Arcireport n 46 2013

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XI | n. 46 | 17 dicembre 2013 | www.arci.it | report @arci.it

Una riflessione sulle proteste di questi giorni di Emanuele Patti*

Già abbiamo avuto modo di scrivere della povertà in aumento, del rischio per la coesione sociale, del fatto che in molti pagano questa crisi mentre pochissimi continuano ad arricchirsi, e soprattutto che tanti sono i nuovi poveri, il che dovrebbe indurre a una seria riflessione sulle ricadute sociali e politiche di questo fenomeno. É evidente quindi che non possiamo, all’indomani delle proteste attribuite un po’ troppo frettolosamente ai ‘forconi’, non interrogarci su quanto sta avvenendo. Si é detto e scritto tanto, spesso in modo confuso, ma alcuni punti possiamo darli per acquisiti. Intanto sulla composizione di questo movimento. L’analisi che ne fa Aldo Bonomi mi pare ampiamente condivisa. Bonomi descrive i partecipanti alle proteste come provenienti da quel «capitalismo molecolare, composto per lo più dal piccolo commercio diffuso (negozianti, ambucontinua a pagina 2

18 dicembre 2013

Giornata mondiale contro il razzismo, per i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie di Filippo Miraglia responsabile Immigrazione Arci

Il 18 dicembre del 1990 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie. Dopo più di 10 anni di lavoro della Commissione istituita nel 1979 per redigerla, si arrivava ad un documento frutto di molti compromessi e di una fase storica nella quale le politiche sull’immigrazione nei principali Paesi d’arrivo avevano già subito progressive restrizioni. La Convenzione è uno strumento di indirizzo legislativo e politico per i governi e gli stati di tutto il mondo, forse eccessivamente moderato per la rilevanza delle questioni affrontate, che avrebbero bisogno di una visione di lungo periodo, più aperta e avanzata. Uno strumento però che pone dei paletti e riconosce la necessità di attribuire a tutte le persone, a prescindere dalla loro condizione giuridica nel Paese ospitante, un pacchetto di diritti minimi

al di sotto dei quali non si può scendere. Quei paletti sono stati negli ultimi 20 anni, e ancora oggi vengono considerati, un ostacolo alla libertà di legiferare in senso restrittivo da parte dei governi che in questi ultimi anni hanno usato l’immigrazione come uno dei temi centrali per la ricerca del consenso, per individuare un facile capro espiatorio su cui far ricadere le difficoltà che le società attraversano. Anche per questo, dopo anni nei quali la giornata del 18 dicembre è stata solo oggetto di iniziative promosse dalle istituzioni legate all’ONU, in ambiti ristretti e con partecipanti un po’ distanti dai processi reali che attraversano la società, 3 anni fa, nell’ambito del Social Forum Mondiale sull’immigrazione, a Quito, abbiamo promosso, insieme a tanti altri soggetti, l’idea che ci si potesse riappropriare di questa data, per provare ad unificare le tante battaglie che le reti e i movimenti per i diritti dei migranti portano avanti in tutto il mondo. continua a pagina 2


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segue dalla prima pagina

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lanti), dai ‘padroncini’, muniti di partita Iva, dai camionisti e piccoli imprenditori. Una moltitudine rancorosa appartenente a un modello economico che sta sparendo, piccola borghesia pesantemente stressata dal fisco e impoverita dalla crisi che come sociologo non intercetto alle porte dei sindacati o delle associazioni di categoria, bensì alla mensa della Caritas. Un luogo dove arrivano disoccupati e cassintegrati, ma anche appartenenti a quella composizione sociale che definirei ‘non più’: non più negozianti, non più commercianti, non più piccoli imprenditori». Si fa dunque riferimento a categorie che storicamente la sinistra ha fatto fatica a intercettare, in particolare il mondo del commercio al dettaglio o ambulante, spesso lasciato alla rappresentanza delle varie destre, leghiste o fasciste, più spesso abbandonato al ‘miglior offerente’, senza capire che in questi anni la sua composizione sociale è profondamente mutata. Se questo è l’humus delle mobilitazioni, ora l’interrogativo riguarda la natura politica di questo movimento. Siamo di fronte a un movimento proto-fascista, per metodi e linguaggi? Oppure c’è chi sta tentando di cavalcarlo (dai neofascisti, ai pentastellati, a Berlusconi)? O non si sta invece semplificando per ‘comodità’ la lettura di un movimento complesso? Io penso che questo dibattito rilevi innanzitutto la debolezza di una sinistra, di governo e non, che in questi anni ha faticato molto a ‘vedere e sentire’ il paese reale, tanto da lasciare ad altri il campo della lotta alle politiche di austerità che in passato sarebbe stato terreno della sua iniziativa, mentre oggi la parte maggioritaria della sinistra è promotrice di quelle politiche, prima in nome dello spread dilagante ed ora delle larghe intese di salvezza nazionale, ligia alle imposizioni della Troika. Quanti cittadini sono stati lasciati soli, senza risposte, in tutti questi anni, se c’é stato spazio per l’affermarsi prima del leghismo, poi del grillismo e ora, forse, del ‘forconismo’? Davvero qualcuno pensava che i costi sociali delle politiche di austerità e della crisi non sarebbero emersi anche in termini di protesta e disagio? Può bastare concentrarsi sulla sfida interna alle forze politiche senza dare risposte a bisogni reali? Fin dai primi social forum, l’Arci

A distanza di 3 anni possiamo dire che quell’intuizione si è rivelata vincente e che il movimento globale per i diritti dei migranti si presenta oggi unito a quest’importante appuntamento internazionale. Nonostante le differenze, che ci sono e sono tante, emerge finalmente una forza ed una capacità di mobilitazione straordinaria. Tuttavia la condizione dei diritti dei migranti negli ultimi anni è peggiorata. La crisi ha inasprito una condizione di disagio sociale, di discriminazione diffusa, che ha determinato il fallimento di molti percorsi di integrazione e di emancipazione sociale. Lo sfruttamento nel mondo del lavoro, la fragilità sociale, così come la ricattabilità legata all’instabilità della condizione giuridica, hanno determinato un ulteriore passo indietro. Le tragedie di Lampedusa e quella di Prato dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che l’Italia è un Paese che ha scientificamente scelto di non affrontare in maniera seria le domande che l’immigrazione pone alla nostra società e di perpetrare l’approccio emergenziale e la strumentalizzazione politica. Le conseguenze sono gravi e hanno ripercussioni in Italia e non solo. Per questo, dopo una campagna che è riuscita a rendere visibile un’alternativa al ‘cattivismo’ di matrice leghista culturalmente egemone nel nostro Paese, abbiamo pensato di partecipare alla

ha cercato di analizzare gli effetti del neoliberismo e della finanziarizzazione dell’economia. Abbiamo chiesto un radicale cambiamento delle politiche economiche, la riforma della politica, abbiamo lanciato l’allarme sulla crisi della partecipazione, la desertificazione delle relazioni sociali, le trasformazioni del welfare, sulla situazione della scuola, della ricerca, sulle condizioni degli anziani, sugli errori in materia di immigrazione, sul restringersi dei diritti di cittadinanza…Tutti temi su cui abbiamo provato a fare politica, a indicare nuove risposte, a creare nuove alleanze, senza però trovare il necessario ascolto, e non solo da parte della politica. Sono convinto che l’Associazione, in vista del Congresso, debba cimentarsi soprattutto su questi temi. Anche perché gli attori di queste proteste spesso li incontriamo nei nostri circoli, ne intercettiamo i bisogni, raramente siamo in grado, an-

discussione sull’Europa che vorremmo, allargando la campagna L’Italia sono anch’io al livello europeo. Questo 18 dicembre, con il patrocinio del Ministero per l’Integrazione, in un confronto pubblico proveremo ad affrontare i nodi centrali di una questione che è politica e culturale insieme e che riguarda le relazioni sociali, ma anche il nostro comune futuro in Europa. L’Europa sono anch’io può diventare lo slogan con il quale reti sociali, movimenti, organizzazioni sindacali e associazionismo del mondo dell’immigrazione partecipano alla costruzione di quell’identità europea dal basso che può rappresentare un’alternativa reale alla retorica sull’europeismo e all’antieuropeismo razzista e dei tanti interessi particolari. I diritti di cittadinanza, la ratifica della Convenzione Internazionale, la libertà di circolazione, la chiusura della stagione del diritto speciale per i migranti possono rappresentare quell’orizzonte comune entro cui praticare una battaglia per un’Europa dei cittadini, più giusta e più aperta, che guardi soprattutto al mediterraneo e all’est come all’ambito nel quale costruire il nostro comune futuro. Una campagna europea nell’anno delle elezioni europee e della presidenza italiana dell’UE per essere politicamente presenti e provare a pesare e a determinare un cambiamento reale.

che noi, di offrire risposte efficaci. Fatte le giuste autocritiche, dobbiamo però non rinunciare all’analisi. Sulla natura del movimento che si sta palesando in questi giorni, condivido per esempio anche la riflessione di Lee Marshall che, interrogandosi sulla natura fascista o meno dei ‘forconi’, si dice convinto del carattere corporativo della protesta in un paese dove invece c’è un gran bisogno di coesione sociale. Ne contesta alcuni metodi, come la ricerca della ‘solidarietà forzata’, costringendo alla chiusura i negozi. E siccome l’Italia é quello strano Paese in cui la vicinanza tra pezzi deviati dello Stato e terrorismo nazionalista e di destra – piazza Fontana sta lì a ricordarcelo – è realtà e non fantapolitica, dobbiamo comunque tenere gli occhi aperti, sapendo che la via maestra resta la nostra Costituzione e la sua piena attuazione. * Ufficio di Presidenza Arci


