Il capitalismo cognitivo: la vita come fonte di produzione di valore contemporanea

Page 1

Ar i annaMazzi er i

Al maMat erSt udi or um Uni ves i t Ă diBol ogna



Alma Mater Studiorum UniversitĂ di Bologna FacoltĂ di Scienze Politiche Corso di Laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale

IL CAPITALISMO COGNITIVO La vita come fonte della produzione di valore contemporanea

Laureanda: Arianna Mazzieri Docente relatore: Federico Chicchi

A.A. 2010/2011



Indice

p. 8

Prefazione I

11 15 26

I.I I.II I.III

II 43 55 73 87

II.I II.II II.III II.IV

III 81 93 111

III.I III.II III.III

L’economia della conoscenza Un’unione consolidata Un’ipotetica filiera cognitiva Il ciclo produttivo nella fabbrica della conoscenza Il capitalismo cognitivo Origini e finanziarizzazione del capitalismo cognitivo Linguaggio, comportamento e crisi dei mercati finanziari Produrre l’immateriale e ricavarne valore Comunicazione e identità La svolta biopolitica dell’economia Come cambia il lavoro Lo strano caso del manager dislessico Il biocapitalismo

118

Conclusioni Verso un modello antropogenetico di produzione

126

Bibliografia



IL CAPITALISMO COGNITIVO La vita come fonte della produzione di valore contemporanea



A mia madre e mio padre, con profondo affetto e stima


La qualità delle trasformazioni che hanno investito il sistema economico negli ultimi trenta anni sono tali da prefigurare l’instaurarsi di un nuovo paradigma nella storia capitalista. Tale evoluzione del sistema economico e sociale si sta delineando intorno al ruolo svolto dalla conoscenza nei processi di produzione. Il legame tra economia e conoscenza non rappresenta di per sé un elemento di novità, il loro stretto intreccio pose infatti le basi per l’avvento della modernità nella storia economica. Sin da allora la conoscenza venne utilizzata per finalità produttive, incorporata nei maccchinari e negli strumenti di lavoro. Ciò che rende specifico l’assetto di “economia della conoscenza vigente” è la diversa natura del suo utilizzo: essa si libera dal corpo dei macchinari per entrare direttamente nel processo capitalistico come fattore produttivo e merce, come immediata fonte di valorizzazione del capitale. Il processo di produzione e valorizzazione della conoscenza vie-


9

ne illustrato seguendo le fasi che questa attraversa all’interno di un’ipotetica filiera cognitiva. Da tale analisi emergono i caratteri unici della conoscenza come merce e fattore produttivo che sfuggono alle categorie elaborate dagli approcci classici e neoclassici di economia politica per interpretare i sistemi economici. La conoscenza come elemento trainante dell’economia ha comportato un elemento di frattura proprio del capitalismo fordista, primo fra tutti il diffondersi di capitale intangibile e di forme di produzione dell’immateriale. Si è scelto di qualificare il nuovo modello capitalista con la locuzione di “capitalismo cognitivo”. Tale definizione permette infatti di riconoscere nella dualità dei termini usati una continuità con lo spirito capitalistitico e una dimensione di novità relativa alla crescente importanza della componente immateriale, in particolare dei processi intellettuali e relazionali. La transizione al nuovo modello di capitalismo viene dimostrata nei vari momenti di produzione, dall’investimento alla realizzazione e al consumo. Particolare attenzione è riservata alla fase di investimento, si descrive qui il processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale, tratto saliente del capitalismo cognitivo. I mercati finanziari offrono un esempio paradigmatico del funzionamento del capitalismo cognitivo e mostrano chiaramente che la vera risorsa di valorizzazione del capitale risiede nelle facoltà comunicative e relazionali degli esseri umani. La conoscenza infatti, non più racchiusa nel capitale fisso, torna a divenire qualità dell’individuo che la elabora, la trasmette, la trasforma in profitto sfruttando la cooperazione sociale e in particolare le capacità


10

IL CAPITALISMO COGNITIVO

umane relazionale e del linguaggio e di relazioni. L’interesse del sistema capitalista si rivolge oggi alla captazione di quei saperi personali che ciascuno individua negli spazi di vita quotidiana e che sono frutto dell’agire sociale. Il lavoro cognitivo diventa così una messa al lavoro di quelle che sono le facoltà specifiche degli esseri viventi, fino alle dimensioni più intime ed emozionali. Viene così a sgretolarsi la netta separazione fordista fra tempo libero e tempo di lavoro, anche i tempi sociali, in quanto momenti in cui l’individuo sviluppa la propria personalità, retroagiscono sulla produttività del lavoro. Il tempo lavorativo viene così a coincidere con l’intero arco della vita. É lo stesso bios ad essere sfruttato dal capitalismo, creando un regime di sussunzione totale finora mai realizzatosi. Questa tesi si appoggia lungo tutta la trattazione a un’osservazione scrupolosa del contesto storico, istituzionale e organizzativo per meglio comprendere le dinamiche reali alla base di tali cambiamenti. Merita attenzione il caso della dislessia manageriale affrontato nell’ultimo capitolo, quale esempio estremo e paradossale di sfruttamento della specificità dell’ anthropos nella valorizzazione del capitale. Il lavoro prefigura in ultima analisi l’emergere di un possibile “modello antropogenetico” di produzione, descritto attraverso i cambiamenti intervenuti nel rapporto fra capitale e lavoro. Con tale costrutto teorico si auspica l’instituirsi di un sistema economico-istituzionale che concentri i suoi sforzi economici in investimenti nei settori educativo, della sanità, della ricerca e dell’ambiente con il fine di assistere lo sviluppo del “capitale umano” lungo l’intero arco di vita.


Capitolo I L’economia della conoscenza

I.I Un’unione consolidata Nella società pre-moderna la sfera della conoscenza e dell’economia marciavano su due binari differenti. Le conoscenze e i relativi circuiti di propagazione riguardavano solo particolari contesti ed attori (basti ricordare come esempio le scritture e la tradizione religiosa o le arti) che si distaccavano nettamente dalle attività produttive. Pur laddove fosse impiegata con finalità produttive, la conoscenza generava un valore complessivamente troppo scarso dovuto alla ristrettezza del bacino d’uso, alla scarsa protezione proprietaria nonché alla diffidenza culturale verso le deviazioni dalla tradizione e dalla norma. Il fitto intrecciarsi di economia e conoscenza traina l’avvento della modernità. Tale evento trova più specificatamente le sue radici nell’utilizzo


12

IL CAPITALISMO COGNITIVO

marcato e diffuso della scienza per scopi di produzione. Da allora le conoscenze astratte frutto di una riflessione teorica e quelle nuove, figlie di investimenti e ricerca, prendono corpo nelle macchine e si propagano nel sistema economico attraverso i mercati. Il fortunato connubio di conoscenza ed economia si è evoluto nel tempo, in disparati equilibri e forme confacenti ai diversi paradigmi economici e socio-culturali succedutisi. Il costrutto di “economia della conoscenza” (o economia culturale, economia del simbolico etc.) 1 sembra incontrare oggi particolare fortuna, diffusosi rapidamente come oggetto di studio fra i diversi ambiti del sapere moderno, si è rivelato particolarmente adatto ad evidenziare i caratteri maggiormente identitari del sistema economico che si sta affermando. L’instaurarsi di un nuovo regime economico della conoscenza viene per lo più interpretato come straordinaria intensificazione nell’utilizzo della conoscenza all’interno dei processi di produzione, oppure come mutamento del fenomeno nei termini di un passaggio hegeliano dalla quantità alla qualità 2. Tali cambiamenti nella natura dell’economia della conoscenza vengono generalmente interpretati come esito dell’incontro di due fattori: la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e la crescita nell’utilizzo di capitali immateriali. Simili approcci forniscono però delle spiegazioni soltanto parziali e hanno il difetto di trascurare le modifiche intervenute nei   Carmagnola (2002)   Vercellone (2006)

1 2


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

13

rapporti sociali, non rendono cioè sufficientemente conto di come la nuova economia della conoscenza sia stata riconosciuta e assimilata dalle forme istituzionali che regolano le modalità di accumulazione del capitalismo 3. È dunque utile fare brevemente riferimento ad alcune circostanze che offrano una cornice storica per la comprensione del fenomeno in questione. Ci si riferisce in particolar modo al concatenarsi di tre processi: la contestazione dell’organizzazione del lavoro secondo modalità tayloriste, il consolidarsi delle politiche di welfare, la “democratizzazione dell’insegnamento” 4 e l’innalzamento del livello generale di informazione. I servizi e le garanzie offerti dal welfare abbatterono il primato del mercato nei modelli di sviluppo, favorendo la produzione di conoscenze a sostegno dell’essere umano (salute, educazione, ambiente, ricerca etc), il costituirsi di una intellettualità diffusa promosse una nuova qualità della forza lavoro, si verificò dunque un aumento del lavoro intellettuale e della circolazione di capitale immateriale. Si osservi inoltre che il potenziale rivoluzionario delle ITC è subordinato al formarsi di un’intellettualità generalizzata che riesca a farle fruttare mediante il loro utilizzo creativo, sarebbe erroneo pensare, come è pratica comune, che le ITC siano diretta e sufficiente causa per dar vita a una nuova economia della conoscenza 5. La conoscenza si connota oggi come la principale fonte di valore, essa però non è più cristallizzata nei corpi materiali delle merci Vercellone (2006)   Idem 5   Ibidem 3  4


14

IL CAPITALISMO COGNITIVO

ma si presenta come flusso incorporato e reso vivo dalla persona al lavoro. L’attuale forma dell’economia della conoscenza si realizza dunque nel passaggio dalla produzione materiale alla produzione immateriale di conoscenza come leva del processo di accumulazione capitalista 6.

6

Fumagalli (2007)


I.II Un’ipotetica filiera cognitiva Comprendere i meccanismi di funzionamento dei processi di produzione immateriale della conoscenza presuppone il superamento della concezione classica di alcuni assunti e categorie economiche. Occorre innanzitutto abbandonare l’idea propria degli approcci classici che rappresentano il processo economico come un percorso circolare 1, in favore di una visione “a spirale”, che meglio si adatta allo studio di un’economia della conoscenza 2. Nel processo economico classico la produzione di output è destinata a rigenerare l’input che è stato consumato dalla produzione, andando a ricostituire le condizioni di partenza del ciclo produttivo e realizzandone così la circolarità. Differisce da quanto appena detto il processo produttivo della conoscenza. É da osservare infatti che questa, a differenza dei fattori materiali, non è soggetta a logoramento con l’uso. Ne consegue che la sua riproduzione non deve limitatamente rimpiazzare la precedente conoscenza, bensì rigenerarla 3. Affinché i presupposti che ne legittimano la riproduzione e diffusione rimangano validi è necessario che la conoscenza si reinventi continuamente, si ammodernizzi per rendere ancora conveniente il suo utilizzo in nuovi contesti.   Leoncini, Antonelli, Montresor (2006)   Rullani (2004) 3   Rullani (2009) 1 2


16

IL CAPITALISMO COGNITIVO

L’atto di riplasmarsi, di farsi oggetto di innovazione le consente di ampliare il bacino di impiego, di raggiungere nuovi possibili fruitori tramite un incessante adattamento a fronte di nuove esigenze e problematiche. Questo ininterrotto stato di innovazione esplica la forza di propagazione della conoscenza che sostiene e guida il rinnovarsi del suo ciclo produttivo. La forza di propagazione della conoscenza a mezzo dei suoi mutamenti descrive un processo cumulativo, in cui la nuova conoscenza si discosta da quella originaria, arricchendosi e differenziandosi. Il percorso disegnato da tali dinamiche assume la forma di una spirale, all’interno della quale i processi di apprendimento si espandono nello spazio e nel tempo. La conoscenza generata è dunque nuova e originale ma racchiude in sé anche la conoscenza originaria, dalla quale prende avvio, è strutturata e sulla quale si innesta. La conoscenza iniziale costituisce infatti la materia prima, fornisce informazioni, rappresentazioni e metodi di partenza. Più in generale essa procura gli “strumenti” necessari alle lavorazioni cognitive: i “mediatori cognitivi” e il senso generale. I mediatori cognitivi 4 sono dei dispositivi logici e metodologici che rendono possibile la trasformazione della conoscenza di cui si dispone, la sua interpretazione mediante modelli e schemi d’analisi che già si possiedono. Il senso generale delinea invece un retroterra conoscitivo, i pre  Rullani (2004)

4


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

17

supposti e le condizioni complessive all’interno dei quali muoversi per ricercare nuove soluzioni. All’interno di tale ambiente vanno anche investigate le problematiche da affrontare. Queste ultime non sono date ma devono essere “definite creativamente” dai soggetti coinvolti che interpretano le esigenze, le identità e i potenziali desideri 5. Il processo cognitivo si sposta tra nuovo e vecchio, fra individui e spazi procedendo lungo la linea del tempo secondo una continua stratificazione che è somma di una pluralità di apporti fra loro inscindibili. È in questa complessità che si manifesta una caratteristica fondamentale del fattore conoscenza: l’indivisibilità 6. La natura della conoscenza rende pressoché impossibile distinguere le diverse fasi del processo di produzione cognitivo. Operazione difficile è riconoscere i singoli apporti che si diramano nella società intera o separare un singolo contributo all’interno di una conoscenza che si è edificata nell’arco di millenni. Quanto appena affermato è valido sia per quel che concerne la validità epistemologica, sia l’organizzazione economica del processo: i costi necessari sono infatti dislocati nel tempo, mentre i ricavi si distribuiscono nel tempo e nello spazio coperto dalla propagazione degli usi. Dall’indivisibilità del la conoscenza discendono determinati attributi distintivi del processo produttivo dell’economia della conoscenza.   Rullani (2004)   Rullani (2009)

5 6


18

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Primo fra tutti, il carattere fondamentale di economia di filiera 7. La produzione di valore non è comprensibile all’interno dell’impresa singola, ma occorre includere nell’analisi il sistema di relazioni che intercorrono tra tutti gli operatori che entrano in gioco nel ciclo produttivo, dal produttore ai numerosi utilizzatori, compresi gli innumerevoli contributi, interpretazioni e significati. Il compito della singola impresa è quindi quello di mettere in contatto e coordinare la conoscenza dei singoli individui e il sapere organizzativo che essa ha sviluppato e incarna. Il percorso della conoscenza si dipana poi nelle reti di aziende che sostengono la divisione cognitiva del lavoro, dove la conoscenza circola tra i vari operatori fino ai consumatori finali. La conoscenza, come sostenuto da Brown e Duguid ha una “vita sociale” 8, è risultato di un processo di relazione e condivisione che può rappresentarsi come un flusso che attraversa e supera i confini dei luoghi di produzione per riversarsi nello spazio di vita quotidiano dove si concretizza in una miriade di usi, di possibilità e persone. La filiera cognitiva, così come definita da Rullani, è dunque un processo sociale, i singoli individui ne fanno parte e sono in grado di sfruttarne singolarmente le potenzialità ma queste non possono essere isolate dal groviglio di relazioni e saperi nel quale si originano e si evolvono. Il valore di produzione della conoscenza scaturisce proprio da questa continua attività di trasmissione e proliferazione da un   Rullani (2004)   Brown, Duguid (2000)

7 8


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

19

contesto all’altro. Di nuovo è opportuno allontanarsi dalla elaborazione economica classica, i concetti di scarsità, divisibilità e proprietà non sono applicabili alla risorsa conoscenza 9. La conoscenza è invece una risorsa moltiplicabile, che accresce anche il suo valore tramite la propagazione. Il passaggio da un uso all’altro non la logora bensì l’arricchisce e alla luce di ciò possiamo definirla una risorsa infinita, i cui utilizzi non sono rivali. I costi di riproduzione e propagazione sono infatti molto contenuti comparati ai costi di prima produzione poiché la conoscenza avanza per imitazione, copia, apprendimento creativo 10. Esistono evidentemente casi in cui la riproduzione e propagazione non è così immediata e semplice, ciò accade quando si voglia, per esempio, adattare la conoscenza ad un contesto completamente differente da quello di produzione. Anche in questi casi però i costi riproduzione sono nettamente inferiori ai costi di produzione e ricerca utilizzati per la produzione iniziale 11. Altro carattere fondamentale è l’insita creatività del processo di propagazione. Questo non è mai da considerarsi come una banale ripetizione della conoscenza, né come una mera riproduzione automatica. Quel che avviene è la perlustrazione di un universo di possibilità che ogni singola mente ha costruito, utilizzando la propria im  Katz, Rosen (2009)   Carmagnola (2002) 11   Rullani (2004) 9

10


20

IL CAPITALISMO COGNITIVO

maginazione, la propria capacità di rappresentazione, criteri di ordinamento e soprattutto l’esperienza individuale. L’approccio alla conoscenza di ciascuno produrrà un plusvalore che non è quindi prevedibile o misurabile, né l’esplorazione delle infinite possibilità potrebbe mai essere racchiusa in un algoritmo o in un automatismo come piuttosto si ha per la funzione di produzione delle merci. La creatività del processo cognitivo è inoltre un atto riflessivo 12. L’esperienza che guida la rappresentazione personale del mondo percepito comporta una riorganizzazione delle proprie credenze, un’individuazione più chiara delle proprie aspettative, delle relazioni con gli altri e dei propri desideri. Alla fine di un’esperienza i soggetti partecipanti si troveranno cambiati nella propria identità e con una rinnovata concezione del mondo fuori di sé, si può anzi affermare che un’esperienza è tanto più fruttuosa quanto più ci avvicina ad un dialogo con la propria individualità e alla considerazione critica delle premesse di partenza 13. Sembra opportuno adottare d’ora in avanti l’impianto teorico formulato da Enzo Rullani per la descrizione di un verosimile processo cognitivo, tanto per l’originalità delle categorie concettuali elaborate, quanto per la particolare chiarezza e precisione delle argomentazioni. La specificità dell’economia della conoscenza si costruisce attorno ai tre drivers di tale sistema, ossia l’efficacia, il moltiplicatore   Rullani (2004)   Beck, Giddens, Lash (1994)

12 13


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

21

e il coefficiente d’appropriazione 14. L’efficacia è il valore unitario che la conoscenza acquisisce ad ogni uso. Nell’economia di produzione materiale il valore di un prodotto dipendeva dal soddisfacimento di un bisogno specifico, era così efficace una lampada che illuminasse o un ombrello che riparasse dalla pioggia. Nei cicli di trasformazione immateriale l’assegnazione di valore dipende dall’interpretazione che il soggetto consumatore dà riguardo alle conoscenze possedute e ai loro possibili utilizzi. L’interpretazione è una considerazione soggettiva che viene elaborata sulla base dei significati assegnati alle esperienze cognitive fatte, della partecipazione emotiva e del riconoscimento identitario. Gli individui coinvolti nell’esperienza producono cioè un apprezzamento soggettivo 15. Ma oltre alla spiccata componente personale è implicata anche la dimensione collettiva, ogni esperienza avviene infatti all’interno di uno specifico contesto sociale e assume valore anche in relazione agli altri con cui l’esperienza cognitiva è stata condivisa. Il secondo driver è il moltiplicatore che corrisponde al numero dei ri-usi della medesima conoscenza. Questo fattore dipende dall’ampiezza del bacino di propagazione, dalla sua estensione nello spazio e nel tempo. In maniera intuitiva si osserva infatti che l’aumento del numero dei possibili ri-usi ha un effetto moltiplicativo sul valore totale generato dalla conoscenza   Rullani (2004)   Idem

14 15


22

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Il moltiplicatore ha un chiaro effetto sui ricavi e sui costi della produzione, tra i quali amplifica la differenza. Considerando i costi di produzione/propagazione come nulli (o attestabili su un valore comunque basso), una crescita del moltiplicatore produce un aumento dei ricavi e del valore senza che vi sia però un aumento dei costi. Pertanto, nella “fabbrica della conoscenza” 16 l’abbattimento dei costi unitari di riproduzione/propagazione e l’allargamento del bacino di propagazione sono obiettivi da perseguire di fondamentale importanza. Da ultimo, il coefficiente di appropriazione che risponde ai metodi organizzativi dell’impresa e dal quale dipende la sostenibilità o meno del processo produttivo. All’interno della filiera cognitiva la distribuzione del valore creato deve avvenire in modo tale che ciascun operatore della filiera veda motivato lo svolgimento della propria funzione. Innanzitutto i membri della filiera pretendono che gli investimenti e i costi sostenuti vengano ripagati, si aspettano quindi un guadagno monetario ricavato dalla cessione di conoscenza prodotta ad altri. Questa convenienza economica viene calcolata in base ai prezzi, i quali misurano il valore utile prodotto dalla conoscenza. Al di là del valore esternato dal guadagno monetario, esiste anche un valore intrinseco che sfugge ai prezzi: è quello attribuito dai produttori e dai consumatori all’esperienza cognitiva, attraverso   Rullani (2004)

16


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

23

la quale realizzano la produzione di sé 17. Vi sono quindi dimensioni attive nella filiera cognitiva che sfuggono alle ragioni di convenienza economica dei suoi partecipanti. Buona parte delle conoscenze prodotte e usate nella vita vengono infatti scambiate senza che vi sia un’adeguata contropartita monetaria. La conoscenza può essere ceduta ad altri involontariamente dal possessore, quindi persa a favore di altri. Ma ciò viene tollerato in ragione di una reciproca scambievolezza grazie alla quale sarà lui stesso a poter sfruttare la nuova conoscenza prodotta, acquisendola tramite il tessuto sociale per imitazione e copiatura. Frequente è anche il caso in cui la conoscenza viene volontariamente ceduta dai possessori per fini etici, per rafforzare la sicurezza e i legami sociali della comunità. La condivisione sociale della conoscenza dà luogo ad un valore addizionale poiché si originano legami e nuovi possibili usi senza comportare costi per il donatore e senza che questo perda la propria conoscenza. Siamo di fronte ad un gioco a somma positiva 18. Ricordiamo che operando in una filiera cognitiva, in un contesto di indivisibilità dei processi di produzione di valore, è arduo stimare la divisione del valore concepito dai vari agenti. La definizione dei coefficienti di appropriazione non si attiene quindi a quote di produttività individuali come nella produzione materiale, piuttosto si articola sulla base dei rapporti che si stabiliscono fra i diversi interessi attivi nella filiera.   Gorz (2003)   Rullani (2004)

17 18


24

IL CAPITALISMO COGNITIVO

La regolazione delle interazioni fra gli agenti si fonda su dispositivi (contratti, norme giuridiche, aspettative di comportamento, interazioni strategiche etc.) che istituzionalizzano i rapporti di forza e le conseguenti opzioni di distribuzione. L’economia della conoscenza non è quindi un’economia naturale ma istituzionale, poiché è indispensabile per il suo funzionamento la presenza di istituzioni che disciplinino i comportamenti dei soggetti di mercato in modo da renderli compatibili in termini di distribuzione del risultato. In sintesi, nella quota di appropriazione sono dunque compresi tanto i benefici monetari che quelli non monetari legati all’apprezzamento dell’esperienza personale e il coefficiente di appropriazione diventa sostenibile se raggiunge il livello minimo necessario che renda giustificabile il seguitare del suo operato all’interno della filiera. Se tale coefficiente si attesta al di sopra del livello minimo, gli operatori interessati gioveranno di una rendita, se al contrario il coefficiente scendesse sotto il livello minimo, questi saranno incitati a lasciare il sistema della filiera. I tre drivers ora descritti devono essere considerati congiuntamente, così come devono congiuntamente coordinarsi le tre dimensioni della conoscenza ad essi corrispondenti: personale, sociale e proprietaria 19. È semplice a questo punto rilevare l’obiettivo tacito di una fabbrica della conoscenza: rendere massimo il valore generato dalla filiera per la società nel suo complesso, espandendo l’efficacia e   Rullani (2004)

19


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

25

la moltiplicazione tramite l’uso di adeguati mediatori cognitivi e, al contempo, controllare il processo moltiplicativo affinché i coefficienti di sostenibilità non scendano al di sotto della soglia minima ammessa.


