Arcireport n 9 2015

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIII | n. 9 | 12 marzo 2015 | www.arci.it | report @arci.it

Per un’Altra Scuola di Massimo Cortesi coordinatore Commissione nazionale Arci Sistema educativo, infanzia e adolescenza

Oggi gli studenti scendono in piazza. Una mobilitazione nazionale con contenuti tali che non può non vederci, come Arci, al loro fianco contro un percorso del Governo Renzi non solo calato dall’alto, non solo ricco di contraddizioni che un governo di centro sinistra non si dovrebbe permettere, ma anche assurdamente dimentico della legge di iniziativa popolare che langue nei cassetti del Parlamento e che contiene visioni più avanzate dell’attuale progetto. Una realtà democratica dovrebbe innanzitutto mettere in discussione il metodo di consultazione utilizzato dal Governo che, se da un lato permette di ‘trasmettere un pensiero’, dall’altro non permette che tale pensiero si costruisca realmente dal basso mettendo a confronto chi la scuola la vive: docenti, studenti, genitori, personale Ata. Certamente un simile lavoro ha bisogno di tempo, ma alla fine dà anche maggiori garanzie di successo; e la storia dovrebbe ricordarcelo visto il tempo perso in riforme (o pseudo riforme) della scuola affrettare e inefficaci. Andando oltre la consultazione, sono i contenuti che preoccupano: per il Governo, ad esempio, la valutazione qualitativa sembra più legata al bisogno delle imprese e del mercato favorendo i finanziamenti dei privati e con i dirigenti visti come general manager che distribuiranno le

poche risorse aggiuntive per il personale concedendo aumenti (pochi) in maniera quasi discrezionale perché non si capisce bene quale sia il percorso valutativo. Noi invece oggi avremmo bisogno di una scuola che abbia come fine primario il rispondere ai bisogni della società, bisogni che sono l’inclusione sociale prima che quelli del mercato, perché l’esclusione dai diritti di cittadinanza comporta l’altissimo tasso di abbandono scolastico. Una scuola che costruisca dunque prima il cittadino. Noi avremmo bisogno di un Governo che difenda e sviluppi la scuola pubblica, e invece la lobby delle scuole private riesce sempre a scavalcare i dettati costituzionali e a trovarsi premiata da possibili nuove detrazioni fiscali per chi vi si iscriverà, con elargizione di buoni scuola sul modello lombardo a guida Formigoni (mantenuto dal suo successore Maroni). Tornando alla legge d’iniziativa popolare (promossa nel 2005 e sottoscritta da 100mila cittadini per ottenere l’abrogazione della riforma Moratti) esaminarla darebbe tanti e tali input positivi che faciliterebbero il governo stesso: prendiamo ad esempio l’aspetto del diritto allo studio universale (vi invito a dare una lettura agli articoli 33 e 34 della Costituzione); l’estensione dell’obbligo

scolastico ai 18 anni, l’autovalutazione democratica (e non solo di una parte delle componenti scolastiche), l’abolizione delle classi pollaio e tanto altro ancora. Il tema del numero degli studenti nelle classi è tragicomico: di fronte all’incremento degli studenti, alla riduzione delle risorse per insegnanti e per l’edilizia scolastica si aumenta il numero degli allievi per classe scontrandosi poi con varie sentenze dei Tar che annullano le scelte del Ministero. Avendo l’opportunità di viaggiare nelle scuole, ci si trova di fronte a situazioni che hanno del grottesco: istituti che intramezzano corridoi per realizzare aule, studenti che girovagano alla ricerca di un aula resa libera perché gli occupanti naturali sono in laboratorio o in palestra, sedi con gravi problemi strutturali, scuole lager senza spazi per la ricreazione o senza laboratori e palestre. Tanto altro ci sarebbe da dire, come la certificata inutilità di strumenti come l’Invalsi o del modello stesso di fruizione della scuola, come quelli che si stanno sperimentando della scuola senza zaini o, in Svezia, senza aule e orari. Perché la Scuola è innanzitutto sperimentazione legata ai bisogni sociali e alla realtà sociale, alla formazione permanente. Dunque il 12 anche noi in piazza perché siamo tutti «studenti per tutta la vita».


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diritti&laicità

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La buona scuola? Laica e pubblica di Maria Chiara Panesi coordinatrice Commissione nazionale Arci Laicità e diritti civili

Un claime ben studiato ed un’immagine grafica convincente. Ricorda un format televisivo di cucina La buona scuola presentata da Renzi, con la scelta grafica che istintivamente rimanda alla qualità e all’eccellenza, alle buone ricette. Non ci stupisce, ci ha abituato Renzi a operazioni di marketing politico in cui la comunicazione assume un ruolo centrale nella relazione con i cittadini, l’utilizzo di toni rassicuranti e convincenti nel nome della semplificazione della politica. La buona scuola dunque, un progetto ambizioso che tiene insieme riforma scolastica, posti di lavoro, investimenti e innovazione. Ne La buona scuola la libertà di scelta educativa diventa una priorità politica, facendo retrocedere il dibattito sulla scuola di circa vent’anni. Già dal 2000, con la legge 62 che sancì il riconoscimento della parità scolastica agli istituti privati, l’art. 33 della Costituzione è stato sostanzialmente ribaltato «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» in un anomalo ma continuo finanziamento a favore delle scuole private. Abbiamo oggi un panorama molto

diversificato, composto in prevalenza da istituti religiosi, difforme per esperienza, prassi e requisiti, con livelli di apprendimento notevolmente ridotti rispetto alla scuola statale. Sostenere le scuole paritarie aggiungendo sgravi fiscali ai già cospicui finanziamenti significa sferrare l’ennesimo colpo ad un sistema statale in crisi, ma che rimane omogeneo sull’intero territorio nazionale, con standard elevati, un sistema laico che consente ai giovani di apprendere valori quali il confronto, il pluralismo, la valorizzazione delle differenze, l’autodeterminazione. La buona scuola? Laica e pubblica, chiedono le organizzazioni studentesche. È una fase molto critica, in cui vediamo condurre campagne contro i progetti di educazione all’affettività nelle scuole e manifestazioni che inneggiano alla famiglia tradizionale come Manif pour Tous o le sentinelle in piedi introducendo principi fortemente discriminatori. Abbiamo bisogno oggi di uno stato che vigili sulla scuola perché sia il luogo in cui si costruisce una nuova coscienza civile, eliminando ogni discrezionalità. Non conosciamo ancora l’iter del disegno di legge, certo è che la

lettera aperta sulle scuole paritarie firmata da 44 deputati sulle pagine di Avvenire ha riaperto le danze, lasciando intendere strategie e priorità politiche del governo. Capitolo a parte l’opportunità di destinare il 5x1000 delle proprie imposte alle scuole. Idea valida se lo si destinasse a rafforzare l’intero sistema scolastico, forza distruttrice se si intende invece legittimare finanziamenti alla singola scuola, definendo a norma di legge la disuguaglianza degli istituti, creando scuole di serie A e di serie B, minando il principio di sussidiarietà e di uniformità del nostro sistema scolastico. Una misura che laddove trovasse conferma nel ddl strizzerebbe ancora una volta l’occhio al sistema dei finanziamenti privati e del profit. La scuola pubblica è indispensabile perché «crea cittadini, non crea cattolici, né protestanti né marxisti», è aperta a tutti, favorisce l’uguaglianza, diventa luogo di confronto costruttivo, «non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta» diceva Piero Calamandrei nel 1950 durante il III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, parole di cocente attualità.

