Arcireport n 32 2014

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settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 32 | 9 ottobre 2014 | www.arci.it | report @arci.it

3 ottobre: i familari delle vittime scrivono messaggi ai loro cari sui frangiflutti colorati

Sabir, per raccontare un’altra Lampedusa di Filippo Miraglia vicepresidente nazionale Arci

Il Festival Sabir, che si è svolto a Lampedusa dal l’1 al 5 ottobre, ha innanzitutto provato a rendere protagonisti gli abitanti dell’isola. L’Arci, il Comune, e in particolare la sindaca Nicolini, il Comitato 3 Ottobre, promotori dell’iniziativa, sono partiti dalla comunità locale, dalle persone che in questi anni si sono sentite schiacciate tra le stragi, con il loro carico di angoscia, e la retorica dell’invasione. Più di mille persone sono arrivate sull’isola per rendere omaggio a una comunità che è diventata ormai un simbolo, sia a livello nazionale che internazionale. Il Festival è stato anche immaginato come una forma di risarcimento da parte di chi pensa che le politiche governative, nazionali ed europee, hanno prodotto solo conseguenze negative per l’immagine dell’isola e per quella dei migranti che vi sono stati ospitati. Ne è stata fatta una rappresentazione che è servita ad alimentare discriminazione e razzismo, di cui si sono servite alcune forze politiche - non solo la Lega - per accrescere il proprio consenso elettorale.

Con Sabir abbiamo voluto fornire una lettura diversa di Lampedusa e dei suoi cittadini. Abbiamo poi cercato, per quel che potevamo con questa prima edizione, di dare un contributo all’economia locale, con un appuntamento internazionale che ha aumentato le presenze sull’isola in un periodo di bassa stagione. Allo stesso tempo abbiamo voluto dare la parola ai lampedusani, grazie soprattutto ai laboratori promossi da Ascanio Celestini, con il contributo dei Cantieri Meticci di Pietro Floridia. Le loro parole, il racconto della loro vita sull’isola, è stato raccolto in video che sono stati proiettati sui muri della cittadina durante il Festival e rilanciati i rete. Ne emerge una versione assai diversa da quella fornita dai pochi contestatori politici dell’amministrazione comunale, che tanto spazio hanno avuto sulla stampa. I cittadini non sono preoccupati né dagli arrivi dei migranti, né dalla presenza sull’isola del centro di accoglienza e soccorso, quanto piuttosto dai problemi pratici relativi alla mancanza di un

presidio ospedaliero, dalla scuola da ristrutturare, dal sistema fognario insufficiente, insomma dalle problematiche legate a un luogo ancora considerato ‘periferia’ d’Italia e d’Europa. Una periferia che giustamente chiede risposte concrete alla politica e non promesse. Siamo quindi particolarmente soddisfatti di essere riusciti per la prima volta a far emergere quel che è Lampedusa attraverso le voci dei lampedusani. Certo un’immagine non omogenea, a tratti contraddittoria, ma reale, non costruita a tavolino. Così come siamo soddisfatti di aver aperto con loro un dialogo diretto, attraverso le tante iniziative culturali, il teatro, la musica. Chi ha assistito, per esempio, al concerto della Mannoia, può testimoniare quanto sia stato apprezzato dagli abitanti il messaggio di solidarietà e responsabilità che l’artista ha portato sull’isola. Sabir è stato poi il tentativo, riuscito, di rendere l’isola un luogo di intreccio e convergenza di battaglie politico culturali comuni a tanti movimenti e reti internazionali che animano le società intorno al mediterraneo. La costruzione di una rete di realtà territoriali e nazionali che svolga quell’importante azione di diplomazia dal basso necessaria per ridare dignità e senso alla politica, per perseguire gli interessi dei popoli e non dei governi. Il 3 ottobre i sopravvissuti e i parenti delle vittime hanno preso la parola davanti alle massime istituzioni dell’UE e del mediterraneo e, come noi, hanno chiesto risposte concrete. La proposta che abbiamo lanciato in quella sede è semplice e percorribile: l’UE sostenga il governo italiano nel portare avanti l’operazione Mare Nostrum, che tante vite ha salvato. Contemporaneamente, per non essere costretti ad aggirare l’ingiusto regolamento Dublino, si attivi la Direttiva europea sulla protezione temporanea, consentendo la circolazione dei rifugiati e un’equa ripartizione degli arrivi. La coalizione sociale che ha contribuito alla riuscita di Sabir continuerà a lavorare nei prossimi giorni anche per questi obbiettivi. Sarebbe davvero una prima importante risposta alle richieste fatte dai parenti delle vittime della strage del 3 ottobre alla comunità internazionale.


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I morti di Lampedusa e la questione mediterranea Il Festival Sabir forse non eviterà nuove stragi, ma è un lavoro che parte da lontano. E dimostra che solo il dialogo e un compromesso tra le due sponde cambieranno l’approccio al problema di Luciana Castellina presidente onoraria Arci

Trecentosessantotto morti affogati il 3 ottobre 2013 (già 3 mila dall’inizio del 2014 e 25 mila dal 2000): sono stati ricordati con una corona di fiori e una lapide gettate in mare nelle acque prospicienti il Porto Nuovo di Lampedusa, una tristissima cerimonia, alla presenza di autorità e di un pugno di parenti delle vittime. Una pagliacciata? Qualche frangia di protestatari così l’ha voluta bollare interrompendo il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e la presidente della Camera Laura Boldrini, che presidiavano l’evento, presente anche il ministro Mogherini. Per ragioni opposte hanno manifestato anche i leghisti isolani, seguaci della sindaca precedente affiliata al partito padano. Come sempre accade in questi casi, alcune tv e giornali hanno dato conto di questi giorni di memoria dando grande risalto alle istituzioni e a quelli che ne hanno interrotto i discorsi. Ma tanti, per fortuna, hanno raccontato del Festival Sabir, dal nome della lingua comune che un tempo univa i popoli mediterranei. Il Festival è stato promosso dall’Arci, dal Comune di Lampedusa e dal comitato 3 ottobre: 4 giorni di confronto per trovare una strada che consenta di rimuovere i detriti che in questo pezzo di mare si sono accumulati in mezzo millennio e ricostruire una comunità mediterranea. Non un incontro improvvisato, ma frutto di un lavoro, paziente e difficile, che dura da anni. Durante i quali sono stati intessuti rapporti, reti di solidarietà e occasioni di reciproca conoscenza, fra chi sulle due sponde non si rassegna. Sono stati tantissimi quelli che hanno risposto all’appuntamento, accompagnato da un ricco programma culturale destinato ad approfondire la conoscenza; o meglio a colmare almeno un po’ la nostra profonda e scandalosa ignoranza sul mondo arabo che ricordiamo solo per quanto vi accadde 2.000 anni fa, solo un prezioso reperto, come se nel frattempo non avesse più dato nulla alla cultura del mondo. Non riusciremo con questa iniziativa, come con tante altre di questi anni, a fermare le stragi di immigrati. Ma anche questo, anzi forse solo questo dialogo, può aiutare a dare un nuovo approccio al problema. Innanzitutto a chiedere una svolta nelle politiche mediterranee europee, 40 anni

di fallimenti, perché tutte improntate alla liberalizzazione degli scambi, che hanno avuto come effetto – e non poteva essere diversamente – che quello di accentuare gli squilibri fra le due sponde, pensate come si trattasse di due partner commerciali alla pari e non invece, come sono, la rappresentazione del confine più drammatico del mondo, più di quello già terribile che divide Stati Uniti e Messico: qui un rapporto nel reddito procapite di 1 a 6, nel Mediterraneo di 1 a 14. La questione mediterranea non è una specificità regionale, ha un significato molto più grosso: è qui che ha preso corpo lo scontro più forte fra fanatismi. Fra i quali occorre annoverare anche e soprattutto quello occidentale: non più le Crociate in nome del cristianesimo, né il vecchio colonialismo mascherato da ‘civilizzazione’, ma l’ideologia del mercato. Potremmo mai battere le punte jahdiste più estreme se prima non capiremo che la nostra modernità, il nostro laicismo, anche tanti aspetti della nostra democrazia fondata sull’uguaglianza astratta dei diritti applicata a esseri disuguali nel potere effettivo di fruirne, sono stati vissuti sull’altra sponda come trauma, perché si è trattato di una modernità che li ha schiacciati? È anche nella nostra arroganza eurocentrica, di chi si propone come punto di arrivo del processo di civilizzazione, che lascia agli altri popoli il solo compito di colmare il ritardo e allinearsi, che si fonda la diffi-

