Arcireport n 9 2016

Page 1

arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIV | n. 9 | 11 marzo 2016 | www.arci.it | report@arci.it

L’Europa chiude le frontiere e intanto i profughi continuano a morire di Filippo Miraglia Vicepresidente nazionale Arci

La gestione dei flussi alle frontiere dell’Unione Europea e la chiusura della rotta balcanica continuano a essere l’argomento principale di discussione tra i governi dei 28 Paesi membri e sui giornali di tutta Europa. Ma la notizia dalla quale partire per capire cosa sta succedendo realmente è ancora una volta la morte, nelle ultime ore, di cinque persone davanti alle coste dell’isola di Lesbo. Tra queste, un bimbo di tre mesi. Né il governo austriaco, né quello macedone, né nessun altro governo dell’UE, nonostante gli accordi con la Turchia di Erdogan, la politica di esternalizzazione delle frontiere, il sistema degli hot spot, la creazione di una polizia europea per il controllo delle frontiere e i programmi dell’agenzia Frontex potranno più respingere quel bambino, ucciso dal cinismo dei governi e delle istituzioni europee. I ministri e capi di stato ormai si incontrano quasi ogni giorno per adottare misure che impediscano alle persone di raggiungere le frontiere europee e mettersi in salvo. Sono loro che ne decidono la sorte e, molto spesso, la morte. Intanto continuano a raccontarsi - e a raccontarci attraverso i media - che la colpa di

tutto è dei trafficanti. Girando la testa di fronte ai cadaveri dei bambini, di intere famiglie annegate, alle migliaia di persone provenienti da zone di guerra, che vengono umiliate, e talvolta malmenate, da esercito e polizia di fronte alle barriere che tentano di attraversare. Senza alcuna vergogna per quel che si sta decidendo sulla pelle dei profughi, i rappresentanti dell’Unione Europea cancellano il diritto internazionale. L’accordo con la Turchia prevede infatti, oltre al baratto tra diritti, democrazia e denaro, il respingimento e la deportazione (termine tornato in uso su tutti i giornali) dei profughi, anche siriani, dall’UE verso la Turchia. Una decisione che ha provocato la reazione sbalordita anche dell’UNHCR, che dice di non poter credere che l’UE stia prevedendo una cosa tanto grave vietata dal diritto internazionale e dalla legislazione europea. Eppure è così. La discussione, confusa e contraddittoria, tra i governi dell’UE punta a impedire a chiunque di arrivare in Europa. L’Austria, e i paesi della rotta balcanica, dicono che non sono disposti a far passare neanche un richiedente asilo dalle loro frontiere. L’Italia risponde ras-

sicurando l’opinione pubblica, per voce del Ministro Alfano, sul controllo di eventuali partenze dall’Albania. L’interesse generale sembra essere soltanto quello di impedire ai profughi di mettersi in salvo. Nell’accordo con la Turchia si parla addirittura di respingere tutti coloro che arrivano in Grecia in maniera illegale. Forse non tutti sanno che non c’è alcun modo legale di arrivare in Grecia nè in nessun altro Paese del’UE per chiedere asilo. Si tratta quindi di un artificio retorico per giustificare un’azione vietata dal diritto internazionale, compreso quello europeo, ossia il respingimento di potenziali richiedenti asilo, come sono certamente le persone e le famiglie siriane, gli afgani e gli iracheni, che rappresentano ancora la gran parte di coloro che arrivano in Europa. Il conto dei morti, quasi 500 in poco più di due mesi nel 2016, è il giudizio più chiaro e definitivo sulla politica europea in materia d’immigrazione. Impedire alle persone di fuggire dalle bombe, raccontando all’opinione pubblica che lo scopo è colpire i trafficanti, davanti a centinaia di cadaveri è un argomento ridicolo, cinico, insopportabile.


2

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

società

Perché anche l’Arci è in piazza

L’intervento di Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci, alla manifestazione del 5 marzo a Roma

Noi siamo un’associazione culturale, laica, di sinistra e siamo qui. Perché non ci basta ancora. Non basta a noi dell’Arci, ai nostri circoli, ai nostri volontari, alle nostre volontarie, ai nostri soci. Per questo siamo qui. Non ci basta innanzitutto perchè il risultato raggiunto con la legge approvata al Senato non è ancora al sicuro. Bisogna evitare che dalla Camera saltino fuori altri scherzi come quelli che abbiamo visto al Senato. Non potremmo accettare che ulteriori rinvii, o ulteriori peggioramenti possano determinare un nuovo bruttissimo giro di valzer. Potrebbe essere esiziale per un disegno di legge che avrebbe dovuto abbattere un muro e invece, per ora, apre solo una breccia. Non ci basta perchè, senza una legge sulle adozioni ben fatta che ancora non c’è, molte discriminazioni restano e resteranno. Non ci accontentiamo di una legge a metà. Non ci accontentiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Dobbiamo riempirlo tutto, perchè è da troppo tempo che aspettiamo. Non

ci basta ancora perchè questa battaglia è una questione di democrazia. Troppe volte abbiamo visto sacrificare il valore della laicità sull’altare della paura e dell’oscurantismo. Non ci basta perchè siamo stanchi degli sproloqui, degli insulti, degli anatemi dei vari Salvini, Giovanardi, Gandolfini, Alfano. ‘Contro natura’ è chi vuole solo proibire. ‘Contro natura’ è chi non vuole arrendersi all’evidenza dei fatti, ad una società che è cambiata (da parecchio tempo) e che si ritrova leggi che non ne tengono conto. Dunque il lavoro non è terminato. Una legge sulle adozioni migliore e diversa serve e in tante e tanti la aspettano da troppo tempo. Da questo si vedrà se e come il Parlamento intenderà mostrare di svolgere il proprio

compito, che è quello di governare i fenomeni in atto nella società e non assecondare le pance o rincorrere i sondaggi. Da lì vedremo davvero quanto si avrà voglia di cambiare e di rompere equilibri che ingessano la vita delle persone. A tutti e a tutte noi dico, a nome dell’Arci, non ci basta ancora. Ma se resteremo uniti riusciremo a condurre in porto una battaglia culturale - noi siamo un’associazione culturale - per rendere il nostro paese più laico e più democratico. Facciamoci sentire! Noi dell’Arci ci siamo stati nelle piazze il 23 gennaio, ci siamo oggi e ci saremo tutte le volte che sarà necessario chiedere il riconoscimento di uguali diritti per tutte e per tutti in questo nostro Paese che ne ha ancora tanto bisogno.