Alfano si dimetta e liberi il Paese dalla sua omofobia di Flavio Romani presidente Arcigay

Abbiamo sempre sostenuto che la circolare del Ministro Angelino Alfano, quella che ordinava l’annullamento delle trascrizioni dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, fosse un abuso. L’ordinamento italiano, per garantire la sopravvivenza della democrazia, è basato sulla divisione dei poteri: non può essere il Governo, cioè l’Esecutivo, a distinguere il giusto dall’ingiusto, prerogativa che appartiene invece al potere giudiziario, cioè alla Magistratura. E infatti proprio poche settimane dopo la diffusione di quel famigerato editto, la Procura di Udine lo bollava come «non corretto». Secondo la magistratura l’annullamento imposto - e reso efficace per mano dei prefetti - a quelle trascrizioni «non appare conforme a legge». Dice ancora la procura: «la legge conferisce al prefetto precisi poteri sui registri dello Stato civile ma non legittima né ammette un ruolo così autoritario e di simile ‘prevaricazione’ del Prefetto, quale quello nel caso di specie. Per la legge italiana il dominus dello stato civile è e resta il sindaco, le cui prerogative possono essere

corrette solo attraverso un procedimento giurisdizionale ad opera del giudice». A quel primo pronunciamento, del tutto inascoltato dalle istituzioni in primis, quelle che dovrebbero aver caro il valore della legalità, è seguita pochi giorni fa la sentenza del Tar del Lazio che ha reso nullo l’intervento del prefetto di Roma sul registro di Stato civile in cui erano state trascritte le nozze tra omosessuali celebrate all’estero. Dove Alfano aveva fatto apporre la scritta «annullato», insomma, il tribunale è intervenuto ripristinando la situazione precedente e annullando a sua volta l’atto del ministro. La sentenza spiega bene, e lo sottolineo con amarezza, che le trascrizioni non sono possibili, in realtà. Perciò - e qui sta il punto - quell’intervento grave e risoluto della Magistratura non va letto semplicemente come la vittoria di una parte sull’altra, semmai come l’urgente reazione di un sistema chiamato a difendere il nostro ordinamento democratico: perché è di questo che si tratta, ed è molto molto grave. Ma c’è di più: come ha chiarito pochi giorni

fa la Procura di Bologna, nel richiedere l’archiviazione del fascicolo aperto sul caso trascrizioni, in quella notifica non c’è danno né vantaggio per nessuno. Perciò non c’è abuso d’ufficio. Ciononostante, il vicepremier ha messo in atto un teatrino di annullamenti e ricorsi, tutto a danno delle coppie interessate e dei primi cittadini che le hanno sostenute, che è a dir poco umiliante e che testimonia un accanimento del Ministro nei confronti di un gruppo di cittadine e cittadine, contro i quali non ha risparmiato l’uso improprio degli strumenti e dei poteri conferitigli dalla carica istituzionale. Questo è l’aspetto più grave che riscontriamo nella sentenza emessa dal Tar del Lazio: quell’abuso ha del persecutorio ed è inammissibile che una figura istituzionale agisca in questo modo. Da tempo sottolineiamo l’inadeguatezza del Ministro Alfano nel ruolo che il Premier Renzi gli ha affidato: non occorrono altre argomentazioni in merito, sono le sentenze a renderlo evidente. Alfano si dimetta e liberi questo Paese dalla sua omofobia assillante.


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expo2015

Perchè l’Arci sarà a Expo Milano 2015 Il documento ‘Arci for the rights’ Anche EXPO Milano 2015, come le precedenti edizioni (Lisbona 1998 Oceani: un’eredità per il futuro; Hannover 2000: Umanità, Natura, Tecnologia; Haichi, Giappone 2005, La saggezza della natura; Saragozza 2008 Acqua e Sviluppo sostenibile; Shanghai 2010 Better city, better life; Yeosu, Korea, 2012 Costa e Oceani che vivono) si è dato un tema: Nutrire il pianeta, energia per la vita, col proposito di contribuire a migliorare il mondo in cui viviamo. Come mai allora tanti soggetti hanno espresso fortissime contrarietà ad Expo 2015? È indubbio che le innumerevoli polemiche che hanno accolto Expo 2015 sin dalla nascita, e poi le critiche pesanti e le fortissime contrarietà alla sua realizzazione abbiano solide ragioni e si reggano su valutazioni che è veramente difficile non condividere. Dalla sua collocazione (100 ettari di terreni in gran parte agricoli di pregio e in aree parco - anziché in un’area fieristica già esistente -, in gran parte di proprietà privata) alle grandi opere previste, che di fatto cementificheranno ulteriormente in modo pesantissimo un territorio già martoriato, dall’ingente consumo di suolo che l’esposizione realizzerà anche in virtù della già prevista urbanizzazione sia dell’area che del territorio limitrofo sino alle modalità antidemocratiche senza il coinvolgimento dei territori e dei cittadini - con cui sono state assunte le decisioni. È poi evidente l’obiettivo politico dell’Esposizione di rilanciare e rafforzare un modello agroalimentare di tipo intensivo e ‘industriale’ – peraltro estraneo alle tradizioni agricole italiane - saldamente in mano alla finanza e all’industria chimica, e che apra definitivamente l’Europa alle agrobiotecnologie e agli OGM. Esattamente quel modello agroalimentare causa prima della distruzione della biodiversità, della progressiva accelerazione delle modificazioni climatiche, della progressiva distruzione delle risorse naturali a partire dal suolo/acqua/aria, del tutto indifferente al miliardo di persone che continuano a non avere accesso al cibo e all’acqua potabile, e il cui unico obiettivo è il profitto a tutti i costi. E si potrebbe continuare, senza trascurare le ingenti risorse pubbliche necessarie -

stimate in circa 10 miliardi di euro e i cui beneficiari principali saranno i privati - in un tempo in cui viene imposto al paese il taglio persino di servizi essenziali quali sanità, assistenza sociale, istruzione, un welfare degno di questo nome. Verrebbe cioè da dire che non ce lo possiamo permettere un simile Expo, che ci sarebbero molte altre priorità, dato anche che questi servizi essenziali rappresentano in realtà una parte fondamentale dei diritti di cittadinanza in una democrazia moderna. E tuttavia crediamo vi siano almeno tre buone ragioni per cui una organizzazione come l’Arci debba comunque partecipare ad Expo: 1.) La prima è che lasciare l’esposizione in mano esclusivamente agli organizzatori e ai loro partners, a chi ne ha disegnato obiettivi/finalità/modalità di realizzazione, significa rinunciare alla possibilità di sfruttare quella vetrina per poter entrare nel merito dei temi trattati e poter avanzare le nostre proposte. A prescindere dal fatto che le previsioni degli organizzatori si realizzino o meno (20 milioni di visitatori) crediamo non si possa rinunciare a priori a proporre pubblicamente le nostre idee e la nostra visione a tutti coloro - singoli, istituzioni, organizzazioni, ecc. - che saranno presenti o visiteranno l’Expo; idee, visione e proposte che sono poi gli elementi costitutivi della nostra identità, e che dovremo provare a diffondere da questa straordinaria finestra aperta sul mondo che per quei sei mesi sarà a sua volta sotto gli occhi del mondo. 2.) La seconda riguarda il merito. Dobbiamo esserci per poter affermare con forza: 1. che non è vero che dobbiamo organizzarci per difenderci dai cambiamenti climatici, inevitabili perché il progresso non si può fermare; 2. che non è vero che dobbiamo produr-

re di più per poter alimentare tutti gli abitanti della terra, e che per fare ciò è indispensabile introdurre su larga scala le coltivazioni OGM; 3. che non è vero che per uscire dalla crisi è necessario annullare o diminuire radicalmente la presenza dello stato, non solo nell’economia ma anche nei servizi pubblici essenziali, e privatizzare tutto a partire dai beni comuni (perché così il mercato, naturalmente, tutto razionalizzerà); 4. che non è vero che per risolvere i problemi del pianeta sono necessarie ancora rinunce e sacrifici, compresa una riduzione degli spazi democratici, anch’essi eccessivamente costosi e che quindi non possiamo permetterci. Dobbiamo esserci per affermare con forza che c’è una alternativa a tutto ciò: ● che richiede la globalizzazione dei diritti e la loro estensione a chi oggi ne è privo, che presuppone l’allargamento delle pratiche democratiche e la partecipazione diffusa di tutti i popoli alle scelte e decisioni che li riguardano; ● che dalle crisi cioè si può uscire se i problemi si affrontano con la diffusione e l’allargamento della democrazia e non con la sua limitazione. Peraltro che la democrazia sia precondizione per lo sviluppo (inteso come miglioramento universale delle condizioni di vita e di benessere, non certo in termini di PIL) non è un principio della sinistra radicale e rivoluzionaria, ma un principio liberale ancora di recente riproposto dal nobel Amartya Sen (Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, 2000). Dobbiamo esserci perché, contrariamente a quel che ci viene proposto, Nutrire il pianeta non è affatto un obiettivo il cui raggiungimento sia subordinato ad una

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maggiore disponibilità di cibo. Dobbiamo esserci per denunciare che il tema di Expo 2015 Nutrire il pianeta si ripropone nell’anno in cui uno dei Millennium goals, quello del dimezzamento del numero degli affamati nel mondo stabilito nel vertice mondiale sull’alimentazione del 1996, avrebbe dovuto essere raggiunto. E invece quell’obiettivo è rimasto sostanzialmente sulla carta, dato che con l’attuale ritmo potrebbe essere attuato solo nel 2115, ben un secolo dopo. Il che significa che la scomparsa della fame nel mondo si potrebbe ipotizzare tra 2 secoli!!