I.III Il ciclo produttivo nella fabbrica della conoscenza All’interno di una ipotetica filiera cognitiva, la conoscenza subisce una catena di trasformazioni immateriali che la conducono attraverso tre stadi: da conoscenza originale a connettiva e infine applicativa 1. La conoscenza originale è quella che un individuo sviluppa all’interno di uno specifico contesto d’appartenenza. Le esperienze in tale contesto sono condizionate dagli spazi, dagli oggetti e dal tessuto relazionale che sono esclusivi di quella realtà. Le conoscenze che ne derivano, suggestionate dalla singolarità delle circostanze, sono dunque uniche e contestuali. Considerata singolarmente, una conoscenza originale non si accompagnerebbe ad un gran valore, la sua specificità la limita a un singolo evento mentre nella vita quotidiana le esperienze non si ripetono mai uguali. Affinché la conoscenza originale acquisti valore per il soggetto è necessario che si superi l’unicità del contesto di origine, che questa diventi efficace e utilizzabile indipendentemente dalla presenza delle circostanze, del tessuto relazionale, dello spazio e degli oggetti dai quali era scaturita. La conoscenza deve cioè divenire utilizzabile anche nei contesti adiacenti che potrebbero essere potenziale campo di esperienze future. L’approccio ai possibili nuovi campi si appoggia sulle conoscenze contestuali maturate in precedenza, da queste vengono estratti   Rullani (2004)

1


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

27

dei caratteri generali la cui validità viene estesa anche ai contesti adiacenti o differenti dal primo. L’esplorazione di nuovi territori avviene attraverso strutture cognitive di cui si è già in possesso, le quali, di fronte a una nuova esperienza potranno essere confermate o risultare inadeguate. Nel secondo caso elementi inaspettati e imprevisti condurranno a una rielaborazione del sapere organizzato a disposizione e ad una migliore definizione del contesto generale; si evolveranno le aspettative ad esso legate e la percezione stessa di questo. Attraverso il lavoro dei mediatori cognitivi, la conoscenza diventa quindi connettiva, creando un cammino tra il contesto di partenza e un altro potenziale, distinto dal primo. Tale trasformazione è tanto più indispensabile quando si tratta non solo di organizzare la propria esperienza personale, bensì di trasferire la conoscenza forgiata ad altri. I produttori di conoscenza e i potenziali utenti potranno, comunicando, mettere in comune le nozioni acquisite nei contesti di riferimento e dar vita ad un flusso cognitivo che abbraccia spazi e tempi. La conoscenza connettiva, circolante tra i diversi operatori della filiera è fondamento della divisione cognitiva del lavoro, soprattutto di quello innovativo, che si realizza nella fase di esplorazione, sperimentazione e progetto. La condivisione in tale segmento della filiera comporta non solo il riutilizzo di una conoscenza già esistente, ma la messa in comune del processo di apprendimento finalizzato all’innovazione. Tale operazione consente un’agevolazione del lavoro, rendendo possibile ai singoli agenti di ridurre il rischio e i costi all’appren-


28

IL CAPITALISMO COGNITIVO

dimento, amplificando enormemente le potenzialità del meccanismo esplorativo. Ad essere messa al lavoro è un’intelligenza interattiva che permette agli agenti un confronto produttivo su problematiche comuni. L’intelligenza connettiva, o “connected intelligence” 2 così come presentata da De Kerckhove riguarda la possibilità di condividere il pensiero, l’intenzione e i progetti espressi dagli altri per mezzo del linguaggio, soprattutto grazie allo sviluppo delle tecnologie ITC. Secondo il sociologo, la connessione delle intelligenze rappresenta “l’incontro sinergico dei singoli soggetti per il raggiungimento di un obiettivo” e in quanto tale è una delle “risorse più potenti del genere umano”, di estremo rilievo per la crescita culturale, sociale e intellettuale. Infine, una volta che la conoscenza connettiva è stata trasferita ai singoli utilizzatori, è compito di questi adattarla alla specificità del loro contesto di appartenenza per sfruttarne tutti i possibili usi. Accade dunque che la conoscenza connettiva dovrà essere reinterpretata dai fruitori, a loro spetta valutarne gli assunti generali per adattarli al caso di impiego particolare, trasformandola così in conoscenza applicativa. Anche gli utilizzatori finali sono quindi considerati produttori di conoscenza, dall’adattamento che operano dipenderà l’ammontare dei possibili usi, in relazioni ai quali si genererà il valore   De Kerckhove (2000)

2


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

29

di cui beneficeranno tutti coloro che sono integrati nella filiera cognitiva. Il passaggio da conoscenza contestuale a connettiva si realizza mediante due strategie: la condivisione e la codificazione, le quali regolano diversamente l’accesso dei potenziali fruitori alla conoscenza 3. La condivisione delle esperienze, si attua ampliando i confini del contesto di riferimento, fino a sovrapporlo ad altri contesti, cosicché il territorio esplorativo degli agenti risulta estendersi nello spazio e nel tempo. L’estensione nello spazio avviene attraverso il coinvolgimento di persone provenienti da ambientazioni e background culturali dissimili in esperienze comuni, come accade nelle pratiche di team building nelle grandi organizzazioni o con il management interculturale. L’estensione nel tempo si compie con la creazione di una memoria e di una consuetudine che riesca a creare legami all’interno del gruppo di condivisione e che lo differenzi dall’esterno. Al contempo si rende necessario la messa a punto di un linguaggio comune che istituisca un’omogeneità dei significati e renda possibile la collaborazione 4. L’effetto prodotto dalla condivisione è quello di ridurre le iniziali differenze tra le persone e le imprese utilizzando pratiche di partecipazione ad esperienze comuni. La codificazione procede invece in maniera del tutto differente,   Rullani (2004) Rossi - Landi (1968)

3

4


30

IL CAPITALISMO COGNITIVO

mirando alla definizione ex ante e “dall’alto” di standard a cui individui e contesti dovranno uniformarsi. L’attività che nella condivisione è affidata alla cooperazione tra persone, viene qua assegnata a degli specialisti, ai quali spetta il compito di definire le condizioni standard per il raggiungimento dell’obiettivo desiderato. Le informazioni selezionate vengono successivamente fissate in un codice (ovvero un sistema di simboli, significati e norme) che gli attori dovranno adottare per costruire il contesto materiale, trovandosi così automaticamente uniformati agli altri. La codificazione consiste dunque nell’articolazione di una conoscenza in modo da poterla esprimere con un particolare linguaggio formale (codice) e registrare su un particolare medium, sarà allora conservata e trasferita come conoscenza oggettivata. Le due procedure delineano un diverso approccio nell’accesso alla conoscenza sviluppata: la condivisione tende ad escludere coloro che non possono avere esperienza diretta del contesto perché esterni a questo o per la presenza di altre barriere (finanziare, legali, culturali etc.), la codificazione richiede invece l’apprendimento di un codice che può risultare complicato nel caso di codici molto specializzati, propri di comunità chiuse. Codificazione e condivisione non sono tuttavia modalità contrapposte, ma lavorano in maniera complementare. Laddove infatti non sia disponibile una conoscenza codificata a basso prezzo, è conveniente procedere per condivisione tenendo presente che, appena possibile, è utile investire nella codificazione del sapere sviluppato, rendendolo disponibile per altri e moltiplican-


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

31

done il valore. Gli strumenti utilizzati per i processi di codificazione e condivisione sono i mediatori cognitivi, cui si è affatto precedentemente accenno. In sede, ricordiamo che questi sono dispositivi metodologici e pratici che si occupano di trasformare la conoscenza da contestuale a connettiva e di renderla efficace, durevole nel tempo ed estesa nello spazio. Mantenendo lo schema interpretativo proposto da Rullani, è di interesse ora descrivere le trasformazioni attive nella filiera cognitiva che attribuiscono alla conoscenza connettiva le quattro qualità che la rendono spendibile, deve ossia essere: valida, riproducibile, distribuita e integrata 5. A ciascuna delle qualità elencate corrisponde una specifica lavorazione, rispettivamente: strutturazione, virtualizzazione, distribuzione, integrazione. La strutturazione è un’operazione logica che estende il campo di validità della conoscenza sviluppata nel contesto originale tramite l’utilizzo di una serie di mediatori logici. Il contenuto particolare ricavato dall’esperienza corrente viene spogliato dal suo carattere di singolarità per essere adattato ad una più generale cornice interpretativa; viene cioè riassorbita all’interno di strutture e nozioni già esistenti. Appoggiandosi a queste ultime, la conoscenza frutto dell’esperienza presente, subisce un processo di “categorizzazione” 6 che ne ricava modelli   Fumagalli (2004)   Thompson, Varela, Rosch (1991)

5 6


32

IL CAPITALISMO COGNITIVO

interpretativi, prototipi o cornici in grado di esprimere concetti di valenza più generale. I mediatori logici al lavoro nella strutturazione sono diversi e cooperano per la realizzazione di una visione articolata delle dinamiche alla base dell’esperienza vissuta. Ad esemplificazione di questi si ricordi il linguag gio che permette agli agenti la possibilità di creare un sistema condiviso di significati attraverso la mediazione comunicativa, oppure un algoritmo che dall’esperienza estrae informazioni seguendo i precetti contenuti in un programma o dettati da un meccanismo automatico. La seconda trasformazione corrisponde alla virtualizzazione della conoscenza. Fulcro di questa fase è la separazione dell’aspetto virtuale della conoscenza da quello materiale, operazione che rende possibile la riproduzione dell’esperienza originale. La conoscenza possiede infatti una natura virtuale che contiene tutte le sue probabili declinazioni “in potenza”, ovvero tutte le sue possibili forme che sono virtuali perché esistono nella sfera cognitiva prima di far parte della realtà. Anche in questo caso molteplici sono i mediatori riproduttivi al lavoro, storicamente si è delineata una tendenza di passaggio da mediatori più “pesanti” ad altri più “leggeri”, che risultano di più semplice propagazione. Il fenomeno della digitalizzazione esplica perfettamente questa tendenza. Le forme digitali elaborano l’evento in una serie di numeri o “digits” che contengono le istruzioni per una macchina riproduttrice che a sua volta converte aspetti rilevanti del fenomeno in numeri, per poi trasformarli in effetti simili all’originale.


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

33

Vale la pena soffermarsi sul mediatore riproduttivo per eccellenza della società: la cultura. La cultura riproduce il sapere della collettività di generazione in generazione, allacciando la base materiale (la vita quotidiana e la pratica produttiva) alle forme virtuali, che esprimono la conoscenza localizzata sul territorio o in specifiche organizzazioni. Le forme virtuali pur essendo estrinsecazioni della base materiale, godono rispetto a queste di una certa autonomia che ne facilita la propagazione. La cultura, distinguendo tra le due dimensioni, ha il vantaggio di offrire una piattaforma comune che integra le prospettive delle diverse persone e induce fenomeni di spill over cognitivo, facilitando la riproduzione di forme virtuali nella comunità. In tale ottica le comunità locali possono definirsi comunità epistemiche, ossia collettività che vivono un comune contesto di esperienza e che hanno accesso ai principali codici locali d’organizzazione della conoscenza e che, in virtù di ciò, possono facilmente condividere la conoscenza localizzata. Tali comunità possono tuttavia trascendere la loro caratterizzazione locale e assumere come elemento unificatore condiviso, il linguaggio adottato. In questo caso la porzione di società considerata diviene una comunità semantica, costruita attorno ad una scelta linguistica e di significato, che non ha confini segnati dall’appartenenza ad un gruppo e può quindi attraversare disparati contesti 7. La comunità semantica accoglie e promuove le nuove possibilità di relazione, in essa si crea una coscienza estetica che agisce da 7

Haas (1992)


34

IL CAPITALISMO COGNITIVO

mediatore riproduttivo, favorendo la divulgazione di stili di vita, mode, forme di intrattenimento che scavalcano la mera riproduzione culturale generando innovazione, differenziazione. Stili di vita o mode si affermano grazie agli innumerevoli rimandi semantici che ognuno mette in atto nella comunicazione con l’altro, i dispositivi imitativi e di identificazione sono assimilabili a fattori di condivisione e propagazione di una forma virtuale nuova 8. La penultima lavorazione della conoscenza realizza la sua distribuzione nello spazio e nel tempo. La conoscenza è un flusso che si estende temporalmente e spazialmente, mossa dalla ricerca del valore, ossia dei potenziali utenti ed usi. Fluendo nello spazio essa amplia gradualmente il suo bacino d’uso, connette i luoghi che attraversa i quali entrano a far parte di un flusso di esperienza più vasto, in cui i diversi punti dello spazio raggiunti dialogano fra loro o avviano una divisione del lavoro di apprendimento mediante la rete cognitiva. Il fluire nel tempo della conoscenza permette di collegare persone ed usi che appartengono a diversi momenti del suo ciclo di vita, si può così trarre beneficio sia dai vantaggi del ri-uso, che dalla cumulazione delle nuove conoscenze alle vecchie. Si è utilizzata la metafora di wave 9 (onda) per raffigurare la proliferazione di una nuova idea, l’immagine dell’onda si presta perfettamente a spiegare l’intrinseca tendenza a propagarsi della conoscenza. Anche l’onda ha una connaturata attitudine ad   Rullani (2004) Freeman (1984)

8

9


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

35

espandersi, attraversando spazio e tempo senza però perdere il legame col punto d’origine. Così la conoscenza va concepita, come un flusso dotato di una dinamicità in grado di superare le distanze spaziali e di vincere il degradamento entropico nel tempo. Perché ciò avvenga è fondamentale l’intervento della logistica, le risorse logistiche devono infatti accompagnare l’intero ciclo vitale della conoscenza, senza interrompersi al suo principio, cosicché questa riesca a rigenerarsi continuamente. La distribuzione fisica della conoscenza, riguarda tanto il trasferimento della sua forma virtuale, che della sua base materiale. Nei casi in cui la forma virtuale è separabile completamente da quella materiale, il trasferimento nello spazio e nel tempo riguarda solo la pura forma virtuale, mentre il supporto materiale sul quale è temporaneamente iscritta sarà trasportato a distanza e venduto nei canali commerciali abitudinari, oppure al suo posto saranno trasferite (via fax, telefono, Internet o altro) solo le informazioni necessarie per riprodurre l’effetto voluto 10. I flussi virtuali sono oggetto di lavoro per la logistica dei mezzi di comunicazione e in minor misura anche dei trasporti di cose. Negli ultimi anni tuttavia, l’avvento delle ICT ha permesso la sostituzione di flussi materiali con flussi di informazioni, che sfruttano i canali delle telecomunicazioni. Nel caso in cui la forma virtuale rimane connessa alla base materiale, sarà necessaria una logistica delle cose e delle persone, che risulta inevitabilmente più lenta e costosa. I mediatori attivi in questa fase si dividono tra mediatori spaziali   Carmagnola (2002)

10


36

IL CAPITALISMO COGNITIVO

e temporali. Alla prima categoria appartengono persone, cose e bit. La logistica delle persone rende fluida la conoscenza all’interno del contesto urbano, in particolare permette alle conoscenze specializzate di fluire dove sono richieste, alimentando le vocazioni specializzate dei luoghi e consentendo di utilizzare al meglio i fattori materiali più difficilmente spostabili. È evidente che la presenza di mezzi di trasporto, ad esempio i mezzi pubblici, agevola i flussi di conoscenze incorporati nelle persone e ha un effetto positivo tanto sulla divisione del lavoro che sulla propagazione moltiplicativa delle conoscenze. Ugualmente importante è oggi la logistica delle cose, che provvede allo spostamento di conoscenza incorpora ta in prodotti o in artefatti da utilizzare per ulteriori lavorazioni. Un esempio significativo ci è offerto dal treno, protagonista di una rivoluzione logistica e cognitiva. Infatti il treno ha permesso di trasportare persone e cose in modo sicuro e a basso costo e ha contribuito ad allargare notevolmente i bacini di divisione locale, sostenendo ulteriormente la propagazione moltiplicativa della conoscenza. La virtualizzazione integrale delle conoscenze permette invece di sostituire lo spostamento di persone e cose con dei flussi di bit digitali o segnali analogici, che trasportano a distanza la forma utile richiesta con il vantaggio di ampliare infinitamente gli spazi e i tempi di propagazione. La completa virtualizzazione è pero ancora limitata a un numero ristretto di conoscenze. Dalla modernità in poi, la valorizzazione della conoscenza come


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

37

risorsa produttiva è stata scandita dalle tappe delle trasformazioni che hanno interessato i mezzi di trasporto e in seguito i mezzi di comunicazione a distanza. Tuttavia il trasferimento logistico della conoscenza rimane ancora oggi un processo difficile e costoso che richiede infrastrutture e sofisticati mezzi tecnologici per spostare i vettori, materiali o virtuali, che incorporano le conoscenze. Da ultimo, si realizza l’integrazione della conoscenza. Affinché la conoscenza circoli tra i diversi membri della filiera è necessario che le relazioni intersoggettive che si creano tra i diversi agenti della filiera vengano organizzate. Occorre dar vita a un frame organizzativo che stabilisca l’attribuzione dei costi e dei ricavi ai diversi soggetti coinvolti in modo da attribuire a ciascuno un margine di convenienza a sostegno della loro attività lavorativa. Gli scambi cognitivi devono dunque essere regolati da adeguati mediatori relazionali di diversa natura (contrattuale, istituzionale, fiduciari etc.), questa operazione risulta complessa e impatta inevitabilmente con il carattere di indivisibilità della risorsa conoscenza. L’indivisibilità dei processi cognitivi rileva l’inadeguatezza dei classici metodi di scomposizione in unità elementari per la rilevazione di costi e ricavi, soprattutto in un contesto in cui il collante è costituito dall’interazione comunicativa e strategica dei partecipanti. Il riconoscimento di costi e ricavi in ciascun punto operativo della filiera comporta un’idea più complessa di organizzazione, che