denza, quando non il rigetto dell’Europa, dei popoli del Maghreb e del Mashrek. Il Mediterraneo del sud è oggi lo spazio in cui prende corpo una critica di quella modernità e di quel progresso che è stato presentato come l’unica civiltà possibile. Costruire una comunità mediterranea che riapre un dialogo alla pari fra le due sponde, che ascolta le ragioni dell’altro e le assume, come chiedeva Eduard Said, «come risorsa critica di sé stessi», significa decostruire lo scenario di scontro di civiltà che costituisce il retroterra dell’estremismo jihadista. Il Festival Sabir è un pezzo di questo lavoro. Serve anche a far capire agli europei che non siamo più in presenza di un problema di immigrazione, ma di uno stravolgimento epocale che ha già reso, e sempre più renderà l’Europa una società sempre meno etnicamente e religiosamente omogenea. Fra cinque anni solo per mantenere i livelli di occupazione attuali occorreranno sull’altra sponda 90 milioni di nuovi posti di lavoro. Pensiamo di rispondere alla inevitabile ricerca di attraversare il Mediterraneo che questa domanda produrrà con la bomba atomica, o non dobbiamo piuttosto attrezzarci a pensare a un patto, un compromesso fra le due sponde e, in prospettiva, anche a un’Europa che abbia un’idea della cittadinanza non più analoga a quelle delle nazioni che l’hanno composta, ma tale da includere quelli che dovremmo chiamare nuovi europei e non più extracomunitari? foto di Maso Notarianni


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Alternative Mediterranee Di Mediterraneo potremmo tutti vivere, anziché morire di Raffaella Bolini

Un racconto di Sabir a Lampedusa si potrà fare soltanto attraverso un lavoro collettivo di tutti e tutte coloro che hanno curato i suoi tanti e diversi elementi. Preparando il Forum di Sabir, ciascuno ha messo a valore le proprie relazioni connettendole a quelle degli altri: settori di lavoro, territori e competenze Arci, ma anche reti, organizzazioni, sindacati, movimenti, ONG, parlamentari, intellettuali, artisti. Le righe qui sotto cercano di riportare il senso di una parte del puzzle, il Forum internazionale e in particolare la giornata del 2 ottobre sulle Alternative Mediterranee che ha discusso di democrazia, dignità e beni comuni. Ai due giorni di Forum hanno partecipato circa quattrocento persone provenienti da un gran numero di paesi europei, anche del nord e dell’est, del Maghreb e Mashrek. Molti si sono incontrati a Lampedusa per la prima volta, provenienti da ambiti di impegno differenti. E il Forum ha tratto forza proprio dalle intersezioni che lo hanno nutrito. La prima intersezione in ordine temporale risale alla scelta di portare a Lampedusa l’evento europeo previsto dal progetto LED, Laboratori di Democrazia Europea. Il progetto LED risale a due anni fa. D’accordo con il nostro tavolo progettazione e in collaborazione con Forum Civico Europeo avevamo presentato un progetto da realizzare durante il semestre italiano di Presidenza Ue. LED aveva due obiettivi: attivare pratiche territoriali per favorire la relazione fra cittadini e parlamentari europei, e portare la società civile europea a discutere nel sud Europa massacrato dall’austerità. Poi ha preso corpo il Festival di Lampedusa. E così, invece che chiamare gli europei a discutere di Mediterraneo, li abbiamo portati fisicamente nel cuore dolente del nostro mare. L’evento LED è diventato il Forum del 2 ottobre. Avevamo paura che l’isola fosse per molti troppo lontana, e il viaggio troppo lungo. Sono venuti tutti. E l’impatto con l’isola è stato fortissimo. La seconda intersezione è stata quella fra europei e mediterranei. L’Arci, che da sempre rivendica la dimensione mediterranea come centrale, non poteva discutere a Lampedusa di democrazia, dignità, beni comuni solo con gli europei.

Del resto, abbiamo sempre detto che non può esistere una prospettiva mediterranea in assenza di pari dignità fra le due rive. E così abbiamo cercato di fare: ciascuna sessione è stata gestita insieme da attori del nord e attori del sud, e il programma discusso già nel dicembre scorso a Casablanca con il Forum Sociale Maghreb-Mashrek. La terza intersezione è stata quella fra le idee e il territorio. Lampedusa, la sua bellezza, le sue tragedie, quel mare intorno, il cimitero delle barche, i racconti di morte e di solidarietà, i sopravvissuti e i familiari delle vittime - questo ha dato il tono a tutta la discussione del Forum. Stare sull’isola ha tolto qualsiasi retorica buonista al discorso mediterraneo e alla relazione nord sud. Ed è emerso naturalmente ciò che nel sud sempre ci dicono: non si può parlare di dialogo fra le due

rive senza un impegno preciso a battersi contro l’Europa fortezza. La quarta intersezione - la più importante - è stata con i migranti, che sono stati al centro anche del discorso su un’altra economia e un’altra società. Non segmento settoriale, ma paradigma del sistema oppressivo e produttore di ingiustizie in cui viviamo. Per la giornata sulle Alternative Mediterranee, sono arrivate a Lampedusa reti e organizzazioni che lavorano su altre questioni: giustizia climatica, commercio internazionale, acqua, lavoro e diritti sindacali, diritti culturali e molto altro. Per tanti di loro, Sabir è stata anche una specie di corso di formazione sulla libertà di circolazione e sul diritto alla fuga.

La quinta intersezione è stata con i parlamentari europei. Il forum era pensato come laboratorio di una relazione orizzontale e paritaria fra attivisti sociali e europarlamentari delle famiglie progressiste e della sinistra. E molti hanno accettato l’invito. Con i poteri più grandi che oggi ha il Parlamento Europeo, l’alleanza con loro diventa essenziale. La bocciatura della candidatura di Navracsics nella Commissione Cultura, il giorno dopo Sabir, è la prova evidente che possiamo vincere, se riusciamo a lavorare insieme dentro e fuori il Parlamento. La sesta intersezione, ultima ma non per importanza, è stata con la cultura. Il Forum, che alle sei del pomeriggio finiva le sue sessioni, in realtà è proseguito negli incontri con gli scrittori, nei laboratori teatrali e culturali, nel lavoro splendido di Ascanio Celestini con gli abitanti dell’isola, negli spettacoli serali, nel concerto della Mannoia che è stato un bellissimo comizio cantato. Linguaggi diversi, stessi valori e stessa battaglia. La rete Alternative Mediterranee, dopo l’incontro del 2 ottobre, rimane in piedi. Troverà modalità per rimanere in contatto a distanza, e per includere chi voglia aggiungersi. Si ritroverà fisicamente a Tunisi, dove dal 25 al 29 marzo si svolgerà il Forum Sociale Mondiale. Sarà un tavolo di lavoro mediterraneo, dove definire struttura e metodologia di un progetto a rete che dia concretezza all’idea di un New Deal Mediterraneo - di un nuovo patto sociale per la regione. La scommessa è dimostrare che è vero: di Mediterraneo potremmo tutti vivere, invece che morire. Dalla sua cultura, natura, umanità può prodursi lavoro, reddito, felicità - e soprattutto pari dignità. Ma c’è bisogno di un progetto forte e serio, capace di basarsi su idee concrete, su cifre e numeri, per dimostrare che è possibile davvero iniziare a cambiare strada. Se vogliamo provare a sconfiggere colonialismo vecchio e nuovo, libero mercato, fenomeni regressivi e oscurantisti che su entrambe le rive ci minacciano bisogna che sappiamo trasformare i valori in proposte concrete, fattibili e realistiche. Bisogna che dimostriamo che le risorse ci sono, e anche le alternative: serve solo la volontà politica - e a questo serve la lotta per il cambiamento sulle due rive del nostro mare.


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Il nostro Sabir al Festival Sabir di Stefano Saletti musicista

Quando l’Arci ci ha invitato a fare il nostro laboratorio sulle musiche e i canti del Mediterraneo a Lampedusa, con Barbara Eramo abbiamo subito detto di sì. Quale posto più adatto per parlare del fascino delle musiche del Mare nostrum? E poi avere la possibilità di far ascoltare proprio al Sabir Festival la bellezza e la musicalità del Sabir, la lingua franca che da anni usiamo nei nostri brani, che unisce spagnolo, italiano, francese e arabo. La lingua che marinai, pirati, pescatori, commercianti parlavano nei porti, da Genova a Tangeri. E, soprattutto, poterlo fare a Lampedusa nell’anniversario della tragedia del 3 ottobre, nell’isola che oscilla tra solidarietà e voglia di dimenticare, che fatica a riconoscersi in un ruolo che le ha affidato la storia e del quale farebbe volentieri a meno. Così nei cinque giorni del Festival ci è piaciuto immergerci tra la gente dell’isola, capire cosa stava succedendo, come veniva vista la nostra presenza. Ci sono i ragazzi che ti invitano a tornare a fare il corso nelle scuole, le persone che ti fermano dopo il concerto e dicono «grazie per averci fatto ascoltare il Sabir»; quelli che odiano il sindaco («neanche ti saluta quando passa») e «tutti questi comunisti».

