arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XIII | n. 21 | 11 giugno 2015 | www.arci.it | report @arci.it persone, che arrivano rischiando tutto nel nostro Paese, sono vittime della guerra che ha colpito le loro terre, di un sistema legislativo che non gli consente di vedere riconosciuto il loro status, e infine anche della corruzione e delle ruberie perpetrate da alcune amministrazioni pubbliche e organizzazioni (anche del cosiddetto Terzo Settore) che provano ad arricchirsi sul sistema di accoglienza. È arrivato il momento di compiere una riflessione di carattere più generale riguardo alla battaglia complessiva sull’antirazzismo e sulla lotta alla xenofobia. Se oggi ci ritroviamo ancora una volta a subire una nuova ondata di repulsione dell’altro, sicuramente è frutto dell’indifferenza dell’Europa e di una politica italiana che non ha ancora raggiunto la maturità per confrontarsi in modo razionale con il governo del fenomeno dell’immigrazione. Ma è un dato che il movimento antirazzista, che animiamo e di cui siamo protagonisti da tanti anni, nonostante uno sforzo immane, non è stato in grado di fare in modo che le questioni dell’accoglienza, dell’ospitalità, dell’ampliamento dei diritti da diffondere nella società siano diventate un patrimonio comune di sentimenti, visioni, sensibilità in grado di mettere all’angolo le pulsioni della pancia più individualista del paese. Forse non siamo riusciti a proiettare a sufficienza il dibattito al di fuori dei confini degli addetti ai lavori. È il momento di fare in modo che tutta la nostra associazione, l’unica in grado di farlo nei territori, rimetta al centro di ogni sua iniziativa questo lavoro, che è innanzitutto culturale. Anche per cancellare quel pensiero sotterraneo secondo cui i 22mila morti in mare dal 2000 ad oggi sono uno scampato pericolo, anzichè rappresentare un crimine contro l’umanità.
Razzismo e xenofobia, le armi di una cultura di destra che va sconfitta di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci
Le politiche dell’accoglienza, quelle che in questi anni tra tante difficoltà e resistenze sono state sviluppate nel nostro paese (anche grazie al nostro lavoro), vivono su un crinale pericoloso. In questi mesi, abbiamo innanzitutto assistito, e assistiamo, a fenomeni vergognosi di corruzione e criminalità organizzata che proprio nelle politiche di accoglienza hanno trovato il terreno su cui lucrare. Dall’altro, una nuova ondata di populismo e di demagogia razzista e xenofoba ha trovato benzina con cui alimentare la macchina della paura. Il proclamato blocco dell’ingresso dei profughi nelle regioni del nord fomenta una nuova campagna contro l’immigrazione, e la lettera di Maroni ai prefetti lombardi è solo una delle tante mosse di questa nuova ondata discriminatoria. In gioco c’è una difficile battaglia culturale che il nostro paese non può permettersi di perdere, pena un nuovo arretramento sul fronte dei diritti e della solidarietà. In questi anni, anche il nostro lavoro ha contribuito a consolidare pratiche di accoglienza e umanità.
Ci siamo battuti contro il ‘cattivismo’, ci siamo battuti contro i grandi concentramenti, ci siamo battuti contro tutte le tipologie di detenzione di persone che mettono piede nel nostro paese in maniera ‘irregolare’. Ma è evidente che il nostro lavoro, così come quello di tante altre organizzazioni e reti antirazziste, non è stato sufficiente a creare un robusto argine contro orientamenti e forze che giocano la loro azione sul timore, sul panico, sulla paura. Basta vedere il risultato delle urne di domenica 31 maggio: tutti perdono voti, l’unica forza che guadagna è la Lega, che ha condotto tutta la sua campagna elettorale fomentando razzismo e individualismo. E forse colpisce più l’immaginario collettivo la raffigurazione mediatica che associa immigrazione a criminalità e ogni sera ci propina immagini di cittadini infuriati, contrapponendo la gestione dell’accoglienza alle difficoltà quotidiane di un paese in crisi, che tante affermazioni provocatorie e insultanti di Matteo Salvini. Noi sappiamo che oggi le migliaia di
2
versoil20giugno
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
Il 20 giugno insieme a Roma e in tutta Europa
La lettera aperta, prima firmataria Luciana Castellina, promossa da Cambia la Grecia Cambia l’Europa Con i rifugiati, con i migranti e con la Grecia. Così salviamo la nostra Europa. Il 20 giugno saremo a Roma con gli immigrati, i profughi, i richiedenti asilo alla manifestazione Fermiamo la strage subito! promossa da tante organizzazioni e reti sociali. Per gridare assieme contro la vergogna di chi, già colpevole per storia coloniale, antica e recente arroganza militare, progetta adesso di rendere ancora più drammatico il tentativo di chi cerca di salvarsi attraverso il mare dalle guerre e dalla fame che dilaniano i continenti che si affacciano sull’altra sponda mediterranea. Per dire no al folle progetto di bombardare i barconi, così moltiplicando le vittime e destabilizzando ulteriormente le regioni da cui in tanti sono costretti a fuggire. Noi vorremmo che chiunque avesse il diritto di scegliere dove abitare. Purtroppo sappiamo che moltissimi di coloro che approdano in condizioni disperate sulla nostra terra non scelgono, sono costretti a fuggire. Così come accadde a tanti italiani che abbandonavano la loro terra perché non dava loro la possibilità di sfamare i loro figli. Oggi il mondo è ancor più in subbuglio che in passato, le disuguaglianze si sono fatte gigantesche, la miseria e i conflitti stanno spingendo in ogni parte del globo popolazioni intere verso una disperata migrazione. L’Europa che si lamenta accoglie in realtà una limitatissima quota di rifugiati rispetto ai milioni accampati nei campi profughi dell’Africa e dell’Asia. Eppure pretenderebbe di non aiutare neppure questa minoranza. Chiamiamo a manifestare questo 20 di giugno, angosciati per le tragedie recenti del Mediterraneo, per pretendere dall’Europa una riflessione seria sul problema dei migranti, perché prenda atto che questo flusso oggi non è arrestabile e pensare di farlo con misure poliziesche o militari, oltreché crudele, è insensato. Inutile. Bisogna piuttosto attrezzarsi a far fronte a questo drammatico e ancora a lungo ineluttabile sconvolgimento del no-
stro secolo accettando di aprirsi alla convivenza multietnica e per questo sforzandosi di renderla più civile possibile: distribuendo chi arriva su tutto il territorio europeo, senza deportazioni forzate, concedendo a chi scappa dalle tragedie vie sicure e legali di accesso, corridoi umanitari, asilo e protezione umanitaria, e concedendo ai migranti un permesso di soggiorno che dia loro il tempo di trovare un lavoro, di inserirsi nel tessuto delle nostre società. L’Unione Europea è nata da un sogno: quello di costruire una comunità unitaria che ci avrebbe preservato dai disastri delle guerre fra i nostri paesi. Come è possibile non capire che pace nella nostra epoca è sentirsi parte dell’umanità intera e ricerca di soluzioni comuni, non certo presumere di difendersi dentro una fortezza di cui si ritraggono i ponti levatoi?
Ma quest’Europa ufficiale cosa ha più a che fare con quella sperata dagli antifascisti che, confinati dal fascismo a Ventotene, ne disegnarono per primi il modello? Il modo come chi a Bruxelles e a Francoforte, senza controllo democratico, sta affrontando la questione greca è indicativo. Per questo sentiamo il bisogno di riproporre il problema Grecia, anche in occasione di questa manifestazione sull’immigrazione. L’Unione Europea è nata sulla pretesa di rappresentare una comunità, sapendo che essa è fatta di paesi assai diversi fra loro, alcuni avanzate e ricche potenze industriali, altri, anche in questo caso per ragioni storiche e non certo per inadeguatezza razziale, invece alle prese con ritardi economici sempre più aggravati da speculazioni di ogni tipo. Come è possibile continuare a pre-
tendere di essere una entità unitaria e solidale se il solo modo in cui si sanno affrontare le difficoltà del fratello più debole è quello di costringerlo dentro la gabbia di una politica soffocante per tutti, ma mortale per un paese come la Grecia? Se insistiamo nel riproporre anche in questa occasione il problema Grecia è proprio perché è emblematico di una concezione usuraia dell’europeismo che si manifesta su ogni questione: quella degli immigrati così come quella dei paesi indebitati, così come quella della disoccupazione dilagante e dell’impoverimento. Manifestiamo anche per riproporre quanto gli esecutivi tecnocratici di Bruxelles hanno via via rifiutato: che il livello di disoccupazione di un paese sia considerato un criterio che richiede riforme urgenti per ridurlo, un elemento da tener in conto almeno altrettanto importante che quelli fissati dal patto di stabilità; che la restituzione del debito possa essere calcolata al netto degli investimenti pubblici per lo sviluppo; che i movimenti di capitale non possano giocare sulle diversità di imposizioni fiscali per spostarsi dove meglio conviene. Per queste cose e tante altre. Così si salva l’Europa. Che oggi viene invece smantellata da chi già propone - Merkel, Hollande - di crearne due: una piccola e ricca, accanto il cerchione del purgatorio e poi quello dell’inferno, dei reietti. Saremo dunque in piazza il 20 di giugno per l’Europa, per un’Europa solidale e democratica. Consapevoli che la principale garanzia della democraticità dell’Unione sta nella costruzione di una opinione pubblica comune, di una partecipazione davvero europea alle mobilitazioni intese a raggiungere questi obiettivi. L’Europa in questi cinquantasette anni di vita è cresciuta male anche perché i popoli europei sono rimasti distanti, frammentati e perciò impotenti. Oggi siamo ottimisti perché questo 20 di giugno saremo invece insieme in tante piazze dell’Unione. È un primo passo, decisivo.