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18dicembre

L’appello per la terza Giornata d’azione globale per i diritti delle e degli immigrati, rifugiati e sfollati Il 18 dicembre del 1990 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie. Sono passati 23 anni dall’approvazione di questa Convenzione e, purtroppo, la salvaguarda dei diritti delle e dei migranti, rifugiati e sfollati è ancora un traguardo da raggiungere. Nessun paese del ‘Nord’ del mondo l’ha ancora sottoscritta e in molti degli Stati in cui è stata ratificata non viene assolutamente rispettata. È necessario continuare una battaglia affinché essa venga adottata da sempre più paesi nel mondo e soprattutto affinché l’adesione non si limiti a un fatto puramente formale. Le violazioni dei diritti umani che quotidianamente vivono nel mondo i/le migranti evidenziano l’urgenza della costruzione di percorsi di lotta e di rivendicazione che possano affermare un maggiore rispetto dei loro diritti. Queste violazioni avvengono in diversi luoghi e a diversi livelli. Accadono sempre di più lungo le rotte migratorie, nei luoghi di transito (diventati a volte soste permanenti) dove la violenza diventa brutale e mortale come dimostrano le deportazioni dei migranti subsahariani ad opera dello stato maroc-

chino (agli ordini dell’Europa Fortezza) o lungo il territorio messicano dove diventa impossibile denunciare i massacri commessi con la complicità tra mafia e Stato, giacché i corpi vengono bruciati e le ceneri disperse nel mare. Si violano i diritti delle e dei migranti quotidianamente nei paesi di ‘accoglienza’ dove non li si considera essere umani o lavoratori e quindi soggetti di diritto, ma manodopera da sfruttare o da schiavizzare e che può essere rinchiusa e privata della propria libertà contro qualsiasi logica di diritto, espulsa e deportata verso luoghi in cui rischia la vita. In quasi tutti gli Stati si criminalizza la figura delle e dei migranti. Vengono presentati alla popolazione autoctona come delinquenti, come quelli che rubano il lavoro, responsabili della crisi e dell’insicurezza cittadina, dei capri espiatori usati dai governi per distogliere l’attenzione delle società dai veri responsabili della crisi mondiale. Noi, associazioni e organizzazioni di mi-

granti e di solidarietà con i/le migranti, vogliamo lanciare un forte segnale questo 18 dicembre 2013, terza Giornata d’azione Globale per i Diritti delle e dei Migranti, Rifugiati e Sfollati affinché si fermino questo massacro continuo e la violazione permanente dei loro diritti. Un messaggio da far arrivare alle istituzioni internazionali, agli Stati e ai governi, ma anche alle società civili del mondo intero. Le migrazioni ci stanno offrendo la possibilità di ridisegnare un mondo nuovo, un mondo in cui i diritti non siano un privilegio di chi è nato nelle zone geografiche ‘giuste’ ma qualcosa di valido per tutti e tutte, e che quindi non costringa nessuno/a a rischiare la propria vita per avere un futuro migliore. Un mondo dove migrare o non migrare sia una decisione presa per libera scelta e non per costrizione, un mondo in cui la libertà di circolazione non sia concepita solo per le merci, ma dove anche le persone possano circolare liberamente, fermarsi e non essere sfollate forzatamente. Un mondo in cui si rispetti il principio che gli essere umani sono portatori di diritti non solo nei luoghi in cui sono nati, ma oltre e al di là delle frontiere. Un mondo nel quale nessun essere umano, né lavoratore o lavoratrice sia illegale! www.globalmigrantsaction.org

Alcune delle iniziative organizzate in occasione della Giornata d’azione globale Roma - La Campagna L’Italia sono anch’io ha promosso il 18 dicembre, alle 10.30, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, l’iniziativa pubblica L’Europa sono anch’io. Migrare dall’emergenza alla cittadinanza. Al centro del confronto la ratifica della Convenzione Onu per i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, sulla quale si intende promuovere una campagna europea, la riforma della legislazione sulla cittadinanza e la necessità di un’inversione di rotta nelle politiche del governo rispetto alla gestione degli ingressi e all’accoglienza, con particolare riguardo ai minori, ai rifugiati e ai richiedenti asilo. Al dibattito parteciperanno il ministro Kyenge, l’onorevole F. Paolo Sisto, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Carlo Feltrinelli, portavoce de L’Italia sono anch’io, il segretario confederale della Uil Guglielmo

Loy, il direttore dell’ufficio ILO in Italia e San Marino Luigi Cal, padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, Mohamed Abdalla Tailmoun, portavoce della Rete G2, Elvira Ricotta Adamo, Reas Syed e Hassan Maamri, esponenti, rispettivamente, dei comitati romano, milanese e siciliano della Campagna. Arezzo - Il 18 dicembre verrà proiettato il film documentario Benvenuti in Italia del regista Zakaria Mohamed Ali. La proiezione si terrà presso la Casa delle culture, in Piazza Fanfani 1, a partire dalle 18.30. L’iniziativa è realizzata da Arci Arezzo in collaborazione con l’Archivio Memorie Migranti. Il documentario si compone di cinque storie di vita quotidiana, realizzate da registi diversi. Tutti e cinque i film-maker sono giovani immigrati che hanno alle spalle storie di separazioni, di fuga, di ricerca di una vita migliore. Dopo un percorso di formazione

all’Archivio Memorie Migranti, i cinque registi hanno girato i lungometraggi, i cui protagonisti sono giovani che, da soli, nonostante le difficoltà della vita, riescono a rialzarsi e a perseguire un futuro diverso. Firenze - Il 18 dicembre, alle 15, si terrà presso la sede Arci, in piazza dei Ciompi 11, il dibattito Diritto d’asilo. Verso una Legge quadro. Un confronto sulla disciplina della protezione umanitaria nel nostro paese. Introduce Francesca Chiavacci, presidente Arci Firenze. Coordina Simone Ferretti, responsabile Immigrazione Arci Toscana. Intervengono: Stefania Magi, Anci Toscana, Salvatore Allocca, assessore Welfare Regione Toscana, Antonello Giacomelli, deputato Pd, Daniele De Bonis, Unhcr, Daniela Consoli, Asgi, Francesca Scarselli, Medu, Sabrina Emilio, C.A.T., Sergio Zorzetto, psicologo. Organizzano Arci Firenze e Arci Toscana.


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migranti

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Frontex a Catania? La politica siciliana offre lucciole per lanterne di Giuseppe Belluardo Arci Catania

Si sta già perdendo la memoria e si sta diluendo quell’impeto di commozione e indignazione che ha coinvolto il nostro paese e la società civile internazionale in seguito ai tragici naufragi che causarono la morte di circa 600 persone nel Canale di Sicilia poco più di due mesi fa. Il naufragio del 3 ottobre in particolare, con i suoi 368 morti annegati, ha rappresentato non l’avvio di una riflessione sul senso di politiche migratorie velatamente segregazioniste, ma un’occasione per intensificare e giustificare il carattere sempre più securitario, con l’ulteriore innalzamento dei confini fisici e giuridici da parte dei governi europei. Governi che, a cominciare dal nostro, fecero presto a mostrare cordoglio per i morti, ma altrettanto non fecero per i vivi che, giungendo sulle nostre coste, cercano una possibilità di costruirsi una nuova vita. Rispetto al loro bisogno di protezione e accoglienza la politica – in piena crisi di rappresentanza democratica – offre risposte del tutto inadeguate. La realtà è complessa, tuttavia non si può stare in silenzio di fronte alle misure approvate per salvare, accogliere, ma allo stesso reprimere i migranti che giungono nel solo modo concesso dall’Europa di Schengen, e cioè da irregolari. Ai confinamenti burocratici si aggiunge adesso, nel Canale di Sicilia, la predisposizione di strumenti

militari-umanitari con cui l’Italia e l’Unione Europea vorrebbero reprimere il traffico illegale di migranti, senza allo stesso tempo garantire migliori condizioni di accoglienza per chi riesce a raggiungere il nostro paese. L’effetto di queste politiche di contenimento sarà quello di rendere ancora più precarie e rischiose le rotte dell’immigrazione. Gli stati europei, divisi, si accusano reciprocamente di fare poco per l’accoglienza dei richiedenti asilo, ma ritrovano l’unità quando si tratta di reprimere il traffico, chiudere i confini, rafforzare il ruolo di Frontex in tal senso. Proprio sul ruolo di Frontex diversi giuristi, sociologi e attivisti hanno espresso perplessità e forti critiche, giacché si tratta di un’agenzia regolativa, la quale assume sempre più il ruolo di coordinamento delle varie polizie di frontiera, ma contro i cui atti non è possibile ricorrere a livello giurisdizionale. Per fare un esempio, se durante le operazioni di soccorso in mare, effettuate con navi militari supportate da funzionari del Ministero dell’Interno, venissero erroneamente dichiarate maggiorenni persone che non lo sono, le quali così non potrebbero godere delle misure di protezione garantite ai minori dalla Convenzione di New York dell’89; oppure, se ad un tunisino o ad un egiziano venisse negata la possibilità di chiedere protezione

internazionale, perché provenienti da paesi verso cui vengono effettuati sistematicamente rimpatri illegali, non godrebbero appieno del diritto di ricorso a un tribunale per chiedere conto dell’ingiustizia subita. Si tratta, in termini giuridici, di esercizio di mero potere amministrativo senza alcuna garanzia di ricorso giurisdizionale. Questo è uno dei tanti esempi critici sulle operazioni di soccorso coordinate da Frontex lungo tutti i confini europei. Tale agenzia riveste insomma il ruolo di think tank per le polizie di frontiera definendo prassi e procedure di controllo dei confini al di fuori di ogni logica democratica e garantista. Ciò nonostante, la retorica dell’interventismo per reprimere il traffico si esprime anche a Catania con la deplorevole richiesta da parte del sindaco Enzo Bianco - rilanciata da Musumeci a livello regionale - di individuare la città etnea quale sede operativa principale dell’Agenzia per il Mediterraneo: il sindaco metterebbe a disposizione un immobile di proprietà del comune. Ci si chiede come mai Bianco non abbia espresso lo stesso zelo quest’estate, quando di immobili per sistemare i pochi migranti sbarcati in città ci sarebbe stato reale bisogno, piuttosto che ‘ospitarli’ in condizioni disumane nella palestra di una scuola o nei palasport in cui erano illegalmente trattenuti.