In un mondo in cui, già oggi, si producono derrate alimentari sufficienti a sfamare il doppio della popolazione della terra (fonte FAO), se tutto il cibo prodotto fosse ripartito equamente tra gli abitanti del pianeta, la produzione mondiale alimentare basterebbe a fornire ad ogni essere umano 2.800 calorie al giorno. Invece conviviamo con il dramma di una persona che muore di fame o per le sue conseguenze ogni 17 secondi. Per cui oggi vi sono popoli interi che hanno fame, mentre altri - UE, USA, Canada, ecc. - hanno il problema degli stock alimentari invenduti. Ecco perché oggi nel mondo si muore di fame, ma anche, al contrario, per le conseguenze dell’obesità. C’è cibo a sufficienza per tutti, ma alcuni non possono produrlo (ad es. campesinos colombiani e boliviani costretti a produrre foglie di coca per i narcotrafficanti), altri pur producendolo non sono in grado di acquistarlo, mentre altri ancora ne hanno troppo. A ciò si aggiungono gli effetti dei modelli agroalimentari dominanti, incentrati sulle esigenze alimentari del «ciclo bovino» e del modello «esportatore», oltre che dei biocarburanti. In questo senso il caso del Brasile è stato, ma in larga parte lo è tuttora, esemplare: uno dei più grandi esportatori mondiali di prodotti agroalimentari, dove però il presidente Lula è stato costretto a fare della lotta alla fame del suo popolo il principale impegno programmatico. Modelli agroalimentari che provengono dalla cosiddetta «Rivoluzione Verde»

lanciata dagli Stati Uniti sin dalla fine degli anni ’70, e che attraverso le multinazionali agro-chimiche ha imposto un processo produttivo su poche specie vegetali e gli OGM, selezionate per la massima tolleranza chimica, e le già citate esigenze alimentari del «ciclo bovino». È quindi evidente che occorre intervenire sul questi modelli, che strutturalmente causano disuguaglianze e negazione di diritti, in primo luogo quello dell’accesso al cibo. Esattamente quel diritto che il principio della sovranità alimentare enuncia come: «Il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi a definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra, e le proprie strategie sostenibili di produzione, distribuzione e consumo di alimenti che garantiscano a loro volta il diritto all’alimentazione sana e nutriente per tutta la popolazione, rispettando le singole culture e la diversità dei metodi colturali, e garantendo a ogni comunità l’accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione, come la terra, l’acqua, il patrimonio genetico e il credito». Crediamo che l’Arci non debba far altro che riconfermare la sua totale condivisione di tale principio, a cui ancorare fortemente le proprie scelte e le proprie politiche. Anche attraverso l’assunzione della Dichiarazione di Nyeleni del 2007, successivamente confermata da quella di Nyeleni Europa del 2011. Expo 2015 dovrebbe essere vissuta dall’Arci come una straordinaria occasione per poter promuovere e rilanciare il dibattito pubblico sul diritto al cibo e sulle azioni a sostegno della realizzazione globale della sovranità alimentare. Sostenendo quindi i modelli agroalimentari imperniati su sistemi produttivi di piccola scala, l’agricoltura familiare, rispettosi degli equilibri sociali delle comunità locali e di quelli naturali ed agroecologici, in grado di tutelare in modo dinamico la biodiversità, rispettosi del lavoro, liberi di utilizzare i loro semi, in sintonia con le diverse culture alimentari, contrastando in tutti i modi possibili qualsiasi tentativo di Land Grabbing e di ulteriore cementificazione di suolo agricolo, capaci di ‘passare leggeri’ sulla terra dei loro, e nostri, figli. 3) La terza, infine, è consequenziale alle altre due. Dobbiamo esserci semplicemente per mettere in discussione l’Expo. Nel senso che i temi come quelli posti alle varie esposizioni universali non si affrontano certamente con eventi più o meno spettacolari e sempre costosissi-

expo2015 mi, ma con gli strumenti che sono stati citati prima: processi democratici diffusi, inclusione e partecipazione universale, pace, eliminazione delle diseguaglianze, assunzione delle responsabilità collettive verso il pianeta, rigoroso rispetto dei diritti umani e di quelli civili. Comunque sia, anche quando fosse ritenuto utile costruire eventi finalizzati alla sensibilizzazione e diffusione degli strumenti di cui sopra - e le risorse fossero disponibili, non si ferisse ulteriormente il territorio, vi fosse l’assoluta impossibilità di ogni forma di spreco e di corruttela - non si può accettare un Expo realizzato con le caratteristiche di Milano 2015, insostenibile sotto tutti i profili, da quello ambientale a quello economico a quello sociale. Tanto più senza il coinvolgimento delle comunità che su quel territorio insistono. Nel Manifesto di Expo dei Popoli assieme a tante altre organizzazioni abbiamo scritto che vorremmo che l’Expo di Milano fosse ricordato come un punto di svolta nell’impegno globale per garantire condizioni di produzione di cibo ed energia che siano nel contempo più efficienti e più giuste: tutto ciò sarà possibile solo con un forte sforzo congiunto delle istituzioni, della società civile e dei ‘produttori e produttrici’, che porti la politica a stabilire regole condivise e lungimiranti. Nutrire il pianeta ed energie per la vita è anche ragionare di energia, beni comuni, acqua.

Dobbiamo parlare di diritto all’acqua potabile e di acqua per l’agricoltura familiare. Dobbiamo parlare di diritto alla terra e all’autodeterminazione a coltivarla. Infine, ma non ultimo, l’eredita di Expo a partire dalla destinazione dei terreni su cui sorge Expo. Crediamo intanto che quei terreni debbano essere sottratti alla speculazione edilizia e alle mire della criminalità organizzata, e che debbano diventare il simbolo dell’impegno di cittadini e istituzioni per la lotta alle ingiustizie, alla povertà, per la tutela dei beni comuni.


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società

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Dal 31 marzo gli Opg devono chiudere di Ugo Zamburru coordinatore Commissione nazionale Arci Nuovo welfare e politiche di inclusione sociale

Il 31 marzo scade il termine per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, luoghi che, pur nelle differenze, presentano zone d’ombra e che in alcuni casi si rivelano luoghi dell’orrore. Essi nascono alla fine dell’800 per rispondere a un bisogno di accoglienza e trattamento medico di detenuti con malattia psichica. Attualmente sono ospitate 1200 persone circa, di cui non più di 900 sono prosciolti. L’attuale organizzazione è accomunata dal compito contraddittorio che debbono svolgere, ovvero essere contemporaneamente ospedale e carcere. Vi operano medici psichiatri, agenti e personale di polizia penitenziaria, educatori penitenziari, psicologi, assistenti sociali. Gli Opg sono strutturati in reparti che vanno dall’osservazione ai processi di cura clinica e di riabilitazione tesi al reinserimento della persona. In quest’ottica le sperimentazioni esterne con brevi permessi sono elemento importante, da svolgersi in rete con il Dipartimento di Salute Mentale del territorio di provenienza. Tale modello teorico è contraddetto dalla pratica, considerando l’equivoco di base: negli Opg convivono aspetto sanitario,