Ponti di memoria, luoghi di impegno 21 marzo 2016, ventunesima Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie La Giornata della Memoria e dell’Impegno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie. Oltre mille nomi, tra semplici cittadine e cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali. Ancora oggi per il

70% di queste vittime non è stata fatta verità e giustizia. E lo stesso diritto alla verità è ancora negato ai familiari di chi ha perso la vita nelle stragi. Ponti di Memoria, Luoghi di impegno è il titolo della Giornata di quest’anno, che per la prima volta affiancherà, all’iniziativa che si terrà nella piazza

principale di Messina, manifestazioni in tutta Italia. Alle 11, in tutti questi luoghi contemporaneamente, verranno letti i nomi delle vittime. Per informazioni e comunicazioni: legalitademocratica@arci.it Sul sito www.memoriaeimpegno.it l’elenco delle iniziative


3

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

referendumnotriv

Un Sì per cambiare le politiche energetiche del governo di Filippo Sestito coordinatore nazionale Arci Ambiente, difesa del territorio, stili di vita

Bella e partecipata la prima assemblea di tutti gli aderenti al Comitato Nazionale ‘Vota Sì per Fermare le Trivelle’ tenutasi mercoledì scorso nella sede nazionale di Legambiente. Il Comitato, composto da molte delle organizzazioni nazionali che hanno dato vita alla Coalizione per il Clima, è già al lavoro da giorni per elaborare gli strumenti di comunicazione e le parole d’ordine da usare in questa campagna referendaria. Tre i temi generali individuati: il tema del petrolio che, essendo un’energia fossile scaduta, deve essere disincentivata dal Governo a favore di un modello energetico pulito e democratico; il tema del mare, che va protetto e salvaguardato; il tema del modello energetico, che va cambiato puntando al 100% di energie rinnovabili e contribuendo a contenere entro 1.5 gradi centigradi il surriscaldamento del pianeta. Così come si è impegnato a fare il nostro Paese, insieme ad altri 194, alla Conferenza Onu sul Clima tenutasi a Parigi a dicembre del 2015. Ma il Governo Renzi, avendo indetto il Referendum abrogativo nella prima domenica utile con l’obiettivo di depoten-

ziare il quesito referendario, sembra andare nella direzione opposta al documento firmato a Parigi e sembra voler incentivare l’utilizzo di combustibili fossili. A nulla sono valse le nostre richieste e quelle di tutte le altre associazioni e comitati che da sempre si battono per la difesa del territorio di accorpare il Referendum con le elezioni amministrative e di risparmiare circa 360 milioni di euro di soldi pubblici. Segno che Renzi punta molto sull’appoggio delle multinazionali del petrolio e che teme questo Referendum, dal momento che sa che la stragrande maggioranza degli italiani è favorevole a cancellare la norma, introdotta dall’ultima legge di Stabilità, che consente alle società petrolifere di cercare e di estrarre combustibili fossili entro le 12 miglia marine dalle coste italiane, sine die, senza nessun limite di tempo, per sempre. Renzi, però, sa

anche che la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione ufficiali oscurerà, il più possibile, le nostre ragioni e le ragioni di tutte le associazioni, comitati, movimenti e delle Regioni promotrici del Referendum che non hanno fatto marcia indietro. Ma la carta più importante che il Governo sta giocando per silenziare il popolo italiano è la mancanza di tempo concessa ai richiedenti il Referendum abrogativo. Ed è proprio per questo motivo che dobbiamo triplicare gli sforzi e produrre una campagna referendaria diffusa, capillare, fatta di centinaia e centinaia di piccole e grandi iniziative e, al contempo, di un corpo a corpo con il Governo e con le forze politiche neoliberiste sempre più subalterne agli interessi delle multinazionali. Con l’obiettivo di informare tutti i cittadini italiani della possibilità di andare a votare il 17 di Aprile e VOTARE SI per un referendum la cui vera posta in gioco è la modifica radicale delle politiche energetiche del Governo e la concretizzazione di un’economia più giusta, sostenibile, decarbonizzata, che non metta a rischio il nostro mare e il nostro territorio.

Chiediamo al governo di informare sul referendum del 17 aprile! Il referendum del 17 Aprile viene tenuto segreto! I mass media sono obbligati a rendere reale una democrazia: devono informare su questo referendum. Il servizio pubblico faccia ciò che è nel suo obbligo: informi i cittadini da subito! Il governo faccia ciò che è in suo potere: informi gli italiani della scadenza referendaria. Renzi faccia un tweet al giorno! L’ 11 giugno 2004, in relazione allo svolgimento delle elezioni politiche europee del 12 e 13 giugno, l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ‘ricordò’ agli italiani lo svolgimento dell’appuntamento elettorale con un sms firmato ‘Presidenza del Consiglio dei Ministri’. Una cosa sbagliata per un appuntamento politico, diviene un obbligo morale e sociale per un appuntamento referendario: un appuntamento che la stampa, le televisioni commerciali, il servizio pubblico, stanno ignorando. Il governo invii un Sms informativo ora attraverso i gestori di telefonia mobile per garantire la conoscenza della scadenza referendaria. Il Presidente della