38

IL CAPITALISMO COGNITIVO

si appoggia alla cultura di impresa e al suo riprodursi nel tempo. Ogni agente della filiera cognitiva deve assumere fra i suoi compiti quello di contribuire con le sue scelte alla costruzione della filiera cognitiva come sistema integrato di parti che sono solo temporaneamente divise, ma che sono dotate di una capacità riflessiva sulle conseguenze delle singole scelte e azioni 11. La filiera cognitiva deve cioè trovare un equilibrio tra il principio della specializzazione e quello dell’integrazione fra specialisti. Per raggiungere questo equilibrio i partecipanti devono sviluppare un senso dell’insieme che li coinvolga e che li motivi ad agire responsabilmente all’interno di una filiera che accorpa l’interesse individuale e l’interesse collettivo della formazione sociale di cui sono parte 12. I processi cognitivi sono in questo senso sociali 13, nessun automatismo può sostituirsi all’intelligenza dell’attore che, consapevole della trama di interdipendenze, la assume come campo di progettazione e di dialogo. Lo scambio di conoscenze può verificarsi solo a condizione che vengano introdotte delle restrizioni artificiali all’uso della conoscenza da parte di chi ne viene in possesso. Queste restrizioni devono essere definite sulla base della presa di coscienza delle conseguenze provocate dalle operazioni di ciascun agente e dell’assunzione di responsabilità che ne deriva. La filiera cognitiva va interpretata in questo senso come una “costruzione sociale   Rullani (2004)   Boltanski, Chiappello (2005) 13   Vercellone (2006) 11 12


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

39

che deve essere continuamente rigenerata dalle capacità riflessive degli attori” 14. Il sistema di regolazione della filiera cognitiva non è il risultato di norme imposte da un potere esterno ma è autoprodotto dagli attori e da essi può essere riflessivamente accolto e modificato. Ciò è possibile solo se si concerne la filiera nella sua interezza, solo così è possibile costruire un sistema collettivo che comprenda la diversità di interessi. Nei sistemi non integrati di condivisione della conoscenza, gli operatori finiscono col dipendere dal comportamento altrui, su cui non possono influire e che potrebbe arrecare loro danni, come per l’utilizzatore il rischio diventa quello di dipendere da un fornitore che non investe sufficientemente nello sviluppo del suo sapere. Per fronteggiare i rischi di interdipendenza connessi alla divisione cognitiva del lavoro serve costruire istituzioni che regolino i rapporti nella filiera in modo da consentire a ciascuno di specializzarsi nelle proprie funzioni senza dover temere un’eccessiva dipendenza dagli altri partecipanti allo scambio. I due classici mediatori, il mercato e l’organizzazione gerarchica, che solo in parte si adattano ad un regime economico completamente basato sulla conoscenza, vengono superati da nuovi mediatori in grado di realizzare l’integrazione mediante l’interazione, l’intesa comunicativa e l’assunzione di una reciproca responsabilità. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso sono in particolare   Rullani (2004)

14


40

IL CAPITALISMO COGNITIVO

due i mediatori integrativi che emergono: il territorio e le reti di impresa 15. La condivisione di conoscenza e l’interazione prende vita nel territorio grazie alla contiguità fisica e alla condivisione di contesti di esperienza comune che possono dar vita ad esempio, a processi di apprendimento per imitazione o alla creazione di catene di fornitura a livello locale come nei distretti industriali e nei sistemi locali. Le reti di imprese attraverso l’interazione comunicativa e progettuale generano conoscenze condivise all’interno di cooperazioni tecnologiche o commerciali, di strategie finanziarie di ripartizione del rischio, di consorzi oppure nelle strategie di outsourcing delle imprese “estese”. In entrambi i casi ciò che tiene unita la filiera e che permette di rigenerare i principi di integrazione non ha natura politica ma comunicativa e fiduciaria. Gli scambi cognitivi sono accettati dagli agenti e giustificati grazie alla produzione di capitale sociale che favorisce il formarsi di un contesto di fiducia reciproca 16. Esistono altri principi di integrazione la cui diffusione ha radici antiche, si tratta del dono e della comunità 17, entrambe diffuse in epoca pre-moderna e poi scalzate via dalla modernità in favore del ruolo del denaro e degli scambi mercantili. Le comunità stanno oggi rifiorendo, il principio mercantile del denaro e quello gerarchico del potere vengono sostituiti da altri   Rullani (2004)   Rullani (2004) 17   Idem 15 16


L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

41

criteri di integrazione quali la condivisione dei fini, il senso di reciprocità e la creazione di legami sociali attraverso il dono. Il dono è di per sé molto importante in quanto figura la cessione volontaria di conoscenze per motivazioni etiche o per rafforzare il senso di appartenenza e di identità collettiva. Assistiamo infatti al proliferare di associazioni non-profit 18, comunità di consumo e una molteplicità di altri enti che sembrano voler recuperare il vecchio spirito mutualista tramite la messa a fuoco di bisogni e fini comuni. Questa tendenza emerge chiara nel campo del software, dove accresce continuamente la rilevanza dell’open source e la cui filiera di specialisti si è forgiata in ragione di un fine comune. Da sottolineare è anche il diffondersi dell’ideologia del gratuito fra i giovani, che assume le caratteristiche di un movimento liberatorio teso al superamento dell’ autorità del mercato e del diritto di autore. La condivisione interpersonale di un fine comune rende logica e conveniente la condivise delle conoscenze di cui si dispone, a condizione che il vantaggio arrecato non escluda nessuno. Allo stesso tempo l’integrazione comunitaria o del dono deve però limitare l’accesso alla condivisione della conoscenza. Se questo fosse un diritto di tutti, chiunque avrebbe accesso alla filiera senza che la sua partecipazione debba essere giustificata o accettata dagli attori partecipanti, si creerebbe così uno squilibrio di interessi e di utilità e la socializzazione dei processi cognitivi perderebbe il suo carattere di riflessività.   Laville (2005)

18


42

IL CAPITALISMO COGNITIVO

La condivisione del lavoro cognitivo può infatti estendersi solo se tutti gli interessati, produttori e consumatori, sono in grado di operare in maniera coordinata e cooperativa. È questa l’unica vera condizione perché il produttore massimizzi l’utilità di quanto conosce, offra al consumatore un servizio ottimale di esplorazione dei suoi bisogni di modo che questo estragga la massima soddisfazione dal potenziale di conoscenza che l’offerente gli mette a disposizione. Quelle descritte sono delle prospettive teoriche di ampio respiro, che possono fornire delle direttive generali lungo le quali spostarsi per trovare delle soluzioni alle difficoltà poste dall’integrazione e non ancora definitivamente appianate. L’economia della conoscenza sta evolvendo assieme all’intero sistema produttivo (materiale e immateriale) verso un nuovo assetto che, lungi dal raggiungimento di un equilibrio, è nel pieno di una fase di transizione dal vecchio paradigma capitalista ad uno nuovo.


Capitolo II Il capitalismo cognitivo

II.I Origini e finanziarizzazione del capitalismo cognitivo Negli ultimi trenta anni il sistema capitalista ha sperimentato profonde trasformazioni costruitesi attorno alla crescente importanza del fattore conoscenza che hanno condotto a una modifica delle forme di valorizzazione del capitale. Si è scelto di adottare la locuzione di capitalismo cognitivo 1 per descrivere l’attuale assetto economico, volendo esprimere la messa a valore delle capacità cognitive e relazionali degli individui operata dal capitalismo. Il concetto di capitalismo cognitivo ben si presta ad esprimere la tensione dialettica tra i due termini che lo pongono. Il termine “capitalismo” esprime la continuità con il modello capitalistico di produzione dovuto al permanere delle componenti fondamentali di tale regime economico, in particola  Vercellone (2006)

1


44

IL CAPITALISMO COGNITIVO

re il ruolo trainante del profitto e del rapporto salariale. L’attributo “cognitivo” è funzionale alla caratterizzazione della nuova natura del lavoro e delle strutture sulle quali si fonda il processo di accumulazione emergente. Esso esprime in primo luogo lo sfruttamento e la messa a valore da parte del capitalismo delle capacità comunicative e relazionali degli individui, fino a coinvolgere le loro facoltà più itime e soggettive. L’economia capitalistica è un’economia monetaria in cui vige la supremazia dell’attività di produzione e accumulazione, il cui propulsore è dato dall’attività di investimento 2. L’investimento, esito delle decisioni imprenditoriali, è in grado di influenzare in modo dinamico il progresso tecnologico e la combinazione dei fattori produttivi, da questo dipende quindi anche la distribuzione della ricchezza. La descrizione del processo di accumulazione e produzione prenderà pertanto avvio dall’analisi della fase di finanziamento all’origine, e della realizzazione in conclusione. La moneta è frutto del rapporto di scambio fra gli enti che la producono, quali la Banca centrale e il sistema creditizio ordinario, e gli enti che ne hanno bisogno ma non possono crearla, come le imprese. Lo scambio che avviene non è bilaterale né immediatamente solvibile. L’azienda di credito può infatti scegliere di mettere a disposizione dell’impresa richiedente un potere d’acquisto in forma liquida, in contropartita del quale, ricava una promessa di restituzione. Poiché lo scambio non si esaurisce nel momento stesso in cui si attua ma si protrae nel tempo, nell’attività di   Romagnoli (2008)

2


IL CAPITALISMO COGNITIVO

45

credito è incluso il rischio economico d’insolvenza, connaturato alla sua dinamicità temporale. A fronte del rischio, all’azienda di credito vengono fornite come protezione delle garanzie sui mezzi di produzione, ne consegue che l’accesso al credito opera una discriminazione sociale basata sulla distribuzione dei diritti di proprietà dei mezzi di produzione. Questo esercizio di potere trova diretta espressione nella moneta, emblema di gerarchia 3. L’esito incerto dei finanziamenti rende il mercato creditizio una struttura precaria, l’esigenza di regolare e stabilizzare la struttura creditizia ha guidato l’evoluzione delle forme di finanziamento nel tempo. Nel secondo dopoguerra, in corrispondenza del paradigma fordista-taylorista-keynesiano, il finanziamento degli investimenti avveniva tramite due principali canali: il pubblico e il privato. Il canale privato vedeva come protagonista il sistema creditizio, il canale pubblico si era costruito attorno al ruolo dello Stato. Le politiche keynesiane 4 rilanciavano allora il ruolo dello Stato nell’economia, con l’obiettivo di attivare la domanda aggregata e favorire la realizzazione della produzione mediante manovre economiche volte a finanziare la spesa pubblica in disavanzo. Tali politiche di deficit spending, associate all’apertura del conto di tesoreria dello Stato presso la Banca centrale, oltre a perseguire l’obiettivo originale, favorirono lo sviluppo di un secondo canale di creazione di moneta a sostegno degli investimenti gestito dallo Stato.   Fumagalli (2007)   Keynes (1971)

3 4


46

IL CAPITALISMO COGNITIVO

In tale ambito, l’importanza strategica dello Stato non era limitata alla creazione di un ulteriore disponibilità creditizia per le imprese, ma coinvolgeva anche l’attività di stabilizzazione del rapporto conflittuale tra banca e impresa. All’interno del quadro descritto i mercati finanziari svolgevano una funzione di riallocazione della moneta già esistente, ossia del risparmio, tra i soggetti in avanzo finanziario (e.g. le famiglie) e i soggetti in disavanzo finanziario (principalmente imprese). Dunque, nel paradigma fordista-taylorista, i mercati finanziari occupavano una posizione marginale: il loro funzionamento non influenzava significativamente la fase di finanziamento, non intaccava le scelte di produzione e accumulazione né i meccanismi di redistribuzione del reddito. La secondarietà del loro ruolo era indotta dalla compresenza di tre circostanze: il fatto che il finanziamento dell’attività produttiva fosse sostenuto dal sistema creditizio, che l’accumulazione fosse sospinta dalla produzione materiale tramite sfruttamento del lavoro salariato e che la cornice spaziale di riferimento fosse quella dello Stato, all’interno della quale si definivano le diverse politiche economiche 5. La crisi del sistema fordista-taylorista comportò il crollo di queste condizioni e aprì la strada al rafforzamento dei mercati finanziari, che divennero allora uno dei fondamenti del nuovo paradigma capitalista di produzione. Le difficoltà che il fordismo si trovò ad affrontare all’inizio degli anni Settanta avevano natura più complessa rispetto a quelle che caratterizzarono i precedenti momenti di rottura vissuti dal regi  Fumagalli (2007)

5


IL CAPITALISMO COGNITIVO

47

me di produzione capitalista. La crisi aveva radici tecniche e sociali. Le basi tecnologiche del fordismo iniziavano ad esaurirsi e il versante sociale era scosso da conflitti che facevano vacillare i principi della divisione del lavoro di matrice taylorista. Al contempo andava delineandosi una tendenza alla saturazione della domanda dei beni durevoli che si affiancò all’esaurimento delle economie di scala; l’esito fu una diminuzione dei tassi di aumento della produttività. I tentativi di intensificazione del lavoro faticavano ad affermarsi a seguito del rafforzamento della posizione dei lavoratori salariati, legato alle acquisizioni sociali ottenute in relazione alla legislazione sociale del lavoro e alle politiche di welfare state. Le stesse basi gerarchiche su cui si fondava il potere padronale divennero oggetto delle critiche avanzate dal mondo dei lavoratori salariati. Queste condizioni configurarono una complessa dinamica di interazione tra conflitto e innovazione che condusse ad una profonda ristrutturazione della base tecnologica e dei modi di regolazione sociale 6. La crisi petrolifera accentuò le discrepanze emerse nel fordismo tanto da far saltare i meccanismi che sfruttavano l’inflazione come valvola di sicurezza 7. Sullo sfondo della crisi fordista prese avvio il processo di “transnazionalizzazione” che pure ebbe un suo peso nella transizione verso un modello post-fordista di produzione. Gli scambi internazionali di beni, servizi e capitali, così come i flussi di   Boltanski (2002)   Dockès (2006)

6 7


48

IL CAPITALISMO COGNITIVO

persone e conoscenze stavano cambiando qualitativamente, disegnando una nuova tipologia di spazio geografico che può definirsi transnazionale. Lo stato iniziò allora a sperimentare la costruzione di un nuovo assetto spaziale e gerarchico, in cui gli scambi commerciali trasgredivano i suoi confini e la sua potestà doveva relazionarsi al crescente peso di organizzazioni internazionali (ad esempio il F.M.I., G.A.T.T., W.T.O.), delle multinazionali e in seguito, dei mercati finanziari globali. La dimensione nazionale rimase il fulcro degli equilibri gerarchici ed economici internazionali ma si trovò ad operare in una serie di condizioni che portarono a una riarticolazione dei suoi poteri, modificando il rapporto dello Stato col proprio territorio e col sistema sovranazionale. La transnazionalizzazione che si stava affermando soprattutto in ambito economico, prevedeva dunque la costruzione di un sistema che travalicava e prescindeva la dimensione nazionale ma al contempo presupponeva il potere dello Stato per riuscire a compiersi, furono infatti i governi che coscientemente posero le basi giuridiche e politiche per la realizzazione di questa 8. Per comprendere come il processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale abbia potuto realizzarsi in tale contesto è necessario rendere conto più dettagliatamente di alcuni cambiamenti sostanziali, in corso a partire dagli anni settanta del XX secolo. Innanzitutto, il crollo dell’ordine monetario internazionale stabilito dagli accordi di Bretton Woods, si risolse con l’adozione di un regime di cambi flessibili, che accrebbe vertiginosamente il   Sassen (2007)

8


IL CAPITALISMO COGNITIVO

49

livello di incertezza dei pagamenti internazionali, soprattutto in un contesto di forti oscillazioni dei tassi di cambio. Le nuove circostanze favorirono l’irrompere dell’attività speculativa tramite la compravendita di valute internazionali 9. Inoltre la costante svalutazione del dollaro, che aveva preso avvio nella prima metà degli anni settanta, divenne immediatamente uno strumento di intermediazione creditizia. I paesi in via di sviluppo, messa fine alla dipendenza coloniale, trovarono conveniente accrescere il loro debito sui mercati internazionali per la forte sostenibilità finanziaria del debito stesso. Difatti, i tassi reali d’interesse risultavano pressoché ovunque negativi in seguito alla tensione inflazionistica causata dal rincaro del petrolio e delle principali materie prime. Con il crescente indebitamento dei paesi in via di sviluppo a condizioni favorevoli, si registrò un aumento nei movimenti di capitale. Questa prima fase del processo di finanziarizzazione è determinata da scelte internazionali di natura politica piuttosto che dalle dinamica del mercato internazionale privato dei capitali, ancora sottoposto a vincoli che limitavano la libera circolazione dei capitali stessi. Ciò che più ha sostenuto l’avvio della finanziarizzazione è la liberalizzazione dei mercati valutari, da cui scaturì un ambiente di grande instabilità e insostenibilità finanziaria che, a partire dal 1979, vide proliferare dinamiche speculative. Il 1979 è l’anno in cui gli Stati Uniti, invischiati nella crisi del modello fordista internazionale, intraprendono la svolta monetarista con l’intento di riconquistare la leadership economica mon  Fumagalli (2007)

9


50

IL CAPITALISMO COGNITIVO

diale attraverso una ristrutturazione industriale imponente. L’adozione di politiche monetariste e restrittive persegue l’obiettivo di ridurre l’offerta di moneta, provocando dunque un incremento dei tassi d’interesse. Gli effetti prodotti da tale scelta sono una contrazione degli investimenti e quindi della produzione, con il conseguente aumento della disoccupazione e l’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati. Sul piano interno, tale manovra permette di ristabilire gli equilibri macroeconomici, congiuntamente alla ridefinizione dei rapporti economici, sociali e tecnologici, in vista della creazione di un nuovo e differente assetto sociale e produttivo. Sul piano internazionale le politiche monetarie comportano invece una sensibile penalizzazione delle posizioni debitorie, dovuto alla crescita dei tassi d’interesse 10. Della svolta monetarista intrapresa dalla Federal Reserve, gli U.S.A. hanno giovato in un duplice senso. In primo luogo venne accelerato il processo di ristrutturazione e innovazione tecnologica che costituirà la premessa per lo sviluppo della net economy negli anni novanta, in secondo luogo si ebbe un aumento della rendita finanziaria sui titoli pubblici e di debito estero emessi dal governo, con il risultato di un rivalutazione del dollaro. La crescita del tasso d’interesse e la rivalutazione del dollaro sono due fenomeni che si alimentano reciprocamente con esiti spesso rovinosi. Nello specifico, hanno provocato da un lato il peggioramento della situazione debitoria internazionale, con l’aumento dei titoli di debito e credito e dei titoli emessi per il loro finanziamento, dall’altro provocarono una crescita esponen  Fumagalli (2007)

10


IL CAPITALISMO COGNITIVO

51

ziale del rischio d’insolvenza e del livello d’incertezza. Il regime d’instabilità creatosi è infine ceduto nel 1987, con il crollo della Borsa di Wall Street. Come prevedibile, ciò generò il panico collettivo che fu però presto sedato; ha inizio allora la fortuna di quei prodotti finanziari nati per assicurarsi contro i rischi dovuti alla sfrenata speculazione sui mercati della valuta e dei capitali, ovvero i prodotti derivati. I prodotti derivati possono essere considerati l’innovazione finanziaria più rivoluzionaria degli ultimi trenta anni 11 anche grazie alla informatizzazione degli scambi azionari sulla quale si appoggiano), sono questi prodotti finanziari costruiti sulla base di altri prodotti finanziari già esistenti; non hanno quindi un valore “in sé” ma uno relazionale, dovuto al rapporto col prodotto soggiacente quale può essere un titolo azionario, un’obbligazione o una materia prima 12. La nascita dei prodotti derivati si ha in seguito alla diffusione dei fondi pensione e dei fondi di investimento, proprio per rispondere all’esigenza di assicurare i proventi dell’investimento finanziario, soprattutto nel momento in cui questo corrisponde a gran parte del salario differito dei lavoratori. I prodotti derivati si diffusero a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, quando negli Stati Uniti iniziò a concretizzarsi il finanziamento borsistico dell’economia e la massificazione degli investimenti borsistici.   Fumagalli (2007)   Idem

11 12


52

IL CAPITALISMO COGNITIVO

L’antecedente è da rintracciarsi nella crisi fiscale dello stato sociale di New York del 1974 e 1975, scaturita dalla “crisi del controllo politico sulla erogazione del reddito sociale e crisi della trasformazione in forza-lavoro salariata dei proletari che affluiscono nelle metropoli ricche in fuga dagli stati poveri e razzisti del Sud statunitense” 13. La ristrutturazione della pubblica amministrazione colpì anche gli impiegati pubblici, i loro fondi pensione vennero utilizzati per finanziare il disavanzo della città, evitando così un aumento della tassazione della fascia di popolazione più abbiente, da sempre predisposta a rimostranze e alla minaccia di dislocare altrove le loro attività. Gli impiegati furono così coinvolti nella disciplina finanziaria delle città, pur di salvaguardare la loro rendita pensionistica connessa ora ai city bonds. Risale al 1981 la creazione del primo schema pensionistico a contribuzione definita, il 401(K), che diversamente dagli schemi precedenti, fa dipendere la rendita pensionistica dall’andamento dei titoli in cui i risparmi sono investiti 14. L’altro strumento di raccolta del risparmio collettivo è costituito dai fondi comuni di investimento, il cui successo fu dettato dal loro utilizzo all’interno dei piani pensionistici a contribuzione definita. In aggiunta, familiarizzando con gli investimenti in azioni per motivi pensionistici, le famiglie finirono per investire nei fondi comuni anche i risparmi esterni ai piani pensionistici.   Marazzi (2002)   Fumagalli (2007)

