la tappa della carovana antimafie a Brindisi, impedendo lo svolgersi del concerto, ma non ha fermato i tanti che hanno voluto attendere l’arrivo della carovana presso il dormitorio per migranti, testimoniando l’impegno e la lotta contro lo sfruttamento e la resa in schiavitù dei migranti africani nel comparto agricolo del territorio brindisino. Il centro ospita ufficialmente ottanta migranti provvisti di regolare permesso di soggiorno, anche se spesso la necessità di accoglienza fa superare il numero degli ospiti. La struttura, rappresenta certamente una condizione più dignitosa rispetto ai ghetti foggiani o agli alloggi di fortuna sparsi in tutte le campagne pugliesi. All’arrivo

della Carovana il mancato concerto si è trasformato in assemblea plenaria tra migranti, associazioni e sindacati presenti. In diversi interventi i migranti hanno testimoniato e denunciato la loro condizione di sfruttamento e l’impossibilità di rivendicare i loro diritti, pena la loro cacciata dal lavoro. Hanno evidenziato, infatti, che, in Puglia, più che in altre parti d’Italia, i datori di lavoro sanno quanto impegno e disponibilità i migranti siano capaci di dare nel lavoro dei campi per la raccolta di qualsiasi prodotto, ma, nella maggioranza dei casi, non sono poi disposti a retribuirli in modo regolare. Il loro salario non supera i trenta euro a giornata con un orario che varia dalle 7 alle 10 ore in nero (80% dei migranti). Fatta eccezione per pochi casi dove almeno le giornate di

lavoro sono regolarmente accreditate, il resto dei lavoratori in un mese di lavoro è ingaggiato per un solo giorno, perdendo così ogni diritto previdenziale oltre all’impossibilità di vedere rinnovato il proprio permesso di soggiorno. I lavoratori sfruttati e, in alcuni casi, ridotti quasi in schiavitù sono ancora numerosi e le denunce sono quasi impossibili per le condizioni di ricatto in cui si ritrovano a vivere i lavoratori (o vi accontentate del lavoro nero oppure la fame). Una battaglia difficilissima ma non impossibile, quella dell’estensione dei diritti a tutti i lavoratori, in primis l’assunzione di tutti i braccianti agricoli tramite le liste di prenotazione presso gli uffici pubblici all’impiego. Solo così si potrà debellare il rinvigorito fenomeno del caporalato.


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La Carovana arriva in Campania di Elvira Peduto Arci Campania

Il racconto delle tappe della carovana è, come sempre, la storia delle tante persone che nel quotidiano portano avanti la battaglia per i diritti civili. Primo tra tutti il diritto alla cultura come faro da usare per scoprire la propria strada, contro i percorsi obbligati imposti dalle organizzazioni del malaffare e soprattutto dalla mentalità omertosa che gli fa da battistrada. A Salerno l’incontro si è realizzato nell’ambito del festival Resistenze, seguito dallo spettacolo teatrale Paolo Borsellino - l’ultimo istante (Teatrazione). L’iniziativa è stata promossa dal circolo Arci Mumble Rumble in collaborazione con Arci e Libera. Ad Avellino e Benevento gli incontri sono stati più istituzionali, il primo presso la Camera Commercio che sta svolgendo un magnifico lavoro contro l’usura con Libera Avellino, con rappresentanti del Cgil, Cisl, Uil, il Comune di Avellino e il Prefetto. A Benevento presso la Cgil con il coordinamento di Arci Benevento e l’intervento di sindacalisti che operano al fianco degli sfruttati, interrogandosi sui

segnali d’allarme presenti sul territorio. Per quanto riguarda gli studenti si è andati da quelli medi, incontrati al cinema Pierrot con l’Arci Movie di Ponticelli, che con le scuole lavora quotidianamente, passando per il Liceo scientifico Mancini di Avellino, dove con Libera hanno seguito un progetto sulla storia delle stragi di mafia, fino all’Università di Economia della Federico II di Napoli. Iniziativa voluta da Renato Briganti con il monologo Una croce d’olio, scrit-

to e interpretato da Marcello Colopi. Con un’introduzione spettacolare del professore che ha ammaliato noi tutti partendo dagli articoli della Costituzione e dalla libertà di insegnamento, con il toccante monologo di storie di giovani morti ingiustamente che s’intrecciano e che alla fine alimentano il motore che spinge noi tutti: la speranza. E, soprattutto, con una platea attenta e pensante di studenti che hanno dato vita a un dibattito coinvolgente.

22 tappe in 18 città: il lungo viaggio della Carovana in Puglia di Piero Ferrante Arci Puglia