Repubblica faccia un richiamo ufficiale al Governo, al Parlamento, alla Rai all’intero mondo dell’informazione. Il 17 aprile 2016 gli italiani, infatti, saranno chiamati a votare per un argomento come raramente accade: il modello del nostro sviluppo. Spesso cittadini, economisti, politici, commentatori si sbizzarriscono nelle critiche e nelle constatazioni che il mondo così com’è non possa andare avanti. Inquinamento, qualità dell’aria, malattie, spesa sanitaria alle stelle, bombe d’acqua e siccità, clima ‘impazzito’ e industrializzazione della vita, drammi personali e collettivi, distruzione di quelle poche certezze spesso costruite con i sacrifici di una intera vita. Ora abbiamo la possibilità di scegliere! Insomma, come per il referendum sull’acqua, i cittadini possono dire finalmente la loro non su questo o quel politico, su questo o quello schieramento, ma su un tema preciso: dobbiamo ancora puntare sul modello di sviluppo basato sul petrolio e gli idrocarburi e, nel fare questo, dob-

biamo consentire alle industrie petrolifere di far diventare il nostro mare un campo di estrazione petrolifera? Mettendo a repentaglio la vita dei nostri mari e il nostro futuro? L’informazione relativa al referendum del 17 Aprile è negata ai cittadini. La Presidenza del Consiglio, così solerte a informare su tutto, sembra scegliere la strada del disinteressamento. Per questo motivo, è opportuno che ogni cittadino solleciti conoscenti ed amici a informare sulla scadenza referendaria: utilizziamo i social, gli sms, le nostre bacheche per informare i cittadini del loro diritto a votare sul loro futuro. Un gesto di autoinformazione della società in assenza di quello istituzionale. Per firmare la petizione: https:// www.change.org/p/matteo-renziil-governo-informi-del-referendumdel-17-aprile-2016-sulle-trivellazioniin-mare?recruiter=45798406&utm_ source=share_petition&utm_ medium=email&utm_campaign=share_ email_responsive


4

esteri

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

Sull’intervento in Libia il governo frena, ma fino a quando? di Franco Uda coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale

«I am not that I play», sembra ben adattarsi anche all’attualità politica questa celebre battuta che William Shakespeare metteva in bocca a Viola nella commedia La dodicesima notte, evidenziando la divaricazione tra la realtà in sé e la parte che ciascuno interpreta nella propria vita. Siamo infatti nel bel mezzo di una partita a scacchi tra il Governo e l’opinione pubblica del nostro Paese, fatta di abili mosse di tattica mediatica, di stop-andgo repentini, in cui i diversi protagonisti del Governo alternano dichiarazioni e ruoli che sembrano, di volta in volta, voler parlare a porzioni differenti della società. L’oggetto è la Missione libica, che comporta il ruolo dell’Italia nello scacchiere mediterraneo e la spartizione delle ingenti risorse petrolifere di quella parte del nord Africa. Il Premier, prudente come non mai, insiste nel suo gettare acqua su un fuoco acceso dalla Ministra della difesa in versione sturm und drang, quando accennò alla possibilità di inviare truppe di terra italiane in Libia. Anche il Ministro degli esteri interpreta un ruolo rassicurante, sia verso il Parlamento che nei confronti dell’opinione pubblica,

nel discorso pronunciato recentemente alla Camera. Apprezzabile, anche se di fatto non smentisce l’improvvida uscita della sua collega alla Difesa, così come non chiarisce il mandato agli 007 contenuto in un decreto secretato e ‘dimentica’ di citare contestualmente, insieme al 52, l’art. 11 della Carta Costituzionale. Vorremmo essere maggiormente tranquilli e rassicurati dopo l’intervento del Ministro alla Camera, vorremmo poter pensare che i venti di guerra hanno ceduto il passo a una calma di pace, vorremmo poter pensare che il ruolo che il nostro Paese vuole giocare nel Mediterraneo sia più vicino a quello di un pontiere diplomatico piuttosto che di capofila di nuove e incerte avventure coloniali.

Quello che sembra chiaro è che, nella situazione data, non vi sarà alcun intervento internazionale; quello che preoccupa è come potrà cambiare questa posizione in presenza di uno scenario differente. Come reagirebbe, infatti, la comunità internazionale (e l’Italia) a una richiesta d’intervento del Governo unitario libico? Siamo davvero convinti che i governi di Tobruk - eterodiretto dagli egiziani - e di Tripoli siano realmente rappresentativi di quella miriade di comunità, tribù e aggregati urbani della Libia? L’ipotesi di tripartire il territorio del Paese è in qualche modo connesso a una spartizione tra multinazionali di bandiera (Total, Bp, Eni) delle sue risorse petrolifere? Nel mentre la società civile ha messo insieme oltre 50 organizzazioni che, in una sorta di mobilitazione preventiva, chiedono al Governo non solo di non prendere in considerazione - in nessun caso - l’avventura bellica, ma anche di fare quanto è possibile, insieme a l’Europa tutta, per dar modo ai tanti che fuggono dai conflitti di avere l’accoglienza prevista dal Diritto internazionale, non i muri e i fili spinati, non il mercimonio dei diritti umani.

Appello per la solidarietà internazionale con le persone e le regioni marginalizzate in Tunisia L’appello è stato firmato da associazioni tunisine, marocchine, algerine, francesi, del Sahara occidentale. Ha aderito anche l’Arci Cinque anni dopo la rivoluzione tunisina, nessuno dei governi che si sono succeduti sembrano avere alcuna soluzione efficace ai problemi della disoccupazione e per alleviare la situazione economica delle regioni svantaggiate, vittime di marginalizzazione, corruzione endemica e malgoverno. In effetti, le autorità pubbliche sono ri-

maste completamente disconnesse dalla dura realtà della popolazione tunisina, e soprattutto dalle classi non privilegiate, con il rischio i portare il paese vicino al collasso, preparando il terreno a una diffusa esplosione sociale, a un livello di cui nessuno può predire l’impatto. Di fronte alla perdurante impasse e ai tentativi di soffocare i movimenti di protesta che legittimamente si battono per il diritto alla dignità, al lavoro e a manifestare pacificamente, le associazioni firmatarie fanno appello alla solidarietà inter-

nazionale per sostenere i movimenti di protesta dei giovani disoccupati, vittime della precarietà e della povertà, soprattutto nelle regioni svantaggiate, e il loro diritto a: - libertà di movimento, spesso impedita nel loro stesso paese; - libertà di espressione e di dimostrazione pacifica soggetta a continue vessazioni poliziesche; - lavoro e sviluppo regionale equo, come chiaramente statuito nella Costituzione; Le associazioni firmatarie sostengono pienamente i dimostranti e chiedono l’avvio di un dialogo effettivo con le autorità pubbliche per fornire alternative praticabili al corrente status quo. Le organizzazioni che vogliono aderire devono mandare una mail a: solidaritetunisie@ftdes.net