Dall’Italia adesso si emigra È un fatto che gli italiani ormai stanno facendo le valigie per sperimentare una vita altrove. Anche gli stranieri stanno abbandonando l’Italia e sempre meno scelgono questo paese per progettarsi un futuro. Il racconto di questa piccola fuga è solo uno dei tanti dati significativi che rendono prezioso il rapporto annuale sulle migrazioni pubblicato dalla Fondazione Ismu. Nel 2012 hanno lasciato l’Italia 68mila persone (erano 50mila nel 2011 e 40mila nel 2010). Mete privilegiate: Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia. Quei quasi 5 milioni di stranieri che vivono stabilmente in Italia sono sempre più integrati ma sempre più in difficoltà. Ci sarebbe un aumento del 6%, ma è dovuto a fattori interni che non dipendono dalla mobilità: le seconde generazioni, 80mila nascite e 72mila stranieri che non erano

stati censiti l’anno precedente. In realtà i nuovi permessi di soggiorno per lavoro sono stati solo 67mila nel 2012, quasi la metà rispetto al 2011. Infine, nel 2011 circa 200mila stranieri hanno lasciato l’Italia e si stima che altrettanti l’abbiano fatto l’anno successivo. Secondo l’Ismu, questo progressivo rallentamento di crescita della popolazione straniera sarà una costante anche nei prossimi anni. Nel 2020 gli immigrati residenti in Italia saranno più di 7 milioni, quasi 10 nel 2035. Dovrebbe cambiare significativamente anche la composizione delle nazionalità presenti: i rumeni scenderanno dal 21% del 2011 al 15,8% nel 2035, mentre si rafforzeranno le presenze dal Marocco (dal 9,9% al 12,5%) e dall’India (dal 2,6% al 5,2%). La vera ineludibile questione, per tutti e per gli immigrati in particolare, si chiama lavoro. Anche per gli stranieri la disoccu-

pazione è in aumento: ci sono più occupati nel 2012 rispetto al 2011, ma l’aumento è dimezzato rispetto agli anni precedenti. Gli occupati stranieri sono 2 milioni 344 mila, quindi 82mila in più in un anno, ma solo grazie all’incremento dell’occupazione femminile che si attesta all’8%. Ma in generale la disoccupazione cresce perché è cresciuto il numero di stranieri disponibili al lavoro: nel primo semestre del 2013 i senza lavoro stranieri sono 511 mila, erano 380mila nel 2012 (tasso di disoccupazione al 18%). Altri capitoli del rapporto dicono che la situazione forse è già precipitata. Per tutti. L’11,2% degli stranieri nel 2012 ha dichiarato di non essersi curato dopo aver individuato una malattia (7% gli italiani): il 90% perché non aveva soldi per pagarsi le cure (70% gli italiani). Percentuali non troppo diverse. Segno del disagio che ormai accomuna italiani e stranieri.


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società

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Come contrastare la povertà di Maurizio Mumolo presidenza Arci

Nella devastante crisi economica che il nostro paese sta attraversando, c’è un dato che non emerge con sufficiente chiarezza: l’aumento della povertà. Spesso viene confuso nella rappresentazione della generale contrazione dei redditi delle persone e delle famiglie. In realtà stiamo parlando di un’altra cosa: in Italia, nel 2012 (dati Istat) il 7,9% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta. 4 milioni 814mila persone ha un reddito inferiore a quello minimo di sopravvivenza materiale (ben sotto i 506 € mensili). Si tratta, in sostanza, dell’impossibilità di far fronte a spese riguardanti l’alimentazione, la casa e altre necessità primarie come vestiti, trasporti e quanto occorre per definire la propria esistenza dignitosa. Vi sono inoltre 9 milioni 563mila persone in condizioni di povertà relativa, cioè che quel reddito minimo lo raggiungono a stento. La situazione si è rapidamente aggravata negli ultimi due anni e analizzando i dati più nel profondo vediamo che nel mezzogiorno la situazione è ancora peggiore: qui ormai oltre un quarto della popolazione vive in una condizione di grave deprivazione materiale. Le persone in povertà

assoluta ricevono un’assistenza assai limitata dai Comuni, a causa dei ripetuti tagli alle spese sociali, devono rivolgersi alle tante realtà dell’associazionismo e del volontariato attive sul territorio, o più spesso devono arrangiarsi da sole. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico paese d’Europa che non si è dotata di uno strumento nazionale stabile di contrasto alla povertà assoluta. Ancora una volta però, nelle proposte del governo contenute nella legge di Stabilità non ve n’è traccia, se si esclude la riproposizione della social card, insufficiente e di uso ambiguo. Evidentemente, vista la gravità e l’ampiezza del fenomeno, non è sufficiente il solo contributo economico una tantum. È necessaria una misura che coniughi l’intervento economico per sostenere le spese primarie insieme a servizi alla persona (sociali, educativi, per l’impiego), capaci di riqualificare la propria condizione e di uscire dalla condizione di povertà. In questi ultimi mesi alcune realtà del terzo settore hanno lanciato delle proposte al riguardo. Da una iniziativa promossa da Acli e Caritas, alla quale poi hanno aderito numerose organizzazioni, tra cui

l’Arci, si è costituita una Alleanza contro la povertà che ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica, gli esperti, la politica, su questo tema cruciale e proporre l’adozione di un piano nazionale contro la povertà che coniughi misure strutturali a provvedimenti immediati e progressivi come l’introduzione di un reddito di inclusione sociale. Un altro fronte di iniziativa è rappresentato da Libera e Gruppo Abele, che insieme ad altri soggetti, anche in questo caso con la partecipazione dell’Arci, ha dato il via ad una campagna, Miseria ladra, che propone l’adozione di alcune, 10, misure immediate di contrasto alla povertà: dall’aumento dei fondi per il sociale, alla moratoria dei crediti della PP.AA., dalla sospensione degli sfratti esecutivi alla residenza per le persone in difficoltà. La povertà oltre ad avere effetti drammatici per chi la vive, ha delle conseguenze gravissime sulla coesione sociale del paese, mina alla base il patto di cittadinanza tra lo stato e il cittadino. Il suo contrasto non può essere lasciato alla carità del singolo ma deve diventare una priorità delle politiche pubbliche nazionali.

Prestito Sociale, i centri di ascolto nei Circoli Arci di Firenze Da alcuni giorni sono attivi anche presso il Circolo Arci Vie Nuove e il Circolo Arci Lippi due centri di ascolto a cui rivolgersi per richiedere un prestito sociale nell’ambito del progetto lanciato dalla Regione Toscana per offrire aiuto a persone e famiglie in sofferenza economica e favorire l’inclusione sociale. I due centri di ascolto fanno parte della rete di punti allestita nella zona/distretto socio-sanitario di Firenze e che vede coinvolti soggetti dell’associazionismo e del volontariato. In tale distretto è prevista la possibilità di avviare progetti di microcredito da massimo 3mila euro ciascuno. I centri di ascolto presso i circoli Arci sono animati da alcuni volontari dotati di competenze adeguate e che hanno frequentato uno specifico corso di formazione. I soggetti richiedenti dovranno fare una richiesta scritta del prestito compilando un’apposita modulistica. Una commissione territoriale di valutazione composta dal soggetto proponente e dai partner valuterà le richieste e la loro congruità assegnando

dei punteggi sulla base di una griglia specifica. I richiedenti devono essere in condizioni di specifiche difficoltà familiari o personali e trovarsi in una situazione economica temporanea e contingente tale da non permettere il sostentamento di determinate spese necessarie per la salute o legate alla situazione familiare, alloggiativa, scolastica, formativa o lavorativa. L’intervento si articola in percorsi individualizzati basati sulla responsabilizzazione e l’empowerment del beneficiario e sulla relazione con i servizi sociali del territorio. Il beneficiario sarà sostenuto nel suo percorso da un tutor. Con ogni beneficiario selezionato verrà condiviso un progetto individualizzato. Parte integrante