22 tappe in 18 città della Puglia. 9 carovanieri a bordo dei due furgoni che, dal 22 aprile al primo maggio hanno l’hanno percorsa. Un tema unificante, quello della lotta alla tratta degli esseri umani. Unificante, il tema, anche perché, sulle strade di Puglia, pare esserci un lungo, lunghissimo filo conduttore. Statali e provinciali, come le vie che corrono sul lungomare di Bari, sono una costellazione di stelle spente. Donne trattate, chiuse in tuguri che dirle case è un insulto, e che nulla si fa per nascondere, o costrette al sole e alla pioggia d’aprile, o in roulotte asserragliate tra gli alberi. E i braccianti, astri di carne invisibili che ogni attimo subiscono le umiliazioni di un lavoro senza diritti. Oltre alla violenza imposta da chi si nutre del silenzio. La tappa di Brindisi, il 26 aprile, schiude ai nostri occhi una verità che solo chi non

vuole vedere non vede. I lavoratori ci raccontano delle loro retribuzioni da fame, di come siano costretti a pagare trasporti, acqua e cibo. A Rignano, nel foggiano, succede poi che, un attimo prima del nostro arrivo, nel pomeriggio del 30, due braccianti vengano presi a sprangate per aver tentato di organizzare un pullmino di migranti per il passaggio di Carovana a Casa Sankara. Un doppia sconfitta per i caporali: Casa Sankara è per loro un simbolo. Lì, in un piccolo villaggio auto organizzato, un gruppo di migranti hanno scelto di fuoriuscire dalle logiche del ghetto. Per di più, quegli stessi braccianti si uniscono ad una manifestazione che fa della lotta alla tratta la ragione stessa del viaggio, smascherando un sistema che deve restare sommerso. È la stessa logica di sopraffazione dell’uomo sull’uomo che si muoveva a Meridione

prima e dopo la guerra, quando sfruttati e sfruttatori avevano lo stesso colore di pelle. I pugliesi ce l’hanno ancora impresso sulla pelle. Lo capiamo nella tappa di Minervino Murge, dove viene proiettato un documentario sulle lotte bracciantili. Ma la Puglia, da sempre, è anche terra di riscatto e di resistenza. Il 25 aprile, dopo la manifestazione per la liberazione a Santeramo in Colle, a Bari ci uniamo a un dibattito sulle nuove resistenze prima di essere accolti, a Binetto, dalla pioggia e da un cartello giallo con la scritta «Il 25 aprile è ogni giorno». Il 30, ad Altamura, visitiamo il bene confiscato ‘Dimora dei templari’, resort sottratto alla mafia che associazioni e scuole stanno provando a far rivivere e il primo maggio tocchiamo con mano la voglia di riscatto dei cittadini di Molfetta e Trinitapoli durante i cortei della festa del Lavoro.


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Expo Milano 2015: un ruolo da protagonista per il terzo settore di Sergio Silvotti presidente Fondazione Triulza

Prima o poi sarebbe successo. Ma così presto e così bene nessuno se lo aspettava, quando nel 2011 gli organizzatori di Expo Milano 2015 chiesero al terzo settore se se la sentiva di organizzare il padiglione della società civile dell’esposizione universale e il terzo settore, tutto insieme rispose: dipende! Dipende: ha senso impegnarsi in un’operazione così ambiziosa solo se ci dà la possibilità di costruire un patrimonio di relazioni, idee e progetti da lasciare in eredità alle donne, agli uomini, alle comunità e alle terre del pianeta: qualcosa su cui valga la pena di investire, da realizzare nei mesi e negli anni futuri. Dipende: ne vale la pena solo se ci è data la possibilità di organizzare il padiglione da protagonisti, facendo leva sull’autonoma iniziativa di chi si organizza quotidianamente in ogni angolo del pianeta per costruire un mondo migliore. E così abbiamo risposto che ci saremmo impegnati a organizzare il primo padiglione della società civile nella storia delle esposizioni

universali per dare voce a chi ha sempre Nutrito il Pianeta, perché le Energie per la Vita potessero prendere la parola. Da allora ad oggi: il 13 aprile 2013 il Sindaco di Milano ha messo per iscritto il suo intendimento di lasciare Cascina Triulza, sede del padiglione, al terzo settore come luogo di promozione dei progetti con cui svilupperemo il tema dell’esposizione Nutrire il Pianeta Energie per la Vita; il 23 luglio dello stesso anno un network di 40 organizzazioni di terzo settore oggi sono 60 - danno vita a Fondazione Triulza, lo strumento a disposizione delle organizzazioni della società civile per partecipare all’Expo; il 18 febbraio del 2014 Fondazione Triulza sottoscrive il contratto di partecipazione: le organizzazioni della società civile parteciperanno a Expo a pieno titolo come tutti gli altri partecipanti, dagli Stati alle agenzie internazionali; il 29 aprile il Presidente Pietro Grasso invita Fondazione Triulza a presentare al Senato il progetto Exploding Energies to change the world, il theme statement del

padiglione della Società Civile; il 30 aprile sono centotrentadue le risposte alla prima call internazionale lanciata alle organizzazioni sociali per raccogliere proposte di attività ed eventi con le quali far vivere il padiglione. Per chi come noi è stato per anni in panchina, se non in tribuna, trovarsi a giocare da titolare può dare alla testa: è tanto quello che abbiamo da dire, almeno altrettanto possiamo dimostrarlo e ancora di più abbiamo da proporre. Noi teniamo il punto: vogliamo giocare questa partita per costruire davvero un mondo migliore. Sappiamo che possiamo farlo solo trovando una nuova e più efficace collaborazione con le Pubbliche Istituzioni e le realtà del mercato. Per noi Expo Milano 2015 deve essere l’occasione per costruire un nuovo sistema di relazioni: una rete di rapporti che non costringa nessuno a rinunciare alla propria natura, alle proprie finalità e che metta ciascuno nelle condizioni di fare la propria parte per Nutrire il Pianeta dimostrando il proprio modo di essere Energie per la Vita.