5

migranti

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

Accogliere i rifugiati in Europa Una necessità morale e politica urgente

Pubblichiamo l’appello promosso da intellettuali di diversi paesi. Primo firmatario Etienne Balibar. Noi cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea, dei Balcani, del Mediterraneo, del Medio Oriente e di altre regioni del mondo, lanciamo un appello urgente ai nostri concittadini, ai nostri governanti e ai nostri rappresentanti nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento Europeo, così come alla Corte Europea dei Diritti Umani e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: bisogna salvare e accogliere i rifugiati del Medio Oriente! Da anni, i migranti che fuggono da miseria, guerra e repressione annegano in mare o sbattono contro le recinzioni. Quando riescono a passare le frontiere, si trovano rimpatriati, incarcerati o cacciati nella clandestinità da Stati che li trattano come nemici. E nonostante ciò, insistono e si aiutano a vicenda per salvare la vita e avere un futuro. Ma dopo che le guerre in Medio Oriente e soprattutto in Siria hanno assunto le proporzioni di un massacro di massa, la situazione è cambiata. Presi in ostaggio tra i belligeranti, bombardati, affamati, terrorizzati, popolazioni intere sono avviate verso un esodo carico di pericoli. Si tratta di una catastrofe umanitaria. Ci attribuisce una responsabilità storica di fronte alla quale non ci sono scappatoie. L’incapacità dei governi di mettere fine alle cause dell’esodo (quando non contribuiscono ad aggravarle) non li esonera dal dovere di soccorrere e accogliere i rifugiati rispettando i loro diritti fondamentali. Nonostante qualche eccezione - l’iniziativa esemplare della Germania di aprire le porte ai rifugiati siriani; lo sforzo gigantesco della Grecia per salvare e accogliere migliaia di persone che ogni giorno arrivano sulle sue coste, mentre la sua economia è stata affondata da una austerità devastatrice; la buona volontà del Portogallo di accogliere un parte dei rifugiati che sono in Grecia - i governi europei si sono rifiutati di adottare misure adeguate alla situazione, di spiegarla alla loro opinione pubblica, di organizzare la solidarietà superando gli egoismi nazionali. Al contrario, hanno rigettato i piani minimi di ripartizione dei rifugiati elaborati dalla Commissione, o si sono impegnati a boicottarli. Peggio,

si sono impegnati nella repressione, la stigmatizzazione di rifugiati e migranti. Per contro, ci sono semplici cittadini, pescatori e abitanti di Lampedusa e di Lesbos, militanti di associazioni e reti di sostegno ai migranti, luoghi di accoglienza laici e religiosi che hanno mostrato che una soluzione è possibile. Devono fare i conti con l’insufficienza di mezzi, con l’ostilità dei poteri pubblici e devono affrontare lo sviluppo rapido di un fronte europeo xenofobo che va da organizzazioni apertamente razziste e neofasciste a leader politici ‘rispettabili’ e a governi sempre più caratterizzati da autoritarismo, nazionalismo, demagogia. Due Europe incompatibili si confrontano, e tra le due bisogna ormai scegliere. La tendenza xenofoba, pericolosa per gli stranieri e rovinosa per l’avvenire del continente europeo, deve essere invertita subito. Intanto nel mondo ci sono 60 milioni di rifugiati, il Libano e la Giordania ne accolgono un milione ciascuno (rispettivamente il 20 e il 12% della loro popolazione), la Turchia 2 milioni (il 3% della popolazione). I rifugiati arrivati nel 2015 in Europa rappresentano soltanto lo 0,2% della sua popolazione! Non solamente i paesi europei hanno i mezzi per accogliere i rifugiati e trattarli degnamente, ma lo devono fare per poter continuare a porre i diritti umani a fondamenta della loro costituzione politica. È anche un loro interesse, se vogliono cominciare a ricreare, con tutti i paesi dello spazio mediterraneo, le condizioni per una pacificazione e una vera sicurezza collettiva. Questa è la condizione perché lo spettro di una nuova epoca di discriminazioni e di eliminazione di esseri umani ‘indesiderabili’ finisca davvero al di là del nostro orizzonte. Nessuno può dire quando e in quali proporzioni i rifugiati ritorneranno ‘a