teso al trattamento e al recupero, e aspetto penitenziario caratterizzato dalla custodia e dal rigido controllo. Tali componenti sono spesso in conflitto tra loro o, addirittura, difficilmente compatibili. Uno dei problemi è quello della formazione del personale di custodia; inoltre la collaborazione con i servizi psichiatrici territoriali si realizza raramente, con gravi ritardi nell’inserimento all’esterno dei ricoverati e un protrarsi, spesso per svariati anni, del loro internamento nell’ambito psichiatricocarcerario. La richiesta del comitato Stop Opg, che sosteniamo, è: nomina di un Commissario per l’attuazione della legge 81 sul superamento degli Opg; fermare i nuovi ingressi e favorire le dimissioni, con buone pratiche per la salute mentale, una buona assistenza socio sanitaria nel territorio, evitando che al posto degli Opg crescano nuove strutture manicomiali. Gli internati ancora sottoposti alle misure di sicurezza rischiano di finire in residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, collocate negli stessi luoghi e gestite dallo stesso personale sanitario e penitenziario del vecchio Opg. Ora una gran parte dei dimissibili viene inviato

nelle strutture riabilitative di lunga degenza psichiatrica, istituzioni che sorgono in luoghi appartati e con un gran numero di posti letto, dove sono finiti molti dei 500 internati dismessi dal 2010, anno in cui è cominciato lo smantellamento degli Opg. Spesso queste strutture sono gestite dai privati. Poichè la legge attribuisce ai Dipartimenti di Salute Mentale un ruolo centrale, il DSM è responsabile del progetto terapeutico-riabilitativo per la dimissione di qualunque soggetto sottoposto a misura di sicurezza, è l’interlocutore istituzionale in ogni fase dell’iter del percorso giudiziario. Appare quindi contraddittorio e inaccettabile che la gestione delle strutture sanitarie destinate ad accogliere soggetti in misura di sicurezza possa essere affidata in toto, come sembrerebbe, ad un privato. Diverso è che la gestione delle strutture, per esempio per gli aspetti alberghieri, sia affidata dal DSM titolare a terzi o che questi forniscano personale per l’attuazione dei programmi formulati dai DSM: questi aspetti vanno ben chiariti nel Regolamento anche per evitare che si crei il grave precedente di strutture detentive, sia pure sui generis, gestite da privati.

Mai più! di Alessandro Cobianchi coordinatore Carovana Internazionale Antimafie

Il flipper mediatico ha creato l’ennesimo personaggio ad uso e consumo della storia (liquida) del nostro Paese. Come una biglia di acciaio, Matteo Salvini si muove fra le alette e ogni contatto gli permette di accumulare punti e consensi. Il problema è che la ‘biglia’, pardon il leader della Lega, rotola sul piano inclinato della società grazie a un campionario di ‘anti’: anti immigrati, anti rom, anti islam, anti euro, insomma un vero e proprio contributo alla disgregazione della società, alla sua lacerazione costante ma ineluttabile. Anche la lotta alle mafie e al terrorismo si regge sul prefisso ‘anti’, nel senso di ‘contro’. Sarebbe più efficace, invece, se facesse leva sull’altro significato, cioè ‘prima’. Il movimento di lotta alla criminalità organizzata, e mi si perdoni l’ardito parallelismo, quello di contrasto al terrorismo planetario, dovrebbero anticipare il nemico, scrivere la propria agenda prima che lo facciano gli altri. Immaginare l’antidoto prima del veleno, costruire comunità su legami e valori condivisi e non alienabili. Le vicende di mafia e terrorismo si

alimentano entrambe della disperazione e del degrado dei più. Terroristi e mafiosi (semplificazione necessaria per brevità), non sono solo agenti del degrado, ma di esso sanno alimentarsi, si rigenerano proprio della disperazione altrui. Ma c’è di più. Che l’orrore abbia la complicità di una manovalanza disperata appare chiaro, che ci siano uomini senza scrupoli capaci di arricchirsi di denaro e potere, anche. Ma i ‘buoni’, quando diranno «mai più»? I ‘buoni’ siamo noi e quelli che ci appaiono troppo simili a noi per essere cattivi, anche quando lo sono. Così fra i poveri disgraziati e i ‘buoni comunque’, ci sono anche quelli di «ma che colpa abbiamo noi», gli indifferenti. La colpa è quella di non avere ancora un «mai più». Un limite da non oltrepassare. Penso non solo all’atroce video del pilota giordano bruciato vivo dall’Isis ma alle risate degli imprenditori e dei politici dopo il terremoto de L’Aquila. Il dejavu delle risate si ripete con gli ‘ndranghetisti sulle macerie in Emilia. Colletti bianchi nel primo caso, coppole nel secondo.

Qui non si tratta di «illegalità diffusa e di ricerca di soluzioni alternative al rispetto della legge» come afferma sconfortato il Procuratore di Vibo Valentia, di fronte all’arresto del Sindaco del «paese più povero d’Italia». Qui siamo di fronte alla totale assenza di comunità. Quella che dice, appunto, «mai più». Mai più risate sulle macerie, mai più morti di tumore per la terra dei fuochi, mai più. Ma di fronte al denaro o al fanatismo non basta la buona volontà, e nemmeno l’indignazione. Serve una scelta di senso altrettanto forte. Probabilmente i valori che le organizzazioni criminali limitano o annichiliscono non sono ritenuti tanto fondanti da motivare un efficace contrasto sociale. Si tratti della libertà di circolare sereni per le strade o di prender un aereo, della libertà economica o del diritto alla salute. Per accendere l’interruttore del nostro «mai più», servirà un fattore di coesione talmente forte da respingere un fattore disgregante altrettanto forte. Io credo che quel fattore si chiami giustizia sociale, attenzione e cura dell’altro.


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informazione

arcireport n. 9 | 12 marzo 2015

Rai: archiviare la stagione della lottizzazione e aprirsi a un pluralismo reale e rappresentativo di Sergio Bellucci esperto di comunicazione

Quello che attraversa il nostro paese, ma non solo il nostro, è la ricerca di una soluzione taumaturgica, di una scelta che risolva tutti i problemi, di un capo a cui affidare le sorti e i propri destini. È l’effetto della crisi e della difficoltà di trovare una via di uscita, di un senso nuovo da dare alle nostre gesta, ai nostri atti, alla nostra vita. Per questo si sta affermando un modello di politica che ricerca nell’uomo solo al comando la soluzione per tutto. Vale per la politica e vale per le scelte che la politica mette in campo con le proprie decisioni. Il caso della Rai non fa eccezione. Il governo si avvicina a definire la propria linea e il tema del dibattito non si concentra sul ruolo del servizio pubblico nell’era digitale, a cosa debbano servire la radio, la televisione e i contenuti sul web per un servizio pubblico in una fase di totale trasformazione del ruolo dei mass media. L’unica preoccupazione sembra essere solo e sempre la stessa: chi decide chi comanda in Rai? Le riforme degli anni ’70 avevano aperto all’ipotesi di una capacità di decisione multiforme, nessun uomo solo al comando, la possibilità/necessità di processi partecipativi (interni ed esterni

all’azienda) che consentissero un rapporto permanente tra ciò che si poteva fare e produrre con la società italiana nelle sue stratificazioni. Parlamento, associazioni, organizzazioni del mondo del lavoro, della cultura, avrebbero dovuto e potuto garantire un rapporto permanente tra l’interno della RAI e la società. Quello era il filo rosso tracciato dal senso delle riforme di quegli anni, un filo rosso in totale continuità con la nostra Costituzione repubblicana che aveva costruito il proprio equilibrio proprio nell’impedire la possibilità di avere un uomo solo al comando. Chi si era impegnato a scriverla usciva da un ventennio nel quale aveva sperimentato i guasti profondi (fino alla guerra distruttrice) di una tale impostazione. Oggi lo slancio riformatore di quegli anni sembra svanito e non solo sul versante della Rai. La stessa costituzione viene considerata ‘vecchia’ proprio perché basata su scelte partecipative che allungano i tempi di decisione, pongono veti, costruiscono l’immobilismo. Invece di lavorare sulla riforma di tali meccanismi, sulla costruzione di una esplicita dialettica di posizioni, si ricerca la soluzione breve,

quella della persona in grado di risolvere da sola questa impasse. La soluzione che avanza nel Governo è quella di un amministratore delegato con tutti i poteri. Potrebbe risolvere la situazione gestionale? Ricordiamoci i casi Alitalia, Finmeccanica o quello dell’ENI, per non parlare delle miriade di aziende pubbliche minori incapaci di svolgere la missione affidata e/o di accumulare perdite inaudite. Il punto, quindi, non è lì. Quello che si dovrebbe garantire è la riapertura di un dibattito vero tra Parlamento e società, tra i decisori eletti e i rappresentati per individuare la nuova missione del servizio pubblico. Una volta compresa tale missione, le decisioni di governance diventerebbero più chiare. La Rai è un patrimonio di tutti noi e possiede risorse ancora strategiche sia fisiche (come la vicenda Rai Way indica) sia intellettuali. Una società come la nostra, in piena crisi di senso del fare e della vita, individuale e collettiva, avrebbe tanto bisogno di un servizio pubblico radiotelevisivo in grado di archiviare la stagione della lottizzazione e aprirsi ad un pluralismo reale e rappresentativo. Ne guadagnerebbe la qualità della politica, della società e la nostra stessa economia.

