Arcireport n 1 2014

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arcireport La manifestazione del 12 ottobre a Piazza del Popolo

settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 1 | 9 gennaio 2014 | www.arci.it | report @arci.it

L’ultimo treno per il cambiamento di Paolo Beni

Un’analisi della nostra società che ci carica di responsabilità di Andreina Albano

Si sa, promesse e buoni propositi si sprecano ad ogni inizio d’anno, e questo vale anche per la politica italiana di fronte a un 2014 zeppo di incognite come non mai. D’altra parte, che la crisi della politica e delle istituzioni sia giunta al punto limite era apparso evidente nelle ultime settimane del 2013, dalle tensioni che hanno accompagnato la legge di stabilità fino alla grottesca vicenda del decreto ‘salva Roma’ trasformato in una legge mancia sotto mentite spoglie, con conseguente retromarcia della maggioranza e figuraccia collettiva di Governo e Parlamento. Una situazione allarmante che ha indotto il Capo dello Stato a sottolineare con forza, nel suo messaggio di fine anno, la necessità di ricostruire il rapporto ormai seriamente compromesso fra le dinamiche sociali e l’agire politico. È significativo il cambio di stile che Napolitano ha impresso a quel discorso, rinunciando ai consunti rituali del linguaggio politichese continua a pagina 2

L’indagine di Demos sul rapporto fra gli italiani e lo Stato, commentata da Ilvo Diamanti qualche giorno fa su Repubblica, specialmente se correlata con altre, ci offre uno spaccato sociale e politico del nostro paese su cui meditare e che riguarda direttamente il ruolo dell’associazionismo. In sintesi, dall’indagine emerge un quadro di una società esposta, addirittura con consenso, ad avventure di tipo autoritario. Cosa peraltro non nuova nel nostro paese. Ce lo dice la crescita importante di consensi verso le forze dell’ordine, che balzano con il 70,1% dei gradimenti di gran lunga in testa alla classifica delle istituzioni che godono di maggior fiducia. Un dato da leggere assieme al fatto che poco meno della metà degli intervistati ritiene che ci possa essere democrazia senza partiti e che tre intervistati su quattro si pronunciano per l’elezione diretta del capo dello Stato. Effetto collaterale dell’interventismo di Napolitano? Forse. Intanto è evidente il bisogno di sicurezza che emerge tra cittadini sempre più

incerti sul proprio futuro, unito alla sfiducia nella democrazia rappresentativa. Se però analizziamo più a fondo i risultati dell’indagine, si evidenzia un quadro meno pessimistico. La fiducia nella Chiesa cresce di dieci punti in un anno, mentre cala quella nello Stato. Questo risultato è dovuto a due fatti straordinari: le dimissioni di Benedetto XVI, con la conseguente umanizzazione della figura papale, e la popolarità della figura di papa Francesco, confermata per ora dai suoi primi significativi atti. Ne emerge un’immagine innovativa della Chiesa, basata sulla sua capacità e rapidità di cambiamento, contrapposta, a torto o a ragione, alla paralisi della politica e delle istituzioni laiche statuali e una sua nuova vicinanza con i problemi sociali e umani che la politica pare avere abbandonato. E ancora. Secondo Demos l’alternativa fra migliorare i servizi per i cittadini e ridurre le tasse ha completamente cambiato di segno. continua a pagina 2


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segue dalla prima pagina

segue dalla prima pagina

per dare voce ai cittadini di un’Italia stanca e impoverita, rappresentare il malessere di una società orfana della politica e distante dalle istituzioni, denunciare il disagio di un paese alla deriva, senza quel vincolo di valori e principi comuni che è indispensabile per cementare una comunità civile capace di darsi orizzonti condivisi. Sull’Italia incombe una pericolosa miscela esplosiva di sofferenza sociale e delegittimazione della democrazia. Dalla profondità di questa crisi che ha ormai toccato i fondamenti del vivere civile si può uscire con la ricostruzione ma anche con la rottura definitiva del tessuto connettivo del paese, con l’imbarbarimento delle relazioni sociali. Rischio che si potrà scongiurare solo se governo e parlamento saranno capaci di adottare rapidamente le riforme necessarie ad evitare il collasso della società e della democrazia italiana. Il 2014 sarà decisivo da questo punto di vista. Certo, non aiutano gli attuali equilibri politici precari e contraddittori, né le spinte dell’opposizione antisistema costruitasi sull’asse Berlusconi - Grillo che mira deliberatamente allo sfascio, nè le tentazioni di affidarsi all’illusorio potere risolutivo di un immediato ritorno alle urne. Perchè tornare al voto senza una seria legge elettorale scelta dal Parlamento e senza aver fatto le riforme necessarie a superare il bicameralismo sarebbe il più clamoroso fallimento della politica; perché non ha proprio senso rimandare a dopo provvedimenti che si possono fare oggi e che sarebbero decisivi per alleviare le condizioni di vita delle persone, per il contrasto alla povertà, il lavoro, la redistribuzione delle risorse, l’equità sociale. Il 2014 ha in agenda anche altri passaggi su cui la politica italiana farebbe bene a concentrare la sua attenzione. Il semestre di presidenza di turno dell’UE è una straordinaria occasione per tentare di correggere la direzione delle strategie economiche europee. Ormai è chiaro a tutti che da questa crisi non si esce se non si capisce che le ricette nazionali da sole non bastano e che l’epicentro del conflitto sta proprio a Bruxelles. È lì che deve avvenire l’inversione di rotta rispetto alle politiche iperliberiste che hanno prodotto l’attuale drammatica emergenza economica e sociale. Infine, c’è l’urgenza di adeguare l’Italia al livello degli altri paesi europei in materia di diritti. Non c’è

Nel 2005 il 54% degli intervistati sosteneva che era meglio potenziare i servizi, mentre il 46% puntava sulla riduzione delle tasse. Nel 2013, invece, il 70% vuole ridurre le tasse lasciando solo al 30% la preoccupazione di migliorare i servizi. Dunque i cittadini sono diventati più individualisti ed egoisti? Sarebbe una lettura parziale. Tra il 2005 ed oggi si è inserita la più grande crisi economica che il capitalismo europeo abbia conosciuto. Da allora, a causa anche delle scelte sbagliate di politica economica attuate nella Ue e nel nostro paese, da un lato si è ridotta quantità e qualità dei servizi pubblici offerti e dall’altra è precipitato il reddito della stragrande maggioranza degli italiani. Avendo meno o affatto liquidità in tasca è del tutto comprensibile che gli intervistati si preoccupino in primo luogo di ridurre la pressione fiscale, più che migliorare la qualità dello stato sociale. Non si può pretendere dai comuni cittadini quella lungimiranza che è del tutto assente nelle classi dirigenti economiche e politiche. Le ultime rilevazioni Istat ci parlano di una povertà in continuo aumento e di un crollo dello status sociale dei ceti medi, sulla parte onesta dei quali insiste una pressione fiscale ingigantita dalla contemporanea evasione dei meno onesti. L’inflazione è indubbiamente molto bassa, tanto è vero che il rischio è la deflazione, eppure il nostro paese è quello che sta peggio nel rapporto fra costo della vita e reddito, a causa del

livello molto basso delle retribuzioni e dell’alta quota di lavoro precario e sottopagato. Un’indagine dell’Adoc relativa al 2012 ci dice che il rapporto fra l’impatto del costo della vita e il reddito è in Italia pari al’83,8%, molto superiore non solo a quello della Germania, della Gran Bretagna e della Francia, ma anche della Spagna, mentre la media europea è del 68%, ben quindici punti in meno dell’Italia. Insomma da noi si vive peggio. Ma veniamo al punto più interessante: Diamanti ci ricorda che 6 italiani su 10 dichiarano di aver partecipato almeno una volta nel 2013 ad attività in associazioni o nel volontariato, poco più del 50% a manifestazioni o iniziative politiche e il 49% di essere stato coinvolto in nuove forme di partecipazione (dal boicottaggio di prodotti a gruppi di discussione sul web). Insomma emerge un quadro di un’Italia tutt’altro che rassegnata o cinicamente ripiegata su se stessa. Al contempo precipita la fiducia nei partiti e nel Parlamento, rispettivamente al 5,1% e al 7,1%. Si conferma quindi ciò che in fondo avevamo già visto o almeno intuito. Il successo senza precedenti dei referendum sull’acqua e sul nucleare contrapposto all’astensionismo crescente nelle elezioni di ogni ordine e grado dimostrava già un conflitto ormai radicato tra le forme della democrazia diretta, partecipativa e deliberante e quelle della democrazia rappresentativa. L’associazionismo può fare molto per risolvere positivamente questo conflitto.

ragione alcuna, se non gli eterni veti di un conservatorismo ormai sconfessato anche dalla Chiesa di Papa Francesco, per rimandare scelte oggi possibili, da una buona legge sulle unioni civili allo ius soli, a una soluzione decente al problema delle condizioni incivili delle nostre carceri, al rafforzamento delle norme contro la corruzione. Il cambiamento è necessario, perché il paese non reggerebbe un altro anno senza le necessarie riforme sociali e istituzionali. Se la sinistra avrà il coraggio di affrontare questi nodi potrà contribuire a ricostruire il rapporto fra cittadini e istituzioni; se invece resterà ostaggio di interessi particolari e di ambizioni personali, avrà perso anche l’ultimo treno per ricostruire

la necessaria connessione fra soggetti sociali, diritti e rappresentanza. La prima cosa da fare è prendere atto che siamo un paese malato, che la degenerazione della classe dirigente, lo scadere sul piano dell’insulto del lessico e della dialettica politica a tutti i livelli sono sintomi di una malattia che può diventare mortale se non entrano in azione gli anticorpi di quei valori etici che costituiscono la religione civile di una comunità sociale. Quelli che ispirarono i padri costituenti e che ancora oggi dovrebbero essere alla base del nostro vivere comune. Quelli che si coltivano e rafforzano nella pratica della mobilitazione sociale e dell’attivismo civico. Quelli che sono a fondamento anche della nostra idea associativa.