Fermiamo il TTIP! di Monica Di Sisto vicepresicente Fairwatch

Dal 19 maggio, in Virginia, al riparo dalle resistenze del suo Congresso, il presidente Obama ospiterà una nuova settimana di trattative con la Commissione europea per il Trattato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP): la più grande campagna di liberalizzazioni e privatizzazioni mai tentata tra le due sponde dell’Atlantico. Un mercato comune, quello che verrebbe a crearsi tra Stati Uniti e Ue, che desta sempre più preoccupazioni. Il più grande sindacato europeo, l’IG Metal, con i suoi 2 milioni e mezzo di iscritti, ha chiesto al Governo tedesco di fermare il negoziato che rischia di colpire duramente l’occupazione senza vantaggio alcuno per i cittadini. In Inghilterra i laburisti e in Francia i Verdi e le parti più a sinistra dei socialisti protestano per l’esclusione dei Governi nazionali, legata all’assoluta segretezza del negoziato, da decisioni che potrebbero portare, tra l’altro, all’azzeramento graduale degli standard di sicurezza e di qualità di beni comuni e diritti come l’acqua, il cibo e i contratti di lavoro, di servizi pubblici come sanità e istruzione e al loro completo affidamento alla competizione di mercato. Mentre la

Campagna italiana Stop TTIP, cui l’Arci aderisce insieme ad altre 60 organizzazioni nazionali, lancerà il prossimo 15 maggio un appello ai Candidati al Parlamento Europeo per chiedere il loro impegno per fermare il negoziato prima che sia troppo tardi, per niente preoccupata è sembrata invece la ministra Guidi che il 30 aprile ha risposto a un question time sollevato dal Movimento 5S che le chiedeva «quando i dettagli dell’accordo TTIP saranno resi pubblici». Quesito diretto, risposta creativa perché la ministra ha descritto all’aula un accordo che non c’è. «Il negoziato viene anche fortemente sostenuto da tutti gli Stati membri dell’Unione», ha detto la ministra. E questo non è vero. Il bello arriva quando parliamo dell’Italia. «Circa l’opportunità di tale accordo – ha assicurato – risulta che saremo tra i Paesi con i maggiori effetti positivi dal buon esito del negoziato». Però di che parli è ignoto ai più. Il suo ministero, infatti, ha commissionato a Prometeia una valutazione d’impatto che ha detto cose ben diverse. I primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di 3 anni dall’entrata in vigore dell’accordo nella

misura di un modesto 0,5% di Pil in uno scenario ottimistico entro 10 anni. L’accordo rischia di favorire solo le imprese italiane che esportano. L’Organizzazione mondiale del Commercio ci dice che sono oltre 210mila, ma che è la top ten a portarsi a casa il 72% del valore dell’export. Secondo l’Istituto per il Commercio Estero, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell’Italia sono cresciute in volume del 2,3 al di sotto della media mondiale. L’Italia - spiega sempre l’ICE - è riuscita a rosicchiare spazi di mercato internazionale contenendo i prezzi, senza generare domanda interna né nuova occupazione. Anzi: lo ha fatto spostando all’estero processi o attività dove costavano meno il lavoro o le tecnologie. Sempre Prometeia ci dice che, nel caso più ottimistico, soccomberebbero comunque il settore italiano del legname, la carta, poi la chimica farmaceutica e di consumo, la più penalizzata con 30 milioni di euro di perdite previste. Altri 10 milioni si perderebbero tra prodotti intermedi chimici, altri intermedi e agricoltura, e molte piccole e medie aziende potrebbero non sopravvivere allo choc.


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economia

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Disoccupazione record: colpa anche dei salari bassi di Carlo Buttaroni presidente Istituto Tecné

Negli ultimi anni i rapporti di lavoro hanno subito profonde trasformazioni: innanzitutto meno subordinati e più autonomi, perfino nel lavoro dipendente; meno durevoli, data la crescita dei contratti a tempo determinato; meno uniformi, giacché l’ambito dei contratti di lavoro è diventato, allo stesso tempo, più circoscritto e più articolato, essendo disposto su orari più corti, durate d’impiego più brevi, o entrambe le cose. Basti citare il lavoro autonomo di seconda e terza generazione, che genera gruppi di lavoratori eterogenei per le forti differenze retributive a parità di mansioni. Questo nuovo modo di produrre e lavorare ha indebolito le tutele dei lavoratori, e in tutte le economie occidentali (compresa l’Italia) la quota di lavoro flessibile è cresciuta, mentre quella di lavoro stabile è diminuita e i salari reali sono cresciuti assai meno della produttività. Secondo il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, la crisi attuale trova origine anche nei salari troppo bassi che non hanno potuto far crescere, insieme alla produttività, la domanda aggregata nella sua componente principale che sono i consumi. I lavoratori hanno cioè avuto