3
migranti
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
Profughi: l’ipocrita crociata della destra di Walter Massa coordinatore Immigrazione e Asilo
Le prese di posizione dei tre presidenti di regione del centro destra sul tema accoglienza possono apparire forti e dure. Sono in realtà l’ennesima presa in giro per l’opinione pubblica e, soprattutto, l’ennesimo esercizio di demagogia e razzismo che piace agli italiani di questi tempi. Un razzismo insopportabile, che denunceremo anche per vie legali, e soprattutto una visione distorta del Paese che sarebbe bene i media nostrani non alimentassero solo per vendere qualche copia in più. In questi giorni abbiamo addirittura sentito parlare di «milioni di profughi in attesa di partire dalla Libia», di situazioni al collasso nella gestione dell’accoglienza, il tutto solo per poter dare fiato ai nuovi interpreti del «Padroni a casa nostra» che, in fondo, è l’unica cosa che gli è rimasta da urlare. È bene dunque fare un po’ di chiarezza, a cominciare dal ricordare a Maroni che fu proprio lui, da Ministro dell’Interno nel 2011, a favorire una ripartizione regionale dell’accoglienza a seguito delle primavere arabe. Una scelta fatta e voluta dal Governo, senza il coinvolgimento delle Regioni, gestita centralmente anche in termini di risorse. Gestione poi affidata alla Protezione Civile, assolutamente inadeguata che, guarda caso, contestammo come
associazione per parecchio tempo. Vi è un secondo aspetto che l’ex ministro Maroni dovrebbe conoscere molto bene e sono le direttive dell’Unione Europea a cui siamo obbligati come Paese membro. L’obbligo, che deriva in particolare dalla direttiva sugli standard minimi per l’accoglienza, non può essere evaso, pena l’intervento della giurisprudenza europea e multe salatissime sul piano economico e, soprattutto, il taglio delle risorse da parte dell’Europa per la gestione dell’emergenza. Maroni dovrebbe inoltre essere a conoscenza delle convenzioni internazionali e delle direttive italiane sul tema accoglienza ai richiedenti asilo, ma evidentemente non è così. Del resto anche tra le nostre regioni abbiamo diversi esempi virtuosi e positivi, come la Basilicata che, recentemente, grazie ad un impegno diretto del suo Presidente Pittella, ha deciso di assumere la regia di tutto il sistema d’accoglienza non diminuendo ma anzi aumentando i posti a disposizione nell’ottica dell’accoglienza diffusa tra i comuni. Crediamo sia utile ribadire che in Italia occorre arrivare al più presto ad un unico sistema di accoglienza nazionale, supportato possibilmente da una legge adeguata sul diritto di asilo oggi mancante. Il modello che noi sosteniamo è quello dello SPRAR; si basa sulla scelta volontaria
dei comuni di aderire ai bandi e di gestirli in rete insieme alle organizzazioni della società civile. L’adesione volontaria da parte dei territori è garanzia di interventi che coinvolgono e che producono un impatto positivo o comunque non negativo. È garanzia di una presa in carico e soprattutto è certezza della trasparenza sul piano gestionale amministrativo. Il sistema parallelo costruito attraverso le Prefetture, a differenza dello SPRAR, suddivide le quote sulla base di una ripartizione obbligatoria, spesso senza alcun coinvolgimento delle comunità locali, a partire dai comuni. Senza questa volontarietà si rischia di alimentare il razzismo e di produrre percorsi di integrazione che non funzionano e che quindi comportano, tra le altre cose, grande spreco di risorse. In tutto questo noi non rimaniamo con le mani in mano. Continuiamo la nostra azione di supporto nell’accoglienza insieme ai Comuni coinvolti del sistema SPRAR; non rinunciamo alla nostra legittima attività di denuncia del razzismo e dell’intolleranza, soprattutto se alimentata da chi ricopre incarichi pubblici e di governo. E, soprattutto, il prossimo 20 giugno alle 15 saremo al Colosseo a Roma: in piazza per ribadire tutto ciò e per chiedere alla politica europea di fermare le stragi e il razzismo ormai intollerabile.
Aumentano i rimpatri volontari assistiti Negli ultimi anni, il ritorno volontario nel paese d’origine è un’opzione a cui sempre più migranti hanno fatto ricorso. Si è passati, infatti, da 228 persone accompagnate al ritorno nel 2009 ai 2.000 previsti entro giugno 2015. In tutto sono state 3.219 le persone che in questi anni (dal 2009 al 2015) hanno usufruito della misura che aiuta i migranti a ritornare e reintegrarsi nel proprio paese di origine. Lo dice il rapporto Il ritorno volontario assistito, la rete e i progetti, presentato a Roma in un convegno organizzato in conclusione del primo ciclo di programmazione del Fondo Solidarietà e gestione dei flussi migratori, che ha portato alla costruzione di un sistema per l’attuazione del Ritorno volontario assistito (Rva). Promosso dal Consorzio nazionale Idee in Rete, il convegno ha fatto un primo bilancio del Fondo europeo Rimpatri e
del ruolo giocato dalla Rete Italiana per il ritorno volontario assistito nell’informazione sulla misura, nella creazione delle condizioni di accesso ai programmi di ritorno e nella costruzione di una cultura sul tema. Stando ai dati il ricorso al rimpatrio assistito è aumentato. Questo, secondo le organizzazioni che hanno realizzato il report, è dovuto sia a maggior conoscenza dei servizi offerti dai programmi di ritorno, sia alla perdurante congiuntura economica sfavorevole che impedisce la realizzazione/prosecuzione del proprio progetto migratorio in Italia. Secondo i dati Istat, infatti, con continuità dal 2009, sono circa 200mila i migranti iscritti all’anagrafe che si cancellano mediamente all’anno. In particolare 182.417 cancellazioni anagrafiche verso l’estero nel 2009, 208.199 nel 2010 e 142.455
nel 2011, con un’ipotesi di 190.000 per l’intero anno 2012 e di circa 200.000 cancellazione per il 2013. Per quanto riguarda i rimpatri seguiti negli ultimi anni: nel 62 per cento dei casi riguardano gli uomini. Il 65 per cento ha ricevuto un supporto alla reintegrazione sociale e lavorativa. I migranti rimpatriati provengono in tutto da 86 paesi terzi, ma la metà è originario di Ecuador (542), Perù (321), Tunisia (280) Marocco (239) e Brasile (204). Le regioni italiane con un maggior numero di partenze sono Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. La perdita del lavoro senza possibilità di ulteriore occupazione da parte di migranti con il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è la condizione più diffusa dei migranti che accedono al rimpatrio volontario assistito.
4
legalitàdemocratica
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
I fiori del male del(la) capitale di Simona Sinopoli presidente Arci Roma e Andrea Masala segreteria Arci Roma responsabile rapporti istituzionali
Leggendo alcuni sonetti del Belli si ha l’impressione che parli di oggi: da sempre nella capitale sbocciano i fiori del male, ma sbaglieremmo a cadere nel qualunquismo del «è stato sempre così e sempre lo sarà». Ogni mala amministrazione ha la sua storia. E quella di Mafia Capitale ha alcune caratteristiche che è opportuno analizzare per trovare le giuste risposte strategiche. Una delle intercettazioni dipinge un punto centrale del problema: parlando della gestione di alcuni appalti, uno dei protagonisti del sistema corruttivo afferma che durante la sindacatura di Alemanno c’era un accordo per cui su sette lotti, sei andassero alla maggioranza e uno all’opposizione, mentre secondo un nuovo accordo ora ne spetterebbero cinque alla maggioranza e due all’opposizione. Questa subcultura politico-amministrativa è una delle basi su cui si costruisce il fenomeno-sistema che chiamiamo Mafia Capitale. Appalti non gestiti secondi criteri di efficienza nell’interesse dei cittadini, ma regolati con criteri di lottizzazione partitocratrica. Questa subcultura si salda in simbiosi con l’utilizzo da S.p.A. delle preferenze elettorali dei consiglieri: non sono più i partiti ad entrare nel merito
delle politiche pubbliche, ma i singoli personaggi, in molti casi ognuno col suo comitato elettorale preoccupato solo dei finanziamenti delle campagne elettorali personali e di estendere il proprio potere gestionale/clientelare attraverso la nomina di persone di fiducia nei centri amministrativi e nelle partecipate. Con uno slogan potremmo chiamarla ‘partitocrazia senza partiti’. Un secondo male, e la seconda simbiosi, è proprio nella macchina amministrativa: a parte i casi di corruzione, concussione e infedeltà di dirigenti, funzionari e impiegati, è proprio il meccanismo stesso a prestarsi ad infiltrazioni criminali. Parliamo infatti di una macchina farraginosa, con migliaia di leggi contraddittorie, con decine di livelli decisionali che non si parlano tra loro, con concorrenza di competenze e responsabilità con criteri non unificati e spesso neanche compatibili. Siamo in presenza cioè della completa assenza di una certezza del diritto del cittadino. Con questa macchina amministrativa è evidente che gli onesti rimangono stritolati nelle maglie burocratiche mentre i corruttori possono agire come vogliono. E come è oscuro il meccanismo di ‘accesso’, altrettanto oscure sono le possibilità
di controllo dei cittadini. A peggiorare il quadro c’è l’aggravante di un consenso popolare sommerso, coperto da un’indignazione morale indirizzata contro la sola politica. Dietro l’urlo «vergogna» vige cioè un consenso sociale nei confronti dell’illegalità. Parcheggiare in doppia fila, fare piccoli abusi edilizi, evadere le tasse, sono considerati gesti quotidiani di sopravvivenza, quasi un diritto. Piccoli abusi che portano a giustificare i grandi abusi fatti da «chi se lo può permettere». È un atteggiamento che va analizzato sullo sfondo di quella mancanza della certezza del diritto del cittadino di cui dicevamo, e va combattuto con una grande operazione di egemonia culturale sul tema della legalità e dei diritti e con riforme amministrative di semplificazione normativa e trasparenza, di responsabilizzazione individuale e di rivoluzione culturale nella Pubblica Amministrazione. Una parte dei partiti e degli amministratori della sinistra sta tentando di fare pulizia, la magistratura sta andando avanti, questo doppio passo va sostenuto ma va anche affiancato da operazioni di animazione culturale per la legalità e i diritti e di rivoluzione culturale per tutti gli operatori pubblici.