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ricordoarrigodiodati

Ciao Arrigo. Grazie per tutto quello che ci hai dato e insegnato Il ricordo di Paol0 Beni Si è spento il 23 dicembre, all’età di 87 anni, Arrigo Diodati, tra i fondatori e presidente onorario dell’Arci. Figlio di antifascisti, con i genitori riparò in Francia nel 1937. Rientrato in Italia nel 1943, iniziò giovanissimo la lotta partigiana a La Spezia, dove era nato, e in seguito a Genova, diventando vice commissario politico delle SAP. Arrestato negli ultimi mesi del ‘44, il 23 marzo del 1945 fu prelevato dal carcere di Marassi per essere fucilato con altri compagni antifascisti, ma sopravvisse fortunosamente all’eccidio di Cravasco. Si ricongiunse con le Brigate Partigiane e fu uno dei protagonisti della Liberazione di Genova. Nel 1957 contribuì alla fondazione dell’Arci, a cui ha dedicato tutta la vita. Alla camera ardente, allestita presso la sala Alpi dell’Arci nazionale, sono venuti in tanti per tributargli l’ultimo saluto, rappresentanti dell’Anpi, della Uisp, di Arciragazzi, di Arcicaccia e tante compagne e compagni dell’Arci, arrivati da tutta Italia. Per ricordarlo, a nome di tutta l’associazione, è intervenuto il presidente nazionale Paolo Beni. Di seguito il testo del suo discorso. «Ho pensato che per Arrigo avrei dovuto scrivere un discorso impegnativo, una vera orazione. Di quelle che si fanno quando se ne vanno le persone importanti. Quelle destinate a lasciare un grande vuoto in chi le ha conosciute e amate. Ma anche a lasciare il segno e il frutto del loro lavoro. Arrigo avrebbe meritato un’orazione all’altezza della sua storia straordinaria di giovane partigiano e di militante politico, un discorso adeguato al suo ruolo di padre fondatore dell’Arci e di presidente onorario dell’associazione, ruolo che ancora oggi ricopriva. Perché la sua è una storia personale e politica di quelle che per raccontarle ci sembra che non bastino le parole normali e si pensa di doverne cercare di speciali, di più pesanti. Ma non ci sono riuscito. Forse perché i discorsi solenni e le parole pesanti non sono il nostro forte, per noi dell’Arci. Siamo un’associazione leggera. Leggera nelle parole, nei comportamenti. Ma molto solida nei valori, nei sentimenti, nelle passioni. Siamo fatti così: abituati più a fare le cose e ad agire che a parlare. E secondo me proprio in questo c’è una straordinaria somiglianza con Arrigo.

Arrigo somigliava all’Arci o forse è l’Arci che somiglia a lui, solido e determinato nelle sue convinzioni per tutta una vita, ma sempre modesto e discreto, quasi in punta di piedi. E allora mi piace ricordarlo così. Antifascista convinto, con la spavalderia di un ragazzo coraggioso, che non può stare a guadare, non ci pensa due volte e rientra in Italia per arruolarsi nelle brigate partigiane. E poi la storia straordinaria del partigiano Franco, protagonista della resistenza in Liguria e della liberazione di Genova: l’arresto, le sevizie subite in carcere, e poi la rappresaglia, e la fucilazione. Veder morire i propri compagni ad uno ad uno, aspettare la propria morte senza un’esitazione, senza una debolezza. E poi lo stupore di essere ancora vivo, miracolosamente sopravvissuto. Tante volte gli ho sentito raccontare quella storia incredibile, ed era sempre un’emozione intensa vedere – mentre la raccontava - il suo sguardo perdersi in lontananza, probabilmente per rivivere quelle scene, e gli occhi rigarsi di lacrime. Se hai visto la morte in faccia, poi devi spendere bene la vita che ti è stata regalata una seconda volta. Io penso che sia per questo che quella generazione ha avuto il coraggio, l’energia, la saggezza di fare quello che ha fatto. Arrigo era uno di quei compagni visionari che - usciti dal tunnel della guerra e della dittatura fascista - furono gli ispiratori e gli animatori della rinascita del paese e della sua ricostruzione civile e morale. Erano i militanti di un associazionismo popolare profondamente radicato nel paese, che il fascismo aveva piegato ma non era riuscito a sconfiggere. Le case del popolo, che subito dopo la guerra diventarono lo spazio in cui condividere la rinnovata voglia di libertà e di protagonismo civico, cercare risposte a nuovi bisogni, affermare nuovi diritti.

Bisognava costruire ripartendo dalle persone, offrendo nuove speranze ai giovani. E la scelta di dar vita alla Uisp prima, e poi all’Arci, fu la vostra grande idea, caro Arrigo, un’idea rivoluzionaria. Una scommessa coraggiosa, quasi un’eresia per la sinistra dell’epoca: perché sceglieste di andare oltre l’appartenenza ideologica a partiti e sindacati e di praticare un nuovo spazio di autonomia. Di esplorare una dimensione sociale più ampia, che guardava agli uomini e alle donne di una società che stava cambiando, col loro bisogno di socialità, conoscenza, libertà, emancipazione. Dovremmo ricordacelo più spesso che l’Arci, la grande realtà dell’associazionismo italiano che per sessant’anni è stata protagonista di grandi battaglie sociali e culturali e di grandi conquiste civili, non esisterebbe neppure se quei compagni visionari non avessero deciso di inseguire tenacemente il loro sogno. Parliamo di grandi persone, di quelle che riescono a cambiare la storia senza essere né re nè imperatori, ma semplicemente perché sanno ispirare e guidare un movimento di popolo. Capaci di vedere lontano, di tenere insieme la lucidità politica con la passione umana, di conciliare la fedeltà ai propri ideali col coraggio dell’eresia. Della storia di Arrigo mi ha sempre colpito come in lui la determinazione e la coerenza di una vita intera dedicata agli ideali di libertà e di giustizia si accompagnassero con una discrezione e una riservatezza quasi eccessive, direi con una sua certa timidezza che non l’ha mai abbandonato. Arrigo era un compagno vero, uno che non ha mai voluto fare l’eroe anche se avrebbe potuto farlo; che non ha mai anteposto se stesso alla causa per cui si batteva: un esempio prezioso e raro di questi tempi. Grazie Arrigo, per la tua bella vita. Grazie per tutto quello che ci hai dato, che ci ha insegnato, per il patrimonio che ci lasci in eredità: la nostra casa comune dell’Arci. Ciò che posso prometterti è che continueremo ad averne cura di questo patrimonio. Perché oggi più che mai - per non perderci nella tempesta di questi tempi difficili - abbiamo bisogno del calore di una casa accogliente e sicura. Per fortuna tu e i tuoi compagni ce l’avete costruita, e ve ne saremo sempre grati. Ciao Arrigo!»


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migranti

arcireport n. 1 | 9 gennaio 2014

Si ripristini la verità al CARA di Mineo di Giuseppe Belluardo Arci Catania

Si fa fatica a distinguere e soprattutto a spiegare cosa sia reale da cosa non lo sia in terra di Sicilia. Quanto accade intorno al CARA di Mineo è teatro dell’assurdo, teatrino della politica. Protagonisti la Pubblica Amministrazione, rappresentata dal consorzio dei comuni chiamato Calatino Terra D’Accoglienza e dalla Prefettura di Catania in vece del Ministero dell’Interno; le cooperative aggiudicatarie dei servizi di gestione - tra cui la Sol.Calatino che gode di influenti appoggi politici e la SiSiFo che è la stessa a cui è stata cancellata la convenzione per il CPSA di Lampedusa; la società civile, spaccata tra chi legittima il modello del mega CARA - vedi Comunità di Sant’Egidio di Catania - e chi come noi ed altre realtà antirazziste contesta radicalmente questo modello segregazionista di accoglienza. Sullo sfondo, quasi come comparse, stanno i migranti ‘collocati’ (non ‘accolti’) in questo non-luogo e la popolazione locale che, vista l’assenza di istituzioni degne di questo nome, si trova a ‘subire’ la presenza di migliaia di stranieri. Come del resto accade in tutta la gestione delle politiche migratorie europee, l’assenza di democraticità e la discrezionalità di funzionari di prefetture e questure sono

un tratto peculiare. I principi giuridici cui si ispirano certe prassi non rappresentano l’interesse pubblico né rispettano i diritti umani. A questo strano gioco di ruoli si aggiunge il costante travisamento delle parole ‘accoglienza’, ‘integrazione’, ‘emergenza’ e ‘sicurezza’. Secondo i fautori di questo modello tenere 4000 persone distanti fisicamente da tutto ciò che è la civiltà attorno a loro è accoglienza e integrazione, avere più polizia ed esercito per le strade è sicurezza - di chi sarebbe bene chiarirlo. Secondo il Ministero dell’Interno - che dispone di milioni di euro al giorno con scarsissimo controllo su efficienza ed efficacia della spesa pubblica - siamo sempre in emergenza. E, un po’ come avviene sempre in Italia quando si parla di emergenza, è possibile di tutto, anche che un sottosegretario alle politiche agricole e forestali venga a parlare del CARA di Mineo, senza che da Prefettura o Ministero dell’Interno sia uscito un solo comunicato ufficiale sulle recenti proteste seguite al suicidio di un giovane eritreo. Tutto quanto finora addebitato al Ministero dell’Interno o alla Prefettura di Catania è stato riportato a mezzo stampa dal Sindaco di Mineo o dal sottosegretario Castiglione. Perché?