13 14


IL CAPITALISMO COGNITIVO

53

I fondi pensione e i fondi comuni d’investimento, congiuntamente alle assicurazioni e alle banche, sono elementi fondamentali per un’ analisi del regime capitalistico cognitivo, costituiscono infatti i modi di organizzazione del capitale finanziario. Attraverso questi si realizza cioè la concentrazione del denaro in forma di crediti e diritti di proprietà per renderne poi possibile la valorizzazione all’interno della Borsa e dei mercati finanziari 15. Parallelamente al percorso dei fondi di pensione e dei fondi comuni di investimento si attua, a partire dal 1975, la liberalizzazione delle commissioni, che rompe il monopolio nella gestione delle transazioni e delle commissioni di borsa, permettendo a nuove società di brokeraggio (i discount brokers) di competere sulle commissioni per attirare utenti. Le politiche di liberalizzazione e di deregolamentazione messe in atto hanno sostenuto la creazione di un mercato mondiale quale unico luogo in cui le esigenze di valorizzazione del capitale potessero essere soddisfatte. Conseguenza di tale processo è la riarticolazione del potere statuale sul reddito e sulla vita stessa dei lavoratori, che avanza nella direzione di smantellamento del welfare state. Alla finanziarizzazione si accompagna il venir meno di forme di regolazione socioistituzionali cosicché il reddito da lavoro differito dipende ora dall’andamento dei mercati borsistici mentre il rischio finanziario privato è ripartito nell’intera comunità. Tali tendenze si traducono nel rapporto tra capitale e lavoro in un netto squilibrio che penalizza questo ultimo. La liberalizzazione degli scambi e   Serfati (2006)

15


54

IL CAPITALISMO COGNITIVO

degli investimenti ha permesso alle industrie manifatturiere e dei servizi di poter scegliere di dislocare l’attività di assemblaggio, di produzione, di approvvigionamento o di vendita sull’intero territorio mondiale, pur concentrando il loro potenziale tecnologico nei paesi d’origine. Anche il lavoro, come gli altri fattori produttivi, viene ad essere sottoposto alla leggi della concorrenza internazionale per quanto concerne la vendita della forza-lavoro di uguale qualifica nel cuore del mondo a capitalismo avanzato o nella sua periferia 16. Un’altra più ovvia conseguenza fu l’allargamento della base di partecipazione ai mercati finanziari. Dacché la borsa tentasse con scarso successo di promuovere l’interesse del grande pubblico dagli anni cinquanta, si ritrovò di fronte a un fenomeno di socializzazione della finanza , ad una vera e propria massificazione degli investimenti borsistici. Ha così inizio il deflusso dei risparmi collettivi verso il mercato borsistico, avveratosi prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. Con il termine finanziarizzazione si intende dunque il “dirottamento del risparmio delle economie domestiche sui titoli azionari che, sull’onda dello spostamento del finanziamento dell’economia dal settore bancario a quello borsistico, ha contribuito in modo decisivo alla formazione della new economy di fine millennio” 17

Chesnais (2006)   Marazzi (2002)

16 17


II.II Linguaggio, comportamento e crisi dei mercati finanziari La concatenazione di eventi descritta è alla base del paradigmatico passaggio dal potere di controllo e regolazione dello Stato al potere etereo e apparentemente non coercitivo dei mercati finanziari 1. I mercati finanziari lavorano con prodotti immateriali che sfuggono alle rigidità imposte dalla produzione materiale, pertanto il prezzo e l’andamento di tali beni assumono caratteristiche particolari che è doveroso discutere. In primo luogo, qualsiasi titolo finanziario può generare due tipi di profitto: il primo è legato all’interesse che la cedola finanziaria matura in un determinato arco di tempo, l’altro dipende dal valore del titolo. Se il titolo cresce si otterranno delle plusvalenze, nel caso contrario delle minusvalenze. Il rendimento sotto forma di interesse viene stabilito da chi emette il titolo, l’andamento del valore del titolo si definisce invece in base alla legge della domanda e dell’offerta, seguendo il principio della scarsità e dell’abbondanza 2. Per i teorici del libero mercato la legge della domanda e dell’offerta è l’unico meccanismo di determinazione dei prezzi, valido per qualunque mercato. In ragione di ciò è valida l’affermazione per cui il singolo individuo non è in grado da solo di modificare l’andamento del mercato, si agirebbe dunque in un contesto di   Fumagalli (2007)   Idem

1 2


56

IL CAPITALISMO COGNITIVO

libera concorrenza 3. Si ha ragione di credere che la regolazione dei mercati finanziari differisca dai puri meccanismi impugnati dalla teoria del libero mercato. Già nel 1971, Keynes aveva evidenziato nella sua analisi dei mercati finanziari il fatto che in essi operasse un agente economico particolare: lo speculatore 4. Oggi l’ambiente speculativo si presenta diversificato, accanto ai classici operatori bancari e pubblici, se ne sono aggiunti altri, intenti a gestire i fondi altrui o a svolgere attività di consulenza circa la rischiosità o meno delle attività finanziarie. Questi ultimi possono essere suddivisi in due gruppi: le società di intermediazione mobiliare (SIM) che si prefiggono la gestione del risparmio investito nei fondi comuni o nei fondi pensione e le società di consulenza, rating e revisione contabile, le quali gestendo le informazioni che incideranno nella formulazione delle aspettative, hanno interesse a svolgere attività speculativa in borsa 5. Al panorama descritto si aggiungano poi tutti coloro che, singolarmente o in piccoli gruppi, agiscono sui mercati finanziari senza alcuna intermediazione grazie al microtrading o al trading on line. La finanziarizzazione ha contribuito enormemente alla frammentazione dell’attività speculativa. Negli ultimi dieci anni il mercato finanziario si è plasmato in una struttura oligopolistica, alla quale si accede con sempre maggiori difficoltà.   Katz, Rosen (2009)   Keynes (1971) 5   Fumagalli (2007) 3 4


IL CAPITALISMO COGNITIVO

57

In tale mercato un numero ristretto di SIM e di istituzioni bancario-assicurative hanno il controllo sulla maggioranza dei flussi e sono quindi in grado di influenzare le aspettative del pubblico, per contro vi opera anche un elevato numero di investitori singoli o in piccoli gruppi, il cui comportamento è dettato dall’imitazione dei grandi gruppi oligarchici. Questa tendenza alla gerarchizzazione dei mercati finanziari induce a una sempre minor trasparenza e ad una sempre minore concorrenzialità. Ciò nonostante, l’immagine condivisa dalla gente comune è quella di un mercato finanziario che opera in maniera irreprensibile, guidato dai principi della domanda e dell’offerta che si formano immediatamente in base agli orientamenti dell’opinione pubblica e che dunque, è da qualificarsi come democratico per eccellenza 6. L’assunto neoclassico descrive gli agenti come razionali e massimizzanti 7 la loro utilità e perciò il corso dei titoli quotati in borsa rappresenterebbe la sintesi completa di tutte le informazioni finanziarie disponibili. Di nuovo è opportuno discostarsi da questo approccio per fare spazio ad una teoria della finanza che calzi meglio l’originalità delle istanze proprie del capitalismo cognitivo. Di grande interesse risultano in questo ambito gli studi della finanza comportamentale 8 che introducono nell’analisi dei mercati finanziari internazionali alcuni elementi propri del comporta  Marazzi (2002)   Katz, Rosen (2002) 8   Fumagalli (2007) 6 7


58

IL CAPITALISMO COGNITIVO

mento umano dal punto di vista psicologico. Le tesi dei teorici della finanza comportamentale evidenziano che gran parte degli investitori considera il mercato azionistico come un ente esterno e oggettivo, dotato di una vita propria, senza riuscire a comprendere che sono essi stessi, come gruppo di investitori, a deciderne il corso. Ugualmente la maggior parte degli investitori condivide l’idea che gli investitori istituzionali dominano il mercato perché posseggono una conoscenza superiore delle dinamiche borsistiche unita a dei complessi sistemi di calcolo e previsione degli andamenti del mercato. In realtà, gli investitori istituzionali posseggono pochi indicazioni riguardo ai prezzi, essi “non sanno” 9 nella stessa misura in cui “non sanno” i piccoli investitori. Il livello delle quotazioni è essenzialmente sostenuto da poche e vaghe ipotesi che incontrano però il sostegno trasversale della massa di investitori, singoli e istituzionali. Il livello delle quotazioni si comporta come una “profezia autorealizzantesi” 10, convalidata dai mezzi di comunicazione. Fondamentale è il concetto di comportamento imitativo 11 che ha le sue radici nel deficit strutturale d’informazione di tutti gli investitori. L’economista André Orlean sostiene che il funzionamento dei mercati finanziari sia dettato dal comportamento gregario della   Orléan (2010)   Shiller (2000) 11   Marazzi (2002) 9

10


IL CAPITALISMO COGNITIVO

59

massa degli investitori, di conseguenza è evidente il ruolo decisivo giocato dell’informazione. L’agire mimetico presuppone l’adesione degli investitori a un sistema di simboli che ciascuno accredita come espressione legittima della ricchezza. Il comportamento passivo che ne deriva fa riferimento alla nozione di liquidità, centrale nei mercati finanziari. Per liquidità è da intendersi in questo caso non una funzione concreta della moneta, ma l’idea che nasce dalla necessità di rendere immediatamente scambiabili i titoli nei quali la gente ha investito, così da ottenere una ricchezza hic et nunc 12. Se i titoli non fossero liquidi, ovvero negoziabili, la propensione all’investimento dei propri risparmi per un ipotetico agente sarebbe di gran lunga inferiore; infatti se egli avesse un bisogno immediato di liquidità e non potesse vendere i titoli in cui questa è immobilizzata, andrebbe incontro al fallimento. Si ipotizzi che un azionista debba affrontare una situazione di grave crisi finanziaria o di fallimento, la liquidità è lo strumento che mette l’azionista in grado di liberarsi facilmente di quella parte della sua proprietà che si rivela infruttuosa, costituita da una parte di una o di un’altra impresa. Sulla linea di queste osservazioni è possibile comprendre come la Borsa abbia potuto piegare le imprese all’accettazione delle norme di gestione e dei tassi di redditività designati dagli azionisti-proprietari e come questa sia diventata il motore della centralizzazione del capitale negli ultimi anni 13.   Fumagalli (2007)   Chesnais (2006)

12 13


60

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Il concetto di liquidità esige che sia imposta una valutazione di riferimento che indichi il prezzo a cui un determinato titolo può essere scambiato o venduto. Le singole valutazioni personali devono essere sintetizzate in un prezzo accettato da tutti. Il luogo dove si svolge quest’operazione è il mercato finanziario, qua si “organizza il confronto tra le opinioni personali degli investitori in modo da produrre un giudizio collettivo che abbia lo statuto di una valutazione di riferimento” 14. Nel mercato finanziario si svolge un processo che ha natura di consenso e che cristallizza l’intesa della comunità finanziaria. L’accordo raggiunto, una volta reso pubblico, acquisisce il valore di norma: si ha allora il prezzo al quale il mercato accetta di vendere o acquistare il titolo in un preciso momento. La liquidità dei mercati finanziari induce a ritenere la speculazione come necessaria conseguenza del loro funzionamento. Essa attua una costrizione cognitiva sugli agenti dovuta al predominio dell’opinione pubblica sulle opinioni individuali. Il comportamento speculativo nei mercati finanziari è razionale. Il prezzo è infatti espressione dell’agire dell’opinione pubblica e il singolo investitore non reagisce sulla base di un’informazione, ma sulla base di quella che reputa essere la reazione degli altri investitori di fronte alla stessa informazione 15. L’andamento del mercato che i partecipanti cercano di prevedere è dato dai prezzi. Questi sono facilmente controllabili ma di per sé non dicono niente circa l’influenza operata dalle previsioni   Marazzi (2002)   Fumagalli (2007)

14 15


IL CAPITALISMO COGNITIVO

61

dei partecipanti. Per avere successo in borsa non è necessario possedere conoscenze finanziarie particolarmente sofisticate, il fattore vincente è il saper prevedere gli spostamenti dell’opinione pubblica. I titoli quotati in borsa fanno quindi riferimento a loro stessi piuttosto che al valore economico sottostante, da ciò si evince che i mercati finanziari sono autoreferenziali. L’autoreferenzialità dei mercati si esprime nella dissociazione simmetrica tra valore economico e valore borsistico e tra opinione individuale e opinione collettiva 16. Fintanto che i mercati finanziari producono plusvalenze, si crea un meccanismo di autoalimentazione, che a sua volta provoca una crescita costante dei valori degli indici azionari e quindi nuove plusvalenze. Gli investitori non sono però tutti uguali, come descritto esistono le SIM e i grandi investitori istituzionali, ritenuti in possesso di una conoscenza superiore che giustifica il loro dominio sui mercati finanziari e alimenta la loro autorevolezza di fronte all’opinione di singoli investitori. Sono proprio questi colossi che forgiano l’opinione pubblica, creando ciò che Keynes chiama convenzione 17. Keynes definisce convenzione l’opinione che riesce a imporsi sulle altre in un preciso momento storico e che, in quanto “eletta” dalla comunità diventa opinione pubblica 18.   Fumagalli (2007)   Keynes (1971) 18   Keynes (1971) 16 17


62

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Per muoversi agevolmente nei mercati borsistici occorre quindi individuare quale sia la convenzione, il modello interpretativo dominante. Le convenzioni funzionano perché agiscono come delle imposizioni cognitive sui diversi agenti dei mercati borsistici. Esse sono dotate di una apparente solidità in determinati momenti storici, tanto che si finisce col credere che queste rappresentino la struttura della realtà e delle cose, le si oggettivizza dimenticando la loro natura, non costituita a priori, ma prodotto sociale contingente. Si è arrivati per questa strada a realizzare una condizione in cui l’uomo è totalmente sussunto dal suo operare in termini economici da non rendersi conto di essere subordinato a una costrizione cognitiva. Questo modo di procedere può essere definito come razionalità bioeconomica 19. Dall’analisi dei mercati finanziari emerge con forza la connessione del loro funzionamento con la sfera cognitiva dell’essere e dell’agire umano attraverso le sue forme di espressione: il corpo e il linguaggio. Dal rapporto tra l’essere umano individuale e la natura sociale del suo agire scaturisce una alienazione che porta all’agire convenzionale sui mercati finanziari, l’individualità come autentica espressione del sé viene negata 20. I mercati finanziari offrono una prova eccezionale di come il linguaggio sia la variabile motrice dell’accumulazione del capita  Fumagalli (2007)   Idem

19 20


IL CAPITALISMO COGNITIVO

63

lismo cognitivo. Secondo Marazzi il funzionamento delle convenzioni è squisitamente linguistico ancora prima d’essere psicologico, occorre quindi superare i limiti teorici della finanza comportamentale ed elaborare una teoria linguistica dei mercati finanziari nel postfordismo 21. Seguiamo la ripartizione analitica in tre livelli proposta da Marazzi per cogliere il nesso tra la nascita di una convenzione e il linguaggio. Il primo livello prende in considerazione la fondazione biologica del linguaggio. Per la teoria biologica il linguaggio non è un prodotto storico, in quanto non è l’uomo in grado di inventare il linguaggio, né un fatto naturale visto che non esisterebbe senza l’intervento dell’animale umano. Il linguaggio ha una natura relazionale poiché si impara ad usarlo con altri ma ciò non significa che sia un’istituzione sociale arbitraria. Esso è infatti sottoposto a dei solidi vincoli genetici : il cervello umano è strutturato in maniera adatta allo sviluppo del linguaggio. L’intermediazione linguistica fra animali umani è possibile per la specifica collaborazione strutturata fra risorse neuronali e facoltà di linguaggio. L’animale umano riesce a essere tale perché si è letteralmente costruito intorno al linguaggio, è fatto “per” e “dal” linguaggio al medesimo tempo 22.   Marazzi (2002)   Cimatti (2000)

21 22


64

IL CAPITALISMO COGNITIVO

La novità delle teorie biologiche risiede nell’unità inscindibile di corpo e linguaggio, che ci spiega come il “poter parlare” presupponga il corpo, come la facoltà del linguaggio si sia sviluppata “fisicamente” nei fenomeni della vita. In definitiva, la facoltà di linguaggio caratterizza la specificità umana. Il secondo livello d’analisi riguarda il linguaggio e la dimensione della differenza. Per differenza si intende la diversità fra le singolarità, connaturata alla specificità di ciascun individuo. Il primo dialogo verbale è quello tra l’embrione umano e la madre, che si pone come primo “altro”. Con la madre avviene, già nella sfera semiotica intrauterina, un’iniziazione al linguaggio che ci definisce come esseri-di-relazione, ontologicamente linguistici ma capaci di distinguere fra cosa è la madre e cosa il linguaggio 23. L’essere umano avverte un bisogno di comunicazione dovuto al desiderio di conservare un legame verso il mondo esterno e verso l’altro, da cui in fase embrionale ha tratto soddisfazione. Il bisogno di comunicazione rende l’animale umano non solo un animale linguistico, ma anche un animale in grado di discernere tra livelli simbolici differenti. Con la nascita e l’entrata nel mondo della sfera simbolica sociale, il dialogo verbale si mantiene e si caratterizza come facoltà di differenza. L’ultimo livello di analisi prende in considerazione il rapporto tra linguaggio e moltitudine 24. Nella filosofia del linguaggio si sostiene che una convenzione,   Muraro (1991)   Virno (2004)

23 24


IL CAPITALISMO COGNITIVO

65

come quella attiva sui mercati finanziari, sia il frutto di una serie di enunciati performativi. L’enunciato performativo, come proposto da John L. Austin 25, è una forma di enunciato che non descrive uno stato di cose ma “produce” immediatamente dei fatti reali. Nell’enunciato performativo il “dire qualcosa” corrisponde al fare qualcosa, a renderlo reale. Un esempio della potenza di un enunciato performativo è dato dalla moneta nella sua forma attuale di moneta-segno completamente sganciata dall’oro. Se il Tesoro americano stampa su una banconota : “questo biglietto è moneta a corso legale per tutti i debiti pubblici e privati” , sta creando un fatto, non si limita a descriverlo ma lo invera 26. L’atto linguistico-comunicativo diventa costitutivo della realtà quando non esiste un supporto fisico in cui questi atti possono concretizzarsi, come accade per i titoli azionari, la funzione dei quali non può essere iscritta in una forma fisica. Le convenzioni hanno sempre a che fare con qualcosa di immateriale. Anzi, è proprio lo scambio di un bene immateriale che porta alla formazione di una convenzione proprio a causa della mancanza di un riscontro materiale che possa essere oggettivamente valutato. Ma non è tutto, affinché ciascun agente riconosca nella convenzione un modello interpretativo della realtà autentico e fedele, occorre che l’enunciato performativo trovi una legittimazione   Austin (1987)   Searle (1985)

25 26


66

IL CAPITALISMO COGNITIVO

nel suo essere esterno ed autonomo rispetto alla pluralità delle opinioni individuali. In altre parole, l’efficacia del linguaggio dipende dalla legittimità di chi lo enuncia o meglio, dal potere e dalla forma giuridica di chi parla 27. I problemi sorgono nel momento in cui gli enti considerati come autorità non riescono a modificare col linguaggio lo stato delle cose, si è allora in una situazione di crisi. Ciò che si verifica in questo caso è l’esplosione del corpo della comunità, della pluralità dei singoli che nuovamente dovranno dar vita ad una nuova convenzione. Vi è poi la categoria del performativo assoluto 28, che non produce alcun fatto ma in cui si verifica solo l’evento del linguaggio, come accade in locuzioni quali “ io parlo”. Enunciati del genere non fanno riferimento ad alcuna azione ma al solo fatto che si parli come evento centrale e sono quindi interamente autoreferenziali. Il performativo assoluto è una categoria utile per interpretare la crisi dei mercati finanziari come una crisi da sovrapproduzione di autoreferenzialità 29. Il linguaggio finanziario di mercati rivela un’autoreferenzialità senza corpo mentre la crisi dei performativi mostra che l’atto di parlare non può mai essere disgiunto da un corpo. La convenzione dominante dell’attuale paradigma capitalista è data dalla finanziarizzazione dell’economia.   Virno (2004)   Idem 29   Marazzi (2002) 27 28