Il CARA di Mineo va chiuso Un’altra accoglienza è possibile di Salvo Lipari presidente Arci Sicilia
Un quadro desolante ma tutt’altro che inatteso. Gli sviluppi dell’inchiesta Mondo di Mezzo 2, conosciuta anche come Mafia Capitale, non ci sorprendono affatto. Sapevamo da tempo che la ripetuta e continuata gestione in ‘emergenza’ dell’accoglienza delle persone che approdano nelle nostre coste avrebbe innescato un meccanismo corruttivo e criminale. La scelta di affidare la gestione delle strutture a gente priva di scrupoli, senza alcuna esperienza e competenza, interessata solo agli affari e non alla tutela e al rispetto dei diritti dei profughi non poteva che portare a tutto questo. Vale la pena ricordare che lo stato italiano è obbligato da leggi e da convenzioni internazionali a garantire accoglienza, protezione e tutela a chi fa domanda di asilo nel nostro Paese. Abbiamo più volte denunciato il rischio di trasformare quest’obbligo in un grande business
affidato a soggetti senza scrupoli. E abbiamo più volte chiesto la chiusura del CARA di Mineo perché è il modello di centro che si è rivelato sbagliato fin dall’inizio e da tutti i punti di vista. Era chiaro ed evidente, infatti, che luoghi con questi numeri avrebbero portato inevitabilmente all’invivibilità. Non solo, ma i migranti diventano, bene che vada, facile merce da comprare e sfruttare. Un modello che funziona c’è e lo abbiamo dimostrato. I progetti Sprar ci insegnano che un’altra strada è possibile e che le soluzioni legate all’accoglienza diffusa nel territorio dei richiedenti asilo sono le migliori. Certamente, anche nel caso degli Sprar e dei Cas, i centri straordinari di accoglienza, va effettuata una verifica scrupolosa. C’è poi un altro aspetto della questione. Dobbiamo aprire una riflessione seria anche al nostro interno e a livello nazionale. Dobbiamo avere la capacità di
interrogarci su quanto stiamo facendo su questo versante in giro per l’Italia, su come mettere in rete queste esperienze e farle diventare patrimonio di tutti, anche utilizzando gli strumenti di comunicazione e i social. Un esempio per tutti. A Siracusa l’Arci ha avuto un ruolo di primo piano nel coinvolgimento dei migranti nelle Supplici rappresentate al teatro greco. Un lavoro importante realizzato in collaborazione con Moni Ovadia e che ha colpito molto le migliaia di spettatori che hanno visto la rappresentazione. A mio parere dobbiamo costruire questo puzzle per far comprendere fino in fondo che accogliere vuol dire occuparsi davvero di chi scappa da guerre e fame. L’Arci lo fa e serve affermarlo per dimostrare fino in fondo la differenza con chi invece vuole solo lucrare sugli uomini, le donne e i bambini che cercano da noi un futuro diverso.
5
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
legalitàdemocratica
Se sai cantare, allora comincia a camminare di Davide Vecchiato coordinatore Antimafia sociale e legalità democratica
In uno stato di diritto sarebbe cosa normale che chi è indagato non sia già condannato dai giornali e chi ha commesso un reato, uscendo dal carcere per fine pena, venga considerato riabilitato, per cui il dovere della cittadinanza sarebbe di accoglierlo e non certo di stigmatizzare a prescindere chi porta un determinato cognome, o appartiene a una certa categoria, o abbia appena scontato una pena. Dunque la speranza è che anche Felice Maniero - ex boss della mala del Brenta, tornato sulle pagine dei giornali italiani negli ultimi giorni per aver cambiato nome, abbia, da libero, il diritto all’oblio, la possibilità di cambiare vita, riscattando se stesso; il nuovo cognome che porta gli dà questa opportunità, la possibilità di integrarsi superando la stigmatizzazione della vecchia identità. E se il recupero e l’integrazione non ci fossero, il carcere sarebbe servito a poco. È pur vero che siamo accerchiati da presunti corrotti e corruttori, criminali mafiosi, rappresentanti di un mondo dove domina l’illegalità. Purtroppo,
dalle notizie degli ultimi giorni, sembra che la nostra società sia infestata da un terribile virus diffuso in tutte le Regioni d’Italia: persone, imprenditori, dirigenti che si sono arricchiti illegalmente. Partendo dai quei territori e da tutte le persone di buona volontà che lavorano per il cambiamento e il bene comune, la promozione alla legalità e all’antimafia sociale, si vede ogni giorno un mattone omertoso cadere e una nuova pianta di speranza nascere. Si, lo possiamo dire, o meglio cantare - come la campagna di
quest’anno che l’Arci con i campidellalegalità.it vuole fare «Se sai cantare, allora comincia a camminare» - insieme a tutti quegli amministratori locali e operatori del terzo settore, tra cui i nostri soci e circoli, che in tutte le Regioni vogliono combattere il fascino che la criminalità esercita su certi ragazzi e l’errata scorciatoia dell’illegalità. La questione morale rimane ed è più che mai attuale, una delle nostra priorità nelle politiche culturali territoriali rivolte soprattutto ai nostri giovani.
È partita da Reggio Calabria il 10 giugno l’edizione 2015 della Carovana Internazionale Antimafie, promossa da Arci, Libera, Avviso Pubblico, Cgil, Cisl e Uil. Le periferie al centro è il tema prescelto per il viaggio di quest’anno, che proseguirà per tutto il mese di giugno, attraversando Calabria, Basilicata, Campania, Lazio, Umbria, Marche, Emilia Romagna, Toscana, per concludere la prima parte a Bruxelles il 30 giugno e ripartire di nuovo a settembre. Nei mesi di settembre e ottobre sarà nel resto d’Italia e poi in Belgio, Spagna, Malta, Romania, Germania, Francia. Fb Carovana Internazionale Antimafie Tw @carovana2015 #periferiealcentro #carovana2015
Il Campo di CARTT a Rosarno per portare un altro punto di vista sulle vicende dei migranti della Piana di Alessio Magro Arci Reggio Calabria
Lo diciamo subito: Saidou è stato ammazzato come un cane, e un fatto del genere non può e non deve passare sotto silenzio. Lo hanno trovato nelle campagne di Rosarno proprio quando il campo di formazione del progetto CARTT iniziava il suo viaggio di conoscenza e riflessione nella Piana di Gioia Tauro. Poco si sa di ciò che è accaduto, poco si sa di Saidou, se non che amava giocare al calcio e faceva parte della squadra migrante del Coa Bosco, una bella esperienza promossa dalla Caritas. Poco si sa, ma la storia dei braccianti africani nella Piana e nell’Italia intera segue un drammatico percorso comune fatto di sfruttamento, discriminazione, condizioni di vita bestiali, alienazione. Nonostante le tantissime esperienze di accoglienza, integrazione e riscatto, sarebbe un errore negare, minimizzare, sottovalutare il fenomeno delle nuove schiavitù. Dal 4 al 10 giugno un gruppo di uomini e donne dell’Arci, di Libera, dell’organiz-
zazione rumena Parada, della francese Ligue de l’Enseignement, della maltese Inizjamed, ha provato a sviscerare le questioni spinose legate alla tratta, a sporcarsi le mani girando sul territorio per raccogliere esperienze e buone pratiche, per portare un punto di vista altro sulle vicende dei migranti della Piana. Realtà diverse, competenze trasversali, punti di vista molteplici, con la voglia di contaminarsi, di fare rete, di applicare concretamente il metodo della partecipazione. È il progetto Cartt (Campaign for Awareness Raising and Training to fight Trafficking), un ramo intrecciatosi con la Carovana Internazionale dedicato al tema della schiavitù e della tratta di esseri umani, un percorso partito nel 2014 e che si concluderà a fine giugno a Bruxelles. Insieme ai compagni dell’Arci provinciale di Reggio Calabria, abbiamo conosciuto e raccolto testimonianze e buone pratiche, abbiamo colto la controversa complessità, l’impegno e la ras-
segnazione, la speranza e l’apatia. Dalla dura realtà della Tendopoli del campo container di Rosarno, passando per la splendida realtà intergenerazionale del Frantoio delle idee di Cinquefrondi, dove peraltro abbiamo tenuto a battesimo il giovane neosindaco Michele Conia. E ancora la fertile testardaggine della cooperativa Valle del Marro - Libera Terra, l’impegno del sindaco di Polistena Michele Tripodi e la determinazione di Don Pino Demasi di Libera, fulcro dell’antimafia sociale della Piana. Non ultimi il Poliambulatorio di Emergency, con il presidio sanitario di Polistena e il servizio bus totalmente autofinanziato lungo le rotte dei migranti sul territorio, gli amici della cooperativa Futura di Maropati, la Caritas di Drosi e lo Sportello Informamigrante del Comune di Rizziconi, animatori di quello che è stato definito «modello Drosi», niente altro che tanto impegno e tanta buona volontà con la pratica della mediazione abitativa e del fare comunità.
