Arcireport n 29 2015

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIII | n. 29 | 3 settembre 2015 | www.arci.it | report @arci.it

Migranti: serve un progetto forte e di ampio respiro di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci

Non sappiamo quanto durerà nè come si evolverà. Sta di fatto che sembra che finalmente l’Europa e le Nazioni Unite si siano accorte dei flussi inarrestabili, delle tante tragedie quotidiane e dei migliaia di morti nei TIR o in mare. Se n’è accorto sia chi si dichiara disponibile a prendersi in carico, almeno parzialmente, un fenomeno epocale migratorio, sia chi erge muri, chiude le stazioni o si spinge a chiedere la sospensione di Schengen. Sul tavolo della discussione in questi giorni ci sono il diritto d’asilo europeo, l’idea che tutti i membri dell’Unione devono partecipare ai processi di accoglienza e integrazione, il superamento di Dublino. Tutti punti interessanti e condivisibili. Ma la situazione appare comunque fragile, precaria. Alle aperture sull’impegno di paesi come la Germania, corrispondono chiusure a est e resta forte la pressione delle spinte xenofobe e razziste. Insomma fa capolino il meglio che potrebbe dare la civiltà e la tradizione del nostro continente, ma il peggio del suo passato è capace sempre di sovrastare tutto il resto. Si tratta quindi di una cornice che può riempirsi di novità positive come frantumarsi da un momento all’altro e dege-

nerare. A mancare ancora è una prospettiva di ampio respiro degna dei valori che ispirarono la fondazione dell’Europa unita. Perché è vero che si fa strada l’idea di affrontare l’emergenza e di migliorare l’accoglienza, ma non è in campo nessuna riflessione sulle ragioni che determinano questo movimento enorme di vite umane. Nessuna riflessione su cooperazione, democrazia, pace, lotta alle disuguaglianze e alla povertà, contrasto della barbarie su uomini, donne e patrimoni culturali, in un pianeta, come sottolineava qualche giorno fa Adriano Sofri, dove sono sempre in aumento (da anni mai in diminuzione) i paesi dove non è possibile tornare a causa di guerre e conflitti. Appaiono troppo flebili, per sfilacciamento, debolezza mediatica, cedimenti a destra, le voci di impronta progressista e critica del neoliberismo. Il socialismo europeo è in crisi e le tante sinistre in alcuni paesi sperano di poter governare e cambiare lo stato delle cose, in molti altri fanno i conti con il realismo, ma non si costruiscono processi di condivisione e aggregazione su piattaforme comuni. È in questo contesto che è immerso il nostro paese. Dove la sinistra è in grosso affanno. Dove spesso sembrano

prevalere più le divisioni e i personalismi, piuttosto che la presentazione di risposte di solidarietà e di idee diverse di società. Quale può essere il compito di un’associazione culturale di sinistra come l’Arci? Come fare a non smarrirsi, a non smarrire , ma anzi rilanciare il patrimonio di esperienze concrete, di idee che ci caratterizza? Dobbiamo rafforzare la nostra visibilità’ e la nostra azione culturale, a cominciare dal tema dell’immigrazione, dando valore alla nostra positiva azione di accoglienza e promuovendo anche però un’azione politica antirazzista nei territori, in tutti i circoli, in ogni spazio che porta la bandiera dell’Arci. Ma non solo questo: la ripresa delle attività del Parlamento sembra presentare un’agenda piena di provvedimenti che, se venissero approvati come sembra, non ci piacciono o ci piacciono poco: riforme istituzionali che svuotano il nostro sistema democratico, una legge sulle unioni civili che non parlerà di matrimonio egualitario, la previsione di una cittadinanza per i figli dei cittadini stranieri che non è quella che avevamo richiesto con le tante nostre iniziative de L’Italia sono anch’io, un riforma del terzo settore di cui ancora non riusciamo a capire l’esito. E un inizio dell’anno scolastico che vede insegnanti e studenti sul fronte della battaglia contro la riforma della Buona scuola. Ci aspetta tanto lavoro, quindi, per contribuire ai processi di ricostruzione di un pensiero e la diffusione di pratiche per l’eguaglianza e la solidarietà.


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migranti

L’impegno dell’Arci nell’accoglienza di migranti e richiedenti asilo di Walter Massa coordinatore nazionale Arci Immigrazione e Asilo

Ci sono momenti in cui siamo ancora più orgogliosi di sentirci militanti dell’Arci. Questo, credo, sia uno di quelli. Ciò non significa, purtroppo, poter agire in piena armonia con ciò che circonda, ma, al contrario, sentire tutto il peso di una ‘navigazione’ contro corrente. Questa estate ne è stata la riprova, però possiamo dire che l’Arci c’è in moltissimi luoghi dove il conflitto sull’accoglienza è forte o delicato. E soprattutto ci siamo mettendo in campo azioni di accoglienza che diventano buone prassi. Come presidenza nazionale abbiamo provato a fare il punto sul nostro impegno con l’obiettivo di mettere a ‘sistema nazionale’ quella che si è rivelata una radicata rete di accoglienza. Proviamo a mettere insieme alcuni numeri per dare un’idea dell’impegno dell’Arci, premettendo che secondo noi il modello di accoglienza da perseguire è quello dello SPRAR, un mix virtuoso tra scelta volontaria dei Comuni e attiva collaborazione con le organizzazioni sociali.

E quindi peroriamo l’idea di accoglienza diffusa, sostenendo l’Anci nel tentativo di aumentare i comuni da coinvolgere. Ad oggi l’Arci gestisce nella rete SPRAR 1.936 posti su un totale di 21.000, di cui 1.779 posti ‘ordinari’, 148 ‘Minori non accompagnati richiedenti asilo’ e 5 posti ‘disagio mentale’. Operiamo con 12 comitati regionali, coinvolgendo nella gestione diretta 30 comitati territoriali e 1 comitato regionale. Al sistema SPRAR è collegata anche l’accoglienza di cittadini afghani, collaboratori della missione italiana ISAF, che vede impegnati 4 comitati territoriali per un totale di 40 persone. Entro il mese di ottobre 2015 si aggiungeranno altre 55 persone che verranno accolte in parte presso altri comitati e in parte da comitati già coinvolti. Vi è infine l’attività di accoglienza legata al sistema prefettizio (CAS/Mare Nostrum). Una rete di prima accoglienza che ci vede impegnati in un monitoraggio non semplice come ufficio immigrazione

nazionale. Non abbiamo invece ancora i dati sul nostro impegno negli Hub regionali. Un impegno molto forte dunque, che ci permette di essere un soggetto credibile anche sul piano politico. Svolgiamo un ruolo nazionale importante sia nel Tavolo Asilo, al quale partecipano le principali organizzazioni nazionali operanti in quest’ambito, sia nelle relazioni istituzionali. Sia il Servizio Centrale e l’Anci, che il Ministero dell’Interno e l’Unhcr, ci considerano da anni - insieme alla Caritas – il principale protagonista della rete d’accoglienza e degli enti di tutela. Ne è una riprova il fatto che, insieme a Caritas, rappresentiamo le organizzazioni del Tavolo Asilo presso il tavolo di coordinamento nazionale presieduto dal Ministero dell’Interno. Va infine ricordato il ruolo di servizio che l’Arci nazionale ha svolto in questi anni per garantire uno sviluppo di questa attività sul territorio anche attraverso iniziative specifiche come il Numero Verde nazionale.

L’esperienza del comitato territoriale di Lecce di Anna Caputo presidente Arci Lecce

È estremamente complesso oggi gestire i progetti del Sistema di protezione per i richiedenti asilo. Noi di Arci Lecce che lo facciamo dal 2003 abbiamo potuto verificare in tempo reale il cambiamento di atteggiamento nei confronti di quanti arrivano sul territorio italiano, dapprima diffidente, poi curioso, poi inclusivo in un crescendo di buone relazioni intessute grazie all’opera di tanti operatori Arci che sono riusciti a creare i presupposti per una reale interazione sociale e culturale. Ma l’avvento dei grandi movimenti populisti di massa ha messo a dura prova il lavoro certosino di costruzione della rete della solidarietà costruito negli anni, le notizie esplodono in pochi secondi e trasportano il pensiero debole verso lidi xenofobi e violenti, dove gli egoismi la fanno da padrone. Riportare il dialogo ad un livello umano appare sempre più difficile ed è oramai una questione di resistenza, dove da una parte ci sono i movimenti antirazzisti, parte della Chiesa, alcune piccole fette

di società civile e dall’altra tutto il resto del mondo che si arrampica su questioni legate ai temi della criminalità, dello spazio vitale per gli autoctoni, dell’impossibilità a gestire le emergenze, le famose ‘emergenze’… Gli incontri pubblici da parte di quanti, come noi di Arci, gestiscono i progetti SPRAR, si sono triplicati per avere l’occasione di spiegare le ragioni delle fughe, degli esodi di massa, spesso consequenziali a guerre, persecuzioni, assenza di investimenti statali in ambito economico. Possiamo continuare a ragionare su numeri e competenze geografiche, laddove ad ogni numero corrisponde un bambino, una donna, un uomo con il suo bagaglio di vita, affetti, dolori? Vogliamo smettere di parlare di tavoli tecnici per decidere chi accoglie chi, e vogliamo cominciare a parlare di tavolo etico globale? La situazione andrebbe evidentemente collocata in una prospettiva più ampia, dove le Nazioni Unite dovrebbero responsabilmente prendersi in carico uno

sviluppo economico terrificante dove ad ogni azione di guerra corrisponde un grande interesse economico nazionale o sovranazionale, spesso a discapito di ambiente e salute umana. E da questo le fughe, che con l’aumentare dei conflitti divengono sempre più numerose e in assenza di scelte coraggiose, quali i corridoi umanitari, sempre più pericolose. Poi ci sono delle belle esperienze che danno la possibilità di accogliere e dare strumenti per ricominciare a vivere decorosamente in un paese diverso dal proprio e queste sono le principali caratteristiche dei progetti SPRAR che ancora oggi possono essere esempio per l’Europa e possono dare buone prassi da trasferire ovunque, insistendo sui piccoli numeri, in tanti paesi dove ancora la dimensione umana del rapporto fra simili è rispettata, nonostante le continue provocazioni razziste, privilegiando chi, come Arci, del lavoro sul disagio, sull’inclusione, sull’interazione sociale e culturale, ne ha fatto uno stile di vita.