casa loro’, e nessuno deve sottovalutare le difficoltà del problema da risolvere, le resistenze che genera, persino i rischi che comporta. Ma nessuno può nemmeno ignorare la volontà di accoglienza delle popolazioni e la volontà di integrazione dei rifugiati. Nessuno ha il diritto di dichiarare il problema insolubile per sottrarvisi. Misure di urgenza di grande ampiezza si impongono dunque immediatamente. Il dovere di assistere i rifugiati del Medio Oriente e dell’Africa in questa situazione d’eccezione deve essere fatto suo dall’Ue e dai paesi membri. Deve essere consacrato dalle Nazioni Unite e concertato con gli stati democratici di tutta la regione. Forze civili e militari devono essere impegnate per portare soccorso ai migranti. È dentro questo quadro che bisogna reprimere i traffici e condannare le complicità di cui beneficiano. Perchè è il divieto di accesso legale che genera le pratiche mafiose.Il fardello dei paesi di prima accoglienza, in particolare la Grecia, deve essere subito alleggerito. ll loro contributo deve essere riconosciuto. Il loro isolamento deve trasformarsi in solidarietà attiva. La zona di libera circolazione di Schengen deve essere preservata, ma gli accordi di Dublino devono essere sospesi e rinegoziati. L’UE deve fare pressione sui paesi danubiani e balcanici perchè riaprano le frontiere, e negoziare con la Turchia perchè cessi di utilizzare i rifugiati come alibi politico-militare e come moneta di scambio. Mezzi di trasporto aerei e marittimi devono essere messi a disposizione per trasferire i rifugiati nei paesi del nord dell’Europa che hanno la possibilità di riceverli, invece di lasciare che si accumulino in un piccolo paese che rischia di diventare un immenso campo di detenzione. A più lungo termine l’Europa - che è di fronte a una di quelle sfide che cambiano il corso della storia - deve elaborare un piano democraticamente controllato di aiuti ai superstiti e a chi porta loro soccorso, con un budget speciale e disposizioni legali che garantiscano diritti e l’inserimento dignitoso e pacifico delle popolazioni sfollate nelle società di accoglienza. Non ci sono altre alternative che queste: ospitalità e diritto di asilo, o barbarie!


6

società

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

Per un’Agenzia dei beni comuni di Alessio Magro giornalista e scrittore, Arci Reggio Calabria

Venti anni di riutilizzo sociale dei beni confiscati, tempo di bilanci, ma anche e soprattutto di proposte. La spinta rivoluzionaria data dall’introduzione della legge 109 del ’96 sembra frenata da mille ostacoli, pastoie burocratiche, lotte di sistema e miopie di gestione. Quella che è stata una grandissima intuizione che ha permesso di dare duri colpi alle cosche di ogni dove e al contempo dare vita all’antimafia sociale, necessita ormai di una riforma. Quel che oggi abbiamo è una mappa plastica, fisica, della diffusione delle mafie, da Nord a Sud, costellazioni di buone pratiche e galassie intere di fallimenti. Nel libro Per il nostro bene (Chiarelettere), la giornalista Alessandra Coppola e l’avvocatessa Ilaria Ramoni compiono un vero e proprio giro d’Italia lungo le rotte dei beni confiscati, mettendo a nudo criticità e svelando vie per un possibile rilancio. Tanto che sulla partita dei patrimoni confiscati sembra davvero giocarsi il futuro della lotta alle mafie. O si vince o si chiude bottega. Sarebbero tanti gli spunti di riflessione,

e parecchi alimentano già il dibattito attorno ai beni confiscati, a partire dalle aziende (da affidare ad amministratori con capacità manageriali), dai fondi ai Comuni (senza le ristrutturazioni, i beni sono un contenitore vuoto) e dal ruolo dell’Agenzia nazionale. È su questo punto che vogliamo provare a lanciare, dal profondo Sud, una proposta ardita. Come ha avuto modo di sottolineare il prefetto-manager Mario Morcone, l’Agenzia potrebbe essere una nuova IRI, tale è il patrimonio che si trova a dover gestire. Un organismo che, se messo in condizioni di operare con capacità di spesa e autonomia, potrebbe trasformare il volto del Paese in tempi rapidi. Non è utopia, è un progetto alla portata, che potrebbe autosostenersi e garantire lavoro ai giovani. E per questo occorre una nuova riforma, che ridisegni statuto, funzioni e dotazione dell’Agenzia. Non solo mezzi, ma anche uomini: meno prefetti e più professionisti, meno militari e più esperti, per sancire un cambio di mentalità. L’Agenzia deve essere infatti un soggetto protagonista, dal sequestro all’avvio delle nuove attività

sul bene confiscato, e non un organo burocratico che assegna e si lava le mani. A chi dovrebbe rivolgersi? In primo luogo ai Comuni, aiutandoli e perché no costringendoli a rispettare le proprie funzioni. Quindi all’associazionismo, quello esistente e quello potenziale, che ha le idee ma non sa davvero a chi rivolgersi per concretizzarle. Un’agenzia così concepita non potrà esistere senza il contributo permanente delle grandi realtà associative del Paese, che facciano da garanti per la buona riuscita delle mille iniziative sui territori. Ecco che una sorta di consiglio di gestione con i rappresentanti dell’associazionismo, dal livello nazionale a quello locale, darebbe linfa vitale a quella che potrebbe essere realmente un’Agenzia dei beni comuni, le cui competenze potrebbero allargarsi alla gestione del patrimonio dello Stato abbandonato o non valorizzato. Un nuovo protagonismo del terzo settore che potrebbe consentire alle stesse associazioni di svecchiarsi e rinnovarsi, aprendo le porte alle nuove leve dell’antimafia sociale.

Arci 2.0: un’associazione in grado di coniugare innovazione e tradizione di Giuseppe Fanti commissione Sviluppo e governo del sistema complesso Arci

L’Arci ha una marcia in più. Sarà stata la ritrovata serenità dirigenziale pur nella diversità di vedute, il clima gioviale e comunque operoso di Bologna, fatto sta che dalla due giorni emiliana l’associazione esce molto rafforzata. Un’inversione di tendenza che ripropone e rilancia sui territori la sfida per la costruzione di una comunità Arci al passo con la società. Dopo il seminario di Milano, il 2 e 3 marzo a Bologna si è affrontato un ulteriore momento di confronto per la creazione della tanto attesa piattaforma di comunicazione integrata del sistema complesso Arci. Uno strumento innovativo che davvero potrà consentire all’associazione il salto di qualità verso una dimensione 2.0, coniugando l’innovazione delle tecnologie con la tradizionale anima dell’Arci. Un momento importante, per l’oggetto della discussione, ma anche per il metodo: finalmente il gruppo dirigente torna a confrontarsi sul futuro, riprendendo una modalità che negli ultimi tempi era passata in secondo piano. E come