6
cultura
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
La Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo I primi 30 anni di un’idea di successo
In occasione dei 30 anni dalla prima edizione di Barcellona, la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo (Bjcem) e l’Arci, in collaborazione con Culture Action Europe, Con. Me - Contemporaneo Mediterraneo, il progetto Ville Ouverte, il progetto Mapas, con l’adesione di Arcs (Arci cultura e Sviluppo), il settimanale Left e l’ospitalità del progetto MAAM-Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz, promuovono due giorni di incontri sul rapporto tra arte, creatività giovanile e dialogo tra culture alla luce delle dinamiche sociali e culturali nei Paesi del bacino del Mediterraneo. È passato molto tempo da quando, all’inizio degli anni ottanta, un gruppo di giovani dirigenti associativi, di varie parti d’Italia, col progetto Arci Kids decidevano di investire nell’idea della creatività giovanile come vera risorsa e non come pura forma di intrattenimento, un mezzo per individuare anche alternative professionali. La promozione di giovani artisti, dei
loro spazi, del loro tessuto associativo è stata una sfida continua in tutte le attività dell’Arci, così come il loro ‘utilizzo’ come mediatori per eccellenza, che li rende attori e protagonisti del dialogo e dello scambio euro mediterraneo. Per questi motivi, la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo è un evento molto importante nella vita dell’Arci, che ha continuato ad investirci, con progetti e azioni che incrementassero la formazione della rete tramite le sue relazioni locali e internazionali. Il programma nazionale di azioni di Arte Pubblica La Ville Ouverte è una delle evoluzioni della nostra attività che connette creatività e ruolo degli artisti nel contemporaneo. Dalla fine del 1984, quando Tendencias, il prologo della Biennale, ha aperto la stagione dei giovani artisti, l’Arci ne ha sempre incoraggiato le opportunità: tra le molte iniziative ricordiamo Rotte mediterranee (1990) un evento parallelo alla Biennale di Marsiglia che portò gio-
vani da tutto il Mediterraneo a Tipasa in Algeria e l’esperienza di Sei workshop a Sarajevo (1998), quando giovani di tutto il mondo furono chiamati ad organizzare un grande evento culturale a tre anni dalla fine della guerra in Bosnia e dell’assedio della città. Oggi la Biennale è una struttura autonoma, una rete internazionale dove le organizzazioni possono incontrarsi e fare della regione del mediterraneo un luogo di costruzione di pace e dialogo permanente. Il programma delle tre giornate prevede, tra l’altro: - giovedì 11 alle 19, presso la sala Alpi della sede nazionale dell’Arci, la presentazione del libro fotografico di Giulio Di Meo Il deserto Intorno - L’esilio dimenticato del popolo Saharawi. Sarà presente l’autore; - venerdì 12 alle 18, Deconstructing reality, incontro con i coordinatori dei progetti La Ville Ouverte, e Mapas. Con Marco Trulli e Giuditta Nelli; - sabato 13 alle 10.30, presso il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz, Geografie della trasformazione. Da Arci Kids alla Bjcem: 30 anni di creatività giovanile tra Europa e Mediterraneo. Interverranno, tra gli altri, Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci e Dora Bei, presidente BJCEM. Sul sito www.arci.it il programma completo.
cheFare, il premio che promuove cultura e innovazione cheFare lancia, con l’omonimo bando, il premio che promuove cultura e innovazione con il contributo di 150mila euro. cheFare è una piattaforma collaborativa per la mappatura, la votazione e la realizzazione di progetti culturali realizzati da organizzazioni profit e non profit con particolare riguardo alle imprese sociali, alle fondazioni e alle associazioni culturali, alle start up. L’iniziativa è rivolta al mondo della cultura, dell’innovazione sociale e alla società civile. Il 13 maggio 2015 si è aperto ufficialmente il bando. cheFare favorisce la creazione e lo sviluppo di reti tra imprese culturali con alto contenuto di innovazione per attivare la costruzione di nuovi modelli economicamente e socialmente sostenibili. Collaborazione, condivisione, ricerca e racconto sono i principi che guidano
quest’azione. Dare vita a questa esperienza vuol dire lanciare un segnale forte. Vuol dire guardare al futuro consci che sono le pratiche quotidiane che possono fare la differenza. Vuol dire sapere che è necessario rapportarsi con empatia nei confronti di chi ci circonda, attivare percorsi di resilienza per superare i problemi e soddisfare i bisogni e soprattutto agire con un paradigma nuovo, basato sull’economia tra pari, sul valore condiviso e capillare della cultura. I criteri a cui dovranno attenersi i progetti sono quelli che riteniamo centrali per la cultura contemporanea: promozione della collaborazione; ricerca di forme innovative di progettazione, produzione, distribuzione e fruizione della cultura; scalabilità e riproducibilità; sostenibilità economica nel tempo; promozione dell’equità economica; impatto sociale territoriale positivo; impiego di
tecnologie e filosofia opensource; capacità di coinvolgere le comunità di riferimento e i destinatari delle proposte attraverso una comunicazione efficace. La prima fase del bando (13 maggio - 1 luglio) consiste nella raccolta dei progetti, che verranno poi selezionati da un team di esperti (2 luglio - 15 luglio). Nella seconda fase (9 settembre - 5 novembre) fino a 40 progetti saranno messi on-line per essere votati dal pubblico direttamente sul sito di cheFare (www.che-fare.com). I 10 progetti che avranno raggiunto il più alto numero di voti verranno valutati da una giuria - composta da personalità del mondo della cultura - che sceglierà i 3 progetti migliori secondo gli scopi e i requisiti del bando. Ogni progetto riceverà 50mila euro. cheFare è realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo, organizzazione filantropica a sostegno del Terzo Settore.
7
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
società
La Coalizione Sociale, un’opportunità per sperimentare pratiche e modalità diverse di stare insieme di Filippo Miraglia vicepresidente nazionale Arci
L’assemblea di sabato scorso ha segnato l’avvio del percorso della Coalizione Sociale che ci ha visti impegnati fin dall’inizio, su invito della Fiom di Maurizio Landini. Non si tratta, è bene ripeterlo, né di un soggetto politico, né tanto meno della costruzione di un nuovo partito come ha ribadito nel suo intervento finale il segretario della Fiom. È stato prodotto un documento, scritto da più soggetti insieme, che individua le principali criticità in Italia e in Europa, indica delle priorità e un metodo d’intervento. La Coalizione è quindi uno spazio d’iniziativa, animato da soggetti diversi che hanno condiviso una riflessione sulla crisi che attraversa la società e che rischia di travolgere i principi della nostra Costituzione, e che provano a far partire un processo di convergenza di vertenze e pratiche territoriali. L’Arci è un’associazione di promozione sociale, radicata sul territorio, fatta da uomini e donne preoccupati per il progressivo deterioramento della nostra democrazia e per la disaffezione diffusa verso la politica e le istituzioni. In questi anni il nostro impegno in spazi collettivi, in coalizioni con obiettivi specifici, è diventato una delle caratteristiche della nostra identità associativa, sia a livello nazionale e internazionale, che
a livello locale. La nostra autonomia si misura proprio nella capacità di stare in relazione con tanti, di promuovere e sostenere percorsi collettivi, per determinare quei cambiamenti, quell’alternativa culturale e sociale di cui il Paese ha bisogno. Va infatti sconfitta l’egemonia culturale conquistata da una destra che è stata in grado di consolidare il suo consenso, e proprio in quei settori sociali più tradizionalmente legati alla sinistra - lavoratori, disoccupati, studenti, precari, oltre che in una classe dirigente che sostiene apertamente quel capitalismo finanziario che riduce sempre più gli spazi di democrazia e di partecipazione, cancella legami sociali e senso di appartenenza a una comunità. Per questo la proposta della Fiom ci è parsa utile e adeguata alla sfida che hanno di fronte le organizzazioni sociali. Emerge infatti in tanti ambiti un palese fastidio a confrontarsi con chi rappresenta gruppi di persone organizzate - associazioni, movimenti, sindacati, fino a teorizzarne l’inutilità svuotandone il ruolo. La novità rappresentata dalla Coalizione Sociale sta nel mettere al centro di questo percorso comune la critica ad un modello di società e di democrazia che produce ingiustizie e discriminazioni. Tutto ciò sostenuto dall’idea, che rappresenta insieme metodo e contenuto, di partire
dai territori, dalle vertenze e dalle pratiche già sperimentate in risposta alle contraddizioni prodotte dall’austerità e dal ruolo soverchiante della finanza sulla politica. Con una valorizzazione delle esperienze di mutualismo, che appartengono anche alla nostra storia, per motivare le persone ad essere protagoniste di un processo di cambiamento che parta dal basso. Un processo che, anche in ragione del soggetto che l’ha promosso, un sindacato, mette al centro il lavoro e la sua funzione di emancipazione delle persone, come d’altra parte recita la nostra Costituzione all’articolo uno. La sinistra politica, che oggi è frammentata e debole, non può che trarre vantaggi da una convergenza delle realtà sociali in un percorso d’iniziativa comune, radicato sul territorio. Per l’Arci, la cui identità deriva dal radicamento sociale e dall’appartenenza al campo della sinistra, la Coalizione Sociale rappresenta un’opportunità che va riempita con i propri contenuti, e a cui si partecipa con l’umiltà di chi si mette a disposizione per sperimentare un’ipotesi di cambiamento. Provare a fare la propria parte, mettersi in gioco può comportare dei rischi. Ma solo chi non fa non sbaglia, come ci ha insegnato un nostro vecchio maestro, Tom Benetollo.
