La vita, le battaglie, il valore degli uomini che forgiarono una civiltĂ e fondarono un Impero VOlumeI:I:DA DAENEA enea A a LUCULLO lucullo E-BOOK
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Guerrieri di Roma Copyright © 2010 Area51 Publishing Srl All rights reserved EBXL.SG.01/2010 Testi: Marco Busetta Traduzione e adattamento dal latino (quando non diversamente citato): Marco Busetta Traduzione e adattamento dal greco (quando non diversamente citato): Simone Bedetti Revisione: Marzia Semele Realizzazione cartine: Laura Iacono Impaginazione: Davide Mancini Copyright immagini Copertina: © Tom Mc Nemar; Pagina 1: © James Pauls; Pagina 16: © Giuseppe Lancia; Pagina 28: © David Evans; Pagina 33: © Roberto A. Sanchez; Pagina 54: © Selim Ucar cam; Pagina 68: © Andrejs Zemdega; Pagina 93: © Waltraud Ingerl; Pagina 163: © Danilo Ascione. www.istockphoto.com Published 2009 by Area51 Publishing srl www.area51publishing.com Questo e-book è solo per uso personale. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o memorizzata in sistemi d’archivio, o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo, noto e futuro, senza l’autorizzazione scritta di Area51 Publishing e ad eccezione di brevi passaggi per recensioni. Se intendi condividere questo e-book con un’altra persona, scarica legalmente una copia per ciascuna delle persone a cui lo vuoi fare conoscere. Se stai leggendo questo e-book e non lo hai acquistato, accedi a www.area51publishing.com e acquista legalmente la tua copia. This e-book is licensed for your personal enjoyment only. This e-book may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this e-book with another person, please purchase an additional copy for each person you share it with. If you’re reading this e-book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then you should return to www.area51publishing.com and purchase your own copy.
Collana Spirito Guerriero
La vita, le battaglie, il valore degli uomini che forgiarono una civiltĂ e fondarono un Impero
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Indice dei guerrieri XII secolo a.C. Enea Ascanio VIII secolo a.C. Romolo (ca. 771-716 a.C.) VII secolo a.C. Orazi VI secolo a.C. Orazio Coclite Lucio Giunio detto Bruto (545-509 a.C.) Muzio Cordo Scevola (ca. 530 a.C.) Coriolano (527-490 a.C.) Cincinnato (ca. 520 a.C.) V secolo a.C. Furio Camillo (ca. 446 – 365 a.C.) Marco Curzio (ca. 400 a.C.)
IV secolo a.C. Manlio Torquato Imperioso (ca. 390 a.C.) Decio Mure (ca. 370 a.C.) Curio Dentato (330-270 a.C.) Fabrizio Luscino (ca. 310 a.C.) III secolo a.C. Atilio Regolo (ca. 299-250 a.C.) Fabio Massimo (275-203 a.C.) Marco Claudio Marcello (268-208 a.C.) Scipione L’Africano (235-183 a.C.) Catone il Censore (234-149 a.C.) II secolo a.C. Scipione Emiliano (185-129 a.C.) Mario (157-86 a.C.) Silla (138-78 a.C.) Lucullo (117-56 a.C.)
XII secolo a.C. - Enea .......................................................................................... 2 - Ascanio ...................................................................................12
BIOGRAFIA
Enea
Sintesi
Fonti antiche
Enea (in latino: Aeneas, XII sec a.C.) è una figura leggendaria, nota alla mitologia greca e romana. Figlio di Anchise e di Venere, dea della bellezza, era cugino per via di padre di Priamo, re della città di Troia, ma anche suo genero, ed egli stesso principe dei Dardani. Guerriero di straordinario valore, partecipò alla fase conclusiva della guerra che devastò la sua città natìa, e venne tradizionalmente considerato dai Romani come loro capostipite.
Apollodoro, Epitome Omero, Iliade Ovidio, Metamorfosi Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione
Enea venne considerato dalla civiltà di Roma capostipite della sua gloria e portatore di un grandioso passato e di un eccelso senso di pietas, ma anche capace di quella determinazione che fu orgoglio dei Romani. Fuggito da Troia, Enea giunse attraverso un avventuroso viaggio, narrato da Virgilio nel suo capolavoro epico Eneide, fino alle coste del Lazio, dove fondò Lavinium, mentre suo figlio Ascanio diede vita alla città di Alba Longa, vera culla della futura Roma.