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razzismo

PRISM - Preventing, Redressing and Inhibiting hate Speech in new Media di Carla Scaramella coordinatrice Ufficio Progettazione Arci nazionale

I casi di discorsi razzisti tanto pesanti da potersi configurare come incitamento all’odio da parte di esponenti politici in radio o in televisione sono sempre più frequenti, si potrebbe arrivare a dire che sono quasi ‘sdoganati’: non bastano le denunce e l’indignazione a invertire la rotta, ed anzi questa tendenza rende leciti commenti improntati allo hate speech alle notizie sui social media o sui siti internet delle testate e dei blog. Il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali da non poter essere più ignorato e negli ultimi anni le normative dei paesi europei hanno iniziato a fare passi avanti. Parallelamente alcune testate giornalistiche hanno deciso di adottare politiche interne specifiche sulla gestione dei commenti. Il progetto PRISM - Preventing, Redressing and Inhibiting hate Speech in

new Media (co-finanziato dal programma Fundamental Rights & Citizenship dell’Unione Europea) nasce dalla volontà delle organizzazioni coinvolte di sondare il fenomeno nelle sue pieghe, analizzare quanto fatto finora a livello legislativo in Europa e mettere a confronto le buone prassi per il contrasto dell’hate speech online sia in ambito giornalistico che nel contesto educativo. Il progetto è promosso dall’Associazione Arci e vede implicati cinque paesi: l’Italia, in cui accanto all’Arci sono coinvolti l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali del CNR, la Fondazione di ricerche ANCI-Cittalia e l’associazione Carta di Roma, la Francia, con la Ligue de l’Enseignement, la Spagna, rappresentata dall’Università di Barcellona e SOS Racismo Gipuzkoa, la

Romania con la Fundatia Dezvoltarea Popoarelor e il Regno Unito con Race on the Agenda. Partecipa al partenariato, inoltre, una organizzazione internazionale, lo United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute. PRISM adotta una strategia interdisciplinare che combina ricerca, seminari volti allo scambio di buone prassi e attività formative rivolte a forze dell’ordine, esperti legali, giornalisti, blogger, gestori dei social network, giovani e insegnanti, ponendosi l’obiettivo di aumentare il livello di consapevolezza sull’hate speech, la sua portata, le sue possibili conseguenze e sviluppare strumenti e meccanismi per il contrasto della discriminazione, dell’ostilità e della violenza online, tanto sul piano legislativo quanto su quello della comunicazione e dell’educazione.

‘Discorsi d’odio’, un fenomeno sempre più diffuso soprattutto sul web di Roberta Alonzi Arci Roma

Il dibattito politico e culturale italiano risulta sempre più spesso caratterizzato da contenuti xenofobi e razzisti, spesso alimentati dalla continua condanna delle politiche di gestione dei flussi migratori, attorno a cui ruota la propaganda elettorale, italiana ed europea, e che ha visto l’avanzare dei populismi xenofobi e dei movimenti di estrema destra. In questo scenario, dilaga sempre più il fenomeno dell’hate speech, letteralmente ‘discorsi d’odio’, che si riferisce all’insieme dei discorsi pubblici, veicolati perlopiù da mass-media e politici, che alimentano il disprezzo verso migranti e minoranze, fondati su una qualsivoglia discriminazione (razziale, etnica, religiosa, di genere o di orientamento sessuale). Il fenomeno è complesso, perché è molto difficile delineare un confine netto tra hate speech e diritto alla libertà di espressione. Ed è ancor più preoccupante se si pensa che, molto spesso, sono le persone che ricoprono incarichi pubblici a farsi promotore di discorsi d’odio nei confronti di una minoranza, usando i social network come canale primario per veicolare e legittimare tali contenuti come discorso pubblico ‘normale’, e appellandosi quando necessario alla

libertà di espressione. È proprio sul web, e in particolare sui social network, che i tentativi di contenere il fenomeno sono più spinosi, proprio perché qui non esistono specifiche normative internazionali condivise. I gestori dei social media sono tendenzialmente restii ad introdurre norme di autoregolamentazione più restrittive, sebbene la segnalazione di questi episodi da parte di soggetti istituzionali e della società civile abbia portato le grandi aziende a riflettere sui rischi connessi al diffondersi del fenomeno. Si pensi poi alle modalità con cui i predicatori d’odio utilizzano strategie retoriche e discorsive che rendono quasi impossibile segnalare i loro contenuti ai gestori delle piattaforme social in quanto il linguaggio utilizzato non è immediatamente classificabile come discorso che incita all’odio. Strategia che peraltro gli permette di non incappare in eventuali sanzioni penali. Certo è che, stando alle ricerche prodotte sulla diffusione dell’hate speech, la necessità di un intervento diventa sempre più urgente. In particolare secondo l’UNAR nel 2013 per la prima volta le discriminazioni on line hanno superato quelle registrate nella vita pubblica: si parla di 354 casi di discriminazione avvenuti

nell’ambito dei media, la maggior parte riferibili ai social network. Numeri destinati ad aumentare. E allora forse il fenomeno andrebbe affrontato alla base, perché la responsabilità di un cambiamento è nelle mani di diversi settori della società. Un cambiamento che deve sì passare per una legge più articolata e sanzioni più severe (sull’efficacia della Legge Mancino ci sono pareri diversi), ma che comunque, da sola, non sarà mai sufficiente ad arginare il fenomeno perchè prima di un intervento giuridico c’è bisogno di un cambiamento culturale che superi l’attuale stigmatizzazione sociale di cui sono vittime migranti e categorie più deboli della società, che superi la retorica dell’invasione, dell’islamico terrorista, del rom che ruba... e si potrebbe continuare all’infinito. Questa responsabilità riguarda in primis la classe politica che dovrebbe astenersi dall’alimentare la retorica dell’odio, così come i professionisti dell’informazione, che ricoprono un ruolo centrale nell’influenzare l’opinione pubblica. A loro spetta il compito di tornare ad informare, uscendo dalla retorica della spettacolarizzazione e da una comunicazione incentrata su stereotipi e pregiudizi.


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carovanaantimafie

La Carovana antimafie riparte dal Veneto di Davide Vecchiato coordinatore Antimafia sociale e Legalità democratica

Ci sono incontri che ti cambiano la vita. Persone straordinarie che ti comunicano qualcosa che entra a far parte di te. A volte sono stimoli, a volte dubbi, a volte idee. Emozioni, storie, passioni. A volte sono un pugno nello stomaco che ti toglie il fiato, che ti lascia dentro una rabbia e un senso d’ingiustizia subita intollerabile. Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti, al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo. La ricerca

dell’etica nell’agire quotidiano e la cultura della legalità democratica. Siamo un paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Non è un caso che il termine politica deriva da polis, da città. Norberto Bobbio sosteneva che bisogna essere «indipendenti» dalla politica, ma non «indifferenti» alla politica. Le periferie sono le città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso ridotte a deserto e dormitorio, ma ricche di umanità. Il destino delle città sono le periferie. Il Veneto è una periferia diffusa. Siamo partiti da Piove di Sacco in provincia di Padova per poi passare a Campolongo Maggiore e Mestre - Venezia, periferie

La tappa di Campolongo Maggiore di Alessandra Cavallaro giornalista, carovaniera

«Era un uomo che faceva il suo lavoro. Questo era Giovanni Falcone per me». Non un eroe. È il primo luogo comune che viene sfatato nel laboratorio (anche campo) che dal 31 agosto è partito all’interno della villa a Campolongo Maggiore, confiscata prima, e riconsegnata poi alla comunità, del boss Felice Maniero, che qui è nato. Riparte da qui, da questo paesino in provincia di Venezia, la Carovana internazionale antimafie. Mara ha 17 anni, e parla del magistrato che ha sfidato e combattuto la mafia, mentre tenta la rotta della sua antimafia sociale. Come? Partecipando attivamente al laboratorio Il giardino della legalità che si concluderà l’8 settembre. Un fine estate a progettare «il mio mondo possibile» aggiunge Mara. Con lei Caterina,

17 anni, e Lorenzo 16, tre ragazzi della Rete degli studenti. Sono parte attiva del viaggio che Arci, Cgil, Spi Cgil, Affari Puliti (che gestisce la villa, già incubatore di imprese giovanili), Auser e Libera hanno intrapreso per mischiare il buono «a ciò che buono non è». Sì, perché il campo di Montelongo, che per più di una settimana accoglie 22 ragazzi, è, nei fatti, un’anfora. Un contenitore nel quale si tengono per mano giovani virtuosi, la cui saggezza però non è miracolo ma frutto di una costruzione personale ricercata, giovani borderline, vittime di sacche spicciole di criminalità, profughi che Mare Nostrum ha traghettato direttamente al Nord, e ancora pensionati che offrono conoscenza e valori, sulla via della crescita. In un contesto di età fresche che si riappropriano di un bene confiscato, purificandolo dalla sporcizia della mafia, la saggezza diventa l’arma senza sparo, e senza crimine, che conduce al cambiamento. La saggezza dei pensionati dello Spi Cgil, colonna portante della villa strappata al boss Maniero e all’illegalità. Sono loro insieme ai volontari Arci e Libera a coordinare la parte più faticosa del campo. Dove

reali e diffuse che hanno contrasti tra il benessere derivante dall’imprenditoria del nordest, la commistione tra malaffare e occupazione, gli strascichi della mala del brenta e la corruzione trasversale nelle istituzioni in occasione dell’opera del Mose di Venezia. Dall’altro il nostro Veneto è anche una delle regioni con moltissimo sviluppo associativo. E noi con il laboratorio/campo Il giardino della legalità abbiamo intrecciato la carovana antimafia. I nostri ragazzi, rappresentanti del nostro futuro hanno interagito, cercato di capire, ma soprattutto si sono interrogati sugli anticorpi per combattere il malessere e l’illegalità nelle periferie. La domanda è ancora aperta e in continua evoluzione, come lo sono le periferie, ma c’è sempre un angolo giusto di bellezza in cui trovare la forza per combattere il buio.

la fatica è il giunto che aggancia l’impegno e la gioia della partecipazione. Cucinare, pulire, lavare e farlo tutti i giorni, ad ore diverse, diventano compiti e regole da rispettare, parte integrante di una formazione attiva. Il valore aggiunto del laboratorio di Campolongo Maggiore, è la contaminazione delle generazioni. Vasi comunicanti che, mischiandosi in esperienza ed umanità, insegnano il valore delle differenze, ed educano ad una amalgama costante di tracciati che possono incontrarsi a metà strada.