Centri di ascolto presso circoli Arci Firenze Circolo Arci Vie Nuove Viale Giannotti 13 orario di apertura: giovedì dalle 15 alle 17 Circolo Ricreativo Arci Lippi Via Fanfani 16 - orario di apertura: venerdì dalle 15 alle 17

del percorso è, infatti, la stipula formale di un patto tra il soggetto erogatore del prestito e il beneficiario, in cui si codifica l’assunzione di un impegno reciproco tra le parti. Questo patto non riguarda soltanto la concessione del credito e la restituzione del prestito, ma tutto il percorso educativo finalizzato all’acquisizione e/o recupero di strumenti per l’autonomia economica e sociale. La modalità di restituzione potrà riguardare l’intero importo a fine percorso, una restituzione in tranche a scadenze prestabilite o la restituzione sotto forma di attività sociali. Quest’ultima modalità di restituzione è ammissibile in casi particolari e deve riguardare attività utili alla collettività per cui il beneficiario mette a disposizione le proprie competenze. Il prestito viene erogato direttamente dal gruppo di organizzazioni e realtà che partecipano al progetto e non da una banca. A stabilire se il prestito potrà essere erogato non saranno i volontari dei centri d’ascolto, bensì la specifica commissione che si riunirà due volte al mese per esaminare le richieste. www.arcifirenze.it


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società

Un milione di bambini poveri Un milione di bambini sotto la soglia della povertà assoluta non ha il diritto ad una casa popolare o a un alloggio sociale in Italia. Tra il 2007 e il 2012, sostiene l’Organizzazione non governativa Save the Children nell’Atlante dell’infanzia «L’Italia Sottosopra» presentato a Roma la scorsa settimana, il loro mondo conosce anche la privazione alimentare (al Sud, nel primo quinquennio della crisi, la spesa media alimentare delle famiglie è calata del 5,8%). Un milione e 344mila tra bambini e ragazzi (uno su 10), sopravvive in alloggi senza servizi e con seri problemi strutturali. Se in paesi come la Svezia, l’Olanda e il Belgio superano il 30%, in Italia gli alloggi sociali in affitto, appartenenti alle cooperative, sono solo il 5,3% del patrimonio abitativo. Peggio fanno solo il Portogallo con il 3% e la Grecia con lo 0%, paesi che, insieme all’Italia, continuano ad essere privi di protezioni sociali.

Questo è uno degli aspetti più iniqui del welfare più arretrato d’Europa, risultato di un trentennio dove le diseguaglianze economiche sono cresciute a dismisura. I più colpiti sono i bambini figli di genitori disoccupati (+8,5%) o che vivono in famiglie monoreddito (+3,1%). Nel mezzogiorno la povertà colpisce mezzo milione di minori, una «quota stratosferica» che investe, ad esempio, una coppia con due figli adolescenti per i quali arriva a spendere 1.312 euro al mese se vivono in una metropoli. Non va meglio al Centro, dove lo stesso nucleo familiare spende 1.455 euro. In un’area metropolitana del Nord, una coppia con un figlio di tre anni spende 1.252 euro. Sulle spalle delle famiglie non pesano solo le spese per i servizi privati, ma anche delle cure. La crisi incide gravemente anche su questo aspetto. Se il bambino ha bisogno di un apparecchio per i denti,

Giovani: 3,7 milioni non studiano né lavorano I Neet (not in Education, Employment or Training) under 35 aumentano di 300 mila unità in un anno. Record al Sud Oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in un percorso di formazione. Lo rileva l’Istat in una tabella sui cosiddetti ‘Neet’ ampliata alla fascia dei 30-34 anni, secondo la quale gli under 35 in questa condizione nel terzo trimestre sono 3,75 milioni. Al Sud la percentuale è del 36,2% (oltre 2 milioni di persone). I ‘Neet’ (not in education, employment or training) tra i 15 e i 34 anni sono aumentati di oltre 300.000 unità rispetto al terzo trimestre del 2012 passando da 3,43 a 3,75 milioni e toccando la quota record del 28,5% (era 25,8% nel terzo trimestre 2012). Finora l’Istat aveva diffuso le rilevazioni sui ‘Neet’ fino ai 29 anni (27,4% nel terzo trimestre 2013 a fronte del 24,9% nello stesso periodo del 2012), fascia di età nella quale coloro che non studiano né lavorano sono 2,564 milioni contro i 2,344 del terzo trimestre 2012. Nella media 2012 i ‘Neet’ under 35 in Italia erano il 25% del totale dei giovani (17,3% la media nell’area euro), percentuale inferiore solo alla Bulgaria e alla Grecia. Oltre la metà dei ‘Neet’ (2.010.000 su 3.755.000) sono al Sud con una percentuale che sfiora il 40% (il 39,6% degli under 35 contro il 36,9 del terzo trimestre 2012). Se si guarda agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori

dal percorso lavorativo, formativo e di istruzione il 36,2% dei giovani a fronte del 34,7% del terzo trimestre 2012 (1,344 milioni su 2,564 milioni di neet under 29). Nel complesso ci sono quasi 1,2 milioni di “Neet” tra i 30 e i 34 anni di cui 666.000 al Sud. Su 3,755 milioni di neet under 35 complessivi ci sono oltre 1,5 milioni di giovani con bassissima scolarità (fino alla licenza media) mentre 1,8 milioni hanno il diploma di maturità e 437.000 hanno nel cassetto una laurea o un titolo post laurea. Le donne ‘Neet’ superano gli uomini: sono 2.112.000 mentre gli uomini sono 1.643.000. Intanto aumenta anche il numero di italiani che emigrano all’estero: nel 2012 hanno lasciato il Paese 68mila connazionali, mentre nel 2011 erano 50mila (e 40 mila nel 2010). Le regioni che hanno visto i maggiori aumenti di cancellazioni anagrafiche di italiani nel 2012, rispetto al 2010, sono state il Molise (+147%), la Campania (+137%), la Basilicata (+129%), la Puglia (+120%) e la Sicilia (+96%). Sono questi alcuni dei principali dati del XIX Rapporto nazionale sulle migrazioni 2013, elaborato dalla Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità). Le mete preferite dagli emigrati italiani sono la Germania, la Svizzera e il Regno Unito.

i genitori sono costretti a rinviare le cure in un caso su tre. La spesa per i libri di testo a scuola si riduce di conseguenza. Il budget mensile delle famiglie povere è di 11 euro, una somma inferiore di 20 volte rispetto a quella investita dalle famiglie ‘abbienti’. In una vita dove le possibilità si assottigliano, cambiano anche le abitudini alimentari. Si mangia a caso, troppo e male o troppo poco, in ogni caso disordinatamente. Il 22,2% dei minori è in sovrappeso, il 10,6% è obeso. Sono questi i processi che investono la struttura economico-sociale e cambiano le abitudini dei cittadini. Cresce la vulnerabilità sociale, soprattutto se si considerano i tagli all’istruzione pubblica del 2008 e mai più rifinanziati da allora. Di conseguenza aumenta la dispersione scolastica (758mila ragazzi), senza contare il 41,2% di disoccupazione giovanile.

Potere d’acquisto -10% con la crisi Crolla il potere d’acquisto delle famiglie: nel 2012, anno tra i più critici per l’economia e la società italiana, i redditi ne hanno risentito in maniera rilevante. Si sono infatti ridotti del 2% in termini monetari, ma in termini di potere d’acquisto la caduta è stata di quasi 5 punti, il picco più alto dall’inizio della crisi. Secondo i dati forniti dall’Inps, dal 2008 al 2012 il reddito disponibile delle famiglie ha perso in media l’1,8%, mentre la spesa per gli ammortizzatori sociali nel 2012 è aumentata del 19% rispetto al 2011 superando quota 22,7 miliardi. La spesa principale è quella per la disoccupazione con 13,811 miliardi, due miliardi in più di quelli spesi nel 2011. Nell’anno passato, con la vera e propria emorragia di lavoratori pubblici, diminuiti di 130mila unità a causa del blocco del turnover e dei pensionamenti, le entrate contributive sono diminuite di più dell’8%. Quasi la metà dei pensionati Inps ha un reddito da pensione inferiore ai 1.000 euro al mese, di questi un terzo non arriva a 500 euro. L’applicazione della riforma sulle pensioni ha radicalmente modificato il sistema e prodotto un freno ai nuovi pensionamenti, mentre crescono le nuove prestazioni assistenziali.


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solidarietàinternazionale

Siria, ancora ostacoli agli aiuti umanitari: mancano cibo e medicinali per quasi 7 milioni di persone La denuncia di Human Rights Watch Il governo siriano e alcune delle fazioni che lo combattono stanno impedendo l’afflusso di aiuti umanitari a centinaia di migliaia di civili, che si trovano nelle zone della Siria poste sotto assedio. Lo riferisce Human Rights Watch secondo cui attivisti locali e abitanti delle campagne che circondano Damasco e di Homs hanno lanciato l’allarme sulle sofferenze inflitte alla popolazione dalla crescente scarsità di cibo; sono molti poi coloro che muoiono per la mancanza di cure mediche nelle zone tenute sotto assedio. Secondo i dati in possesso dell’Onu, sono oltre 2 milioni e mezzo i siriani che vivono nelle zone interessate dal conflitto, in cui le agenzie umanitarie non possono arrivare per ragioni di sicurezza. Ben 6,8 milioni di persone hanno bisogno d’aiuto

e il numero di siriani rifugiati nei paesi confinanti o vicini, soprattutto Turchia e Libano, dovrebbe toccare i tre milioni entro la fine dell’anno. Il 2 ottobre scorso, il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva emesso una dichiarazione non vincolante con la quale si chiedeva alle parti in conflitto di agevolare gli interventi umanitari, ma secondo le organizzazioni presenti sul campo il governo di Damasco si è limitato a rimuovere alcuni ostacoli burocratici, continuando di fatto a sbarrare il passo agli operatori umanitari. Human Rights Watch chiede al Consiglio di sicurezza di adottare una risoluzione che minacci sanzioni in caso di mancato rispetto degli impegni. Attivisti locali e residenti della zona sud di Damasco, di Moadamiya e di

