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architettura | edilizia | design | arredo

INTERNI

Un progetto contro la luce Novembre 2013 - Numero 1

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ARCHITETTURA

Il parco senza porta GIOIELLI

Grattacieli tra le dita FOCUS

Bianco & Nero Novembre 2013 - Numero 1

Case Il più bel colore dell’architettura www.arkeda.it


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sommario editoriale 14

STRITVIEW di Simo Capecchi

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L’INDICE SPUNTATO di Sergio Fermariello

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5 DOMANDE A RENZO PIANO di Daria de Seta

23 BIANCO di Donatella Bernabò Silorata. Fotografie: Roberto Pierucci

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IL PARCO SENZA PORTA di Daniela Abbrunzo. Fotografie: Barbara Jodice

39 DEVASTAZIONE IN QUATTRO TEMPI (intervista a Francesco Venezia) di Mirella Armiero

45 CASA BI di Diego Lama. Fotografie: Sergio Riccio

53 L’ESTETICA DELLA CONTAMINAZIONE di Salvatore Carbone e Sara Omassi. Fotografie: Capurso, Badini, Greve

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TRA NATURA E DESIGN di Veronica Carbonelli. Fotografie: Ana Gloria Salvia

66 FOCUS. BIANCO & NERO 69 COME STA CAMBIANDO L’ICONOGRAFIA DI NAPOLI di Roberto D’Alessandro. Fotografie: Bruno Sorrentino

74 FOCUS. GIOCHI DI LUCE 77

LA RICERCA DELLA FLESSIBILITÀ di Andrea Nastri. Fotografie: Marinella Paolini

82 FOCUS. MATERIALI & DESIGN 85 LA “STONE AGE” DEL GIOIELLO di Giorgia Borrelli

93 SITE-MAP di Sergio Stenti

95 SETTE COSE INUTILI di Giancarlo Artese

97 MAPPING NAPOLI di Giuseppe Guida

99 ARKEDA, LA FIERA E IL MAGAZINE (speciale di 12 pagine) 130 HANNO COLLABORATO… 131 DISTRIBUZIONE 134 IL “MONACIELLO” DI VIA ANIELLO FALCONE di Mauro Giancaspro

IN COPERTINA: appartamento di Angioletto de Negri a Napoli. Fotografia a cura di Progecta

Le cose migliori della vita fanno male, talvolta uccidono, dobbiamo temerle. Mangiare fa male (le cose più gustose fanno peggio), bere fa male (le cose più inebrianti sono veleno), fumare fa male (le cose più divertenti da fumare creano dipendenza), anche fare sesso liberamente fa male (e non solo dal punto di vista biologico). Può far male una semplice passeggiata di sera, può far male starsene in santa pace e riposare, impigrirsi. Divertirsi fa male. A volte fa male innamorarsi, fidarsi, fare amicizia, essere leali, essere coraggiosi. Il meglio della vita può fare male. La nostra cultura insegna a diffidare di ciò che diverte, sin da quando si è piccoli, quando si vorrebbe stare ore davanti alla tv, all’iPad, a Facebook; ci spinge a rifiutare il paradiso in terra. Anche per una città vale la stessa regola: le cose belle fanno male, dobbiamo temerle. Ingrandirsi, ringiovanirsi, svecchiarsi, fare lifting, innalzarsi, irrobustirsi, demolire le parti vecchie, trasformarsi, arricchirsi, accogliere gli stranieri, accogliere i giovani, cambiare: tutto ciò che può rendere migliore la città è visto oggi come un grave segno di corruzione. Il paradiso delle città italiane non è su questo mondo. Devono tutte restare nell’inferno, come Napoli. Nel caso di Napoli il demonio siamo noi e la nostra cultura spaventata dal piacere. Una paura che non è atavica, ma deriva da anni di errori commessi dai nostri nonni, miopi e spaventati anche loro, forse dalla fame e dalla guerra. Una paura che non ci permette di rinnovare il nostro patrimonio architettonico e modernizzare la città (tutto a discapito dell’economia e del futuro). L’architettura fa bene alla salute. Anche alla salute della città. Per questo motivo, con orgoglio, annunciamo – parallelamente alla seconda uscita del numero di Arkeda che avete tra le mani – la nascita della fiera Arkeda, ospitata in questi giorni alla Mostra d’Oltremare di Napoli. È importante parlarne – e lo faremo – non solo perché essa è collegata direttamente alla rivista, ma soprattutto perché durante i giorni della fiera sarà possibile incontrarsi, parlare, scambiarsi esperienze e competenze in materia di design, edilizia, arredamento e architettura. Approfittiamone tutti: questa iniziativa non vuole incentivare solo l’economia del sud, ma anche la sua intelligenza, la sua creatività, ponendosi come alternativa valida, diversa, alle altre grandi fiere italiane. Diego Lama ARKEDAMAGAZINE

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Napoli, piazza Duca degli Abruzzi

Mercato Ittico Fotografia di Massimo Lama

Il mercato ittico di Napoli, progettato e realizzato da Luigi Cosenza nel 1929 e restaurato da Luigi Lopez (con Giancarlo e Andrea Cosenza) nel 2000, è uno delle opere moderne più interessanti della città. Peccato che pochi napoletani la conoscano: attorno all’edificio, ancora utilizzato come mercato del pesce, vi è il più totale degrado urbano e sociale. Altre foto a pag 97.


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Napoli, via Caracciolo

Sunset Dragon Fotografia di Massimo Cavuoto

L’artista X-Max (Massimo Cavuoto) nel 1989, per una concatenazione di cause, è afflitto da un violento un disturbo psicotico di grado severo, segnato da allucinosi, allucinazioni, percezioni di realtà parallele. Dal 2009, a guarigione avvenuta, nasce l’dea di creare elaborazioni grafiche, vettoriale su immagini reali, per rendere visibile a tutti l’irrealtà che ha attraversato la sua esistenza. In queste pagini una sua allucinazione dal titolo “Sunset Dragon”.


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Napoli, Mergellina

Coppa America Fotografia di Massimo Lama

Le regate della Coppa America, svoltesi a Napoli nel mese di aprile del 2013, sono state uno spettacolo straordinario per i tanti turisti, ma soprattutto per i napoletani che hanno seguito le gare con interesse e trepidazione. Quasi tutti.


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STRITVIEW di Simo Capecchi

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a anni disegno dal vero, all’aperto, preferibilmente su taccuini. Disegno panorami o dettagli di ambienti naturali e soprattutto di città, dove passiamo la maggior parte del tempo. Un’abitudine personale che è diventata una rassegna, un blog e infine un’associazione internazionale, quella degli Urban Sketchers che ho contribuito a fondare. Disegno quello che mi incuriosisce, quello che non capisco, quello che mi piace. Disegno per comprendere quello che ho davanti, per ricordarmelo o per esprimere un mio punto di vista. Non esco mai senza un taccuino, un laboratorio portatile in cui la singola pagina non ha significato senza la successiva e quella precedente. Serie di disegni che diventano a volte veri reportage, dove si integrano parole e immagini. Da qualche tempo disegno anche su fogli sciolti e, dopo tante vedute panoramiche, ho cominciato ad utilizzare taccuini e fogli anche in verticale. Se il panorama di una città cerca di coglierne l’essenza in pochi o molti tratti, una vista verticale consente di sezionarla, andando in profondità. Una serie di “viste strette” saranno raccolte in questa rubrica che, come in google maps, scende di scala per mostrare con il disegno il qui ed ora di una mappatura soggettiva della città. I PALAZZI SPUNTATORI Napoli si allarga sul golfo e si estende anche in verticale, dalle grotte alle colline attraverso infinite scalinate, dai “bassi” all’alto, secondo una stratificazione storica e anche sociale. Tra i Quartieri Spagnoli e corso Vittorio Emanuele i palazzi “spuntatori”, come quello in vicoletto Politi del disegno a fianco, hanno due ingressi, a valle e a monte, che collegano strade e quartieri a livelli differenti. Per me, che vengo dalla pianura padana e da Venezia, il poter muoversi in uno spazio urbano a più dimensioni, in lungo e in largo, sotto e sopra, è una risorsa, una complessità che stimola la mia attenzione. www.inviaggiocoltaccuino.com

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L’INDICE SPUNTATO di Sergio Fermariello

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i è pensato di chiamare questa rubrica ‘l’indice spuntato’, non essendo nostra intenzione quella di puntare ‘l’indice’ su nuovi, ipotetici orizzonti dell’arte in generale, né su alcuni suoi aspetti specifici, ma cercare piuttosto ‘spunti’ di riflessione da condividere, diciamo, navigando ‘a vista’, non avendo, insomma, mete prefissate da raggiungere e riconoscendo che il nostro bagaglio e, soprattutto il nostro armamentario critico, è alquanto ‘spuntato’. Visto che di ‘arti’ ci si occupa già nel nome che ci siamo dati, inizieremo partendo dal dito medio che Maurizio Cattelan ha voluto ‘puntare’, apparentemente in segno di sfida, in direzione del Palazzo della Borsa di Milano, con la sua monumentale scultura in marmo bianco di Carrara, eretta proprio nel cuore di quella piazza, metafisica per eccellenza, dove ogni giorno si ‘punta l’indice’ sul valore mutevole delle cose. L’opera del 2010 intitolata L.O.V.E. mostra una gigantesca mano eretta, proveniente superstite, si direbbe, da un antico passato, le cui falangi, tranne il dito medio rimasto miracolosamente intatto, risultano amputate, a prima vista, dall’usura del tempo. Il gesto, o meglio, il gestaccio che oggi il frammento sembra nuovamente riassumere, contraddicono le intenzioni che l’antico demiurgo aveva riposto nella pietra e finisce per stravolgere il suo originario significato. Oggi, una nuova ‘puntata’ viene messa in scena sul piano della comunicazione simbolica. Assistiamo all’ostentazione, non più di una mano tesa, in direzione di un trascendente cielo, non più un ‘indice’ che sappia indicare una strada da perseguire, una direzione di marcia, ma un ‘medio’ che, rispetto a quella corsa, non fa che constatarne l’arresto e osa ‘liquidare’ sbrigativamente il passato, con la stessa impazienza dell’automobilista imbottigliato nel traffico, quando mostra impertinente al mondo, l’irresistibile forza sterile del suo dito medio. Prima che gli artisti imparassero a ‘buttare le mani’ e ad usare le dita, era compito delle divinità in persona dirigere il traffico della comunicazione e della storia, con il solo gesto impositivo delle mani. Ogni ‘puntata’ celeste, vuoi che le dita della mano spuntassero tra le nuvole, per raddrizzare le sorti incerte di una battaglia o, in precedenza, per scacciare l’uomo dal paradiso in terra, sempre sembrava volesse indicare, con il suo ‘indice’, il ‘valore’ redentivo della storia nel tempo, quanto il parametro giudicante del ‘tempo’, in essa. Il ‘tempo’, che è sempre stato l’unico garante per ogni durevole giudizio ‘certificato’, mancando ‘un indice’, si è come ‘liquidato’ e tirato fuori da ogni eventuale reclamo. Ed ecco allora, rivelarsi a noi, l’opera di Maurizio Cattelan, per quello che appare, sospesa su quel sottilissimo filo che separa la naturale ‘ambivalenza’ delle cose rispetto all’ambiguità che rischia ogni artificio e si palesa non più in ‘apparente sfida’ nei confronti della ‘piazza’, ma sua sottile, inaspettata alleata, che di questo scambio

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di ‘falangi armate’ sembra averne tutto da guadagnare. Oggi, venendo a mancare l’orizzonte cui l’indice, dalle origini dei tempi sembrava puntare, torniamo a navigare a vista, ‘spuntati’, in un mondo non più reale, ma ridotto a ‘bolla’ sospesa, fatta roteare dal tocco calcolato dei nostri ‘indici impazziti’, soggetto ad ogni tipo di speculazione. Ci rimane, è vero, il dito medio, per mandare infine, tutti ‘a quel posto’ e scaricare così le nostre accumulate tensioni, anche se, ed è bene ricordarlo, in un mondo, fattosi sempre più globale, il dito e ‘quel posto’, sembrano appartenere sempre di più, di fatto, alla medesima persona.


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5 DOMANDE A RENZO PIANO

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Cos’è il complesso dell’ultimo della classe? Da molto tempo, essendo stato un asino a scuola, mi attribuisco il complesso dell’ultimo della classe, con cui mi sono trovato a crescere. Due sono i complessi che si generano sui banchi di scuola: quello del primo della classe e quello dell’ultimo. Da primo della classe sei convinto di essere bravissimo e non ascolti nessuno; essendo l’ultimo, sei convinto di non capire nulla e stai sempre attento a quel che dicono gli altri per cercare di imparare. Esattamente l’opposto, prendi da tutti, perché non hai da difenderti, non hai paura che qualcosa ti possa essere portata via. Hai l’atteggiamento di chi, parlando con un altro, non teme che questi prenda da te, ma sei tu a prendere da lui. Poi, caso mai, scopri che non c’è niente da prendere, ma è molto difficile che sia così: c’è quasi sempre da prendere. Per questo sarebbe importante fare delle scuole di asini, e non di primi della classe!

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Ho l’impressione che per lei il cantiere abbia un valore che va al di là dell’essere il momento della realizzazione di un’architettura, è un mondo altro, fantastico, una specie di Isola che non c’è di Peter Pan. Sì è esatto, i cantieri sono posti magici in cui tutto si muove, dove il paesaggio cambia quotidianamente, sono una grande scommessa dell’uomo, uno straordinario terreno di scoperta. Il cantiere non finisce mai, come sono fabbriche infinite le città e gli edifici, perché l’architettura è una creatura viva che si modifica con il tempo e l’uso: noi viviamo con le nostre creature, siamo legati a loro dal cordone ombelicale di un’avventura che continua.

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C’è il cattivo in questa avventura, il Capitan Uncino? I Capitan Uncino sono tanti quanti i fattori che rendono l’architettura un’arte contaminata: i quattrini, il potere, l’urgenza, le complicazioni, ma anche le radici, l’innovazione, la natura, i bisogni della gente, che sono invece il lato più bello, sano e autentico della vita.