Però poi ti dicono che era bellissima la voce di Barbara, che ammettono «ma che fascino la vostra musica», la musica dell’altro, del diverso, del ‘negro’ che poi così diverso non è, evidentemente. Che ti domandano della chitarra col manico storto (l’oud) o di quel grande mandolino (il bouzouki) con curiosità e passione. E poi c’è il leghista che gira con la bandiera verde - sì, il leghista a Lampedusa, sembra un ossimoro ma è reale - che mette il manifesto nel corso del paese «W Lampedusa abbasso i facci gialli». C’è l’avvocato che ti spiega che quando veniva Baglioni a fare O ‘scià (che costava un milione e mezzo di euro) c’erano diecimila persone e adesso molte di meno; c’è il duro e puro che contesta il circo mediatico e la passerella dei politici, che impedisce il collegamento del Tg2 dal ‘cimitero delle barche’. C’è dall’altra parte il ristoratore che comanda un po’ tutto che dice «basta immigrati e passerelle, vogliamo turismo» e poi, però, ha la convenzione con il Festival. Questo è il luogo dei contrasti forti, della bellezza mozzafiato dell’Isola dei conigli e del paesaggio brullo che la circonda. Nei due giorni del laboratorio abbiamo raccontato il nostro Mediterraneo in mu-

sica. Abbiamo fatto cantare e suonare 20 persone al giorno e insegnato loro brani e lingue nuove. Abbiamo spiegato quanto sia intrecciato il cammino degli strumenti musicali del Mediterraneo, di come l’oud arabo sia arrivato nel IX secolo in Spagna e si sia trasformato nel liuto rinascimentale e poi nella chitarra andalusa; di come la tambura turca sia arrivata a Napoli ed è diventata il colascione e poi il mandolino. Della scala musicale hijaz araba che è la stessa della musica ebraica sefardita, e che troviamo in Grecia, nei canti della tradizione sevdalinka in Bosnia o nella musica colta di Liszt nella Rapsodia ungherese, nel flamenco o nella musica napoletana. Mutaz, un ragazzo arabo che ha partecipato al nostro corso, ci ha detto la cosa più bella: «Sono anni che sono in Italia e per la prima volta sento degli italiani parlare della mia musica, della mia cultura. Grazie per quello che fate!». In soli due giorni di laboratorio abbiamo creato un piccolo coro. E quando la sera io e Barbara abbiamo suonato in apertura del concerto della Mannoia, il nostro coro, insieme al pubblico, cantava con noi il Sabir e le tante lingue del Mediterraneo. Le lingue dell’altro. Potenza della musica…

L’arte come ponte per creare legami tra il vicino e il lontano di Pietro Floridia Cantieri Meticci

Quello che sapevamo prima di partire, (siamo una compagnia teatrale - Cantieri meticci - di una trentina di persone di 14 paesi diversi, tra rifugiati, migranti e italiani, con una età media di 25 anni) era che, assieme ad Ascanio Celestini, avremmo raccolto storie di Lampedusani e poi ci saremmo inventati un modo artistico per restituire all’isola quanto avevamo ‘pescato’. E che avremmo fatto il nostro spettacolo Il violino del Titanic nell’ultima sera di festival. Quello che non sapevamo era se avremmo incontrato anche dei migranti, che cosa sarebbe successo il 3 ottobre e che clima avremmo trovato. Ma nel giro di qualche ora non ci è sfuggito più. Abbiamo provato l’ebbrezza di stare dentro a un frullatore. Tutti ce l’avevano con tutti. E pure con noialtri artisti multietnici comunistici. Se il buongiorno si vede dal mattino… Ma poi qualcosa è cambiato. Giorno dopo giorno ci siamo resi conto che

succedeva altro. Succedeva che quello stesso pescatore che diceva «gli immigrati devono restare a casa loro» era lo stesso che tante volte aveva rischiato per salvarli; e quella stessa signora che rimpiangeva Baglioni è venuta poi a tutti gli spettacoli del Festival; e quello stesso ragazzino che all’inizio c’apostrofava come «cristiani chieni ‘i zecche» l’ultimo giorno abbia passato l’intera giornata con noi, portandoci ufficialmente «le scuse a nome dell’isola ma non avevamo capito cosa ci eravate venuti a fare...». Per carità, non che sia sciolto quel groviglio di contraddizioni che è l’isola ma certo molta della diffidenza iniziale si è alleggerita. Come? Per quel che ci riguarda la ricetta è stata incontrare le persone, ballarci insieme, mangiarci insieme, salire sulla loro barca, discuterci, riderci, ascoltarli. Lampedusa per noi è stata sopratutto l’incontro coi Lampedusani. Sono i loro visi, le loro storie quelle che ci portiamo a Bologna. Tanti incontri che abbiamo,

durante il Festival, cercato di restituire all’isola trasformando trenta biciclette in altrettanti velieri e proiettandovi sopra le vele i volti e i racconti dei Lampedusani, trasformando pezzi di barche naufragate in cornici, in piccoli palcoscenici appesi a canne da pesca attraverso cui i nostri attori sfilavano in processione rinarrando le storie raccolte. Storie che, nei prossimi mesi, a Bologna, in un progetto chiamato Il Tappeto BoLampe pensato insieme a Stefano Brugnara, diventeranno percorsi laboratoriali nelle scuole, nelle biblioteche, nei corsi di italiano per migranti, nei centri di accoglienza, per raccontare l’isola in un altro modo, per creare legami tra il vicino e il lontano usando l’arte come ponte, per dare vita ad altri materiali artistici da restituire a Lampedusa nella prossima edizione del festival, per creare una grande processione/spettacolo che in primavera-estate porti quest’isola meravigliosa a navigare dentro alle nostre strade.


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Riprende il viaggio della Carovana Antimafie È ripartita da Lampedusa il 5 ottobre la Carovana Internazionale Antimafie di Arci, Libera e Avviso Pubblico contro la tratta dei nuovi schiavi. La prima fase si è svolta da aprile a giugno 2014. Oltre 65 giorni di viaggio per attraversare quasi tutta l’Italia con due furgoni e una decina di carovanieri. Dopo tante tappe e il riposo estivo, la Carovana italiana si conclude in Sicilia, lì dove, grazie all’Arci regionale, è stata inventata 20 anni fa. Una delle iniziative più longeve nella storia repubblicana. Il via alle tappe siciliane è stato dato dal molo Favaloro del porto di Lampedusa, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti. Erano presenti tra gli altri Alessandro Cobianchi, coordinatore nazionale della Carovana Antimafie, Salvo Lipari, presidente di Arci Sicilia, Giuseppe De Marzo di Libera. Dopo le tappe a Santa Elisabetta (AG), Gela, Vittoria, Caltagirone, Catania, Monreale e Palermo, la Carovana affronterà le ultime tappe siciliane per l’edizione 2014 prima di partire per l’estero. Il 15 ottobre alle 11 si terrà a Roma, presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, la conferenza stampa di presentazione delle tappe all’estero della Carovana. Serbia, Romania, Francia, Spagna, Malta sono i paesi in cui, da ottobre, la Carovana si muoverà per portare ancora una volta il suo messaggio di legalità. Di seguito il programma delle prossime tappe siciliane. Info e aggiornamenti su www.carovanaantimafie.eu

♦ ore 18.00 Auditorium Oasi: convegno Mafia Barcellona vecchi e nuovi aspetti. Intervengono: - Luciano Mirone, giornalista indipendente; - Francesco D’Uva, componente Commissione parlamentare antimafia; - Carmelo Catania, giornalista indipendente; - Maria Teresa Collica, Sindaco di Barcellona; - Nuccio Anselmo, giornalista. Saluti di Santo Gringeri, Presidente Arci comitato territoriale Messina. Coordina Antonio Livoti, Presidente circolo Arci Città Futura Barcellona P.G. Sabato 11 ottobre Libertà di circolazione-libertà di fuga L’Arci Messina chiede alla Prefettura l’ingresso alle due strutture per richiedenti asilo presenti in città, per monitorare episodi di tratta e sfruttamento. Ingresso delegazione e sit in contro la tratta al di fuori delle strutture: in mattinata alla Tendopoli Pala Nebiolo in Contrada Conca d’Oro, Annunziata; nel pomeriggio alla Caserma Masotto, Bisconte. ♦ ore 17.30 - circolo Arci Thomas Sankara: mostra Nuovi schiavi. In cammino contro la tratta degli esseri umani; proiezione del film Schiavi di Stefano Mencherini ed incontro con i carovanieri e testimonianze; lettura della Carta di Lampedusa Domenica 12 ottobre - Siracusa ♦ ore 17.30 - presso Isisc (Istituto superiore internazionale di scienze criminali) convegno I nuovi schiavi. In cammino contro la tratta degli esseri umani Modera Valerio Cataldi, giornalista. Saluti di Giancarlo Garozzo, sindaco di Siracusa Intervengono: Francesco Paolo Giordano, Procuratore Capo della Repubblica di Siracusa; Esperto Isisc; Calogero Parisi, Arci Sicilia ♦ ore 21.30 - presso Sala Randone, in via Malta Spettacolo teatrale Ossa di Alessio Di Modica, dal racconto popolare dell’osso che canta la storia di Placido Rizzotto.