Sarebbe ora di ripristinare il diritto e la legalità. Molte cose puzzano di corruzione e clientelismo. Tanto è dovuto anche a decenni di politiche neo-liberiste che hanno permesso che l’affidamento a privati di importanti servizi pubblici rappresentasse per certi politicanti un comodo mezzo per spartire posti di lavoro in cambio di voti, anzichè assumere personale sulla base di competenze e per mezzo di pubblici concorsi. È bene che la magistratura ordinaria e contabile indaghino su questo losco sistema. Bene anche l’idea di una commissione parlamentare d’inchiesta sui diversi centri d’accoglienza o trattenimento forzato dei migranti, sempre che non vengano fatti prevalere interessi estranei alla cosa pubblica. Qualunque sforzo politico e istituzionale è utile per ristabilire la verità. Il rischio di inquinamento politico e sociale è attualissimo, basti un esempio: in primavera si voterà per le europee, indovinate chi prenderà più voti da queste parti? Lo scorso 5 gennaio si è commemorato uno che di teatrini siciliani se ne intendeva, il giornalista Pippo Fava, ucciso dalla mafia trent’anni fa. Il principio umano e professionale più alto era per lui la verità perchè rivoluzionaria: aveva ragione!

Minori stranieri: 246 comuni hanno già assegnato la cittadinanza onoraria

Strage Lampedusa, lettera al governo: ‘Restituire le salme alle famiglie’

In attesa di una riforma della legge sulla cittadinanza, aumentano i comuni italiani che decidono di conferire ai figli di immigrati, nati e cresciuti in Italia, la cittadinanza onoraria. Solo un anno fa erano 106, oggi secondo i dati dell’Unicef sono già 246. L’ultima grande amministrazione a compiere questo gesto simbolico è stata L’Aquila, che nel giorno dell’Epifania ha consegnato a cento bambini e ragazzi di origine straniera l’attestato di cittadinanza, insieme a una copia della nostra Costituzione. Solo nel 2012, secondo l’Istat, sono stati 80mila i nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (il 15% sul totale dei nati) che tuttavia, in base alla normativa vigente, non possono acquisire la cittadinanza dalla nascita. Tra i 246 comuni accomunati da questa scelta sono entrati nel solo 2013 Milano,Torino, Bologna, Napoli, Pordenone, Perugia, Pesaro Urbino, Crotone, Catanzaro, Savona, Arezzo, Cremona, Ferrara, Salerno, La Spezia. Molti poi i piccoli comuni, da nord a sud della penisola.

«Restituire alle famiglie le salme degli eritrei vittime dei naufragi di Lampedusa del 3 e 11 ottobre». È quanto chiede una lettera inviata dalla comunità delle Piagge ai ministri Bonino (Esteri), Alfano (Interno) e Kyenge (Integrazione). Molti eritrei, spiega la comunità fiorentina delle Piagge, «sono increduli rispetto al fatto che, dopo più di due mesi dall’evento, niente sia stato fatto per rimpatriare i corpi dei loro connazionali in patria». Eppure sappiamo «non solo che vi è stato l’interessamento diretto del Governo eritreo presso il Governo italiano, ma lo stesso Governo eritreo ha stanziato delle somme per facilitare il rimpatrio e rispondere così alle richieste dei familiari che desiderano dare ai propri cari una degna sepoltura, secondo riti ed usanze del loro Paese». «Siamo convinti - conclude la lettera - che la restituzione dei corpi sia un preciso dovere del nostro Stato nonché, ormai, unico possibile atto di rispetto e di conforto verso quelle famiglie che hanno perso così tragicamente i propri cari».


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migranti

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Un esposto alle istituzioni europee della Campagna LasciateCIEntrare Diverse associazioni e componenti della campagna LasciateCIEntrare hanno presentato un esposto- denuncia lo scorso 27 dicembre in sede europea per chiedere che venga fatta luce sulla paradossale situazione di detenzione illegittima in cui si trovano sedici cittadini eritrei e siriani, trattenuti da oltre due mesi presso il Centro di soccorso e prima accoglienza (CSPA) di Contrada Imbriacola a Lampedusa, dopo essere sopravvissuti ai tragici naufragi avvenuti al largo dell’isola nell’ottobre scorso. «La loro situazione, sia per le condizioni materiali di accoglienza, che per la mancanza di provvedimenti formali che ne definiscano lo status giuridico, appare qualificabile come un ‘trattamento inumano e degradante’, vietato dall’art. 3 della CEDU, oltre a costituire una situazione di tensione esasperata che potrebbe produrre gesti di autolesionismo», si legge nel documento indirizzato al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, al Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, all’UNHCR, alla Commissione dell’Unione Europea e al Comitato Europeo per i Diritti Sociali. «I migranti si trovano trattenuti in condizioni oggettivamente inumane e

degradanti senza alcun provvedimento né norma di legge a giustificazione della loro detenzione da oltre 70 giorni (…) : non hanno alcuna possibilità di adire la magistratura italiana perché nessun provvedimento di trattenimento è stato mai loro notificato». Il termine di trattenimento in centri quali quello di Lampedusa è, lo ricordiamo, di 96 ore. Proprio la mancanza di un atto giudiziario che imponga la detenzione dei migranti impedisce loro di difendersi, così come invece prevedono gli articoli 5 e 13 della CEDU e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (diritto ad un rimedio efficace e ad un giusto processo). Queste e altre violazioni denunciate nell’esposto sono ampiamente documentate attraverso i comunicati di associazioni di tutela dei diritti dei migranti, ampi stralci di inchieste giornalistiche apparse sui media nei mesi scorsi e una video-testimonianza, realizzata degli stessi migranti sui trattamenti sanitari a cui venivano sottoposti, che ha avuto una diffusione a livello internazionale, permettendo di alzare il velo sulle condizioni di vita drammatiche e sconcertanti a cui sono stati sottoposti dopo essere

scampati ai naufragi e alle guerre nei loro Paesi di origine. L’esposto - denuncia è stato presentato dalla campagna LasciateCIEntrare, impegnata da anni per il libero accesso della stampa nei centri di reclusione destinati ai migranti e la chiusura dei Centri di identificazione e espulsione (CIE) e di tutti i luoghi di trattenimento informale, ma può essere inviato anche da associazioni e individui. È stato inoltre lanciato un Appello che può essere controfirmato e fatto girare in rete per mantenere alta l’attenzione sui migranti ancora presenti nel centro e che sono da considerare ‘ostaggi’ delle istituzioni italiane. La campagna LasciateCIEntrare accoglie inoltre con estrema soddisfazione la notizia di questi giorni della chiusura ufficiale del CIE di Modena e chiede al Governo e al Ministro dell’Interno di procedere alla chiusura urgente di tutti gli altri centri di detenzione amministrativa ancora operativi. L’esposto e l’appello sono scaricabili al seguente link: http://lasciatecientrare.it/index.php/ appello-contro-lillegittima-limitazionedella-liberta-di-17-migranti-vittime-delnaufragio-a-lampedusa/