La tappa in Friuli 4 settembre UDINE | Ore 18.30 Quartiere di via Riccardo Di Giusto Saluti di Federico Filauri, consigliere comunale e delegato di quartiere. Incontro con: - Vittorio Zappalorto, prefetto di Udine; - Pierluigi di Piazza, Centro di accoglienza E.Balducci; - Alessandro Cobianchi, coordinatore Carovana Antimafie; - Francesco Cautero, coordinatore Libera Udine; - Villiam Pezzetta, Cgil Udine. A seguire, racconto degli operatori della cooperativa Aracon Programma completo su www.carovanaantimafie.org


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legalitàdemocratica

Morire di lavoro di Giancarlo Pizzardi presidente Arci Piemonte

Mentre la città di Carmagnola, in provincia di Torino, si appresta ad inaugurare la 66esima Sagra del peperone, non si può rimanere sordi alle recenti notizie che ci giungono dagli organi di stampa. La storia di Ioan Puscasu, morto il 17 luglio scorso mentre stava lavorando in una serra carmagnolese, non può che suscitare l’indignazione di tutti. Sono tante le persone morte sul lavoro nell’ultimo anno. Troppi le lavoratrici e i lavoratori sfruttati dalle agromafie e caporalato le cui strazianti storie vengono narrate dai giornali quotidiani. Donne e uomini che, per scappare dalla miseria o dalla guerra, si ritrovano a lavorare in condizioni miserabili che il nostro paese e la nostra storia non possono assolutamente tollerare. Storie che fino a ieri sentivamo come lontane dal nostro vissuto quotidiano, diverse sicuramente nella trama e nella forma da quella di Ioan, ma ugualmente aberranti e fuori da ogni logica umana. Ioan era in tutto e per tutto un nostro concittadino che viveva e lavorava da 12

anni in una azienda agricola carmagnolese. Mai regolarizzato, lavorava come bracciante a 3,5 € all’ora fino a 10 ore e più al giorno in condizioni indegne e inumane. La sua storia deve essere un monito per il futuro delle nostre comunità affinchè certe pratiche non trovino più cittadinanza. Il tragico accaduto non è altro che la punta dell’iceberg di un modo diffuso di esercitare queste forme allucinanti di sfruttamento anche nel ‘civilissimo’ Piemonte. Nel territorio saluzzese, in provincia di Cuneo, pur essendo assente il fenomeno del caporalato, vige la regola del reclutamento ‘pilotato’. Reclutamento che avviene tramite il contatto diretto fra datore di lavoro e lavoratore, con l’accettazione da parte dei migranti di proposte di ingaggio molto sfavorevoli sia per quanto riguarda la flessibilità oraria, sia la retribuzione e la copertura previdenziale, collegate ad una notevole elusione contributiva. In attesa degli organi competenti, dato che ovviamente i lavoratori rinunciano ad avviare vertenze che precluderebbero loro l’accesso a futuri contratti, il problema più

grave rimane quello abitativo. A Canelli, in provincia di Asti, i lavoratori stagionali delle vigne, principalmente immigrati dall’est europeo, vivono da agosto ad ottobre in tendopoli improvvisate nei boschi e nella periferia del paese, senza alcun intervento, almeno nel campo igienico e sanitario, da parte dell’amministrazione comunale. Diritto alla casa e miglioramento della condizione lavorativa sono al proposito il cavallo di battaglia del Comitato antirazzista saluzzese, che dal 2010 è a fianco dei migranti in questa difficilissima causa. Per tutto questo durante la Sagra del peperone di Carmagnola, in occasione di un’iniziativa programmata il 3 settembre dal circolo Arci Margot con il presidio di Libera Il karma di Ulisses, alla presenza del magistrato Giancarlo Caselli, verrà dato spazio ad un dibattito pubblico, con la speranza di gettare le basi per costruire percorsi di consapevolezza e sensibilizzazione sul tema. Arci intende essere protagonista di questi percorsi e parteciperà al dibattito con Filippo Miraglia e Walter Massa.

Qualche diario dai campi della legalità Arci 2015

nazione. Un documentario che ci ha reso più chiara l’idea della continua ramificazione di queste famiglie e della storia di queste cosche nello specifico in questa piana di Rosarno.

Rosarno, 4 agosto

Parete, 23 agosto

Il grido di aiuto di Rosarno di Carlotta, Camilla e Danny

Dopo aver lavorato sul terreno confiscato e alla tendopoli, abbiamo visitato la Casa del Popolo di Rosarno ‘Peppino Valarioti’, un circolo Arci che ha alle spalle una storia importante per il paese, che ci è stata raccontata in modo coinvolgente e sentito da Giuseppe Lavorato. Il racconto del ‘caso Valarioti’ da parte dell’autore del libro Alessio Magro e dell’ex sindaco ci hanno colpito molto, perché le parole di persone che hanno vissuto in prima persona vicende così inimmaginabili ai nostri occhi ci hanno fatto capire quanto ci sia bisogno di comprensione, di solidarietà e di costante informazione. È stato un pomeriggio molto interessante che si è concluso con una intervista a un anziano del paese, che si è reso disponibile a rispondere ad alcune nostre curiosità. Anche in questo caso l’emozione

è stata tanta, guardare negli occhi una persona che ti dice «questo paese è nel fallimento. È l’inizio della fine» ti fa capire quanto può essere grande il grido di aiuto di Rosarno. La sera, invece, abbiamo guardato il documentario Mafia Bunker che ci illustrava i nascondigli e le strategie della ‘ndrangheta nella zona della piana di Gioia Tauro. È impressionante quanto il coraggio delle persone che decidono di denunciare la criminalità, venga ripagato con l’emargi-

Un bel legame in poco tempo di Aurora

Oggi è stato il primo giorno del campo, siamo andati a visitare l’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere. Così oltre ad ammirare questo bel sito ho avuto il tempo per conoscere gli altri volontari, è sorprendente che sia bastato così poco tempo per costruire un bel legame. Abbiamo cominciato il percorso formativo del campo con l’incontro con Angelo di Arci Caserta che ci ha spiegato con chiarezza il progetto Sprar. Al di là della spiegazione tecnica del progetto, è stata in realtà una bella discussione sul modello di accoglienza che Arci propone. Siamo tornati a Parete con un poco di ritardo ma comunque in tempo per accogliere i ragazzi alla mensa e cominciare a conoscerli. Domattina zappa e berrettino e si comincia! Tutti i diari sono pubblicati sulla pagina facebook Campi della legalità


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patrimoniostoricoculturale

Difendere il patrimonio storico culturale in aree di guerra di Gianluca Mengozzi presidente Arci Toscana

L’Arci è rimasta attonita e sgomenta di fronte all’efferato assassinio di Khaled Asaad, archeologo siriano per quaranta anni direttore del sito archeologico di Palmira.

La barbarie terrorista dello stato islamico questa volta si è accanita contro un inerme studioso ultraottantenne, da anni in pensione, ma ancora vigoroso difensore del patrimonio dell’Umanità. Nel maggio scorso, quando le milizie fondamentaliste stavano arrivando a Palmira, Asaad partecipò attivamente all’operazione di smontaggio e rimozione degli antichi fregi e delle statue del sito allo scopo di ricoverarle in rifugi al sicuro in zone sotto il controllo del governo siriano. In questo modo l’anziano archeologo ha salvato migliaia di oggetti di inestimabile valore, che sarebbero stati distrutti dalla furia iconoclasta o, più probabilmente, immessi nel mercato illegale gestito delle archeomafie con cui l’IS si finanzia con la complicità criminale degli antiquari occidentali. Quando Palmira è caduta sotto il controllo dello stato islamico Asaad è stato ricercato e incarcerato nell’indifferenza della comunità internazionale. Prima di essere ucciso è stato torturato per indurlo a confessare dove avesse nascosto i preziosi reperti. Quindi, senza alcuna pietà per la sua età, è stato decapitato sulla pubblica piazza ed il suo corpo sfregiato è stato appeso ad una colonna romana del sito archeologico di Palmira. L’Arci ha condannato con sdegno la barbarie dei signori della guerra dello stato islamico contro la popolazione inerme e gli intellettuali, esprimendo la sua fraterna solidarietà alla comunità culturale siriana e alla famiglia dell’archeologo ucciso, colpevole di aver difeso la cultura e con essa il diritto delle generazioni future a godere delle

bellezze artistiche del suo splendido Paese. Khaled Asaad è un eroe della resistenza contro la violenza oscurantista del fondamentalismo religioso. Il suo sacrificio richiama la nostra associazione alla necessità di porre tra le nostre priorità di azione nella solidarietà internazionale quella di difendere il patrimonio culturale dell’Umanità minacciato dalle crisi militari e socioeconomiche. La maggior parte dei commentatori afferma che Khaled Asaad è morto perché in Siria gli archeologi, i soprintendenti e i conservatori dei musei sono stati lasciati soli dalla comunità internazionale a difendere lo sconfinato patrimonio del Paese. Per denunciare l’assassinio di Asaad il ministro Franceschini ha giustamente indetto una giornata di bandiere a mezz’asta in tutti i musei, i siti archeologici e le soprintendenze d’Italia. Franceschini ha peraltro affermato durante il recente meeting mondiale

dei ministri della cultura a Milano, che i tempi sono maturi per istituire i ‘caschi blu della cultura’ per la difesa del patrimonio storico artistico in aree di guerra. Questa coraggiosa proposta, unica nel panorama internazionale, non ha avuto il risalto che meritava e anzi ha ricevuto critiche ingenerose, perlopiù frutto di ignoranza. Il Ministro ha invece dato seguito ad un principio che dovrebbe essere obbligatorio per tutti i paesi che hanno firmato la Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione del patrimonio culturale in area di crisi, e che invece solo l’Italia ha rispettato. La Convenzione prevede esplicitamente all’art. 7 che in tutti i corpi d’armata, compresi i contingenti in missione estera, debba essere presente personale specializzato nella tutela del patrimonio culturale. L’unico paese firmatario della convenzione che ha dato seguito a

quest’obbligo è stato l’Italia: per volere del Presidente Scalfaro venne istituito un corpo speciale per i beni culturali nei contingenti italiani nei Balcani, anche forzando i mandati dei contingenti internazionali previsti dagli accordi di Dayton e, in seguito, i protocolli di ingaggio NATO in Kosovo (gli USA, come Israele, non riconoscono la convenzione). Il comando delle operazioni delle squadre italiane fu affidato all’archeologo Fabio Maniscalco, la cui vicenda professionale ed umana è raccontata da Laura Sudiro in un volume appena uscito per Skira. I militari guidati da Maniscalco hanno di fatto salvato decine di monumenti, impedito spoliazioni di siti archeologici, preservato antiche costruzioni dalla furia distruttiva delle milizie. Maniscalco è stato ucciso dagli effetti delle bombe all’uranio impoverito con cui è venuto in contatto tra le macerie dei monumenti che proteggeva. Questo suo stesso impegno è stato replicato in seguito dal contingente italiano in Libano, e noi dell’Arci siamo testimoni della bonifica dalle mine, dagli ordigni inesplosi e dalle schegge contaminate eseguita dai militari italiani nei castelli medievali della provincia di Tiro (bombardati dagli Israeliani) per permettere l’azione dei restauratori. In attesa dunque che il Ministro specifichi cosa intende davvero per «caschi blu dei beni culturali» l’Arci si dovrebbe anche interrogare sull’opportunità di proporre a sua volta l’istituzione di corpi civili di pace costituiti da operatori culturali che possano contribuire alla difesa del patrimonio storico in area di guerra. Lo dobbiamo anche alla memoria di persone come Khaled Asaad e Fabio Maniscalco, archeologi e intellettuali che hanno sacrificato la propria vita per difendere il patrimonio culturale universale dalle barbare distruzioni della guerra.