Sesto TV: nuova sede all’Unione Operaia di Colonnata Sarà il 2015 l’anno della ripartenza per Sesto Tv, l’emittente web che in questi anni si è distinta per innovazione, radicamento territoriale e audience nel panorama web dell’area metropolitana fiorentina. Nata nel 2008 grazie all’impegno di un gruppo di appassionati, Sesto Tv centra il 15 marzo un importante obiettivo: l’apertura di una sede stabile nei locali concessi dall’Unione Operaia di Colonnata. Una delle più antiche e attive case del popolo della Toscana ha accettato la sfida e ha aperto le porta a questa esperienza, che fa del radicamento territoriale, del volontariato associato e dell’impegno culturale e sociale i propri punti di forza. Con la stabilità della sede diventa così anche più agevole il progetto che prevede, a regime, la programmazione di un palinsesto vero e proprio, che i volontari che hanno creato e fatto

crescere Sesto Tv in questi anni sono pronti ad alimentare. Un palinsesto che, nella sua prima formulazione, conterrà notizie locali, appuntamenti autonomamente prodotti e diffusi in diretta, trasmissioni vere e proprie come il format Il tè del venerdì, copertura di singoli eventi culturali, sportivi, sociali, nuove rubriche culturali,

sportive, di salute e benessere, divulgazione scientifica, ampliando la gamma tematica e conferendo loro una cadenza temporale stabile. Il tutto utilizzando le forme tipicamente giornalistiche della diretta, dell’intervista, delle inchieste e dei servizi a tema. Particolare attenzione verrà posta alla promozione dell’emittente, tramite tutti i canali a disposizione, dalla carta stampata ai social network, con l’obiettivo di aumentare la visibilità del brand, espandere la penetrazione territoriale, fidelizzare i vecchi utenti e ampliare la rete di contatti e creare partnership professionali ed economiche. Dialogo con la comunità, partecipazione e professionalità sono le parole chiave del nuovo progetto di Sesto Tv, che ha scommesso sul web per dare voce a un territorio ricco di presenze e potenzialità economiche, sociali e culturali. www.sestotv.it


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economia

Il 18 marzo la manifestazione di Blockupy a Francoforte di Raffaella Bolini

Corre veloce, il tempo europeo. Ed è un tempo drammatico. La propaganda fa il suo lavoro, e sbandiera l’intervento della Banca Centrale Europa con il quantitative easing come la soluzione di tutti i mali della crisi e della recessione. Peccato che la Grecia sia esclusa da questo massiccio acquisto di titoli di Stato, peccato che a beneficiarne sarà soprattutto la Germania, peccato che a tirare un respiro di sollievo saranno le banche. Intanto la Troika cerca di stringere il cappio intorno al collo del governo greco, nel braccio di ferro dentro all’Eurogruppo. Si vuole sancire che non c’è libertà di scelta - neanche se legittimata dal voto popolare. La Grecia, che dopo trenta anni di incantesimo neoliberista prova a rompere la gabbia del debito e dell’austerità, è pericolosa: il contagio si potrebbe estendere ad altri paesi, dalla Spagna all’Irlanda. Il tempo europeo corre veloce, e sta passando rapido il treno del cambiamento difficile ma possibile. Qualcuno, per fortuna, alza la testa e prova a prenderlo. Per molti anni la costruzione di un forte movimento europeo contro l’austerità è stata rallentata dalla posizione dei sindacati nordici e di quelli tedeschi, poco solidali con i paesi più indebitati: oggi invece la Confederazione europea dei Sindacati si schiera apertamente a fianco della Grecia. I sindacati tedeschi saranno in prima fila nella giornata di manifestazioni che si terranno il 18 marzo a Francoforte, insieme a delegazioni sindacali di molti altri paesi. In quel giorno, la Banca Centrale Europea aveva previsto un gran gala per celebrare l’inaugurazione della sua nuova sede. La coalizione Blockupy ha risposto chiamando tutti i movimenti anti-austerità, da tutta Europa, a bloccare l’edificio. Il gran gala si è trasformato in un più sobrio rinfresco, la manifestazione si preannuncia grande. Dalla prima mattina tutta la zona intorno alla sede della BCE verrà circondata dai partecipanti. A mezzogiorno ci sarà un corteo sindacale. Nel pomeriggio una manifestazione nella quale fra gli altri parlerà Naomi Klein, e poi un corteo per le vie della città. Dall’Italia partono autobus della Fiom, di Act e della Rete della Conoscenza, dei centri sociali. Un bus è organizzato dalla Brigata Kalimera e dall’appello

Cambia l’Europa cambia la Grecia che continua il suo lavoro unitario dopo la manifestazione del 14 febbraio a Roma. Gli organizzatori di Blockupy si schierano a fianco della Grecia, e danno con il 18 marzo il loro contributo alla costruzione di un movimento capace di rompere la trappola neoliberista che in Europa uccide dignità, diritti e democrazia. Si proseguirà a Tunisi nel Forum Sociale Mondiale, dove sono previsti molti incontri e assemblee. Anche l’interesse

dei magrebini è forte, per i cambiamenti nell’Europa del sud. Il sindacato europeo discute intanto, proprio in queste ore, la possibilità di promuovere una giornata europea di mobilitazione per la Grecia e contro l’austerità. Riguarda tutti, ciò che succederà alla Grecia nei prossimi mesi. Non basta stare a guardare. Chiunque abbia un diritto o un futuro da difendere, a partire dal proprio, è bene che si dia da fare.

La durissima trattativa Grecia - Ue Da lunedì è attivo il quantitative easing voluto dalla Bce che prevede l’acquisto di titoli di stato per 60 miliardi al mese da qui fino al settembre 2016, ma con la possibilità di andare anche oltre se per quella data l’inflazione non si assesterà attorno al 2%. Come minimo 1140 miliardi. Quei soldi non andranno direttamente ai cittadini, ma alle banche dei paesi europei, ad esclusione della Grecia e di Cipro, le cui emissioni non sono considerate affidabili. Come è avvenuto finora, le banche perlopiù capitalizzeranno quel fiume di denaro anziché trasformarlo in crediti alle famiglie e alle imprese per promuovere la ripresa. Intanto la trattativa fra Grecia e Ue si fa sempre più aspra, e la Bce nega la possibilità al governo greco persino di emettere titoli a breve e sottopone alla verifica delle riforme la concessione dell’ultima tranche del prestito a suo tempo deciso, pari a 7,2 miliardi, che darebbe un po’ di ossigeno finanziario al paese ellenico. Da un lato 1.140 miliardi concessi, dall’altro 7,2 miliardi negati. Sono cifre da urlo, che danno la vera spietata dimensione dell’ipocrisia con cui la Ue sta affrontando la vicenda greca. Bruxelles dice che l’elenco di riforme non è ancora sufficiente. In effetti queste sono molto diverse dalle ingiunzioni a licenziare e tagliare gli stipendi, a chiudere le università e le strutture sanitarie, che erano giunte dalla Troika ai precedenti governi greci. La natura dello scontro è chiara. La nuova Grecia intende impegnarsi seriamente sul

fronte dell’evasione fiscale così endemica in quel paese, ma da subito vuole combattere l’emergenza umanitaria provocata dalle politiche di austerity imposte dalla Troika. Gli esiti di quelle politiche li ha riassunti in poche parole Alexis Tsipras in una recente intervista al più importante settimanale tedesco Der Spiegel: «Oggi il 35% dei greci vive al di sotto della soglia di povertà e 600mila bambini non hanno abbastanza da mangiare». Nello stesso tempo il debito greco prima dell’intervento della Troika era pari al 129% (inferiore a quello attuale dell’Italia) e ora è arrivato al 176%. Questi numeri danno il segno del fallimento e della disumanità delle politiche di austerity. La scelta di Syriza non è quella della Grexit, cioè l’uscita della Grecia dall’Euro. Sarebbe peggio. Ma neppure quella di sottostare ai diktat. Il rifiuto della Troika non è una questione lessicale. Prima questa mandava una mail di ordini da eseguire. Oggi è la Grecia ad avanzare proposte alle istituzioni europee e tratta con loro. Contemporaneamente e giustamente il parlamento greco ha riaperto la questione della riparazione dei danni di guerra provocati dalla Germania nella Seconda guerra mondiale. E apre a est: Tsipras sarà in Cina in maggio. Decisiva resta la solidarietà con la Grecia dei movimenti e delle forze politiche in Europa. Il vero contagio di cui le elites europee hanno paura è quello politico, come la vittoria delle sinistre in Spagna. Proprio quello che interessa a noi.