Reparto attrezzi nello studio di Renzo Piano

di Daria de Seta

Questi sono i limiti che il nostro mestiere c’impone, o sarebbe meglio dire, ci offre visto che i condizionamenti, i vincoli, gli obblighi non sono impedimenti, anzi arricchiscono l’architettura.

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Quanto è importante riuscire a comunicare gli esiti di un’operazione complessa, come la trasformazione di un luogo al pubblico? È fondamentale perché la storia di un’opera architettonica non può concludersi con la sua ideazione, progettazione, ma neanche con la sua costruzione. Un’architettura ha valore soprattutto in relazione alla vita che vi si svolge, anzi alle modificazioni che provoca nella vita di chi la abita. In tal senso riuscire ad informare tutti su questi eventi è un modo per rendere l’operazione riuscita, è un modo per far sì che il processo di appropriazione da parte degli abitanti avvenga già in un momento precedente a quello della fruizione, in quello appunto della costruzione. Inoltre, informare è il mezzo più efficace per innescare un altro fenomeno molto importante per la reale appropriazione di un luogo trasformato da parte degli abitanti: la partecipazione.

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Anche dal coinvolgimento della popolazione dipende l’esito di un’operazione. Il successo di un edificio, dipende dai consensi popolari? Assolutamente no, guai a perseguire in un progetto i consensi. Fare l’architetto è condurre una continua battaglia. La mia personale risale ai tempi del Beaubourg per il quale ci hanno “sparato addosso”. In quel caso si trattò di una vera e propria forma di disubbidienza civile. Rappresentò il rifiuto di aggiungere un edificio troppo istituzionale a un città troppo carica di memorie.

(Tratto da 52 domande a Renzo Piano a cura di Daria de Seta. Clean Edizioni)


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Bianco Il più bel colore dell’architettura

di Donatella Bernabò Silorata Fotografie: Roberto Pierucci

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l bianco, colore puro della forma”, teorizzava nel 1957 Giò Ponti. “Il più bel colore dell’architettura”, precisava il maestro. Nell’overdose di comunicazione, di colori e messaggi che riempiono il vissuto quotidiano, il bianco è un ritorno al silenzio. È un azzeramento del caos, quasi una necessità estetica. È un punto di inizio, o forse un punto di arrivo. In ogni caso è una scelta precisa, una filosofia progettuale. Che, come nel caso di questo interno domestico, non si concede mezzi toni: il bianco è assoluto, disegna gli


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spazi e gli arredi in una continuità visiva. Il progetto è dell’architetto Francesco Scardaccione, napoletano, classe 1964, da oltre vent’anni impegnato nella progettazione di spazi urbani con premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. I più recenti sono la nomination per l’European Union Prize for Contemporary Architecture – Mies van der Rohe Award 2013 per il progetto della scuola “Ate Pjeter Meshkalla” a Skutari in Albania, e il secondo posto al IV concorso la Convivialità Urbana di Napoli. La sua è una ricerca che si muove nella progettazione e nel riuso di spazi edilizi sia pubblici che privati: soluzioni architettoniche innovative, linee rigorose, scelte estetiche essenziali caratterizzano il suo modus operandi. Il bianco è un elemento ricorrente in molti dei suoi progetti. La casa proposta in queste pagine è un appartamento di una coppia di giovani professionisti con due figli. La superficie è di poco meno di cento metri quadrati, il bianco contribuisce a percepire spazi più estesi. Una scelta estetica dunque, ma anche funzionale. L’ampio living con zona pranzo e cucina a vista è il cuore pulsante della casa, spazio quasi etero, eppur vissuto con assoluta disinvoltura. Elementi di design facilmente riconoscibili abitano lo spazio con carattere: si


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distingue il tavolo Calligaris con le leggendarie sedie di Verner Panton; il divano è Molteni, mentre altri elementi sono realizzati in MDF laccato su disegno esclusivo dello Studio Scardaccione. La scelta dei materiali segue un preciso progetto estetico, così come l’illuminazione completamente affidata a luci a led: parquet flottante al pavimento, gres porcellanato nei bagni e in cucina. Unica concessione al colore è la parete color rosso-viola che interrompe il bianco totale. Non ci sono quadri, decorazioni o altre distrazioni visive. Unico elemento decorativo è la fotografia in bianco e nero del Padiglione Inglese all'EXPO di Shangai 2010 di Francesco Scardaccione.


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Francesco Scardaccione è anche autore della General Secondary School “ATE PJETER MESHKALLA”, in Albania, che ha ricevuto la nomination per l’European Union Prize for Contemporary Architecture Mies van der Rohe Award 2013. Il complesso scolastico è un edificio a corte aperta composto da tre corpi principali (di tre e quattro livelli) che nel loro interno ospitano una hall, un bar, un punto di informazione, un auditorium, una palestra, una biblioteca, una cappella e tante aule. L'area di sedime occupata dalla scuola è di circa 2.500 mq (per una superficie totale di circa 8.000 mq coperti). Il costo dell'intera opera è stato di circa €. 6.000.000. “Durante la realizzazione dei lavori, nonostante i vari errori” ci racconta Scardaccione “l’impresa albanese ha sempre provveduto a rimediare, anche a sue spese, cosciente di fare un’esperienza unica nel suo genere: gli albanesi, noti in Italia solo per azioni criminali, in realtà sono persone buone e disponibili, incattiviti dal peggiore regime comunista dei Balcani”. D.A.

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Il Parco senza porta Quando comincerà la reale riqualificazione dell’area di Bagnoli?

di Daniela Abbrunzo Fotografie: Barbara Jodice

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arebbe dovuto essere il fiore all’occhiello dell’intera area a ovest di Napoli. I presupposti erano questi dopo le due inaugurazioni ufficiali: la prima nell’ottobre 2010 sotto la giunta Iervolino e poi nel luglio del 2012 con il taglio del nastro per mano di Luigi de Magistris. E invece Porta del Parco, il centro nuovo di zecca dedicato al benessere e al turismo, costruito nell’ex area Italsider, rischia di restare chiuso a tempo indeterminato e la colpa non si capisce bene di chi sia. Il mix, infatti, è dei peggiori: tra i debiti che Bagnoli Futura (la società di trasformazione urbana) ha ereditato dal Comune, le aste per l’acquisto dei suoli andate deserte e infine il sequestro (la scorsa primavera) per l’inchiesta sulla mancata bonifica dell’area industriale.


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La genesi del progetto comincia nel 2007 con l’inaugurazione del cantiere sul lato est dell’ex Ilva: si decide che tra via Enrico Cocchia e via Nuova Bagnoli deve sorgere una zona ricettiva con un centro polifunzionale di 12.500 metri quadrati. E non c’è da meravigliarsi poiché la riqualificazione del quartiere è sempre stata focalizzata sulla realizzazione di un grande polo turistico (come previsto dalla variante per la zona occidentale al prg approvata dal consiglio comunale nel 1996). L’idea risale all’inizio del Novecento quando l’architetto Lamont Young immagina Bagnoli come una piccola Venezia dotata di un sistema di canali, giardini, alberghi e palazzi residenziali a bassa densità abitativa. Molto diversa, quindi, da quella Bagnoli industriale che verrà inaugurata nel 1910 e dismessa soltanto a partire dal 1994. Porta del Parco, che nei fatti rappresenta l’entrata orientale del parco urbano, è stata progettata dall’architetto Silvio d’Ascia (in collaborazione con l’Ati Servizi Integrati Srl e la Idi Srl). Il complesso, costato circa 43 milioni di euro, è collaudato e consegnato nel novembre del 2011 e ospita: tre grandi piscine termali, un bagno turco, un solarium, aree benessere e bagni curativi. L’opera, pensata come ampio spazio espositivo, è fornita anche di un centro congressi di 300 posti, una caffetteria e un parcheggio di 600 posti auto. Il Centro integrato per i servizi al turismo è ispirato all’idea di grande spazio pubblico aperto su più livelli: la fusione è tale da integrare perfettamente l’interno con l’esterno del complesso senza soluzione di continuità. Il complesso è

In queste pagine le immagini dell’edificio progettato dall’architetto Silvio d’Ascia

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Il progetto strutturale e architettonico di Porta del Parco è dell’architetto Silvio d’Ascia con Ati Servizi Integrati srl e Idi srl. Gli studi preliminari sono stati realizzati da MWH Works Management, Ati Servizi Integrati (ingegnere Salzano de Luna) e Idi (ingegnere Minucci). La progettazione esecutiva e i lavori sono stati assegnati, nell’ottobre 2006, all’impresa edile Sled con Studio Graziani, Studio Lenzi, Ingegner Majorano, Gi. Pi. Gi. Progetti. I tempi. Il cantiere della struttura è stato aperto il 30 gennaio 2007, ma l’opera è stata collaudata e successivamente consegnata a Bagnolifutura il 3 novembre 2011. Il costo dell’opera è di 38 milioni di euro (al netto dei ribassi di gara), ma a seguito di una variante (necessaria per migliorare la sua funzionalità e soddisfare le esigenze di nuove leggi e regolamenti in fatto di risparmio energetico) il costo dell’intervento è salito a circa 43 milioni di euro. Il complesso è cofinanziato con Fondi Por Campania 2000-2006 e Fondi Por Campania 2007-2013. La superficie totale del complesso multifunzionale è di oltre 40.000 m con circa 16.500 m di parcheggi seminterrati. L’opera ospita un centro benessere con Spa, piscine e fitness center di circa 7.000 m in totale, aree polivalenti, un auditorium da 300 posti, spazi espositivi di 1.100 m , oltre a negozi, bar, uffici. Premi. Il progetto di Silvio d’Ascia è stato selezionato, da una giuria internazionale, tra 50 realizzazioni e ha vinto l’International Galvanizing Award 2012 per aver pensato la “migliore realizzazione architettonica in acciaio protetto dalla corrosione con la zincatura a caldo”. Nel 2011, invece, è vincitore del premio nazionale “Architettura IN/ARCH-ANCE 2011”. Vincitore anche del “Grand Prix – Casalgrande Padana edizione 2010-2012 per i rivestimenti di facciata e le pavimentazioni esterne. 2

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composto da due edifici-lanterne - la sala conferenze e la cupola d’ingresso al centro benessere - realizzati in acciaio con superfici in vetro e che rimandano simbolicamente all’antico proverbio latino “mens sana in corpore sano”. I due volumi creano un continuum spaziale e volumetrico poiché sono stati realizzati con gli stessi materiali: il rivestimento in materiale ceramico grigio scuro che richiama in maniera evidente la pietra vulcanica. La sostenibilità ambientale è una delle caratteristiche del progetto che grazie all’utilizzo di 1.200 metri quadrati di pannelli fotovoltaici, posti sulle facciate del Centro, produce il 20% del fabbisogno di energia elettrica giornaliera (che corrisponde a circa 256.000 Kwh/anno). Il progetto “green” non finisce qui, ma prevede anche il recupero di acque termali da impiegare nelle piscine della Spa. L’idea iniziale del progetto era di costruire un pezzo nuovo di città alle porte dell’enorme parco urbano che si affaccia sul mare di Bagnoli: un atto simbolico di rinascita per quelle terre che, per un secolo, sono state vittima dei veleni industriali. Questo enorme progetto di ecologia e modernità rischia però di non vedere mai la luce così come il sito web portadelparco.it rimane, allo stato attuale, un link che non si apre. Perché, dopo aver speso soldi e fatica, i cittadini devono vedersi privati di quest’opera? Perché tutti questi rischi non sono stati previsti prima dell’avvio dei lavori? Come e quando comincerà la reale riqualificazione dell’area di Bagnoli? Tutte queste domande, come l’apertura stessa dell’opera, sono rimandate a data da destinarsi.


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Porta del Parco è il primo progetto realizzato nell’ex area Italsider, ma non è l’unico immaginato per la riqualificazione del quartiere. Il piano urbanistico esecutivo di Bagnoli–Coroglio (2005) prevede, infatti, la realizzazione di un grande parco urbano di 120 ettari e il recupero della spiaggia. Di qui il ripristino del pontile Nord (è dal 2005 l’unica opera aperta al pubblico), il restauro del collegamento fra Nisida e la terraferma e la costruzione di un approdo turistico per 350 posti barca. Il parco è pensato come un museo a cielo aperto, nel quale resti di archeologia industriale fungono da memoria permanente dell’ex quartiere operaio. Si spiega così la trasformazione della ciminiera AGL in belvedere e il ripristino del carroponte Moxey. Il sito di Bagnolifutura ritiene queste due strutture “opere concluse e aperte al pubblico”, ma nei fatti non è così. Secondo il piano restano da costruire: il parco dello sport, l’acquario tematico, il parco urbano, i Napoli studios, il polo tecnologico e alcune infrastrutture. Purtroppo i cantieri di queste opere restano al momento bloccati poiché la Regione, per rispettare il patto di stabilità, ha sospeso i fondi destinati alla riqualificazione di Bagnoli. È il caso del parco dello sport: quasi ultimato, ma con lavori fermi dal 2010. Stessa sorte anche per il “Turtle Point” che sorge nell’ex impianto per il trattamento delle acque: struttura ultimata nel 2011 ma che, per mancanza di finanziamenti, è priva della strada di collegamento tra Pontile Nord e Porta del Parco. E copione identico pure per i Napoli Studios – la cinecittà partenopea che è prevista nell’ex officina meccanica – con cantiere bloccato da marzo 2011. Infine per il Parco Urbano e il Polo tecnologico – un distretto ecocompatibile con quasi un centinaio di aziende – i cantieri non sono mai partiti.