Left indaga sull’acqua, sempre più privata C’è un referendum che ha stabilito nero su bianco che l’acqua deve essere pubblica. Eppure a quattro anni di distanza si sta spianando la strada ai colossi privati. Alla faccia dei 27 milioni di italiani che invece avevano decretato il principio dell’acqua pubblica. Questo è il tema della copertina di Left in uscita sabato 13 giugno esattamente quattro anni dopo l’esito referendario. Prima lo Sblocca Italia, poi la legge di Stabilità e ora il Ddl Madia sui servizi
locali farà sì che i privati entrino nella gestione dell’acqua. Intanto la finanza sta fiutando il buon affare e banche, assicurazioni, società di costruzioni si fanno sotto acquistando quote dei Comuni. L’hanno definito «Frankenstein finanziario»: è il sistema complessivo dell’acqua, 140mila km di reti idriche per 18 miliardi di euro di fatturato. Insomma, l’oro blu vale molto e fa gola. Left si occupa anche di Mafia Capitale e del filo che lega il boss del ‘mondo di mezzo’ Massimo Carminati all’omicidio di Valerio Verbano, il giovane militante di Autonomia operaia ucciso nel 1980 nel suo appartamento, davanti agli occhi della madre. Per la terza tappa dell’inchiesta ‘Strade nostre’ Left racconta la lotta contro la criminalità del giudice di Latina Lucia Aielli che per le sue inchie-
ste sulle infiltrazioni criminali a Fondi è stata minacciata e ora vive sotto scorta. Negli Esteri un reportage racconta il dopo elezioni in Turchia che hanno scardinato il potere assoluto di Erdogan. Mentre in Grecia, il clima di tensione e delusione cresce in attesa della famigerata scadenza del 30 giugno. Umberto De Giovannangeli intervista lo storico israeliano Zeev Sternhell che analizza la politica di Netanyahu e conclude: «Israele è un regime coloniale». In cultura lo scultore e architetto angloindiano Anish Kapoor si racconta in una lunga intervista, mentre Pietro Greco per Left spiega il mistero delle pubblicazioni scientifiche che finiscono nell’oblìo e per finire, la musica, con una lunga intervista alla band del momento: lo Stato sociale.
8
esteri
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
Erdogan perde la maggioranza assoluta e i curdi entrano nel Parlamento turco di Gianluca Mengozzi Arci Toscana
L’8 giugno scorso si son tenute le elezioni parlamentari in Turchia che hanno visto un’affluenza al voto dell’87% degli aventi diritto. Il partito di governo AKP del presidente Erdogan ha avuto un crollo di consensi di circa il 10% allontanandosi dalla soglia del 50% di maggioranza assoluta che gli avrebbe consentito di avere i due terzi dei seggi. Erdogan ed il primo ministro Davutoglu, che pensavano a alternarsi in staffette simili a quelle tra Putin e Medvedev, dopo 13 anni di governo monocolore del loro partito conservatore e filoislamista si trovano nella condizione di non poter più governare da soli. La prima conseguenza è che, ben lontani dai due terzi del parlamento necessari, i dirigenti dell’AKP dovranno abbandonare i progetti di revisione in senso marcatamente presidenzialista dell’assetto istituzionale del paese. La democrazia turca si trova dunque in una situazione originale per la sua storia: nessuno degli altri partiti che hanno superato la severa soglia di sbarramento del 10% (Socialdemocratici al 25%, nazionalisti al 16% e filocurdi
al 13%) ha dichiarato disponibilità ad allearsi con l’AKP per formare un governo. Lo sbarco in parlamento dei 79 deputati e deputate dell’HDP di Demirtas, radicato nella comunità curda ma assai votato dalla borghesia progressista di Smirne, Istanbul e Ankara, costituisce la seconda importante novità del voto e il segno incontrovertibile che la maggioranza dei Curdi intende ormai affrontare le questioni che la riguarda dentro le istituzioni, mettendo fuori gioco i gruppi armati. Data l’impossibilità delle opposizioni a coalizzarsi tra di loro, la soluzione più probabile è quella di un governo di minoranza dell’AKP con deputati dell’opposizione disposti a dare il proprio voto di fiducia su un programma che però elimini le riforme istituzionali presidenzialiste. Per la maggior parte degli analisti Erdogan ha sbagliato strategia: dopo la brutale repressione dei moti di piazza Taksim e delle manifestazioni nelle metropoli anatoliche, dopo gli scandali per gli sprechi di denaro pubblico, i
casi di corruzione e le recenti azioni di squadracce contro esponenti dell’HDP, l’opinione pubblica non ha più tollerato la proterva aggressività del presidente. Ma le elezioni danno un segnale se si vuole ancora più importante: la Turchia è un paese che conserva le contraddizioni di una giovane democrazia ma nella sostanza maturo per far parte a pieno titolo dell’Unione Europea, con una società civile organizzata progressista avanzata e in cui la popolazione ha partecipato in massa al voto per dare un segnale di stop all’involuzione autoritaria e confessionale intrapresa dall’uomo più potente del Vicino Oriente e dal suo partito. A fonte di questa evidenza preoccupa la reazione ancora una volta mediocre e deludente dei burocrati della Commissione: da Mogherini non è arrivato nessun segnale concreto di rilancio del negoziato per l’ingresso della Turchia nell’Unione. Sarebbe utile che dall’associazionismo e dai movimenti italiani venisse il messaggio chiaro che la fine definitiva della forzosa lontananza di Ankara dall’Europa non può più aspettare.
Slitta il voto sul TTIP. La mobilitazione ottiene un primo importante risultato Il voto sul TTIP previsto per il 10 giugno a Strasburgo slitta a data da destinarsi. Lo ha deciso il presidente Schulz applicando l’articolo 175 del regolamento del Parlamento Europeo dopo essersi consultato con il presidente della Commissione Commercio Internazionale (INTA). Il motivo? I 200 emendamenti arrivati in aula e la richiesta di voti separati e con chiamata nominale. Toccherà probabilmente di nuovo a INTA decidere sugli emendamenti e le proposte presentate in plenaria. Sembra evidente che nel gruppo dei Socialisti & Democratici la questione dell’ISDS (clausola che istituirebbe la possibilità di ricorso a corti private di arbitrato internazionale per risolvere le controversie tra investitori e Stati) stia diventando esplosiva e che gli accordi con i Popolari non siano poi così solidi. Di fronte al ‘rischio’ di una crisi della grande coalizione (Socialisti, Popolari e Liberali) che detiene la maggioranza dei voti nel Parlamento europeo si è preferito quindi non votare.
La mobilitazione di questi giorni di cittadini e reti di movimento, grazie ai due milioni di firme raccolte e alla pressione diretta della società civile sui Parlamentari Europei, ha certamente giocato un ruolo fondamentale nel rafforzare queste spaccature. Dunque, le criticità sollevate durante questo periodo dalla Campagna Stop TTIP non erano vaneggiamenti privi di basi, bensì riguardavano pericoli concreti di mutamenti irreversibili dell’ordinamento democratico europeo e nazionale. La
richiesta resta perciò immutata: nessun accordo è meglio di un pessimo accordo. Più volte è stato denunciato come il TTIP rappresenti un tassello fondamentale nel processo globale di deregolamentazione che mira a sancire il primato dei diritti degli investitori sui diritti delle cittadine e dei cittadini, su ogni residuo di sovranità popolare. Un cavallo di Troia che consentirebbe alle multinazionali di influire sul processo legislativo ex-ante ed ex-post, istituzionalizzando il potere delle lobby nel processo democratico. Inoltre, il Trattato mina alla radice il principio di precauzione, aumentando i rischi per la salute alimentare e, come dimostrano diversi studi di impatto, causerebbe la perdita di circa 600mila posti di lavoro in Europa. Adesso è necessario aumentare il controllo democratico della società civile sulla prossima riunione della Commissione Commercio Internazionale, per evitare che ancora una volta si assista all’ennesimo furto di democrazia a vantaggio dei forti interessi commerciali.