Le tappe della Carovana all’estero Venerdì 10 ottobre ♦ ore 10.30 - Istituto comprensivo di Terme Vigliatore: restituzione degli elaborati delle attività didattiche sul tema della legalità proposte dal circolo Arci di Terme Vigliatore; ♦ ore 17.00 - piazza San Sebastiano Barcellona P.G.: arrivo della carovana;

♦ SERBIA 15/18 ottobre Novi Sad, Belgrado ♦ ROMANIA 19/23 ottobre Bucarest ♦ FRANCIA 10 novembre Nizza, 12 novembre Tolone,

13 novembre Marsiglia, 14 novembre Nîmes-Valencia ♦ SPAGNA 17 novembre Perpignan, 18/21 novembre Barcellona ♦ MALTA 2015


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lavoro

La fiducia sul Job Act è incostituzionale di Piergiovanni Alleva giurista, esperto di Diritto del Lavoro

Il governo ha fatto approvare dal Senato, col ricatto del voto di fiducia, un disegno di legge delega in materia di lavoro ulteriormente peggiorato rispetto alla proposta originaria. È un testo squilibrato e incostituzionale perché contiene una disciplina inutilmente dettagliata di argomenti minori, mentre lascia totale mano libera all’esecutivo sui temi essenziali del precariato, delle garanzie nel rapporto di lavoro e degli ammortizzatori sociali. Nessun contratto precario viene abolito e sul tema fondamentale dell’articolo 18 per il momento si tace, riservandosi di intervenire direttamente nei decreti delegati, ossia al di fuori di qualsiasi controllo e voto del parlamento. Allo stesso modo il governo si riserva di regolare a suo arbitrio, nei decreti delegati, l’indennità di disoccupazione e ciò che resta della cassa integrazione. Questo modo di procedere è incostituzionale. L’art. 76 della Costituzione stabilisce, a garanzia della centralità del parlamento, che la legge delega debba fissare, con riguardo all’emanazione dei successivi decreti delegati, i criteri direttivi, che non possono in nessun modo essere surrogati da ordini del giorno o prese di posizione in sede politica. Non è sufficiente in una legge delega evocare dei titoli e dei temi come potrebbero essere la disciplina della cassa integrazione, dei licenziamenti o dei trasferimenti, senza indicare anche in quale direzione devono andare le future

modifiche normative. Affermare ad esempio, come dice la delega, che il governo è autorizzato a fare un decreto sull’ambito di applicazione della cassa integrazione significa dare una delega in bianco perché non si stabilisce se quell’ambito di applicazione va allargato o invece ristretto rispetto alla situazione attuale. Come non basta dire che il governo è autorizzato a stabilire una nuova disciplina delle sanzioni per i licenziamenti illegittimi se non si dice per quale tipo di licenziamento e con quale tipo di sanzione, se monetaria, di reintegra o ambedue. Questa quindi è la profonda ipocrisia nel maxiemendamento, quella cioè di affermare criteri direttivi effettivi per gli argomenti di minore importanza e insieme dei semplici titoli per quelli davvero decisivi, consentendo al governo di legiferare in base al suo solo arbitrio. Questa critica di fondo non toglie che comunque il maxiemendamento preveda anche alcune disposizioni più precise e purtroppo pessime. In particolare ci riferiamo a una cosiddetta nuova disciplina delle mansioni che finirebbe col rendere lecito il demansionamento e dunque il mobbing, con l’alibi ricattatorio della sua necessità per ragioni organizzative che lo stesso imprenditore definirebbe. Viene poi legittimata, sotto un’apparenza tecnicistica, l’attività di controllo, ossia

di spionaggio, a carico del lavoratore. Rispetto agli ammortizzatori sociali la nuova indennità di disoccupazione, di cui non è specificata né la durata né gli importi, risponderebbe comunque a un criterio sbagliato e cioè a quello della proporzionalità della durata dell’integrità all’anzianità di lavoro maturata. Questo significa che l’annunciata applicazione dell’indennità di disoccupazione anche ai rapporti precari si ridurrebbe a una burla, perché a una breve durata del contratto corrisponderebbe una ancora più breve durata dell’indennità. Infine c’è l’ambiguità più grave e pericolosa che riguarda i futuri contratti a tutela progressiva: tutto quello che si dice circa l’abolizione o quasi della reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo riguarderebbe solo questi nuovi contratti o tutti i rapporti già in essere come è accaduto con la legge Fornero? La legge delega contiene una supernorma in bianco che è quella della redazione di un testo organico ‘semplificato’ di disciplina dei vari tipi di contratto e al suo interno potrebbe esserci di tutto, a cominciare dall’eliminazione della reintegra anche per i milioni di lavoratori che adesso godono di tale garanzia. La vigilanza non è davvero mai troppa quando si ha a che fare con persone abituate a dire e disdire, con Renzi non si può mai essere «sereni».

Una petizione per aggiornare lo Statuto di Claudio Treves Segretario generale Nidil Cgil

Che una legge del 1970 sia vecchia è un fatto aritmeticamente indiscutibile. Che i contenuti di quella legge seguano l’aritmetica, invece, no. Detto altrimenti: che debba valere, nonostante sia stato stabilito nel 1970, il principio secondo cui non si può controllare un lavoratore a distanza senza che lui lo sappia, o utilizzarne l’apporto svilendo le sue competenze, o licenziarlo senza motivo sembrerebbe un fatto degno di un paese civile. E invece si usa la data di entrata in vigore per sostenere che quella legge è ‘vecchia’ e inadatta al mondo del lavoro di oggi. Con la nostra petizione vogliamo invece provare che lo Statuto è vivo e che andrebbe piuttosto aggiornato al fine di estenderlo a tutte le forme di lavoro, che, queste sì, non potevano essere considerate dal legislatore del 1970 e che, in ogni caso, devono essere sfoltite e razionalizzate. Ma

questa operazione la si può fare agevolmente, proprio partendo dai principi e dalle regole introdotte dallo Statuto stesso, agganciandosi al suo illustre fondamento: la Costituzione. Questo è il senso della petizione lanciata da NIdiL dal titolo Lo voglio anche io!, intendendo lo Statuto. E l’operazione è piuttosto semplice: basta prendere gli articoli dello Statuto ed estenderli a tutti, o adattarne i principi alle mutate condizioni. Così il diritto alle libertà di opinione e al divieto di discriminazione non hanno bisogno di alcunché, mentre il diritto dei lavoratori studenti a permessi retribuiti può essere ‘aggiornato’ riconoscendo a tutti i lavoratori il diritto alla formazione e all’aggiornamento, vero caposaldo se si vuole una società fondata sull’apprendimento. O ancora: il diritto ad ambienti lavorativi salubri e sicuri è già una norma di legge e potrebbe utilmente integrarsi

con i principi esposti negli articoli 4 e 9 della legge 300. Poi ci sono norme che il legislatore del ’70 aveva già a disposizione, ma che riguardavano il lavoro allora conosciuto, quello dipendente, mentre dovrebbero diventare ‘norme comuni’ per tutti: dalla tutela della maternità e dagli infortuni, al diritto al riposo, all’equo compenso, alla rappresentanza sindacale, ecc. E poi un sistema universale di ammortizzatori sociali. Non ci vuole dunque molto ad attualizzare una legge ‘vecchia’: basta volerlo. La petizione serve anche a dimostrare che l’unificazione dei diritti nel lavoro è possibile senza ridurre le tutele per chi le ha, e che a questo obiettivo sono interessati proprio coloro che secondo Renzi non trovano nel sindacato e nell’associazionismo sponde e sensibilità per i loro problemi. Per firmare, su avaaz.org cerca la petizione #Lovoglioancheio


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scuola/università

La Buona Scuola. Il 10 ottobre manifestazioni in tutta Italia di Martina Carpani responsabile organizzazione Unione degli Studenti