A Perugia si costituisce la Rete della Pace A Perugia le organizzazioni della società civile approvano il percorso costituente della Rete della Pace per rilanciare il proprio impegno in Italia, in Europa e nel mondo. Nei giorni 6 e 7 di dicembre 2013, riunite nella sala intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, della sede della Provincia di Perugia, un numero rilevante e significativo di organizzazioni che hanno partecipato all’esperienza della Tavola della Pace hanno approvato il percorso costituente che dovrà portare, in pochi mesi, alla nascita della Rete della Pace. L’iniziativa è promossa, ed è rivolta, a tutte le associazioni, sindacati, comitati, circoli, gruppi informali e singole persone che, operando nel solco della Marcia Perugia-Assisi, nell’insegnamento di Aldo Capitini, nei principi della Costituzione Italiana, della Carta Europea

e del sistema Internazionale di promozione e di tutela dei Diritti Umani, intendono rinnovare il proprio impegno a favore della pace, dei diritti, della giustizia e della legalità. I primi impegni riguarderanno la partecipazione attiva alle iniziative ed alle campagne già in corso: Taglia le ali alle armi, Arena di Pace, Marcia Perugia Assisi, Sarajevo 2014, Libertà Marwan Barghouti e prigionieri palestinesi, libertà di espressione (free Media) in Siria, crisi ambientali, servizio civile, diritto al lavoro dignitoso, accoglienza e diritti migranti. Hanno già aderito al percorso costituente molte organizzazioni, reti e comitati. Le adesioni alla fase costituente sono ancora aperte e dovranno essere inviate entro il 31 gennaio 2014. segreteria@retedellapace.it

Premio Morrione: prorogata la scadenza Il comitato promotore del Premio Roberto Morrione, premio TV per il giornalismo investigativo, ha prorogato i termini di presentazione dei progetti a giovedì 22 dicembre. La partecipazione è riservata ai giovani che non abbiano compiuto 31 anni d’età al 15 dicembre 2013, data di scadenza prevista inizialmente dal bando. Intanto prosegue il percorso delle inchieste finaliste della seconda edizione. Dopo aver trasmesso l’inchiesta vincitrice La Forestale dei veleni, giovedì 12 dicembre alle 21.30 è stata trasmessa su Rainews24 una versione di 14 minuti della video-inchiesta Non chiamateli mostri:

storie di ordinaria schiavitù di Antonella Graziani, Valentina Valente e Michele Vollaro, seconda classificata al Premio Roberto Morrione 2013. Con questa video¬inchiesta si propone un viaggio che parte dalle strade di Roma per cercare di vedere chi siano e come sono costrette a vivere queste persone, passando per Milano dove un’indagine della polizia locale ha smascherato una rete di trafficanti che li sfruttava attraverso la loro riduzione in schiavitù e forzandoli a mendicare, e termina in Romania dove nella maggior parte dei casi comincia questa odissea. www.premiorobertomorrione.it

Ghouta est, sotto assedio da mesi, riferiscono che il governo ha tagliato la corrente e le comunicazioni, impedendo l’afflusso di cibo e medicine. Sono 288mila i civili sotto assedio a Damasco e dintorni e nella città di Homs, dove il cibo scarseggia: si sopravvive mangiando olive, verdure di campo e persino le foglie che cadono dagli alberi. La situazione sanitaria è altrettanto drammatica: in alcune delle zone assediate i bombardamenti governativi hanno distrutto gli ospedali, costringendo il personale medico a curare i feriti in improvvisati ospedali da campo. Impossibile anche verificare in modo indipendente le affermazioni dei contatti locali, visto che agli esponenti delle organizzazioni umanitarie è vietato accedere alla zona; né è chiaro fino a che punto ai civili sia consentito allontanarsi dalle zone di conflitto: a ottobre migliaia di persone sono fuggite da Moadamiya, un sobborgo di Damasco sotto assedio dei governativi, grazie a un cessate il fuoco negoziato, ma si è a conoscenza di diversi casi in cui i militari che presidiano i posti di blocco a Moadamiya, Ghoutaest e nella città vecchia di Homs hanno aggredito e fermato diverse persone che cercavano di fuggire, soprattutto uomini in età di leva militare. Il governo sbarra il passo alle organizzazioni umanitarie anche al di fuori delle aree assediate, impedendo l’afflusso di aiuti dalla Turchia, destinati all’opposizione, nelle zone settentrionali del paese. Questo costringe le organizzazioni umanitarie, anche le agenzie delle Nazioni Unite, a sobbarcarsi percorsi tortuosi per raggiungere i civili in stato di necessità, con l’attraversamento di decine di checkpoint. Secondo le Nazioni Unite, due milioni e mezzo di persone sono intrappolate in queste zone difficili da raggiungere. Il governo siriano, qualche tempo fa, aveva fatto sapere che avrebbe consentito l’arrivo di aiuti da Libano, Giordania e Iraq, ma non dalla Turchia (che ha preso posizione contro il regime di Assad). Dal canto loro, i miliziani antigovernativi che controllano la Siria settentrionale impediscono alle organizzazioni umanitarie di raggiungere decine di migliaia di persone intrappolate in due villaggi sciiti a nord di Aleppo. I combattenti antigovernativi, riferisce Human Rights Watch, hanno anche sequestrato alcuni operatori umanitari, tra cui dei dipendenti della Croce Rossa Internazionale, tre dei quali sono tuttora nelle loro mani.


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esteri

La lunga transizione egiziana Un reportage di Raffaella Bolini, in missione in Egitto con la Rete Euromed. La seconda parte nel prossimo numero di Raffaella Bolini presidenza Arci

Ma cosa sta succedendo in Egitto? E soprattutto, come stanno i democratici? La scorsa estate erano sotto i riflettori del mondo, con la grande manifestazione del 30 giugno per difendere la rivoluzione contro lo scippo islamista, con la destituzione del presidente Morsi da parte dell’esercito e il bagno di sangue che ne è seguito, con la messa fuorilegge dei Fratelli Musulmani. Ora gli egiziani si apprestano a votare entro febbraio nel referendum sulla nuova costituzione -dopo la soppressione di quella imposta dagli islamisti, per contrastare la quale si era coagulata la grande opposizione della seconda rivoluzione. E, entro l’estate del 2014, l’Egitto dovrebbe avere un governo civile dopo regolari elezioni. Per la società civile democratica internazionale, dopo le diatribe estive sull’intervento militare sostenuto come il male minore dalla maggior parte delle correnti laiche e progressiste egiziane, non è facile capire dall’esterno cosa stia succedendo. I movimenti in Egitto non sono molto presenti nel dibattito internazionale. Eppure stiamo parlando di un paese enorme, con 85 milioni di abitanti, fondamentale dal punto di vista politico e strategico per tutta la regione, dove da giugno sono morte negli scontri o per la violenza politica 1.300 persone e migliaia sono incarcerate. E dove, ad aggravare il quadro, è venuta da poco alla luce una condizione drammatica dei migranti e richiedenti asilo, provenienti da Africa e Asia, in particolare dalla Siria, che sono oggetto di traffici inumani, di detenzioni illegali, di deportazioni e violenze. L’unico modo per cercare di avere un quadro più chiaro è andarli a trovare. Così la Rete Euromed per i Diritti Umani ha organizzato nei giorni scorsi una missione, tre giorni pieni di incontri con tutti gli attori democratici del paese. Siamo partiti a due settimane dalla promulgazione, in Egitto, di una brutta legge sulle manifestazioni che autorizza un uso eccessivo della forza, concede poteri discrezionali al ministero degli Interni e la possibilità di aprire il fuoco su manifestanti pacifici, in risposta a «violazioni della legge e minacce alla

vita, alla ricchezza e alla proprietà». Le manifestazioni che potrebbero provocare ritardi al traffico e ai trasporti possono essere vietate, e gli organizzatori di assembramenti con più di dieci persone devono presentare tre giorni prima tutto il loro programma di azione per ottenere l’autorizzazione. Le pene per i trasgressori arrivano a cinque anni. Nella nuova legislazione sono state recuperata alcune norme della legge contro gli assembramenti che risale ai tempi dell’occupazione inglese. La legge ora dovrebbe passare al vaglio della Corte Costituzionale, che ancora non si è espressa. E nel frattempo è iniziata la discussione sulla legge antiterrorismo. Ancora non si sa se si lavorerà a una nuova legge o si emenderà quella esistente. L’intenzione è di far ricadere sotto questa accusa un’ampia serie di azioni di protesta e resistenza, comprese molte di quelle nonviolente. Il paese non ha ancora una Costituzione, e i nostri interlocutori sottolineano come il governo provvisorio non avrebbero nessun obbligo di legiferare su temi sensibili. «Le leggi repressive hanno come fondamentale obiettivo le organizzazioni islamiche, e noi siamo considerati dal governo come una sorta di ‘quinta colonna’ dei Fratelli Musulmani perchè difendiamo i diritti umani di tutti e ci opponiamo a questa legislazione» ci dice la rappresentante della New Women Foundation, organizzazione femminista. E aggiunge: «è paradossale, noi abbiamo combattuto contro Morsi e ora ci accusano di essere pro-islamici». Oltre a leaders e militanti dei Fratelli Musulmani, sono già un bel numero anche gli attivisti del movimento democratico arrestati, fra i quali esponenti delle organizzazioni che fanno riferimento alla Rete Euromed. La repressione e le minacce si indirizzano soprattutto ai movimenti informali, alle organizzazioni di base che hanno partecipato attivamente alla rivoluzione, piuttosto che alle organizzazioni più strutturate e con forti relazioni istituzionali e internazionali. Ma c’è una discussione che va ancora più nel profondo, un dibattito sui prin-