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esteri

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Le ambizioni nazionali e internazionali del ‘nuovo sultano’ di Franco Uda coordinatore Pace, solidarietà internazionale e cooperazione

«Il nuovo sultano», così molti dei suoi oppositori lo definiscono. Recep Tayyp Erdogan, Presidente della Repubblica Turca, non nasconde le proprie ambizioni nazionali e internazionali e giorno dopo giorno sta proiettando il suo Paese come uno dei protagonisti - nel bene e nel male - della prossima fase. Proveniente da una modesta famiglia, appartiene alla confraternita dei Fratelli Mussulmani ed è ossessionato dall’eredità dello splendore dell’impero ottomano. Consapevole del suo personale valore, sogna di essere un nuovo uomo della provvidenza, non solo per la Turchia - per la quale già lo è dal 2002 - ma anche per il Medio Oriente. Erdogan si è servito per anni dei servigi della potente confraternita Fethullah Gulen per scalare le gerarchie della politica turca, ha scalzato dal potere i generali mandandone centinaia alla sbarra con l’accusa di complotto e muovendosi con grande spregiudicatezza anche contro i suoi alleati iniziali. Su di un altro piano, Erdogan avviò le procedure per fare entrare la Turchia nell’UE, cercando di dimostrarne la democraticità e avrebbe dovuto favorirne lo sviluppo economico, giocando abilmente nella concorrenza Europa/Stati Uniti/ paesi arabi/paesi turcofoni. Contemporaneamente ha fatto di tutto per accrescere le risorse economiche del paese e per migliorare le condizioni dei più poveri, frangia della popolazione organizzata da una solida struttura politico-religiosa, che trova i suoi più fedeli sostenitori e i maggiori consensi per il Partito della Prosperità (AKP). In relazione al ‘problema curdo’ Erdogan aveva ottenuto la pace delle armi. Ha trovato un accordo col vecchio leader del PKK, Abdullah Ocalan - che, per quanto ancora prigioniero nell’isola di Imrali, gode tuttora di grande prestigio tra le popolazioni curde indipendentiste - per avviare un negoziato col PKK. Una forte opposizione interna, che saldava l’estrema destra, movimenti islamici radicali locali e perfino alcuni partiti politici nazionalisti, era fortemente ostile a questi negoziati di pace, ma il Presidente sperava che questa politica di apertura gli avrebbe fatto guadagnare dei voti curdi alle elezioni legislative dello scorso 7 giugno, consentendogli di ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento, che gli era indispensabile per varare una nuova Costituzione in senso presidenziale tagliata a sua misura. Invece è stato il Partito democratico dei

popoli (HDP), filo curdo, ad impedire all’AKP di raggiungere la maggioranza assoluta. Erdogan ha allora impedito la formazione di un governo di coalizione per giungere a nuove elezioni legislative che si terranno in autunno. Per preparare a modo il terreno ha accusato i leader dell’HDP di legami col terrorismo e ha dato ordine di bombardare le retrovie del movimento curdo, situate nell’Iraq del nord, per provocare una risposta armata. Erdogan ha seguito con grande interesse le ‘primavere arabe’, soprattutto quando i Fratelli Mussulmani hanno cominciato a riportare dei successi. Ha sperato che il contagio si estendesse, dall’Egitto alla Libia, a tutto il Medio oriente, pensando inoltre che il regime siriano sarebbe crollato rapidamente, rassicurato dal fatto che gli Usa e l’UE avessero intrapreso politiche fortemente ostili al governo di Bachar elAssad. Erdogan si è quindi associato alle iniziative contro la Siria e ha consentito a tutti i movimenti di opposizione armata di passare attraverso il suo territorio, per recarsi nel nuovo teatro di guerra. Ma ha dovuto constatare l’abbandono degli Usa e degli Europei, che hanno smesso di minacciare direttamente Damasco. Un’altra disillusione per Erdogan è stato il fatto che le popolazioni curde siriane del nord non si siano unite ai ribelli. Al contrario, hanno concluso un patto di non aggressione col governo siriano, che ha loro lasciato campo libero, per concentrare le forze nelle zone considerate più vitali. È il caso della battaglia di Kobane: Erdogan ha dovuto consentire il passaggio

di peshmerga provenienti dall’Iraq, che andavano in soccorso della guarnigione curda. Per contro ha mantenuto fermo il divieto agli Statunitensi di usare le basi turche per portare soccorso a Kobane. Ciò non ha impedito a questi ultimi di bombardare le posizioni dello Stato Islamico nei dintorni della città assediata. Quando la città è stata liberata, l’ossessione è diventata che i Curdi siriani riuscissero a unire i tre cantoni che si stendono lungo la frontiera, per formare un embrione di Stato. Ha allora ripescato una vecchia proposta di ‘zona tampone’, che dovrebbe essere posta sotto controllo internazionale, e che taglierebbe in due la Rojava. Consentirebbe anche di crearvi dei campi per rifugiati dove la Turchia potrebbe rimandare parte del milione di persone sfollate che attualmente accoglie. Recentemente Erdogan avrebbe aperto le basi turche all’aviazione statunitense in cambio della realizzazione, a termine, di questa zona tampone. L’accordo concluso dai ‘5+1’ con l’Iran sul nucleare, e la prossima fine delle sanzioni, costituiscono per la Turchia una vera sfida per la propria influenza nella regione. Sul piano internazionale, è costretto a ridimensionare le proprie ambizioni, dopo che l’Iran è tornato protagonista della scena internazionale e l’Egitto del presidente al-Sisi ha dimostrato di non essere fuori gioco, come sperava. Le sue recenti aperture verso l’Iran, la Russia e l’Arabia Saudita si inseriscono in questo contesto. Per contro, non sembra disposto a riallacciare con Israele.


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grecia

Un primo positivo bilancio della campagna di sostegno ai centri di solidarietà sociale in Grecia di Raffaella Bolini Relazioni internazionali Arci

Il 19 settembre la presidente nazionale dell’Arci Francesca Chiavacci sarà ad Atene, accompagnata da Greta Barbolini e da chi scrive. Formalizzerà la consegna a ‘Solidarity for All’ dei fondi raccolti nei suoi primi quaranta giorni della campagna a sostegno delle strutture di mutuo soccorso in Grecia. Sono circa 30.000 euro, destinati a sostenere le urgenze più impellenti - prime fra tutte l’assistenza a migranti e rifugiati, e i materiali scolastici per gli studenti alla ripresa della scuola. Un grazie grandissimo va alle tante

persone che hanno risposto all’appello dell’Arci. C’è chi ha donato piccole cifre, chi somme consistenti. C’è chi ha versato un secondo contributo. Tutti gesti importanti e preziosi. Grazie anche a tutti i media che hanno scelto di dare notizia della campagna, ma un grazie enorme va a il manifesto, che dall’inizio e con regolarità invita i suoi lettori ad aderire. La raccolta fondi prosegue. Cominciano ad arrivare le somme raccolte da comitati e circoli dell’Arci nelle loro iniziative, che riprendono con la fine dell’estate.

La visita ad Atene sarà l’occasione per un rilancio della iniziativa con lo sviluppo di gemellaggi: all’aiuto economico si aggiungerà una relazione permanente fra strutture territoriali. Scambiare esperienze è importante, per aiutarsi reciprocamente a migliorare il proprio lavoro quotidiano. La campagna dell’Arci è stata lanciata il giorno dopo la drammatica riunione dell’Eurogruppo, dove la leadership europea ha inflitto una grande umiliazione al governo greco e al suo popolo, reo di aver sfidato i poteri forti e l’austerità. Ma potrebbe essere stata una vittoria di Pirro. Tanti e tante hanno capito, in quei giorni, di fronte a una arroganza del potere tanto grande, da che parte stanno la ragione e il torto. La Grecia ha attirato tante simpatie, e molti hanno più chiaro che siamo tutti, noi popoli europei, davvero sulla stessa barca. Se uno è schiacciato, siamo più deboli tutti. Per questo la solidarietà concreta al mutualismo è un atto politico. Se non siamo capaci di costruire solidarietà e mutuo sostegno fra di noi, nessuno da solo avrà mai la forza di sconfiggere chi invece in Europa, in maniera coordinata e con molte frecce al proprio arco, impone di mettere al primo posto i mercati invece che i diritti delle persone. Se non riusciamo insieme a fare avanzare l’Europa dei diritti e della dignità, la frustrazione popolare finisce nelle grinfie dei movimenti razzisti, regressivi, fascisti che in tutto il continente si fanno minacciosi - contro i migranti, i rifugiati, contro il futuro di tutti e tutte. Il 20 settembre la Grecia va al voto. Dovrà decidere se confermare la fiducia ad Alexis Tsipras e a Syriza, che rivendicano la scelta di non aver portato il paese al suicidio, e di voler continuare a combattere dalla parte giusta. La Grecia è stata lasciata molto sola, fino a luglio. A ciascuno ora in Europa spetta di trovare il modo perché ciò non accada più, e provare a vincere insieme. La campagna di solidarietà concreta dell’Arci è un modo per rendere più facile, a tanti e tante in Italia, di fare la propria parte.