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Il Forum Sociale Mondiale di Tunisi La partecipazione dell’Arci Finora, la delegazione dell’Arci che andrà a Tunisi, per partecipare al Fsm, conta 25 persone, provenienti da diversi territori, oltre a esponenti di Arcs, della Direzione nazionale più alcuni coordinatori e componenti delle commissioni di lavoro. Naturalmente è possibile decidere di partecipare fino all’ultimo momento (chi vuole farlo lo comunichi a bolini@ arci.it per mettersi in rete). Verrà poi trovato il modo di socializzare, sia durante il Forum che successivamente, il lavoro che la delegazione Arci farà a Tunisi, per metterlo a disposizione di tutti e tutte. La delegazione si riunirà a Tunisi prima dell’inizio del Forum per dividersi i vari appuntamenti da seguire. Parecchie reti e campagne in cui siamo coinvolti organizzano infatti incontri e assemblee alla cui realizzazione abbiamo direttamente collaborato. La maggior parte sono indirizzate a definire il lavoro del prossimo anno. Molta parte del lavoro sarà teso a consolidare e allargare le relazioni, sia generali che tematiche, con le reti europee, mediterranee e internazionali a cui partecipiamo, e a crearne di nuove. In più verranno seguite, oltre alle attività di cui Arci è direttamente promotore o partner, anche altre interessanti – per conoscere, scambiare, prendere contatti. Anche quest’anno il Forum sarà una sorta di compendio della società civile globale – sia rispetto alle tematiche che agli attori (associazioni, movimenti, ONG, centri studi, sindacati, intellettuali e politici). Molto spazio e partecipazione avrà naturalmente la dimensione del Maghreb-Mashrek, ma molte iniziative sono organizzate anche da reti africane, latinoamericane, nordamericane e asiatiche. I temi coprono tutto il possibile, visto che tutte le reti tematiche internazionali partecipano. Molte attività saranno dedicate a Palestina, Siria, e guerra. Altre ai temi della democrazia, della libertà di espressione, dei diritti di genere e delle libertà civili. Molte alla dimensione economica (dal libero scambio all’accaparramento della terra). Via Campesina, la rete mondiale dell’acqua, le reti sul cambio climatico e quella contro il TTIP sono molto presenti in questa edizione. Tanti i seminari sindacali e di organizzazioni per i diritti economici e sociali, sulle questioni del lavoro e della precarietà.

Giovani, migranti e donne in prima fila. Tante le attività sui diritti culturali e sui media liberi. C’è grande interesse, dalla sponda sud del Mediterraneo e negli altri continenti, sulle novità nella situazione europea (il nuovo governo greco, Podemos) che segnano un modo diverso di relazione a sinistra fra società civile, politica e rappresentanza. Molti seminari ed eventi riguarderanno questo nodo. Il Comitato Organizzatore promuoverà importanti dibattiti nel tardo pomeriggio, alla fine dei seminari, in modo da concentrare l’attenzione su alcuni grandi temi. Uno di questo riguarderà appunto le nuove esperienze di sinistra che vince, un altro la situazione del Maghreb. Ci sarà dunque tanto da esplorare, a seconda delle vocazioni di ciascuno e degli interessi dei diversi territori e gruppi di lavoro Arci. Il programma del Forum è ancora in via di definizione: si stanno facendo gli accorpamenti fra iniziative simili, si stanno definendo le assemblee finali e gli eventi speciali organizzati direttamente dal Comitato Organizzatore. Lo invieremo non appena arriverà dal Comitato Organizzatore. Diversi grandi incontri di reti internazionali sono già confermati. Eccone alcuni. 22/28 marzo: Forum Mondiale dei Media Liberi - con particolare presenza delle radio comunitarie. 24/28 marzo: Spazio Giovani, con la prima assemblea generale il 24 e iniziative per tutta la durata del Forum. 24/28 marzo: Spazio Nomad sulle tecnologie libere. 24 marzo: assemblea internazionale delle donne. 26 marzo: Forum dei Parlamentari. 23/24 marzo: riunione internazionale della coalizione Verso Parigi COP Clima 2015. Per ora, le iniziative del Forum in cui Arci è direttamente coinvolta, come promotore o co-promotore sono: ● l’incontro per preparare la COP sul Clima a Parigi - che sarà una grande e permanente mobilitazione in tutto il

mondo da qui a dicembre; in Italia sta per nascere una rete di lavoro unitaria; ● il grande seminario mondiale sugli scomparsi lungo le rotte migratorie - non solo nel Mediterraneo, che prosegue il lavoro di rete sul quale Arci è impegnata ormai da anni. L’obiettivo è costruire una sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulle vittime nelle migrazioni; ● il seminario per lanciare ‘il processo di Tunisi’ - da contrapporre a quello di Khartoum in cui i governi e la UE confermano le politiche di esternalizzazione delle frontiere e di criminalizzazione dei migranti; ● diversi seminari sulla libertà di circolazione e uno specifico sull’aiuto ai migranti in mare - organizzati insieme alle tante reti internazionali con cui Arci lavora; ● i due seminari di ‘Alternative Mediterranee’ - per proseguire il ragionamento sul Mediterraneo iniziato a Lampedusa con reti associative, di movimento e sindacali; ● i seminari di Solidar sulla protezione sociale nel Maghreb-Mashrek - che prosegue il lavoro di rete degli ultimi anni, legato al progetto europeo in cui Arcs è coinvolta; ● la grande assemblea di convergenza di solidarietà con il popolo kurdo e con Kobane - organizzato insieme al Kurdish Network che sarà presente a Tunisi con una folta delegazione di militanti donne e uomini curde; ● il seminario di Migreurop sull’esternalizzazione delle frontiere e le politiche migratorie UE - che fa parte del lavoro permanente della rete a cui l’Arci partecipa; ● l’assemblea di convergenza sul ‘vento greco in Europa e la costruzione di un movimento europeo contro l’austerità’ realizzato insieme a diverse organizzazioni e reti europee; ● il seminario strategico sulle nuove sfide di fronte alla società civile globale, a quasi quindici anni dal primo Forum Sociale Mondiale - realizzato insieme alle organizzazioni che hanno iniziato il processo FSM. Molti sono i seminari promossi da reti di cui Arci è parte (Solidar, Rete Euromed per i diritti Umani, Migreurop, Libera ed altre), a cui siamo invitati a partecipare. Gli italiani come sempre saranno centinaia. Il Forum si aprirà e si chiuderà con due manifestazioni di massa.