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Come Napoli è stata messa in crisi

Devastazione in quattro tempi di Mirella Armiero

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apoli negli ultimi cinquant’anni ha subito una serie di assalti e devastazioni che hanno annullato un raro miracolo di equilibrio tra le forme della natura e le forme umane. Per me è questa l’armonia perduta”. Il giudizio di Francesco Venezia è di quelli che pesano. L’architetto napoletano, progettista di importanti edifici soprattutto all’estero, dalla città non si è mai spostato in via definitiva, pur essendo docente all’Università di Venezia e nonostante i tanti riconoscimenti che gli sono arrivati da fuori. A Napoli Venezia è legato, tanto da lanciarsi in questa appassionata analisi sui guasti urbanistici dell’ultimo mezzo secolo. Come guida ideale, c’è Italo Calvino: “Quando lo scrittore stava lavorando alle ‘Lezioni americane’ gli chiesero cosa lo preoccupasse di più del terzo millennio. E lui rispose: la perdita di forma. Un giudizio singolare ma assai significativo. E Napoli era proprio un capolavoro della forma che in cinquant’anni è stata assalita e messa in crisi. Schematizzando, potremmo dire che il disastro è avvenuto in quattro tempi”. Il primo, secondo Venezia, è quello stigmatizzato da Rosi, ne ‘Le mani sulla città’. “Fu quella l’epoca dell’assalto al paesaggio collinare, con la trasformazione del panorama in merce e il territorio ricoperto da edilizia scadente. Mi piace ricordare anche la splendida colonna sonora del film, firmata da Piccioni, che sarebbe attuale ancora oggi, così come sarebbe attuale la figura del costruttore Nottola. I personaggi dei due politici sono legati alla contingenza dell’epoca, riflettono lo scontro tra destra e sinistra che oggi non esiste più. Ma il vero personaggio universale è proprio Nottola, interpretato non a caso dal divo internazionale Rod Steiger. Anche oggi il metodo Nottola continua ad essere presente nelle grandi trasformazioni urbane. Ma alla speculazione privata si è sostituita l’opera di pubblica utilità.

Le fotografie della stazione della metropolitana di via Diaz e della nuova uscita di Montecalvario a Napoli sono dello studio Vulcanica

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Che però non può invitare all’omertà. Non si può devastare un paesaggio, sia pure per realizzare un’autostrada. Prima almeno il lucro privato veniva condannato, oggi si è determinata una situazione per cui l’opera di pubblica utilità giustifica ogni scempio. E l’alto costo dell’opera diventa un ulteriore ammorbidente”. Negli anni Settanta Ottanta si registra invece il secondo grande oltraggio a Napoli. “Sì, il centro direzionale, che ha devastato l’orizzonte più bello del pianeta. Una volta potevamo godere di un panorama in cui il centro antico si stagliava sull’orizzonte con il mare e le isole. Oggi si è interposta a quella vista un’accozzaglia di edifici, alcuni anche belli altri molto meno, che determinano un’obliterazione violenta di un panorama straordinario. Tra l’altro il centro direzionale è un’opera anacronistica, avrebbe avuto senso negli anni cinquanta forse, ma non nell’epoca digitale, quando il centro di una città può stare ovunque. Oggi quell’opera di Kenzo Tange è un ferro vecchio”. Venezia non teme di essere classificato come antimodernista. “Assolutamente no, naturalmente sono aperto al contemporaneo in tutte le sue forme. Anche in un centro antico possono essere inseriti elementi nuovi, ma con dei criteri di funzionalità ed estetica ben rigorosi. Invece purtroppo Napoli ha dimostrato l’incapacità totale di amministrare i necessari ammodernamenti e le trasformazioni dellla città. Le case negli anni cinquanta servivano, ma questo non giustifica il fatto che in via Orazio sono stati tagliati di netto banchi di collina”. Veniamo al terzo tempo della devastazione. “Si tratta di via Marina. Nonostante la presenza di un piano particolareggiato è stata distrutta, su parziali macerie della guerra, la possibilità di realizzare un grande fronte verso il porto. Voglio lanciare una provocazione: l’edificio Ottieri è meno peggio di altri. Nella sua infima natura almeno è un edificio di verità, non nasconde quello che è, altri sono travestiti. In ogni caso si è persa l’occasione di fare una grande palazzata sul porto, come in quegli anni è avvenuto altrove con ottimi risultati”. Eccoci ai giorni nostri. “Con i guai della metropolitana. Innanzitutto c’è da fare una premessa: la metropolitana, sebbene realizzata a Napoli con ritardo, non è un’opera anacronistica, mantiene la sua utilità per dare una necessaria risposta al movimento della città. Dunque sul progetto il mio giudizio è positivo. Ma è negativo su alcune situazioni che coincidono in parte con la linea e in parte con alcune stazioni. Tra l’altro non condivido il fatto che le stazioni costituiscano una costellazione di eventi differenti tra loro. Avrei preferito che la metropolitana, essendo un sistema, avesse un modello unitario. E non mi piace che le stazioni diventino macchine per eccitare i sensi. Se prendo la metropolitana il mio obiettivo è quello di raggiungere un determinato punto con efficienza. Dunque è necessario rendere chiaro il movimento, con una giusta segnaletica e una certa eleganza del design che una volta in Italia era un’arma molto forte. Si è scelta un’al40

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tra strada, quella delle stazioni d’arte. Benissimo, quella precedente è una mia personale opinione. Ma si pone però il problema di durata dell’immagine. Se l’architetto diventa equivalente a uno stilista la sua opera sarà soggetta all’usura del tempo molto più in fretta, passerà di moda. Le stazioni si devono ‘indossare’ per almeno 30 o 40 anni. Meglio dunque coltivare gli aspetti di perennità dello stile che non la capricciosità. Ma questi sono tutti peccati veniali, ben più gravi sono tre episodi specifici: la distruzione della Villa Comunale, di Santa Maria degli Angeli e di piazza Garibaldi”. Che cosa è accaduto in Villa Comunale? “Le opere improvvide della metropolitana e della linea ferroviaria hanno intercettato le linee d’acqua della Riviera di Chiaia. A parte l’episodio eclatante del crollo, stiamo assistendo all’agonia della Villa Comunale. Quando sarà morta, diventerà legittimo il restyling di via Caracciolo. Trovo orrenda questa parola: come si fa a parlare di nuovo stile in casi come questo, quando la preesistenza storica è perfetta? Come ha fatto Mendini a pensare di costruire quegli chalet nella Villa, a confronto con gli edifici storici, con le statue neoclassiche e con il giardino storico?”. Ma i palazzi della Riviera sono davvero a rischio? “Credo di sì, lo dimostra il fatto che il palazzo crollato, che era solidissimo, si trovava all’angolo dell’Arco Mirelli, dove si trovava un’antica via d’acqua naturale. Di questi canaloni ce ne sono diversi lungo la Riviera. Per esempio all’altezza dei Gradini Amedeo”. ARKEDAMAGAZINE

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Venezia passa poi ai guasti di Santa Maria degli Angeli. “A che serve quell’orrenda voragine? A realizzare una metro per un numero di utenti bassissimo, laddove si poteva rafforzare un sistema di ascensori e scale già esistenti. Poteva essere quella la fonte d’ispirazione per una innovazione tecnologica, senza espiantare 50 mila metri cubi di terreno. Tra l’altro si tratta di un terreno consacrato dalla stratigrafia storica della città di Napoli, laddove è nata Palepoli. Non sono un fondamentalista, si può distruggere perfino la memoria storica di un luogo ma solo se se ne ricava un risarcimento straordinario di utilità e bellezza. Ma se la contropartita non c’è? Viene il sospetto che le cose debbano costare tanto, facendo leva sul principio della pubblica utilità che però non può comportare lo spreco delle risorse. Nottola non è uscito mai di scena”. Eccoci a piazza Garibaldi. “Presto detto: bisognerebbe disporre subito lo smantellamento di quel groviglio informe, di quella porcheria low tech che sta massacrando la piazza. Un intervento del tutto privo di forma, che porrà senz’altro problemi di manutenzione enormi, impossibili da risolvere in una città come Napoli. Il livello costruttivo è molto scadente, non è una bizzarria formale realizzata con alta qualità tecnologica. E per aggiunta si sta realizzando anacronisticamente in quegli spazi una galleria commerciale, proprio mentre il commercio tutto intorno langue o muore”. Una nota positiva: “Piazza Municipio, perché Siza sta preparando una stazione sobria. Eppure c’è il paradosso di uno spreco enorme di soldi per preservare quattro mura di tufo riesumate durante lo scavo. Un’assurdità, mentre Pompei cade a pezzi. Non oso poi immaginare cosa accadrà al centro storico quando arriveranno i finanziamenti per intervenire. Sono un architetto ma se si deve distruggere la storia meglio lasciare tutto così com’è”. 42

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Casa Bi Difendersi dalla luce di Diego Lama Fotografie: Sergio Riccio

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nche la casa, come tutto ciò che ci circonda ormai, sta diventando sempre più simile a un congegno tecnologico, una sorta di iHome dotato di tante App, e gli oggetti nel suo interno non sono più semplici mobili ma applicazioni – strumenti – che consentono di fare molto meglio, e di più. La casa realizzata a Napoli, in via Caracciolo, da Roberto Serino fa venire in mente proprio questo: uno strumento per abitare, un congegno prezioso, una macchina che può mutare forma e funzione grazie allo scorrimento di un pannello, all’apertura di un’anta, al roteare di un piano. Al suo


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interno contiene volumi indipendenti e forme, spesso inaspettate, che generano una strana complessità, quasi come quella di una piccola città. Basta muoversi dal soggiorno verso le camere da letto per incontrare lungo il cammino totem e oggetti che si muovono, che si aprono e che mutano l’intera configurazione dello spazio. Eppure non è solo questo ciò che Serino voleva dire, realizzando casa Bi. Per capirlo ho dovuto parlargli, e allora ho scoperto qualcosa che avevo di fronte agli occhi ma che non riuscivo né a vedere né a capire: il suo è un progetto ‘contro’ la luce. – A volte – ci racconta Roberto Serino – non bisogna sbandierare troppo il sole, come fanno in tanti, ubriacati dal piacere della luminosità. La luce non è sempre un valore positivo, può essere eccessiva, accecante, fastidiosa. Soprattutto al sud essa va necessariamente dosata con attenzione e con cura, ma non è una scelta facile: sembra quasi di rinunciare a qualcosa d’importante, eppure a volte è inevitabile.

A sinistra: il mobile contenitore del televisore Qui affianco: l’ingesso di casa Bi In basso: dettaglio della maniglia

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È vero, la luce può essere talmente forte, soprattutto a Napoli, soprattutto in riva al mare, da nascondere ciò che dovrebbe svelare. Bisogna difendersi. Serino mi spiega che per lui è stato molto importante, in questa casa particolare (e tanto abbagliante), proteggere lo spazio interno dall’eccesso di chiasso che il sole può produrre. Anche la disposizione dei volumi/contenitori in realtà non è libera ma dettata dalla necessità di filtrare i raggi del sole: i mobili diventano schermi in base ai quali, al variare dei casi, la luce viene dosata, bloccata o lasciata passare all’interno dello spazio. La luce spiega anche il non voler utilizzare il bianco come colore dominate ma il tortora per le pareti; e soprattutto chiarisci la scelta del colore del pavimento: il nero. Nelle case partenopee siamo spesso abituati a osservare pavimenti fatti di ceramiche lucide dove il sole ci si spec-

In alto: vista d’insieme del soggiorno A sinistra: dettaglio della cucina A destra: il corridoio

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chia producendo effetti molto ricchi. Ma a volte è inevitabile lavorare in senso contrario e fermare i riflessi, perché essi possono sovrastare lo spazio facendogli perdere la sua vera forza. Ecco perché Serino utilizza marmo Nero Zimbawe, trattato con una patinatura che gli conferisce un’opacità nella quale ci perdiamo alla ricerca dei giunti tra le lastre; e quando riusciamo a trovarli scopriamo che c’è una trama molto sofisticata, anche se ben celata. “I miei pavimenti” ci racconta “nascondono sempre un disegno complesso che va scoperto lentamente, in maniera discreta”.

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L’estetica della contaminazione Comprendere il passato per svelare il futuro ibrido di Salvatore Carbone e Sara Omassi Fotografie: Mimmo Capurso, Studio Badini, Thorsten Greve

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atia Meneghini e Thanos Zakopoulos sono i fondatori di CTRLZAK, uno studio multidisciplinare che opera internazionalmente nei campi dell’arte contemporanea e del design. Il nome contiene le iniziali dei due giovani designer ma rimanda anche alla combinazione di tasti del computer, Ctrl + Z, quella per tornare indietro non tanto per cancellare, piuttosto per accrescere la propria consapevolezza attraverso lo studio della tradizione e l’affinamento del metodo progettuale. È possibile equilibrare la disarmonia e l’irregolarità risolvendole coerentemente e proporle nella loro naturalezza come miscela di cultura, di linguaggi, di significati: soltanto così possiamo percorrere il presente per proiettarci verso il futuro.