progressivamente meno reddito per acquistare ciò che, invece, erano in grado di produrre in quantità sempre maggiore. Un processo ben noto agli economisti. Se i salari reali diminuiscono e i prezzi rimangono stabili (o addirittura crescono) si verifica una caduta del potere d’acquisto dei lavoratori che genera, a sua volta, una contrazione dei consumi. E se si riduce la domanda, le imprese sono costrette a ridurre la produzione e, quindi, a utilizzare meno lavoratori nei cicli produttivi. Col risultato che l’occupazione cala. Dagli anni 70, la leva per rispondere allo squilibrio determinato dal fatto che le famiglie non hanno redditi sufficienti per acquistare ciò che viene prodotto, è stato il crescente ricorso al credito che ha fatto crescere però il debito privato. A un certo punto, la massa di debiti è stata tale che una parte di essi non potevano essere più ripagati e nel tentativo di rientrare dell’indebitamento le famiglie hanno ridotto i consumi e svenduto gli asset acquisiti (ad esempio le abitazioni) che così si sono svalutati. Nel frattempo, le sofferenze bancarie sono aumentate e ciò ha causato la crisi di molte banche. È questo avvitamento

che ha dato avvio alla crisi finanziaria, la cui causa scatenante non è nell’indebitamento pubblico, bensì in quello privato. La diminuzione di salari e prezzi rappresenta il nuovo spettro di questa difficile fase di uscita dal tunnel della crisi. Infatti, se da un lato i costi possono rimanere fermi tagliando sulla produzione o sul lavoro, dall’altro, le imprese, prevedendo prezzi futuri troppo bassi, non hanno alcun interesse a investire e assumere. In sintesi, poiché la produzione è tirata dal lato della domanda, i salari dovrebbero crescere insieme alla produttività, perché solo questo assicura la capacità di acquisto da parte delle famiglie dei lavoratori di ciò che viene prodotto e immesso sul mercato. La crescita dei salari evita, inoltre, l’eccessivo indebitamento, mantiene la distribuzione del reddito e i prezzi costanti, proteggendo il sistema da crisi debitorie da deflazione. Oggi, se anche il costo di un lavoratore fosse pari a zero, le imprese non avrebbero comunque alcun interesse ad assumerlo, perché le merci che quel lavoratore produrrebbe non sarebbero comunque acquistate. Non ci sarebbe quindi alcun vantaggio in termini di occupazione, cioè nel principale strumento per una reale ripresa.

Censis: i 10 italiani più ricchi guadagnano come 500 mila famiglie di operai Le disuguaglianze tra i redditi sono diventate così ampie da aver raggiunto, all’inizio del XXI secolo, il livello record dei primi due decenni del secolo scorso. Secondo l’ultimo rapporto del Censis, le dieci persone più ricche d’Italia dispongono di un patrimonio di 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie. Poco meno di 2mila italiani ricchissimi dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi di euro (senza contare il valore degli immobili): cioè lo 0,003% della popolazione italiana possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% della popolazione totale. Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo. Oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente è pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent’anni fa. Chi più aveva, più ha avuto. I redditi familiari hanno avuto negli ultimi anni una dinamica molto differenziata tra le diverse

categorie sociali. Rispetto a dodici anni fa, i redditi familiari annui degli operai sono diminuiti, in termini reali, del 17,9%, quelli degli impiegati del 12%, quelli degli imprenditori del 3,7%, mentre i redditi dei dirigenti sono aumentati dell’1,5%. Negli anni della crisi (tra il 2006 e il 2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti, in termini reali, del 10,5%, ben al di sopra di altre categorie sociali. Distanze già ampie che si allargano, dunque, compattezza sociale che si sfarina, e alla corsa verso il ceto medio tipica degli anni ‘80 e ‘90 si è sostituita oggi una fuga in direzioni opposte, con tanti che vanno giù e solo pochi che riescono a salire. Per il Censis, il dilagare dell’impoverimento coincide con l’adozione delle politiche di austerità, in particolare con i tagli alla spesa pubblica e agli investimenti. Le iniquità sociali non riguardano solo il rapporto tra patrimonio e reddito. Colpiscono anche la libertà individuale, come

per esempio quella di decidere di avere dei figli. Chi decide di averne uno deve confrontarsi con il rischio di diventare povero, se decide di averne due per il Censis si raddoppia il rischio di finire in povertà. Quello di un terzo figlio lo triplica. Al sud questo rischio è poi molto più alto che al nord. Sono queste le premesse che, secondo alcuni studiosi, hanno creato il nuovo soggetto della crisi, ‘la persona indebitata’, che al sud raggiunge una percentuale di quasi il 20% dei residenti. Per il Censis il ceto medio è ormai ‘sfarinato’, privo di prospettive e sfiduciato sulla possibilità di un benessere futuro. Per questo ceto medio il bonus di 80 euro promesso dal Governo sarà solo un lenitivo. Se sarà permanente, secondo il Censis la spesa per consumi avrà un piccolo incremento, mentre se sarà un’una tantum la maggior parte dei beneficiari lo userà per pagare i debiti e lo terrà da parte per far fronte a congiunture future.