sempre dal confronto arrivano quegli stimoli necessari da spendere sui territori. Con lo stesso gestionale informatico si avrà la possibilità di condividere, con i circoli e i comitati territoriali da un lato e con tutti i soci dall’altro, tools e competenze su comunicazione, raccolta fondi, tesseramento ecc. Dai verbali delle assemblee e dei direttivi ai comunicati stampa, tutte le realtà dell’Arci avranno la possibilità di governare con pochi clic la macchina associativa, risparmiando le energie per il confronto e la costruzione di comunità sul proprio territorio, tenendosi sempre informati sulle tante opportunità per intercettare risorse ed esperienze. Dopo una lunga stasi, il gruppo dirigente Arci ha saputo aprire una nuova via, che servirà per far crescere i dirigenti del domani e portare avanti l’associazione come e più di prima. Grazie all’intenso lavoro che la commissione sviluppo e governo del sistema complesso Arci ha portato avanti negli ultimi due anni, è stato dato un input importante per la ripartenza dell’as-

sociazione. È il messaggio a essere determinante: dopo anni di richieste, lamentele e criticità, dal vertice associativo arriva una risposta forte alle esigenze dei territori, con la piattaforma centralizzata e con un’accattivante campagna di comunicazione sul cinquepermille, efficace e rispettosa del dna Arci. Strumenti che consentiranno di intercettare i giovani e giovanissimi, fasce d’età fondamentali per il futuro di ogni realtà. Ecco che la sfida passa ora dal centro alle periferie: gli strumenti ci sono, c’è la concreta opportunità di rilanciare la presenza dell’Arci sui territori, tocca adesso ai livelli locali concretizzare quella spinta all’autodeterminazione che spesso è stata motivo di scontro interno. Dalla ricerca delle risorse alla raccolta fondi, dalla legalità democratica alle attività per il tempo libero, bisogna dimostrare di saper costruire quella necessaria rete di persone e competenze in grado di confermare l’Arci come presidio di partecipazione e democrazia sociale.


7

informazione

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

Il matrimonio Repubblica-Stampa e la giungla senza regole dell’editoria italiana di Vincenzo Vita esperto di comunicazione

Se è ancora attuale lo stato di diritto e se - come temono politologi illustri - non è ancora tornato in auge il libro della giungla, allora la concentrazione in un’unica compagine de La Stampa, de Il Secolo XIX e del gruppo Espresso-Repubblica non si può fare. Supera, infatti, il limite del 20% (con circa il 23%) della tiratura complessiva previsto dall’articolo 3 della legge 67 del 1987, che a sua volta riprendeva i tetti della riforma-madre dell’editoria: la legge 416 del 1981, di fatto l’unico testo antitrust in vigore, dato che la vicenda radiotelevisiva è finita nel tragicomico meccanismo di rilevazione del Sic (l’incalcolabile sistema integrato delle comunicazioni). Quella piccola regola è resistita persino all’era berlusconiana, essendosi interessato l’ex cavaliere solo al tema degli incroci tra stampa e televisione. Quando sognava il Corriere della sera e chissà se ora la tentazione non gli stia tornando, visto che il blasonato giornale milanese sembra adesso un orfanello. Ecco, allora, la prima urgenza. Le autorità competenti, a partire dall’Agcom che ha diretta titolarità nella tutela del pluralismo, devono intervenire ad horas. Altrimenti ci arrabbiamo, come il noto film. Se no, che ci stanno a fare? Diversi dei commenti sul groviglio societario di questi giorni hanno messo in secondo piano il banale rispetto della già debole previsione dei nostri codici. È interessante, certo, buttare la palla nell’altissima tribuna dei mutamenti socio-antropologici. Tuttavia, se con la macchina superi la velocità consentita, il vigile ti fa la multa e non serve parlargli del tempo digitale. Atti necessari, non discrezionali. Vedremo a che punto di cottura sta la vicenda italiana. Veniamo alla sostanza. La società Itedi è incorporata da quella di De Benedetti. La Exor dell’erede Agnelli John Elkann avrà, a partire dal 2017, una quota minore nella nuova holding come pure Carlo Perrone, mentre la Fca di Marchionne annuncia l’uscita da RcsMediagroup. L’abbandono dell’editoria da parte della Fiat viene stigmatizzato con parole assai nette dal comitato di redazione del Cor-

riere della sera: «Finita la stagione dei dividendi, ora che lo sfascio finanziario è compiuto, e che il Corriere è lanciato in un progetto editoriale coraggioso….la famiglia Agnelli saluta e se ne va a rafforzare il principale concorrente». Come ampiamente riportato da il manifesto. E sì, perché nelle rudi determinazioni di Marchionne non c’è spazio per i giornali, figli di un’altra epoca. La carta stampata è stata decisiva nella formazione del clima d’opinione favorevole alla stagione della grande manifattura fordista, costituendone anzi un punto di qualità. Tant’è che i «comprati e venduti» raccontati dal primo Giampaolo Pansa erano dentro gli ingranaggi del potere, costituendone l’avamposto e l’altoparlante colto. Il libro uscì nel 1977, e infatti l’intero decennio successivo fu segnato dalla concentrazione, nei giornali e - prepotentemente - nella televisione commerciale. Era la fase ancora ascendente del settore, prima che l’ingresso della rete e le culture di Internet cominciassero a cambiare l’ordine degli addendi. Allora ci si concentrava per aumentare il potere tra i poteri, mentre nella stagione attuale ci si concentra per non perderne troppo. Di un potere via via reso pallido dagli eventi mediatici e senza molte prospettive per il futuro. Hanno ragione le organizzazioni sindacali e la federazione della stampa a chiedere immediati confronti sulle previsioni occupazionali. Prima che le crepe diventino una frana incontenibile. Insomma, trust difensivi, improbabili trincee contro i ‘barbari’ dell’on line. Peccato che non si tratti di accidenti transeunti, essendo blog e testate digitali l’avamposto del capitalismo cognitivo: il nuovo impero dell’accumulazione. Purtroppo ciò avviene non sotto l’egida