cipi della protezione dei diritti umani, che non riguarda solo gli egiziani e che pone interrogativi grandi. «Abbiamo le prove, i dossier ne sono pieni, che le manifestazioni dei Fratelli Musulmani hanno avuto una grande componente fatta di gruppi armati, che i cortei erano strutturati per provocare violenza e per uccidere» ci dice un dirigente dell’Andalus Center for Tolerance and Anti-Violence Studies. «Possiamo difendere chi usa le piazze per fare la guerra allo stesso modo di come difendiamo le manifestazioni pacifiche? Che approccio devono avere le organizzazioni per i diritti umani verso coloro che usano lo spazio e i processi democratici per distruggere la democrazia?» Le divisioni e le differenze che corrono fra le organizzazioni di società civile non riguardano dunque solo il passato, il giudizio sul processo che ha portato la ‘seconda rivoluzione egiziana’ ad appoggiarsi all’esercito per cacciare un altro presidente, questa volta islamico, e alla messa fuorilegge dei Fratelli Musulmani. Il giudizio su quella vicenda (era un male necessario di fronte a un pericolo maggiore? è solo un passaggio per tenere aperto lo spazio alla lotta politica che gli islamisti stavano serrando? è stato un errore?) si trasferisce nelle scelte concrete di ogni giorno. «Siamo divisi fra di noi» ci dicono tutti. «Ci sono coloro che credono sia meglio un regime militare che uno stato islamico, e che quindi sono disponibili ad accettare molte delle cose imposte da governo ed esercito. C’è una parte di movimento che non sta nè con i Fratelli nè con i militari, e pensa che il principale obiettivo sia continuare la rivoluzione. Ci sono altri che dicono che dobbiamo aspettare, cercando di allargare gli spazi democratici nelle condizioni date. Ma non possiamo in ogni caso accettare leggi che reprimono la partecipazione, e su questo siamo tutti d’accordo.» Di leggi su cui concentrare l’attenzione ce sono molte, prima fra tutte la stessa Costituzione. Allo stadio attuale della discussione il capitolo sui diritti e le libertà è molto avanzato. continua a pagina 9


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segue dalla pagina 8

Ma «bisogna stare molto attenti alle pratiche, oltre che alle norme», in un paese dove i giudici sono tradizionalmente una casta corrotta e subalterna al potere dominante. E infatti, la riforma della giustizia e l’autonomia della magistratura vengono considerate una priorità ineludibile. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ci racconta che nelle retate che accompagnano la repressione delle manifestazioni dei Fratelli Musulmani vengono incarcerati anche i giornalisti che le seguono per dovere di informazione. Quarantaquattro sono tuttora detenuti. Alcuni sono stati giudicati davanti a tribunali militari. E persino i rilasci non vanno così lisci: nella notte dopo un grande corteo, sono state liberate le donne fermate, che però si sono ritrovate sole, con i vestiti ancora fradici per gli idranti, abbandonate in mezzo al deserto, lontanissime dal Cairo. I racconti sulle pratiche violente e illegali di polizia ed esercito verso i manifestanti si sprecano, insieme alla denuncia della loro totale immunità. Raggiungono l’apice quando raccontano le violenze e gli abusi sessuali contro le donne nelle mobilitazioni, soprattutto in quelle democratiche dopo il 30 giugno. Nei racconti c’è di tutto: dagli stupri agli abusi, dai maltrattamenti alle minacce, perpetrati dalle forze dell’ordine in divisa ma soprattutto da agenti in borghese, e anche da gruppi organizzati di civili pare legati alle forze di sicurezza perché usati come informatori civili al tempo di Mubarak. Incontriamo un ragazzo, campione di arti marziali, uno dei fondatori del gruppo di ‘guardie del corpo’ delle donne durante le manifestazioni di piazza Tahir. Ci racconta che almeno il 70% degli stupri nella piazza sono stati perpetrati da gruppi molto ben organizzati, che hanno usato sempre la stessa modalità: identificare la vittima, circondarla con cerchi concentrici di persone - il primo che stupra, il secondo armato che difende gli stupratori, il terzo che nasconde la scena. Ora gli stupri sono molti meno, ma solo perché ci sono meno manifestazioni. Aumentano però i casi di donne che vengono terrorizzate perché tornino a casa, ed è diffusa la cultura per cui le vittime vengono colpevolizzate - «se la sono andata a cercare». Tutte le organizzazioni - quelle storiche e quelle nate dopo la rivoluzione, che sono tantissime - cercano di intrecciare il lavoro specifico contro lo stupro politico con proposte più generali come la riforma della polizia, e l’impegno di sensibilizzazione sul ruolo della donna e i

suoi diritti. Ci dicono che nessuna donna o organizzazione religiosa ha alzato la voce per condannare le violenze di piazza contro le donne, e che non esiste per ora nessun tipo di dialogo, anche se ce ne sarebbe bisogno. Tutti hanno accumulato dossier su violenze e repressione contro i manifestanti. Ma nello stesso tempo non sembra facile qui avviare un ragionamento sulla giustizia transizionale - come è successo in altri paesi della regione - per rendere giustizia alle vittime del regime e della repressione avvenuta nella fase rivoluzionaria. La sensazione personale è che forse in Egitto non è ancora il tempo. È un paese ancora dentro la fase del conflitto, dove nessuna istanza istituzionale è abbastanza credibile per innescare un meccanismo di riparazione, ancorato a principi di imparzialità e di autorevolezza. Il braccio di ferro fra i fautori dell’ordine e i democratici è in atto ogni giorno e su una quantità di questioni. I nostri amici ci raccontano che, per rendere impraticabile il terreno della mobilitazione ai Fratelli Musulmani, in Egitto sta prendendo piede una grande campagna contro la società civile. Se non volete che la Fratellanza torni al potere, dicono al popolo i sostenitori di questa campagna, dobbiamo fare terra bruciata nello spazio dove essi si annidano, nelle organizzazioni sociali attraverso le quali, fra l’altro, ricevono i finanziamenti dall’estero. In questo modo, l’esercito e il governo trovano il modo per giustificare l’attacco anche ai giovani rivoluzionari, quelli che si sono ribellati prima a Mubarak e poi a Morsi, molti dei quali hanno accettato di appoggiarsi all’esercito per evitare l’islamizzazione totale del paese e tenere aperta la porta della transizione, ma che si ritengono oggi altrettanto liberi di criticare lo stato di cose attuali,che in diversi definiscono apertamente come un regime militare. E così anche la discussione sulla legge sull’associazionismo è terreno di combattimento aspro. Alcune associazioni hanno scelto di far parte del comitato che ha steso la bozza della legge, per cercare di portare a casa più risultati possibile. Ne hanno ottenuti, ma la bozza prodotta deve ora passare al vaglio insindacabile del governo. I nostri amici sono consapevoli che potrebbe essere molto peggiorata. La questione dei finanziamenti internazionali alle ONG, già tante volte affrontata in passato, continua ad essere un punto cruciale nella legge. Limitarli o vietarli, con la scusa di evitare ingerenze di paesi stranieri, è un modo per impedire il lavoro anche delle associazioni democratiche. «Non possiamo dire come la situazione

esteri evolverà» ci dice un rappresentate del Cairo Institute for Human Rights Studies, una delle organizzazioni più antiche e autorevoli. «Il quadro non è stabile. All’interno delle forze armate c’è una corrente più aperta e una repressiva». Non è detto fra l’altro che il governo arriverà fino alle elezioni: i militari potrebbero anche decidere di scaricargli addosso le critiche e lo scontento, e di comporne uno nuovo. Il potere è infatti saldamente nelle loro mani e non ci sarebbero scossoni. La campagna securitaria pare funzionare, producendo consenso fra quanti sono disposti a tollerare un po’ di repressione pur di non avere l’islamizzazione forzata, e anche nella parte di popolazione che crede nella necessità di un paese tranquillo per far ripartire l’economia e il turismo. L’uomo più popolare in Egitto attualmente è il generale Al Sisi, vice premier e ministro della Difesa, che ha sempre giurato di non volersi candidare alle elezioni - dichiarazione a cui però non crede più nessuno. I caffè sono pieni di cioccolatini con la sua faccia ed è una sorta di eroe nazionale. «Non è per questo che abbiamo manifestato il 30 giugno» ci dice Shaimaa. Un suo compagno aggiunge «Lo sappiamo, una rivoluzione non si compie in un mese, ci vogliono anni e talvolta decenni. La situazione è grave e può peggiorare ma una cosa è certa: gli egiziani hanno rotto il muro del silenzio, e muti non torneranno. Lo dimostrano i gruppi informali di giovani che nascono e crescono in gran quantità». Conclude Ahmed dell’Andalus «Siamo giovani, soprattutto giovani. Non abbiamo esperienza. Non abbiamo nessuno che ci aiuti a capire quel che è giusto fare. Abbiamo fatto tanto, in poco tempo, abbiamo messo in galera due dittatori. Sicuramente non abbiamo ottenuto tutti i risultati che vogliamo, la strada è lunga, ma non possiamo neppure sentirci responsabili di tutti i nostri errori o delle nostre mancanze. Andiamo avanti, come possiamo. E non possiamo non farlo, e non possiamo non essere ottimisti, anche se molte volte non è facile. Dobbiamo esserlo, per i nostri figli, a cui dobbiamo garantire un futuro migliore del nostro». A dargli ragione, scende in campo persino il capo delegazione dell’Unione Europea, che in un incontro con la nostra delegazione sembra fargli eco: «Sono ottimista, i militari devono stare attenti, il paese è cambiato». Trova una formula diplomatica per dire ciò che pensa: «alcuni miei colleghi dicono che gli egiziani hanno già messo in prigione due presidenti, e niente fa pensare che non possano essere capaci di fare lo stesso anche con il prossimo, se decidesse di fare il dittatore».