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migranti

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La frontiera adriatica: violenze e riammissioni sommarie di Sara Prestianni Ufficio immigrazione Arci

Se le cifre degli arrivi sulle coste siciliane sono riprodotte incessantemente dai media italiani, quelle dei migranti respinti ad altre frontiere passano troppo spesso inosservate. Una delle frontiere coperte da maggiore silenzio è sicuramente quella adriatica. Da qui transitano principalmente richiedenti asilo che fuggono da una Grecia inospitale in cerca di un paese che accordi loro la protezione internazionale a cui hanno diritto. Quella adriatica, pur essendo una frontiera interna allo spazio Schengen risulta essere una delle più difficile da valicare e si caratterizza per una quasi totalità di riammissioni: il 90% di coloro che é intercettato, è poi rinviato in Grecia con la stessa barca con cui é arrivato, secondo i dati emersi dal rapporto pubblicato da MEDU Porti Insicuri. Siriani, Sudanesi, Afgani, Iracheni e sempre più Magrebini arrivano in Turchia e da lì tentano il passaggio verso la Grecia. Da quando il governo greco ha finanziato, nel 2012, la costruzione di un muro nell’unico punto della frontiera in cui il passaggio era meno rischioso poiché non si doveva guadare il fiume, gli arrivi sono incrementati alla frontiera marittima. Il recentissimo rapporto di Amnesty International Grecia, la frontiera della speranza e della paura riporta pratiche quotidiane di respingimenti illegali alle frontiere marittime e terrestri, detenzione all’arrivo anche dei richiedenti asilo, violenze. Ed è proprio nel Mare Egeo che si è consumata l’ennesima tragedia della migrazione: il 4 maggio 2014 due i migranti naufragati e 30 i dispersi. Una volta in Grecia, paese che accorda a meno dell’1% dei richiedenti asilo lo status di protezione internazionale e che si caratterizza per una mancanza totale di accoglienza e pratiche quotidiane di violenza, l’unico obbiettivo é fuggire. La via storica di fuga è sempre stata quella dei porti adriatici. Da Atene i migranti si recano ad Igoumenitsa

e Patrasso. Da là, attendono la notte per infilarsi tra le ruote o dentro un camion che si imbarca in un ferry per i porti italiani. I controlli carichi di violenza dal lato greco e la pratica sistematica delle riammissioni dal lato italiano hanno trasformato questa frontiera in uno dei principali ostacoli delle rotte migratorie. Le riammissioni tra i due paesi europei si basano su un accordo vetusto del 1999 e numerose sono le problematicità che si evidenziano, prima tra tutte il loro carattere sommario. Secondo quanto riferito dai migranti stessi intervistati da MEDU, tali rinvii avverrebbero con modalità del tutto sommarie, in tempi estremamente rapidi, senza la possibilità di conoscere i propri diritti né di usufruire dell’orientamento legale delle organizzazioni di tutela e nella quasi totalità dei casi senza neanche poter comunicare attraverso un interprete. Le numerose testimonianze indicano chiaramente che le autorità di frontiera italiane continuano ad effettuare riammissioni di migranti senza che essi abbiano la possibilità di accedere alle procedure per la richiesta di protezione internazionale, seppur proveniente da paesi in conflitto o, nel caso dei minori non accompagnati, ai corretti procedimenti per la determinazione della minore età. L’Italia sembra dimenticarsi della condanna inflittale dalla CEDH con il caso Hirsi in cui denunciava la pratica di rinvii in paesi in cui i migranti rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, violando sistematicamente

l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. In un caso su cinque i migranti riammessi in Grecia denunciano di aver subito violenze. Nel 60% dei casi le violenze sarebbero state messe in atto dalla polizia italiana per mezzo di percosse, abusi e trattamenti degradanti. Nel 40% restante dei casi le violenze sarebbero state compiute dal personale di sicurezza delle navi oppure dalla polizia greca al momento del ritorno nel paese ellenico. Oltre alle violenze questa frontiera é tristemente conosciuta anche per i morti che ha prodotto, da casi di asfissia durante il viaggio a schiacciamento sotto le ruote di camion ignari di trasportare migranti in fuga. Se fino al 2009 la rotta adriatica è stata il principale punto di fuga dei migranti che arrivavano in Grecia, i dati del Ministero dell’Interno indicano, negli ultimi anni, un decremento significativo del numero di migranti irregolari rintracciati dalle autorità italiane nei quattro porti adriatici di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi. Una diminuzione dei passaggi dovuta sicuramente alla sistematicità della riammissione anche di chi dovrebbe essere tutelato, come nel caso di richiedenti asilo e minori, a cui si aggiunge il livello di violenza che caratterizza l’attesa nei porti greci, sopratutto in seguito alla distruzione dell’accampamento di Patrasso nel 2009. Una nuova rotta si è aperta, ed in parte sostituisce quella adriatica, la cosiddetta ‘rotta balcanica’ che dalla Macedonia, attraversando i Balcani, porta in Ungheria. È sicuramente più lunga e pericolosa di quella adriatica. I migranti rischiano in modo esponenziale di essere arrestati, detenuti e respinti. Monitorare le coste adriatiche e denunciare le violazione dei diritti fondamentali che vi si praticano diventa quindi fondamentale affinché le riammissioni non siano sistematiche e per evitare che altre rotte, ancora più pericolose, si aprano.