9
cultura
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
Dal 26 al 28 giugno torna Circomondo Una campagna per finanziarlo Una campagna di crowfunding per finanziare Circomondo Festival, il Festival internazionale dei circhi sociali. Per i versamenti basta andare sul sito www.produzionidalbasso.com/project/ circomondo-festival Dal 26 al 28 giugno San Gimignano apre infatti le porte al Circo Sociale. Tre giorni di incontri, dibattiti, riflessioni, spettacoli. Venti ragazzi e bambini di strada tra gli 11 e i 20 anni arriveranno dalle zone e dai quartieri più degradati di Rio de Janeiro, Beirut, Kabul, Valencia, Nairobi, Roma e Napoli e scenderanno in pista a San Gimignano. Nei tre giorni della manifestazione, i piccoli artisti animeranno le vie e le piazze della città trasformandosi in giocolieri, acrobati, clown, equilibristi e trapezisti e in ambasciatori dei progetti di circo sociale da cui provengono. Non mancheranno, inoltre, occasioni di riflessione e coinvolgimento sul tema dell’esclusione e della marginalizzazione sociale dei minori nel mondo attraverso seminari di approfondimento, mostre, laboratori per bambini e proiezioni di film-documentari.
Nelle giornate di sabato 27 e domenica 28 giugno, il Festival vedrà il suo momento più importante con lo spettacolo circense inedito Bing Bang Circus - Un viaggio nel mondo, curato dal regista Emmanuel Lavallè, dove saranno protagonisti assoluti i piccoli ospiti, per la prima volta insieme nella performance, e i loro accompagnatori. Nella giornata di sabato 27 giugno, inoltre, Circomondo sarà inserito nel programma di Nottilucente, manifestazione promossa dal Comune e che animerà San Gimignano dalle ore 17
fino a tarda notte, trasformando la città in un palco a cielo aperto. Il progetto è ideato e curato da Carretera Central Onlus. Presentare il circo sociale non è cosa facile; sicuramente è qualcosa di magico che ci porta in un mondo particolare. Il circo sociale è arte passione, speranza, sacrificio. È l’idea che non devono esserci bambini e adolescenti di serie B, che non deve esserci qualcuno che non ha una vera possibilità di essere cittadino e persona completa, con i suoi diritti e la sua vita.
La Repubblica di Cuba si presenta
Iniziative di cultura, architettura e società nell’ambito del progetto Roma verso l’Expo Fino al 22 giugno, il Complesso del Vittoriano, a Roma, ospiterà due mostre organizzate dall’ambasciata cubana. Una si compone delle 25 tavole realizzate dall’artista cubano Sandor Gonzales Vilar per illustrare il volume Le città invisibili di Italo Calvino, fatto stampare dall’Arci in lingua spagnola nel 2013, in occasione dei 90 anni dalla nascita del grande scrittore, e distribuito a tutte le biblioteche e le università dell’isola. L’altra è una galleria fotografica delle fasi di progettazione e costruzione dell’edificio che ospita l’ISA (istituto Superiore d’Arte) all’Avana, edificio progettato dagli architetti italiani Roberto Gottardi e Vittorio Garatti e dall’architetto cubano Ricardo Porro. L’idea di realizzare il volume che ospita le fotografie - editato da Skira in collaborazione con Arci - è di tre nostri dirigenti, Claudio Machetti, Gianluca Mengozzi e Luca Spitoni. La ricostruzione di questa storia e dei suoi protagonisti è infatti il tentativo di far conoscere un capolavoro contemporaneo, patrimonio
dell’Umanità. La collaborazione fra l’Arci e Cuba risale agli inizi degli anni ’90. Le iniziative realizzate, le relazioni consolidate, gli interscambi promossi tra Italia e Cuba sono stati molteplici. Le iniziative presero avvio in un momento difficile per l’economia cubana, quello che viene definito «periodo especial». In questo quadro, l’Arci si adoperò per portare concreta solidarietà agli studenti, alle scuole, agli intellettuali cubani. Con il gruppo musicale I Nomadi venne avviata una campagna di raccolta di materiali didattici tra il 1991 e il 1994, conclusasi con un partecipatissimo concerto alla Rampa. Nello stesso periodo, molti circoli Arci diedero il via a una campagna di raccolta fondi finalizzata, in collaborazione con l’UNEAC, alla pubblicazione di opere di autori italiani e a sostenere la pubblicazione della rivista La Gazeta de Cuba. Dal rapporto con l’UNEAC prese anche vita il gruppo fondatore del Premio biennale di letteratura dedicato a Italo Calvino, che promuove svariate iniziative
in campo letterario. Nel 1993 inizia la collaborazione con Icaic attraverso la realizzazione di rassegne del cinema italiano nell’ambito del Festival Internazionale del cinema latino-americano. Partecipano alle iniziative numerosi registi tra i quali ricordiamo Salvatores, Scola, Pontecorvo, Archibugi, Virzì, Tornatore. Negli stessi anni l’Arci contribuisce anche all’organizzazione di vari eventi musicali che portano a Cuba, oltre a I Nomadi, Jovanotti, Sergio Endrigo, Daniele Silvestri, Articolo 31, Eugenio Bennato, Zucchero e, con la collaborazione di Red Ronnie, una produzione televisiva di Roxy Bar nell’isola. Memorabile resta il concerto del maestro Claudio Abbado nel 1998, come i concerti e le lezioni del flautista Andrea Griminelli. Nel 2010 Arci e Arcs avviano progetti di cooperazione, quali ad esempio la ristrutturazione del cinema Riviera e quella del teatro di Santa Fé; collaborano ad iniziative per la ristrutturazione del centro storico della città e sostengono progetti di ecoagricoltura urbana.
10
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
ucca
In margine al Festival di Cannes 2015 di Massimo Galimberti componente Presidenza nazionale Ucca
Ogni competizione che si rispetti, specie se la vittoria, decretata da una giuria, non può appoggiarsi all’oggettività dei dati, deve portare con sé un consistente strascico di polemiche. È come se fosse un segno distintivo, come se le polemiche, la loro estensione, la loro virulenza, fossero il bollino di qualità rilasciato per una manifestazione che altrimenti dovrebbe ricordare a se stessa di esistere nella propria invincibile inutilità (in fondo non stiamo mica salvando il mondo!). Se si tratta poi di una manifestazione di cinema, di quella cosa cioè su cui tutti hanno qualcosa da dire perché in fondo si tratta solo di un film (un popolo di allenatori di calcio e critici cinematografici!), e per di più del più importante Festival cinematografico del mondo, allora le cose possono assumere anche un tono surreale, quando non comico. I fatti li conosciamo tutti: tre film di registi italiani nel concorso principale, nessun premio per nessuno dei tre film dei registi italiani. Apriti cielo: «Come si sono permessi? Perché ci selezionano se poi non ci premiano? Che giuria di incompetenti! Lo sapevamo che era tutta una farsa! La Francia vuole solo dimostrare di essere meglio di noi!». Un rincorrersi di dichiarazioni da parte di politici e parlamentari, con ministri che cercano di mettere pace e rappresentanti istituzionali che prendono posizione, il tutto con la minaccia di ritorsioni al prossimo Festival di Venezia e un esercito di spettatori diviso tra chi ha goduto per questo riconoscimento internazionale della mediocrità del nostro cinema e chi si è indignato perché oltralpe non se ne è capita la grandezza! Poi, sono passate un paio di settimane, e tutto il clamore si è sgonfiato, il vento della calunnia e della vendetta placato, il nostro cinema continua a interessare solo quei pochi che se ne vorrebbero davvero occupare. Ma perchè allora tutto questo accanimento? Tutto quel dimenarsi ossessivo su argomenti (spesso veri) che gridavano all’ingiustizia? Un po’, è chiaro, per ragioni meramente narcisistiche, per dimostrare sciovinisticamente che siamo i migliori; un po’ per permettere ad una certa fauna, sempre più informe, di sentirsi parte di un qualcosa di grande e grandioso (certo che bisognerebbe riportare i fatti alle loro effettive dimensioni!); un po’, ed è questo il punto, per
la speranza, a tratti sottaciuta, a tratti sussurrata, in ogni caso mai proferita con convinzione, che un bel premio in un Festival internazionale porterebbe clamore, pagine di giornali, curiosità, interviste, attenzione pubblica, spettatori in sala, biglietti staccati, incassi! Perché poi, facendo la tara di tutte le chiacchiere sulla settima arte, sulla bellezza di un film, sulla necessità della cultura di essere sostenuta e appoggiata, è quello che conta! E tutto si risolve in una serie di calcoli numerici e diagrammi per capire in che modo fare incassare un film. Poco altro resta davvero. Perché un Festival ha una utilità immediata e a brevissimo termine: serve per il tempo dell’uscita in sala. Per poi tornare ad essere una manifestazione in cui la boria dei registi si scontra con il pragmatismo dei produttori sotto gli occhi attenti di un esercito di critici e studiosi che ancora credono di contare qualcosa e di indirizzare il gusto del pubblico. Un film in fondo funziona semplicemente grazie al film e al mondo che gli si costruisce intorno come la comunicazione, il posizionamento in alcune fasce di mercato, i tempi dell’uscita. E in tutto questo un Festival spesso non è che una piccola parte, utile soprattutto a risparmiare in comunicazione che ad attrarre davvero un pubblico distratto. Nessun premio avrebbe potuto migliorare le sorti del Racconto dei Racconti di Matteo Garrone come nessuna sconfitta avrebbe potuto affossare il successo di Youth di Sorrentino. La necessità di partecipare ad un Festival (e magari vincerlo) non è quindi finalizzata ad agire sul territorio nazionale (italiano) perché sono pochi i Premi che, almeno qui da noi, hanno la forza di indirizzare il pubblico. La finalità è di aprire il film al mercato internazionale e trasformarlo immediatamente in un prodotto da vendere e comprare. Se
anche poi il film non uscirà mai in un altro paese, non importa. L’importante è guadagnare nello scambio. Si tratta della compravendita di un prodotto dotato di un’aurea che rende meno deprimente il lavoro che molti sono costretti a fare. E allora se premiare un film come quello di Audiard (bello, certamente ma sicuramente meno bello di Carol di Todd Haynes e meno complesso di quello di Hou Hsiao-Hsien) significa per una giuria scegliere un’idea di cinema (Garrone, per restare a noi, giocava in un universo cinematografico impossibile da intercettare dalla giuria di Cannes di quest’anno); ma anche che un prodotto (film) ottiene un plusvalore improvviso che qualcuno utilizzerà economicamente. Quindi se è spesso ridicolo analizzare i premi secondo la logica ‘film migliore/ film peggiore’ è però sano accettare che un Festival si basi su logiche di potere e di economia. Per cui se è vero che nessuno influenza le scelte di una giuria, è altrettanto vero che ogni direttore artistico crea le condizioni per le quali quelle scelte siano monitorate e a volte indirizzate. Un’azione rivolta a determinare il valore economico (non commerciale) di un film, la forza di un’industria nazionale che investendo su un prodotto porterà altri capitali in circolazione, la diffusione (relativa, per carità) di un immaginario sul quale poi costruire altri prodotti culturali su cui investire. Un potere che si comincia ad esercitare dalla scelta dei giurati, passando poi alla disposizione in calendario dei film, all’organizzazione delle proiezioni per i giurati fino alla scelta della segretaria di giuria, un soggetto terzo che, organizzando l’agenda dei giurati, i loro spostamenti, dando i tempi delle discussioni, gestendo i verbali, è di fatto l’occhio e l’orecchio del direttore del Festival. E questo con buona pace di tutti.