Entrambe le immagini: Progetto Transubstantia. Foto di Mimmo Capurso

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Il processo cognitivo è studiato con interesse e passione dalla coppia perché rappresenta un’opportunità unica per comprendere le cifre di una società nuova in grado di modificarsi molto in fretta, e che individua nella contaminazione la chiave della propria esistenza. Il viaggio e l’incontro sono straordinarie occasioni di ricerca sulla possibilità di contaminare la propria conoscenza muovendosi tra mondi distanti nello spazio e nel tempo e ricercando continuamente modalità inedite che li risolvano. Il mondo non è più diviso: forme, soluzioni e sopratutto contenuti viaggiano in tempo reale e immediatamente entrano a far parte di un immenso patrimonio collettivo a portata di click. L’oggetto ha un grande potere evocativo, il volume, la forma e la materia sono le aree di ricerca che il progettista percorre per mediare contenuti, CTRLZAK ha abilmente inda54

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gato queste tematiche proponendo collezioni irriverenti, ironiche e talvolta provocatorie come Transubstantia Paganus: “È un’interpretazione del consumismo di massa che si inserisce nel dibattito sulla crisi dei valori, profanando l’ostia come materia alimentare riportandola a un livello terreno. In un momento storico contemporaneo di crisi ideologica, politica e religiosa Transubstantia Paganus è uno specchio che permette il confronto tra lo spettatore e il significato metaforico dell’opera; siamo tutti noi parte del processo, vittime e carnefici della decadenza che coinvolge ogni settore del contemporaneo: la religione, la politica, la società, l’ambiente. Negli oggetti che compongono il banchetto quotidiano si riflette questa condizione di fragilità e vuotezza, si celebra il ritorno a un processo in cui il simbolismo è più forte della morfologia negando la sostanza stessa degli oggetti che si perde in forme fragili e primordiali”. La divisione e la ricomposizione in oggetti ibridi e frammentati, la dissacrazione materica, l’isolamento dal conIn questa pagina dall’alto: Progetto Hybrid. Foto di Studio Baldini Progetto Transubstantia. Foto di Mimmo Capurso Pagina successiva dall’alto: Progetto Transubstantia. Foto di Mimmo Capurso. Progetto Monumentale. Foto di Mimmo Capurso. Progetto DZEN. Foto di Mimmo Capurso

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testo funzionale di oggetti d’uso non comune e la loro rifunzionalizzazione come oggetti d’uso quotidiano rappresentano soltanto alcune delle ricerche con cui CTRLZAK interpreta il significato ed il ruolo del design contemporaneo con lo sguardo sempre rivolto verso le grandi produzioni artistiche del XX secolo. Progetto Transubstantia. Foto CTRLZAC Studio. Progetto Quartz. Foto di Thorsten Greve Progetto Flagmented. Foto di Mimmo Capurso


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Tra natura e design Una dimora a Melizzano

di Veronica Carbonelli Fotografie: Ana Gloria Salvia

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el cuore della campagna beneventana, lontano da luoghi affollati e mondani, ci sono ville nascoste nel verde. Ăˆ il caso di questa grande casa bianca, distribuita su tre piani, circondata da un generoso giardino mediterraneo; il suo progetto è stato affidato allo Xstudio Architettura di Flavio di Fiore ed Anna Fresa, che hanno privilegiato la salvaguardia della privacy e il rapporto tra gli spazi domestici e l’esterno.

Soggiorno con vetrata rivolta a est


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La dimora, arretrata verso il giardino e delimitata su un lato da una piscina che costituisce un prolungamento dell’abitazione, è una costruzione divisa in tre blocchi, due sopraelevati e uno interrato. Essa presenta un tetto inusuale, con due grandi falde in legno con coppi in cotto e una facciata particolare – in pietra di lupo – che contiene la canna fumaria. La location ha influenzato l’intero progetto architettonico e anche il design degli interni: da ogni angolo e da ogni ambiente si potesse percepire la natura come parte integrante dell’edificio, rivelando continui scorci, quasi fossero quadri d’autore. Particolare la cura degli interni, illuminati dalla luce che entra dalle grandi vetrate; lo spazio abitativo sapientemente ordinato, concede ai proprietari un open space fruibile al massimo nelle funzioni quotidiane.

Accanto: scala interna con illuminazione notturna tra il piano. In basso: cancello ingresso (in ferro) lato ovest. Nell’altra pagina. In alto: facciata lato nord con piscina. In basso: parete in pietra di San Lupo contenente la canna fumaria


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Nel piano terra, infatti, convivono zona giorno con cucina e soggiorno con camino, una zona studio con libreria e una zona computer, mentre nel piano superiore viene dislocata la camera da letto padronale con la peculiarità del bagno realizzato come una autentica spa, con vasca idromassaggio e bagno turco. Infine, nel piano seminterrato vengono collocate le altre camere da letto per gli ospiti, collegate direttamente al patio e al giardino. Semplicità e luminosità da una parte, interni che dialogano con la natura circostante dall’altra, costituiscono il leit motiv di questa splendida dimora.

Accanto: percorso in pietra di San Lupo nel giardino mediterraneo lato sud. In basso: zona SPA


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FOCUS

bianco & nero Armadio bar Solitaire di Selva Design Axel Enthoven. Nato in collaborazione con Swarowski è uno dei bestseller di Selva. L’armadio bar offre numerose possibilità di utilizzo dello spazio. Le ante sono impreziosite da elementi originali Swarovski. www.selva.com

Lace di Bysteel Paravento, poltroncina e tavolino in alluminio smaltato bianco opaco. www.bysteel.it

Moncœur di La Cividina Design Peter Harvey. Elogio dell’artigianalità la poltrona che ricorda le linee del cuore. Manufatto prezioso che diventa protagonista di ogni spazio. Rivestimento: fisso in tessuto o pelle. www.lacividina.com

Allure di Molteni & C. Idaa di Bysteel Piantana e sospensione in alluminio da esterni e interni smaltata, in versione bianca e nera. www.bysteel.it

Design Matteo Nunziati. Linea sinuosa, asciutta, ricercata pensata sia per l’utilizzo domestico che per arredare spazi comuni in alberghi, suite o residence. www.molteni.it

Kobol di Bysteel Designer Stefano Pirovano. Fioriera capovolgibile in acciaio o alluminio, smaltato in bianco opaco. www.bysteel.it

Ploff di La Cividina Design Antonino Sciortino. Ploff è un poliedrico oggetto utilizzabile come elemento d’appoggio o come seduta. Viene proposto in finitura nero opaco. www.lacividina.com

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Clif di Epoque by Egon Furstenberg Clif esprime la ricerca del lusso, è caratterizzato da una forma sinuosa ed avvolgente, da una lavorazione capitoné, impreziosita da un pregiato velluto di seta. www.quartetsalotti.it

Buddy di Molteni & C. Design di Hannes Wettstein. Tavolini dal forte contenuto decorativo che abbina volumi geometrici essenziali con caratteristi che funzionali date dai piani di appoggio. www.molteni.it

Panna Cotta di Molteni & C Serie Grado design Ron Gilad. Piano d’appoggio dall’esile struttura in filo d’acciaio stabilizzata con un contrappeso in marmo. www.molteni.it

Arc di Molteni & C. Design Foster+Partners. Il tavolo Arc incorpora diversi concetti innovativi che lo distinguono. La forma del basamento si ispira alla tecnologia moderna, il materiale utilizzato è caratterizzato da un basso peso specifico. Arc è disponibile con piani rotondi e ovali sempre in vetro, bisellati ai bordi. www.molteni.it

Aria di Slamp Design di Zaha Hadid. Una lampada che coniuga scenografici canoni architettonici all’intrinseca leggerezza dei materiali Slamp. Un’affascinante scultura di luce, resa elegante dalla sfumatura nera in dissolvenza. www.slamp.com

Nett di Crassevig Design Ton Haas. Leggera ma resistente, Nett è caratterizzata da un’estetica estremamente contemporanea: forma, decoro e struttura si fondono insieme con un giocoso e colto effetto finale. www.crassevig.com

Pandora di Selva Elegante divano con seduta, schienale e fianchi con imbottitura in lavorazione capitonnè che possono essere combinati con tessuti diversi. www.selva.com

Porta K8 di Mas

Porta K10 di Mas

Collezione ‘Klink Prima’, toulipier nero manhattan con inserti in betulla sbiancata. www.maslegno.com

Collezione ‘Klink Prima’, toulipier nero lavagna con inserti in betulla sbiancata. www.maslegno.com

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Come sta cambiando l’iconografia di Napoli nel mondo A colloquio con un regista della BBC di Roberto D’Alessandro Fotografie: Bruno Sorrentino

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rmai c’è l’abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi. L’iconografia classica con cui viene associata Napoli è cambiata. La tipica cartolina dei pini di Posillipo, quella del Vesuvio e del suo pennacchio, i vicoli assolati dei film girati a Napoli negli anni del dopoguerra come L’oro di Napoli, quelli ammuinati di Totò, oppure quelli inquieti di Eduardo e della friggitoria Sofia, hanno inesorabilmente ceduto il passo alle immagini tristi e crude della Napoli postindustriale di Gomorra. Questa drammatica evoluzione però, non è da attribuire esclusivamente al successo internazionale del libro di Roberto Saviano, o al suo seguito cinematografico firmato da Matteo Garrone, oppure all’omonima serie televisiva curata da Saviano stesso (i cui diritti, tra l’altro, sono già stati acquistati da molti distributori europei). Ad accendere i riflettori sul “lato oscuro” di Napoli, e cioè su Scampia, sui rifiuti tossici e sulle ramificazioni della criminalità organizzata, sono state anche gli organi d’informazione di altri paesi europei che hanno diffuso un’immagine di Napoli più tragica e raccapricciante


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lito. Il Vesuvio ha lasciato spazio alle Vele. Ai cortili del centro storico si sono sovrapposti quelli della 167, e i vicoli assolati sono stati sostituiti dalla campagna, una volta fertile e felice, adesso affogata dai rifiuti tossici, i cui roghi producono un fumo nero ed acre, solo lontanamente simile alle grigie esalazioni sulfuree della solfatara o del pennacchio del Vesuvio. Napoli oggi è spesso rappresentata all’estero come l’equivalente di Corleone negli anni Ottanta: pericolosamente insalubre e pittoresco.

Vele di Villeneuve Loubet

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Un documentario andato in onda di recente sulla seconda rete della britannica BBC: Italy’s Bloodiest Mafia, ha avuto un grande successo di pubblico e un notevole seguito di commenti (si può vederlo su youtube.com è digitate il titolo del documentario). La regia è stata affidata a Bruno Sorrentino, un regista inglese sessantenne di origine napoletane. Quando riprendevamo i cumuli d’immondizia, le Vele di Scampia, i cortili sporchi e degradati, spesso la gente si fermava a guardare e poi ci dicevano che era sbagliato dare questa brutta immagine di Napoli,” racconta ancora con una punta di malinconia il regista anglo-napoletano, “mi sono sentito spiazzato. Quasi come se fossi stato io l’autore di quel degrado. Ho provato a spiegargli che nascodere qualcosa di così grave sotto il tappeto non è certamente il modo giusto per risolvere i problemi. Anche


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a Londra ci sono tante cose che non vanno e se vogliamo risolverle bisogna che se ne parli. Forse perché a Londra non avete le vele? Ma anche a Londra a volte propongono un tipo di architettura sociale da sviluppare in grandi spazi, dove tante persone posso vivere vicino. Specialmente adesso che c’è un grande incremento demografico e tanti immigrati. Chi non vorrebbe abitare a Londra? Addirittura le autorità stanno minacciando di costruire nella green belt, la cintura verde che circonda la città e che finora è sempre stata considerata intoccabile. Torniamo a Napoli e a Scampia, che cosa è successo alle vele di Napoli? Credo che le cose siano andata così anche da voi. Hanno costruito le vele con lo scopo di aumentare la densità della popolazione, di dare loro dello spazio da utilizzare nel miglior modo possibile. Ma era un piano utopistico e realizzato male. La popolazione tende a diminuire in Italia e le periferie napoletane sono quasi tutte, storicamente, organizzate molto male. Quelle vele poi, sono terribili. Che passava nella mente dell’architetto che le ha progettate, o di chi ha deciso di approvare il progetto? Sicuramente la gara è stata vinta dopo una competizione ed una selezione agguerritissima, e se andiamo a vedere i giornali dell’epoca il progetto avrà ricevuto molti apprezzamenti. Avranno pensato che era un tipo di architettura popolare che finalmente poteva far sognare anche le persone non agiate. Oltre alla regia è anche appassionato di architettura? Beh, un po’ lo studiata, ma non c’è bisogno di una laurea per capire che quel sogno sarebbe diventato un incubo. Le vele infatti sono subito diventate un ghetto, e lo spazio disponibile è tutto distrutto o utilizzato male. Altro che architettura sociale. Casomai a-sociale! Ma in Francia era già stata fatta una costruzione simile a Villeneuve Loubet sulla costa mediterranea della Francia… Sì, ma in un altro contesto. Quelle vele sono state costruite vicino al centro abitato, e si sviluppano in prossimità del mare. Gli appartamenti sono stati venduti come seconde case al mare per i ricchi francesi. Comunque, io non vivrei mai in uno dei quegli appartamenti, mi sentirei come un topo! Gli ultimi documentari girati in Italia erano di carattere artistico culturale, come si è sentito a dover fare un’inchiesta sulla camorra e gli scempi di Napoli. Tutte le grosse città vivono grandi problemi, è solo che a volte Napoli mi sembra più rassegnata delle altre. Nel mio film vediamo giornalisti, giudici e imprenditori che per aver fatto semplicemente il loro dovere, vivono una vita blindata. E questo è un tipo di coraggio. Ma il coraggio più grande per me dovrebbero averlo tutti in napoletani che sono costretti a vivere nelle periferie degradate, nelle strade con i cumoli d’immondizia fuori la porta, e quelli costretti a camminare con le loro auto sulle strade piene di buche. In un pase civile questo non deve succedere. Dovrebbero ribellarsi. Un po’ di Vesuvio e un po’ di mare però nel suo film ce lo ha messo. Che percezione si ha di Napoli da fuori? Davvero degradata? ARKEDAMAGAZINE

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Napoli continua ad avere un grande appeal. La puoi odiare, la puoi temere, ma non è mai indifferente. È una città dove non c’è mai niente di scontato.Ti puoi aspettare di tutto, nel bene e nel male, è sempre stata così lo è, lo sarà ancora. In qualche modo la città, da sola, ha sviluppato gli anticorpi verso tutte quelle cose brutte che produce. Ma, ultimamente qualcosa nell’aria è cambiato. La prima volta che venni a Napoli, almeno da quando mi ricordo, avevo sette anni. Arrivai in stazione con mio padre. Non appena mettemmo piede a terra, mio padre si fermò. Mi guardò fisso negli occhi e mi disse: ‘Vedi Bruno. Questa non è Londra. Qua stiamo a Napoli, la città col cuore più grande del mondo. Non te lo dimenticare mai.’ Questo io non l’ho dimenticato, ma non sono sicuro che oggi mio padre direbbe la stessa cosa. le immagini di Scampia sono state tratte dal film Italy’s Bloodiest Mafia di Bruno Sorrentino