Aumentano le migrazioni forzate Un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) mostra come il 2013 sia uno degli anni con i più alti livelli di migrazioni forzate, in virtù del numero eccezionale di nuovi rifugiati e sfollati. Il rapporto parla di 5,9 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case nei primi sei mesi dell’anno, rispetto ai 7,6 milioni in tutto il 2012. Il paese che contribuisce maggiormente a questi nuovi esodi è la Siria. Il rapporto Mid-Year Trends 2013 dell’UNHCR si basa principalmente sui dati forniti dai più di 120 uffici nazionali e mostra un netto incremento di diversi indicatori importanti. Tra questi il numero di nuovi rifugiati: 1,5 milioni di persone nei primi sei mesi del 2013, rispetto agli 1,1 milioni di persone registrate nell’intero 2012. Un altro indicatore è quello del numero di nuove persone sfollate all’interno dei propri paesi - 4milioni rispetto ai 6.5 del 2012. Sono state anche presentate circa 450mila domande d’asilo, ma si

tratta di un dato in linea con i numeri registrati nello stesso periodo dell’anno precedente. Il rapporto descrive la prima metà del 2013 come «uno dei periodi peggiori da decenni per quanto riguarda le migrazioni forzate». «È difficile vedere numeri simili e non chiedersi come mai oggi così tante persone diventano rifugiati o sfollati», ha affermato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. «L’assistenza delle organizzazioni umanitarie contribuisce a salvare vite umane, ma non siamo in grado di impedire le guerre o di fermarle». Complessivamente, le migrazioni forzate 45,2 milioni alla fine del 2012, poco meno dell’intera popolazione spagnola - hanno già toccato i livelli più alti dai primi anni ‘90, soprattutto a causa della proliferazione di nuovi conflitti. Il rapporto Mid-Year Trends 2013 non aggiorna questa statistica (i dati definitivi saranno disponibili verso la metà del 2014) ma avverte che il numero totale di migranti forzati a livello globale nel 2013 potrebbe raggiungere livelli anche

più alti di quelli del 2012, principalmente a causa dei continui flussi di persone in uscita dalla Siria e del numero di sfollati al suo interno. L’UNHCR è presente in tutte le maggiori crisi di rifugiati del mondo, con l’eccezione dei rifugiati palestinesi, in carico all’agenzia gemella dell’UNHCR, l’UNRWA, e delle migrazioni interne, gestite direttamente dai governi nazionali. Il rapporto evidenzia un aumento, in varie aree, di quella che si può chiamare la «popolazione di competenza» dell’UNHCR. Infine, il rapporto indica in 189.300 i rifugiati rientrati nei loro paesi di origine durante i primi sei mesi del 2013, mentre 33.700 sono stati reinsediati in paesi terzi. Circa 688.000 sfollati sono ritornati a casa in paesi caratterizzati dalla presenza di persone costrette a fuggire dalle loro case. A livello mondiale l’Afghanistan continua a essere il paese da cui provengono più rifugiati (2,6 milioni) e il Pakistan il paese che ne ospita il maggior numero (1,6 milioni).


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europa

arcireport n. 1 | 9 gennaio 2014

Europa, invertire la rotta Il 2014 è l’anno del semestre italiano della Presidenza Ue, ma è soprattutto l’anno delle elezioni europee, un appuntamento decisivo per tentare, attraverso il voto, di modificare le attuali politiche europee che hanno impoverito popoli e democrazia. Da questo numero, Arcireport ospiterà contributi al dibattito sull’altra Europa possibile. Cominciamo col pubblicare l’appello promosso da Étienne Balibar, Alberto Burgio, Luciano Canfora, Enzo Collotti, Marcello De Cecco, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Adriano Prosperi, Stefano Rodotà, Guido Rossi, Salvatore Settis, Giacomo Todeschini, Edoardo Vesentini. Appello al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Presidente della Commissione Europea, al Governatore della Banca Centrale Europea «La crisi dura ormai da sei anni. Innescata dalla povertà di massa figlia di trent’anni di neoliberismo, esaspera a sua volta povertà e disuguaglianza. Moltiplica l’esercito dei senza lavoro. Distrugge lo Stato sociale e smantella i diritti dei lavoratori. Compro-

mette il futuro delle giovani generazioni. Produce una generale regressione intellettuale e morale. Mina alle fondamenta le Costituzioni democratiche nate nel dopoguerra. Alimenta rigurgiti nazionalistici e neofascisti. Concepita nel segno della speranza, l’Europa unita arbitra della scena politica continentale rappresenta oggi, agli occhi dei più, un potere ostile e minaccioso. E la stessa democrazia rischia di apparire un mero simulacro o, peggio, un pericoloso inganno. Perché? È la crisi come si suole ripetere la causa immediata di tale stato di cose? O a determinarlo sono le politiche di bilancio che, su indicazione delle istituzioni europee, i paesi dell’eurozona applicano per affrontarla, in osservanza ai principi neoliberisti? Noi crediamo che quest’ultima sia la verità. Siamo convinti che le ricette di politica economica adottate dai governi europei, lungi dal contrastare la crisi e favorire la ripresa, rafforzino le cause della prima e impediscano la seconda. I Trattati europei prescrivono un rigore finanziario incom-

patibile con lo sviluppo economico, oltre che con qualsiasi politica redistributiva, di equità e di progresso civile. I sacrifici imposti a milioni di cittadini non soltanto si traducono in indigenza e disagio, ma, deprimendo la domanda, fanno anche venir meno un fattore essenziale alla crescita economica. Di questo passo l’Europa, la regione potenzialmente più avanzata e fiorente del mondo, rischia di avvitarsi in una tragica spirale distruttiva. Tutto ciò non può continuare. È urgente un’inversione di tendenza, che affidi alle istituzioni politiche, nazionali e comunitarie il compito di realizzare politiche espansive e alla Banca centrale europea una funzione prioritaria di stimolo alla crescita. Ammesso che considerare il pareggio di bilancio un vincolo indiscutibile sia potuto apparire sin qui una scelta obbligata, mantenere tale atteggiamento costituirebbe d’ora in avanti un errore imperdonabile e la responsabilità più grave che una classe dirigente possa assumersi al cospetto della società che ha il dovere di tutelare».

Le alternative per un’altra Europa Sintesi del Rapporto 2014 di Euromemorandum a cura di Sbilanciamoci! L’Unione Europea è in condizioni di uscire dalla recessione, ma alcune parti d’Europa sono ancora in depressione; la disoccupazione è particolarmente elevata nei paesi periferici e non si ridurrà sensibilmente nel prossimo futuro. Le politiche di austerità hanno generato una polarizzazione sociale e hanno indotto un processo di ristrutturazione industriale in cui si è rafforzata la posizione della Germania e degli altri paesi del Nord, mentre si è indebolita la posizione produttiva dell’Europa meridionale. La crisi ha determinato anche una significativa trasformazione della distribuzione del reddito. Nella maggior parte dei paesi esterna al “core” dell’area dell’euro i salari reali sono diminuiti, in maniera più intensa nella periferia dell’area dell’euro e in gran parte dell’Europa orientale. Le attività della Commissione europea sono sempre caratterizzate da un grave deficit democratico e da una mancanza di trasparenza. Decisioni chiave sono prese in riunioni a porte chiuse senza dover rispondere ai parlamenti nazionali o al Parlamento europeo. Con l’entrata in vigore del Trattato di stabilizzazione,

coordinamento e governance e la direttiva ‘Two Pack’ la politica economica nei paesi della zona euro è ora assoggettata al pieno controllo centrale. Anche se i poteri dei parlamenti degli stati membri sulla politica economica sono stati radicalmente ridotti, non sono aumentati i poteri del Parlamento europeo. La moltiplicazione dei rozzi vincoli aritmetici sulla spesa pubblica e sull’indebitamento non solo sono controproducenti ma esprimono una sfiducia per le democrazia e una sovrastima della capacità dei processi di mercato di stabilizzare la vita economica. La retorica della competitività utilizzata dai leader europei ha anche la funzione di limitare il controllo democratico sull’economia. Le restrizioni legali in materia di politica economica sono ormai così pesanti che efficaci politiche alternative impongono l’abrogazione delle nuove misure di governance e il loro esplicito assoggettamento ad altre priorità: l’occupazione, la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale. La crisi finanziaria ed economica ha avuto un impatto sociale profondamente regres-

sivo per l’alto tasso di disoccupazione, la povertà e per molti giovani la perdita di un futuro. Un quarto della popolazione europea è infatti in condizioni di povertà e un ottavo della sua forza lavoro è disoccupata. I livelli di disoccupazione giovanile sono, per l’intera UE, di uno su quattro, mentre nei paesi del sud come Grecia, Spagna e Italia si sale a uno su due o uno su tre. Il lavoro è sempre più precario: uno su cinque contratti nell’Unione europea è a tempo determinato e i lavori a part-time involontario sono aumentati. La risposta UE non è riuscita a fornire le risorse per attenuare l’impatto della povertà e della disoccupazione giovanile. Le sue istituzioni dovrebbero valutare l’impatto sociale causato dai tagli alla spesa che essa ha imposto agli Stati membri. Dovrebbe quindi fornire un sostegno nei settori chiave e assicurare il necessario supporto per bambini e giovani che stanno subendo il peso della disoccupazione e della povertà, oltre a introdurre tutele sociali ed economiche per ridurre gli effetti negativi della precarietà. Tutto il rapporto su sbilanciamoci.info


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esteri

arcireport n. 1 | 9 gennaio 2014

Tunisia: parità tra donne e uomini in Costituzione. Per ora una vittoria a metà di Giuliana Sgrena giornalista