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‘Dopo Lampedusa noi non dimentichiamo. Cerchiamo te!’ di Tommaso Sabatini Arci Terni

Da fine novembre è in corso la campagna di Arci Terni Dopo Lampedusa noi non dimentichiamo. Cerchiamo te!, campagna che si snoda nei media locali, sui social network e con iniziative nei circoli. Cerchiamo te! ha come obiettivo principale quello di trovare nuovi volontari, operatori e case in affitto per la gestione dei servizi rivolti agli immigrati presenti nel territorio che fanno parte dei progetti gestiti da Arci Terni con Arci Solidarietà Terni ma non solo, perché è intenzione del comitato ternano ripensare in maniera complessiva le politiche dell’immigrazione e dell’integrazione nel territorio con il coinvolgimento delle istituzioni, delle associazioni e dei cittadini più sensibili a questi temi. Nel testo della campagna viene ricordato che «La tragedia di Lampedusa del 3 ottobre, nella quale persero la vita 366 migranti in fuga dalla miseria e dalle guerre, è stata una sciagura che ha suscitato commozione e indignazione, ma che non ha portato a nessuna inversione di rotta sulle politiche nazionali e locali riguardo all’immigrazione e all’integrazione». Partendo da questa premessa, Arci Terni ricorda che negli ultimi anni l’associazione è stata impegnata sui temi dell’immigrazione e dell’accoglienza partecipando alla gestione dell’emergenza Nord Africa, la più grande migrazione di profughi di guerra africani che abbia mai investito il territorio ternano, ma ora che l’emergenza è finita, per decine di persone rimane il problema di come ricostruirsi una vita. Mesi fa, in una lettera aperta al Consiglio Comuna-

le di Terni, il Presidente del comitato Arci Francesco Camuffo ricordava che per molto tempo un pezzo importante dell’identità della città è stato lo spirito d’accoglienza, spirito che oggi sembra essersi smarrito, come hanno dimostrato le polemiche sulla realizzazione di un dormitorio pubblico in città o, appunto, la mancanza di volontà nel ripensare in maniera complessiva il tessuto sociale cittadino della città dell’acciaio, dove è sempre maggiore la presenza di immigrati e persone senza fissa dimora. Per queste ragioni l’Arci ha rivolto un invito alle forze politiche e associative per avviare una riflessione aperta su questi temi, su come ricostruire, lontano dai luoghi comuni che sono superati anche dai dati riguardanti l’economia e la sicurezza, una Terni aperta e solidale. In questi mesi un piccolo gruppo di volontari si è messo già all’opera per aiutare i migranti presenti nel territorio, un gruppo che può crescere sempre di più sia per dimensioni che per iniziative. Arci Terni è alla ricerca non solo di volontari e operatori, ma anche di case in affitto. Cerchiamo te! si rivolge anche ai proprietari di alloggi sfitti, invitandoli a collaborare mettendo a disposizione i loro appartamenti a prezzi popolari. Per informazioni ci si può rivolgere alla sede di Arci Solidarietà Terni in Viale Brin 113 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 15.30 alle 18, tel. 0744/087577; oppure ad uno dei circa cinquanta circoli presenti nel territorio provinciale, o inviare una mail a immigrazione@arciterni.it

No alla riapertura del Cie di Bologna Anche Arci Bologna ha partecipato alla conferenza stampa cittadina che si è tenuta giovedì 12 dicembre davanti alla prefettura di Bologna in seguito alla recente notizia della volontà da parte del Ministero degli Interni di riaprire il CIE di via Mattei. Insieme a tante realtà cittadine che in questi anni hanno denunciato le condizioni disumane in cui vivono i migranti rinchiusi nei CIE di tutta Italia, anche Arci Bologna ha chiesto che il Centro di Identificazione e di Espulsione di via Mattei non venga riaperto e che le risorse a disposizione siano

destinate per progetti di vera accoglienza e inclusione. Una battaglia di democrazia che parte a livello locale ma vuole ampliarsi alla chiusura definitiva dei CIE, luoghi in cui quotidianamente vengono violati i diritti umani di persone spesso in fuga da guerre e povertà. Mercoledì 18 dicembre, in occasione della Giornata per i diritti dei migranti, cittadini e associazioni si danno appuntamento alle 18 davanti al CIE di via Mattei per dire un no deciso alla riapertura. www.arcibologna.it

daiterritori

in più NO MUOS NO MAFIA TOUR PALERMO - Il circolo Malaussène

promuove, il 19 dicembre alle 18, la serata No Muos no mafia tour organizzata da Radio Aut per la presentazione del tour evento che vedrà l’associazione girare l’Italia e la Sicilia per mettere in evidenza il filo che collega la lotta contro il Muos a tutte le battaglie portate avanti dalle associazioni con cui Radio Aut negli anni è venuta in contatto. Dopo l’inaugurazione alle 18 della mostra fotografica di Fabio D’Alessandro, Danila D’Amico, Nicolò Verde, si terrà il dibattito Mafia, Muos e repressione; a seguire cena sociale e proiezione del documentario La forza dei movimenti. fb Associazione Malausséne Circolo Arci

CINEMA SOTTO L’ALBERO NAPOLI - Dal 21 dicembre 2013

al 5 gennaio 2014 al cinema Pierrot di Ponticelli, l’Arci Movie promuove Cinema sotto l’albero, rassegna di film di animazione dedicata ai più piccoli. Ingresso 3 euro. Si comincia con Tacchini in fuga, in programma il 21, 22 e 23 dicembre. www.arcimovie.it

CORSI IN PARTENZA Lecco - Da gennaio riprendono

i corsi di Arci Lecco: per mantenersi in forma (o ritrovarla dopo il cenone di Capodanno), per non smettere mai di imparare nuove cose, per sperimentarsi con nuove tecniche! Tra i corsi partiti in ottobre ma aperti a tutti per la nuova sessione 2014, ci sono yoga, pilates, danza africana, zumba, capoeira, tecniche per rafforzare la memoria, giardinaggio, erboristeria, fotografia, disegno e acquerello, computer base, workshop di cake design. Le iscrizioni sono aperte a partire da lunedì 7 gennaio fino a giovedì 6 febbraio presso la sede il lunedì, il martedì e il giovedì dalle 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 19. fb Arci Lecco

LA PROIEZIONE CORATO (BA) - Terzo appun-

tamento del ciclo Stanze, promosso dall’Arci La locomotiva, con la proiezione di L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski. Tratto dal romanzo Le locataire chimerique di Roland Topor, è il decimo lavoro di Polanski e sicuramente il più kafkiano, grazie alle atmosfere claustrofobiche e grottesche che inchiodano lo spettatore a questo condominio popolato di personaggi inquietanti. Appuntamento il 19 dicembre alle 21 presso la sede del circolo. fb Arci La locomotiva Corato


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arcireport n. 46 | 17 dicembre 2013

roma

IntermundiArvalia e Parla con lei due iniziative di Arci Solidarietà Onlus Due gli appuntamenti previsti per questa settimana nell’agenda di Arci Solidarietà Onlus. Il primo, IntermundiArvalia 2013, giunto alla sua terza edizione, si è svolto il 16 dicembre nel quartiere Corviale, in collaborazione con la Provincia di Roma e il Municipio Roma XI. Anche quest’anno, IntermundiArvalia ha visto impegnati i bambini delle scuole del quartiere in una giornata interculturale della quale non sono stati solo spettatori ma protagonisti. Dalle 9.30 in poi, si sono alternati sul palco il regista del cortometraggio Margherita, l’Associazione Culturale Inerzia e Coro Bagnato con lo spettacolo Varimondi, il coro Millemondi e un ospite affezionato, Moni Ovadia, che, in una ‘lezione’ di intercultura, ha riflettuto insieme ai bambini sul valore della diversità. IntermudiArvalia, ha voluto in questi anni salvaguardare l’esperienza cittadina che, dal 1997 al 2008, ha rappresentato un momento di incontro tra le diverse realtà culturali presenti nella città. Festival cittadino che si svolgeva a Piazza Vittorio, nel cuore del quartiere Esquilino, simbolo multietnico della città, che nel 2009 è stato trasformato e successivamente cancellato dalla giunta Alemanno. L’augurio di Arci Solidarietà è che il nuovo governo della città non solo dia nuova linfa al festival, ripristinandolo e riportandolo nel cuore di Roma, ma che in ogni Municipio siano promossi percorsi simili all’insegna del dialogo interculturale. Il secondo, la presentazione pubblica dello sportello Parla con lei, si svolgerà il 18 dicembre alle 16.30 nella Sala Consiliare del Municipio Roma VIII. Nato il 7 ottobre dall’esigenza di riflettere sul raggiungimento delle pari opportunità, soprattutto nell’accesso al mondo del lavoro, Parla con lei è la realizzazione di un servizio di orientamento e accompagnamento rivolto a donne giovani, migranti e fuoriuscite dal mercato del lavoro; Parla con lei mira a costruire una rete tra i servizi del territorio e una comunità solidale con le donne del Municipio e non solo. Si parlerà quindi di donne, di pari opportunità e di accesso al mercato del lavoro, insieme alle operatrici di Arci Soldiarietà, a Marta Bonafoni, Consigliere Regione Lazio, Anna Rita Marocchi, Vicepresidente Municipio, Antonella Massimi, Provincia di Roma, Direttrice di Solidea Donne, Paola Parente, orientatrice esperta di tematiche di genere e politiche attive del lavoro. La presentazione sarà anche occasione per fare un bilancio dei primi due mesi di attività e una riflessione su come, spesso, la ricerca del lavoro è solo parte di problemi diversi, più grandi, legati a dinamiche familiari, di violenza e di discriminazione.