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giochi di luce New form di De Vecchi Design Gabriele De Vecchi e Corinna Morandi. La sua forma riprende quella di un tubo curvato a C, la cui parte inferiore è sezionata in modo da creare la base di appoggio. L’elemento staccato in basso è riposizionato nella parte alta, in modo da costituire il ‘paralume’ orientabile. Edizione limitata 19 esemplari all’anno (soltanto per quanto riguarda la versione in argento). www.devecchi.com

Waves di Bysteel Design di Elena Manferdini. Totem luminoso da interni ed esterni in alluminio con base in acciaio inox smaltato in bianco opaco 20 gloss. www.bysteel.it

Poesia di Quattrifolio Design di Angelo Mangiarotti. Plafoniera a luce diretta con struttura in metallo verniciato composta da dodici vetri in lastra disponibili in diversi colori. www.quattrifolio.it

Clover di Bysteel Lampada da terra e sospensione, da esterni e interni, in alluminio smaltato bianco opaco e plexiglass colorato. Disponibile in 3 misure. www.bysteel.it

JJ-JJ Junior Camouflage di Leucos Design Centro Stile. Lampada da tavolo JJ e JJ junior realizzata in metallo con diffusore in alluminio, decorazione ‘camouflage’. Interno diffusore laccato bianco. www.leucos.com

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Cloudy di Fabbian Design Mathieu Lehanneur. Una nuvola di vetro che fluttua nell’aria è la nuova lampada in vetro soffiato di Fabbian che mescola insieme il vetro bianco e trasparente, con LED ad alta luminosità. www.fabbian.com

Andrei di Quartet Una lampada da tavolo che unisce l’acciaio, con lavorazioni floreali intagliate a laser, ad una cascata di cristalli Swarovski, dai quali irrompe una luce dalle mille sfaccettature, che regala all’ambiente giochi di luce iridescente. www.quartetsalotti.it


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Ray di Fabbian Cellule Lampada di Bysteel Design di Marc Sadler. Lampada da terra da interni ed esterni in alluminio smaltato in bianco opaco 20 gloss. Schermo diffusore in materiale plastico. www.bysteel.it

Honia di De Vecchi Design Gabriele De Vecchi e Corinna Morandi. Un semplice anello in posizione verticale viene interrotto da un taglio e aperto. Il fascino della lampada Honia deriva da questa forma circolare, che torna su se stessa, chiusa e aperta a un tempo. Edizione limitata. www.devecchi.com

Etoile di Slamp Design di Adriano Rachele. Ricorda la gonna di una ballerina. Racchiude potentissimi LED. Disponibile in due misure, per ambienti domestici o più scenografici. www.slamp.it

Lagranja Design. L’ Illuminazione prende spunto dalle persiane tipicamente mediterranee. Il modulo in policarbonato ripetendosi genera un oggetto spiraliforme e la luce che ‘scappa’ tra le lame, disegna le forme della lampada. www.fabbian.com

Moai di Leucos Designer Defne Koz. Di ispirazione scultorea Polinesiana, Moai è una lampada da appoggio composta da due diffusori in vetro soffiato bianco satinato di grandi dimensioni. Base in resina compatta con finitura bianco lucido o nero lucido. Lampada a doppia accensione dimmerabile. www.leucos.com

Plinto 1.6 di Former Design Pinuccio Borgonovo. Composizione soggiorno che riporta alla ribalta la classica idea della composizione a parete aggiungendo a basi, provviste di contenitori, pensili e mensole, librerie verticali dal tratto assolutamente originale ed in cui il contenuto luminoso gioca un ruolo determinante. www.former.it

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La ricerca della flessibilità Una casa versatile a Rivisondoli di Andrea Nastri Fotografie: Marinella Paolini

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no spazio fluido e flessibile, capace di adattarsi rapidamente alle esigenze della famiglia nei diversi momenti della giornata. È questo che hanno immaginato i progettisti di Zetastudio quando hanno messo mano a questa piccola casa di montagna situata a Rivisondoli, una delle più frequentate stazioni sciistiche dell’Abruzzo. Zetastudio è un team composto da due progettisti napoletani, Giuliano Andrea Dell’Uva e Francesca Faraone, che, oltre alla sede napoletana di Chiaia, ha recentemente aperto un secondo spazio creativo anche a Capri, affidato alla cura dell’architetto Marcella Canfora. Autori di numerosi altri progetti d’interni, gli architetti hanno affrontato l’incarico di ristrutturare questa piccola casa di Rivisondoli come una sfida. I proprietari, raffinati collezionisti d’arte, chiedevano una casa vivibile per sé e per i propri due figli durante le loro vacanze abruzzesi, ma anche uno spazio in grado di accogliere degnamente gli ospiti per


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piacevoli serate in compagnia. Il tutto nei poco più di 50 metri quadrati dell’appartamento, a pianta pressoché rettangolare. L’idea, semplice ma declinata nel modo più efficace, è stata quella di ricorrere a delle partizioni scorrevoli per tutti gli ambienti, che consentissero di trasformare con pochi gesti lo spazio, adattandolo di volta in volta alle diverse necessità. Ambienti più aperti per l’accoglienza e ambienti chiusi e caldi per il riposo e la privacy, che si intersecano in un mix multifunzionale in continua evoluzione. Tutta la casa, ispirata ad una grande pulizia formale, si può percepire con un solo colpo d’occhio fin dall’ingresso, ma, quando occorre, può essere scompartita in diversi ambienti più piccoli e raccolti. Si passa così da una configurazione con un unico spazio a giorno ad una con un living con angolo cottura e due camere da letto, più gli ambienti di servizio. Le pareti scorrevoli diventano così il punto forte, l’aspetto qualificante del progetto. Le partizioni a scomparsa sono declinate nei più diversi materiali, tutte realizzate con cura artigianale per la loro specifica funzione. Quelle del salotto principale sulla sinistra dell’ingresso – che la sera diventa la camera da letto dei genitori – sono delle quinte in vetro satinato che all’occorrenza scompaiono nel muro; quelle della camera dei bambini, in fondo a destra – che a sua volta di giorno può essere usata come estensione del soggiorno – sono in lavagna su struttura in ferro, per

In queste pagine le immagini della casa progettata da Zetastudio

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consentire un ulteriore grado di flessibilità: da semplici pareti diventano dei veri e propri oggetti per il gioco e per la creatività. Unici elementi ‘fissi’ che ritmano lo spazio sono i pochi setti murari ed il camino centrale in ferro naturale, che divide lo spazio salotto dall’area pranzo-cucina ed è utilizzabile da entrambi i lati. Disegnato su misura per soddisfare le esigenze funzionali del riscaldamento e del focolare domestico, caratterizza lo spazio ‘giorno’ ed ospita anche un pratico vano portaoggetti. Il progetto unisce alla flessibilità la necessità di sfruttare al millimetro ogni angolo della casa e quasi tutti i suoi elementi costitutivi, dunque, sono disegnati e realizzati su misura per Zetastudio. Anche la scelta dei materiali segue una logica precisa, quella di dare fluidità e continuità allo spazio e di conferire calore agli ambienti. Pietra, legno e ferro naturale, in sostanza, e nient’altro. Il pavimento è in parquet massello di zebrano, un bellissimo legno africano caratterizzato da striature lunghe e regolari, oggi poco usato dopo essere stato di gran moda negli anni Trenta. Il parquet risale in diversi punti anche sulle pareti a diventare rivestimento – racchiudendo, ad esempio, le armadiature e celando l’ingresso al bagno – e persino sulla cucina, diventando anta per i mobili bassi. Nella zona cottura il piano monoblocco in acciaio è un altro degli elementi disegnati su misura per l’abitazione, in questo caso

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dalla Scholtès, che ha fornito anche gli elettrodomestici. I pensili alti presentano un particolare rivestimento in vetrotessuto lavorato da Livio De Simone, celebre stilista napoletano, realizzato a mano su disegni degli anni Sessanta. Le pareti del lato sinistro della casa, quello più esposto all’esterno, su cui sono situate le finestre che incorniciano la magnifica vista sulla vallata, sono rivestite in pietra arenaria spagnola spazzolata. La casa ospita anche alcune importanti opere d’arte, tra cui dei piccoli dipinti di Schifano e molti oggetti di design firmati, tra gli altri, da Tom Dixon, Gaetano Pesce, Chearles Eames, Borek Sipek e Marco Lodola. Tra gli elementi d’arredo spiccano il divano letto di Dedar, la lampada Spun Light S di Flos, il tavolino di Moooi e quello di B&B Italia, le sedie di Edra, la libreria di Extendo e diversi oggetti della Galleria Simona Perchiazzi. Un progetto che senza stravolgere la preesistenza, secondo l’esplicita volontà degli architetti e dei committenti, ne ha tirato fuori tutte le potenzialità e le ha sfruttate al meglio, realizzando un ambiente versatile, dinamico e funzionale.


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materiali & design MulT8 di De Vecchi Design di Matteo De Vecchi. Questo particolare porta candele combina due materiali distanti tra loro: un semilavorato industriale di PVC con un oggetto fatto a mano di argento. Il risultato è un oggetto di design dalla forma esclusiva. www.devecchi.com

Bergére Astoria di Selva

Keel di Former

Design Lorenzo Bellini. Il rivestimento in pelle o stoffa con filetto viene lavorato in modo da fondersi con la struttura in legno della poltrona, affinché i due elementi formino un tutt'uno armonico. www.selva.com

Design Claesson Koivisto Rune. Design caratterizzato da un’estetica aerodinamica che riduce le cose alla loro essenzialità. Gambe di legno generosamente proporzionate con forma arrotondata e rastremata in contrasto con il sottile piano disponibile in legno o in marmo. www.former.it

Cork Famiglia di Vitra Design Jasper Morrison. Tre oggetti di design da utilizzare come tavolini o sgabelli. Beneficiano delle proprietà naturali del sughero: leggero ed estremamente resistente, hanno anche una superficie vellutata e piacevole al tatto. www.vitra.com

Cuore di De Vecchi Vassoietto in argento. www.devecchi.com

Credenza Frame di Mod’Art Design Roberto Cappelli. Credenza con ante in Noce Nazionale portale in legno laccato Bianco opaco ‘Zero Assoluto’. www.modartcucine.it

FNP di Moormann

Brocca Trebok di De Vecchi

Design Nils Holger Moormann. Una libreria pensata per i libri: design essenziale che privilegia la funzione ed utilizza materiali ecosostenibili sistema flessibile e realizzabile a misura con una resistenza al carico senza eguali. Per l’uso domestico e professionale. www.moormann.de

Design Gabriele De Vecchi. L’acqua, prima di raggiungere il bicchiere, salta da un beccuccio all’altro come se scendesse per un ruscello. Edizione limitata in argento 99 esemplari all’anno. www.devecchi.com

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Brocca Moulin di De Vecchi Design Gabriele De Vecchi. Una ruota che gira, come quella di un mulino, ci ricorda la forza meccanica dell’acqua, fonte di energia. Edizione limitata in argento 99 esemplari all’anno. www.devecchi.com

Sign di Former Design Pinuccio Borgonovo. credenza composta da doghe modulari di varie larghezze. Dal rovere al noce canaletto o ‘smoke’ fino al colore laccato lucido od opaco ed alla pregiata possibilità del top in marmo, un pezzo significativo e mai banale all’interno della casa. www.former.it

Andrei di Quartet Chippendale di Mod’Art Design Liberato Meluzio. Tavolo in Castagno Italiano antico recuperato e verniciato ad olio e acqua; gambe in legno laccate bianco opaco ‘Zero Assoluto’. www.modartcucine.it

Candeliere in acciaio, caratterizzato da una sinuosa struttura sferica. Perfetto per completare una raffinata tavola natalizia o rendere indimenticabile un momento speciale. www.quartetsalotti.it

Unikko di Marimekko

Wiggle Side Chair di Vitra

Design Maija Isola & Kristina Isola. Natura e design nel mondo dei fiori dei tessuti Marimekko. Colori e raffinatezza rappresentano unicità ma anche tradizione per l’intera gamma dei prodotti Marimekko dal tessile all’oggettistica. www.marimekko.com

Design Frank Gehry. Nuova dimensione estetica per un materiale ordinario come il cartone. Forma scultorea, comoda, durevole e robusta. www.vitra.com

Comò di Molteni & C.

Lucille di Former

Design Gio Ponti. Comò disegnato in diverse varianti tra il 1952 e il 1955. È caratterizzato dai frontali dei cassetti verniciati a mano in colore bianco con maniglie applicate di varie essenze (olmo, noce nazionale, mogano e palissandro). La struttura in essenza di olmo è sostenuta da piedi in ottone satinato. www.molteni.it

Design Roberto Lazzeroni. La sbarazzina apertura nello schienale aggiunge originalità alla sua seduta, le gambe coniche sono in massello di noce canaletto o di noce ‘smoke’ La scelta della pelle le conferisce aristocratica bellezza. www.former.it

Omono di De Vecchi Santa Design Studio. Un oggetto dallo stile orientale proprio come i sassi del fiume giapponese da cui prende il nome, uno spazio intimo nel quale custodire tutto il necessario per prendersi cura di se stessi. Omono è composto da tre contenitori in ceramica di diverse grandezze posti uno sull’altro, in modo che ognuno funga da tappo per l’altro. www.devecchi.com

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Omaggio a Gio Ponti: grattacieli tra le dita

La “Stone Age” del gioiello S pesso accomuniamo la parola ‘prezioso’ al materiale di cui è composto un oggetto. Per i gioielli di Rosalba Balsamo prezioso non è solo l’oro, l’argento e il bronzo in lamine della sua produzione, ma è anche il design, l’idea, i tagli, l’armonia che si genera tra le insenature dei bracciali e tra i tagli degli anelli.

di Giorgia Borrelli

Bracciale Diamante, omaggio a Gio Ponti, argento e oro, 3 edizioni limitate, 2009. Fotografia di Filippo Vinardi.


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Di rado uso pietre preziose, – ci racconta – preferisco cercare la luce e il colore dentro le pieghe, le curve e le torsioni delle forme; dentro l’oro e la brunitura, spirali di luce e di buio, contrasti naturali che esistono già nelle forme e nei materiali usati. Designer di origini napoletane la Balsamo ha saputo coniugare le visioni ‘futuristiche’ dell’architetto alla tradizione orafa napoletana che fa della materia la sua forza. Una materia che nei suoi gioielli è presente in maniera massiva, quasi preistorica.