dello spirito del progresso, bensì nella più cupa parabola dell’oligopolio in salsa liberista. Ma questa è la realtà e si darebbe l’ultimo colpo alla pur nobilissima carta stampata se si eludessero - esorcizzandoli - i nodi brutali che stanno venendo al pettine. Gli avvenimenti in corso non sono la mera espressione di una crisi limitata, bensì l’anticipazione di una tendenza fortissima se non inesorabile. Sarebbe cosa buona e giusta occuparsene seriamente, magari attraverso un appuntamento di concreta riflessione, ‘Stati generali’ dell’editoria, come fu fatto in Francia qualche anno or sono. O almeno come sta avvenendo nel dibattito avviato da alcune delle principali testate in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Insomma, se è vero come diceva Keynes che nel lungo periodo saremo tutti morti, si concepisca un attento governo della fase di transizione, affinché il definitivo sbarco sulle rive del continente digitale non divenga una pura conta dei morti e dei feriti. È il caso di parlare di intervento pubblico? Certo che sì, ma nel senso dello ‘stato innovatore’ di Mariana Mazzucato, non nella versione antica dell’assistenzialismo. O si pensa davvero al quotidiano unico della nazione? Del resto, persino simbolicamente, il Corsera è il sintomo della salute della borghesia italiana. Se l’azionariato così indebolito non troverà forza e soluzioni, l’effetto domino diverrà veloce e incalzante. E con le telecomunicazioni che non parlano quasi più in italiano, la Rai nel limbo e l’industria culturale debole o pure concentrata con ‘Mondazzoli’, il crepuscolo si avvicina. Per commentare con il sonoro il terribile film in corso è appropriata, dunque, la messa da requiem, non la cavalcata delle valchirie. Peccato mortale. Lo stesso nonno Agnelli ne avrebbe sofferto. Per non dire di Carlo Caracciolo. O di Mario Lenzi, che si inventò il mosaico locale. O di Giovannini. O di Murialdi. Proprio per questo, almeno si seguano le regole e si difendano i diritti. Non ci si illuda: nella giungla ci sono i giganti veri.


8

ucca

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

‘opereprime.org’. Nasce il primo magazine dedicato agli esordi cinematografici italiani di Ciro D’Emilio e Manuela Ianniello Redazione Web Road to Pictures Film

Il progetto Opere Prime nasce con l’obiettivo di migliorare e potenziare il livello d’interesse del pubblico cinematografico nei confronti dei nuovi autori italiani. Il processo di realizzazione di una prima opera è spesso accompagnato da tantissime difficoltà, non solo di tipo economico. Mediamente bisogna aspettare tra i tre e i cinque anni prima che un autore veda realizzata la propria opera filmica. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, la mancanza d’investimenti nel campo della diffusione pubblicitaria, compromette la vita del film nelle sale (qualora l’opera riesca a trovare una distribuzione). Il grande pubblico, purtroppo, va sempre meno al cinema e gli interessi nei confronti del puro entertainment è sempre alto. Si preferiscono generi ‘leggeri’ e film ‘poco impegnati’. Questo spesso però diventa un alibi che aumenta un clima di sfiducia nei confronti del mercato del cinema italiano. Nella storia più recente, infatti, non sono rari i casi in cui delle opere prime hanno suscitato interesse nel pubblico. Per questo motivo, il progetto Opere Prime, attraverso recensioni, curiosità, interviste e tanto altro, sponsorizza il mondo degli esordi italiani, sperando di suscitare sempre più interesse nel pubblico del cinema. All’interno del portale troverete numerose categorie. Le recensioni sono divise in tre sezioni: La sezione ‘opere prime’, dedicata appunto ai nuovi esordi italiani dal 2015 ad oggi; la sezione ‘grandi esordi’, in riferimento a tutte le opere prime di autori che hanno lasciato il segno nella cinematografia italiana; la sezione ‘opere prime world’, per essere aggiornati su cosa succede all’estero. Le categoria successive sono ‘fatti di cinema’, con curiosità e informazioni su proiezioni, premiazioni, e tanto altro; ‘video’ con le sottocategorie ‘trailer’ e ‘backstage’, dove all’interno si possono visualizzare

tutti i contenuti video delle opere prime del presente e del passato; ‘locandine’, con tutti i manifesti ufficiali degli esordi in questione; ‘biografie’, con le info su tutti gli autori delle opere prime italiane. A tutto questo si aggiungono due pagine molto interessanti da consultare: la pagina Premi, con una raccolta informativa sulle più importanti kermesse dove possono avere accesso le opere prime cinematografiche; infine, ma non di poco rilievo, la pagina Link Utili, un’importantissima sezione dedicata a tutti coloro che han-

garanzia per il settore culturale e creativo + data support + piloting). Il lavoro della redazione di opere prime. org è in costante aggiornamento. Tutte le produzioni e distribuzioni cinematografiche sono invitate a contattarci per proporci la visione delle loro opere prime. Gli interessati invece, a far parte della nostra redazione, possono scriverci all’indirizzo e-mail info@opereprime.org Il progetto Opere Prime è promosso e realizzato dall’associazione culturale Road To Pictures Film in partnership con UCCA (Unione dei Circoli Cinematografici Arci). L’associazione culturale è nata a Roma nel 2011, e propone con la sezione Road To Pictures Lab, corsi formativi di alto livello con esperti del settore cinematografico. Collaborano

no bisogno di informazioni relative ai finanziamenti pubblici e privati, come la Bussola del Cinema, ideato dalla Direzione Generale Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con l’Associazione Italian Film Commissions e in collaborazione con Cineconomy.com - Fondazione Ente dello Spettacolo, per favorire e facilitare l’accesso ai numerosi e variegati strumenti di sostegno al cinema e all’audiovisivo offerti dall’Italia alle società di produzione italiane e straniere, come fondi e location; oppure Europa Creativa, un programma quadro di 1,46 miliardi di euro dedicato al settore culturale e creativo per il 2014-2020, composto da due sottoprogrammi (Sottoprogramma Cultura e Sottoprogramma MEDIA) e da una sezione transettoriale (fondo di