Dopo essere saliti sui banchi per settimane, trasportando sul web la scena finale del film L’attimo fuggente, il 10 ottobre le studentesse e gli studenti di tutto il Paese scenderanno in piazza. Sono saliti sui banchi per cambiare la prospettiva con cui si guarda il mondo e per rivendicare maggiore centralità degli studenti nella scuola, nella didattica e nelle scelte, richiamando la corrente pedagogica attivista. Ma soprattutto per prendere parola, per immaginare dal basso una nuova idea di scuola, di lavoro e di società, riprendere un proprio spazio di protagonismo paradossalmente cancellato dalla retorica giovanilista renziana e dall’attacco frontale ai corpi intermedi. Il 10 ottobre non sarà il solito rituale stanco di opposizione all’ennesima riforma della scuola. La volontà degli studenti è quella di costruire una battaglia generale, ma non generica, capace di parlare al Paese e di essere simbolo della necessità di cambiamento reale. Con il 40% delle famiglie che non hanno la possibilità economica di acquistare i libri di testo, un abbandono scolastico tra i più alti in Europa, un diritto allo studio spesso totalmente inesistente e diseguale per strumenti e coperture da Regione a Regione, parlare di istruzione gratuita non è una battaglia ideologica, ma una necessità storica per

lo sviluppo del Paese. Oggi per sostenere economicamente un figlio a scuola in età dell’obbligo fino ai 16 anni, sono necessari in media, secondo l’Adoc, più di 12mila euro. Rivendicare una istruzione gratuita, di qualità e accessibile a tutti, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, una legge quadro nazionale sul diritto allo studio ed un reddito di formazione e di reinserimento alla formazione per i Neet, è la nostra battaglia di rottura con politiche economiche ricche di contraddizioni. Da anni oramai il mondo delll’istruzione subisce attacchi fondamentali, esterni ed interni ad esso, ripresi dal Governo Renzi nella propria politica non solo scolastica, ma anche del lavoro. Da un lato, infatti, vi è la volontà di parcellizzare le conoscenze in nome del principio dell’occupabilità, dall’altro, si modifica radicalmente l’assetto della governance interna alle scuole in senso manageriale. La scuola non può essere giudicata dal rapporto costi/benefici perchè ha un valore sociale ed un impatto sul territorio che non può essere giudicato sulla base della quantità di nozioni acquisite. È necessaria una riforma dei cicli che sia in grado di abbattere la canalizzazione precoce nel mondo del lavoro e le divisioni tra scuole di serie A e serie B, per dare a tutti eguali strumenti di cittadinanza. Parlare

di alternanza scuola-lavoro nell’Italia del JobsAct deve farci riflettere ancora più a lungo sul rapporto tra saperi, lavoro e società. Il problema della disoccupazione giovanile non può essere risolto favorendo la precarizzazione in percorsi di sperimentazione all’italiana del dual system tedesco, ma attuando politiche di lungo corso. Occorre investire in modo chiaro in istruzione, ricerca e innovazione per modificare il tessuto produttivo italiano. La causa della disoccupazione giovanile non è l’eccessivo numero di studenti altamente qualificati, anche perchè continuiamo ad essere uno tra i Paesi con meno laureati in Europa, nè una scuola poco attenta al mercato del lavoro, ma va ricercato nel modello produttivo e di sviluppo. La mobilitazione del 10 non si limita ai temi dell’agenda de La buona scuola, ma prova ad avere un respiro più ampio, mostrando, attraverso la lente di ingrandimento dei saperi, qual è l’idea di Paese che gli studenti vogliono costruire, scuola per scuola, classe per classe. Su www.unionedeglistudenti.net tutte le piazze del 10 ottobre, in continuo aggiornamento! Sarà possibile seguire la diretta dei cortei seguendo gli hashtag #10 o #entrainscena e #nonservi

Cresciute del 63% in 10 anni le tasse universitarie in Italia Di là, in Germania, dal 1° ottobre l’università è gratuita. Di qua le tasse restano. E aumentano del 63% in dieci anni. Quando si tratta dei conti del sistema accademico l’Italia non brilla. Lo spiega un documento della Commissione europea che ha preso in esame la contribuzione studentesca, le borse di studio e le esenzioni previste nella dichiarazione dei redditi. Ci si laurea gratis in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia (e Germania). In Spagna per un percorso triennale si spendono 1.074 euro, in Belgio fino a 837, in Francia 183. L’Italia fa pagare in media 1.300 euro. L’Estonia, invece, spicca per la sua ‘originalità’: se lo studente raccoglie 30 crediti formativi in sei mesi (o 60 in un anno) non paga nulla. Altrimenti per ogni credito mancante deve sborsare 50-120 euro, a seconda del corso. Le cose non vanno meglio alla voce diritto allo studio. Secondo il dossier siamo il

Paese che dà meno supporto finanziario (tra borse assegnate in base al reddito e premi per merito), se si esclude la Grecia: lo riceve soltanto il 7,5% degli studenti. Lontani dalla Francia, dove lo ottiene più di un giovane su tre. Lontanissimi dalla Danimarca dove lo Stato, oltre a non far pagare le rette, mette a disposizione fino a 9.274 euro. E la percentuale italiana potrebbe pure diminuire se va in porto un punto dello ‘sblocca Italia’ che permetterebbe di far inserire alle Regioni i fondi per le borse nel patto di Stabilità. Un’università gratuita per tutti anche da noi? Sarebbe sicuramente un modo per fermare l’emorragia di studenti che non si iscrivono più nei nostri atenei e per trattenere quelli che vanno a formarsi all’estero. La fuga dei cervelli non è più solo quella dei ricercatori trentenni, ma anche dei 18-19enni. Sarebbe anche un modo per garantire davvero il diritto

allo studio: un principio costituzionale rispettato più negli anni 60-70 che oggi. Copiare la Germania sì, ma con due precisazioni. La prima: il sussidio non deve essere un assegno di pre-disoccupazione, ma deve verificare che lo studente abbia un percorso regolare negli studi, che dia gli esami. La seconda: la gratuità non si può applicare a chi ha un reddito molto elevato. Tutto questo in tempo di crisi perché, pur avendo un costo immediato notevole, rappresenterebbe un investimento. Certo, per i tedeschi è più facile. La crisi finora li ha colpiti meno e a livello pro capite spendono più dell’Italia. Quello che ci serve nell’immediato è porre fine ai tagli e restituire al sistema scolastico quanto è stato sottratto, in termini di risorse, dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Un modo per garantire davvero il diritto allo studio che in Italia funziona male ed è insufficiente.


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pace&diritti

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Nessuna associazione con l’occupazione! Appello per la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele Condanniamo fermamente il recente massacro compiuto da Israele nella Striscia di Gaza sotto assedio, nel corso del quale più di 2.160 palestinesi sono rimasti uccisi, più di 10.800 feriti e più di 300mila costretti a sfollare. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali accusano Israele di aver colpito deliberatamente persone e infrastrutture civili, compresi scuole e ospedali, e di essere responsabile di altri crimini di guerra. Come affermato dal Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Pierre Krähenbühl: «I bambini sono stati uccisi nel sonno: è un affronto per tutti noi, una vergogna di proporzioni universali. Oggi il mondo si trova davanti a una tragedia». Tuttavia le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele non hanno avuto inizio con l’ultimo attacco a Gaza. Per decenni Israele ha negato il diritto palestinese all’autodeterminazione appropriandosi

deliberatamente di territori e risorse, obbligando i palestinesi a lasciare la propria terra, discriminandoli sistematicamente e reprimendo brutalmente coloro che si oppongono all’occupazione e alla violazione dei diritti umani. Subito dopo la fine del massacro di Gaza, Israele ha annunciato una delle più grandi operazioni di esproprio illegale di terra palestinese che comporterà la confisca di altri 400 ettari nella regione di Betlemme, nella Cisgiordania occupata, allo scopo di espandere gli insediamenti. L’Onu, l’Unione Europea e altre organizzazioni accusano Israele di aver violato il diritto internazionale durante l’occupazione dei territori palestinesi. Mantenendo in vigore l’Accordo di Associazione UE-Israele e rafforzando le relazioni bilaterali, l’Unione Europea e i suoi stati membri sollevano Israele dall’obbligo di osservare il diritto internazionale. L’Unione Europea contribuisce ad alimentare il clima di

impunità e mancanza di responsabilità continuando a garantire a Israele un accesso preferenziale ai mercati europei e ai programmi e ai fondi Ue, nonostante le ripetute violazioni del diritto internazionale. L’Unione Europea fornisce così il supporto materiale alle violazioni e all’inadempienza di Israele in ambito internazionale. In qualità di organizzazioni che rifiutano ogni forma di discriminazione, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia, e in qualità di sostenitori del diritto di tutti i popoli di vivere liberi e dignitosamente, chiediamo all’Unione Europea di sospendere l’Accordo di Associazione con Israele fino a quando questi non rispetterà il diritto internazionale e chiediamo alle persone in tutta Europa di unirsi al nostro appello. All’appello dell’European Coordination of Committees and Associations for Palestine (Eccp) ha aderito anche la Rete per la Pace.