11
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
daiterritori
Arci Valdera a congresso conferma Maria Chiara Panesi presidente Nella Valdera l’Arci ha registrato nell’ultimo anno un aumento di soci del 20%, dato in controtendenza rispetto alla crisi dell’associazionismo di cui si sente tanto parlare al giorno d’oggi. Quali sono stati i punti forti del lavoro realizzato in questi ultimi quattro anni? Abbiamo lavorato su diversi fronti, in prima istanza tutela e consolidamento delle basi esistenti, con il sostegno particolare ad alcune strutture associative sul territorio che hanno accettato la sfida del cambiamento ripensando un ruolo diverso e ridisegnandosi profondamente, vivendo un momento di rilancio straordinario dal punto di vista delle politiche, delle attività, e dunque dal tesseramento. Inoltre con il rilancio delle politiche culturali, in particolar modo il cinema, il circolo cinematografico Agorà ha raggiunto i 1.800 soci.
oggi resistere.
Il titolo scelto per il Congresso era ‘Identità resistenti’: resistenti a cosa? Identità che resistono all’impoverimento culturale, allo scolorimento delle bandiere, alla perdita di passione e di motivazione. E anche identità forti che resistono, che provano a frenare l’avanzata della demagogia e del populismo, dei vecchi e nuovi fascismi, dell’odio per il diverso. Portare avanti i nostri ideali significa
Quali saranno le priorità da affrontare in questo nuovo mandato? La priorità che ci siamo dati è l’avvio di un percorso di cambiamento, che porti a ripensare il nostro ruolo e ad attualizzare il nostro mandato, che restituisca energia ai nostri circoli e case del popolo e che le ponga nuovamente al centro dei territori. Vogliamo avviare un lavoro che recuperi e rimetta al centro l’identità a partire da temi cardinali, attraverso un lavoro che coinvolga e attraversi il gruppo dirigente diffuso sul territorio. Si individuano quattro grandi macroaree di intervento, in cui abbiamo il dovere di marcare un altro modo di fare associazionismo per lo sviluppo delle comunità: memoria e antifascismo, antirazzismo e solidarietà, ambiente/consumi/stili di vita, diritti culturali.
Un ospedale per Kobane, iniziativa il 13 giugno al circolo Arci di Pontenovo Sabato 13 giugno alle ore 20 presso il circolo Arci di Pontenovo, in via Pontenovo 1 a San Polo (RE), si terrà l’iniziativa Un ospedale per Kobane, con la cena benefica per raccogliere fondi per l’acquisto di un generatore elettrico per l’ospedale di Kobane in Kurdistan. La cena buffet, organizzata dal circolo Arci di Pontenovo con il patrocinio del Comune di San Polo d’Enza, sarà a base di specialità curde al costo di 15 euro a persona. Kobane rappresenta un baluardo di civiltà, è stata la prima grande vittoria che ha fermato l’avanzata di Isis. È stata una battaglia di resistenza, portata avanti dal popolo curdo, strada per strada, fucili contro armi pesanti. L’appello dei curdi alla società civile occidentale è di mandare fondi per la ricostruzione di Kobane, ad oggi molto problematica: il Rojava formalmente è in Siria, quindi eventuali aiuti ufficiali dovrebbero passare per Damasco, nelle mani di Assad, che al momento non riconosce l’autonomia dell’area curda. Il Rojava confina con Turchia a nord e Stato Islamico a sud, dunque la sua porta con il mondo è la Turchia, che tuttavia non facilita il passaggio alle frontiere sia ai
rinforzi curdi, che ai civili, che agli aiuti umanitari. Questo atteggiamento ben si comprende se inquadrato nel contesto più ampio della questione curda, problema interno turco molto rilevante in quanto da 40 anni il popolo curdo rivendica la sua identità, anche tramite la lotta armata. In particolare, è partito un progetto per l’adattamento di un edificio a presidio ospedaliero. Prima di tutto chirurgia per curare i traumi dei partigiani feriti (attualmente si dovrebbero curare in Turchia ma se provassero ad entrare sarebbero subito arrestati), successivamente altri reparti per curare le patologie comuni. Il progetto è avviato, servono solo i macchinari. Purtroppo è sconsigliato l’invio di macchinari tramite le Asl perchè sarebbero bloccati in Turchia magari per
anni. È dunque preferibile avere i fondi necessari in modo da potersi procurare autonomamente i macchinari per canali garantiti. L’iniziativa del Circolo Arci di Pontenovo aderisce al progetto finanziato tramite crowdfunding Un ospedale per Kobane, che punta a raccogliere 3000 euro per l’acquisto di un generatore. Tutti i movimenti votati alla solidarietà internazionale hanno identificato la Mezzaluna Rossa di Livorno come ente su cui far convogliare tutti gli aiuti economici. La Mezzaluna Rossa è un’associazione internazionale, presente da anni in Germania, nata da poco in Italia e gestita da curdi; sarà dunque sul loro conto corrente che verranno versati tutti fondi raccolti nelle campagne locali. Mezzaluna Rossa invierà il denaro alle municipalità dell’autonomia curda che lo convoglieranno all’Associazione Kobane, ente coordinatore della ricostruzione. Maggiori informazioni sul progetto al link http://www.ideaginger.it/progetti/ un-ospedale-per-kobane.html La prenotazione per la cena è obbligatoria e va fatta entro giovedì 11 giugno al numero di telefono 0522 241235 (ore 13-18, 20-22) oppure via e-mail a arcipontenovo@gmail.com
12
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
daiterritori
Dalla riforma del Terzo Settore alle novità del Jobs Act Il seminario di Arci Liguria di Alfredo Simone Arci Liguria
Si è tenuto sabato mattina, negli accoglienti locali del circolo Arci Cap di Genova, il seminario regionale Dalla riforma del Terzo Settore alle novità del Jobs act. Le prospettive e le proposte per l’associazionismo e il mondo Arci. Obiettivo dell’incontro era quello di provare ad inquadrare le due riforme, analizzandole da differenti ottiche - istituzionale, associativo e sindacale - per provare a cogliere in positivo questa sfida, iniziando ad elaborare una nostra visione strategica che favorisca l’emersione di proposte concrete. Introducendo i lavori, il vicepresidente di Arci Liguria, Giovanni Durante, ha sottolineato come, «di fronte ai cambiamenti significativi prospettati dalle due norme, l’approccio solo difensivo rischierebbe di farci perdere l’occasione di nuove e reali opportunità di crescita, rilancio e di positivo cambiamento». Come hanno confermato anche numerosi analisti, infatti, l’unico dato certo è che molte cose che abbiamo conosciuto fino ad oggi non saranno più come prima: in positivo e in negativo. Da qui la necessità quindi di rafforzare il nostro essere motore di sviluppo e di
promozione sociale del territorio per traghettarlo ad un definitivo consolidamento: «possibilmente senza perdere nessuno per strada e senza rinunciare alla nostra specificità». In un contesto in cui il terzo settore italiano rappresenta a vario titolo quasi mezzo milione di lavoratori, e circa il 2,5 % del Pil nazionale, l’Arci si ritrova, dopo la riforma del Jobs Act, con alcuni strumenti contrattuali storici che vengono cancellati: i contratti a progetto - e per un’associazione che lavora a progetti è un evidente problema - e l’associazione in partecipazione che, pur con tutte le riserve del caso e le evidenti storture che lo hanno caratterizzato in altri contesti, è stato uno dei pochi strumenti utili alla regolarizzazione della figura atipica del ‘socio barista gestore’ dei circoli. «Questa discussione - ha concluso Durante - vogliamo aprirla all’interno del tema più generale dell’occupabilità, della crescita professionale e, più in generale, con il riconoscimento di una figura professionale apposita che noi riconduciamo ad una definizione: quella del gestore/ barista sociale». Ha preso poi la parola Giuliano Rossi,
responsabile Ufficio Studi Arci nazionale, che ha proposto un significativo contributo di informazioni e riflessioni indispensabile per inquadrare correttamente la riforma del Terzo Settore nel suo iter parlamentare. A Manuel Marocco, ricercatore Isfol e consulente Ufficio Studi Arci nazionale, è toccato il compito di aiutare i presenti a districarsi nelle complesse norme della legislazione che sta modificando profondamente il mondo del lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Dopo le tre relazioni è intervenuto Federico Vesigna, segretario generale Cgil Liguria, che ha ripreso alcuni dei punti salienti degli interventi più strettamente legati alla tematica del lavoro e della difesa, sempre più difficile, dei diritti di occupati e non. L’assenza per malattia del presidente di Arci Liguria, Walter Massa, ha fatto sì che l’intervento della presidente nazionale dell’associazione Francesca Chiavacci costituisse anche una sorta di conclusioni dei lavori, in cui la presidente ha ripreso alcuni concetti esposti dai relatori arricchendoli con osservazioni suggeritele dal suo osservatorio privilegiato sulla realtà dell’associazione.