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Cinquanta giovani sardi sul Treno della Memoria Da quattro anni è attivo il progetto coordinato da Arci Sardegna Oltre 50 giovani sardi tra i 18 e i 25 anni sono partiti per una settimana alla volta di Cracovia con il progetto del Treno della Memoria che, negli ultimi dieci anni, ha coinvolto ben 16mila giovani da tutta Italia. Da 4 anni il progetto viene realizzato anche in Sardegna, grazie ad Arci Sardegna e all’associazione Terra del Fuoco di Torino. Il viaggio a Cracovia, con la visita al ghetto ebraico, alla fabbrica di Schindler, ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, costituisce la parte centrale del progetto, che si snoda lungo tutto l’anno. La creazione della rete territoriale degli Enti Locali che partecipano all’iniziativa, la formazione specifica dello staff educativo dell’Arci, la selezione dei giovani attraverso colloqui motivazionali, le giornate di formazione dei giovani partecipanti prima del viaggio a Cracovia, il percorso educativo al rientro in Sardegna, le iniziative di restituzione alle proprie comunità locali, il campo estivo per i giovani sul Monte Arci, costituiscono solo gli elementi più visibili di un progetto complesso e molto articolato. Tutti i giovani saranno dotati di un kit

per il viaggio che comprende un testo di approfondimento storico con testimonianze e documenti, curato da Terra del Fuoco e dall’Università di Torino, un taccuino di viaggio per annotare tracce di riflessione, impressioni ed emozioni del viaggio, una guida della città di Cracovia. L’assemblea finale presso l’Aula Magna dell’Università di Cracovia costituisce uno dei momenti più emozionanti del viaggio, quando oltre 400 giovani provenienti da tutta Italia intervengono per esporre le loro considerazioni, riflessioni e commenti sull’esperienza della visita ai campi di sterminio e, più in generale, sul percorso svolto fino a quel momento. L’edizione di quest’anno vede coinvolti 16 Comuni sardi, la Regione Sardegna, la Fondazione Banco di Sardegna, e riceve per la prima volta il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale. «Da quattro anche la Sardegna partecipa perché come Arci regionale e grazie al sostegno di oltre trenta Enti locali - ha ricordato il segretario regionale Franco Uda - abbiamo voluto offrire l’opportunità ad oltre 300 giovani sardi tra i 18 e i 25 anni provenienti da tutta l’isola di partecipare ad un percorso educativo unico e straordinario che si articola dalla storia, attraverso la memoria con la testimonianza e l’impegno civile». «Se le istituzioni, come in questo caso – ha dichiarato Marino Canzoneri presidente dell’Arci Sardegna - hanno attenzione a progetti formativi come questo, è un bene per tutta la comunità; è giusto che la politica si occupi anche del benessere culturale dei suoi cittadini».

WebTrotteurs Méditerranée Il progetto WebTrotteurs Méditerranée nasce dall’idea di Urban Prod, associazione non profit con sede a Marsiglia, di sostenere la creazione di una rete di giovani web-reporter del Mediterraneo. I web trotteurs saranno 25 giovani dai 18 ai 30 anni provenienti dalla Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, dall’Italia, dal Marocco, dalla Tunisia e dal Libano, si muoveranno lungo un percorso formativo che toccherà temi quali l’ambiente, la diversità, la libertà di espressione, le frontiere e la società. Particolare attenzione sarà dedicata all’utilizzo del web e

del video reportage come strumenti per raccontare la società. È richiesta ottima conoscenza dell’inglese (orale e scritto) e una buona capacità di scrittura. Si richiede disponibilità a partecipare a due settimane di workshop in presenza presso la sede di Arci Solidarietà a Roma e presso la sede di Urban Prod a Marsiglia. Tutti i costi relativi alla partecipazione e alle attività del progetto sono a carico delle organizzazioni promotrici. Per candidarsi bisogna inviare il proprio curriculum vitae entro il 22 marzo a comunicazione@arcisolidarietaonlus.eu

daiterritori

in più danzaterapia VITERBO Il 19 marzo presso il

circolo Arci Il Cosmonauta avrà inizio il laboratorio di introduzione alla danzaterapia a cura di Maria Vittoria Bosco. Le lezioni si terranno ogni giovedì alle 15.30 per un totale di sei incontri. Il laboratorio è organizzato da Arci Solidarietà Viterbo, in collaborazione con Jesce Sole e con il circolo Il Cosmonauta. Il corso è rivolto ai soci Arci, il costo è di 60 euro. culturavt@arci.it

incontro su kobane LASTRA A SIGNA (FI) Il

popolo kurdo contro l’Isis è il titolo dell’iniziativa che si svolgerà venerdì 13 marzo al circolo Arci Le due strade Tripetetolo. Si parlerà di chi all’Isis si è opposto, di Kobane, della sua lunga lotta e della sua liberazione. A parlarne insieme al pubblico ci saranno Giulia Chiarini, attivista fiorentina che ha toccato con mano la realtà curda durante i suoi viaggi, e Erdal Karabey, Presidente dell’Associazione Culturale Kurdistan. www.arcifirenze.it

sono radice BRESCIA Il 13 marzo alle 18.30

presso la casa del popolo ‘E.Natali’ il circolo Arci Colori e sapori promuove la presentazione di Sono radice. Poesia dal mondo, scritto da un collettivo di dieci donne e un uomo provenienti da varie parti del mondo ma accomunate dal vivere da anni a Verona. La serata sarà introdotta da Lisa Jankowski, che presenterà il progetto dell’antologia; le autrici leggeranno alcuni componimenti con l’accompagnamento musicale di Maddalena De Vincenti, giovane allieva del Conservatorio di Brescia. coloriesapori@altervista.org

shakespeare in havana GROSSETO Il 19 marzo al circolo

Arci Khorakanè - Spazio 72 ci sarà lo spettacolo Shakespeare in Havana, condotto da poeti improvvisatori cubani in tournée con la partecipazione di David Riondino. Il palco sarà allestito per favorire il contatto con il pubblico e per valorizzare al meglio l’intenzione che questa particolare e unica rappresentazione si prefigge. Prenotazioni entro il 17 marzo, ingresso riservato ai soci Arci. info.spazio72@gmail.com


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Mapas², da Cuba all’Italia per raccontare il lavoro dell’Arci a Santa Fe di Giuditta Nelli Arci Liguria

Mi siedo alla scrivania, dopo diversi giorni. Cerco concentrazione organizzando gli appunti presi nell’ultimo incontro, mentre Claudia - direttrice della Casa di Cultura di Santa Fe - chiacchiera con me dall’altra stanza. Siamo piene di energie, nonostante le molte ore di guida e le tante ore di lavoro. Stiamo vivendo un’occasione unica e ne siamo consapevoli. Claudia González Rosado è la direttrice della Casa di Cultura di Santa Fe, partner fondamentale del progetto Santa Fé: Rafforzamento dei servizi socio-culturali per lo sviluppo comunitario. Si trova in Italia per presentare il lavoro che Arcs con Arci Liguria e vari partner stanno portando avanti a Cuba da 3 anni e per inaugurare - anche qui in Italia - la mostra del doppio intervento artistico partecipato Mapas². Venerdì 6 marzo, presso il Museo di Arte Contemporanea Villa Croce, è stato infatti inaugurato l’allestimento dell’ esposizione Mapas². I due lavori, a firma Giuditta Nelli per Impossible sites dans la rue e Anna Positano, realizzati per Arci Liguria a Santa Fe e già esposti a Cuba nel dicembre 2014, sono finalmente approdati a Genova, grazie alla collaborazione di Ilaria Bonacossa. L’evento è stato preceduto, al mattino, da una tavola rotonda, Mapas x Mapas, che ha sollecitato professionisti del mondo dell’arte e del sociale a sviluppare una riflessione attorno al tema della cultura, vista come strumento d’inserimento sociale e di valorizzazione delle comunità locali (parole chiave: mediazione, cultura, arte e territorio). Entrambi gli eventi, hanno visto - tra gli altri - la presenza della Ambasciatrice della Repubblica di Cuba in Italia e del presidente di Arcs, Daniele Lorenzi. Metabolizzate rapidamente la felicità e la soddisfazione per il buon risultato raggiunto, io e Claudia stiamo ora compiendo un viaggio nei territori, per portare nei circoli e ai comitati un racconto dal vivo del lavoro di Arci a Santa Fe: Energie solidali di Arci Liguria che con la Casa di Cultura hanno attraversato alcune regioni, per cercare e dare nutrimento ai tanti progetti già in cantiere. www.arciliguria.it

A Lecco ‘La legalità in tavola’ Sabato 14 marzo al circolo Arci La ferriera di Lecco ci sarà La legalità in tavola, pranzo sociale realizzato con i prodotti di Libera Terra, a cui parteciperanno Rita Borsellino, già europarlamentare e sorella del giudice Paolo Borsellino, e Alessandra Cerreti, magistrato presso la procura di Milano. L’evento si inserisce nel percorso di educazione alla legalità democratica, realizzato durante questo anno scolastico presso l’Istituto Viganò e il Liceo scientifico M.G. Agnesi. La mattinata si concluderà con l’intitolazione dell’Aula Magna, comune ad entrambi gli Istituti, a Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta.