«Tutti i cittadini e le cittadine hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri davanti alla legge senza nessuna discriminazione», afferma l’articolo 20 della nuova Costituzione tunisina. Per ora si tratta di un’affermazione generica di parità, nel paese musulmano che già era il più avanzato nel riconoscimento dei diritti delle donne. Tuttavia, dopo la vittoria degli islamisti nelle elezioni della costituente del 2011, nulla era scontato. Lo scorso anno infatti il partito religioso Ennahdha aveva cercato di fare passare il concetto di «complementarietà», cioè le donne avrebbero goduto di diritti in quanto complementari dell’uomo. C’erano state però grandi manifestazioni di protesta che avevano indotto il partito a ritirare la proposta. L’approvazione dell’articolo 20 è stata giudicata «una vittoria» da Ahlen Belhadj, ex presidente dell’Associazione delle donne democratiche. Si tratta però di una vittoria per ora incompleta. Molte ong hanno criticato l’assenza nella Costituzione di un articolo che vieti

l’approvazione di leggi discriminatorie in base al sesso, all’etnia o alla religione. E poi manca ancora il via libera all’articolo 45 che riguarda i diritti delle donne e le pari opportunità tra uomo e donna. Nel nuovo testo la Tunisia viene definita una Repubblica e «uno stato civile governato dalla supremazia della legge»; l’islam è la religione di stato, ma lo era anche nella vecchia costituzione. È stata invece respinta la proposta islamista di fare del Corano e della Sunna (insegnamenti del profeta) la fonte principale della legislazione. Il Blocco democratico è riuscito a far votare un emendamento che proibisce «le accuse di apostasia e l’incitamento alla violenza». Nello stesso articolo viene garan-tita anche la «libertà di coscienza». Mancano ancora diversi articoli che saranno esaminati nei prossimi giorni perché la Costituzione deve essere varata entro il 14 gennaio, terzo anniversario della caduta di Ben Ali. Con grande ritardo rispetto alla scadenza inizialmente prevista, ma per molti mesi nessun accordo è stato

possibile. Poi la paralisi dell’Assemblea nazionale costituente, provocata dalle dimissioni di molti deputati in seguito agli assassinii politici di due esponenti dell’opposizione di sinistra, finché lo stallo non è stato interrotto dal dialogo nazionale. La nuova road map è stata imposta dal Quartetto (il principale sindacato Ugtt, il padronato, l’Ordine degli avvocati e la Lega per i diritti dell’uomo) che ha guidato il dialogo nazionale al quale hanno partecipato tutte le forze politiche tunisine. Questa road map, oltre alle dimissioni del governo guidato da Ennahdha, la nomina di un nuovo premier che dovrà formare un governo ‘tecnico’ per arrivare a nuove elezioni, prevedeva per l’appunto l’approvazione della Costituzione in tempi stretti. Anche perché se la Costituzione non sarà approvata dai due terzi dei costituenti dovrà essere sottoposta a referendum. E questo ritarderebbe le nuove elezioni, che dovranno essere fissate dalla costituente che ha anche il compito di varare la nuova legge elettorale.

Giustizia e riconciliazione, il futuro visto dagli afgani 120 interviste sul campo a cura di Giuliano Battiston, per un progetto promosso dalla rete Afgana e gestito da Arcs Sono oltre centoventi le testimonianze raccolte, in un anno di viaggi in Afghanistan, dal ricercatore e giornalista Giuliano Battiston per capire come gli afgani vedano il prossimo futuro. I risultati sono raccolti in Aspettando il 2014. La società civile afgana su pace, giustizia e riconciliazione, ricerca condotta in sette province, parte di un più ampio progetto di cooperazione internazionale, promosso dalla rete Afgana e gestito da Arcs, con fondi della Direzione generale cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri. Il 2014 è indicato come un anno cruciale. Ad aprile si terranno le elezioni presidenziali, nella speranza che si svolgano correttamente e diano vita a un governo riconosciuto quanto meno come legittimo. A fine anno si concluderà la missione Nato-Isaf che lascerà il posto a una nuova missione dai contorni tutti da chiarire, in termini di risorse, personale e obiettivi. I temi trattati dalla ricerca sono quattro: ragioni del conflitto, negoziati di pace, rapporto tra pace e giustizia, aspettative e timori per il dopo 2014. La scelta degli

interlocutori, precisa lo stesso autore, dà una visione in qualche modo parziale. Le interviste sono state svolte tutte in ambito urbano. Le difficoltà a condurre l’indagine nelle aree rurali è una prima indicazione della situazione. I timori sono cinque: lo scoppio di un nuovo conflitto interno come quello che dilaniò il paese dopo il ritiro sovietico; il rischio che con il ritiro delle truppe occidentali subentri l’influenza di altri Paesi; che le forze di sicurezza afgane non siano in grado di tenere il controllo; che la fine della presenza militare occidentale con la conseguente riduzione degli aiuti possa provocare una crisi economica; che la possibile presenza di basi militari Usa sul territorio afgano possa esporre a ulteriori rischi oppure portare stabilità, ma con una riduzione di sovranità. Il conflitto è visto come il risultato di fattori esterni e interni che «interagiscono fra di loro, si alimentano a vicenda». Tra i primi c’è la percezione di essere nuovamente al centro del Grande Gioco. I paesi contro cui si punta il dito sono l’Iran e, sopratutto, il

Pakistan, ma gli stessi occidentali sono sospettati di portare avanti i propri interessi. Tra le cause interne pesa l’immagine di un governo centrale «percepito come illegittimo, impermeabile alle richieste dei cittadini, incapace di provvedere ai loro bisogni essenziali, corrotto». Complesso è il quadro del negoziato di pace. In linea di massima gli interlocutori sono a favore, ma contestano il modo in cui è stato impostato. Sia il governo sia i talebani sono considerati privi di legittimità e legati a interessi stranieri: statunitensi, quando si parla di Kabul, o di settori dell’intelligence di Islamabad nel caso dei turbanti neri. La questione della pace è legata a quella della giustizia. «L’ingiustizia è uno degli elementi che alimenta il conflitto», si legge. Ogni eventuale accordo infine deve considerare un approccio duplice e contenere un pace politica e una pace sociale. La prima dall’alto verso il basso, la seconda con un percorso inverso che tenga conto della partecipazione delle comunità locali al momento assente.


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società

Arresti domiciliari per alcuni dirigenti delle forze dell’ordine responsabili delle violenze alla Diaz il commento di Walter Massa presidente Arci Liguria

Arresti domiciliari per tre superpoliziotti per le violenze alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. La decisione del Tribunale di sorveglianza riguarda Spartaco Mortola, che allora dirigeva la Digos del capoluogo ligure (deve scontare otto mesi), Giovanni Luperi, ex dirigente dell’Ucigos ora in pensione (deve scontare ancora un anno) e Francesco Gratteri, ex numero tre della polizia (anche per lui un anno da scontare). Sono agli arresti dai giorni scorsi, ma potranno beneficiare di alcune ore di libertà (fino a 4) e usare il telefono. Potranno chiedere il riconoscimento della buona condotta e godere di un eventuale sconto di pena. I tre avevano presentato domanda per l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma il giudice di sorveglianza l’ha respinta. Stesso provvedimento era stato emesso nelle settimane scorse per altri esponenti ‘minori’ delle forze del’ordine coinvolti nella ‘macelleria messicana’ della Diaz. Gran parte della pena è stata cancellata dall’ indulto del 2006, ma la decisione del giudice prova, tra mille difficoltà, a

ribadire un principio fondamentale: non ci sono zone franche, non ci sono impunità garantite dalla divisa che si indossa. Così Walter Massa, presidente di Arci Liguria, ha commentato la decisione del Tribunale: «Credo che i magistrati che hanno respinto la richiesta di affidamento ai servizi sociali abbiano correttamente sanzionato l’arrogante rifiuto dei condannati a riconoscere le loro colpe, e quindi implicitamente a chiedere scusa alle loro vittime e agli italiani in generale, e penso che questo dovrebbe far riflettere chi, a tutti i livelli, a suo tempo ha preferito ignorare la realtà. Scuse che, è bene ricordarlo, non sono mai venute neppure dai governi che si sono succeduti. Quella del G8 2001 è destinata ad essere quindi un’altra di quelle ferite che, purtroppo, non si rimargineranno mai completamente. Alle violenze in piazza, spesso gratuite e/o contro persone inermi, seguite dal massacro della Diaz e dalle torture a Bolzaneto, si sono aggiunti poi fatti gravissimi: le promozioni per i responsabili di quegli episodi, il rifiuto di varare una commissione parlamentare

d’inchiesta, l’archiviazione senza processo dell’omicidio di Carlo Giuliani e il comportamento ‘singolare’ della polizia, prodiga di indagini nei confronti dei manifestanti e ‘poco collaborativa’ sul fronte delle indagini interne. L’impressione di impunità delle Forze dell’Ordine per i fatti di Genova - solo in parte corretta dalle recenti condanne - ha gravemente minato il rapporto fiduciario tra queste e i cittadini; incrinatura che è apparsa in tutta la sua evidenza anche dal recente servizio del programma di Rai Tre Presa diretta sulla ‘mala-polizia’. È poi innegabile che le pene inflitte ai manifestanti - ritenuti responsabili di danneggiamenti a cose - siano assolutamente spropositate se paragonate a quelle comminate, molto tardivamente, ai responsabili di gravi episodi di violenza contro persone. Per i primi è stato ripescato un reato da tempo di guerra come ‘devastazione e saccheggio’, mentre gran parte dei secondi hanno beneficiato della non casuale mancanza nel nostro codice penale del reato di tortura».