IL CAPITALISMO COGNITIVO

67

Nel capitalismo cognitivo si crea la convenzione per la quale è l’opinione pubblica a comandare potendo mobilitare la massa di investitori mediante la razionalità mimetica. L’idea che sia l’opinione pubblica a muovere i mercati finanziari è fortemente sostenuta e divulgata dai mezzi di comunicazione. Possiamo definire tale convenzione “individualismo proprietario” 30. In questa convenzione finanziaria convivono due aspetti complementari: il mercato, apparentemente un luogo neutro di decisione, e l’individuo come protagonista economica, in grado di realizzare la sua fortuna grazie alle proprie capacità. L’esaltazione del comportamento individuale è caratteristica saliente del capitalismo cognitivo e dai mercati finanziari e si estende sull’intero versante produttivo conquistando l’adesione dei lavoratori alla convenzione sociale dominante 31. Con la crisi del paradigma fordista-taylorista il ruolo del settore pubblico come garante del patto tra lavoro e capitale non è più necessario, anzi è considerato come un ostacolo alla realizzazione del processo di flessibilizzazione e al superamento dei vincoli tecnologici e produttivi propri del fordismo. In seguito alla deregulation dei mercati finanziari il processo capitalistico assume sempre più i mercati finanziari come punto di riferimento a scapito delle politiche pubbliche nazionali. Negli anni Novanta arriva a completo compimento quel circolo virtuoso del capitale iniziato con la ristrutturazione economica degli anni Settanta: le imprese aumentano sempre di più il loro   Fumagalli (2007)   Marazzi (2002)

30 31


68

IL CAPITALISMO COGNITIVO

debito con le banche per ottenere la liquidità necessaria a portare a termine fusioni e acquisizioni con il fine di accrescere il loro controllo sui mercati. Vista la vitalità dei mercati finanziari questo processo genera un rialzo dei titoli azionari che rende possibile la creazione di plusvalenze in grado di ripagare i debiti iniziali con il sistema bancario ed eventualmente di ottenere profitti 32. Il circolo descritto si mantiene virtuoso solo se i mercati finanziari realizzano plusvalenze, conseguenza di ciò è che la crescita di tali mercati diventa la condizione fondamentale per mantenere l’equilibrio della contabilità di bilancio. Si registra quindi un cambiamento profondo nel meccanismo di finanziamento dell’attività di impresa. Si osserva infatti che la cessione di credito alle imprese da parte del sistema bancario è finalizzata all’acquisizione di società, con l’obiettivo di accaparrarsi le tecnologie e il know-how così da incrementare il valore borsistico dell’impresa stessa. Quindi il finanziamento bancario non è più finalizzato agli investimenti in capitale, grazie ai quali si voleva ottenere un profitto monetario grazie alla realizzazione della produzione dei beni di consumo, è invece orientato ad ottenere plusvalenze sul mercato della borsa. Si può pertanto affermare che le plusvalenze dei mercati finanziari svolgono la funzione di moltiplicatore dell’economia reale. Considerando la partecipazione di massa ai mercati finanziari (alle soglie del 2000 il 60% delle famiglie americane ha risparmi   Fumagalli (2007)

32


IL CAPITALISMO COGNITIVO

69

in borsa) 33 autorizzerebbe a pensare un aumento del benessere per la consistente comunità di investitori. Il possesso di attività finanziarie è però distribuito in modo distorto e differentemente dall’attività redistributiva del welfare state, i meccanismi finanziari alimentano la polarizzazione dei redditi. L’effetto moltiplicativo va dunque ad aggravare la disparità di reddito, con effetti negativi sulla futura dinamica della domanda. La fase espansiva dei mercati finanziari, durata fino al crollo del 2000-2001 è stata sospinta dai titoli tecnologici, cioè dalle nuove tecnologie che hanno enormemente contribuito al superamento del modello fordista. La pervasività e la diffusione del loro utilizzo è stata tanto consistente da avallare l’ipotesi di una terza rivoluzione tecnologica 34. L’utilizzo dei mezzi informatici e telematici è infatti alla base di un consistente aumento di produttività del settore finanziario grazie all’allungamento degli orari di apertura per le transazioni e alla crescente automazione di svariate operazioni. Nuove tecnologie e finanziarizzazione di massa sono due fenomeni profondamente intrecciati e che costituiscono i due capisaldi per la comprensione della convenzione dominante nel capitalismo cognitivo. La crescita della net economy è il risultato della sinergia creatasi tra lo sviluppo dei nuovi mercati connessi alle nuove tecnologie immateriali, logistiche e di comunicazione, e i finanziamenti ottenuti dall’espansione dei mercati finanziari. Si è giunti attraverso   Marazzi (2002)   La Rosa (2005)

33 34


70

IL CAPITALISMO COGNITIVO

tali meccanismi ad un aumento straordinario della liquidità che ha marcato il passaggio dalla Banca centrale ai mercati finanziari come spazio di creazione della moneta. Parallelamente il sistema si è spostato dalla sovranità dello stato, in cui prevale la creazione di liquidità bancaria, alla sovranità dell’opinione pubblica dove prevale la liquidità finanziaria e dove si definisce uno spazio d’appartenenza che prevalica lo stato nazionale per aprirsi a una cittadinanza globale. Tuttavia l’instabilità dei mercati finanziari porta all’interruzione del circolo virtuoso e la convenzione dominante entra in crisi, sia sul lato tecnologico che su quello finanziario. Innanzitutto entra in crisi il meccanismo di realizzazione, eccessivamente sbilanciato verso la produzione immateriale, che tende a non tradursi in attività produttive “reali” adeguate. Si fa evidente la sovrapproduzione di strutture materiali per l’uso immateriale delle informazioni che risultava ancora scarsamente diffuso. Il “Financial Times” indicò questo fenomeno col nome di “Telecom Crash” denunciando che solo il 20 per cento dei cavi in fibra ottica e delle reti necessarie per il funzionamento di Internet veniva utilizzato nelle economie a capitalismo avanzato 35. Questo sottoconsumo era dovuto al fatto che la fruizione di informazioni e delle comunicazioni richiede tempo, coloro che avevano maggiore disponibilità allo sfruttamento delle reti informatiche non avevano però sufficiente tempo libero perché troppo impegnati nell’attività lavorativa. L’epoca del capitalismo cognitivo si caratterizza non solo per   Marazzi (2002)

35


IL CAPITALISMO COGNITIVO

71

una carenza di reddito causata da un’eccessiva disuguaglianza del processo redistributivo, ma anche per una carenza di tempo. Nel momento storico in cui le tendenze alla precarizzazione delle prestazioni lavorative portano ad un allungamento dell’orario di lavoro e all’impossibilità di regolarlo, il tempo diventa la vera risorsa scarsa. Sul versante finanziario i primi problemi si presentano nel marzo del 2000 quando gli indici borsistici terminano la vertiginosa ascesa ed iniziano a perdere valore 36. I primi ad accusare sono le imprese della net economy e le banche, seguite dalle imprese della vecchia economia. La situazione creatasi favorisce il proliferare di atteggiamento truffaldini che mirano a “modificare” il bilancio per mantenere il potere attrattivo dei propri titoli, le banche al contempo assumono un atteggiamento collusivo per la difesa dei propri interessi. Le economie stagnanti di Europa e America si trovano a fronteggiare in quel momento la sostenuta crescita dei paesi del SudEst asiatico, di Cina e India in particolare. La combinazione di circostanze lascia intravedere la possibilità di una ridefinizione gerarchica degli assetti economici internazionali che verrà in parte confermata 37. La crisi dei primi anni del duemila è stata infatti superata grazie all’introduzione di un massiccio quantitativo di liquidità a sostegno dei mercati finanziari, ciò è avvenuto però a scapito di uno spostamento dell’asse gerarchico di controllo dei flussi monetari   Fumagalli (2007)   Idem

36 37


72

IL CAPITALISMO COGNITIVO

e finanziari da Occidente a Oriente. A supporto di tale tesi basta notare che il surplus commerciale cinese è il primo canale di finanziamento del deficit pubblico statunitense. Dalle considerazioni finora discusse, è già possibile riconoscere nei mercati finanziari l’aspetto innovativo del capitalismo cognitivo, all’interno dei quali operano e si misurano le variabili fondamentali del nuovo modello di accumulazione, ossia il linguaggio e il general intellect, da cui prendono forma di volta in volta le convenzioni sociali e le connesse forme di controllo politico ed economico.


II.III Produrre l’immateriale e ricavarne valore: uno sguardo d’insieme Le forme di produzione, le modalità di finanziamento e quelle di valorizzazione del capitale sono strettamente connesse. L’evoluzione del processo di accumulazione nell’arco degli ultimi due secoli di produzione capitalistica è stata trainata dalla necessità di mantenere inalterate le prerogative del dominio capitalistico sul lavoro e sugli uomini. Le trasformazioni accorse hanno inciso profondamente sulle forme di organizzazione della produzione, sulle forme di erogazione della forza lavoro, della struttura del capitale ma anche sulle forme della proprietà e del controllo. La crisi sociale del fordismo, contraddistinta dall’esaurimento delle modalità tayloriste di realizzazione del profitto, ha segnato il passaggio dalla forma di valorizzazione materiale fordista a quella immateriale-flessibile 1. Si compie così il passaggio dal capitalismo industriale a quello cognitivo. Questa rottura storica interna alle dinamiche capitaliste, ha evidenziato le due tendenze protagoniste del capitalismo contemporaneo: la finanziarizzazione e il ruolo centrale della conoscenza nell’organizzazione della produzione. La scelta di etichettare il nuovo assetto produttivo come capitalismo cognitivo, è ancor più rafforzata a seguito di queste osservazioni: la locuzione evidenzia infatti come la produzione e il   Fumagalli (2007)

1


74

IL CAPITALISMO COGNITIVO

controllo delle conoscenze diventano la misura prima di valorizzazione del capitale. Lo sviluppo delle tecnologie ha completamente trasformato l’orizzonte di possibilità per la produzione. Il risultato è stato la messa al lavoro delle qualità più comuni ed informali della forza lavoro: il linguaggio e l’agire comunicativo-relazionale 2. Le nuove tecnologie costituiscono il fattore che ha permesso l’utilizzo del linguaggio come input produttivo diretto, capace di sottrarsi al classico spazio fisico. Il linguaggio ha consentito la creazione di uno spazio virtuale della comunicazione e dell’opinione pubblica; i mercati finanziari ancora ci offrono un esempio di come questo spazio virtuale si sia trasformato in una realtà operativa. Tale processo ha decretato l’affermarsi dell’immateriale sul materiale, per questo i mercati finanziari sono paradigmatici della tendenza in atto nel sistema economico. Innanzitutto lo sfruttamento del linguaggio non solo permette la formazione di una convenzione finanziaria ma fa anche si che venga fissata la valorizzazione della produttività sociale del lavoro. Inoltre la digitalizzazione della produzione ha facilitato lo sviluppo della produzione a lunga distanza tramite catene di subfornitura e anche della divisione del lavoro basato sulla conoscenza. Ne risulta che nei paesi a capitalismo avanzato la creazione di valore è sempre più agganciata a elementi immateriali e simbolici 3. Fumagalli (2007)   Gorz (2003)

2  3


IL CAPITALISMO COGNITIVO

75

Da ultimo, il fitto intreccio tra produzione e finanza si traduce anche nel connubio tra consumo e produzione. Le fasi principali del processo di produzione capitalistico, ossia finanziamento, produzione/accumulazione e realizzazione, tendono a fondersi e a diventare sempre più interdipendenti, pur conservando la specificità propria di ciascuna. Si ricordi che l’utilizzo della conoscenza nell’economia non è una novità dell’attuale paradigma di produzione. Nella storia capitalista si sono succeduti differenti modelli di economie basate sulla conoscenza che hanno seguito nel tempo i cambiamenti delle forme istituzionali vigenti. Ciò che distingue questo paradigma capitalistico è la rilevanza che assume il fenomeno conoscenza, in primo luogo in termini di qualità del suo utilizzo: la conoscenza diventa ora fattore produttivo e oggetto della produzione al medesimo tempo. La conquista della posizione della conoscenza all’interno del capitalismo cognitivo è stata determinata soprattutto dall’aumento del capitale intangibile e dal cambiamento delle condizioni di trasmissione e riproduzione della stessa, dovuto alla diffusione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. L’assetto corrente dell’economia della conoscenza influenza anche il rapporto che si crea tra capitale e lavoro, la regolazione che ne deriva deve essere interpretata utilizzando due forme di sapere: i saperi vivi incorporati nella prestazione lavorativa e i saperi racchiusi nel capitale, sotto forma di capitale fisso o sotto forma di attività e beni immateriali (R&S, brevetti, brand etc.) 4.   Gorz (2003)

4


76

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Il capitalismo industriale, dal punto di vista dell’economia della conoscenza, aveva creato una gerarchia fra due livelli funzionali distinti in base alla divisione del lavoro: la progettazione e l’esecuzione. La progettazione riuniva in sé la dimensione intellettuale, sottraendola del tutto al livello esecutivo, cosicché il lavoro in questo livello diventava sempre più astratto, fino ad arrivare alla separazione fra soggettività del lavoratore e attività lavorativa 5. Con la crisi del modello fordista-taylorista la prospettiva cambia radicalmente: la conoscenza diventa fattore produttivo e tende sempre più ad essere incorporata nel lavoro e nella capacità di apprendimento piuttosto che nei macchinari. L’utilizzo del termine conoscenza in questo contesto attiene all’attività cerebrale e relazionale dell’uomo, va intesa come elemento immateriale che si sostenta delle capacità intellettive e di comunicazione. La conoscenza assume queste caratteristiche nel momento in cui si propaga, diventa conoscenza connettiva o, nelle parole di Marx, general ntellect. Il general intellect, o il “sapere sociale generale” è la forza motrice del nuovo apparato di produzione. Marx sostiene che il capitale riduce la forza lavoro a “capitale fisso”, alla stregua di un macchinario, aggravando la sua subordinazione al processo produttivo. Nella volontà di configurare la subordinazione totale della forza lavoro, si manifesta l’idea che il protagonista del processo sociale di produzione è ora “il sapere   Lebert, Vercellone (2006)

5


IL CAPITALISMO COGNITIVO

77

sociale generale” 6. Nel capitalismo cognitivo la categoria marxiana del generel intellect entra nel processo produttivo come mezzo di produzione, quindi si presenta come una qualità del capitale fisso. Al contempo però il general intellect, essendo conoscenza, è una caratteristica del lavoratore, da esso non scindibile in modo diretto, dunque è anche capitale variabile . Il lavoro cognitivo è un lavoro complesso, la sua natura è intellettuale e richiede processi di apprendimento e formazione continua all’interno e all’esterno dell’attività produttiva, comportando un elevato dispendio di energie e risorse. L’attività cognitiva proprio in quanto espressione del general intellect e creatrice di conoscenza, ha racchiusa in sé una componente di valore. lavoro e nella sua esistenza 7. Il ciclo di vita della conoscenza nella forma capitalistica vigente si distacca completamente dal precedente paradigma fordista-industriale. In quest’ultimo i tempi di creazione della conoscenza erano distinti da quelli di produzione, la creazione di nuove conoscenze faceva affidamento al sistema di istruzione pubblico (old education), le innovazioni erano ancora legate alla genialità di alcuni singoli che solo in un secondo omento trovava applicazione nel sistema produttivo. La nuova conoscenza si diffondeva poi per imitazione fino a diventare obsoleta. Nel capitalismo cognitivo si realizza invece una specializzazione dei percorsi formativi (new education) in grado di creare quella coVercellone (2006)   Marx (1976b)

6  7


78

IL CAPITALISMO COGNITIVO

noscenza sociale che viene immediatamente incorporata nell’organizzazione produttiva 8. Nelle aree a capitalismo avanzato si è instaurato il regime della new education, un esempio evidente è dato dalla riforma universitaria in Italia, che opera una distinzione tra lauree professionalizzanti e lauree specialistiche. Alle prime spetta il compito di fornire la conoscenza codificata, le seconde puntano a sviluppare quelle conoscenze originali, frutto della singolarità di percorsi formativi individuali. Il sistema educativo prevede anche una serie di intermezzi lavorativi organizzati sotto forma di stage, viene quindi a cadere la distinzione fordista tra tempo di lavoro e tempo di studio per entrare nell’ottica di un processo di formazione permanente. Inoltre, differentemente da quanto accade nel modello fordistaindustriale, la conoscenza non raggiunge velocemente lo stato di obsolescenza, ciò può verificarsi a livello settoriale ma la tendenza generale è volta a un continuo accrescimento del patrimonio di conoscenza, dovuto al suo carattere di cumulabilità nel tempo e nello spazio. La creazione di conoscenza non si esaurisce quindi in un determinato momento, il processo di propagazione e accrescimento del general intellect si distribuisce lungo l’intero arco della vita. In tale contesto viene alla ribalta il concetto di capitale umano come fattore produttivo in quanto latore di conoscenza 9. Oggi i rendimenti crescenti della produzione non derivano più   Fumagalli (2007) Idem

8

9


IL CAPITALISMO COGNITIVO

79

dallo sfruttamento delle economie di scala ma dalle economie di apprendimento e della conoscenza attraverso l’accumulazione di capitale umano. Il processo di accumulazione basato sulla conoscenza pone però delle problematiche riguardo alla sua misurabilità dovute al suo carattere di immaterialità e dal fatto che si trovi ovunque. Il general intellect riunisce in sé le facoltà umane del linguaggio e di creazione di conoscenza mediante relazioni sociali, dunque esso è presente ovunque vi siano uomini 10. Occorre quindi individuare quella conoscenza che è funzionale al processo produttivo. L’analisi teorica al riguardo, necessaria per la definizioni di politiche attuabili, non è ancora giunta a dei riscontri definitivi e si concentra in quattro versanti del processo di accumulazione: il regime di proprietà, le determinanti della produttività e della competitività, il rapporto individuo-collettività e la concezione del tempo. Tradizionalmente il concetto di proprietà si è costruito sulla base di beni materiali, la proprietà è personale permette di escludere gli altri dalla fruizione del bene. Il passaggio al capitalismo cognitivo mette in crisi il concetto classico di proprietà. La difficoltà che si incontra è dovuta al fatto che la conoscenza è innanzitutto immateriale, ciò fa si che essa non sia del tutto appropriabile. La conoscenza è inoltre una risorsa sociale, nel senso che trae il suo valore dipende dal circuito sociale che la produce, la diffonde e la rigenera, non è possibile che un singolo   Vercellone (2006)

10


80

IL CAPITALISMO COGNITIVO

individuo se ne appropri escludendo altri utenti della sua fruizione. Al contempo la conoscenza è anche una risorsa personale, frutto di esperienze e considerazioni strettamente individuali, è impossibile espropriarla completamente dal corpo e dalla mente del lavoratore. Il capitalismo cognitivo si è trovato a dover creare una nuova istituzione adeguata ai nuovi meccanismi di accumulazione e produzione, ossia la proprietà intellettuale. L’adozione totale di questo nuova istituzione è un processo ancora in corso. La proprietà intellettuale si dimostra più labile e volatile rispetto a quella riferita ai beni materiali e vede mutare continuamente le condizioni che le permettono l’appropriazione della conoscenza. La forza produttiva che la conoscenza esprime nella prestazione lavorativa non è interamente appropriabile da parte di chi possiede i mezzi finanziari o la proprietà dei mezzi produttivi. Il passaggio alla proprietà intellettuale ha le sue origini nell’avvento della grande fabbrica manageriale fordista. Il capitalismo manageriale anglosassone stabilisce nuove forme di accesso all’accumulazione, non più solamente la diretta proprietà dell’impresa ma anche l’attività di controllo e management . L’esigenza di valorizzazione del capitale ha indotto ad una smaterializzazione della proprietà. Come visto la proprietà azionaria si diffonde fino ad assumere le dimensioni di fenomeno di massa, laddove però la proprietà si allarga, il controllo si concentra in poche mani 11. Il potere nel capitalismo cognitivo non è più assicurato dalla pro  Fumagalli (2007)

11


IL CAPITALISMO COGNITIVO

81

prietà ma dal controllo. Colui che riesce ad esercitare un controllo sui flussi immateriali di conoscenza è in grado di esercitare potere, e quindi di produrre ricchezza. Non a caso il numero di coproprietari dei mezzi di produzione è salito nel momento in cui la proprietà non costituisce più una forma di potere ma al contrario diventa un vincolo che incrementa la dipendenza economica e psicologica dalla logica capitalista. In contrapposizione al concetto di proprietà privata si era precedentemente sviluppato il paradigma alternativo della proprietà pubblica. Le categorie di pubblico e privato appaiono obsolete e inappropriate se si considerano i flussi materiali di conoscenza. Il nuovo paradigma si è orientato al superamento di queste due categorie in favore del concetto di proprietà comune. Ogni tentativo di appropriazione privata risulterebbe infatti un atto illiberale in ragione della sua natura sociale e ugualmente anche l’esercizio di una proprietà pubblica, intesa come esercizio di un diritto sovraindividuale, si configurerebbe come una limitazione alla libertà d’uso individuale. Tali questioni hanno posto le basi per la circolazione di un dibattito sopra la libera circolazione dei saperi. Ora che la proprietà intellettuale sta diventando la base di un nuovo ordine giuridico ed economico si sviluppano in antitesi movimenti per il riconoscimento della conoscenza come patrimonio dell’umanità. Ugualmente, più aumenta la pervasività dei diritti di proprietà intellettuale, più si registra la crescita dei movimenti open source e no-copyright 12.   Fumagalli (2007)