Arci Puglia alle ‘Sagre del programma’ Aumento della domanda interna di cultura e non solo finanziamento di grandi eventi; politiche giovanili non solo per gruppi informali; posizioni nette e chiare sui temi della tutela ambientale e paesaggistica; attenzione ai temi dei diritti civili per tutti senza distinzione di orientamento; rinnovata attenzione all’agibilità politica delle comunità del mediterraneo presenti sul territorio; sostegno alle azioni diffuse di antimafia sociale; sono questi alcuni dei punti che Arci Puglia ribadirà ai tavoli delle Sagre del programma, i sei incontri con la società civile in programma tra il 14 marzo e il 19 aprile, volute da Michele Emiliano al fine di raccogliere idee e spunti per il programma del centro-sinistra alle prossime elezioni regionali. «I nostri rappresentanti - spiega Davide Giove, presidente Arci Puglia - saranno presenti ai sei forum per ribadire gli indirizzi e le priorità individuati attraverso il punto di vista di chi giorno per giorno, attraverso 120 presidi di democrazia sparsi in tutta la regione, si occupa di aggregazione, promozione sociale, cultura, diritti civili». www.arcipuglia.org

daiterritori

Il convegno Il 17 marzo alle 20.30 al Teatro Qoelet di Redona (Bergamo) Arci provinciale, Comune e Unar promuovono il convegno Razzismo, paura e libertà di culto. Intervengono, tra gli altri, Marco De Giorgi, direttore Unar, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Izzedin Elzir, presidente Ucoii (Unione comunità islamiche d’Italia). Per l’Arci partecipano Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale e Massimo Cortesi, presidente Arci Lombardia. Introduce Roberto Mazzetti, presidente Arci Bergamo.

A San Polo ‘La vecchia bugia’ Arriva al traguardo dei dieci anni il festival Teatro Civile in val d’Enza (RE), organizzato dal circolo Arci Pontenovo di San Polo d’Enza, con il sostegno del Comune di San Polo d’Enza, dell’Anpi e dello Spi-Cgil San Polo d’Enza. Il circolo Arci ha pensato quest’anno ad un progetto speciale, dedicato alla rilettura della prima di molte tragedie del ‘secolo breve’, la Grande Guerra: così è nato La vecchia bugia, che prende una posizione chiara fin dal titolo, in una rilettura che evita ogni retorica celebrativa e propone, come scenario ideale, alcuni dei luoghi più belli e carichi di memoria di San Polo d’Enza, coinvolgendo artisti in grado di valorizzarli con la loro sensibilità. Il 28 e 29 marzo alle 21, presso la Torre civica di San Polo d’Enza, ci sarà lo spettacolo-performance Il giovane Holden va alla guerra, dove le tragiche vicende di giovani uomini e donne del primo novecento si intrecciano alle parole del Giovane Holden, icona per antonomasia del romanzo di formazione contemporaneo. Ingresso gratuito. fb La Vecchia Bugia


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società

Scompare l’associazione in partecipazione Un duro colpo per il nostro associazionismo di Walter Massa presidente Arci Liguria

Si è parlato molto, giustamente, di Jobs Act in queste settimane. Una riforma, da qualunque parte la si guardi, importante del mondo del lavoro. Oggettivamente controversa che, ha visto una fortissima contrarietà da parte delle organizzazioni sindacali e di buona parte dell’opinione pubblica. Per molti ed anche per noi che abbiamo manifestato al fianco del sindacato vengono messi in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori e, quelle stesse tutele conquistate con grandi lotte negli anni. Tra le diverse ‘novità’ non positive vi è anche quella dell’abolizione dei contratti di associazione in partecipazione. Uno strumento talvolta usato male e forse anche abusato ma che non può essere cancellato d’un colpo senza una adeguata alternativa. Ciò è ancora più evidente per noi se solo pensiamo che in questi anni molti nostri circoli lo utilizzano per gestire la parte di attività legata alla somministrazione. Questa tipologia contrattuale aveva già subito una serie di modifiche sostanziali con il Governo Monti, ma in questo caso l’intervento legislativo è stato ancor più radicale tanto che, dalla data di entrata

in vigore del decreto, l’associazione in partecipazione non sarà più utilizzabile nella forma che prevede l’apporto di lavoro da parte dell’associato. Un punto importantissimo per noi diventa quindi un problema da affrontare con urgenza, dato che risultano evidenti i rischi e le difficoltà per il mondo delle APS, soprattutto per quelle aderenti alla nostra associazione. Intanto dobbiamo prendere atto del passo indietro che saremo costretti a fare dopo aver, per lunghi anni, lavorato a convincere i nostri presidenti di circolo sull’opportunità data da questo strumento, per quanto non perfetto. In secondo luogo, con la scomparsa di questo contratto vengono colpiti in particolare i circoli più piccoli, quelli da 100, 200, 300 soci per intenderci, quelli che non sono in grado di utilizzare le forme dell’assunzione o dell’affitto d’azienda. L’impressione, senza esagerare più di tanto, è quella di affrontare una delle più gravi crisi degli ultimi decenni, con il rischio di far sopravvivere solo l’Arci dei grandi numeri e far scomparire, appunto, i circoli più piccoli, quelli che spesso amiamo chiamare di prossimità. Ma è

il libro

Rwanda, la cattiva memoria

Cosa rimane del genocidio che ha lasciato indifferente il mondo di Francoise Kankindi e Daniele Scaglione Prefazione di Luigi Ciotti Introduzione di Yolande Mukagasana Infinito edizioni In Rwanda, nell’aprile 1994, l’esplosione della violenza provocava la morte di centinaia di migliaia di persone, forse un milione. Tra aprile e giugno viene commesso uno dei più grandi crimini della storia dell’umanità. Questo libro risponde ad alcune domande fondamentali. Perché l’Occidente non fece nulla per evitare il genocidio rwandese. Perché la comunità internazionale continua a mentire quando afferma che simili massacri non si ripeteranno più. Quanto il genocidio ha cambiato il Rwanda e l’Africa. Quali e quante sono le analogie esistenti tra ciò che accadde in Rwanda e fatti attuali come la guerra in Siria e la morte dei migranti nel mare davanti a Lampedusa. «Due decenni dopo, il mondo sembra non avere rimpianti. Si chiude nella sua menzogna e non ha la minima voglia di guardare in faccia la realtà. Molti dei nostri sopravvissuti vivono come se fossero ancora nel 1994. Alcuni sono tutt’oggi senza casa, il trauma cresce e tanti sono i problemi. E’ ora che la gente capisca che questo non può continuare. L’odio non avrà mai posto nel nostro Paese, perché abbiamo capito che questo sentimento è distruttivo. Dobbiamo lottare affinchè i bambini rwandesi sappiano che cosa è successo, in modo da non cadere negli stessi errori» (Yolande Mukagasana). Il libro ha avuto tra gli altri il patrocinio di Arcs.

anche, anzi soprattutto, un problema di non scivolare sul livello meramente commerciale che snaturerebbe ulteriormente il nostro essere circoli ricreativi e non pubblici esercizi. Terza, e non secondaria questione, siamo in una situazione in cui, ad oggi, non esistono alternative praticabili. Secondo il nostro Ufficio Studi nazionale, il contratto di associazione in partecipazione sembrerebbe largamente usato in diversi comitati regionali e quindi impatterebbe su una grossa fetta di tessuto circolistico. Diventa quindi importante - in tempi rapidissimi - verificare l’effettivo impatto sul nostro tessuto associativo per poi valutare possibili sinergie con altre realtà associative nazionali, come ad esempio le Acli, anche attraverso un impegno preciso di advocacy da chiedere in primis al Forum del Terzo Settore. Credo non si debba escludere nessuna strada, nemmeno quella di aprire una interlocuzione diretta con le organizzazioni sindacali. Insomma occorre muoversi, capire in che misura il nostro mondo è coinvolto e quindi adottare le soluzioni più efficaci. A me pare l’ennesimo attacco all’associazionismo.

arcireport n. 9 | 12 marzo 2015 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 17.30 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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