Virgilio, Eneide
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BIOGRAFIA
Umano e divino
Il viaggio di Enea
L’amore del padre Anchise, uomo di eccezionale bellezza, desiderato da Venere, venne punito severamente da Giove che, geloso, rese storpio l’uomo, il quale oltretutto si era macchiato di aver rivelato il suo incontro sacrilego. Enea nacque sul monte Ida, circondato da ninfe e dal centauro Chirone. Crebbe forte e valoroso e divenuto adulto sposò Creusa, figlia del re Priamo, da cui nacque Ascanio. All’inizio Enea decise di non prendere parte alla guerra con gli Achei, disapprovando il comportamento di Paride e il ratto di Elena. Ma quando Achille, venuto in terra straniera, depredò le mandrie che Enea faceva pascolare sul monte natìo, egli decise di prendere il suo posto al fianco di Paride e del valoroso Ettore, e impugnare le armi.
“In fuga dalla patria a causa del Fato rovinoso, ma destinato a più alte grandezze, si dice che Enea approdò prima in Macedonia; da lì si spostò in Sicilia, in cerca di una nuova terra, e ancora da lì giunse e sbarcò nella zona intorno a Laurento, a cui fu dato il nome di Troia.” (Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, Libro I, I)
La guerr a di Troia
Molti furono i guerrieri di parte avversa uccisi da Enea. Tra essi i temibili fratelli Cretone e Orsiloco, il valoroso Afareo, e Medonte, sostituto di Filottete alla guida delle navi achee. Quando i Greci, con l’espediente del cavallo, misero sotto scacco Troia, Enea fece un sogno, con il quale gli veniva annunciato il destino della città e la sua missione di fondare 3
BIOGRAFIA
una nuova e gloriosa stirpe in altra terra. L’eroe caricò allora sulle spalle il padre Anchise vecchio e storpio, prese Ascanio per mano e insieme alla moglie Creusa si rassegnò a partire. Durante la fuga, però, Creusa fu avvolta dalle fiamme e morì. Poco tempo dopo lei stessa gli apparve in sogno e lo spinse a proseguire il viaggio. Il lungo peregrinare Il racconto che ci fa Virgilio degli anni seguenti passa attraverso numerosi imprevisti e avventure, prima in Tracia e poi a Creta, sempre alla ricerca della futura patria, finché un ennesimo sogno non rivelò all’eroe troiano che la meta destinata si trovava in Italia. Così i Troiani sbarcarono in Sicilia, a Erice, dove Anchise morì, e da lì presero nuovamente il mare. Una terribile tempesta li fece naufragare sulle coste settentrionali dell’Africa. Qui, nella città di Cartagine, Enea ebbe una relazione amorosa con Didone, regina della città, finché, richiamato alla propria missione da Ermes, non si rimise in viaggio, rinunciando ai favori della regina. Dopo un lungo peregrinare nella penisola e una discesa nel regno dei morti foriera di importanti rivelazioni, Enea approdò alla foce del Tevere, il luogo che gli era stato predestinato.
“Arma virumque cano” “Canto le armi e l’uomo che per primo dalle terre di Troia/ raggiunse esule l’Italia per volere del fato e le sponde/ lavinie, molto per forza di dei travagliato in terra/e in mare, e per la memore ira della crudele Giunone,/e molto avendo sofferto in guerra, pur di fondare/la città, e introdurre nel lazio i Penati, di dove la stirpe/latina, e i padri albani e le mura dell’alta Roma.” (Virgilio, Eneide, Libro Primo, 1-7. Traduzione di Luca Canali)
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BIOGRAFIA
Approdo nel Lazio Quelle terre appartenevano al popolo dei Latini, il cui re concesse l’unica figlia Lavinia a Enea, proprio com’era stato predetto da un oracolo. Ma questo gesto suscitò le ire di un altro pretendente, Turno, potente re dei Rutuli. Il pretesto fu l’uccisione di una cerva da parte di Ascanio. Nell’epico scontro, con cui si conclude il racconto dell’Eneide di Virgilio, Enea ebbe la meglio, anche grazie alle armi che la madre Venere aveva chiesto di fabbricare a Vulcano, dio del fuoco e della forgiatura dei metalli, e poté trionfare nella sua nuova terra. Assunzione in cielo Come attesta Livio, la guerra contro i Rutuli fu “l’ultima delle imprese mortali di Enea”. Trascorsi quattro anni di regno, infatti, il grande eroe troiano, prima figura leggendaria della storia di Roma, fu assunto al cielo nel corso di una battaglia contro gli Etruschi. In mezzo a un saettare di lampi e all’esplodere di poderosi tuoni Enea veniva accolto dagli dèi Olimpo. Il primo eroe della storia romana tornava alle proprie origini e assicurava a Roma un destino luminoso e protetto dall’occhio benevolo degli dèi.