12


82

IL CAPITALISMO COGNITIVO

Per individuare invece le determinanti della produttività in un sistema in cui il motore d’accumulazione è dato dalla conoscenza, occorre analizzare come lo scambio di conoscenza e la sua diffusione incidano sulla produttività e sulla tipologia dei rendimenti generati. In altre parole, è necessario misurare l’intensità della conoscenza, operazione che risulta complessa. Per compiere questa valutazione si utilizzano tre indicatori, ossia i tre drivers della conoscenza precedentemente descritti: l’efficacia, il moltiplicatore e il coefficiente di appropriabilità. All’interno di una filiera cognitiva il rendimento della conoscenza viene espresso come somma di questi tre fattori 13. Sappiamo già che la riproducibilità della conoscenza si accompagna a dei costi strutturalmente più bassi rispetto a quella dei beni materiali, anzi spesso i costi tendono ad essere nulli. I rendimenti generati dalla conoscenza sono in virtù di ciò dei rendimenti marginali crescenti. Tali rendimenti sono vincolati dai diritti di proprietà intellettuale, infatti maggiore è il grado di appropriabilità della conoscenza, minore sarà la sua capacità di propagazione e quindi anche la sua produttività. È ormai chiaro che il concetto di produttività della conoscenza esula dal calcolo meccanico del rapporto input/output, la sua non misurabilità ha portato alla proposta di teorie che fanno riferimento al modello biologico di evoluzione, di cui i processi dinamici di apprendimento sarebbero l’elemento centrale. All’interno di questa possibile interpretazione teorica, non potendo   Rullani (2004)

13


IL CAPITALISMO COGNITIVO

83

fare riferimento al concetto classico di razionalità strumentale, è più utile considerare un tipo di razionalità procedurale 14. Similmente a quanto avviene nei mercati finanziari, la produttività della conoscenza sarà definibile a partire dai dispositivi linguistico-comunicativi, ovvero le convenzioni, capaci di determinare la supremazia di certe traiettorie del sapere rispetto ad altre. Connessa alla produttività e da questa influenzata, è la determinazione delle variabili di competitività. Nel capitalismo cognitivo la competitività della conoscenza viene valutata a partire da due diversi livelli: il contenuto cognitivo e il contenuto innovativo dell’attività produttiva. Il contenuto cognitivo riguarda la presenza di elementi immateriali (conoscenza, apprendimento, relazionalità) nel prodotto. La competitività non è più basata solamente su strategie di prezzo, anzi in questo contesto ciò che rende un prodotto competitivo è il suo contenuto immaginario, ovvero i fattori qualitativi e semiotici che vi sono racchiusi. Il bene prodotto è infatti vettore di un certo stile di vita e di un immaginario, non è finalizzato al consumo immediato. L’altra determinante della competitività risiede nel contenuto innovativo del bene da cui dipende la possibilità di aprire nuovi spazi di mercato. Le potenzialità dell’innovazione dipendono dalle caratteristiche del paradigma tecnologico vigente, quello operante è al momento è il paradigma basato sulle tecnologie linguistico-comunicative. In definitiva, oggi più che mai la competitività si basa sullo sfrut  Fumagalli (2007)

14


84

IL CAPITALISMO COGNITIVO

tamento del valore aggiunto creato dal general intellect. Nell’analisi di Marx, il capitalismo come nuovo ordine economico deve necessariamente fondarsi su una forma di cooperazione sociale, la divisione funzionale del lavoro è la forma di cooperazione che è esistita sino a d oggi. La richiesta di cooperazione sociale giunge al massimo grado col regime capitalista cognitivo, tanto che nel processo produttivo non è più riconoscibile l’apporto dei singoli. Il processo di produzione cognitiva si origina in una struttura reticolare di flussi immateriali e di relazioni sociali generati dalla cooperazione sociale. La produttività individuale non è facilmente misurabile, è preferibile in questo contesto rilevare il grado di interdipendenza che un elemento sviluppa con gli altri nodi della rete. Il concetti produttività individuale lascia il posto a quello di produttività sociale o colletiva. In sintesi nel capitalismo cognitivo la dicotomia individuo-collettivo è destinata ad estinguersi, essendo la produzione di natura sociale e fondata sul general intellect , ogni riferimento all’ambito produttivo si traduce in un riferimento a ciò che è “comune” 15. L’ultimo aspetto problematico considerato, derivante dal processo di accumulazione basato sulla conoscenza, è la concezione del tempo. Il bene conoscenza è strutturalmente connaturato al tempo. La sua creazione, lo sviluppo e il suo degradamento sono segnati dal tempo. Le conoscenze si costruiscono nel tempo secondo   Fumagalli (2007)

15


IL CAPITALISMO COGNITIVO

85

un percorso di cumulazione che non è casuale, ma che si crea un passo dopo l’altro, disegnando ad ogni successivo incremento una traiettoria. Il processo di accumulazione del capitalismo cognitivo è quindi “path dependent”. Esso è per natura un processo dinamico che si muove lungo un continuum in cui non è possibile individuare una successione temporale di fasi, viene così a cadere la distinzione in voga nella scienza economica tra breve e lungo periodo 16. Ma c’è un’altra distinzione temporale che si sfalda nel capitalismo cognitivo: quella tra tempo di produzione (lavoro) e tempo di non produzione (non lavoro). La conoscenza, in quanto frutto delle facoltà umane cerebrali e di relazione, non può essere circoscritta in determinati orari poiché dipende dall’attività esperienziale e di relazione che può verificarsi in qualsiasi momento della vita. La dimensione temporale della produzione varia in un intervallo tendenzialmente infinito e buona parte dell’attività lavorativa, essendo costituita da attività relazionali linguistiche, non è più circoscrivibile all’interno dello spazio fisico di produzione (fabbrica, ufficio etc.). Paradossalmente statistiche odierne dichiarano che la giornata lavorativa media si è accorciata, mentre aumenta il tempo liberato dal lavoro, ciò sembra essere in netto disaccordo con le osservazioni appena formulate. Secondo Marazzi il tempo che tende a diminuire è quello taylorista che regola la produzione materiale, che non rappresenta più il   Fumagalli (2007)

16


86

IL CAPITALISMO COGNITIVO

corpo del processo produttivo, e sul quale ancora si concentra il controllo dei salari. Parallelamente compaiono però nuovi tempi: tempi di relazione, tempi di formazione, tempi di coinvolgimento in progetti d’innovazione ed altri ancora 17. Ne consegue che si riduce il “tempo della macchina separata dal corpo del lavoratore” mentre aumenta in modo esplosivo il tempo vivo linguistico-relazionale” . È evidente che il tempo della prestazione lavorativa coincide con l’intero arco della vita, è la vita stessa dei singoli ad essere messa a lavoro.

Marazzi (2002)

17


II.IV Comunicazione e identità La fase della produzione implica l’esistenza di un momento di vendita che, se si realizza, permette la realizzazione di un profitto monetario. L’ottenimento di un profitto monetario sui mercati di sbocco è strutturalmente incerto e per questo sono stati creati dei dispositivi per diminuire l’indeterminatezza della realizzazione. Tali dispositivi sono volti a regolare le dinamiche della domanda interna, della domanda estera e della domanda pubblica 1. A questi si aggiunge il dispositivo forse più efficace: l’induzione psicologica al consumo tramite meccanismi di convincimento mediatico. La crisi del capitalismo industriale ha riguardato anche il versante della realizzazione monetaria, le tre variabili che permettevano la sua attuazione (domanda pubblica, domanda estera, domanda interna) vengono meno. Questa crisi si presenta quindi come una saturazione della domanda di consumo materiale, in cui crollano i presupposti per una crescita continua della produzione nel tempo. Tale situazione non è causata da fattori esogeni, piuttosto appare connaturata alla fase espansiva del nuovo paradigma capitalista. Infatti, non può ancora dirsi completato il passaggio dal sistema fordista a quello del capitalismo cognitivo, pur essendo vicini alla fine della transizione. Nel capitalismo cognitivo alla crisi della domanda pubblica fa   Fumagalli (2007)

1


88

IL CAPITALISMO COGNITIVO

fronte la valorizzazione finanziaria. Come già abbiamo discusso, le plusvalenze generate dai mercati finanziari hanno effettivamente svolto la funzione di moltiplicatore della domanda, similmente alla spesa pubblica in deficit nel capitalismo industrialefordista. Dalla seconda guerra mondiale sino alla fine degli anni Sessanta, il commercio internazionale di beni ha vissuto una fase di grande dinamicità, che ha generato elevati tassi di crescita della domanda estera e al contempo, ha favorito strategie di trasferimento tecnologico nei paesi limitrofi, permettendo l’adeguamento della produttività del lavoro in tempi rapidi 2. Queste condizioni non si verificano con la stessa intensità nel capitalismo cognitivo, o addirittura non si verificano affatto. Negli ultimi venti anni i tassi di crescita del commercio internazionale hanno registrato un trend altalenante dovuto a una molteplicità di fattori, ricordiamo la saturazione dei mercati dei beni di consumo, l’instabilità delle transazioni internazionali dovuta all’adozione di un regime di tassi flessibile, l’insorgenza di vincoli ambientali e la polarizzazione dei redditi che ha avuto come conseguenza la depressione della domanda dei beni di consumo sia a livello nazionale che internazionale. Poi, il passaggio dalle tecnologie meccaniche a quelle linguistiche e di comunicazione ha complicato il trasferimento delle stesse verso i paesi che ne erano sprovvisti. Le tecnologie meccaniche infatti sono più facili da riprodurre e contestualizzare mentre lo sfruttamento delle ICT richiede che vi sia un tessuto sociale 2

Fumagalli (2007)


IL CAPITALISMO COGNITIVO

89

dotato di competenze professionali diffuse e capacità di apprendimento, condizioni che non sono ancora presenti nei paesi di nuova industrializzazione 3. Nel capitalismo cognitivo si ha inoltre una sostituzione del commercio di beni fra paesi produttori differenti con il commercio interno ad una filiera, cioè con lo scambio di beni di investimento all’interno dei grandi gruppi multinazionali. Il risultato è la depressione delle dinamiche del commercio internazionale. Il vero motore della realizzazione monetaria nel capitalismo cognitivo è la comunicazione. Anche nel capitalismo di stampo fordista la comunicazione, principalmente sotto forma di pubblicità, ricopriva un ruolo strategico di grande importanza ma l’azione pubblicitaria e di marketing erano nettamente separate dalla fase della produzione. Al contrario nel capitalismo cognitivo produzione e comunicazione sono strettamente collegate, la comunicazione infatti indirizza e definisce la produzione 4. Il consumo svolge il ruolo di intermediario fra produzione e comunicazione. Considerando che il rapporto fra domanda e offerta si è invertito rispetto al capitalismo industriale (in cui l’offerta determinava la domanda) è preferibile partire dal consumo per discutere il rapporto tra comunicazione e produzione. La realizzazione monetaria, come i mercati finanziari, sviluppa convenzioni di comportamento cosicché l’atto del consumo diventa espressione di appartenenza al senso comune e una forma   Fumagalli (2007)   Codeluppi (2006)

3 4


90

IL CAPITALISMO COGNITIVO

di partecipazione dell’opinione pubblica. Emblema della comunicazione è oggi la pubblicità, in grado di ricoprire qualsiasi spazio e ogni momento della giornata. La pubblicità stessa è diventata flessibile e sempre più specializzata, qualità che le permette di rivolgersi all’estrema varietà di utenti, rendendola capace di rispondere alla specificità di ogni categoria. Anche nel secondo dopoguerra la pubblicità invadeva la vita delle persone e il marketing sorgeva in quel periodo come l’arte del convincimento all’acquisto di una merce, che doveva risultare particolarmente adatta a soddisfare un bisogno, reale o indotto che fosse. Nel paradigma cognitivo invece, la pubblicità si pone come fine la valorizzazione del sé (non della merce) tramite l’acquisto di un prodotto o di un servizio. La pubblicità abbandona il campo d’azione dei bisogni e diventa proiezione dei sogni propri di ogni individuo 5. Il capitalismo cognitivo si caratterizza per la produzione di beni immateriali, cioè di simboli e segni, ne consegue che la valorizzazione del capitale e la realizzazione monetaria dipendono dall’acquisto di immaginari. La realizzazione si basa sulla creazione di immaginari ad hoc, la differenza diventa fonte di valore e crea l’illusione di poter operare una scelta individuale in un contesto di controllo sociale crescente. Le nuove tecnologie flessibili hanno reso possibile una grande differenziazione della produzione, con gamme di prodotti sempre diverse e nuove che hanno ampliato la possibilità di   Carmagnola (2002)

5


IL CAPITALISMO COGNITIVO

91

scelta del consumatore, ma tra merci già date 6. La differenziazione si rende sempre più necessaria poiché la realizzazione monetaria non fa più affidamento sull’estensione quantitativa delle economie di scala fordiste ma deve piuttosto puntare su un aumento del tasso di sostituzione delle merci. Proprio per questo motivo il ciclo di vita del prodotto è studiato per essere sempre più breve, per permettere una sempre più rapida sostituzione del vecchio col nuovo. Questa continua e veloce sostituzione del vecchio da parte del nuovo e il notevole assortimento di merci non comporta un’accresciuta possibilità di scelta, al contrario, attua una sofisticata forma di controllo sociale. La repentinità nel cambiamento di comportamenti e mode della massa viene a costituire un fattore determinante per la realizzazione monetaria. Si concretizza un ulteriore rovesciamento rispetto alla logica fordista: in quest’ultimo era l’organizzazione del lavoro a dover essere standardizzata e rigida, nel capitalismo cognitivo è invece la dimensione del consumo, ovvero la massa di clienti che deve uniformarsi ai processi indiretti di controllo sociale e ciò avviene attraverso forme comportamentali standardizzate (seppur appaiono come possibilità di valorizzazione individuale del sé) 7. La realizzazione monetaria conclude, per il momento, l’analisi del ciclo di accumulazione proprio dell’attuale fase capitalistica. Le peculiarità fortemente innovative non si esauriscono affatto   Mouhoud (2006)   Fumagalli (2007)

6 7


92

IL CAPITALISMO COGNITIVO

nelle tematiche considerate, tuttavia queste sono di per sé sufficienti a rivendicare una netta rottura col passato e a giustificare l’esigenza di riconoscere l’instaurarsi di un nuovo paradigma capitalistico, quello cognitivo.


Capitolo III La svolta biopolitica dell’economia

Qui non s’accontentano più del mio lavoro e della mia intelligenza: vogliono la mia testa, le mie braccia, il mio corpo, la mia vita. M. Landini

III.I Come cambia il lavoro Il profilo del capitalismo cognitivo finora delineato lascia già intuire l’estrema peculiarità delle sue fondazioni, tale da minacciare la prosecuzione del regime economico e sociale affermatosi con lo sviluppo della società industriale 1. Il passaggio dal paradigma capitalista fordista a quello cognitivo si sta realizzando sulla scia di una serie di trasformazioni che riguardano le modalità di valorizzazione del capitale, l’organizzazione della produzione e del lavoro. A monte di tali cambiamenti sono da rintracciarsi il peso crescente della conoscenza come principale forza trainante del processo produttivo e l’aumento della quota di capitale intangibile 2. Chicchi, Roggero (2009)   Vercellone, Lebert (2006)

1  2


94

IL CAPITALISMO COGNITIVO

L’entità della metamorfosi che scuote lo spirito del capitalismo sta guidando anche ad un’evoluzione delle principali categorie concettuali proprie dei saperi moderni, primo fra tutti l’economia politica 3. In questa sede si è scelto di procedere ad un’osservazione più attenta di alcune dinamiche che hanno riguardato la categoria del lavoro per l’importanza delle trasformazioni che l’hanno investita e per la centralità del tema nel prefigurare un possibile nuovo modello di società emergente. La gestione manageriale del lavoro in epoca fordista mirava a una dequalificazione dei lavoratori, ad una continua parcellizzazione delle mansioni mirata a rispondere in maniera adeguata ai tempi e alle esigenze della produzione. L’industria taylorista “formava” i propri lavoratori spogliandoli completamente delle conoscenze e delle pratiche apprese nella vita quotidiana di modo che si ponessero passivi e obbedienti di fronte alle richieste della macchina industriale 4. Il nuovo spirito capitalista richiede alle persone al momento dell’entrata nel mondo del lavoro, che queste portino con sé le esperienze del proprio vissuto, la loro capacità relazionale e comunicazionale, la propria immaginazione e le loro idee. Si verifica un rovesciamento nella concezione della natura del lavoro: da mansioni parcellizzate eseguite da uomini-automi a lavoratori che eccedono e scavalcano le mansioni prescritte per mezzo della loro creatività, della loro iniziativa e competenza.   Chicchi, Roggero (2009)   Gorz (2003)

3 4


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

95

Anche il lavoro quale fattore di produzione dell’economia della conoscenza vigente assurge alla dimensione cognitiva. Le qualità che caratterizzano i lavoratori cognitivi, al di là della conoscenza che posseggono incorporata in sé, sono quelle comunicative e relazionali, prima escluse dai processi produttive ed ora fonte di creazione di valore per il capitale 5. Accanto a queste vengono mobilitate ulteriori qualità come il comportamento, la sensibilità, la capacità di coinvolgersi ovvero caratteristiche più propriamente emozionali ed affettive. La presenza attiva di tali caratteristiche nello svolgimento delle mansioni lavorative era ovviamente indispensabile anche in passato, quello che differenzia l’uso che il capitalismo cognitivo fa di esse è l’intensità del loro sfruttamento e della loro valorizzazione. Prima si assisteva al mantenimento di un certo distacco, anche in senso fisico, dall’oggetto del proprio lavoro mentre ora proprio la partecipazione e il coinvolgimento al lavoro costituiscono la base per valutarne risultati e produttività. I sentimenti e l’immaginazione non sono più destinati ad essere rimossi bensì se ne incoraggia l’utilizzo, in particolare la capacità di intuire ed interpretare i bisogni dell’altro è diventata centrale e guida l’espansione capitalista nella ricerca di possibilità e situazioni non ancora sfruttate. 6 La forma che il lavoro sta assumendo comporta delle difficoltà circa la descrizione delle mansioni e dei relativi risultati da perseguire secondo criteri oggettivi. Il nucleo dell’attività lavorativa, come già visto, è la creatività della persona, la sua versatilità di   Gorz (2003)   Fumagalli, Morini (2009)

5 6


96

IL CAPITALISMO COGNITIVO

fronte a imprevisti, il suo patrimonio di conoscenze ovvero la sua soggettività. Ridurre la soggettività a una serie di prescrizioni che siano valide per una collettività di individui è un’operazione impossibile. É certo possibile riconoscere un quadro di riferimento in cui siano ravvisabili delle indicazioni generali circa i compiti da eseguire e le modalità di attuazione di questi, non riuscirà però a circoscrivere la complessità del soggetto umano messo a lavoro. Ma è questo surplus individuale, quella capacità di scavalcare le prestazioni ad essere richiesta e ricercata come fonte di valore. Ne consegue anche l’irrea-lizzabilità dei tentativi di misurazione della prestazione lavorativa dei singoli per mezzo dei criteri tradizionali, inadeguati a valutare il contributo dei lavoratori nei processi produttivi dell’immateriale 7. A tale difficoltà i dirigenti delle imprese hanno reagito introducendo dei meccanismi di gestione per obiettivi che legano i lavoratori al raggiungimento di determinati targets. I lavoratori di fronte alle mete prefissate, dovranno mettere in campo non solo le capacità professionali ma anche ciò che hanno appreso dal vissuto quotidiano, la loro reattività a difficoltà impreviste, l’inventiva e l’insieme delle risorse personali utili al perseguimento dell’obiettivo. L’attitudine al problem solving e la mobilitazione delle facoltà intellettuali e delle competenze derivanti dal retroterra culturale e sociale dell’individuo diventano quindi i principali indicatori riguardo la qualità della prestazione di lavoro 8. Sin dalla sua comparsa, il sistema capitalista ha coinvolto nel  Gorz (2003)   Fumagalli, Morini (2009)