Accanto: pendente Città, argento, tecnica galvanica, 7 edizioni limitate. In basso: Collana Circle, Argento, 2007, edizioni limitate

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Bracciale, argento, tecnica galvanica

Un ritorno a Stone Age, all’età in cui si iniziava a costruire i primi utensili, per riscoprire la manualità e per arrivare a forme contemporanee come quelle del bracciale e anello in omaggio a Gio Ponti. Qui le geometrie ‘prime’ vengono sostituite da sculture dinamiche che tagliano lo spazio architettonico con accenti di argento, trovando il loro fine nell’osservazione estatica della dinamicità. Su due scale completamente differenti (micro e macro) si ritorna alle forme pure, alla linea, al punto e allo spazio. La designer riesce a creare i suoi prodotti grazie anche all’aiuto

Immagine piccola: Necklace, Silver oxidize, 6 limited edition. 2010. A destra: dettaglio pendente Wave, argento e oro

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Bracciale Diamante, omaggio a Gio Ponti, selezionato e pubblicato da Adi Design Index e poi realizzato in Titanio per la mostra al Museo della Triennale di Milano, 2009. Fotografia diFilippo Vinardi

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di tecnologie industriali all’avanguardia e tradizionali (la cera persa, la placcatura dei metalli, il taglio al laser) producendo oggetti unici, anche se riproducibili in serie. Rosalba Balsamo, progettista anche di mobili e scenografie per il cinema e il teatro, è stata finalista agli UK Jewellery Awards di Londra nel 2011, ed è stata selezionata per il Museo della Triennale di Milano (in mostra itinerante New Italian Design 2.0, che avrà come ultima tappa The Power Station Of Art SHANGHAI). Espone nelle più importanti gallerie d’arte d’Europa.


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SITE-MAP di Sergio Stenti

Cosa si vede dai vetri della cupola di piazza Nicola Amore

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a cosa si vede dalla cupola in vetro e acciaio che fra poco emergerà dal sottosuolo in piazza Nicola Amore? Una tale spettacolare intrusione in centro città, che rompe il rettifilo e inquieta gli edifici della piazza, certo dovrebbe poggiare su forti motivazioni di senso: scoperte archeologiche eccezionali che necessitano di essere messe sotto serre di vetro, alla luce del sole. Molti si domandano infatti la necessità di questa intrusione, ma le risposte non sono convincenti e non sembrano giustificare una così grande trasformazione di un luogo storico formalizzato. Se lo chiedono anche gli architetti progettisti della piazza e in primis l’architetto Piero Quaglia incuriosito dagli striscioni pubblicitari coi rendering della cupola che cingono il cantiere della metro al centro della piazza, chiedendosi perché occupare la piazza invece che rimanere nel sottosuolo come sarebbe secondo natura? Era stato, il suo, un lavoro attento di architettura urbana, mitigando le esigenze speculative con quelle monumentali; ma alla fine era riuscito a progettare una bella piazza con edifici signorili. Una piazza commerciale con due gallerie in ferro e vetro: uno spazio rotondo che da slargo veicolare era divenuto piazza piena di elementi neobarocchi, timpani, talamoni, nicchie e colonne per funzioni da centro città come residenze, negozi, uffici e piano attico. Infine, a occupare il centro della piazza, la cittadinanza riconoscente, aveva messo la statua del sindaco Amore, artefice di tanta trasformazione. Allora, non avevano dovuto scavare molto per costruire il Rettifilo anzi, in molte parti avevano addirittura rialzato il suolo urbano a causa del nuovo impianto fognario; eppure avevano avuto la fortuna di trovare nel sottosuolo resti di edifici romani, di uno stadio e di un ippodromo posti sulla spiaggia fuori le mura della città greco romana, fornendo l’occasione a Bartolomeo Capasso di arricchire la sua importante topografia storica. Dopo un secolo, al di sotto del Rettifilo si è scavato ancora. Si è scavato un secondo rettifilo molto in profondità, con tecniche moderne cieche come una talpa, per far correre dei treni con pozzi di risalita per le persone. In uno di questi pozzi, guardando con attenzione lo scavo, si sono scoperti i reperti crollati di un tempio per i giochi isolimpici al centro di un porticato, di epoca augustea: le fondamenta di metà podio, reperti architettonici, pavimenti musivi, lastre decorative, piccole sculture. La luce zenitale del sole napoletano non è una buona soluzione per esporre queste scoperte archeologiche. Guardando dall’alto, attraverso i vetri della cupola la luce schiaccerà le ombre e mostrerà la parte meno pregiata delle scoperte: un montarozzo sagomato di terreno e laterizi con loculi scavati. La parte migliore potrà essere apprezzata solo da un punto di osservazione ad altezza d’uomo, con luci appropriate poste nella penombra di uno spazio allestito intorno al podio del tempio. Meglio sarebbe stato lasciare il simulacro del tempio là dove è stato trovato e riprogettare attorno ad esso il mezzanino della stazione della Metro. Liberata cosi la piazza, restituita la prospettiva al Rettifilo, il sindaco Amore sarebbe stato contento di ritornare a casa; non che stava male a piazza Vittoria, a guardare il golfo, ma l’aria salmastra non giovava certo alla sua salute e poi stare al centro della piazza che porta il suo lo avrebbe fatto sentire di nuovo pieno di orgoglio e felice della riconoscenza dei suoi concittadini.

Piazza Nicola Amore, progetto Fuksas

Piazza Nicola Amore, progetto Stenti con gli studenti della Facoltà di Architettura

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SETTE COSE INUTILI di Giancarlo Artese

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“Do not disturb”, boccia per pesci

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The Most Useless Machine

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Quale, tra gli animali domestici, è il più inutile? Non c’è dubbio, il classico pesce rosso. Finanche un rettile, che so, lo puoi accarezzare (almeno vive nel tuo mondo)... Così, l’oggetto più banale che c’è, casa dell’animale più inutile che c’è, si dota di un’estensione colorata, una sorta di privé per pesci. E cambia tutto. Progetto (geniale) di Joe Velluto, un gruppo che sull’inutile ci ha fatto pure una mostra. 5

Puro genio. Dove il non-sense si fa rivelazione, e dunque si sottrae a qualsiasi descrizione. Duchamp non avrebbe saputo fare di meglio.

Grande Lebowsky 5 IlScena dello scarabocchio Il Grande Lebowsky è un film, se vogliamo, su un uomo inutile. E una vita come quella del Drugo, inutile appunto, secondo i nostri schemi non può che apparirci assurda. Ma assurdo, spesso non è che quanto sfugge alla nostra comprensione (e immaginazione), e forse vale lo stesso per l’inutilità. Bene, questa è la scena più assurda (e inutile) del film.

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4 Spiros, posacenere – Artemide

Ok, una funzione ce l’aveva (anche se oggi poco popolare). Ma alla fine, ne sono certo, nessuno lo usava. Tutti a far rotolare la pallina nella spirale, o semplicemente ad accarezzarlo. Uno degli oggetti più inutili e più amati (da coloro che lo possedevano) degli anni ‘70.

3 I progetti del gruppo Site

Il finto crollo del muro di un supermercato sulla pensilina d’ingresso. Oppure un paramento di mattoni che si stacca dalla parete, come una pellicola (ma non cade). Oppure ancora l’angolo di un edificio che si stacca e scorre sul marciapiede, lasciando entrare le persone. Che grande, fantastico gioco che potrebbe essere (è?) l’architettura... Il sito: http://youtu.be/sxPuM4w3c2g

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2 Sedia per visite brevissime

I bambini sono i più grandi cultori dell’inutile (cioè: ciò che gli adulti considerano tale). Non per niente Bruno Munari, l’autore di questa sedia-non sedia (al massimo si può usare come servomuto) li coinvolgeva spesso nei suoi progetti. Però... l’ironia della funzione negata, la presa in giro dei riti sociali e del proprio mestiere (il designer)... non è già troppo per un oggetto inutile?

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Firewall

Firewall è un’opera interattiva dell’artista Aaron Sherwood... tipi di luce differenti sono proiettati su una membrana, e reagiscono al tocco delle persone. Meravigliosamente inutile, se è inutile anche ciò che è capace di affascinarci. Ma dovete guardarlo nel sito: http://vimeo.com/54882144 (Sette cose inutili è tratto dal sito: www.sevenhits.com)

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MAPPING NAPOLI di Giuseppe Guida

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uardata dal punto di vista dell’architettura e dell’urbanistica, Napoli è la città della narrazione. Anzi, delle narrazioni. Di progetti semplicemente raccontati, disegnati, discussi e poi messi da parte. Volendo restringere lo sguardo agli ultimi cinquant’anni è possibile ricostruire e rileggere una diversa Napoli, pensata, progettata e in alcuni casi, non sempre i migliori, persino realizzata. O realizzata in parte, e male. È il caso del Piano di ricostruzione della via Marittima, redatto nel 1946 da Luigi Cosenza. Via Marina è la Napoli dal mare. Interfaccia tra la città e il porto, e il mare. Principale asse cittadino lungo il quale sono disposti alcuni luoghi ‘notevoli’ della città. Cosenza la re-immagina secondo il dogma razionale, secondo il quale l’intervento moderno non può che manifestarsi in tutta la sua compiutezza, introitando implicitamente, nel rigore e nella linearità del disegno funzionalista, il rispetto per la storia, i segni sul palinsesto, il tessuto urbano storicizzato, anche se martoriato dalla guerra. Una sorta di audacia del progetto è contenuto nei suoi schizzi: planimetrie, prospettive, prospetti immaginifici e ficcanti. La Napoli che si avviava anch’essa, come il resto d’Italia, verso il boom economico era lì, raffigurata, descritta, futuribile. Nei decenni successivi, come quasi mai accade in Italia con i piani particolareggiati, quel progetto sarà lentamente attuato. Dimensioni, norme, distanze, indici sono paradossalmente rispettati, ma quello realizzato rinnega l’idea di Cosenza, si sgretola nella frammentarietà delle singole ‘invenzioni’ architettoniche, si pone persino contro la logica e il buon senso se, ad esempio, il porticato, previsto dalle norme, viene correttamente realizzato ma, in alcuni tratti, sarà recintato ed isolato dalle percorrenze pedonali. “Tradurre è tradire”, ed è anche riadattare concetti e contenuti preesistenti a contesti cambiati. Ma reinterpretato o meno, quel progetto (o qualcosa di simile), dopo sessant’anni deve ancora essere attuato e alla città, capitale del Mediterraneo, manca ancora il suo fronte a mare.

Luigi Cosenza. Piano di Ricostruzione della via Marittima, planimetria

A pochi passi da via Marittima c’è il mercato Ittico di Luigi Cosenza. All’inizio del 2000, a seguito della cessione dell’area a sud del manufatto a favore dell’Autorità portuale per il nuovo dimensionamento del porto di Napoli, il Comune di Napoli ebbe la necessità di riadeguare l’area di carico e scarico con un sistema di nuove banchine e, nell'immediato successivo, decise di provvedere all’adeguamento funzionale e al restauro dell’edificio ripristinando le originarie bucature dei prospetti e le importanti testate in vetrocemento. Le immagini mostrano l’edificio appena costruito nel 1930, il degrado degli anni Novanta, e il prospetto attuale. Progetto dell’arch. Luigi Lopez con la consulenza e supervisione di Giancarlo e Andrea Cosenza.

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Arkeda, la fiera ed il magazine: una nuova sfida di Progecta Sempre più novità, più business, più successo

Nuova Fiera e nuovo Magazine all’insegna della cultura e della formazione sull’Architettura, Edilizia, Design, Arredo che farà di Napoli la Capitale del settore di tutta l’area del Centro Sud e dell’intero Bacino Mediterraneo. Dal 29 novembre al 1° dicembre nel padiglione 6 della Mostra d’Oltremare di Napoli saranno in esposizione tutte le grandi firme del mondo del design, arredo d’interni, uffici, rivestimenti, edilizia. Protagonisti della mostra saranno i professionisti e gli operatori che con i loro suggerimenti sui nuovi modi di vivere gli spazi coinvolgeranno i visitatori della manifestazione insieme alle Aziende presenti nel-

l’area espositiva. La manifestazione sarà un crocevia di novità, un palcoscenico unico a disposizione delle aziende presenti per esibire a questo mercato alternativo la propria offerta e nello stesso tempo per dare informazioni e aggiornamenti ai qualificati visitatori rappresentati da architetti, ingegneri, tecnici, rivenditori e pubblico selezionato. Un fitto programma di Convegni completerà la kermesse che già alla prima edizione presenta importanti elementi di successo. Anche per ARKEDA Progecta punterà sull’elemento di forza delle proprie fiere: fare leva sul mercato del Centro Sud d’Italia e del Mediterraneo, un mercato alternativo, aperto, innovativo e creativo che offre nuove opportunità di business per un miglior futuro del settore dell’Architettura, Edilizia, Design, Arredo ed Artigiano. Un solo augurio, condividere con tutti voi l’entusiasmo per questa quarta avventura fieristica di Progecta. Buona Fiera Angioletto de Negri ARKEDAMAGAZINE

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Arkeda: perché un’ altra fiera? A cura dell’architetto Roberto Cappelli a domanda è legittima guardando il panorama internazionale delle fiere dedicate al mondo dell’abitare, ma la risposta è chiara: perché non è una fiera di tipo tradizionale, non è una design week e non è una manifestazione commerciale simile a molte altre. Comunque, se anche così non fosse, in una società votata all’informazione specifica e capillare, sarebbe utile lo stesso. Ma è qualcosa di diverso. Si pone tra le fiere istituzionali presenti sul territorio europeo e soprattutto in Italia quali: i Saloni di MILANO, il Cersaie di Bologna, il SUN di Rimini ed ancora il MADE di Milano, ed il mercato professionale seguito ed alimentato dai viaggi aziendali, meeting e incontri mirati con gli architetti. Arkeda riunisce le aziende maggiormente propositive viste alle fiere istituzionali internazionali dedicate all’architettura degli interni e del design, le coordina intorno ad alcuni temi prescelti per l’occasione, e le presenta alla platea professionale convenuta sotto una lente d’ingrandimento, svelando ed approfondendo i temi e le cose presentate in maniera didattica, sviscerando, così, e mettendo in luce la ricerca compiuta da ogni azienda ed il messaggio che vuole lanciare al mercato. Questo tipo di approfondimento, per i tempi stretti e la grande affluenza di espositori, ma anche per l’enorme affluenza di pubblico anche molto eterogeneo, non è più possibile in queste grandi manifestazioni. Ad esempio al Salone ultimo di Milano dell’aprile scorso i dati finali della manifestazione dichiarano oltre 1.000 espositori, 325.000 visitatori, più di 1000 eventi fuori salone; il che nei 5 giorni di fiera fa si che le aziende possano curare ( parzialmente) solo i mercati esteri ed i grandi buyer, trascurando gli architetti, gli arredatori e tutti i professionisti del settore che visitano gli stands, peraltro anche molto disorientati nell’enorme tourbillon di proposte.