Enea contro Turno “Il re dei Rutùli Turno, il quale prima dell’arrivo di Enea aveva come promessa sposa Lavinia, furioso per essere stato sostituito da uno straniero, mosse guerra contro Enea e Latino. La battaglia fu dura per entrambe le parti: i Troiani e gli Aborigeni vinsero i Rutuli, ma durante gli scontri videro perire il re Latino. (Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, Libro I, I)
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G R A N D I B AT TAG L I E
A Troia, contro Diomede e Achille
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l valore di Enea in battaglia fu sempre eccezionale, secondo solo all’ineguagliabile guerriero troiano Ettore. Figlio prediletto degli dèi dell’Olimpo, nel corso dei suoi scontri non fu raro che le stesse divinità, come per i più grandi eroi della guerra di Troia, intervenissero e gli prestassero soccorso. Dopo che Menelao e Paride si furono scontrati, Enea salì su un carro da guerra e si fece incontro ai nemici al fianco di Pandaro. Il Greco Diomede riuscì a uccidere Pandaro e gli altri Achei tentarono di infierire sul corpo e portarlo al loro campo. Ma Enea balzò dal carro e armato di lancia e scudo difese come un leone il corpo dell’amico ormai spirato. Nessuno poteva avvicinarsi e chiunque provasse a farlo veniva ucciso. Nel confronto diretto con il fortissimo Diomede, Enea venne ferito da un masso che il guerriero gli aveva scagliato contro. Stava per soccombere ma fu aiutato e tratto in salvo dalla dea Venere, intercessa in suo aiuto. Lo spavaldo Diomede allora osò attaccare la stessa dea, così che dovette scendere sulla terra
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Apollo per difendere i due. Accadde allora che Apollo accolse l’eroe troiano ferito nel proprio tempio di Pergamo. Qui Enea venne amorevolmente curato e poté rapidamente riprendersi per continuare la battaglia contro gli invasori achei. Omero nell’Iliade racconta che dopo che Patroclo fu ucciso, il “terribile” Achille ruppe gli indugi e si gettò di nuovo in battaglia per vendicare il suo preferito ed espugnare la città di Troia. Senza temere l’inevitabile morte che coglieva chiunque osasse sfidare l’invulnerabile figlio di Peleo, Enea cercò il duello col semidio greco e gli scagliò contro la sua lancia, fallendo però il bersaglio. Achille prontamente rispose lanciando a sua volta la sua arma che invece di colpire Enea centrò lo scudo rotondo di bronzo e pelle del guerriero troiano, trapassandolo e facendolo risuonare come un tamburo. Nessuno, né il grandissimo Ettore né tantomeno il valoroso Enea, poteva confrontarsi con Achille. La sua fine era vicina. Allora gli dèi intervennero ancora una volta affinché Enea non venisse ucciso. Una spessa nebbia inviata da Poseidone lo avvolse, lo fece sparire agli occhi del nemico, lo sollevò e lo condusse fino alle ultime file dell’esercito, traendolo in salvo.