Stop TTIP: 11 e 14 ottobre giornate di mobilitazione in Italia Oltre 100 eventi in tutta Europa e decine di iniziative nel Paese per fermare il trattato di liberalizzazione tra Europa e Stati Uniti Decine di iniziative in tutta Italia, centinaia in Europa. È il risultato di una delle più grandi mobilitazioni decentrate della società civile internazionale, ed ha come obiettivo il TTIP, Trattato Transatlantico di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti. Il Trattato punta a creare il più grande mercato liberalizzato mondiale (40% del PIL globale) a vantaggio di grandi imprese e investitori, ma minando alla base i diritti di lavoratori e cittadini di entrambe le sponde dell’Atlantico. Nel percorso di avvicinamento alla Giornata di Azione globale dell’11 ottobre, ci sono state decine di incontri pubblici e lo sciopero con manifestazione della FIOM Milano l’8 ottobre. La Campagna Stop TTIP Italia, coordinamento di più di 90 realtà di movimento, associazioni, organizzazioni sindacali e politiche, chiede il blocco immediato dei negoziati, evitando un trattato di liberalizzazione selvaggia tra Europa e Stati Uniti che metterebbe in discussione diritti acquisiti e sostenibilità sociale e ambientale. Tra i principali appunta-

menti nazionali: il Forum dei Popoli Asia-Europa a Milano il 10-11 ottobre e il 14 a Roma, in piazza Madonna di Loreto, per chiedere l’immediato ritiro del TTIP. L’11 ottobre saranno migliaia le persone che si mobiliteranno dalla Scandinavia alla Grecia al Regno Unito per dire No ad un accordo commerciale negoziato segretamente, che mette a rischio i diritti sociali ed economici dei cittadini europei, abbassando drasticamente gli standard di qualità di prodotti e di processi produttivi e dando in mano alle imprese il potere di denunciare gli Stati chiedendo compensazioni, in base a una previsione di perdita di profitto a causa di normative legittimamente votate da Parlamenti eletti. In Italia sono ormai decine le mozioni presentate per chiedere alle Amministrazioni locali di opporsi al trattato di libero scambio: Regione Toscana, Comune di Pisa, di Ancona, di Milano sono tra queste, così come stanno crescendo i comitati locali che sostengono la campagna. Il TTIP va fermato subito per evitare un aggravarsi

della crisi di sistema che stiamo vivendo con un’altra stagione di liberalizzazioni selvagge, e aprire un processo costituente sociale, economico e ambientale in cui economia e commercio tornino strumenti, non obiettivi politici. Non possiamo permettere che i diritti sociali, economici, ambientali e il principio di precauzione diventino merce di scambio per tutelare gli interessi di imprese e investitori. Chiedere il ritiro del TTIP significa difendere i beni comuni e la democrazia. Fermare il TTIP vuol dire immaginare una diversa uscita dalla crisi e costruire un’altra Europa dal basso. E tra le decine di iniziative l’11 ottobre alle 13 a Milano: flash mob/conferenza stampa in occasione della Giornata europea di Mobilitazione Stop TTIP: movimenti, parlamentari europei, associazioni e comitati presentano la Giornata di mobilitazione e le iniziative in Italia e in Europa per fermare il TTIP. Per informazioni:

http://stop-ttip-italia.net Fb Stop TTIP-Italia


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società

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Si chiude con successo l’ottava edizione di ‘Internazionale a Ferrara’ di Paolo Marcolini presidente Arci Ferrara

Si è conclusa con 71mila presenze l’ottava edizione di Internazionale a Ferrara, il festival di giornalismo organizzato da Internazionale, Arci e dal Comune di Ferrara. Continua il trend positivo del festival con un aumento di pubblico del 12% rispetto all’anno passato. Internazionale a Ferrara si conferma una manifestazione in crescita, con un pubblico giovane. Il festival ancora una volta ha trasformato Ferrara nella redazione più grande del mondo. Tre giorni di dibattiti, eventi e proiezioni con 230 ospiti di 45 testate giornalistiche e provenienti da 30 paesi che hanno dato vita a un calendario di oltre 100 incontri per 250 ore di pro-

grammazione. Anche quest’anno la città si è messa al servizio del festival con 22 location, 18 ristoranti, 57 responsabili di spazio, 66 studenti delle scuole superiori che hanno collaborato con impegno alla riuscita della manifestazione, 12 responsabili dell’organizzazione, 8 volontari del servizio civile. Un venerdì da record con quasi 4.000 persone in piazza Municipale per l’intervista pubblica dei corrispondenti stranieri a Matteo Renzi. A Ferrara quest’anno Ed Catmull, presidente di Pixar Animation e Disney Animation, che dopo l’incontro si è trattenuto quasi un’ora per firmare le copie del suo nuovo libro Verso la creatività e oltre (Sperling & Kupfer). Informazione ancora una volta protagonista con i direttori dei grandi giornali, Gerard Baker del Wall Street Journal, Martin Baron del Washington Post, Edwy Plenel di Mediapart, Nicolas Barré di Les Echos. Poi le migrazioni e il cambiamento nella concezione dei confini e

delle mobilità del XXI secolo. Dall’Iraq alla Libia tra terrorismo, scontri settari e Stati a rischio verso la ridefinizione del Medio Oriente. L’America Latina e l’orientamento della nuova sinistra. E poi cultura, cibo, workshop e laboratori creativi per bambini. Un’anteprima del festival il 2 ottobre con i film d’autore della nuova rassegna Mondocinema. E poi l’appuntamento con i documentari di Mondovisioni e gli audiodocumentari di Mondoascolti. Tornano a Ferrara due amici del festival, David Randall e John Berger. Presentato anche il nuovo sito web di Internazionale che sarà online fra pochi giorni. Particolarmente partecipate anche le iniziative proposte e sostenute direttamente da Arci, come le video installazioni dell’artista francese Clement Briend al Parco Massari, sul tema di migranti e mediterraneo in memoria e ricordo delle vittime che appena un anno fa naufragarono a Lampedusa, i volti ed i ricordi, proiettati sui prati e sulle pareti del parco.

Un cash mob a Padova per dimostrare il potere del cambiamento L’11 ottobre unisciti a noi per dimostrare il tuo potere Una nuova, emozionante campagna Fairtrade ricorderà a tutti i consumatori l’importanza di sostenere la scelta di prodotti certificati Fairtrade dall’11 al 26 ottobre. La nuova campagna, già partita in altri paesi europei, prende il nome di The power of you, ovvero Il potere che è in te e parla del potere del cambiamento che è in ciascuno di noi: attraverso una spesa più sostenibile ogni giorno si possono promuovere migliori condizioni di vita per i lavoratori e rispetto delle risorse naturali, grazie alla certificazione Fairtrade. I testimonial della campagna sono cittadini comuni dai 20 ai 60 anni, che ci hanno messo la faccia per dimostrare che ogni giorno si può fare la differenza. E per dimostrare che il potere del cambiamento si esercita andando a fare la spesa, è proprio da un supermercato che parte la campagna. Nella mattinata di sabato 11 ottobre il punto vendita Coop di via Zabarella a Padova ospiterà infatti un cash mob, ovvero un modello di flash mob in cui le persone si riuniscono in un negozio per

fare degli acquisti responsabili ‘votando col portafoglio’. Anziché apporre una

croce su una scheda elettorale, metteranno i prodotti Fairtrade nel carrello e così aiuteranno i produttori a costruire un futuro migliore. Si tratta del primo evento di questo genere a Padova ed è organizzato con il supporto dell’associazione Economia e Felicità e con la collaborazione di Arci Padova. Chi non vive a Padova avrà comunque la possibilità di ‘votare con il portafoglio’ recandosi nelle giornate della campagna in uno dei migliaia di punti vendita che in tutto il territorio nazionale ospitano promozioni e scontistiche sui prodotti certificati Fairtrade per le settimane nazionali del commercio equo e solidale. Non solo caffè, cioccolato e banane: è l’occasione buona per provare anche gli ananas, il tè, la frutta secca e scoprire tra gli scaffali tanti prodotti confezionati a partire da ingredienti Fairtrade: biscotti, praline, merende, succhi di frutta. Numerose anche le caffetterie di tutto il territorio nazionale che esporranno materiale informativo. www.fairtradeitalia.it