attivamente professionisti del calibro di: Francesco Munzi (regista e sceneggiatore: Anime Nere, Saimir, Il Resto della notte), Marco Spoletini (montatore: Gomorra Premio David di Donatello, Velocità Massima, L’Imbalsamatore - Premio Nastro D’Argento), Maurizio Calvesi (direttore della fotografia: Mine Vaganti, Viaggio Segreto - Premio Nastro D’Argento), Heidrun Schleef (sceneggiatrice: La Stanza del Figlio, Il Caimano, Ricordati di Me - Premio Nastro D’Argento), Ciro Scognamiglio (aiuto regista: Mia Madre, Habemus Papam, Senza Nessuna Pietà), Giuseppe Di Gangi (direttore di produzione: La Grande Bellezza, Youth - La Giovinezza, Il Divo), Elena Bindi (segretaria di edizione: Panni Sporchi, La sconosciuta, Maléna).


9

arcireport n. 9 | 11 marzo 2016

culturascontata i tanti vantaggi della tessera Arci

w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo

La coscienza del vero Rovereto (TN) - Mart, fino al 3

aprile. La mostra La coscienza del vero intende indagare alcuni momenti della cultura figurativa ottocentesca, nella stagione compresa tra il Romanticismo e l’Impressionismo, ovvero fra il 1840 e il 1895, anno della prima Biennale di Venezia. In mostra circa 100 opere, da Courbet a Segantini. www.mart.trento.it

Symbola - il potere dei simboli Roma - Stadio di Domiziano,

fino al 15 aprile. Una grande mostra dedicata a opere e manufatti del tutto inediti, oltre 200. Lo scopo di tale mostra è quello di divulgare il mondo immaginifico classico nei suoi diversi aspetti e ambiti di produzione e fruizione attraverso il simbolo. stadiodomiziano.com

‘Via’ - Fotografia di strada da Amburgo a Palermo Roma - Museo di Roma in Tra-

stevere, fino al 3 aprile. La mostra è il risultato di un progetto fotografico iniziato nel 2014 dal Goethe-Institut. Dieci fotografi, cinque in Germania e cinque in Italia, nell’arco di un anno hanno fotografato le proprie città secondo i canoni della fotografia di strada. www.museodiromaintrastevere.it

In the heart. Tra arte e design Roma - Casina delle civette, fino

al 3 aprile. In mostra le creazioni di quattro artisti, Silvia Beccaria, Evandro Gabrieli, Silvia Granata e Sabine Pagliarulo, che, con mezzi e finalità diverse, si relazionano con le creazioni naturali e ne fanno oggetto della propria ricerca. www.museivillatorlonia.it

Animaux Sauvages Roma - Museo Civico di Zoolo-

gia, fino al 14 marzo. Schili, alias Salvatore Schilirò (Roma), da sempre interessato ai problemi ecologici, alla conservazione della natura e soprattutto convinto assertore dello sviluppo sostenibile del Pianeta, esprime attraverso le sue opere pittoriche l’amore per gli animali selvatici di qualsiasi continente, con una particolare predilezione per quelli africani. www.museodizoologia.it

società

L’11 marzo a Bari viene presentato il protocollo d’accordo tra Forum del Terzo Settore e ANCI per sviluppare le politiche culturali territoriali di Carlo Testini

Dopo un percorso articolato e l’elaborazione di proposte del Forum del Terzo Settore per rafforzare l’ambito della Cultura nel nostro Paese, venerdì 11 marzo verrà presentato a Bari, presso l’aula magna dell’Università degli Studi Aldo Moro, un importante protocollo d’accordo siglato dal Forum e dall’ANCI-Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Il documento è il frutto di una interlocuzione costante sviluppata negli ultimi anni sui temi dello sviluppo locale anche attraverso progettualità condivise tra enti locali e organizzazioni non-profit. Il 21 maggio 2015 si è svolto in una delle sale degli uffici del Senato l’importante incontro promosso dal Forum dal titolo Il Non profit e le Politiche Culturali: Cittadinanza attiva e sviluppo territoriale dove si è evidenziato il ruolo del settore culturale non-profit nelle politiche culturali territoriali. In quella occasione è stato rilevato come i Comuni svolgano un ruolo fondamentale per la costruzione di un quadro di indirizzo per valorizzare le esperienze più dinamiche nel campo della ‘sussidiarietà culturale’. Il protocollo tra Forum e ANCI affronta molti dei temi che da tempo anche l’Arci ha nell’agenda delle sue politiche culturali: dalla progettazione per i beni culturali all’utilizzo degli spazi in disuso, dal dialogo tra culture al turismo sociale e sostenibile. Gli enti firmatari promuoveranno ogni azione, sia a livello nazionale che locale, per sostenere l’applicazione del protocollo, sviluppando anche una collaborazione concreta con la Conferenza delle Regioni. Sarà anche l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte della riforma del Terzo Settore e le implicazioni in ambito culturale. In effetti, una parte consistente dei progetti e delle attività artistiche e culturali non-profit si auto-finanzia attraverso diversi strumenti che potrebbero essere messi in discussione dalle nuove norme.

Un confronto con i Comuni sarà di sicura utilità per motivare con nuovi elementi le richieste del Forum a sostegno dell’indipendenza dell’associazionismo di promozione

sociale e culturale. A Bari, oltre ad ANCI e Forum, interverranno la Fondazione con il Sud che sta svolgendo un ruolo fondamentale di connessione tra i Comuni e il non profit, l’Arci e l’Orchestra senza Spine, una delle esperienze più significative di innovazione culturale e rigenerazione urbana che opera a Bologna, l’Associazione Forum del Libro, Auser, UNPLI e la Scuola di Fundraising di Roma. Chiuderanno i lavori Roberto Pella, vicepresidente ANCI e Pietro Barbieri, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore.

arcireport n. 9 |11 marzo 2016 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 14 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.