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Nel Lazio
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uando Enea arrivò nel Lazio trovò subito un contendente di grande valore. Turno, re dei Rutuli, mostrò presto la sua bellicosità. Frustrato dall’essersi fatto precedere nella conquista della bella Lavinia, al primo pretesto scatenò la sua rabbia contro i Troiani. Radunati i suoi uomini gli si fece incontro, mentre Enea risaliva il Tevere per arrivare da Evandro, re degli Arcadi e amico di Enea. Mentre Enea preparava le sue alleanze con gli Etruschi, il campo troiano venne assediato da 1400 Rutuli, e nonostante il coraggio di Eurialo e Niso, che cercavano di raggiungere Enea per avvertirlo di ciò che stava accadendo ma che furono invece sorpresi e trucidati, i Troiani rimasti nell’accampamento subirono l’attacco dei Rutuli. Il massacro era già cominciato quando Enea, alla testa dei suoi uomini e insieme agli Etruschi guidati da Tarconte e agli Arcadi con alla testa Pallante, riuscirono a venire in soccorso dei compagni. Lo scontro mieteva centinaia di vittime e Turno faceva strage dei nemici. Lo stesso Pallante, fedele compagno di Enea, perì per sua mano.
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Alla vista dell’amico morto l’ira si impadronì del capo troiano, che venendo meno alla moderazione per la quale si era sempre distinto, fu accecato dalla rabbia e dalla sete di vendetta. Scagliatosi contro Tarquito, un valoroso nemico, lo uccise e lo decapitò, gettando il busto livido in un fiume, poi passò a Mesenzio, comandante dei Rutuli, che ferì gravemente, e al figlio Lauso, trafitto per essere accorso in aiuto del padre. La spada del troiano quindi si chetò, mentre Giunone traeva in salvo Turno, sottraendolo all’ira terribile di Enea. Enea rese gli onori funebri a Pallante, poi marciò alla testa dei suoi uomini contro la città dei Latini. Le truppe dei Rutuli, capitanate dal superstite Turno e da Camilla, la regina guerriera dei Volsci, si schierarono in battaglia. I cavalieri agli ordini di Turno assalirono i fanti troiani, mentre Camilla, alla testa dei suoi, puntava contro gli Etruschi. Fu di nuovo uno scontro di epiche dimensioni. Camilla perì e Turno decise allora di giocare le sorti della battaglia in un duello personale con Enea. Poco ci volle perché l’eroe troiano piegasse il re dei Rutuli e, scacciata l’esitazione di lasciarlo vivo, lo trafiggesse a morte.
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BATTAGLIE DI ENEA NEL LAZIO (XII sec. a.C.)
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V secolo a.C.
- Furio Camillo (ca. 446 – 365 a.C.) ................................55 - Marco Curzio (ca. 400 a.C.) .........................................66
BIOGRAFIA
Furio Camillo (ca. 446-365 a.C.)
Sintesi Marco Furio Camillo (in latino: Marcus Furius Camillus; ca. 446 – 365 a.C.) fu uomo politico e straordinario generale romano, ammantato di leggenda. Ricoprì la carica di censore e venne acclamato in trionfo quattro volte. Per cinque volte fu dittatore e manifestò una personalità eccezionale, in grado di risollevare le sorti dell’Urbe. Per quanta influenza ebbe sulla storia di Roma fu chiamato Pater Patriae, e nominato Secondo fondatore di Roma.
Fonti antiche Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione Plutarco, Vita di Camillo
Primi successi Discendente della prestigiosa gens Furia, originaria della città latina di Tusculum, il suo valore si mise in grande evidenza già sedicenne, contro Equi e Volsci, nella grande battaglia del lago Regillo. Dopo alcuni anni il suo nome si distinse ancora contro gli Etruschi, occupando la città di Veio che già da dieci anni veniva assediata senza successo. Per risolvere la difficoltosa situazione, Furio comandò ai suoi di scavare sotto le alte 55
BIOGRAFIA