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daiterritori

Il 3 ottobre dell’Arci Modena Palloncini e fiocchi gialli, il colore dei migranti, per ricordare che quel 3 ottobre di un anno fa non è ancora finito. La manifestazione Mare Amaro, che si è svolta nella centralissima piazza Torre di Modena, non è stata solo una commemorazione delle vittime di Lampedusa, ma anche una riflessione per mantenere viva l’attenzione su quello che sta ancora accadendo e per sottolineare l’urgenza di una soluzione comune a livello europeo. In un centinaio si sono dati appuntamento in piazza per una maratona di letture dove cittadini e migranti hanno prestato la voce a racconti, poesie e lettere tratte da storie di viaggio vere o immaginate, mentre il gruppo musicale Le Cinciallegre ha intonato alcune canzoni dedicate a chi lascia la propria terra in cerca di speranza. «I giorni della memoria si istituiscono in ricordo di un passato finito una volta per tutte - affermano gli organizzatori citando l’appello nazionale della Carta di Lampedusa - ma il 3 ottobre non ha mai avuto fine». Per Gerardo Bisaccia, responsabile Arci Modena per la cooperazione internazionale e la solidarietà «davanti a questa immane tragedia è importante ricordare le vittime e lavorare perché si rispettino i diritti umani. Spesso si parla di numeri ma dobbiamo tenere presente che quei morti sono persone: padri, madri, figli, fratelli LIVORNO Mediterraneo, un mare di accoglienza. A Livorno, lo scorso sabato 4 ottobre, Arci Toscana e Arci Livorno, assieme a cooperativa Itinera e Associazione 140 (associazione dei familiari delle vittime della Moby Prince) hanno ricordato le 368 persone che un anno fa persero la vita nel mare di Lampedusa nel tentativo di raggiungere la ‘frontiera’ Europa. Un’iniziativa che ha voluto intrecciare anche il ricordo della tragedia marittima (quella della Moby Prince, appunto) che irruppe nella vita del territorio labronico nell’aprile del ’91. La giornata si è sviluppata in due momenti. Al mattino hanno discusso in un gremito Nuovo Teatro delle Commedie Marco Solimano (presidente di Arci Livorno), Cinzia Gubbini (giornalista), Riccardo Clerici (Unhcr), Giovanni Lattarulo (responsabile settore immigrazione Regione Toscana), Loris Rispoli (Associazione 140) e Gianluca Mengozzi (presidente di Arci Toscana). Al dibattito hanno portato il loro contributo, oltre agli operatori e agli utenti dei progetti SPRAR della Toscana, anche una delegazione di rappresentanti della società civile irachena partner di Arci Toscana in un progetto dedicato alla creazione di centri giovanili che hanno come obiettivo l’inclusione delle minoranze religiose. Nel pomeriggio presso il porto di Livorno, si è poi tenuta la commemorazione di fronte alla lapide in memoria delle vittime della Moby Prince e la deposizione in mare di una corona in ricordo di tutte le persone che

e amici». La manifestazione è stata promossa dalla Rete Primo Marzo con il patrocinio del Comune di Modena e l’adesione di Arci, Forum Terzo Settore, Cgil, Cisl e Uil. Genova La tragedia del 3 ottobre 2013 a Lampedusa e il suo drammatico bilancio sono stati ricordati anche a Genova, con un presidio a cui hanno dato il proprio sostegno anche Arci Genova e Arci Liguria. L’iniziativa si è svolta nella storica piazza De Ferrari dove per l’occasione la fontana disegnata dall’architetto Giuseppe Crosa di Vergagni è stata chiusa, grazie alla collaborazione del Comune, per consentire che fosse costellata di candele «per dare una luce di speranza e rispondere a quanti invece spargono la paura dell’invasione e con essa semi di razzismo e intolleranza». Sempre a Genova, il Municipio Medio Ponente ha approvato una mozione in cui, tra l’altro, si ricorda che «in questo ultimo anno tante, troppe tragedie si sono consumate nel Mediterraneo ed in particolare nel canale di Sicilia. Ormai è impossibile contarne i morti». Vi si sottolinea come «diverse organizzazioni umanitarie laiche e religiose da tempo chiedono che il 3 ottobre di ogni anno diventi il giorno della memoria, per non dimenticare. In particolare l’Arci ha chiesto mesi fa al governo e al parlamento che si facciano promotori di iniziative in tal senso. Il Mediterraneo non può continuare a essere un mare di tragedie, ma deve diventare una risorsa per sviluppare pace, solidarietà, accoglienza ma soprattutto sviluppo e crescita civile per tutti i paesi e i popoli che si affacciano su questo mare». comunicazione@arciliguria.it

hanno perso la vita in mare. A 12 mesi di distanza da Lampedusa, è stata scelta Livorno perché città sintesi della Toscana nel Mediterraneo, una città con i suoi tanti sguardi e le sue tante culture, in una giornata che ha voluto rappresentare non solo il ricordo per le vittime e la denuncia di un quadro legislativo desolante, ma anche la voglia di continuare un cammino sull’accoglienza fatto di esperienze diverse, di incontro e crescita. PESARO Il 3 ottobre a Pesaro al Moletto, luogo d’incontro e simbolo della città proteso verso il mare, si è svolta una cerimonia promossa da Arci Pesaro e cooperativa Labirinto (partner Spraar) a cui sono intervenuti la Presidente provinciale Arci Ornella Pucci, la responsabile del progetto della cooperativa Cristina Ugolini, il vice sindaco di Pesaro Daniele Vimini, il Vicario del Prefetto in rappresentanza della prefettura e una vedetta della Capitaneria di porto di Pesaro. Erano presenti inoltre diversi cittadini pesaresi e migranti. È stata chiesta l’istituzione della Giornata della memoria e dell’accoglienza, ci si è confrontati sull’emergenza e sull’accoglienza, si è ribadita la necessità di corridoi umanitari e dell’impegno indispensabile dell’Europa. Al termine della manifestazione, assieme ad alcuni ospiti del progetto, sono state gettate in mare alcune corone di fiori in ricordo delle vittime del tragico naufragio al largo di Lampedusa accaduto un anno fa.


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La notte rossa: la festa delle case del popolo Case del Popolo, circoli culturali ed operai. Sono termini usati in diverse aree del nostro Paese per definire luoghi che hanno in comune una stessa storia e un cammino analogo: immobili costruiti con ore di lavoro volontario, sorti spontaneamente nella penisola per dare uno spazio di ritrovo a lavoratori e cittadini. Nati fin dalla fine del 1800, nel corso degli anni sono stati centri importanti per lo sviluppo del territorio circostante e della coscienza dell’intero Paese. Sono i luoghi in cui sono nate le organizzazioni sociali, in cui si sono affermati diritti e sono state create le prime strutture per rispondere ai bisogni della popolazione. Luoghi vissuti e di vita vissuta che hanno spesso riconosciuto il valore di movimenti, associazioni, sindacati e partiti nella loro funzione di mediatori sociali e di spinta per il cambiamento, con cui impegnarsi in battaglie affini per vedere riconosciuti diritti e costruire insieme le risposte necessarie. I bisogni crescenti della società moderna, sia individuali che collettivi, rendono manifesta l’esigenza di tornare a vivere luoghi condivisi, in cui affrontare insieme le necessità del quotidiano rafforzando l’efficacia della propria azione. Da questa esigenza nasce l’idea di far rivivere le Case del Popolo e i luoghi che ne condividono la storia. Questi spazi, che esistono ancora grazie ai volontari, sono ancora oggi luoghi in cui confrontarsi mantenendo un legame con la realtà circostante.