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Corpi Civili di Pace: la sperimentazione deve essere inclusiva di Silvia Stilli direttrice Arcs

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio il decreto interministeriale sui Corpi civili di pace. Parte la fase di sperimentazione di un percorso di volontariato per 500 giovani in 2 anni (2015-2016) in zone di post conflitto ed emergenza per: sostenere i processi di democratizzazione,mediazione e riconciliazione e le capacità operative e tecniche della società civile locale per la risoluzione dei conflitti; monitorare il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario; realizzare attività umanitarie, tra cui sostegno a profughi, sfollati e migranti, reinserimento sociale degli ex-combattenti, facilitazione dei rapporti tra comunità residenti e i profughi, sfollati e migranti; promuovere l’educazione alla pace; sostenere la popolazione civile che fronteggia emergenze ambientali, nella prevenzione e gestione dei conflitti generati da tali emergenze. L’istituzione di questa sperimentazione è all’interno della articolo 1, comma 253, della legge finanziaria del 2014 n.147 del 27 dicembre 2013. Il ‘padre’ ispiratore è il compianto Alexander Langher, attivista pacifista

e umanitario. L’Arci è tra le realtà che hanno chiesto di attivare questo processo delicato, che richiede una forte attenzione delle associazioni ed enti di invio nella formazione e nell’offrire opportunità di inserimento in progetti che siano rispondenti alle finalità del programma. Si è in attesa dell’uscita del bando, con l’auspicio

che vengano inserite alcune modifiche rispetto al Decreto, laddove sono stati indicati parametri troppo restrittivi per la partecipazione inclusiva degli attori sociali alla fase di sperimentazione, paradossalmente penalizzando il protagonismo delle stesse ong di cooperazione internazionale. stilli@arci.it

SAVE THE DATE - Cascina Triulza, 22 SETTEMBRE: Frutti di pace - Cooperativa Insieme di Bratunac in partenariato con 21-27 settembre 2015 Questa la settimana in cui ARCS e ARCI, in Cascina Triulza, all’interno dello spazio dedicato alla società civile in Expo Milano 2015, presenteranno esperienze e buone pratiche sia del territorio che sperimentate nei progetti di cooperazione internazionale in Bosnia, a Cuba e in Cameroun. Ogni giorno lo stand sarà teatro di eco-dimostrazioni sull’utilizzo dei principali strumenti tecnologici impiegati nello sviluppo dei progetti e di workshop fotografici a cura del fotografo professionista Giulio di Meo. Questi le iniziative pubbliche: 21 SETTEMBRE: Conferenza stampa e aperitivo di inaugurazione.

ARCI e ARCS. 24 SETTEMBRE: Seminario: Agricoltura di Promozione Sociale, l’Agricoltura e la trasformazione dell’agro-alimentare come percorsi e strumenti di inclusione sociale e emancipazione lavorativa, nella rete dell’Arci 25 SETTEMBRE: Seminario sul progetto ARCI Qualità lavoro e filiera del lavoro nero in agricoltura. 27 SETTEMBRE: Evento finale Infinito futuro con presentazione dei materiali realizzati durante i workshop fotografici e gli scambi internazionali, tavola rotonda sulla comunicazione sociale e premiazione del contest fotografico.

La puzza e l’orgoglio di Beirut di Elisa Piccioni cooperante Arcs a Beirut

Sessanta arresti e decine di feriti, tra cui una persona in condizioni molto gravi dopo essere stata colpita da un gas lacrimogeno. Secondo gli attivisti del movimento Tol3et Re7tkom (Voi puzzate) è questo il bilancio delle proteste contro la gestione catastrofica dei rifiuti che da giovedì scorso animano la capitale libanese. Quello che sembra avere tutta l’aria di essere il risveglio, se non dei libanesi, almeno dei beirutini, ha inizio il 19 luglio quando viene chiusa la discarica di Naameh, vicino Sidone. Quasi in concomitanza, scade il contratto della società Sukleen, che grazie ad agganci politici, detiene il monopolio della raccolta rifiuti dal 1994: un business, che ha fruttato alla società vicina alla famiglia Hariri oltre 140 euro a tonnellata. Da allora il governo non è riuscito a trovare né una nuova sistemazione per i rifiuti né a firmare un nuovo contratto per la gestione dei rifiuti. Per diversi giorni la raccolta della nettezza urbana si ferma: l’immondizia inizia ad invadere i cigli delle strade, mentre la puzza nauseante

e le nubi di diossina raggiungo ogni casa della capitale. A metà agosto si trovano soluzioni temporanee: Sukleen, pur senza un chiaro mandato, riprende la raccolta riversando però i rifiuti dove capita, compresi corsi d’acqua e spazi verdi. È in questo momento che i libanesi, esasperati dall’ennesima disfunzione dei servizi pubblici in città, decidono che non ci stanno. Emerge dal basso, trasversale alle diverse anime del paese e spoglio di affiliazioni politiche e religiose, il collettivo Voi puzzate. Nato per trovare una soluzione ecologica all’emergenza rifiuti, si trasforma in fretta in un movimento politico che si spinge fino a rivendicare lo scioglimento del governo e le elezioni di un nuovo parlamento. La cattiva gestione della crisi dei rifiuti diventa infatti specchio di una classe politica corrotta e clientelare, ormai da decenni dedita ai propri interessi e incapace di risolvere i problemi del paese. Sabato 22 agosto il primo grande raduno. La manifestazione è pacifica - partecipano giovani, ma anche famiglie con bambini

e anziani- ma la presenza di alcuni elementi più violenti provoca la reazione violenta dell’esercito che risponde con gas lacrimogeni, bombe carta, idranti d’acqua e proiettili di gomma. Nonostante la repressione, rabbia ed entusiasmo crescono e da allora si continua a scendere in piazza, quasi ogni giorno, con slogan e cartelli che inneggiano «a-sha’b iurid isqat al-nizam», il popolo vuole la fine del regime. Il movimento Voi puzzate è ancora giovane e il dibattito sui prossimi passi è ancora in corso. L’annullamento della gara d’appalto per l’assegnazione della gestione dei rifiuti, per la quale nessuna società sembra aver presentato una proposta convincente, è stata percepita dai manifestanti come una vittoria e una spinta ad andare avanti. Proprio in quei giorni si è tenuto a Beirut il workshop di conoscenza e video-making organizzato da Arcs. Alla luce degli avvenimenti, il campo estivo di Arcs è divenuto anche una preziosa occasione per documentare e approfondire le rivendicazioni della società civile libanese in questo particolare momento.


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terzosettore

Il difficile iter del disegno di legge di riforma del Terzo settore di Maurizio Mumolo Reti di Terzo Settore e Fondazioni

Il DDl di riforma del Terzo settore che era stato approvato con un iter accelerato alla Camera è ora fermo da mesi al Senato. Le ragioni dello stallo sono di natura tecnica e politica. La commissione del Senato alla quale è stata affidato il provvedimento è la Affari Costituzionali, quella dal calendario di gran lunga più affollato perché deve fornire pareri preliminari su tutte le leggi in discussione oltre a trattare temi molto impegnativi, come la riforma del Senato, quindi ha poco tempo da dedicare ad altri argomenti. Al Senato non esiste una commissione equivalente alla ‘Affari sociali’ della Camera, il DDl poteva essere assegnato anche alla commissione Lavoro (per affinità) o alla Giustizia (trattandosi di riforma del codice civile), ma si è deciso diversamente. Altro problema: dato il profilo, tutto politico dei componenti della commissione affari costituzionali si è scelto come relatore un esterno, il sen. Lepri, maggiormente competente in materia. Questa scelta, forse inevitabile, ha però ulteriormente complicato la vicenda. Queste le ragioni di natura, per così dire, tecnica, ma ci sono anche ragioni più di merito.

Il sen. Lepri non ritiene di interpretare il suo ruolo come quello di un semplice accompagnatore di un provvedimento già del tutto definito, ma ritiene necessario apportarvi anche modifiche molto sostanziali: solo per citare i titoli, si va dalla riscrittura delle caratteristiche dei Centri di servizio per il Volontariato, alla ridefinizione civilistica di ente non commerciale, all’introduzione di importanti modifiche dell’impresa sociale, all’aggiornamento della parte fiscale, fino alla stessa definizione di ente di Terzo settore contenuta nell’art. 1. Come si vede, tutte tematiche di grande rilievo, ciascuna delle quali richiederebbe un approfondimento non facile e non breve. Peraltro siamo ancora alle anticipazioni perché di scritto non c’è ancora nulla in quanto la scadenza per la presentazione degli emendamenti, rimandata più volte, è stata fissata per il prossimo 7 settembre. Solo allora potremo vedere il testo di quello che si preannuncia, almeno nelle intenzioni del relatore, un nuovo Ddl. In pratica si stanno scontrando due concezioni diverse: da una parte quello emerso alla Camera che preferisce una legge di riordino e adeguamento della normativa già esistente, dall’altra quella

che si sta annunciando al Senato che raffigura una riscrittura più radicale e complessiva. Alcuni organi di informazione, Vita in testa a tutti, sta criticando duramente questi ritardi, richiamando il Governo all’urgenza dell’approvazione. In realtà le organizzazioni del terzo settore sembrano molto tiepide al riguardo, e per un semplice motivo: il testo uscito dalla Camera aveva bisogno di una revisione su alcuni punti importanti, e quindi è meglio dedicare del tempo per produrre una buona legge che approvare in fretta una legge dall’applicazione problematica. Questa è anche l’opinione del Forum del Terzo settore che, pur apprezzando una serie di modifiche annunciate dal sen. Lepri, vede tutti i pericoli di una radicale rimessa in discussione dei capisaldi della legislazione vigente. Le leggi hanno lo scopo di riordinare, innovare e promuovere ma non possono non tenere conto della realtà per come si è affermata nel corso degli anni. É anche il caso del Terzo settore italiano: tutti enfatizzano il grande contributo che dà alla crescita sociale ed economica del paese, ma introdurre modifiche radicali al suo assetto rischia di fargli perdere identità e valore.