Sulle tracce dei migranti al circolo Axelhouse Il circolo Arci Hakuna Matata di Sangano (TO) promuove l’evento Sulle tracce dei migranti – stesso sangue, stessi diritti in occasione della Giornata Internazionale per i diritti dei migranti, rifugiati e sfollati. Appuntamento mercoledì 18 dicembre al circolo Arci Axelhouse di Trana (TO): si comincia alle 20 con la cena a cui prenderanno parte i ragazzi della squadra del Balon Mundial e i giovani del circo Hakuna Matata. Alle 21 avrà inizio l’incontro Sulle tracce dei migranti, in cui intervengono: Filippo Miraglia, responsabile nazionale Immigrazione Arci; Tommaso Pozzato, presidente Balon Mundial; Vanessa Marotta, del comitato piemontese L’Italia sono anch’io; Abdullahi Ahmed, rifugiato politico somalo, testimone di Amnesty International. L’incontro sarà moderato da Magda Morelli, presidente del circolo Arci Hakuna Matata e da Simone Piani, referente Educazione ai Diritti Umani regione Piemonte di Amnesty International. Alle 23 si conclude con Le luci della memoria, in cui ci sarà un lancio simbolico di lanterne cinesi in memoria delle centinaia di migranti naufragati e morti nelle acque italiane durante il viaggio verso i nostri porti. arci.hakunamatata@gmail.com

daiterritori

Big Bug Fish all’Arci L’alba Mercoledì 21 dicembre alle 21.30 presso il Teatro Sant’Andrea in via del Cuore a Pisa, andrà in scena lo spettacolo teatrale Big Bug Fish che unisce tutti i laboratori arte-terapeutici dell’Arci L’alba, in una mirabolante storia post-apocalittica dove speranza e consapevolezza possono accendersi tramite il racconto del mito. I laboratori d’arte-terapia proposti dall’associazione rappresentano uno strumento molto efficace nel recupero dell’individuo perché permettono di superare l’immobilità e l’inerzia dovuta al disagio mentale per tornare a manifestare la propria identità dando vita alla personale creatività. L’incasso dello spettacolo sarà devoluto interamente a sostegno dei percorsi di inclusione sociale de l’Alba. Biglietto 10 euro in prevendita presso il circolo. www.lalbassociazione.com

Gioco, gioco… ma cosa mi gioco? La campagna a Cesena Gioco, gioco… ma cosa mi gioco? è il titolo della campagna informativa di sensibilizzazione contro i rischi del gioco d’azzardo patologico che sta per partire a Cesena, lanciata da Comune, Consiglio Comunale e Usl di Cesena, in collaborazione con Arci, Acli, Fiepet Confesercenti, Fipe Confcommercio e Mim e con l’adesione della Prefettura di Forlì-Cesena. Sensibilizzare le persone sui possibili rischi legati al gioco d’azzardo patologico e contrastare la piaga di questa dipendenza sempre più diffusa, anche nel cesenate, invitando i giocatori a giocare in modo responsabile sono gli obiettivi della campagna che sta per decollare con il coinvolgimento diretto dei circoli e degli esercizi commerciali della città. Chi ha bisogno di assistenza può rivolgersi al Servizio Dipendenze Patologiche (Ser.T.) dell’Azienda Usl di Cesena, in via Brunelli 540, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13.30 e il sabato dalle 8.30 alle 12.30. sert@ausl-cesena.emr.it


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culturascontata i tanti vantaggi della tessera Arci

w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo

Edvard Munch Genova Palazzo Ducale, fino al

27 aprile 2014. Nel 150º anniversario della sua nascita, Edvard Munch è celebrato in tutto il mondo. L’Italia rende omaggio al sublime artista norvegese con questa imperdibile retrospettiva al Palazzo Ducale di Genova. L’esposizione è rappresentativa del percorso artistico ed esistenziale di Munch e testimonianza del passaggio da un naturalismo di stampo impressionistico a una pittura nuova e audace. www.palazzoducale.genova.it

avgvsto Roma Scuderie del Quirinale,

fino al 9 febbraio 2014. Organizzata in occasione del bimillenario della morte (19 agosto 14 d.C.), la mostra presenta le tappe della folgorante storia personale di Augusto in parallelo alla nascita di una nuova epoca storica. Con una selezione di circa 200 opere di assoluto pregio artistico, propone un percorso che intreccia la vita e la carriera del princeps con il formarsi di una nuova cultura e di un nuovo linguaggio artistico, tutt’ora alla base della civiltà occidentale.

‘A4 freedom’ la borsa ecologica cucita dalle sarte di Rebibbia Il modello, ideato da Architetti riciclati, ha vinto il concorso ‘La libertà in una borsa’ ideato dall’associazione Le Artigiane di Roma. I modelli saranno venduti nel periodo natalizio e il ricavato andrà alla cooperativa Ora d’aria Una borsa ecologica, versatile e coloratissima, realizzata con i materiali di scarto dei pannelli in Pvc usati per le manifestazioni e i concerti, e prodotta da un gruppo di detenute sarte del carcere di Rebibbia. Si chiama ‘A4 freedom’, il modello realizzato da Architetti riciclati che ha vinto il concorso di creatività al femminile La libertà in una borsa, ideato dall’associazione Le Artigiane di Roma. In tutto trenta modelli unici, che verranno venduti nel periodo natalizio nello spazio dell’associazione a via di Torre Argentina a Roma, e il cui ricavato verrà interamente devoluto alla Cooperativa Sociale Ora

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National Geographic La grande avventura Roma Palazzo delle Esposizioni,

www.palazzoesposizioni.it

Antonello da Messina rovereto Mart, fino al 12 gen-

naio 2014. Il progetto espositivo propone un’indagine articolata e uno sguardo originale sulla figura del grande pittore del Quattrocento e sul suo tempo, attraverso lo studio degli intrecci storico-artistici e delle controversie ancora aperte, presentati in questa sede come punti di forza attraverso i quali approfondire nuovi percorsi di interpretazione critica. www.mart.trento.it

è un materiale poco plasmabile, difficile da tagliare e rende complicato sversare le diverse parti - spiega Valentina Marcon . Quello che ci ha colpito è stata la grande professionalità di queste donne e la loro voglia di fare. In soli tre incontri di quattro ore, hanno imparato come realizzare al meglio la nostra borsa». L’idea del concorso è nato dall’incontro tra la cooperativa Ora d’aria e le responsabili dell’associazione Le Artigiane. «Avevamo tanti striscioni e banner dei nostri manifesti che volevamo riutilizzare – aggiunge Bruna Pietripaoli – abbiamo così pensato di lanciare un contest, ma dall’inizio volevamo che a realizzare l’iniziativa fossero le detenute di Rebibbia perché crediamo nell’importanza del lavoro all’interno degli istituti di pena».

www.oradarialab.com      www.leartigiane.it

www.scuderiequirinale.it

fino al 2 marzo 2014. La mostra è diversa dalle cinque precedenti, perché non è soltanto di immagini: è più un’esposizione fotografico-storica, che farà partecipare i visitatori a un ‘viaggio’ iniziato 125 anni fa a Washington, e continuato in tanti paesi di ogni continente. Il percorso narrativo semplice e chiaro (125 scatti, pannelli espositivi, cover della rivista, schermi televisivi, touch screen), spiega perché quando si parla di National Geographic ci si riferisce a ‘una grande avventura.

società

d’Aria, che da anni porta avanti progetti di reinserimento lavorativo nel carcere femminile di Roma. «Realizzare un prodotto come questo è importante per chi è privato della libertà. Il lavoro in carcere è uno dei più potenti strumenti di reinserimento – spiega Marilena Miceli, responsabile del progetto per la cooperativa Ora d’aria. La nostra attività va avanti dal 1988, in convenzione con la direzione del carcere siamo riusciti a realizzare un laboratorio attrezzato dentro Rebibbia, dove lavorano le detenute, quattro ore al giorno. Per loro è un’attività importante, non solo perché imparano un mestiere che possono continuare a esercitare una volta fuori, ma anche perché guadagnano qualcosa. Ormai abbiamo anche diverse commesse con imprese esterne». Per realizzare la borsa, il cui modello si basa sulla forma di un foglio A4 rivisitato, le architette ideatrici dell’idea hanno tenuto dei veri e propri laboratori in carcere. «È un progetto non facile, il Pvc

In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Paolo Beni Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 18.30 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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