mura della città e di utilizzare i canali di scolo per sorprendere il nemico. Camillo si rivelò estremamente severo con i Veienti, e ordinò che tutti gli uomini fossero massacrati mentre ogni donna e bambino fosse reso schiavo. Al suo ritorno, suggellato da un bottino assai ingente, il generale fu celebrato con un trionfo magnifico, che durò ben quattro giorni. Pare però che Camillo volesse offrire una parte consistente del risultato della conquista di Veio agli dèi come segno di ringraziamento, e destinare un’altra parte alle casse dello stato che erano state compromesse dai molti conflitti. Questa decisione, tuttavia, causò notevoli tensioni nella cittadinanza e nel Senato stesso, al punto che venne avviata un’inchiesta. Esilio volontario I successi militari di Camillo erano eclatanti. Dopo aver sottomesso Veienti e Falisci, l’intera penisola italiana guardava alle sue vittorie. Equi, Volsci e altri popoli del Lazio chiesero a Roma di intavolare trattative, preferendo accordi di pace allo scontro. Roma aveva quasi raddoppiato il suo territorio in pochissimi
Esilio forzato “Dopo aver abbracciato moglie e figlio, si avviò verso la porta della città. Qui si fermò, si volse indietro e levando le mani in direzione del Campidoglio pregò gli dèi affinché, nel caso in cui il suo esilio fosse giudicato dal cielo ingiusto e dettato dalla tracotanza e dall’invidia del popolo, i Romani giungessero presto a pentimento e implorassero il suo ritorno.” (Plutarco, Vita di Camillo, 12, 4)
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BIOGRAFIA
anni, distribuendo molte di quelle terre ai cittadini meno abbienti e trasformandosi nella nazione più importante e potente del centro Italia. Ma presto a Roma, forse per l’emergere di quelle invidie che aveva suscitato il suo straordinario trionfo, per Furio non vi fu più grande riconoscenza. Le accuse di aver distribuito senza equità, anzi appropriandosene, il bottino ottenuto a Veio si fecero talmente pesanti che Camillo preferì recarsi in esilio volontario nella vicina città di Ardea. Richiamo del comando Quando i Galli Senoni, dopo la battaglia del fiume Allia, assediarono i Romani, costringendoli a un’ultima resistenza nel Campidoglio, Camillo interruppe l’esilio. Nominato dittatore, prese il comando militare dell’Urbe e riuscì a sconfiggere gli invasori cacciandoli dal suolo patrio. Come racconta Eutropio, li inseguì e ne fece una tale strage da recuperare non soltanto l’oro che gli era stato consegnato ma anche tutte le insegne militari sottratte a Roma. Per quest’eroica azione Camillo entrò nuovamente da trionfatore a Roma e venne chiamato “secondo Romolo”, cioè Secondo Fondatore della Patria.
Disfatta dei Galli “Quando ormai s’era fatta l’alba sopraggiunse Camillo, in uno sfolgorio d’armi. Egli guidava i Romani, che al suo comando avevano gli animi colmi di coraggio. La guerra fu lunga e assai dura, e gravi furono le perdite dei Galli. Conquistato il loro accampamento, molti si diedero alla fuga. Tra questi alcuni furono raggiunti e uccisi sul posto; altri, che avevano tentato di disperdersi, furono assaliti e massacrati dagli abitanti dei villaggi e delle città vicini.” (Plutarco, Vita di Camillo, 29, 6)
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BIOGRAFIA
Gli ultimi anni Dopo la terribile invasione dei Galli Camillo si rese protagonista di una coraggiosa ricostruzione della città, spronando con la sua proverbiale tenacia i concittadini a rimanere lì dove erano le loro radici, mentre essi avrebbero voluto migrare nella vicina Veio. Negli anni seguenti ebbe modo di affrontare con successo Equi, Volsci ed Etruschi e, ancora una volta, nel 367 a.C. una nuova tremenda incursione dei Galli. Due anni dopo, colpito di peste all’età di 81 anni, si spense nell’amata Urbe. Un capo illuminato Nonostante appartenesse alla classe dei patrizi, Camillo si adoperò sempre affinché la plebe ottenesse maggiori diritti. Tra le sue principali azioni politiche si conta l’appoggio alle Leggi Licinie Sestie, che tra le altre cose prevedevano che al vertice dello stato fossero oposti due consoli, uno dei quali doveva essere plebeo. Sempre ligio ai doveri religiosi, in alcune occasioni pagò questa sua stretta osservanza, inimicandosi strati interi della cittadinanza, ma finendo poi con l’essere acclamato come esempio di giustizia e salvatore della città e della stessa civiltà romana.