7 8


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

97

la misura del lavoro, la dimensione temporale, funzionale a una concezione del lavoro quale grandezza omogenea e dunque facilmente rilevabile. Nell’impresa capitalista il lavoro è percepito come una quantità di energia spesa in un tempo dato, l’unità temporale è quindi assunta come base per la stima “del valore della produzione e della remunerazione del lavoro in funzione del tempo passato” 9. Similmente a quanto affermato per le mansioni, l’unità di tempo di produzione è un’unità di misura incapace di racchiudere in un segmento di tempo predefinito l’attività del lavoratore cognitivo. Considerata l’identità fra le prestazioni cognitive e l’essenza delle facoltà umane, il tempo di produzione corrisponderebbe al tempo in cui il lavoratore impegna le sue facoltà descritte, ossia la sua vita quotidiana. Il tempo del lavoro nel capitalismo cognitivo dunque si espande, fino a coincidere con lo spazio temporale dell’esistenza del soggetto. In merito, è manifesta la lontananza tra il modello capitalista fordista e quello cognitivo: il primo operava sulla base di una netta distinzione fra il tempo libero e il tempo del lavoro, rigorosamente definito assieme alle mansioni, il secondo si occupa di capitali intangibili e si confronta con l’incommensurabilità del tempo e del valore prodotto 10. Le trasformazioni che permeano il mondo del lavoro sono da interpretare all’interno di un processo di rivisitazione che riguarda non solo le modalità di produzione ma anche la stessa organizzazione dell’impresa e il suo modo di concepire l’attività produtti  Vercellone (2009), cit. pag. 36   Fumagalli (2006)

9

10


98

IL CAPITALISMO COGNITIVO

va. Tale profonda ristrutturazione dell’apparato capitalista segue la presa di coscienza che la crisi, presentatasi all’inizio degli anni Settanta, non era attribuibile a particolari circostanze politiche, non aveva natura congiunturale bensì strutturale. L’impresa capitalista cercò dunque una via d’uscita a questo momento di stasi che trovò nel passaggio dalla mass production alla lean production, dalle economie di scala alle economie di scopo. Al di la di questi slogan, la riconversione del sistema è consistita in un adeguamento ad un contesto di crescente concorrenza internazionale e ad un mercato ormai saturo di beni standardizzati e prodotti in serie. L’impresa si è quindi mossa nella direzione di uno snellimento sia del suo apparato burocratico, divenuto eccessivamente ingombrante, sia del corpo della forza lavoro (soprattutto la manodopera non qualificata) sostituita da una consistente automazione dei processi. Anche le dimensioni delle imprese, il suo apparato di macchinari deve essere alleggerito, si diffonde allora la pratica del use it, don’t own it 11, che sostituisce il possesso dei mezzi e delle strutture di produzione con pratiche di noleggio, di modo che ci si possa facilmente liberare di questi nel momento in cui cambino le esigenze e gli obiettivi di uno stabilimento di produzione. Tali fenomeni raccolti sotto la denominazione di downsizing, riflettono l’esigenza delle aziende di rispondere efficacemente e in tempo reale ai repentini cambiamenti del mercato. Altra significativa tendenza in corso negli anni Ottanta e Novanta è quella dell’outsourcing, cioè del decentramento produttivo di alcune fasi della produzio  Marazzi (2005)

11


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

99

ne (principalmente i segmenti ad alta intensità di manodopera, per lo più non qualificata) verso imprese esterne con lo scopo di abbassare i costi e le rigidità di produzione 12. Nel frattempo si andava modificando anche la struttura della domanda: la crescita dei salari aveva comportato una saturazione della domanda dei beni primari standardizzati cui seguì una maggiore attenzione alla differenziazione e alla qualità dei prodotti. Le esigenze dei consumatori, sempre più improntate alla varietà e alla poliedricità, si orientarono verso un crescente uso di beni immateriali 13. La serie di trasformazioni intervenute sono allo stesso tempo attraversate da una vera e propria rivoluzione tecnologica, sostenuta dall’implementazione delle ITC, che hanno contribuito in maniera sostanziale alla transizione verso un nuovo sistema di ordine economico e sociale. Il quadro di trasformazioni che si è voluto ricomporre per sommi capi, si costruisce intorno al concetto imperante di flessibilità. Questa nuova linea direttrice è indicata come risposta universale alle esigenze scaturenti dai cambiamenti economici nello scenario internazionale e si concretizza nei vari contesti sotto forma dei processi di riduzione del capitale fisso, della struttura fisica delle grandi aziende (frammentata in unità disperse sul territorio globale) ma soprattutto del loro personale. L’esito congiunto di tali dinamiche è stata la riduzione dei posti di lavoro e la metamorfosi della condizione lavorativa. La stabilità legata alla categoria del “posto fisso” a tempo pieno viene frantumata in nome   La Rosa (2005)   Mohoud (2006)

12 13


100

IL CAPITALISMO COGNITIVO

della flessibilità e dilagano le varie forme di contratto flessibile: il lavoro interinale, le prestazioni occasionali, le collaborazioni a progetto etc. La condizione del lavoratore si caratterizza allora per una maggiore incertezza e precarietà da un lato, mentre dall’altro si creano nuovi spazi di autonomia e discrezionalità nell’ambito lavorativo. Il capitalismo fordista, dovette fronteggiare la crisi anche sul versante sociale e politico, dovendosi confrontare con le critiche che gli venivano mosse dai grandi movimenti di massa alla fine degli anni Sessanta. Le critiche si snodavano in un duplice senso: in prima istanza si biasimavano lo sfruttamento, le disuguaglianze economiche, la distribuzione del valore aggiunto, la distruzione dei rapporti di solidarietà in favore dell’individualismo (di questa corrente è simbolo per eccellenza il movimento operaio), in seguito si sviluppò un attacco all’attitudine conformista e autoritaria del capitalismo, in particolare ci si opponeva alla tendenza a mercificare ogni cosa, all’omogeneizzazione della società e alla disciplina, esaltando al contrario l’originalità, la libertà e la creatività. I due sociologi francesi Chiappello e Boltanski hanno rispettivamente denominato “critica sociale” e “critica d’artista” queste due forme di contestazione del capitalismo. Questa dimensione della crisi è stata affrontata con vigore dal corpo del management, cui spetta di trovare delle soluzioni in cui gli individui all’opera nel sistema capitalista possano riconoscersi e che soprattutto giustifichi e motivi la loro adesione al modello economico e sociale dominante 14. Gli anni Ottanta vedono così   Boltanski (2002)

14


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

101

impegnati i manager nel coordinamento di una serie di cambiamenti aventi come fine quello di ristabilire il dominio capitalista nell’organizzazione del lavoro. I nuovi metodi manageriali, che si affiancano e sono simmetrici alla riorganizzazione della produzione, si costruiscono attorno ai concetti della meritocrazia, della gestione per obiettivi e della decentralizzazione. Il management per obiettivi permette di concedere quell’autonomia reclamata dalle masse, al contempo il decentramento del potere decisionale smantella il potere delle ingenti burocrazie a favore dei lavoratori dipendenti, investiti così di un maggior senso di responsabilità. Inoltre la gestione per obiettivi prevede l’organizzazione per team e soprattutto l’assegnazione di premi o promozioni per il raggiungimento di un target prescritto, ciò costituisce agli occhi dei lavoratori un criterio di valutazione più affidabile e razionale rispetto alla discrezionalità personale, che apre la strada alla possibilità di avanzare nella propria carriera. L’allargamento di tali modalità d’organizzazione prima riservate alle élites di dirigenti alle masse di lavoratori, soddisfa in un primo momento l’esigenza di una maggior indipendenza, del miglioramento delle condizioni lavorative e aumentano in genere il grado di soddisfazione per il proprio lavoro. É indubbio che a seguito di tali riforme cresca l’autonomia organizzativa dei lavoratori e che vi sia anche un arricchimento sostanziale delle mansioni, ma rimane rigido e vigile il controllo dell’azienda. L’autonomia guadagnata rimane infatti circoscritta dalla prescrizione dettagliata della prestazione e dagli obiettivi, stabiliti ad un livello organizzativo più alto e conformi


102

IL CAPITALISMO COGNITIVO

alla politica decisa dall’azienda; il capitalismo è così riuscito con successo ad interiorizzare la critica e ad inquadrarla in nuovo sistema di dominio che trae vantaggio dallo sfruttamento di una forza-lavoro soddisfatta e maggiormente motivata 15. La concorrenza sui mercati mondiali si esaspera negli anni Novanta, soprattutto dopo la rapida ascesa di nuovi giganti industriali nell’orizzonte asiatico (Giappone, Corea del Sud, Hong Kong, Singapore, Taiwan e in seguito India e Cina) e l’attenzione ai temi della flessibilità, dell’adattamento ai cambiamenti raggiunge toni quasi ossessivi. Il management enfatizza ulteriormente il ruolo dei gruppi di lavoro e si incentivano gli individui a una sempre maggiore creatività e versatilità per rimanere competitivi sul mercato globale. L’impresa prosegue frattanto alla sua trasformazione strutturale nel senso di un dissolvimento del suo assetto gerarchico, pubblicizzato dai manager come l’affermarsi di principi di equità e rispetto per le libertà individuali. L’organizzazione verticale delle relazioni di potere interne all’impresa, si distribuisce in senso orizzontale e il suo operare è sempre più simile a quello di un network. L’impresa si presenta come un nucleo centrale in cui sono concentrate le attività che creano vantaggio competitivo che è immerso in un complesso intreccio di relazioni che coinvolgono enti subappaltatori, centri di prestazione di servizi, fornitori commerciali, imprese collaboratrici e forza lavoro variabile a seconda dei diversi livelli di attività richiesti dal mercato. Anche al suo interno si struttura come una rete di rapporti contrattua  Boltanski, Chiappello (2005)

15


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

103

li fluida e mutevole organizzata su principi di cooperazione fra gruppi di lavoro che sono autorganizzati e che si autocontrollano. Il gruppo di lavoro ideale è innovativo, con l’attenzione rivolta al mondo esterno e attento alle esigenze dei consumatori. La disarticolazione verticale delle imprenditoriale, oltre ad aumentare il suo livello di flessibilità ed efficienza, ha favorito una specializzazione della produzione 16. L’impresa è riuscita a migliorare la sua performance grazie alla delega e dislocazione di una serie di compiti ad altri enti ed aziende in grado di ottimizzare il risultato per quel frammento del processo produttivo, ha così potuto godere dei vantaggi della specializzazione. I fenomeni di specializzazione hanno facilitato e promosso una rapida e consistente circolazione delle informazioni e delle innovazioni, ciò ha avuto come conseguenza un accrescimento del livello generale di conoscenze e di abilità gestionale delle situazioni. A ben vedere, il lavoro cognitivo ha necessariamente bisogno di una struttura reticolare per diventare produttivo. In quanto frutto del sapere vernacolare di ciascun individuo, questo tipo di lavoro necessita di una intensa attività relazionale affinché l’azione cerebrale individuale possa essere trasmessa e codificata per fluire poi all’interno di una filiera cognitiva 17. L’impatto positivo della circolazione delle informazioni sulla produttività e sui profitti dell’impresa ha fatto emergere con chiarezza che la vera fonte di valore aggiunto è la conoscenza, nelle sue diverse inclinazioni da interpretare e ricombinare per guadagnare terreno sui mercati, o   Boltanski, Chiappello (2005)   Fumagalli (2006)

16 17


104

IL CAPITALISMO COGNITIVO

in altri termini la capacità di “manipolare simboli” 18. Da qui la necessità di mettere a lavoro le conoscenze dei singoli lavoratori, da quelle codificate, a quelle tacite sino a quelle più intime e personali. Come si è illustrato, lo sfruttamento di tali capacità coincide con un forte livello di coinvolgimento personale che in gergo manageriale si traduce in “motivazione” che diverrà sempre di più oggetto di attenzione per i manager 19. Il principale ostacolo che sorge in tale contesto è dato dalla difficoltà di conciliare la flessibilità/precarietà dei lavoratori dipendenti con la volontà di appropriarsi delle loro conoscenze, difatti la circolazione dei saperi meglio si realizza in un contesto di stabilità caratterizzato da forti strutture sociali, mentre la mobilità dei soggetti che creano il gruppo la intralcia 20. Per superare tale difficoltà è stato creato ad hoc il knowledge management, uno specifico ambito di studio manageriale che si prefigge di individuare quali sono i migliori metodi di gestione della conoscenza per ottenere vantaggi e mantenersi in competitivi in una società globale 21. In questo contesto la forza lavoro, intesa come l’insieme di individui dotati di una ricchezza personale e sociale, diviene oggetto degli sforzi intellettuali di molti teorici provenienti da diversi settori del sapere moderno (psicologia del lavoro, sociologia, economia etc.). Si diffonde conseguentemente una terminologia che è ormai entrata nel linguaggio quotidiano e sottolinea la radicatezza dei feno  Reich (1991)   Gorz (2003) 20   Shméder (2006) 21   Profili (2004) 18 19


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

105

meni descritti, si ricordi ad esemplificazione i termini “capitale umano”, “life skills”, “gestione delle risorse umane”.


III.II Lo strano caso del manager dislessico La letteratura manageriale ci offre una descrizione della figura del manager ideale quale avrebbe dovuto essere nel corso degli anni Novanta. Lontano dagli schemi gerarchici, egli non si presenta come un capo, piuttosto come un leader e tale carica gli spetta in virtù della sua capacità di vedere oltre la realtà presente, di trascenderla per trovare un fine ultimo che rappresenti un bene comune e che dunque garantisca il coinvolgimento dei lavoratori senza alcuna forzatura da parte della classe dirigente. I manager sarebbero dunque dei leader collettivamente riconosciuti in ragione della “visione” che essi posseggono che ha la virtù di riempire di significati il lavoro che ciascuno svolge e dunque dona la possibilità ai singoli di far sbocciare le loro capacità e aspettative di esseri umani 1. Al di là di quanto indicato dalla letteratura manageriale, che si connota per un tono spesso più prescrittivo che descrittivo, l’operato dei manager negli anni Novanta ci offre un’immagine della realtà meno elegiaca. In questi anni l’attività manageriale è stato oggetto di attenzione a causa di comportamenti delinquenziali, principalmente irregolarità contabili e vere e proprie frodi, intensificate man mano che il processo di finanziarizzazione si radicava nell’economia mondiale. L’immagine del manager corrotto dalla finanza acquisisce la massima visibilità con il caso Enron, il più grande fallimento della storia americana e al contempo l’impresa modello più decantata da ogni manuale   Boltanski, Chiappello (2005)

1


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

107

di management per la sua capacità innovativa. Lo scandalo che si nasconde dietro il crollo di questo impero finanziario coinvolge tutti i fenomeni più tipici che hanno caratterizzato il capitalismo negli ultimi dieci anni: la liberalizzazione energetica, la crescita dei fondi pensioni, dell’importanza di Internet e il boom dei prodotti derivati 2. Si è discusso finora di come il mondo manageriale abbia adattato la sua linea d’azione nella gestione della forza lavoro in risposta ai cambiamenti che hanno investito l’attività lavorativa nel capitalismo cognitivo. È curioso osservare come negli ultimi anni sia emerso un fenomeno che riguarda i manager e che potrebbe essere inteso come una svolta antropologica della professione del manager, simmetricamente a quanto è successo alla figura del lavoratore dipendente, ci si riferisce cioè alla dislessia dei manager 3. La rivista economica e finanziaria “Fortune” ha pubblicato nel 2002 un articolo sulla dislessia, disturbo che affliggerebbe circa il 20% della popolazione americana, fra i soggetti compresi in tale percentuale un gran numero consisterebbe di manager. Dalla rivista sono stati intervistati i cosiddetti dyslexic achievers, ossia i dislessici che hanno raggiunto il successo, i quali affermano che la loro fortuna sia il risultato proprio dell’interazione positiva fra l’agire dislessico e il particolare assetto dell’economia contemporanea 4. In breve, la dislessia si presenta come una difficoltà nell’apprendimento, o più precisamente, un problema   Rampini (2001)   Marazzi (2005) 4   Morris (2002) 2 3


108

IL CAPITALISMO COGNITIVO

connesso alle modalità classiche di apprendimento che prevedono in primo luogo la lettura e la scrittura. La causa responsabile della comparsa della dislessia nei soggetti non è ancora stata individuata con certezza. Il disturbo si manifesta poi in forme ed intensità differenti, tanto da non poter affermare che esista un individuo dislessico uguale ad un altro. La principale caratteristica di un soggetto dislessico è che egli pensa prevalentemente attraverso immagini che rappresentano concetti e parole, generalmente le persone pensano invece attraverso una concettualizzazione verbale, vale a dire in associazione coi suoni delle parole. Il pensiero verbale ha la caratteristica di essere lineare nel tempo, si costruisce seguendo la struttura consequenziale del linguaggio, ciò significa che le frasi vengono concepite dalla mente una parola dopo l’altra con la stessa velocità con cui un discorso viene pronunciato. I soggetti dislessici sfruttano una modalità di pensare che è evolutiva, nella loro mente si crea un immagine che cresce e si arricchisce con l’aggiungersi di nuovi concetti, questa costruzione del pensiero risulta più veloce rispetto al pensiero lineare e verbale. Tale caratteristica rende possibile la spiccata capacità di intuizione dei dislessici. Essi dispongono di un’immediata consapevolezza del “prodotto” scaturito dal pensiero nella sua totalità, si tratta di una comprensione a colpo d’occhio, che riesce a cogliere un concetto nella complessità del suo costrutto e dei suoi elementi senza però riuscire a concepire le fasi del processo con cui un pensiero si crea. La difficoltà che spesso i dislessici provano davanti a una parola scritta che non riescono


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

109

a tradurre in immagine, provoca un disorientamento che spinge la mente a considerare la parola come oggetto in se e per sé, fuori dal contesto e dalla sintassi. Il dislessico attiva così tutti i sensi per osservare nella sua mente la parola quale insieme di lettere da ogni angolatura e prospettiva come fosse un oggetto tridimensionale, egli è cioè capace di attivare a comando uno spostamento della percezione davanti a termini che creano caos nella sua mente 5. La diversità nel funzionamento delle facoltà linguistiche e di apprendimento dei dislessici può costituire un vantaggio sostanziale se relazionato a questo particolare sistema di produzione in cui proprio il linguaggio, le facoltà comunicative e i processi di apprendimento costituiscono la base per la creazione di valore. Il meccanismo innescato dal disorientamento davanti a un testo scritto e il conseguente spostamento della percezione è lo stesso che il dislessico attiva per conoscere i fatti della vita reale e del mondo, ancor prima di imparare a leggere. Egli sposta i sensi attorno ad un fenomeno per avere visioni multiple del mondo, riesce così a trarne maggiori informazioni e spesso a prevedere ed anticipare l’evoluzione di fatti ed eventi. É evidente come questa facoltà possa presentarsi come dote imprenditoriale in un contesto globalizzato animato da una pluralità di pratiche economiche complesse, in continua trasformazione e spesso caotiche 6. L’affermarsi della concezione dell’agire dislessico come dote imprenditoriale è verosimilmente interpretabile come frutto   Davis (2003)   Marazzi (2005)

5 6


110

IL CAPITALISMO COGNITIVO

dell’impatto cognitivo delle ultime innovazioni tecnologiche sugli individui. La diffusione delle tecnologie d’informazione e comunicazione hanno prodotto un ambiente in cui tutti i sensi vengono coinvolti e stimolati, in questa percezione più globale della realtà il dislessico si trova maggiormente a suo agio, la sua capacità di riprodurre e sperimentare la realtà nella mente trova sostegno nel funzionamento multimediale delle tecnologie. Anche l’organizzazione dei testi e delle informazioni perde il suo carattere di linearità e consequenzialità con la diffusione delle ITC, gli ipertesti infatti favoriscono una modalità di pensiero non lineare e moltiplicano l’orizzonte di possibilità per gli individui. In questa forma del capitalismo il linguaggio riafferma la sua natura biologica come facoltà umana che coinvolge tutti gli organi del corpo 7. L’abilità dislessica di sperimentare multi-dimensionalmente la realtà nella propria mente è oggi messa a frutto attraverso la cooperazione sociale. Molti dislessici diventano manager in virtù della loro capacità di poter intuire la strategia corretta per mobilitare la forza-lavoro. I talenti dislessici sono dunque elementi costitutivi della più generale facoltà umana del linguaggio che ancora una volta si dimostra operativa nella produzione di valore per il capitale. Questo caso dal gusto paradossale mette in luce come la logica di funzionamento del nuovo capitalismo si basi sull’interiorizzazione di ciò che esula dal contesto prettamente economico, in particolare nella captazione della dimensione antropologica del vivente come forza-lavoro.   Marazzi (2005)

7


III.III Il biocapitalismo Dai caratteri del lavoro nel capitalismo cognitivo che sono stati discussi scaturisce un’osservazione di grande importanza: la relazione tra lavoro e vita si fa sempre più intensa e prossima 1. Si cercherà di qui in avanti di dimostrare la validità di tale affermazione. Come già si è sostenuto lungo il corso di questa trattazione, la prestazione nel lavoro cognitivo coinvolge le capacità relazionali e cooperative, il linguaggio e la comunicazione, le esperienze e i saperi personali dei lavoratori. Questi saperi e capacità non possono essere insegnati né formalizzati, ma sono frutto della vita sociale dell’individuo, di come esso si è costruito nei momenti e nelle situazioni della vita quotidiana. Il bagaglio culturale di una persona dipende da come essa si è sviluppata nel tempo libero dalle attività lavorative: dalle attività ludiche e ricreative, dai contrasti con le altre persone, dai discorsi con gli amici, dagli spazi attraversati, da ogni singolo frammento di quotidianità. Il tempo libero dunque retroagisce sulla produttività del lavoro, incide sulla qualità di quel patrimonio di cultura che è unico e irripetibile per ogni persona 2. Ciò comporta lo “sgretolarsi delle frontiere tra lavoro e non lavoro” 3, l’allungamento dei tempi di lavoro che finisce con identificarsi coi tempi sociali, vale a dire con la tota  Chicchi, Roggero (2009)   Gorz (2003) 3   Vercellone (2009), cit. pag. 35 1 2