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daiterritori

Il 22 maggio va in scena ‘In>Out’

Presso il teatro del penitenziario fiorentino anche quest’anno lo spettacolo dell’Orkestra Ristretta di Sollicciano Puntuale come ogni anno a maggio, soprattutto per il decimo anno, arriva il nuovo spettacolo dell’Orkestra Ristretta di Sollicciano, la band di detenute e detenuti diretta da Massimo Altomare nata nell’ambito delle attività socioculturali realizzate nell’NCP fiorentina da Arci Firenze in convenzione con il Comune di Firenze e con il sostegno della Regione Toscana. Il debutto è in programma per le sezioni del carcere il 21 maggio. Giovedì 22 maggio invece i due spettacoli saranno rivolti al pubblico ‘esterno’: alle ore 10 (riservato alle scuole) e alle ore 19. Tutti gli spettacoli si svolgeranno all’interno del Teatro della NCP Sollicciano (via Minervini, Firenze). Formata nel 2004 all’interno del carcere di Sollicciano, l’Orkestra Ristretta è composta da un gruppo di una dozzina di detenuti, provenienti da varie parti del mondo, che hanno mostrato un particolare talento o propensione per la musica o il canto. Esperienza originale nel panorama delle attività socio-culturali all’interno dei penitenziari italiani, l’Orkestra mette insieme un gruppo di uomini e donne: lavorano su un progetto musicale, che ogni anno produce nuovo materiale e che si propone, come obiettivo finale, la realizzazione di un’esperienza di meticciato musicale, attraverso il dialogo tra culture musicali diverse. Il lavoro del 2014 è In>Out: le sono-

rità italiane, mixate con quelle arabe, sudamericane ed esteuropee, offrono al pubblico un esempio di intercultura partecipata e di globalizzazione virtuosa. Quest’anno si esibiranno anche alcune detenute, con testi elaborati durante il laboratorio realizzato nella sezione femminile. In scaletta anche un brano degli Skiantos, per ricordare Roberto Freak Antoni, recentemente scomparso. Chi è interessato a partecipare allo spettacolo in programma giovedì 22 maggio alle ore 19 può inviare una mail all’indirizzo sociale@arcifirenze.it e una copia del documento di identità al numero fax 055 26297266 entro venerdì 9 maggio. www.arcifirenze.it

Proiettarci con arci volla VOLLA (NA) Sono in totale undici

le proiezioni che saranno realizzate nelle domeniche di maggio, giugno e luglio presso l’auditorium della scuola media ‘Matilde Serao’ in via Dante Alighieri. La programmazione si divide in tre filoni tematici: giovani tra baratro e speranza; l’eterna lotta tra la realtà e l’apparenza; società e sviluppo: i poteri della globalizzazione. Il cineforum Proiettarci è organizzato dall’Arci Volla in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Volla. L’ingresso è gratuito. fb Arci Volla

INCONTRO SUL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE PISTOIA Venerdì 9 maggio, a par-

tire dalle 19,30 presso il circolo Arci di Porta al Borgo, l’associazione L’acqua cheta – Bottega del Mondo di Pistoia, in collaborazione con il circolo Arci Ho Chi Minh, promuove un incontro sui progetti del commercio equo e solidale nello Sri Lanka. A parlarne saranno Luca Borsarini e Davide Bertelli della cooperativa Vagamondi, uno dei maggiori importatori del commercio equo in Italia. Saranno presentati, in particolare, i progetti Aralya, società cofondata da Vagamondi e portata avanti da un gruppo di donne di Negombo, e Maximus che ha realizzato una carta originale attraverso la lavorazione degli escrementi di elefante. www.hochiminh.it

PEPPINO FESTIVAL BOLOGNA A trentasei anni di

Don Pasta presidente onorario Arci Zero Artusi Remix è il nuovo progetto di Don Pasta, il gastrofilosofo musicale, autore di Food Sound System, Wine Sound System e La Parmigiana e la rivoluzione. Il progetto parte dall’ipotesi che la cucina familiare sia un elemento identitario collettivo e individuale, così come il sistema delle ricette è un sistema di trasmissione dei saperi e che il sapere ereditato dalla cucina familiare resti la struttura portante della cucina domestica e strumento di autenticità della cucina stessa. Il quaderno Verso la guida gastronomica

in più

dell’Arci parla del circolo Zero di Brindisi, ed è per questo che sabato 10 maggio Don Pasta sarà incoronato Presidente onorario dell’Arci Zero di Brindisi... con una corona di carciofi in onore al prodotto principe del territorio che lo accoglie. Ma non è tutto: anche Sonia Gioia, giornalista di Repubblica e Nuovo Quotidiano di Puglia e appassionata foodblogger sarà nominata segretaria onoraria del circolo. L’evento è promosso dal comitato territoriale Arci Brindisi. fb Arci Brindisi

distanza dall’assassinio di Peppino Impastato ci sono ancora, in giro per l’Italia, persone che il 9 maggio si ricordano di lui. Tra coloro che non lo dimenticano ci sono i soci del circolo Arci Akkatà, del Presidio di Libera Terre d’Acqua e dei Giovani democratici che, per il quarto anno di fila, organizzano il Peppino Festival, un weekend di musica, buon cibo, impegno e tanta gente. Il Festival, che si terrà dal 9 all’11 maggio al circolo Arci Akkatà di San Giovanni in Persiceto (via Cento, 59) vedrà alternarsi sul palco band emergenti della zona, ospiti, testimoni nonché le band finaliste del concorso musicale Cindierella 3.14, promosso dal Circolo durante la stagione invernale. www.arcibologna.it