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Infatti, sempre gli ultimi dati, ci dicono che le presenze degli architetti, soprattutto meridionali, si sono molto ridotte negli ultimi anni. Questo fatto, oltre la crisi economica perdurante, è una delle cause maggiori della riduzione del mercato interno del DESIGN, non più stimolato ed irrorato dalla giusta conoscenza ed informazione dalle AZIENDE del settore. Arkeda vuole riagganciare le aziende al mercato presentando le novità prodotte, le nuove tecnologie, i nuovi materiali e le nuove tendenze del gusto emergenti alla classe professionale del settore, mettendola direttamente a confronto, dibattendo con essa, informandola e in pratica riattivando quelli che sono i primi amplificatori della conoscenza degli utenti finali cioè i consumatori. Per la prima edizione si è scelto il tema: “gli scenari dell’Abitare“. Questo tema mette in luce le molte novità presenti nel mondo del design dovute alle evoluzioni tecnologiche, ambientali ed emotive che stanno cambiando il modo di costruirsi la casa, ma anche le grandi trasformazioni produttive e distributive che stanno trasformando le aziende produttrici. Trasformazioni che investiranno e cambieranno in modo sempre più evidente il mondo dell’architettura e del design. In fondo, oltre ad informare i nostri interlocutori privilegiati che sono gli architetti, gli ingegneri, gli arredatori e tutti coloro che producono architettura, vogliamo catturare l’attenzione delle aziende per stimolarle verso una loro stessa trasformazione, per portarle a seguire queste rivoluzioni e forse a tentare di precederle o almeno di cavalcarle, per non esserne superate e travolte, come per alcune sta accadendo. Tutto questo vuole essere il compito prefissato da Arkeda e dal suo comitato scientifico che, non a caso , è composto da professionisti, professori e cultori e inoltre viene appoggiata e coadiuvata dalle istituzioni come l’università e gli ordini professionali e le associazioni culturali. E Napoli ne è la Madrina.

Renderwork di Gianni Mazza

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ADI Campania e Arkeda A cura di Salvatore Cozzolino responsabile A.D. I. delegazione Campania

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e qualificatissime fiere dell’architettura e del design in Italia e in Europa, oltre le numerose vetrine specialistiche, disegnano un quadro già saturo dell’offerta di aggiornamento professionale e di comunicazione commerciale. In questo scenario la proposta di un appuntamento annuale alla Mostra d’Oltremare di Napoli, rivolto agli operatori dell’edilizia e dell’oggetto di arredo, rappresenta una difficile scommessa, ma altrettanto una opportunità per intercettare i professionisti e le aziende (commerciali e manifatturiere) della Campania, purché l’evento si configuri con caratteri di originalità e rappresenti una efficace selezione delle novità più interessanti della produzione annuale. La missione di ADI Campania è concentrata sullo sviluppo nel territorio della cultura del design, intesa come processo econo-

mico e culturale, e comprende la promozione delle attività produttive, della rete commerciale e della professione creativa. In questo senso la possibilità di fornire a imprenditori, designer e studiosi una occasione di informazione e di confronto rimane certamente uno scopo da perseguire. Si può ritenere che siano almeno due gli effetti positivi sul territorio dello svolgimento di Arkeda. Il primo riguarda il beneficio diretto sulle figure impegnate nel design derivato dall’evento fieristico che potranno accedere ad informazioni e conoscenze di prima mano sui prodotti più interessanti del momento. Questo target ha ridotto parecchio la frequenza dei grandi saloni nazionali e con Arkeda potrà recuperare un livello accettabile. Il secondo attiene alla possibilità di fornire al parterre professionale degli architetti (e anche di una minima parte di ingegneri) un osservatorio nuovo e strumenti aggiornati per integrare la propria offerta professionale con una minima, ma significativa, “formazione di design”. L’occasione consentirà anche un primo contatto con l’Associazione (ADI) con interessanti effetti sull’immagine, sulle adesioni e sulla presenza istituzionale.

Progetto e responsabilità Armoniche corrispondenze di etica, estetica e tecnica A cura di Salvatore Cozzolino responsabile A.D. I. delegazione Campania

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a pratica del progetto può trovare nuovi statuti di esistenza nel senso di un ripensamento dei compiti della disciplina verso un rinnovato impegno sociale con la consapevolezza del destino civile del proprio operato, probabilmente riguadagnando un rapporto autentico con l’impegno per la sostenibilità ambientale dell’opera, per la salute di chi costruisce e di chi abita, per il benessere diffuso, per la congruità dei budget. Nei paesi europei, e in Italia principalmente, caratterizzati da scarsità di risorse e da forte concentrazione demografifica la qualità del progetto, in ogni manifestazione dell’artificiale, concorre allo sviluppo civile purché attinga alle dinamiche sociali e si renda consapevole di essere una missione complessa fatta di comunicazione pesante e di costruzione poetica. La contemporaneità richiede di operare secondo un coordinato etico nella professione che adotti scelte compatibili con la esigenze sociali e ambientali, che utilizzi mezzi e procedure di qualità di livello superiore agli obblighi di norma, che implichi gesti responsabili verso i manufatti esistenti e gli individui in qualunque modo impegnati dall’opera: realizzatori materiali e fruitori fifinali dei componenti. La Responsabilità Sociale del Progetto può diventare il quadro di riferimento per questa nuova sensibilità operativa dei progettisti nel tentativo di superare sia l’indifferenza

professionale, sia l’impotenza derivante da posizioni di integralismo ecologista. La R.S.P., al pari della più nota Responsabilità Sociale di Impresa, propugnata dalle Nazioni Unite e, più recentemente dall’Unione Europea, potrebbe rappresentare il punto di vista della cultura del progetto sugli sviluppi futuri della “costruzione consapevole”. Il progetto responsabile rivede il rapporto con i materiali e le tecnologie del luogo nel segno del bilancio energetico ed economico di ogni operazione, pone attenzione alla salute e alla sicurezza degli operatori considerando ogni contributo di lavoro come interno alla propria responsabilità, considera la corretta previsione della manutenzione e della gestione dell’opera in rapporto con la congruità della spesa e con il tempo di uso del bene, stabilisce che la qualità dell’obsolescenza del manufatto sia valutata insieme alle scelte preliminari e sia coordinata con l’impatto dei componenti alla fifine del ciclo di vita, ritiene fondamentale la partecipazione delle comunità alle scelte generali di progetto, o comunque si impegna ad una specifica interpretazione delle aspettative, per garantire che l’incidenza dell’opera sulla cultura sia conforme alle aspirazioni della collettività. “La Responsabilità Sociale del Progetto può diventare la piattaforma di idealità condivise, ben ancorate all’economia del prodottoprogetto, su cui convocare le nuove generazioni di progettisti se, dopo una certa deriva formalista degli ultimi anni, si vorrà conservare un carattere di necessità per la disciplina”. ARKEDAMAGAZINE

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La memoria: antidoto alla banalità Dell’attendibile e dell’inattendibile nel progetto di design A cura del dr.arch. Agostino Bossi professore di Architettura degli Interni e Allestimento Università degli Studi di Napoli Federico II

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uove forme di povertà attraversano gli scenari spesso deliranti della contemporaneità. Manifestazioni di un’indigenza culturale diffusa che, in modo capillare, si insinua e pervade ogni aspetto della realtà. Un pauperismo che non è il portato di un’oggettiva condizione di deprivazione materiale tendente a limitare o a escludere l’individuo dall’accesso ai beni necessari alla sopravvivenza, ma che si definisce sul terreno dei comportamenti e delle aspettative legati al consumo.

Anonimo, Reggio Emilia, Cestino per rifiuti, all’interno della stazione ferroviaria per l’alta velocità progettata da Santiago Calatrava, con assoluta tempestività una mano anonima non ha fatto mancare la presenza del segno anche in un minimo dettaglio di supposto design.

Questo processo di depauperamento coinvolge indifferentemente e in modo trasversale le classi sociali, perché si origina dall’impoverimento del linguaggio, della percezione e soprattutto della memoria. Si tratta di fenomeni determinati dall’afflusso sempre più incessante di immagini, dati e messaggi per via mediatica e telematica. Prodotti che sono ideati per diventare materia di consumo di massa, ma che vengono confezionati per apparire come originali e promotori di rapporti esclusivi. La relazione che si instaura tra questi prodotti e i loro fruitori presenta un carattere logorante. L’atto del consumarli, nel determinare la soddisfazione di un bisogno sostanzialmente indotto, provoca nel fruitore una condizione di logoramento delle capacità di valutare coscientemente il significato dell’esperienza che si viene a realizzare nella relazione con l’oggetto. Un caso tipico di questo fenomeno di consunzione della capacità di giudizio è, per esempio, quello provocato dalla diffusione ormai ininterrotta di immagini che vengono cancellate con la stessa velocità con cui appaiono. Esse, infatti, nella loro fuggevole evanescenza, perdono ogni capacità di rappresentazione della realtà e la loro attendibilità, come in un videogioco, non si misura più in relazione a ciò a cui dichiarano di riferirsi, ma solo sulla loro autoreferenzialità. Per questa via decade progressivamente la possibilità per gli individui di fare una reale esperienza del mondo e di appropriarsi della realtà attraverso la memoria. In questo flusso, essendo gli eventi, le notizie e le immagini istantaneamente obliterati, non si danno più le condizioni affinché le esperienze si sedimentino nella mente sotto forma di patrimonio di cultura, in grado di rafforzare l’identità, di incrementare lo sviluppo della personalità e favorire la coscienza critica. Man mano che il consumo acritico si adegua ai ritmi sempre più incessanti della distribuzione di merci e dei messaggi funzionali alla loro pervasiva affermazione globalizzata, la capacità degli individui di radicare alla memoria e al pensiero razionale le scelte e gli orientamenti dell’azione, dell’immaginazione e del gusto, si impoverisce, fino al punto da indurli automaticamente a demandare ai sistemi centralizzati di potere economico-ideologico l’ideazione, la produzione, il confezionamento e la consegna istantanea non solo degli oggetti di consumo propriamente detti, ma anche l’esperienza stessa della realtà e con essa la memoria del passato e le aspettative future. Questa condizione tende a ridurre la capacità di pensare, di agire e di immaginare e quindi a comprimere nel comportamento consumistico istantaneo il rapporto dell’individuo con la realtà. La conseguenza di questo processo sul piano generale non è solo il venir meno dell’esperienza, della memoria del passato e della capacità di immaginare ARKEDAMAGAZINE

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Sopra: Dominique Perrault, Napoli, rifacimento della Piazza Garibaldi, certi stilemi tendono a diffondersi a livello globale in maniera pervasiva e acritica, fino a riproporsi nella tettonica di edifici che, come in questo caso, hanno perso ogni tipo di connessione con i luoghi e con la loro storia.

Sopra: Anonimo, Aversa, Cancello d’ingresso della clinica San Paolo. Il segno diventa stereotipo e si ripropone in forme sempre più gratuite e ridondanti.

Sopra: Anonimo, Aversa, Bar Le Flambè. Il segno, in questo caso, si sottopone alla logica del “copia e incolla” e allora basta un semplice nastro adesivo per dare corso all’opera decorativa.

il futuro, ma è l’impoverimento stesso del mondo. La nuova povertà, a cui si è fatto riferimento all’inizio, prima ancora che investire gli orizzonti mentali e culturali degli individui, investe, infatti, il mondo in cui essi vivono. È quest’ultimo che in definitiva viene ad essere depauperato della sua fondamentale ricchezza, che consiste nella pluralità e nella eterogeneità degli elementi materiali e culturali che lo compongono. Questo processo di riduzione e di omologazione a cui è sottoposto fa di esso un mondo a portata di mano. L’oggetto che meglio di tutti potrebbe forse simboleggiare questa tendenza è il cosiddetto smartphone, non più un semplice strumento per comunicare e per svolgere operazioni di vario tipo, ma la realtà entro la quale calare in modo totalitario ogni aspetto dell’esistenza. Un mondo sempre più agevole, facile da attraversare e da esperire; sempre più comodo perché non impegna più il corpo e la mente, non richiede più gli imprevedibili percorsi dell’esperienza, i lenti processi della memoria, le noiose operazioni logiche e, soprattutto, esonera i suoi abitanti dalle faticose attività del pensare e dell’immaginare. In esso e solamente in esso avvengono i fatti, accadono gli eventi, si intrecciano le relazioni, si formano le notizie, si svolgono i viaggi, si formano le immagini, corrono le parole e i discorsi. Il mondo reale non ha più senso e ragione d’esistere, diventa sempre di più un fastidioso incidente da archiviare nel più breve tempo possibile. Il depauperamento dell’esperienza reale e della memoria si traducono quindi nel generale impoverimento del mondo. Questo processo che porta alla omologazione e alla banalizzazione è particolarmente evidente nella produzione in genere e, in particolare, nella costituzione formale degli artefatti. Qui una serie di caratteri sembrano farsi predominanti diffondendosi capillarmente nel paesaggio costruito e permeando le forme degli oggetti: gratuità, arbitrio, improvvisazione, omologazione, adozione acritica di modelli, oblio della storia, delle tradizioni costruttive, uso inappropriato dei materiali. Suggestioni estemporanee, immagini estrapolate dal loro contesto e rese oggetto di consumo visivo attraverso la rete, vengono acriticamente assunte come modelli formali e proposti come forme accattivanti a livello globale. Accade così che in poco tempo certi stilemi, resi ridondanti dal trattamento mediatico, vengono adottati con un atteggiamento di banale imitazione da progettisti e operatori del’architettura e del design e diffusi in ogni parte del mondo, fino a diventare vuoti formalismi, che si ripetono insensatamente nel paesaggio architettonico e in quello degli oggetti della quotidianità. Parafrasando una definizione coniata da Rem Koolhaas, si potrebbe parlare di forme-spazzatura o di design-spazzatura. Si tratta di fenomeni che rivelano ancora una volta le intrinseche debolezze culturali della nostra contemporaneità e che rischiano, in questo caso, di archiviare definitivamente la memoria, la ricerca dei valori di ordine, coerenza, rispondenza, sobrietà e decoro che dovrebbero guidare il progetto di design. Accanto: Anonimo, Parma, Trattoria Scarica, il segno irrompe con l’intento di adeguare alle tendenze della contemporaneità l’interno architettonico.