Preghiera ad Apollo e Giunone “Pitico Apollo, sotto la tua guida e secondo la tua ispirazione mi accingo a distruggere la città di Veio: da questo momento a te consacro la decima parte del bottino. E a te ugualmente, Giunone Regina che hai adesso la tua sede a Veio, io mi rivolgo supplice perché tu interceda per noi, che vincitori ti accoglieremo nella nostra città che diverrà così tua e ti occoglierà in un tempio degno della tua maestà.” (Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, V, XXI)
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Assedio di Veio
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nno 396 a.C. Quando Camillo venne chiamato come dittatore per risolvere la difficile questione dell’assedio di Veio, che ormai durava da moltissimi anni, le cose per i Romani cambiarono radicalmente. Camillo era un comandante capace di motivare le sue truppe e farsi obbedire ciecamente, grazie a un carisma che tutti, detrattori compresi, gli riconoscevano. Comandò anzitutto che venissero allestite diverse squadre di scavatori, ciascuna composta di sei uomini, che, lavorando a ritmi serrati riuscirono a ricavare quei celebri passaggi sotto le mura della città di cui parlano gli storici. Poi, al momento di scatenare l’attacco conclusivo, inviò alcuni manipoli sotto le mura, affinché effettuassero assalti diversivi in modo da cogliere impreparata la popolazione di Veio. La leggenda vuole che il tunnel scavato dai Romani sbucasse proprio in corrispondenza del tempio dedicato alla dea Giunone, alla quale, quando i Romani irruppero, si stava offrendo un sacrificio. I Romani, venuti alla luce nel tempio, portarono a compimento essi stesso il rito, quindi aprirono le porte della città ai commilitoni. La città fu messa a ferro e fuoco e le truppe
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poterono finalmente sfogare la frustrazione di un assedio lungo e inefficace. Il loro comandante li aveva finalmente portati alla vittoria. Dopo aver ordinato ai suoi di mettere fine alla strage, Camillo si rese conto di aver con sé, tra le mani, un bottino assai cospicuo, superiore persino alle proprie aspettative. Capì anche però che la divisione di quel bottino gli avrebbe senza dubbio arrecato numerosi problemi politici. Decise allora di prepararsi a un magnifico trionfo, che molti, invidiosi di una tale rapidità d’intervento ed efficacia nella gestione della campagna bellica, giudicarono persino sacrilego. La generosità di Camillo, nonché la sua perizia militare, non vennero premiati da chi governava l’Urbe con la gratitudine necessaria. Presto, anzi, quella magnifica vittoria si sarebbe trasformata per lui in un’amara condanna. Non era d’altronde nuova, la città di Roma, a questo tipo d’ingratitudine, né questa sarebbe stata l’ultima volta in cui la paura del potere eccessivo di uno, anche solo profilato, avrebbe provocato il suo tentativo di distruzione politica. Così è d’altronde, pare, la natura umana.
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Guerr a contro i Galli
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nno 390 a.C. La città di Chiusi era già stata raggiunta dai Galli, che avevano ormai invaso gran parte dell’Etruria. I popoli vicini chiedevano soccorso a Roma. L’Urbe mandò degli ambasciatori, ma nel corso delle trattative le cose degenerarono e i Galli decisero nel mese di luglio di marciare anche contro Roma. Dopo la disastrosa battaglia del fiume Allia, in cui la disfatta dei Romani fu pressoché totale (e il cui giorno, 18 luglio sarebbe stato ricordato nel calendario romano come dies nefastus), Roma, città priva di difese, venne travolta, mentre il grosso dell’esercito romano si ritirava nella città di Veio. Solo un’eroica guarnigione, assediata sul Campidoglio, opponeva una strenue difesa, comandata da Marco Manlio Capitolino. È in questo frangente che si racconta del celebre episodio delle oche capitoline che salvarono la città con i loro schiamazzi. Poiché però la lotta tra Romani e Galli pareva ormai impari il Senato si convinse a barattare la libertà con ingenti quantità d’oro. I Galli frattanto continuavano le scorrerie e mettevano sotto assedio e saccheggiavano le città vicine, raccogliendo ingenti bottini.