5 per mille 2013, i primi pagamenti entro il 10 settembre Arrivano le prime notizie certe sui pagamenti del 5 per mille 2013. Dopo l’allarme delle associazioni, che quest’anno non avevano ancora visto arrivare i contributi (mentre l’anno scorso ad agosto erano già stati deliberati), il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali risponde e assicura: i primi bonifici partiranno entro il 10 settembre. Ma solo per le organizzazioni più «ricche». La legge prevede infatti che a essere erogate per prime siano le somme più cospicue, cioè quelle che superano i 500mila euro; a seguire tutte le altre. In questo primo elenco degli enti più premiati figurano circa 40 organizzazioni (appartenenti all’elenco del volontariato,

di competenza del Ministero del Lavoro), sui cui conti affluiranno quindi i contributi tra pochi giorni. Per tutti gli altri aventi diritto, invece, (circa 30mila) i tempi si allungano perché è necessario prima confrontare gli estre-

mi di pagamento e assicurarsi che dopo un anno non siano cambiati. Un confronto elettronico tra gli Iban trasmessi dal’Agenzia delle Entrate, ricavati dalle dichiarazioni dei redditi 2013, e quelli già in possesso del Ministero, e quindi relativi all’anno precedente. Qualche cambiamento - spiegano dal Ministero - è fisiologico, ma deve essere individuato prima di effettuare gli ordini di pagamento, onde evitare che gli stessi non vadano a buon fine. Una volta ultimata questa verifica, i 30mila bonifici residui potranno essere effettuati. Sui tempi tecnici dell’operazione in via Fornovo per ora non si sbilanciano.


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società

Unioni civili: la solita anomalia italiana di Bia Sarasini giornalista, già direttrice di Noi donne

È un percorso a ostacoli, quello che si è aperto in commissione giustizia al Senato mercoledì 2 settembre per il ddl sulle Unioni Civili. Nulla di nuovo, in verità, per una legge che è al centro di un intenso scontro ideologico mai risolto, che si può riassumere così: le unioni civili equivalgono al matrimonio? Vale la pena di ricordare che la prima grande modifica, avvenuta sempre su spinta cattolica, è stata la separazione tra unioni civili, riservate a coppie dello stesso sesso, di cui si occupa la prima parte della legge, e dall’altra parte la regolamentazione delle convivenze, che riguardano esplicitamente le coppie di fatto eterosessuali. L’obiettivo era scongiurare la svalorizzazione dell’istituto del matrimonio. Non sorprende che i lavori si riaprano con l’accettazione da parte della relatrice Monica Cirinna’ (Pd) di alcune delle proposte dei cattolici del Pd. Il nuovo testo chiarisce che le unioni civili sono un « istituto originario», che nulla ha che fare con il matrimonio. Viene eliminato

dunque ogni riferimento all’articolo 29 della Costituzione, che definisce il matrimonio. Nello stesso spirito, invece dei riferimenti agli articoli del codice civile che regolano il matrimonio, verranno elencati i diritti che il ddl prevede per le ‘unioni civili’ tra le persone dello stesso sesso. Questo è il risultato della mediazione portata a termine, all’interno del PD,dal cattolico Giorgio Tonini. Ma sarà sufficiente a garantire il risultato positivo, in commissione e nella votazione in aula? Il premier Matteo Renzi ostenta ottimismo. Intervistato alla vigilia dei lavori in commissione dal Corriere della Sera ha dichiarato: «Le unioni civili si faranno. Punto». In termini stretti, di voti, la legge dovrebbe farcela, perché Movimento5Stelle e Sel sono pronti a sostenerla, se non ne verrà stravolto l’impianto, cioè la parità tra unioni e matrimonio. È la maggioranza a essere in difficoltà. I senatori Ncd non hanno nessuna intenzione di votare a favore, e qui

naturalmente i problemi specifici della legge si intrecciano con la tenuta della maggioranza, e della legislatura. In ogni caso il senatore Carlo Giovanardi, capogruppo Ndc-Ap nella commissione giustizia non si fa pregare per tuonare contro, come suo solito, e ripete quanto ha già detto da Angelino Alfano: «La legge non fa parte del patto di governo della maggioranza». In buona compagnia, per esempio di Maurizio Gasparri, di Fi, che tuona contro le adozioni. Non le adozioni ‘nuove’ di una coppia omosessuale, già esclusa dalla legge, ma la cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione da parte del partner del figlio di uno dei due. Insomma, una battaglia estenuante. Di fatto il movimento lgtb italiano si trova di fronte a un paradosso, costretto sostenere una legge che sconfessa il principio che ha orientato le lotte di questi anni: il diritto al matrimonio per tutt*,un diritto oggi affermato nel mondo occidentale, compresa la cattolicissima Irlanda. La solita anomalia italiana.

L’anteprima di Left in edicola sabato Adele Parrillo voleva donare alla ricerca scientifica cinque embrioni crioconservati ma la Corte europea dei diritti umani ha detto no. Dalla storia di questa donna, compagna del regista Stefano Rolla, una delle vittime di Nassiriya, alla lotta tenace che gli scienziati e i giuristi italiani conducono per la libertà di ricerca scientifica in Italia. È questa la storia di copertina di Left in uscita il 5 settembre. Il racconto di tre donne protagoniste di una battaglia a favore della scienza contro i divieti senza senso di certa politica. In Italia la sentenza di Strasburgo che nega la possibilità alla Parrillo di donare i suoi embrioni alla ricerca scientifica viene strumentalizzata per difendere

l’ultimo divieto, forse il più assurdo, quello di utilizzare embrioni soprannumerari e non idonei per le gravidanze per fare ricerca scientifica con cellule staminali embrionali. Su Left Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni, Elena Cattaneo scienziata e senatrice a vita, ribadiscono l’importanza del ruolo delle staminali embrionali per la ricerca e denunciano l’ipocrisia italiana che vieta di usare embrioni ‘italiani’ ma non vieta di acquistarne dall’estero. Mentre il governo Renzi si ostina a non ridiscutere l’articolo 13 della Legge 40, (che appunto, vieta la sperimentazione sulle cellule staminali embrionali). Fatto di importanza vitale per la ricerca, come scrive Elena Cattaneo, che ha dedicato la sua vita allo studio di cure per malattie come la Corea di Huntington. «Decidere di tirare giù quell’ultimo divieto senza senso vorrebbe dire sancire finalmente e definitivamente che l’embrione non è soggetto giuridico da tutelare, ma un pugno di cellule», scrive il direttore Ilaria Bonaccorsi nel suo editoriale.

In Società Left racconta le manovre del centrodestra con Angelino Alfano (Ncd) sempre più vicino al premier Renzi. E ancora: i retroscena sui servizi di sicurezza beffati a Roma con i funerali Casamonica e un ritratto senza veli di Don Mazzi. Negli Esteri, l’intervista a Saeb Erekat, capo dell’esecutivo dell’Olp, il personaggio Donald Trump miliardario in corsa per i repubblicani, un ‘tuffo’ nel linguaggio politicaly correct dei college americani, un reportage da Cuba sulla ‘euforia’ da Internet e infine un servizio da Londra sul pugno duro antiimmigrati. Circa 600 musicisti jazz il 6 settembre suoneranno a L’Aquila, cento concerti in dodici ore, ne parla Paolo Fresu, il direttore artistico dell’evento. E ancora tanti personaggi: lo scrittore Frank Westerman e le leggende d’Africa, Fabiola Gianotti e la sua scoperta del bosone di Higgs, il regista Piero Messina che debutta a Venezia con il film L’attesa e il rapper Ali Cham, voce degli oppressi del Gambia. Buona lettura.


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arcireport n. 29 | 3 settembre 2015

diritti

C’è ancora molto da fare per migliorare le condizioni di vita nelle carceri di Marco Solimano presidente Arci Livorno

Estremamente scrupoloso ed attento il rapporto di Antigone. Rappresenta nella sua complessità, ma anche nella sua semplicità, la condizione in cui versano le carceri italiane, le profonde modificazioni intervenute negli ultimi anni, ma soprattutto l’incapacità strutturale a ripensare se stessa e l’idea dell’istituzione totale oramai superata dal tempo e dalla storia. Vediamo cosa è accaduto negli ultimi anni. Fino ad un paio di anni addietro ci siamo dovuti misurare con un’emergenza drammatica, che metteva in discussione

i diritti umani dei detenuti e le loro condizioni di esistenza. Il sovraffollamento, la mancanza di spazi per esprimere forme di socialità, l’assoluta precarizzazione e parcellizzazione del quotidiano penitenziario. Una cultura che ha visto la carcerazione come strumento quasi esclusivo di risposta a comportamenti antisociali, che a seguito di leggi liberticide (Bossi-Fini, legge Giovanardi sulle droghe, vari decreti sicurezza) ha riempito le nostre galere di soggetti marginali, meno rappresentati, tossicodipendenti e stranieri, facendola

Antigone in carcere, pre-rapporto sulle condizioni di detenzione I numeri al 30 giugno 2015 Finalmente diminuisce la popolazione detenuta. I detenuti al 30 giugno 2015 sono 52.754. Guardando sempre al mese di giugno i detenuti erano 31.053 nel 1991 (c’era stato da poco il provvedimento di amnistia), sono cresciuti sino a 54.616 nel 1994 (dopo la riforma dell’ordinamento penitenziario e la preclusione all’accesso alle misure alternative per molti detenuti), 56.403 nel 2003 (all’indomani della legge Bossi-Fini sull’immigrazione), 63.630 nel 2009 (esito delle leggi sulle droghe e sulla recidiva), fino al triste record di 68.258 nel 2010 (che ci è valsa la condanna della Corte Europea nel 2013). Le riforme messe in campo a partire dal 2012 hanno prodotto finalmente una situazione di minore affollamento. Il Dap afferma che i posti letto regolamentari sarebbero 49.552, ma precisa che il dato sulla capienza non tiene conto di situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. In ogni caso ci sono 3.232 detenuti oltre la capienza massima. Gli ingressi nel primo semestre del 2015 sono stati 24.071, in netto calo rispetto al passato.

Mai così pochi imputati. Sempre troppi rispetto al dato Europeo

Gli imputati, presunti innocenti, sono il 33,8% del totale della popolazione detenuta. Erano il 43,4% nel 2010. È questo l’esito delle riforme che hanno ridotto l’uso della custodia cautelare.