Diritti umani: le violazioni continuano Sono 112 i Paesi che nel 2012 hanno praticato torture sui loro cittadini, 80 hanno avuto processi iniqui e in 101 paesi è stata documentata repressione della libertà di espressione. Un mondo pericoloso soprattutto per chi fugge dalle guerre o dalla tortura, i cui diritti non vengono protetti «in nome del controllo dell’immigrazione»: un dictat che non tiene conto dei 214 milioni di migranti che girano il mondo alla ricerca di un posto dove vivere. «Milioni e milioni di persone - dice Carlotta Sami, all’epoca della ricerca direttrice in Italia di Amnesty International - che si trovano in pericolo, esposte a qualsiasi tipo di abuso: stupri per le donne, vittime di tratta per donne e bambini, lavoro forzato, schiavitù». Milioni di esseri umani che cercano una possibilità di sopravvivenza che il vicino di casa ti nega. Milioni di donne e bambini che subiscono violenza, a cui si aggiungono le aggressioni e le uccisioni di giornalisti che cercano di testimoniare la verità e dei difensori dei diritti umani che cercano di aiutare chi non ce la fa: violazioni che attraversano tutti le regioni esaminate da Amnesty, con una situazione globale di diseguaglianza e di povertà in costante

aumento. Europa compresa. Sull’Italia non manca la progressiva erosione dei diritti umani, dimostrata dai ritardi e dai vuoti legislativi non colmati, non solo per contrastare seriamente la violenza contro le donne - femminicidio, ma anche da

Nuova portavoce Unhcr per il sud Europa Carlotta Sami svolgerà l’incarico di portavoce Unhcr per il Sud Europa. Sami succede a Laura Boldrini che ha ricoperto l’incarico sino al 2012. Sami, da sempre impegnata nel campo dei diritti umani, ha iniziato il suo impegno umanitario nel 1998 a Gerusalemme lavorando prima per la cooperazione Italiana e poi con diverse organizzazioni non governative, quindi da Roma dove si è occupata di interventi di emergenza e di cooperazione internazionale con Save the Children, prima di ricoprire l’incarico di Direttrice generale di Amnesty International in Italia. L’Arci le augura buon lavoro.

tutti gli ostacoli che incontra la proposta di introdurre finalmente il reato di tortura nel codice penale o chi chiede giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello Stato: un caso su tutti, quello della morte di Stefano Cucchi, il cui processo si è concluso con la condanna dei soli medici dell’ospedale, colpevoli di non aver provveduto alle cure, senza neanche una parola contro l’evidenza del massacro, delle botte e della tortura disumana testimoniati delle stesse foto scattate al corpo senza vita del ragazzo. Eppure, tutti i danni delle violazioni, delle ingiustizie, delle violenze di esseri umani contro altri esseri umani, non sono casi isolati da cui qualcuno si possa sottrarre, perché come sostiene Martin Luter King nella frase che Amnesty ha messo in apertura al suo rapporto: «L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque. Siamo tutti presi in una rete di reciprocità alla quale non si può sfuggire, legati a un unico destino. Qualsiasi cosa colpisca direttamente uno, colpisce indirettamente tutti». (Martin Luther King Jr, Lettera dal carcere di Birmingham, Usa, 16 aprile 1963).


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infanziaadolescenza

Tagliato il 22% del Fondo nazionale Infanzia e Adolescenza Il commento di Arci e Arciragazzi Il Fondo nazionale Infanzia e Adolescenza, di 44 milioni nel 2009, è stato tagliato a 40 milioni nel 2010/2011 e portato a 39 milioni nella Legge di Stabilità 2013/2015. Nonostante la legge fosse triennale e quindi non si sarebbero dovute prevedere variazioni fino al 2015, quest’anno il Governo ha proposto di tagliare ancora le risorse per i bambini e i ragazzi, risorse che - lo ricordiamo - vanno alle 15 maggiori città italiane. Il Parlamento ha accettato, prevedendo, nel passaggio alla Camera, una riduzione del taglio di due milioni, ma soltanto per il 2014. Si tratta di risorse che finanziano l’aggregazione sociale, i servizi sociali ed educativi, gli spazi per genitori e bambini, la tutela dei diritti e tutto quel che è compreso nella Legge 285/97. Una così consistente riduzione di risorse

inciderà in modo significativo sui bilanci dei Comuni, di fatto obbligandoli a cancellare attività importanti che si svolgono in prevalenza nelle periferie, sulle strade, con gli adolescenti e i bambini. L’effetto sarà anche la perdita di posti di lavoro, specialmente per i giovani, aggiungendo danno a danno. Questo taglio di risorse si somma alla completa mancanza di strategie del nostro Paese nelle politiche minorili, per la tutela e la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per la famiglia. Non è stato infatti finanziato negli scorsi anni il Piano nazionale Infanzia e Adolescenza, non è stato rifinanziato il Fondo per i nidi, è stato tagliato il Fondo nazionale per lo Politiche Sociali e le risorse per le politiche per la famiglia sono da anni ferme a cifre irrisorie. Stiamo ancora

aspettando la definizione dei ‘Livelli Essenziali’, di cui si parla da più di 10 anni e che dovevano supplire al primo grande taglio avvenuto nel 2003, quando il 70% del Fondo per l’Infanzia andò alle Regioni (per poi scomparire). In 10 anni lo Stato ha cancellato l’80% del Fondo nazionale Infanzia e Adolescenza! Possiamo allora dire che quest’anno la politica italiana si è vestita da Babbo Natale, è entrata nelle case dei bambini, ma invece di lasciare i regali se ne è portata via uno ogni cinque. Arciragazzi e Arci sono impegnate oggi più che mai nella denuncia di queste scelte, che sono ingiuste e contrarie a quello che dovrebbe essere lo sforzo di tutti per far ricominciare a crescere il nostro Paese. Investire sui bambini e sui ragazzi deve tornare ad essere una priorità!

Prima infanzia, da due anni servizi pubblici in declino in Italia Che si tratti di un modello che considera la famiglia come centrale e responsabile del benessere dei più piccoli, come accade in Italia e in Germania, oppure che punti a sollevare i genitori dagli oneri legati ai processi di cura (Francia e Scandinavia), i servizi per la prima infanzia (0-2 anni) sono in crescita un po’ ovunque in Europa, in particolare con forme miste di gestione che coinvolgono pubblico, privato e terzo settore. È quanto emerge dall’indagine realizzata dall’Ires Piemonte sull’innovazione nei servizi per l’infanzia in Europa e in Italia. Nel Regno Unito, ad esempio, l’intervento dello Stato è prevalente (60%), ma accanto ci sono le strutture gestite da privati for profit (35%), gli sgravi fiscali sono moderati e la spesa a carico delle famiglie è circa il 45% del totale. Al contrario, in Germania il servizio è quasi interamente gestito dal terzo settore (57%) con assenza dei privati profit, è geograficamente differenziato, prevede contributi per i figli (154 euro al mese per i primi 3 bambini, 179 euro per i successivi) oltre a sgravi fiscali per cura ed educazione. In Svezia il pubblico è all’82% e il non profit al 12, il settore è forte e molto partecipato, sono previsti contributi ai fornitori pubblici del servizio (8 mila euro a bambino) e la quota di spesa a carico delle famiglie è del 10%. Nel resto del mondo, invece, la quota fornita dal pubblico è decisamente bassa: negli Stati Uniti è di circa il 10%, in

Canada poco di più, mentre in diversi Stati dell’Africa e dell’Asia corrisponde a circa un quarto dell’offerta totale. In Italia il pubblico è largamente dominante (76%), anche se da un paio di anni è in declino, ma il servizio è debole e geograficamente differenziato (alta copertura in Emilia-Romagna, oltre il 30%, bassissima in Campania, Calabria e Puglia che si attestano sotto al 5%). Le sovvenzioni statali a famiglie con bimbi sono poche e la quota a carico dei genitori è del 40%. Nel 2010 circa un terzo dei posti disponibili nei servizi per i bambini da 0 a 2 anni erano erogati da strutture private, per due terzi gestiti dal profit (raramente in convenzione con il pubblico) e per un terzo da coop e associazioni (che per la quasi totalità gestiscono servizi pubblici messi a bando). In alcune regioni italiane (Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana) negli ultimi 20 anni i posti nei nidi a gestione comunale hanno continuato ad aumentare in modo significativo, solo la Puglia ha registrato una diminuzione. In Piemonte l’offerta di posti nei nidi comunali rimane modesta, registrando il più basso incremento percentuale tra il 1992 e il 2010. I posti disponibili negli altri servizi 0-2 anni (spazio gioco, centri per bambini e genitori e servizi educativi in contesto domiciliare) risulta in crescita in buona parte delle regioni, con l’eccezione di Li-

guria, Toscana e alcune regioni del Sud. Nel complesso la rilevanza del pubblico si è notevolmente ridimensionata in Lombardia (dove il privato è ormai paritetico), Lazio e Sardegna (dove il privato supera il pubblico). In Italia, come in quasi tutti i Paesi dell’Ocse, è poco radicata la presenza di educatori maschili: nel nostro Paese siamo a zero, negli Stati Uniti al 2% e in Norvegia all’8%. In Africa, al contrario, sono spesso gli uomini a ricoprire questo ruolo. Per far sì che i bambini possano confrontarsi con figure di entrambi i generi, l’Ue ha indicato come obiettivo di incrementare la quota di ragazzi che intraprendono percorsi formativi per diventare educatori. Grandi differenze anche sul piano della qualifica del personale: se nel Nord Europa è richiesta una formazione di tipo universitario, negli Stati Uniti le qualifiche sono in genere medio basse, gli educatori sono scarsamente retribuiti, si registra un forte turnover e difficoltà di reclutamento. In Italia, anche se manca una normativa quadro nazionale sul curriculum degli educatori nei servizi 0-2 anni (che invece esiste per le scuole dell’infanzia), recenti rilevazioni hanno messo in evidenza un livello medio-alto di qualificazione tra gli educatori, con quote importanti (specie tra i neoassunti) di persone con titoli superiori o universitari in campo psico-pedagogico.