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Tra quelle prese di mira vi fu anche Ardea, a poche decine di chilometri da Roma, dove si era volontariamente esiliato Camillo. Quando i Galli si accinsero ad attaccare Ardea, Camillo si mise a capo delle forze locali e apprestò immediatamente una difesa. Ai suoi, per animarli contro il nemico, confidò che i Galli erano nemici terribili e che sterminavano completamente le loro vittime. Poi, approfittando dell’avarizia con cui stavano spartendosi il bottino già conquistato, li sorprese di notte nel loro accampamento, facendone strage. Dopo questo colpo di straordinario valore, Camillo divenne capo di tutte le forze romane esuli, finché, grazie a un messaggero che riuscì ad arrivare fino al Campidoglio assediato, fu ufficialmente nominato dittatore dal Senato romano, e quindi capo militare supremo. La sua azione, alla testa dei 12mila uomini più altre truppe che si erano nel frattempo unite, ebbe conseguenze immediate. Camillo piombò su Brenno, capo dei Galli, proprio mentre questi stava riscuotendo la quantità d’oro pattuita. La sconfitta fu completa e dopo sette mesi di occupazione i Galli furono costretti a ritirarsi. Camillo, non pago del primo combattimento, inseguì i Galli lungo la strada verso la città di Gabii, infliggendo loro una nuova cocente sconfitta.
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AVENTINO ROMA DALLE ORIGINI ALLA TARDA ETÀ REPUBBLICANA
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Battaglia di Canne
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l 2 agosto 216 a.C. la battaglia di Canne fu il più importante confronto tra Romani e Cartaginesi nel corso della Seconda guerra punica. Dopo aver riportato le già gravi sconfitte sul Ticino e sul Trasimeno, i Romani avevano deciso di affrontare Annibale in una battaglia campale che mettesse fine all’azione di guerriglia voluta da Fabio Massimo. Annibale, proprio presso Canne, si era impadronito di un importante deposito di viveri dell’esercito romano, bloccando di fatto un’importante via di comunicazione verso l’Adriatico. Ai consoli Emilio Paolo e Varrone era stato assegnato un esercito enorme, ma l’esito del confronto fu talmente disastroso che Annibale ne uscì a un passo dalla conquista dell’Urbe. Sul fronte dell’Urbe 16 legioni, per metà Romani e per il resto alleati, componevano un esercito di circa 80mila fanti, in gran parte costituito da tirones, cioè reclute giovani ma poco esperte, mentre i cavalieri erano complesivamente forse 7mila. La battaglia, secondo le tesi più avvalorate, si svolse nei pressi dell’attuale città di Barletta, a poca distanza dal fiume Aufidus (Ofanto). I Cartaginesi, insieme ai loro alleati, disponevano invece di circa 56mila uomini, di cui 40mila
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fanti, circa 10mila cavalieri e una fanteria leggera di 6mila uomini, mentre ormai dei famigerati pachidermi non era rimasta più alcuna traccia. Per la sproporzione del numero di vittime tra i due schieramenti, e la perfetta realizzazione del piano di accerchiamento concepito da Annibale, la battaglia di Canne passò alla storia come una delle più atroci sconfitte subite da Roma. A fronte infatti di sole 8mila vittime tra le file cartaginesi, sul fronte romano, stando alle testimonianze dell’epoca, morirono dai 50 ai 70mila soldati, mentre la maggior parte dei superstiti venne catturata. Alla testa dei Romani era quel 2 agosto del 216 a.C. il console Gaio Terenzio Varrone, ricco commerciante di origine plebea, che fece disporre i suoi uomini in maniera estremamente compatta lungo un fronte relativamente ristretto, limitando grandemente la mobilità degli uomini. Le due ali di cavalleria romana e alleata completavano lo schieramento. Il collega Lucio Emilio Paolo, più prudente e poco incline a un tale scontro diretto, più volte l’aveva consigliato di agire diversamente, ma era rimasto inascoltato. Anzi lo stesso Emilio Paolo, il giorno prima, quando secondo le regole della Repubblica che prevedevano alternanza quotidiana tra i consoli,
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aveva avuto il comando dell’esercito, aveva ignorato le provocazioni della cavalleria cartaginese. Annibale aveva disposto il suo schieramento ponendo gli alleati galli e iberici al centro secondo un arco, la cui convessità puntava verso il nemico. Questa particolare disposizione aveva lo scopo di dare un apparente vantaggio iniziale ai Romani – la cui fanteria era nettamente superiore in numero – che sfondando il fronte punico a danno dei soldati galli, avrebbero tuttavia subìto l’impatto spaventoso del grosso dell’esercito di Annibale proprio a partire dalle ali. Contro i 3.600 o poco più cavalieri alleati di Roma Annibale aveva assegnato la rapida cavalleria numida, mentre contro l’ala di cavalieri romani, costituita da 2.400 unità, il generale punico aveva destinato ben 6.500 cavalieri pesanti. Così, mentre i fanti romani secondo gli ordini di Varrone avanzavano spavaldamente contro i Galli – vittime sacrificali del piano di Annibale –, la cavalleria pesante punica travolgeva l’ala di cavalieri romani agli ordini di Emilio Paolo per poi dare manforte all’ala numida e schiantarsi sui cavalieri alleati di Roma comandati dallo stesso Varrone, che vennero sbaragliati.