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‘Scrivere la Via Francigena’ Il 10 e 11 maggio il laboratorio di scrittura creativa itinerante nei luoghi del centro storico di Viterbo Dopo il workshop Storie, attraversamenti, paesaggi, diretto da Wu Ming 2 sui luoghi della Francigena tra San Martino al Cimino, Ronciglione e Caprarola, il 10 e 11 maggio il progetto Reimmaginare la Via Francigena torna con un laboratorio di scrittura creativa itinerante nei luoghi del centro storico di Viterbo. Reimmaginare la Via Francigena è un progetto promosso da Arci Viterbo in collaborazione con Aucs Viterbo, Parole a km0, Legambiente Lago di Vico, Ammappalitalia, Comune di Caprarola e Disucom, Università degli Studi della Tuscia. Accompagnati da Vera Anelli, i partecipanti al workshop Scrivere la Via Francigena attraverseranno i luoghi simbolo della Via Francigena nel cuore di Viterbo. Nel secondo giorno le storie ascoltate saranno al centro del laboratorio di scrittura. Si ragionerà insieme di che cos’era il viaggio per i pellegrini, di cosa fosse attraversare il mondo seguendo una pista di fede che permetteva incontri, scoperte. Come si spiega del comunicato di presentazione, «rifletteremo su come ci riguarda la loro esperienza, su come ci trasferiamo in pellegrini noi, con poco, uno spostamento dalla strada abituale, un inciampo e tutt’a un tratto viene messa in discussione la prospettiva, l’ovvietà. Ci si rivela un mondo. E per ciascuno è diverso, ma camminando e scrivendo accanto, possiamo mettere in comune l’esperienza. Come il pellegrinaggio è un’esperienza solitaria e comunitaria insieme, così lo è per noi la scrittura». La domenica si scriverà sulla base dell’esperienza dei luoghi e delle regole. Il progetto Reimmaginare la Via Francigena ha in programma una giornata di presentazione degli esiti del progetto a Caprarola il 31 maggio. La partecipazione al laboratorio è ancora aperta. scriverekm0@yahoo.it - 3932411017

Compie dieci anni ‘Liberarci dalle spine’ Nasceva dieci anni fa il progetto di antimafia sociale promosso dall’Arci, Liberarci dalle Spine. Dal 2004 ad oggi sono state migliaia i ragazzi e ragazze che dalla Toscana sono partiti alla volta di Corleone, in Sicilia, per sostenere l’esperienza della cooperativa Lavoro e Non Solo nelle terre confiscate a Cosa Nostra. Mentre è in fase di avvio la nuova stagione dei campi in numerose regioni italiane e continuano ad arrivare le domande di adesione, a Pisa il comitato locale dell’Arci ha organizzato assieme a Cgil, Spi-Cgil e Libera (con il patrocinio della Regione Toscana), tre giorni di iniziative per salutare il decennale del progetto, che coinciderà con l’arrivo della Carovana antimafie nella regione. Ci sarà spazio per la socialità e il divertimento con cene, concerti, un triangolare di calcio per la legalità, e sarà l’occasione per avviare la formazione dei ragazzi che partiranno per i campi antimafia di quest’anno. Carovana inizierà le sue tappe toscane proprio da Pisa, con incontri in diverse scuole medie della città; mentre la cooperativa Lavoro e Non Solo animerà un incontro che si terrà nel pomeriggio del 10. www.arcitoscana.it

daiterritori

Aspettando Metarock, concerti a Pisa Ultimi preprativi per l’edizione 2014 di Aspettando Metarock, in programma il 10 e 11 maggio presso il Parco della Cittadella a Pisa. Anteprima il 9 maggio al circolo Arci Pisanova in via Frascani con la band The Brother in Law.

Incontri con Arci e Acli Arezzo Ha inizio l’8 maggio il ciclo di iniziative promosso da Arci e Acli Arezzo sul tema delle ‘buone pratiche di socializzazione’. Sedi degli incontri saranno i circoli delle due associazioni, con l’obiettivo di valorizzare l’aggregazione sociale come elemento costruttivo per la collettività. Il primo appuntamento è l’ 8 maggio alle 21 presso il circolo Arci di Alberoro. In collaborazione col Comune di Monte San Savino, il tema dell’iniziativa sarà la lotta alla ludopatia e il titolo dell’evento Serata No slot. Seguiranno altri quatto incontri che affronteranno il tema dell’aggregazione sociale da molteplici punti di vista. Il 23 maggio alle 21 presso il circolo Acli di San Leo si parlerà del tema Dai bambini al territorio: percorsi di integrazione, mentre il 1 giugno alle 18 presso il circolo Arci L’incontro di Tregozzano, si tratterà il tema delle modalità di utilizzo di un centro di aggregazione sociale. Il ciclo di incontri si concluderà il 12 giugno alle 20 presso il circolo Acli di Ponticino e si parlerà di Festival della solidarietà. www.arciarezzo.it


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culturascontata i tanti vantaggi della tessera Arci

w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo

Luoghi comuni. Vedutisti tedeschi a Roma (XVIII/XIX secolo) Roma - Museo di Roma, fino al

28 settembre. La mostra presenta una selezione di ottanta esemplari realizzati, tra la metà del Settecento e la metà dell’Ottocento, da artisti tedeschi che hanno soggiornato e operato nel nostro paese. Una collezione molto ampia che viene esposta a rotazione per tutelarne la delicata conservazione. Si alternano vedute del Foro Romano e del Colosseo, di Villa Borghese, di Castel Sant’Angelo e di Ponte Milvio ma non mancano le mitizzate visioni della campagna fuori città, tra Nemi, Tivoli e il lago di Albano. www.museodiroma.it