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daiterritori

A gennaio la rassegna ‘Il mese delle memorie’

Con la Casa del Popolo di Settignano, proiezioni dedicate ai genocidi avvenuti in tutto il mondo Il 3 gennaio, con la proiezione di Ararat di Atom Egoyan, ha avuto inizio la rassegna cinematografica Il mese delle memorie. Promossa dalla Casa del Popolo di Settignano (FI) in collaborazione con il Centro Documentazione Carlo Giuliani, il Centro di Documentazione sui popoli minacciati e l’associazione Il cerchio per tutto gennaio, mese in cui ricorre la Giornata della Memoria, la rassegna è dedicata al ricordo di genocidi e persecuzioni che hanno afflitto i popoli in tutto il mondo. Un ciclo tra immagini, musica e parole per inquadrare la memoria del genocidio degli ebrei e della ferocia nazista in una prospettiva nuova. Inserire la tragedia ebraica in un contesto più ampio, accanto ad altri genocidi più o meno recenti, non significa infatti diminuirne il rilievo storico. Al contrario, significa toglierla da una terra di nessuno dove resterebbe un fenomeno incomprensibile. Per molti anni, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il concetto di genocidio ha coinciso sostanzialmente con la Shoah. Questo è accaduto per vari motivi, due dei quali meritano di essere evidenziati. Il primo consiste nell’aver proposto la Shoah come una tragedia unica e irripetibile, tanto che qualsiasi paragone con eventi analoghi somigliava a una bestemmia. Il secondo è un dato temporale: il concetto di genocidio fu elaborato da Raphael Lemkin durante il secondo conflitto

mondiale. Era quindi inevitabile che venisse applicato alla tragedia in atto. Piano piano il muro di silenzio dietro al quale si nascondevano tragedie analoghe ha cominciato a sgretolarsi. Si è cominciato a parlare del genocidio degli Armeni. Nello stesso tempo l’attualità ci ha dimostrato che certi orrori non erano soltanto un ricordo del passato, ma che potevano rivivere nell’attualità. Dalla Cambogia al Ruanda, dalla Bosnia al Darfur, l’ultimo quarto del secolo scorso e l’inizio di questo sono stati segnati da tragedie spaventose che i media hanno documentato in tempo reale. Di conseguenza, il genocidio è stato inquadrato in una prospettiva nuova. Inserire la tragedia ebraica in un contesto più ampio significa di conseguenza toglierla da una terra di nessuno dove resterebbe un fenomeno incomprensibile. Partendo da queste considerazioni, la rassegna esplora genocidi e persecuzioni non solo legati alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche quelli precedenti (la tragedia armena e lo sterminio degli Indiani nordamericani) e successivi (la persecuzione dei Rom nell’Europa centrale odierna). Il prossimo appuntamento, in programma il 10 gennaio, sarà con Bury my heart at wounded knee, un film di Yves Simoneau. Ingresso gratuito per i soci Arci. Il calendario con le proiezioni e le sinossi dei film è su www.arcifirenze.it

Il seminario di Arci Cremona In che modo l’Arci di oggi può inserirsi nel sistema del welfare e delle politiche sociali? Come può un circolo o un comitato imparare a leggere le dinamiche del proprio territorio e intervenire in maniera puntuale? Quali sono i temi e i gruppi di persone con sui possiamo lavorare? Come agire nella società contemporanea, partendo dalla tradizione del mutualismo e dal senso profondo dell’azione di promozione sociale? A queste domande cercherà di rispondere il secondo appuntamento formativo Arci e

il senso della solidarietà. Diritti, welfare e pari opportunità promosso dall’Arci di Cremona. Appuntamento l’11 gennaio alle 15 presso la sede del comitato territoriale. Interviene Tania Righi (Arci Mantova), progettista sociale, membro del gruppo Welfare di Arci Lombardia e dell’Area progetti e attività di Arci Mantova. Il seminario è aperto a tutti i soci, ma anche ai curiosi che vogliono esplorare il mondo Arci nei suoi temi, meccanismi e opportunità. fb Arci Cremona

in più pizziche e stornelli UDINE Appuntamento al circolo

MissKappa il 10 gennaio alle 21 con Gianluca Di Luzio e Alberto Sergi, che presenteranno un repertorio popolare e tradizionale composto da pizziche, stornelli, canti d’amore e d’emigrazione, canti di protesta e brani originali. Ingresso riservato ai soci Arci. fb Circolo Arci MissKappa

il libro EMPOLI Il 10 gennaio alle 21 al

circolo Arci del Pozzale si terrà la presentazione del libro Le risorse naturali come beni comuni, un incontro-dibattito con l’autore Alessandro Dani. Recuperando una prospettiva storica sul presente grazie all’autore, storico del Diritto medioevale e moderno presso l’Università di Roma Tor Vergata, l’evento vedrà un confronto sulle alternative alle privatizzazioni liberiste e allo statalismo burocratico, in direzione di una società ecologica e solidale, capace di recuperare momenti di effettiva democrazia partecipata. Ingresso libero. fb Circolo Arci Pozzale

serata per faber MILANO Il circolo Arci Metromon-

do promuove, in occasione dell’anniversario della scomparsa di Fabrizio De Andrè, il concerto di Brocantage, con apertura di Matteo Passante e Franco Ventimiglia e finale con cantata collettiva dei musicisti presenti. La serata è organizzata in Cascina Bellaria per sostenere le attività di Atlha per le persone disabili ospitate nella Cascina. www.metromondo.it

pomar al malaussène PALERMO Tra musica, letteratura

e teatro scorre il percorso artistico di Vincenzo Pomar, oggi sulle scene con Maurizio Curcio al pianoforte e Andrea Le Moli agli strumenti a corda. Un racconto poetico e intimo tra Italia e Sudamerica con brani e ricordi tratti dal disco I Bambini di ieri e dal romanzo Il punto di vista, il tutto impreziosito da un affresco sulla migliore musica d’autore italiana e da brani di nuova composizione. Appuntamento al Malaussène l’11 gennaio alle 21.30, dove si brinderà anche al sesto anno di vita del circolo. fb Malaussène Circolo Arci


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‘Progetto di opere future’: dal 13 gennaio la mostra di Claudio Vino dedicata a Pier Paolo Pasolini di Piero Ferrante Arci Puglia

Potentemente dissacrante, lucidamente critico, volutamente fuori dagli schemi. Un apologeta della libertà, di quella con Elle maiuscola. Non un giornalista, non uno scrittore, né un opinionista. Semplicemente Pierpaolo Pasolini. Uno che il mondo non si limitava a guardarlo. Piuttosto, lo squadrava a fondo, fissandolo occhi negli occhi, penetrandolo a fondo come fa la pioggia con una maglia sbrindellata. Provocatorio sì, ma sempre sintonizzato sulle frequenze tenaci di una ribellione che non si nutre soltanto di se stessa. Dunque, definire PPP un sacerdote laico, un manipolatore della parola, è limitato e limitativo, a tratti umiliante. I suoi scritti, i suoi romanzi, le scene dei suoi film non sono mero patrimonio immateriale, omelie recitate da pulpiti mediatici. Viceversa, sono il più vivo affresco di un Paese bigotto dentro, scudisciate sulla schiena del moralismo piccolo borghese. Armi d’inchiostro e pellicola nate per dividere, per mettere in crisi, per sconvolgere la coscienza superficiale di una Nazione spesso caricatura di se stessa. Nasce in questo senso Progetto di opere future, personale dell’artista pugliese Claudio Vino, che ha provato a sintetizzare l’universo pasoliniano servendosi dell’immagine. Una mostra itinerante, che toccherà diverse province della Puglia, che sarà inaugurata a Bari lunedì prossimo (13 gennaio), nell’ex Palazzo delle Poste in piazza Cesare Battisti, dove rimarrà esposta fino al 25. L’evento è stato organizzato dal comitato regionale Arci Puglia insieme ad una serie di partner, tra cui spiccano l’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ e il Comune del capoluogo levantino, a dimostrazione di come il riscatto sociale abbia, nella cultura, uno dei suoi indubitabili capisaldi. Ricordare Pasolini, far (ri)emergere, sia pure indirettamente, la sua attività filmica e letteraria, riannodare la matassa della sua multicromatica riflessione, vuol dire oggi, per l’Arci, tornare a rialzare il livello della discussione all’interno delle comunità, affrancarsi «dai campioni dell’infelicità, della mutria cretina, della serietà ignorante» (Scritti luterani), uscire dall’alienazione imposta dai nuovi e dai vecchi modelli comunicativi (in un editoriale firmato per il Corriere della Sera nel dicembre del 1972, PPP bollava la televisione italiana, ad esempio, come strumento «autoritario e repressivo come mai nessun mezzo di informazione al mondo») per tornare a confrontarsi con un pensiero concreto, fatto di carne e sinapsi. La mostra di Vino, è, dunque, se vogliamo, una sorta di ‘consegna a domicilio’ della buona politica, quella che torna a far proprie tematiche quali la libertà (quella piena, riassunta nel fatidico 1968, nella massima «chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene»), la laicità, la partecipazione, i diritti civili, la conoscenza. Una politica senza sconti, liberata dalle zavorre dei ‘se’ e dei ‘ma’, capace di scrollarsi di dosso la polvere della contraddizione e della concertazione, che torni a discutere dell’uomo, delle sue problematiche, delle sue speranze. comunicazione@arcipuglia.org