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La disfatta apparve subito evidente. Mentre i due consoli cercavano rifugio nella retroguardia la tenaglia architettata dal genio militare di Annibale si chiuse perfettamente e le due ali di cavalleria cartaginese poterono serrarsi alle spalle della fanteria romana che venne di fatto accerchiata. Nel frattempo 300 cavalieri numidi si erano “arresi” e fatti condurre come prigionieri tra le retrovie romane, ma quando fu dato il segnale convenuto, sguainarono le corte spade che avevano tenute nascoste e attaccarono la retroguardia romana. Da ogni fronte i Romani furono attaccati, e travolti con una violenza spaventosa. La battaglia si trasformò in un vero e proprio massacro, e al tramonto fu chiaro come si fosse appena realizzata una delle più grandi disfatte della storia dell’antichità, costata a Roma un numero incredibile di morti. Nonostante questa travolgente vittoria e dimostrazione di superiorità militare Annibale, però, trattenuto da un eccessiva prudenza, commise certamente il suo più grande errore, e mancò di approfittare di questa momentanea supremazia per marciare subito sull’Urbe. Uno dei più grandi geni militari di sempre perse così l’occasione di trionfare sull’odiata Roma, e non finire nell’elenco degli illustri sconfitti.
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BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Fanteria romana
Cavalleria romana (Varrone)
Cavalleria romana (Emilio Paolo)
Aufido Fiume
Accampamento romano principale
Fanteria gallica e iberica (Annibale e Magone) Cavalleria pesante iberica e gallica Fanteria libica (Asdrubale)
1 Situazione di partenza.
Cavalleria numida (Maarbale o Anno) Fanteria libica
BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Fanteria romana
Cavalleria romana
Cavalleria romana
Au Fiume
fido
Accampamento romano principale Cavalleria numida
Cavalleria iberica e gallica Fanteria gallica e iberica
Fanteria libica
Fanteria libica
2 Annibale dà inizio alla battaglia con l’attacco della cavalleria iberica, gallica e numida.
BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Cavalleria romana
Fanteria romana
Cavalleria iberica e gallica
Cavalleria numida
Au Fiume
fido
Accampamento romano principale
Cavalleria romana
Fanteria libica
Fanteria gallica e iberica
3 La fanteria gallica e iberica arretra sotto l’avanzata della fanteria romana. Scatta la trappola di Annibale.
Fanteria libica
BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Cavalleria romana
Aufido Fiume
Accampamento romano principale
Cavalleria iberica e gallica
Cavalleria romana
Cavalleria numida
Fanteria romana
Fanteria libica
Fanteria libica Fanteria gallica e iberica
4 La fanteria romana sfonda il centro della fanteria gallica e iberica, che arretra senza però rompere i ranghi.
Cavalleria romana
BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Cavalleria iberica e gallica
Aufido Fiume
Cavalleria numida
Fanteria romana
Accampamento romano principale
Fanteria libica
Fanteria libica Fanteria gallica e iberica
5 La cavalleria cartaginese sbaraglia quella romana. Si viene cosĂŹ a trovare in una posizione di forza alle spalle della fanteria romana.
Cavalleria romana
BATTAGLIA DI CANNE (2 Agosto 216 a.C.) Cavalleria iberica e gallica
Cavalleria numida
Fanteria romana
Aufido Fiume
Accampamento romano principale
Fanteria libica
Fanteria libica Fanteria gallica e iberica
6
La fanteria libica attacca i fianchi della fanteria romana, che ora si trova accerchiata su tutti i fronti. Scacco matto.
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