Stranieri anche loro in calo

Gli stranieri sono il 32,6% del totale. Erano il 36,58% nel 2010 prima che la Corte di giustizia de l’Aja ci imponesse di disapplicare il reato di inottemperanza all’obbligo di espulsione del questore.

diventare la più grande discarica sociale e luogo di contenimento delle contraddizioni più stridenti che nascevano nei territori. Poi arriva la condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo che stigmatizza non solo il sovraffollamento ma anche il numero di ore di restrizione in cella. Arriva dunque l’apertura delle celle per almeno otto ore al giorno. Interviene poi, snodo fondamentale, la sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittimi gli articoli più delicati della Giovanardi, accompagnata da provvedimenti legislativi che hanno l’effetto di decongestionare le presenze negli istituti di pena. Ed eccoci tornati al carcere dell’oggi, oggetto del rapporto di Antigone. Un carcere sicuramente meno affollato, con le celle aperte per qualche ora in più, ma sempre drammaticamente uguale a se stesso, uno strano soggetto capace di autoriprodurre i suoi limiti e le sue fatiscenze, quasi del tutto incapace a lasciarsi permeare da culture diverse che da tempo riflettono sul senso della pena nella nostra epoca. Nostro compito è invece produrre e riprodurre senso, progetto, opportunità, possibilità. Il tema della salute e della sanità, dell’affettività e dell’esercizio della sessualità, del tempo vuoto della pena, della relazione virtuosa coi territori e con le espressioni sociali, culturali ed artistiche della città rimangono ancora del tutto inevasi, a testimoniare la natura fossile dell’istituzione penitenziaria. Ma è la concezione della pena, da una dimensione custodialista, punizionista e quasi vendicativa a quella inclusiva, risocializzante e partecipata la vera sfida, la premessa indispensabile perché i luoghi di pena possano tornare ad essere luoghi della città, seppur particolari, luoghi troppo spesso rimossi dall’immaginario collettivo. Dunque qualcosa è sicuramente accaduto negli ultimi tempi. Il rapporto di Antigone ci rappresenta la realtà con la quale confrontarci. Ma rappresenta anche un’importante agenda di lavoro. Rimangono questioni aperte sulle quali spendere energie, cultura, progetto. È importante costruire reti, alleanze e percorsi solidali. Rinnovo l’invito a mobilitarsi affinchè, nei territori in cui ci sono istituti penitenziari vengano nominati i Garanti dei diritti delle persone private della libertà individuale… questa potrebbe essere una bandiera della nostra associazione.


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versol’assembleadeicomitati

Verso l’assemblea nazionale dei comitati territoriali di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci

Nei giorni del 10 e dell’11 ottobre, a Roma, terremo la nostra prima Assemblea dei Presidenti dei Comitati territoriali Arci. Un confronto aperto tra coloro, circa 100 tra uomini e donne, che sono ‘in prima linea’ ogni giorno nella costruzione dell’identità dell’Arci nelle città, nelle aree metropolitane, nei territori, nella gestione quotidiana della relazione con i cittadini e i circoli e le associazioni affiliate, della spesso difficile relazione con

le istituzioni locali. Persone chiamate e impegnate a tessere la tela di relazioni con le altre associazioni del Terzo settore, con i sindacati, con i movimenti, con le varie forme di partecipazione dei cittadini. Vogliamo, in quell’occasione, dare valore al loro lavoro, confrontarci insieme su nuovi strumenti di visibilità e presenza nei territori, provare ad approfondire e a definire meglio le priorità di lavoro della nostra associazione.

Abbiamo pensato di cominciare a preparare questo appuntamento attraverso dei contributi su Arcireport, che pensiamo possano rappresentare un momento di confronto, di scambio e di conoscenza delle buone pratiche, delle attività e magari anche delle difficoltà che i nostri dirigenti incontrano. Dedichiamo una rubrica ai loro racconti, con l’auspicio che possa continuare anche dopo l’assemblea stessa.

I presidenti di Arci Udine e Pordenone e di Arci Palermo raccontano i loro territori di Antonella Fiore Arci Udine e Pordenone

Il ruolo del comitato Arci di Udine e di Pordenone, che conta 18 circoli (di cui 14 in provincia di Udine e 4 in quella di Pordenone) e 4100 soci (di cui 2000 di un solo circolo) è prima di tutto essere punto di riferimento per i circoli presenti sul territorio. Parallelamente cerca di costruirsi un ruolo politico e pubblico, provando a fare rete con le altre realtà del terzo settore, partecipando a tavoli e a coordinamenti e realizzando proprie iniziative. Prova inoltre ad interfacciarsi con il mondo istituzionale che poco conosce la realtà dell’Arci, che solo negli ultimi anni sta emergendo, grazie a circoli storici che lavorano con costanza sul territorio e a circoli più giovani che hanno saputo emergere all’esterno ottenendo consenso. Il nostro comitato ha circoli che operano nelle periferie della città di Udine e nel pordenonese ha circoli che si trovano in paesi decentrati rispetto alla città. Vive quindi questo doppio aspetto di comitato periferico con circoli periferici. È questo un valore aggiunto che ci spinge a valorizzare i luoghi dove di fatto le persone vivono. Un aspetto negativo è sicuramente quello di non avere una rete all’interno del nostro comitato, i circoli agiscono in autonomia senza alcuna relazione. La principale difficoltà di cui soffre il nostro comitato è sicuramente la mancanza di risorse economiche e umane. Le entrate principali sono quelle che derivano dal tesseramento e vengono interamente assorbite dal mutuo per la nostra sede. Non abbiamo quindi persone pagate per fare Arci, siamo tutti volontari e questo si traduce in frustrazione e stanchezza, che spesso prendono il posto della passione. L’Arci nazionale può avere un ruolo importante nel valorizzare i territori deboli, costruendo momenti formativi periodici e individuando una figura professionale che sappia aiutare un territorio a crescere. L’Arci nazionale dovrebbe cercare di utilizzare gli strumenti del profit adattandoli al no profit: marketing, comunicazione, gestione aziendale. Dobbiamo quindi dare gambe forti all’Arci partendo dai territori, conoscerli, analizzarli e aiutarli. Lo sviluppo associativo deve essere una priorità, ma l’obiettivo principale non deve essere l’aumento dei circoli e dei soci ma la ristrutturazione dell’esistente per poter avere un futuro. Anche sul piano politico l’Arci non dovrebbe dimenticare che il primo consenso da cercare sta nei propri soci e solo dopo nelle altre realtà di sinistra che soffrono vent’anni di crisi culturale, di cui dovremmo considerarci complici e non solo vittime.

di Tommaso Gullo Arci Palermo

Fondata nel 1992, l’Arci Palermo, con molta probabilità, è una delle più giovani. Malgrado soffra questa breve continuità storica, l’Arci a Palermo è riuscita ad affermarsi come realtà aggregativa, politica e culturale efficace e riconoscibile. La lotta al pensiero mafioso tramite le nostre attività politiche e culturali è sicuramente l’attività che ci ha più contraddistinti. Il progetto Bussola di sostegno agli ex detenuti, Rise a sostegno degli ex tossicodipendenti, Venti di gioco con i ragazzi delle periferie, le innumerevoli Feste della musica, il progetto Liberarci dalle Spine con la cooperativa Lavoro e non solo di Corleone, il Palermo Pride, la Carovana Antimafie e, da quest’anno, la Festa della Liberazione sicuramente sono state le attività più significative. Molti di questi progetti si sono interrotti per carenza di fondi pubblici, molte voci di bilancio sono state cancellate a causa dei tagli effettuati dai vari governi che si sono succeduti. La mancanza di fondi è, appunto, il problema più grave del nostro territoriale. Dal 2014 esiste un nuovo gruppo dirigente che ho l’orgoglio di rappresentare. Una vera e propria fase di ‘costruzione’ dell’associazione, rendendo protagonisti tutti i soggetti che la compongono. Continui scambi, incontri, corsi e iniziative condivise hanno avviato una incessante fase di interazione tra e con i circoli. Un nuovo sito e una newsletter settimanale, inoltre, ci permettono di coinvolgere direttamente i nostri soci. Strumenti e metodi grazie ai quali oggi registriamo il nostro territoriale in netta crescita con quasi 6000 soci. Quando mi chiedono in che modo l’Arci potrebbe sostenere le proprie basi associative non è facile rispondere. La diversità del nostro tessuto associativo emerge già nella dimensione provinciale e immagino la complessità di dipingerne un quadro nazionale senza incorrere in evidenti contraddizioni. Credo fermamente che l’Arci sia una risorsa straordinaria ma con delle notevoli difficoltà nel leggersi. Esempi di eccellenza come gestione dei beni comuni, accoglienza, giustizia sociale, diritti ed eventi, non possono rimanere isolati. Questi vanno resi patrimonio dell’intera associazione e utilizzati come standard operativi ed etici.


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ucca

arcireport n. 29 | 3 settembre 2015

Si è aperta a Venezia la 72a Mostra internazionale del Cinema di Roberto Roversi presidente nazionale Ucca

Non c’è da invidiare Alberto Barbera, direttore di una Mostra di Venezia che sarà pure il più antico Festival del Cinema del mondo, ma che soffre di una concorrenza che, anno dopo anno, si fa sempre più accesa. Collocato storicamente all’inizio della stagione, deve contendere i pezzi pregiati a Locarno, Telluride, New York e, soprattutto, Toronto, tutti schedulati tra agosto ad ottobre, per non parlare dell’assurda rivalità interna della Festa del Cinema di Roma. Per cui desta sempre un po’ di meraviglia la qualità della line-up veneziana, in grado comunque di annoverare ogni anno una scarica di titoli molti attesi, la presenza di riveriti maestri, di giovani cineasti promettenti e la giusta dose di glamour. Certo, le assenze si notano: Spielberg ha scelto New York (come già l’anno scorso fecero Paul Thomas Anderson e David Fincher), Locarno ha scippato registi interessanti come il coreano Hong SangSoo (che ha conquistato il Pardo d’Oro) e Athina Rachel Tsangari, nome di punta della cosiddetta Greek Weird Wave.