Storia contemporanea con Arci Lecco Lessico familiare: storie di vita e di scelte nel nostro territorio è il titolo del corso di storia contemporanea promosso da Arci Lecco, che prevede tre incontri formativi con la partecipazione di esperti. Il primo appuntamento, in programma il 18 gennaio, è con Roberta Cairoli e avrà come tema Le donne nella Repubblica Sociale Italiana. Si affronterà il tema del collaborazionismo femminile nazifascista, di chi scelse, cioè, di schierarsi dalla parte della Repubblica sociale italiana e di collaborare con l’occupante tedesco attraverso il coinvolgimento diretto nelle azioni e nelle pratiche di violenza della guerra civile. La costruzione da parte del fascismo repubblicano di un modello ideale di militante fascista, l’ausiliaria del Saf, e la sua successiva rielaborazione da parte della memorialistica successiva hanno prodotto la cancellazione delle responsabilità individuali e la rimozione di un protagonismo femminile ‘altro’, non riconducibile alla categoria delle ausiliarie. Gli altri due appuntamenti sono previsti per il 1 e il 15 febbraio. Tutti gli appuntamenti si svolgono presso la sede di Arci Lecco dalle 10 alle 12. www.arcilecco.it

daiterritori

Congressi Arci Le date dei congressi territoriali e regionali Arci, finora segnalati, che si terranno nei mesi di gennaio e febbraio 2014: 11 gennaio    SALERNO 16 gennaio       PERUGIA 19 gennaio      RIETI 25 gennaio         FORLÌ 25 gennaio        TREVISO 26 gennaio       SASSARI 1 febbraio         CECINA 1 febbraio         IMPERIA 1 febbraio            LUCCA 1 febbraio           UDINE 1 febbraio         VERONA 1/2 febbraio      TOSCANA 5 febbraio        RIMINI 8/9 febbraio BARI 8 febbraio        CESENA 8 febbraio       FERRARA 8 febbraio       GENOVA 8 febbraio       SIENA 9 febbraio        COMO 9 febbraio        PESCARA 14/16 febbraio FIRENZE 15 febbraio    BOLOGNA 15 febbraio    CREMONA 15 febbraio    MODENA 15 febbraio    PIACENZA 15 febbraio    SAVONA 15 febbraio    VITERBO 20 febbraio     FROSINONE 22 febbraio MANTOVA 24 febbraio    LAZIO 28 febbraio    CAMPANIA

Il concorso di Arci Milan Noueva Il circolo Arci Milan Noeuva diviene importante organo propulsore di un’entusiasmante iniziativa legata al mondo dei cortometraggi, lanciando il concorso Arcicorti Milan Noueva, rassegna di short movies divisa in tre sezioni: fiction, documentary e animazione. Al concorso, curato nella direzione artistica da Alessandra D’Agostino e Nicola Licci, potranno partecipare gratuitamente autori italiani e non, con età superiore ai 18 anni. Il Festival, realizzato in partnership con Affari Italiani e Italicatv, si svolge dal 1 settembre 2013 al 20 gennaio 2014, ultima data utile di consegna dei lavori. La premiazione dei cortometraggi vincitori avrà luogo a Milano domenica 9 febbraio. arcicorti@gmail.com


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arcireport n. 1 | 9 gennaio 2014

società

Il X rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia Il carcere è una macchina costosa che alimenta se stessa, crea la propria domanda e resta indifferente al proprio fallimento. Una prova? Dei 66.028 detenuti presenti al 30 giugno 2013, solo il 42,9% erano alla prima carcerazione. Il restante 57% tornava in prigione dopo esserci già stato. A fotografare la vita dietro le sbarre è il X rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia. Qualche numero: al 30 novembre del 2013 erano presenti 64.047 detenuti per una capienza regolamentare di 47.649 posti. Ma da tempo Antigone sostiene che il numero effettivo dei posti disponibili sia decisamente inferiore e si aggiri sui 37mila. Un dato ora confermato dallo stesso ministro Cancellieri. Il dato del sovraffollamento è del 134,4%, ovvero in 100 posti sarebbero detenute più di 134 persone. È uno dei valori più alti in Europa, ma se si fa riferimento alla capienza effettiva stimata da Antigone, questa percentuale

schizza a oltre il 173%. Le persone in custodia cautelare sono 23.923, il 37,4% della popolazione detenuta, un numero senza confronti in Europa. Se si guarda ai soli detenuti stranieri (ben 22.434), sono in custodia cautelare addirittura il 43,2%. Da qualche anno Antigone coordina lo European Prison Observatory, un progetto di ricerca che coinvolge Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Regno Unito e Spagna. Tra questi paesi, l’Italia presenta la percentuale più alta di persone in custodia cautelare e il più alto tasso di affollamento delle carceri. Al 31 dicembre 2012, la percentuale di tossicodipendenti nelle carceri italiane era del 23,8%, del 20,70% tra i soli detenuti stranieri. Ancora più allarmante il numero di persone detenute per violazione della legge sulle droghe. In particolare i detenuti per violazione del solo art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti sono il 38,4% del totale nazionale, il 47% dei

il libro giovanni e nori

una storia di amore e di resistenza di Daniele Biacchessi - Editore Laterza Giovanni e Nori è una storia di amore e di Resistenza che si sviluppa tra le pieghe del Novecento. È un libro di Daniele Biacchessi, edito da Laterza (in uscita in tutte le librerie il 9 gennaio 2014), con la postfazione di Tiziana Pesce. È anche uno spettacolo realizzato dall’autore con le musiche eseguite dal vivo dai Gang e Gaetano Liguori, pure in versione solista, con il sostegno dell’Associazione Memoria storica Giovanni Pesce. Giovanni Pesce, comandante partigiano responsabile dei Gap di Torino e di Milano, è stato un protagonista della Resistenza e della Liberazione. Giovanissimo ha aderito al Partito comunista e combattuto nelle Brigate internazionali contro Franco. Tornato in Italia, è catturato e mandato al confino. Per lui, giovane proletario emigrato con poca cultura, l’incontro a Ventotene con il fior fiore dell’antifascismo diventa fondamentale. Liberato intorno all’estate del 1943, dopo l’arresto di Mussolini e l’armistizio dell’8 settembre, inizia la clandestinità, prima a Torino, poi a Milano. Per Giovanni, primula rossa dell’antifascismo italiano, saranno mesi di azioni militari avventurose, leggendarie, coraggiose, drammatiche. Proprio nella Milano occupata dai nazisti, stremata, affamata, disseminata di luoghi dell’orrore, avviene l’incontro di una vita: i due partigiani Giovanni e Nori si conoscono, si innamorano e non si lasciano più. Le loro vite si intrecciano indissolubilmente con la lotta antifascista: i Gap colpiscono, attaccano e fanno azioni di guerriglia, i tedeschi arrestano, torturano, uccidono. Nella città crocevia di spie e delatori al servizio del nemico, Nori cade in un’imboscata e viene deportata. È l’ultima separazione perché insieme, Giovanni e Nori, rimarranno tutta la vita, condividendo e facendo sulla propria pelle la storia di quegli anni. Daniele Biacchessi, giornalista e scrittore, è presidente del circolo Arci Ponti di memoria.

detenuti stranieri. Il volontariato penitenziario italiano continua a essere una anomalia positiva: secondo i dati del Dap nel 2012 sono stati 12.098. I mediatori culturali, al contrario, sono pochissimi: nel 2012 sono stati 261 su 23.492 detenuti stranieri. Inoltre lavorano sottopagati per poche ore a settimana e non full-time. Al 30 giugno 2013, nei 16 asili nido penitenziari esistenti in Italia erano presenti 52 bambini, la gran parte a Roma. La carenza di personale di polizia è una delle criticità del sistema penitenziario più denunciate - sostiene Antigone ma si dimentica come, in rapporto al numero di detenuti, l’Italia sia tra i Paesi con più polizia penitenziaria in Europa. Infine, nel corso del 2013 i detenuti morti in carcere sono stati 99, di cui 47 per suicidio e 28 per cause ancora da accertare. Dei 47 suicidi, 24 erano italiani, 23 cittadini stranieri. www.associazioneantigone.it

arcireport n. 1 | 9 gennaio 2014 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Paolo Beni Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 18 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

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