La notte rossa è una manifestazione nazionale che riconosce l’importanza storica di questi luoghi e vuole valorizzarli per farli rivivere e apprezzare anche dalle nuove generazioni. Una sorta di ‘passaggio del testimone’, che vede i giovani protagonisti di una tre giorni in cui parlare di diritti e nuovi bisogni, affiancando alla storia un rinnovato impegno. Tantissime Case del popolo hanno organizzato iniziative; tra queste 16 Case nella Provincia di Ferrara che hanno aderito all’iniziativa e aperto le loro porte proponendo tantissime attività, dibattiti, incontri e occasioni in cui dare spazio alla diffusione culturale e artistica, con particolare attenzione ai giovani e alle necessità delle singole realtà, ma anche a momenti di svago ed aggregazione, turistico culturali e sociali che potranno coinvolgere le frazioni e questi importantissimi spazi. L’iniziativa è coordinata da un comitato promotore e da diversi partners che hanno vissuto la storia e la vita di questi luoghi di memoria storica, contadina ed operaia: Arci Ferrara, Fondazione L’Approdo, Legacoop Ferrara, Associazione Enrico Berlinguer, Uisp, Coop Camelot, Fondazione 2000, Coop Case del Popolo, Udi, Cgil, Anpi, Istituto di Storia Contemporanea, SPI Cgil. È chiara, quindi, l’ambizione al recupero e alla trasmissione di valori e tradizioni, da coniugare in modo più aggiornato, per far vivere questi luoghi, spazi di mediazione interculturale e intergenerazionale. ferrara@arci.it

Il 3 ottobre a Trento Anche a Trento, come in diverse zone d’Italia, il 3 ottobre è stata l’occasione per sensibilizzare la cittadinanza sulla tragedia che continua a consumarsi ai nostri confini. L’Arci del Trentino insieme a Acli Trentine, Cgil, Uil, Udu e diverse associazioni locali hanno ricordato la strage di un anno fa e ribadito la necessità di colmare le gravi lacune legislative del nostro ordinamento sul diritto d’asilo. Una iniziativa in collegamento ideale con Lampedusa, ad unire le due estremità dell’Italia in un’unica richiesta. L’iniziativa trentina si è articolata in un doppio appuntamento al cir-

colo Arci Café de la Paix. Giovedì 2 ottobre alle ore 19 è stata inaugurata la mostra Altromare_un’altra storia è possibile, personale di Alessio Pedrotti con opere realizzate con il materiale di recupero proveniente dalle spiagge italiane. Venerdì 3 ottobre alle ore 18 l’installazione in memoria delle vittime di Lampedusa, opera di Omar Pizzini. Le barchette bianche, su cui sono state proiettate le immagini del mare, hanno voluto ricordare, anche ai passanti, la particolarità di questa giornata. Altre barchette invece sono state realizzate dai bambini del centro Intercity Ramblers di Rovereto. Opere realizzate grazie al percorso di sensibilizzazione dell’associazione Ubalda Bettini Girella. La giornata si è conclusa alle ore 18.30 con la proiezione del documentario Radici - L’altra faccia delle migrazioni di Davide De Michelis e alle 21, con i Fan Chaabi, gruppo dalle sonorità mediterranee. fb Arci del Trentino

daiterritori

in più viaggio in toscana PISTOIA Il circolo Arci Micco rosso

organizza, il 10 ottobre alle 21.15 presso il circolo Arci Garibaldi, la presentazione del libro Viaggio in Toscana di Enrico Rossi, presidente della Regione. Ne discuteranno con l’autore giovani esponenti del centrosinistra politico e sociale pistoiese: Mattia Nesti (Arci Micco rosso), Valeria Nanni (Giovani Democratici), Alberto Guercini (Sinistra Ecologia Libertà), Stefano Bartolini (Fondazione Valore Lavoro). L’iniziativa sarà un’occasione per confrontarsi con il presidente Rossi sulle politiche regionali, sulla realtà del territorio pistoiese e sul futuro del centrosinistra toscano. fb Micco Rosso

la biblioteca dei libri viventi MANIAGO(PN) Arci di Udine

e Pordenone e cooperativa Damatrà promuovono la Biblioteca dei libri viventi che coinvolgerà 260 giovani delle scuole secondarie di Maniago e Montereale Valcellina e del liceo Torricelli di Maniago. L’evento si terrà in piazza a partire dalle 10.30 e darà ai giovani che parteciperanno in qualità di lettori la possibilità di leggere i libri viventi ma anche di leggere il territorio. udine@arci.it

MOVING TTF TORINO Continua Moving TTF,

manifestazione coordinata da circolo Arci Altera e Centro di cooperazione culturale e realizzata in collaborazione con Ucca, Arci Torino, Museo Nazionale del Cinema e Torino Film Festival. Fino al 17 novembre nei circoli Arci di Torino e in altri luoghi della città si terranno più di 20 proiezioni di film e documentari, in preparazione del Torino Film Festival. Il 10 ottobre alle 15.30 alla bibliomediateca ‘Mario Gromo’ sarà proiettato Il lago di Yukai Ebisuno e Raffaella Mantegazza, mentre alle 21 al circolo Artemuda Ho visto Suzanne di D. Ferrario. www.arcipiemonte.it/torino

l’oriente di pasolini COMO Fino al 12 ottobre al Broletto

è possibile visitare la mostra L’Oriente di Pasolini. Il fiore delle mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa, che fa parte della rassegna Una disperata vitalità, dedicata a Pier Paolo Pasolini e promossa dall’Arci Xanadù. www.spaziogloria.it


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Unioni civili: con Alfano si torna al Medioevo «La decisione del Ministro Alfano di inviare una circolare ai Prefetti in cui chiede la cancellazione della trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero è anacronistica, ci fa pensare che si voglia tornare al Medioevo - afferma Francesca Chiavacci, Presidente nazionale dell’Arci - la nostra legislazione nazionale in materia continua ad essere molto arretrata, nonostante il presidente del Consiglio in più occasioni abbia dichiarato l’impegno di introdurre significativi miglioramenti, per avvicinarla a quella della maggior parte degli altri paesi europei. Sono stati invece i sindaci di molti comuni a prendere atto della realtà,

sia attraverso l’introduzione dei registri delle unioni civili, che attraverso il riconoscimento dei matrimoni celebrati all’estero. Oggi si vorrebbe vanificare tutto questo lavoro attraverso un intervento che viola ogni principio di autonomia degli Enti locali. Ci chiediamo poi dove stia la necessità e l’urgenza di emanare, da parte del ministro degli Interni, un provvedimento di questo tipo, a meno che non consideri un tema che riguarda i diritti civili un problema di ordine pubblico. Ancora una volta il governo non solo non mantiene le promesse, ma addirittura adotta provvedimenti che ne rappresentano il capovolgimento». «L’Arci - conclude Chiavacci - è al fianco dei sindaci che non intendono annullare le trascrizioni e si impegnerà, nei prossimi giorni, ad organizzare momenti di mobilitazione nelle città contro questo gravissimo provvedimento».

società

Vittoria dell’associazionismo democratico europeo, bloccata la candidatura Navracsics!

L’Arci oggi festeggia. La Commissione Cultura del Parlamento Europeo, riunita ieri a porte chiuse, ha bloccato a maggioranza la candidatura di Tibor Navracsics a Commissario Europeo per la Cultura, l’Educazione, i Giovani e la Cittadinanza. Al dirigente di Fidesz, il partito reazionario al potere in Ungheria che ha posto inaudite limitazioni alla libertà di stampa, di espressione, di opinione e che propugna apertamente posizioni di stampo razzista e oscurantista, non sono state riconosciute le caratteristiche necessarie per guidare questa commissione. È una vittoria dell’associazionismo democratico europeo, dei parlamentari progressisti e della sinistra che hanno sostenuto il carattere inaccettabile e persino provocatorio della proposta avanzata dal Presidente Juncker. Ha vinto la mobilitazione realizzata fuori e dentro il Parlamento nelle ultime settimane attraverso appelli, lettere aperte, incontri, petizioni. La collaborazione stretta e coordinata fra reti di società civile democratica europea, associazioni nazionali, parlamentari e gruppi parlamentari progressisti, cittadini e cittadine ha dato i suoi frutti. Chiediamo che il voto della Commissione sia pienamente rispettato, e proseguiremo insieme alle associazioni e ai parlamentari europei a monitorare il dibattito politico e parlamentare per evitare qualsiasi colpo di coda. Ci auguriamo che questo voto possa aprire la strada a un vero impegno delle istituzioni e delle forze politiche e sociali europee sulla situazione ungherese, per mettere fine alle sistematiche e gravissime violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali nel Paese. Il voto di ieri deve essere solo l’inizio: per arginare l’avanzata dei fenomeni regressivi e reazionari nei paesi dell’U-

nione Europea, insieme all’abbandono delle politiche del rigore che hanno solo aumentato disuguaglianze e malessere sociale, serve un deciso investimento proprio su cultura, educazione, giovani generazioni e partecipazione democratica. Le politiche europee devono smettere di considerare questi ambiti come accessori e destinare ad esse risorse economiche e decisi investimenti politici. L’Arci prosegue il suo impegno. Ringraziamo le reti europee che hanno aderito alla campagna, e in particolare il Forum Civico Europeo e European Alternatives che l’hanno promossa e animata. Ringraziamo i parlamentari per il loro impegno e la loro determinazione. Abbiamo insieme dimostrato che la mobilitazione coordinata e paritaria di società civile democratica e parlamentari progressisti può imporre il cambiamento, anche quando l’accordo fra i poteri forti sembra blindato e intaccabile. Andiamo avanti così, per la nostra Europa.

arcireport n. 32 | 9 ottobre 2014 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 18 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

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