Rivivere l’Arno di Stefano Carmassi Arci Viareggio-Versilia
Venerdì 12 giugno a Empoli, presso il Convento degli Agostiniani, a partire dalle 9.30 si terrà un importante convegno che avrà come titolo Rivivere l’Arno. Verso i contratti di fiumi del bacino dell’Arno promosso dall’Associazione per l’Arno, che ha come soggetto costituente e promotore Arci Toscana e gli Enti Locali che si affacciano sulle rive del principale fiume toscano. L’Associazione per l’Arno promuove il protagonismo dei soggetti sociali, culturali, economici, istituzionali e degli abitanti per riconsegnare il fiume alle sue genti presenti e future, recuperando il suo ruolo storico di generatore di identità, fruizione, qualità paesistica e ricchezza. L’Associazione intende stimolare reti e alleanze fra istituzioni locali, promuovere forme democratiche e partecipate di governo del sistema fluviale per indirizzare
gli interventi istituzionali e sociali anche ricercando esperienze comuni con le comunità di altri bacini fluviali, nazionali e internazionali. Il convegno Rivivere l’Arno, patrocinato da Regione Toscana, Università di Firenze, Enti Locali e URBAT Consorzi di Bonifica, si articolerà in due sessioni. Al mattino interverranno docenti universitari e ricercatori che attraverso relazioni scientifiche affronteranno temi relativi al patrimonio ambientale del bacino dell’Arno, il ruolo del patrimonio culturale e paesaggistico nel futuro del sistema fluviale, la nuova stagione e il rilancio dei contratti di fiume in Toscana e sui parchi agricoli rivieraschi in connessione con le aree urbane. Nella stessa sessione interverrà anche l’antropologo Antonio Fanelli, autore di un bel saggio sulle Case del Popolo
della Toscana, che affronterà il tema dell’associazionismo civico e del ruolo dei circoli Arci ubicati lungo il corso del fiume. Nel pomeriggio si svolgerà un’interessante tavola rotonda in cui si affronterà la proposta di un futuro possibile che restituisca centralità al fiume che è il cuore stesso della Toscana, con la partecipazione di Gianluca Mengozzi, Presidente Arci Toscana, di docenti dell’Università di Firenze, Regione Toscana, e di rappresentanti delle più grandi associazioni nazionali ambientaliste e di difesa del paesaggio. Sarà l’occasione per riflettere sul ruolo dell’Arno come generatore di spazi pubblici e di paesaggi urbani e rurali, di culture e di qualità abitative, di fruizione turistica, gastronomica e ricreativa. Alla fine dei lavori verrà approvato il Manifesto dell’Arno e il programma dei Contratti di Fiume.
13
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015
Editoriascontata i tanti vantaggi della tessera Arci
w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo
Left - Il settimanale che vi racconta:
la politica, la cultura, le storie Settimanale laico e indipendente da ogni formazione politica ma fortemente posizionato a Sinistra, che cerca di approfondire le storie e le idee che caratterizzano l’essere di Sinistra. Il giornale vuole essere il luogo dove discutere la rifondazione culturale della Sinistra. Per Left è irrinunciabile essere onesti con i propri lettori. Per questo motivo lo slogan è «a sinistra senza inganni». Abbonamento annuale Cartaceo: Euro 85,00. Prezzo convenzione Soci Arci: Euro 70,00 (pari ad uno sconto del 44% del prezzo di copertina). Abbonamento annuale Digitale: Euro 55,00 Prezzo convenzione Soci Arci: Euro 45,00 (pari ad uno sconto del 55% del prezzo di copertina). Ufficio abbonamenti tel. 800-969 831 (lun/ven ore 9/18) Via Ludovico di Savoia 2B, 00185 Roma abbonamenti@left.it | www.left.it
IL TEST - Mensile dei Diritti, dei Consumi e delle Scelte L’unico mensile in edicola che dà voce al cittadino e mette alla prova i prodotti Il Test e testmagazine.it - un portale al servizio dei suoi utenti - hanno un nome nuovo ma un cuore antico: sono quello che è stato per anni il Salvagente la voce critica dei cittadini di fronte a ogni sopruso, uno strumento che non appartiene ad alcuna associazione dei consumatori ma è aperta a tutte, una fonte autorevole di test comparativi, basati sul lavoro di enti e laboratori indipendenti. Il sito poi, grazie ai suoi esperti, al servizio Chiedilo a il Test e alle guide interattive, vuole offrire un aiuto concreto a quanti sono alle prese con le trappole disseminate nella vita di tutti i giorni: dalla tasse alle multe, dai contratti telefonici alle controversie giudiziarie fino alla sicurezza dei prodotti alimentari. Abbonamento annuale Cartaceo: Euro 35,00. Prezzo convenzione Soci Arci: Euro 29,00 (pari ad uno sconto del 45% del prezzo di copertina). Abbonamento annuale Digitale: Euro 25,00. Prezzo convenzione Soci Arci: Euro 20,00 (pari ad uno sconto del 65% del prezzo di copertina) Via Ludovico di Savoia 2B - 100185 Roma Ufficio abbonamenti tel. 800-969 831 (lun/ven ore 9/18)
abbonamenti@testmagazine.it www.testmagazine.it
società
Il commercio equo in crescita +18% nel 2014 di Giuseppe Di Francesco presidente Fairtrade
Fairtrade Italia, che rappresenta nel nostro paese il marchio di certificazione del commercio equo e che ha Arci tra i soci fondatori, ha presentato a Milano, all’interno di Expo 2015, nell’incontro Fairtrade energia positiva per le persone e l’ambiente, il suo rapporto annuale di attività. Numeri incoraggianti quelli del commercio equo certificato in Italia, con un valore del venduto che nel 2014 raggiunge i 90 milioni di euro, con un +18% rispetto all’anno precedente (a livello mondiale le vendite del Fairtrade sono 5,5 miliardi). Il prodotto più venduto si conferma la banana (in Italia si consumano 10mila tonnellate di banane Fairtrade) e non è un caso che tutte le banane in vendita all’interno di Expo 2015 siano certificate. Ogni ragionamento sulla nutrizione globale deve avere il coraggio di riportare al centro le persone, e cioè i lavoratori e i piccoli produttori agricoli dei Paesi in via di sviluppo: sono loro che producono il 75% di tutto il caffè e il 90% di tutto il cacao che consumiamo a livello globale e sono loro che rappresentano l’asse portante del commercio equo per il quale l’80% della produzione è fatta proprio dai piccoli produttori, solitamente associati in cooperative, che coltivano mediamente meno di 2 ettari di terreno. Al centro c’è l’impatto che il commercio equo può generare sulle comunità coinvolte dal sistema, sui produttori, come può essere per loro occasione di empowerment, strumento per riprendere pienamente il controllo sulle proprie vite, generando capacità autonoma di determinare il proprio futuro. In questo contesto Fairtrade si caratterizza come un costruttore di relazioni positive, e di fiducia tra produttori, i consumatori e i licenziatari: sono 145 aziende in Italia e 5.000 i punti vendita in cui i 700 prodotti a marchio Fairtrade possono essere acquistati. Alla presentazione dell’Annual Report di Fairtrade Italia ha partecipato Coop, la catena di supermercati con più ampia scelta di prodotti Fairtrade a livello nazionale, che festeggia quest’anno, con una confezione celebrativa, i vent’anni dal primo pacchetto di caffè del commercio equo messo in vendita.
Fairtrade porta oggi il commercio equo dentro Expo 2015, anche con una serie di iniziative, con la presenza dei produttori, all’interno del Future Food District, il supermercato del futuro di Coop, in cui tutti i prodotti sono interamente tracciabili inquadrando il loro codice a barre con una app per smartphone. Ma con Fairtrade quest’anno c’era anche Ferrero, la più grande azienda dolciaria italiana e una delle prime cinque a livello mondiale, che dal 2014 ha avviato un programma di approvvigionamento di 20mila tonnellate di cacao Fairtrade in un triennio. Numeri, numeri significativi, ma pur sempre solo numeri, che però dietro hanno quell’esigenza di giustizia che il commercio equo (che non a caso in spagnolo si chiama commercio justo) porta con sè. L’Annual Report di Fairtrade Italia è reperibile in rete su www.fairtradeitalia.it
arcireport n. 21 | 11 giugno 2015 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 13.30 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/