Ma è soprattutto a Toronto (e al suo mercato) che Venezia deve annualmente pagare dazio, soprattutto per i titoli anglosassoni, visto che il festival canadese potrà presentare in esclusiva il nuovo misterioso progetto di Michael Moore, Where to Invade Next, l’atteso Sunset Song di Terence Davies, nonché gli ultimi lavori di Stephen Frears e Ridley Scott, solo per fare qualche nome. Ciononostante il menu veneziano è ricco e speziato, a cominciare da un concorso che annovera maestri come Sokurov, Gitai e Skolimowski ed auteurs affermati come Giannoli ed Egoyan. Le sorprese potrebbero arrivare da Beasts of No Nation di Cary Fukunaga, regista

della prima serie di True Detective e da Heart of a dog di Laurie Anderson. Ma il colpo al cuore potrebbe essere Anomalisa, seconda regia di Charlie Kaufman, qui alle prese con un’animazione in stopmotion. Dal migliore sceneggiatore di Hollywood (Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Eternal sunshine of a spotless mind) e dal regista del cerebrale e disturbante Synecdoche, New York, ci aspettiamo un ennesimo tassello della sua poetica sulla solitudine e la fragilità dei rapporti umani. In chiusura, un appunto inevitabile: quattro film italiani in competizione in un festival internazionale sono troppi: spero di sbagliarmi, ma temo che qualcuno dei titoli avrebbe potuto trovare una degna collocazione in una delle sezioni minori. Infine, tra la miriade di altre opere interessanti disseminate appunto nelle sezioni collaterali, ci piace ricordare Non essere cattivo, il film postumo di Claudio Caligari, scomparso tre mesi fa, indimenticato autore di Amore tossico e grande irregolare del cinema italiano.

Cinema all’aperto a Piacenza salvato dal crowdfunding di Piero Verani Cinemaniaci

La rassegna estiva di film a cura di Cinemaniaci associazione culturale e Arci comitato provinciale di Piacenza si è chiusa solo lunedì 31 agosto e possiamo già dire che è stata un successo. Non solo per la qualità delle opere proposte, per l’apprezzamento manifestato da parte del numeroso pubblico, per l’impegno dei volontari che fanno funzionare la macchina organizzativa o per le buone condizioni meteorologiche grazie alle quali - a differenza della scorsa piovosa e fredda estate - non abbiamo quasi perso proiezioni. È stata un successo per un motivo molto più banale: perché è esistita. Punto. Nella sua semplicità questo è l’elemento peculiare dell’edizione 2015. Non era per niente scontato riuscire a far continuare a esistere la manifestazione del cinema all’aperto a Piacenza. Altri non hanno potuto farlo. Noi stessi ci siamo arrabattati per la rassegna allestita a Pontenure (PC) da quasi trent’anni con un ciclo ‘vintage’ di soli quattro spettacoli a ingresso

gratuito, mentre in città ce l’abbiamo fatta dopo un lavoro di nove/dieci mesi tra preparazione e conduzione della campagna di raccolta fondi Un proiettore per Piacenza. Abbiamo subìto la scelta del passaggio dalla pellicola al digitale e l’abbiamo vissuta come un pericolo. Ma grazie al supporto offerto da moltissime persone (i dati ufficiali parlano di 605 sostenitori…) che hanno donato denaro o hanno pagato per partecipare a eventi a sostegno della campagna di crowdfunding, abbiamo conquistato la credibilità e la forza necessarie per ottenere ulteriori fondi da sponsor privati. Alla fine ci siamo dotati di un proiettore digitale professionale e abbiamo proposto ai piacentini e agli abitanti delle vicine province di Parma, Cremona, Lodi e Pavia cinquantatré spettacoli in DCP concentrati nei mesi di luglio e agosto. Un calendario fitto e un programma variegato, in cui purtroppo sono mancati film che avremmo voluto presentare: Stop the Pounding Heart e Louisiana

di Roberto Minervini, l’opera prima di Myroslav Slaboshpytskiy girata nella lingua dei segni The Tribe, il candidato agli Oscar come miglior film straniero Timbuktu di Abderrehmane Sissako, Blackhat di Michael Mann, Taxi Teheran di Jafar Panahi… Ma certamente siamo soddisfatti di avere scelto un buon mix tra opere più note e d’essai, film d’intrattenimento e impegnate o ‘difficili’. In luglio abbiamo concentrato le collaborazioni con altre realtà del territorio con proiezioni ad hoc su temi specifici: il fiume, il sud del mondo, il rapporto tra cinema e fumetto. Proprio per parlare della reciproca influenza che riguarda la settima arte e la ‘letteratura disegnata’ abbiamo invitato due esperti: Pasquale Frisenda, disegnatore di Tex Willer, e Alice Cucchetti, giornalista di Film Tv. E ora vediamo se riusciamo a inventarci qualche cine-cosa in altri spazi prima della prossima estate…


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arcireport n. 29 | 3 settembre 2015

società

Tutti i nodi del nuovo Senato di Alessandro Pace costituzionalista

La risposta, in senso affermativo, al quesito se il Senato debba, o non, essere elettivo discende indirettamente da un principio, vecchio di secoli e secoli, secondo il quale i corpi politici che effettuano deliberazioni giuridicamente vincolanti per tutta la comunità ‘debbono’ rinvenire la loro legittimazione nel voto popolare. Un principio che ha potuto realizzarsi appieno solo negli ordinamenti democratici. Il perché dell’elettività del Senato - e della Camera - sta quindi non solo nella natura rappresentativa delle assemblee, ma soprattutto nel fatto che la loro rappresentatività è indispensabile per legittimare la funzione legislativa. Se il Senato e la Camera non esercitassero la funzione legislativa, il problema della loro elettività nemmeno si porrebbe. In tale ipotesi, la spiegazione del perché dell’elettività di Camera e Senato andrebbe trovata altrove. Diversa è invece la risposta se i due rami del Parlamento esercitano entrambi la funzione legislativa, come appunto in Italia. In questo caso la doverosa elettività dei due corpi politici discende dal fatto che l’articolo 1 della Costituzione, nel proclamare che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione », garantisce l’elettività di tutti gli organi politici della Repubblica che esercitino la funzione legislativa, massima espressione della sovranità popolare. Pertanto, se, all’esito della procedura di revisione costituzionale in corso, il Parlamento confermasse l’attribuzione al Senato della funzione legislativa (e, addirittura, di quella di revisione costituzionale), la diretta elettività del Senato sarebbe doverosa, ai sensi del citato articolo 1. Per contro, in caso di violazione di tale disposizione, la riforma Renzi-Boschi andrebbe incontro a gravi conseguenze. La Corte costituzionale ha infatti affermato, nella famosa sentenza n. 1146 del 1988 (più volte ribadita), di essere competente a giudicare la costituzionalità delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale se esse violino «i valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». E ha inoltre affermato, in un significativo passaggio della sentenza n. 1 del 2014, dichiarativa dell’incostituzionalità del Porcellum, che il riconoscimento del suffragio popolare diretto rientra appunto nella garanzia del principio supremo della sovranità popolare. Né si obietti che in Francia il Senato, ancorché eserciti anch’esso la funzione legislativa, non è eletto direttamente dai cittadini. La deroga al principio del suffragio popolare diretto

è infatti esplicitamente prevista dalla stessa Costituzione, all’articolo 3, secondo il quale «il suffragio può essere diretto o indiretto alle condizioni previste dalla Costituzione…». E il suffragio indiretto si sostanzia nell’elezione di primo grado di circa 150 mila grandi elettori da parte dei cittadini francesi e nell’elezione di secondo grado dei 348 senatori da parte dei grandi elettori. Quali le obiezioni all’elettività del Senato? Che io sappia solo due. La prima, che se il Senato venisse eletto dal popolo, non gli si potrebbe negare il potere di votare la fiducia al governo, con conseguente ritorno al bicameralismo paritario (Boschi, Napolitano). La seconda, che l’elettività del Senato lo trasformerebbe in «una seconda Camera di confronto fra i partiti, inutile perché debolissima o potenzialmente di intralcio se dovesse esprimere un equilibrio fra forze politiche diverso da quello della Camera» (Onida). La prima obiezione non è che un sofisma: mentre il riconoscimento del suffragio popolare diretto rientra nella garanzia della sovranità popolare, il conferimento alla sola Camera dei deputati della titolarità del rapporto fiduciario costituisce una scelta politica del tutto libera, che non contrasta con alcuna norma o principio costituzionale, ma anzi si giustifica in considerazione della rappresentatività generale riconosciuta soltanto alla Camera dalla riforma Renzi-Boschi. Quanto alla seconda obiezione, non si vede come

Sabato notte ci ha lasciato Riccardo Torregiani Una notizia terribile e triste, per chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene. Riccardo è stato una figura importante del movimento antirazzista. Un compagno che ha dato un contributo fondamentale alla battaglia per i diritti dei migranti, considerandola una questione centrale per la qualità della democrazia. La Toscana, grazie all’impegno di Riccardo e di tante e tanti impegnati a promuovere una società aperta e solidale, è stata al centro di una stagione di straordinario impegno e protagonismo delle reti e delle associazioni per i diritti dei migranti e contro ogni razzismo. Ha rappresentato, per chi ha scelto questo come terreno principale del proprio impegno politico, un punto di riferimento importante per la sua capacità di stare dalla parte giusta, ricercando sempre la massima condivisione possibile. Ci mancherai Riccardo. L’Arci si stringe in un abbraccio affettuoso alla famiglia e a Manuela.

l’elettività del Senato sarebbe in grado di trasformarlo in una seconda Camera di confronto fra i partiti (oltretutto, se debolissima, come ammette lo stesso Onida). Del resto, le attribuzioni del Senato, elettivo o non elettivo, rimarrebbero comunque le stesse. L’elettività avrebbe invece il grande merito di sottrarre l’elezione del Senato alle «beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali» (Silvestri) nonché agli scandali che costantemente coinvolgono la politica locale. Un ultimo punto. Proprio quest’ultima osservazione rende perplessi sull’idea che il listino dei ‘senatori’ venga affiancato a quello dei ‘consiglieri’ regionali. Sarebbero senatori-senatori o senatori part-time? Inoltre, come giustamente rilevato dal senatore Gotor, il testo approvato dal Senato sembrerebbe consentire un «listino ‘a scorrimento’, con una quota di candidati al Consiglio regionale da dirottare preventivamente presso il Senato», per cui, chi nomina i deputati potrebbe «mettersi d’accordo con i dirigenti locali, affidando a questi ultimi la scelta dei candidati per il Consiglio regionale e riservandosi quella dei candidati per la nomina di senatore». Il che evidentemente violerebbe il principio del suffragio popolare diretto previsto dall’articolo 1 della Costituzione e sottolineato dalla Corte costituzionale.

arcireport n. 29 | 3 settembre 2015 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 12 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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