Foro di Augusto 2000 anni dopo Roma - Fori imperiali - Foro di

Augusto, fino al 20 settembre. Utilizzando le tecnologie più all’avanguardia, il progetto illustrerà in modo puntuale il sito archeologico situato lungo Via dei Fori Imperiali e adiacente a via Alessandrina partendo da pietre, frammenti e colonne presenti. Gli spettatori saranno accompagnati dalla voce di Piero Angela e da magnifici filmati e ricostruzioni che mostreranno i luoghi così come si presentavano all’epoca di Augusto: una rappresentazione emozionante e allo stesso tempo ricca di informazioni dal grande rigore storico e scientifico. www.museiincomuneroma.it

Paola Binante Roma - Museo di Roma in Tra-

stevere, fino al 1 giugno. Mostra della fotografa Paola Binante. La mostra propone una lettura retroattiva di un nucleo familiare, d’impronta matriarcale, con l’obiettivo di svelare le pieghe più intime della complessa metamorfosi del femminile attraverso le generazioni. www.museodiromaintrastevere.it

L’eredità di Augusto Roma - Museo dell’Ara Pacis,

fino al 7 settembre. Le 12 sezioni della mostra, articolate per temi ed epoche storiche differenti, illustrano in che modo imperatori come Carlo Magno, o Napoleone, per citarne solo alcuni, nel corso della storia abbiano reinterpretato ‘l’arte del comando’ di Augusto a volte con formule molto vicine o identiche. www.arapacis.it

società

Perché sabato 10 maggio parteciperò alla manifestazione ‘Contro la vendetta di Stato, per la giustizia’ di Alfredo Simone Arci Liguria

«Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò. È importante ripetere i nomi, è importante scandirli perché stiamo parlando di quattro vite, quattro esseri umani, quattro attivisti No Tav che dal 9 dicembre 2013 sono imprigionati, sparpagliati tra le carceri di Alessandria, Ferrara e Roma, sottoposti a un regime di alta sicurezza (AS2)». Così inizia l’appello Contro la vendetta di Stato, per la giustizia. Con Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, per tutte e tutti noi lanciato alcune settimane fa da alcuni esponenti del mondo della cultura e prontamente seguito da centinaia di adesioni di ‘personalità’ e ‘semplici’ cittadini. Anche al congresso di Bologna si è parlato della Val Susa e dell’assurda accusa di terrorismo contro i quattro No Tav: «Molte le prese di posizione contro le grandi opere inutili come la Tav, di cui si chiede la sospensione dei lavori, con la smilitarizzazione dell’area e l’avvio di un confronto pubblico» riportava Arcireport. «L’Arci esprime anche la propria vicinanza agli attivisti, colpiti da provvedimenti giudiziari, che si battono per la difesa dei beni comuni...». Alle parole, però, non sono seguiti i fatti. I ‘reggenti’ hanno trovato, giustamente, il tempo per un comunicato di condanna per gli applausi agli assassini di Aldro ma non per invitare la base a partecipare alla manifestazione di sabato 10 maggio. Evidentemente sulla Val Susa nell’associazione non c’è ‘sintonia’ tra base e vertici. Alle voci dei promotori dell’appello se ne é aggiunta però un’altra estremamente significativa, quella di Pietro Passarino, della Cgil Piemonte. Senza tanti giri di parole, Passarino afferma tra l’altro che «Le strumentalizzazioni secondo cui chi si oppone al TAV non difende il lavoro, non hanno nessun fondamento. Al contrario la realizzazione di questa grande opera inutile penalizzerebbe pesantemente le economie locali in cambio di pochi posti di lavoro precario e privo di tutele e di diritti, mentre un diverso utilizzo delle risorse pubbliche creerebbe numerose opportunità di nuova occupazione. Non ci si può rassegnare all’idea che il nostro futuro possa essere deciso, come emerge anche attorno alla vicenda del Tav, da quell’intreccio perverso tra politica, affari e criminalità organizzata che governa ampie aree del nostro paese e inquina

la nostra società...». C’é solo un punto non condivisibile nella dichiarazione di Passarino, quando afferma che «non sono in discussione né l’attività della magistratura nell’indagare né gli eventuali provvedimenti...». Se avesse letto il dossier Le strane amicizie del PM Rinaudo (http://www.notav.info/senza-categoria/ strane-amicizie-del-pm-rinaudo/) probabilmente sarebbe stato più cauto. Il dossier inizia così: «Nell’ottobre 2003 un pubblico ministero della procura di Torino, Antonio Malagnino, ricevette un rapporto dei carabinieri in cui comparivano telefonate ‘amichevoli’ tra un suo collega in procura, Antonio Rinaudo, e un uomo, tale Antonio Esposito detto Tonino, soprannominato negli ambienti malavitosi ‘O’ Americano’, già accusato di aver pianificato un omicidio negli anni Ottanta, emissario a Torino del più potente e famoso boss della ‘Ndrangheta in Val Susa: Rocco Lo Presti, le cui attività criminali avevano condotto nel 1995 allo scioglimento per mafia del comune di Bardonecchia (primo caso nel nord Italia). ...».

arcireport n. 16 | 8 maggio 2014 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Paolo Beni Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 16.30 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

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