112

IL CAPITALISMO COGNITIVO

lità del tempo della vita di una persona. La ricchezza culturale dell’individuo non ha natura individuale ma si origina nell’immersione nel tessuto di relazioni sociali, si costruisce all’interno della società. Il mondo sociale è infatti produttore del General Intellect, 4 o ancora di quel sapere sociale diffuso costruito nel tempo e nello spazio dalle varie collettività e che si trasmette ai singoli soggetti attraverso le forme primarie di socializzazione, il sistema di istruzione e di formazione (che hanno avuto un ruolo centrale nella diffusione di massa dei saperi). Il contesto collettivo non solo offre dei saperi, ma anche la gli strumenti e le categorie di interpretazione e comunicazioni che stanno alla base della formazione di una cultura comune 5. I saperi incorporati nella persona come variabili della produttività non sono completamente riconoscibili a livello individuale ma vanno declinati nella dimensione della cooperazione sociale in cui hanno origine. Il lavoro cognitivo è dunque una continua produzione e trasformazione della stessa vita sociale 6. Non solo, il lavoro cognitivo è anche per il lavoratore una continua produzione di sé. Il lavoro immateriale coinvolgendo, come si è ribadito, le facoltà più quotidiane e personali , coincide infine con una continua attività di trasformazione di sé stessi. É un ininterrotto processo creativo di identità che si sostanzia in una costruzione evolutiva della propria soggettività 7. Marx (1976) Gorz (2003) 6   Fumagalli (2006) 7  Gorz (2003) 4  5


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

113

Con l’instaurarsi del modello capitalistico cognitivo il lavoro sembrerebbe avvicinarsi sempre di più al suo significato più profondo, che lo vede come estrinsecazione di un bisogno umano di operosità, finalizzato non solo ad ottenere le risorse economiche necessarie per il soddisfacimento dei bisogni primari, quanto piuttosto volto alla realizzazione della persona 8. Difatti nel caso in cui la prestazione lavorativa coincida con i caratteri dell’agire umano, la finalità e il senso del lavoro tendono a costituirsi come i mezzi di realizzazione dello stesso essere umano 9. Particolarmente pregnante sembra essere il concetto di “mobilitazione totale” proposto da Combes et Aspe in base al quale il coinvolgimento complessivo delle facoltà umane fa sì che non sia il soggetto lavoratore ad aderire al lavoro, al contrario è il lavoro che aderisce esattamente alla vita della persona 10. Il lavoro nel capitalismo cognitivo è concepito come un’unità indissociabile di corpo, pensiero e sentimento, è perciò corrispondente a “l’essenza stessa dell’uomo” 11. Tali considerazioni sembrano già sufficienti ad avallare l’ipotesi che il capitalismo cognitivo sia una forma di biocapitalismo. Per biocapitalismo si vuole intendere un sistema economico e sociale caratterizzato dallo sfruttamento degli aspetti intimi, relazionali e comunicativi nelle attività di produzione per realizzare plusvalore. La nuova struttura del lavoro permette di avanzare Sarchielli, Fraccaroli (2010)   Fumagalli (2006) 10   Combes, Aspes (2004) 11   Vercellone (2009) cit. pag. 33 8  9


114

IL CAPITALISMO COGNITIVO

l’ipotesi che nel nuovo paradigma capitalista si stia realizzando “l’immediata messa a valore del bios ” 12, ossia del complesso di mente, corpo e conoscenze personali, degli aspetti cioè più esclusivi della vita umana 13. Il lavoro cognitivo è per eccellenza una categoria bioeconomica. Esso infatti consiste per la maggior parte di attività cerebrali immateriali ed il cervello è quanto di più connotativo e incisivo vi sia nella determinazione dell’identità di una persona. Il lavoro si sottrae oggi al tentativo di essere reso omogeneo, proprio perché coincide con i caratteri biologici naturali 14. L’attribuzione della qualità “cognitiva” al modello capitalista contemporaneo è stata voluta per sottolineare la centralità della conoscenza come fulcro della recente metaformosi del sitema produttivo. Il concetto di conoscenza è coniugabile in differenti direzioni, da informazione, a sapere dei singoli fino alla comprensione sistemica, ma che è in ogni caso diretta espressione del bios 15. Il peso crescente del fattore conoscenza è ciò che caratterizza maggiormente la produzione dell’immateriale che, come evidenziato per il settore finanziario, si costituisce attorno al linguaggio ovvero una forma d’espressione esclusivamente umana. In ultima analisi, il capitalismo cognitivo si serve di una struttura reticolare che gli permette di avvalersi della cooperazione sociale con il fine di piegare le facoltà vitali dell’essere umano a suo   Chicchi, Roggero (2009)   Idem 14   Fumagalli (2006) 15   Fumagalli (2007) 12 13


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

115

piacimento per creare valore. Nel paradigma fordista il capitale rappresentava la tensione antinomica fra corpo e macchina, con l’avvento del capitalismo cognitivo tale rapporto si trasferisce all’interno dell’essere umano 16, questo aspetto verrà trattato più dettagliatamente in seguito. Il processo di accumulazione cognitivo postula l’esistenza di meccanismi di controllo sulle vite umane in grado di legittimare il loro utilizzo nelle relazioni economiche. Tali meccanismi di governo sociale e giuridico prendono il nome di biopolitica. Il potere biopolitico, che si sta imponendo simmetricamente al declino del ruolo di mediatore sociale dello Stato, sta compiendo il suo dominio mediante l’asservimento del capitale umano alla della dimensione economica 17. Le modalità in cui la biopolitica esplica il suo potere si distaccano da quelle tradizionali radicate nell’autorità e nella sovranità, al contrario la biopolitica maschera la sua egemonia con i toni della benevolenza che le conferiscono un aspetto maggiormente umanizzato. Si è già visto come i cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro siano stati pubblicizzati come una conquista per i lavoratori, addirittura come la generosa possibilità offerta a chiunque di potersi finalmente realizzare nell’attività lavorativa. L’arricchimento delle mansioni, la maggiore autonomia organizzativa dei lavoratori, la possibilità di adattare gli orari di lavoro alle proprie esigenze hanno però avuto come contropartita l’allungamento dell’effettiva giornata lavorativa, l’intensificarsi   Idem Chicchi, Roggero (2009)

16

17


116

IL CAPITALISMO COGNITIVO

dell’incertezza del posto di lavoro e quindi l’indebolimento dei legami sociali e dell’unità della forza lavoro. La biopolitica offre in abbondanza spazi di libertà apparente, dove il soggetto coinvolto crede di poter potenziare ed esprimere la propria creatività e le proprie capacità personali, magari scegliendo percorsi di formazione e opportunità di prestazione a lui più congeniali 18. Questa pretesa di liberazione della persona umana può essere facilmente svelata nel momento in cui si consideri che la facoltà di scelta è costretta all’interno di un range predefinito di opportunità, le quali vengono selezionate sulla base di criteri rispondenti ai bisogni delle imprese e che in maniera alcuna sono progettate per incontrare i desideri dei lavoratori. Si consideri inoltre che la gestione del lavoro è organizzata in maniera tale da poter estrapolare dalla figura umana ogni singola espressione del suo essere, oltre le sue competenze professionali, che possa generare profitto per le imprese. Occorre sottolineare che il capitalismo e il suo management non hanno ancora trovato degli adeguati dispositivi di controllo della risorsa umana. Causa di tale incompiutezza è da rintracciare nelle contraddizioni di fondo che animano il capitalismo cognitivo e che non hanno ancora reso possibile la completa strumentalizzazione della vita umana. Al riguardo basti accennare ai problemi sorti intorno al costituirsi dei cosiddetti “diritti di proprietà intellettuale” in opposizione alle tesi di libera circolazione dei saperi oppure l’impossibilità di misurare oggettivamente la produttività individuale del lavoro. Si evince in generale la problematicità del   Idem

18


LA SVOLTA BIOPOLITICA DELL’ECONOMIA

117

tentativo di appropriazione privata di ciò che ha natura comune o meglio, del contrasto tra i processi che riguardano la mobilitazione delle persone e quelli che invece hanno a che fare con la logica impersonale dei mercati 19.

Chesnais (2006)

19


Conclusioni

Verso un modello antropogenetico di produzione Sono numerosi gli autori che riconoscono il progressivo instaurarsi di un sistema biopolitico e bioeconomico. Tra i diversi contributi che contribuiscono a sostenere la tesi biocapitalistica, sembra di particolare interesse l’ipotesi avanzata dall’economista Christian Marazzi circa la transizione verso un modello antropogenetico di produzione che qui si è scelto di introdurre. La scelta di tale denominazione è imputabile alla volontà di enfatizzare la centralità dell’anthropos nei processi produttivi e configura un modello di produzione “in cui i fattori di crescita sono di fatto imputabili direttamente all’attività umana” 1. Marazzi individua alcuni tratti distintivi del nuovo regime economico che riconosce come indispensabili per la definizione del modello antropogenetico, in breve: la diffusione delle nuove tec  Marazzi (2005) cit. pag. 110

1


CONCLUSIONI

119

nologie di informazione e comunicazione, il predominio della dimensione immateriale dei prodotti e dei processi economici e quindi la contrazione dell’economia in termini fisici, l’importanza strategica della capacità produttiva della conoscenza e la riorganizzazione dei fattori di produzione che ne segue. É attraverso un’indagine sulla qualità del nuovo rapporto tra capitale fisso e capitale variabile che prende forma l’ipotesi del modello antropogenetico di produzione 2. L’originalità dell’approccio consiste nella constatazione che attualmente l’essere vivente, ricomprenda in sé sia la funzione del capitale costante che del capitale variabile 3. Il capitalismo fordista esprimeva una rigida separazione tra il capitale costante, comprendente l’insieme dei mezzi di produzione, e il capitale variabile inteso come l’insieme della forza-lavoro. Da tale opposizione tra il lavoratore e le macchine di produzione aveva origine, nella lettura marxiana, il fenomeno di alienazione vissuto dai lavoratori. In quel contesto il sapere sociale, in termini marxiani il general intellect 4, veniva compreso per intero nel capitale costante e si ripresentava come attributo del capitale stesso dal momento in cui entrava a pieno titolo nel processo di produzione come strumento di lavoro. L’attività lavorativa si traduceva dunque in una misera intermediazione del lavoro della macchina ed era completamente regolata dall’estraneo andamen-

Chicchi, Roggero (2009)   Marazzi (2005) 4  Marx (1976) 2 3


120

IL CAPITALISMO COGNITIVO

to di quest’ultima 5. Nel capitalismo cognitivo la contrapposizione tra il lavoro vivo incorporato nella forza-lavoro e il lavoro passato, o morto, incorporato nelle macchine cessa di esistere, o meglio si traduce in un nuovo rapporto che ridisegna la forma del capitale variabile e costante. Il corpo della forza lavoro contiene, oltre alla facoltà di lavoro presente, la dimensione del lavoro passato, inteso come deposito di saperi codificati e conoscenze sedimentate nel tempo, svolge cioè anche le funzioni proprie del capitale fisso 6. L’essere umano comprende ora il lavoro vivo (il bios) e il lavoro morto ovvero le acquisizioni in termini di conoscenza figlie del lavoro passato. Il rapporto tra capitale fisso e capitale variabile viene rappresentato attraverso una metafora centrata sull’attività linguistica mutuata da Rossi-Landi, particolarmente pregnante se si considera che il linguaggio esprime secondo Marazzi la sostanza prima dell’attività umana. Si consideri il permanere di una lingua di generazione in generazione. Quando la si usa, ci si appoggia su parole e strumenti linguistici che sono l’esito dell’esperienza di un’intera specie. Comunicando, le parole e i materiali linguistici si rinnovano nel loro valore e rimangono vivi. Se ad una lingua si sottraesse il capitale variabile rimarrebbe solo una lingua morta. Se per contro si aggiungesse al capitale costante quello variabile si produrrebbe una situazione simile al caso in cui un linguista riesce ad interpretare una lingua morta: a poco a poco egli inizia a capire il funzionamento degli strumenti lingui  Marazzi (2005)   Fumagalli (2007)

5 6


CONCLUSIONI

121

stici, li fa propri e li riutilizza per forgiare materiali e significati rimasti per tempo inermi, resituitendo un senso e un valore alla lingua 7. Quando il capitalismo cognitivo utilizza la risorsa umana quale fattore produttivo, non mette a valore solo la dimensione viva del lavoro, ma sfrutta anche le conoscenze e i saperi passati che egli possiede come dote. Il lavoro cognitivo consiste infatti in una serie di trasformazioni di conoscenze date con cui e su cui si lavora e di un continuo apprendimento di carattere processuale che comporta un notevole dispendio di tempo e di risorse, qualitativamente e quantitativamente superiore a quello che si esigeva da parte del lavoratore fordista. Il lavoro vivo è quindi una trasformazione incessante di materiale di natura umana, prodotto socialmente nel tempo e di carattere cumulativo: tale materiale viene consumato col suo impiego, ciò al contempo ne assicura la trasmissione ed anche la sua rigenerazione tramite un’attività continua di adattamento e reinterpretazione, disegnandone così una evoluzione progressiva 8. Tale consumo riproduttivo di materia e risorse umane è soggiacente alla definizione di modello antropogentico come sistema di “produzione dell’uomo attraverso l’uomo” 9. In un simile modello la possibilità di crescita è strettamente legata allo sviluppo nel settore educativo, della sanità e della cultura. Marazzi sostiene che alimentare una crescita economica durevole significhi principalmente investire nel “capitale umano”. Proprio   Rossi Landi (1968) Marazzi (2005) 9  Marazzi (2005) cit. pag. 109 7

8


122

IL CAPITALISMO COGNITIVO

perché il lavoro cognitivo si compone di lavoro vivo e di conoscenze sociali sedimentate, l’investimento dovrebbe includere anche l’ammortamento, finalizzato a garantire la riproduzione della forza lavoro che incarna quell’intelletto sociale, senza il contributo della quale l’ammontare di risorse umane accumulato “resterebbe lingua morta” 10. Nella sua forma attuale il capitalismo non sembra però considerare i costi d’ammortamento sottintesi all’uso continuativo del cervello sociale. La valutazione del valore della forza-lavoro si esprime solo attraverso il salario che consiste in una retribuzione monetaria della sola attività produttiva in actu ma non copre in alcun modo i consistenti sforzi di riproduzione sostenuti dalla forza lavoro. L’operazione di ammortamento di tale azione riproduttiva risulta particolarmente complessa da pianificare se si rimane nell’ottica di un approccio materiale incentrato sul rapporto tra capitale e lavoro, in questo passaggio infatti torna con forza l’influenza della sostanza della natura umana. La capacità di conservare valore aggiungendo valore 11 altro non è che un carattere congenito dell’essere umano, è cioè la forza del soggetto vivente che si ripresenta come costante e invariabile di fronte al susseguirsi dei modi di produzione 12. Il suo impiego e consumo nei processi produttivi non intacca la sua capacità di rinnovarsi in quanto qualità esclusiva dell’essere vivente. Si realizza così un’eccedenza tutta umana rispetto ai processi di produzione, difatti anche quando la forza-lavoro smette   Marazzi (2005) cit. pag. 115   Marx (1975) 12   Marazzi (2005) 10 11


CONCLUSIONI

123

di lavorare per il capitale continua ad essere contenitore di lavoro passato ma, a differenza di quanto avviene per le macchine, non può definirsi lavoro morto. Al contrario conserva il suo valore d’uso e rimane viva. Il lavoro vivo dunque riproduce necessariamente la forza-lavoro nella sua declinazione di valore d’uso, non di valore di scambio 13. In ultima istanza, conformemente al pensiero di Marazzi, si vuole illustrare una proposta di retribuzione del lavoro riproduttivo come compenso per il costo biologico che comporta per la forza lavoro. Un primo passo in questa direzione venne mosso dal sistema fordista: il Welfare State può infatti essere interpretato come un embrionale tentativo di riconoscimento della dimensione biologica del lavoro. Per la prima volta nella storia la forzalavoro fu considerata come una risorsa sulla quale investire e non unicamente come spesa per il capitale, l’assegnazione di un reddito d’esistenza sociale offriva inoltre una soluzione alla problematica dell’ammortamento del capitale fisso. In un probabile modello antropogenetico, il tema dell’ammortamento si ripropone al di là dell’opposizione tra lavoro e capitale presente nel paradigma fordista e si manifesta come necessità della “conservazione del valore della forza lavoro come dote di natura in sé e per sé” 14. Il reddito d’esistenza sociale, o bioreddito, viene quindi ad essere un investimento a supporto dell’autonomia dell’essere umano dai sistemi di produzione contingenti che tendono a susseguirsi sempre più rapidamente.   Idem   Marazzi (2005) cit. pag. 123

13 14


124

IL CAPITALISMO COGNITIVO

In risposta alla precarietà scaturita dall’affermarsi del lavoro cognitivo nel nuovo capitalismo, il modello antropogenetico reagisce con l’erogazione di un bioreddito, ossia con l’investimento nel settore della formazione, della cultura, della salute e dell’ambiente che funzioni da sostegno della riproduzione della forza-lavoro per tutta la durata della vita15.

Idem

15




Ringraziamenti

Ho un debito di gratitudine verso il Professor Federico Chicchi per la disponibilitĂ accordatami durante la stesura di questo lavoro, Fabrizia per la simpatia e il sostegno e Giacomo per essermi vicino ogni giorno.


Bibliografia

J. L. AUSTIN, Come fare cose con le parole - Ed. MARIETTI, Genova, 1987 U. BECK, A. GIDDENS, S. LASH, Reflexive Modernization. Politics, Tradition and Aesthetics in the Modern Social Order – STANFORD UNIVERSITY PRESS, Stanford, 1994 L. BOLTANSKI, Una nuova componente dello spirito del capitalismo, in: Àgalma - Ed. IL MULINO, Bologna 2003 L. BOLTANSKI, E. CHIAPPELLO, The New Spirit of Capitalism - VERSO, 2005 Y. M. BOUTANG, L’abeille et l’Économiste - CARNETS NORD, 2010 J. S. BROWN, P. DUGUID, The Social Life of Information HARVARD BUSINESS SCHOOL PRESS, Boston, 2000 F. CARMAGNOLA, La triste scienza - Ed. MELTEMI, 2003


129

F. CIMATTI, La scimmia che si parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell’animale umano – Ed. BOLLATI BORINGHIERI, Torino, 2000 D. DE KERCKHOVE, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica – Ed. COSTA & NOLAN, Genova, 2000 R. E. FREEMAN, Strategic Management: a Stakeholder Approach – PITMAN PRESS, Indiana, 1984 A. FUMAGALLI, Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di accumulazione – Ed. CAROCCI, Roma, 2007 M. HAAS, Polity and Society. Philosophical Underpinnings of Social Science Paradigms – Ed. PRAEGER, New York, 1992 J. M. KEYNES, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta – Ed. UTET, Torino, 1971 J-L. LAVILLE, C. MARAZZI, M. LA ROSA, F. CHICCHI - Reinventare il lavoro - Ed. ANGELO RUGGIERI, Roma, 2005 D. LEBERT, C. VERCELLONE, Il ruolo della conoscenza nella dinamica capitalistica di lungo periodo: l’ipotesi del capitalismo cognitivo in C. Vercellone ( a cura di), Il capitalismo cognitivo ED. MANIFESTOLIBRI, Roma, 2006 C. MARAZZI, Capitale & linguaggio. Dalla New Economy all’economia di guerra – Ed. DERIVEAPPRODI, Roma, 2002 K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, tr. it. di G. Della Volpe, in Opere complete, III – Roma, 1976b (ed. or. 1945 – 46)


130

L. MURARO, L’ordine simbolico della madre - EDITORI RIUNITI, Roma, 1991 A. ORLEAN, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi – Ed. OMBRE CORTE, Verona, 2010 E. RULLANI, La fabbrica dell’immateriale. Produrre valore con la conoscenza – Ed. CAROCCI, Roma, 2004 J. R. SEARLE, Della intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza – Ed. BOMPIANI, Milano, 1985 R. J. SHILLER, Euforia irrazionale. Analisi dei boom di borsa – ED. IL MULINO, Bologna, 2000 F. J. VARELA, E. THOMPSON, E. ROSCH, The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience – THE M.I.T. PRESS, Cambridge, 1991 C. VERCELLONE - Capitalismo Cognitivo. Conoscenza e Finanza nell’epoca postfordista - MANIFESTO LIBRI, Roma, 2006




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.