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Un caleidoscopio chiamato necessario A cura dell’arch. Alberto Calderoni “La casa è un corpus di immagini che forniscono all’uomo ragioni o illusioni di stabilità: distinguere tutte queste immagini, dal momento che incessantemente si reimmagina la propria realtà, vorrebbe dire svelare l’anima della casa.” Gaston Bachelard

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n anonimo giovane raccoglie fototessere strappate, sbagliate, dal pavimento della stazione di Parigi e solo grazie a questo suo stravagante hobby riesce ad incontrare l’amore della sua vita. In breve la storia dell’onirico film di Jean-PierreJenuet ‘Il favoloso mondo di Amelie’. Raccogliere immagini di volti è per il giovane interprete della pellicola una modalità per impossessarsi di storie di vite sconosciute, di anonime anime, racchiudendole in un prezioso album. Il desiderio di possedere immagini è un sentimento estremamente contemporaneo. L’uomo moderno, si potrebbe per fino arrivare a dire, vive per raccogliere immagini: dalla fototessera identificativa alle fotografie delle vacanze, dai video amatoriali sino al-

l’immaginetta mortuaria. Il mondo contemporaneo è suddiviso in un’infinita trama, come un fitto mosaico, in cui sono incasellate le possibili immagini da possedere. E tutto questo cosa c’entra con l’architettura? In quanto fenomeno strutturante lo spazio della vita dell’uomo l’architettura è direttamente influenzata da questa necessità di consumo usa e getta, immediata e superficiale.E se questa necessità si trasformasse in una potenzialità interpretativa? Da questo assunto parte l’indagine condotta dall’associazione culturale 1:1laboratoriounoauno dal titolo: EXISTENZMAXIMUM. IL NECESSARIO. Una piccola mostra, allestita nello spazio della Sala delle Carceri di Castel dell’Ovo di Napoli (27 giugno – 27 luglio 2013), costruita attraverso il confronto di centocinquanta immagini - divise in settantacinque coppie – descrive una serie molteplice di interpretazioni del sentimento dell’abitare oggi. Con tutti i limiti legati al campione preso in esame, il racconto, racchiuso in uno spazio di appena nove metri quadrati delimitati da quattro pareti continue, prende le distanze da una modalità retorica del parlare di architettura con gli strumenti ed il lessico tipico e specifico della disciplina, battendo un ARKEDAMAGAZINE

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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti nuovo percorso costruito solo da immagini e parole: fotografie banali e lessico comune. Attraverso la fotografia, strumento versatile capace di rendere la realtà atomica, maneggevole, opaca, si è cercato di costruire questo primo tassello analitico, indagando quali tipologie di spazi possono essere oggi considerati come minimi necessari e quali elementi, oggetti materiali o immaginari, siano capaci di sancire rapporti di interrelazione tra lo svolgimento della vita e lo spazio che la accoglie. Definire un rapporto gerarchico tra l’uomo, le cose ed il costruito, opponendo al fotografare come gesto voyeuristico cronico che livella il significato di tutti gli eventi, il fotografare come possibilità di guardare sincreticamente e simultaneamente al mondo senza alcuna pregiudizialità. L’uomo/abitante che descrive il suo spazio, le sue necessità. Una fotografia in grado di rappresentare lo spazio minimo necessario per vivere; una fotografia rappresentante dell’oggetto necessario nella quotidianità. Spazio ed oggetto, generale e particolare. Binomi interpretativi per costruire una nuova possibile via d’indagine dello spazio adeguato alla vita dell’uomo. Per troppo tempo si è discusso di cosa sia adeguato e cosa sia necessario per la vita dell’uomo partendo unicamente da posizioni ideologiche e strutturate intorno a pure teorie progettuali. Con questa piccola ma preziosa raccolta di contributi (tra cui sono racchiuse immagini di Alberto Campo Baeza, Carlos Ferrater, Jonathan Sergison, Cherubino Gambardella, Ferruccio Izzo, Giovanni Multari, FerminVazquez, Vincenzo Melluso, Roberta Amirante, Francesco Morace, Gianni Fiorito…) si intende riaffermare con chiarezza un’evi-

denza fondativa per la costruzione dello spazio dell’abitare: la casa è la personalissima interpretazione del mondo che ogni singolo uomo disegna all’interno dello spazio della città, del mondo. Interni di puro spazio sono contrapposti ad aperti orizzonti urbani, stanze definite da strutture labili fatte di oggetti d’uso quotidiano fanno il verso a tettoniche strutture in cui la luce definisce il vuoto/invaso. Mettendo l’occhio nel buco della serratura di questa piccola mostra, oltre a soddisfare un bisogno voyerista umano troppo umano, è possibile intraprendere un piccolo viaggio nello spazio e nella mente di ognuno di noi, portandoci a riflette su cosa sia davvero il necessario. www.laboratoriounoauno.it abbecedariourbano.wordpress.com

Design per il cibo Cuocere è stato il primo progetto dell’umanità A cura di Salvatore Cozzolino responsabile A.D. I. delegazione Campania

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l design responsabile per il cibo è la “progettazione consapevole di contesti, interfacce e strumenti funzionali, complementari all’atto di alimentarsi”, che può essere il disegno dell’alimento stesso, ma spesso diventa la creazione di un contesto di utensili e di cibo strategicamente orientati, non solo al “buono, pulito, giusto”, ma anche alla ricerca di nuove modalità per il Convivio del terzo millennio. I prodotti che ne derivano mettono insieme aziende che esprimono una capacità tecnica collettiva e le potenzialità dei commestibili, spesso dello stesso territorio. Entrambi uniti e trasformati da un design che ne interpreti i valori più attuali. La rilettura in chiave contemporanea del rito dell’alimentazione è affidata a 25 designer secondo un concept che mette insieme un progetto strategico di tutela del tessuto sociale attraverso il lavoro manuale, creativo e cosciente e una volontà di espressività artistica che si realizza con tecniche accurate e abilità senza tempo. In questo modo l’intenzione innovativa innesta un plus significativo che

consente produzioni di bassa e media serie con costi unitari contenuti, ma equamente soddisfacenti per acquirenti e produttori, per creativi e per manovali. Cibo e utensili devono essere pensati per riscoprire i valori identitari e rituali della alimentazione, dalla dispensa alla tavola, dando vita a una sequenza di prodotti, anche ad ampia diffusione, destinata sia alla conservazione, sia alla fruizione alimentare, che però abbiano il valore aggiunto della cultura artistica e dei saperi manifatturieri. Lo scopo è di rinnovare la perfetta prestazionalità esistente attorno al cibo con la ricerca di nuovi prodotti aperti a nuovi valori estetici e funzionali. La mostra raccoglie una serie di oggetti legati al cibo, caratterizzati da alta qualità formale e tecnica, frutto del lavoro di aziende manifatturiere di interesse storico, tecnico o sociale, oppure tese alla rispondenza ai protocolli di consumo consapevole del cibo ed anche alla valorizzazione di produzioni e lavorazioni alimentari specifiche (presidi Slow Food?). Coniugando tecnologie innovative – o tradizionali riproposte – ed esigenze di consumo innovative, saranno esposti posate e stoviglie, alimenti e bevande, complementi di arredo e accessori per il convivio. ARKEDAMAGAZINE

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L’ottimizzazione dello spazio del lavoro Comfort, funzionalità, design

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no spazio di lavoro efficiente deve riflettere necessità e valori della realtà che ospita. Se l’obiettivo è anche quello di raggruppare all’interno di un solo edificio più società appartenenti a un unico gruppo, il progetto deve necessariamente risolvere parecchie complessità. E se poi il gruppo è una realtà di storico successo come De Agostini gli elementi da valorizzare e considerare sono tali e tanti da rendere il progetto un’esperienza di comprensione prima che di valorizzazione. Una sorta di percorso all’interno di una storia imprenditoriale. I progettisti di Milano Layout, lo studio di architettura scelto dalla committenza per dar vita al nuovo headquarter milanese in Brera, si sono accorti che all’interno delle sedi in cui fino ad ora erano ospitate le diverse società, era stato collezionato un vero e proprio “museo del design contemporaneo” che meritava di essere mantenuto. Così è iniziata la ricerca degli arredi di ultima generazione adeguati ad essere affiancati e valorizzare le icone del design di proprietà ma, soprattutto, adatti per postazioni di lavoro funzionali e belle. Il sistema Frame nelle versioni operativa e direzionale è stata la risposta perfetta. Un prodotto trasversale, dall’estetica lineare ideale per risolvere qualsiasi esigenza. In questo progetto molta importanza è stata attribuita al lavorare bene, in un ambiente corretto e confortevole tra ar-

redi ergonomici e piacevoli, la risposta perfetta tra Sinetica & Universal Selecta. Partendo da questi obbiettivi, gli spazi interni sono stati tagliati in modo razionale mantenendo fluidità nei percorsi, garantendo così funzionalità e scambio tra i dipendenti senza penalizzare la necessaria privacy. Il risultato: ambienti luminosissimi, dal predominante colore bianco in armonia con il caldo pavimento dal sapore del legno. Uffici in cui è bello lavorare. Agenzia Campania - Sig. Mario Bancale - M: 335 8235801 - mail: mariobancale@libero.it

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per chi fa della propria arte un mestiere internazionale

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i sono menti creative che, come vulcani in continua attività, producono idee. Ci sono menti che non si fermano mai in una città forte e complessa come Napoli; lavorano con professionalità e portano in Italia e all’estero il racconto di una passione viscerale tradotta in forme e colori. Questa è stata la prima sensazione che, sposata ad un’ immediata empatia, ho provato un anno fa, quando ho incontrato RARO Design (Roberto Liberti e Raffaele Di Bartolomeo). Sono entrata nel loro showroom e un attimo dopo ero parte del progetto di BIN_UIQ, fondato dal designer, docente universitario Roberto Liberti. Dal 2012 con la volontà di internazionalizzare gli eventi nei diversi settori creativi nasce bin – Born In Naples\ uiq – Unic Intelligence Quotient, una piattaforma Internazionale sulle comunità creative di design, arte, moda e comunicazione che analizza nuovi scenari della cultura contemporanea del made in italy e non solo, partendo dal sud della nostra penisola. Comunità creative che dimostrano una intelligenza ‘unica’ che si diffonde facilmente nel resto del globo grazie alle particolari capacità sperimentali della piattaforma. Le peculiarità del portale sono quelle di diffondere profili ed attività di designers, artisti, fashion designers, esperti di comunicazione attraverso la rete e promuoverli attraverso a sezione bin_events e bin_projects dando vita a progetti che abbracciano le diverse declinazioni creative di bin, partecipando a fiere ed eventi di settore e sviluppando partnerships çon brand nazionali e internazionali.

In alto: servizio fotografico per bin. Ph. Matteo Anatrella. Stylist Felice Porretiello. Accanto: Don peppe, Raro Design collection – designer R. Liberti, ph Matteo Anatrella.

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Logo bin/uiq – graphic designer Flavio Ceriello

Cup of coffee – Raro Design collection

Mostra delle opere tratte dal libro ‘La piuma sull’occhio’ Caterina Arciprete artist

Nel curriculum di bin, nel 2012, si annovera la partecipazione ad eventi durante il Salone internazionale del Mobile di Milano, un evento Fuori Fiera del Mobile di Milano, la partecipazione al Genio delle Due Sicilie durante la Parigi Design Week, una collaborazione con il Festival Internazionale del Cinema di Giffoni, e un contest con l’Accademia delle Belle Arti di Napoli, mentre nel 2013 la piattaforma è stata presentata al Global village dello Iacocca Institute Lehigh University in Pensylvenia, U.S., a Nuova Delhi, India e al SIIE ‘Italy-China Forum di Beijing’, Cina. Tra i progetti futuri a breve termine Bin_art presenterà i vincitori del concorso di video-art MarEvento, di cui vi parleremo molto presto! C.A. IL TEAM DI BIN_UIQ • direzione generale bin: Roberto Liberti architetto, designer, docente e responsabile rapporti esteri per la Seconda Università di Napoli, creatore con Raffaele Di Bartolomeo, del marchio Raro Design • bin relazioni internazionali: Tony Guarino responsabile relazioni internazionali per il festival del Cinema di Giffoni • art director bin_art: Caterina Arciprete artista, illustratrice editoriale e progettuale • coordinamento grafico bin: Roberto Spiga ideographis srl - graphic designer P&G

‘Take Away’ Opera di body painting – Caterina Arciprete artist

La piattaforma si avvale di un numero crescente di operatori del settore selezionati secondo esigenza dal team bin_uiq, pronto ad accogliere nuove menti creative nazIonali ed internazIonali. www.bin-italy.it BIN_ facebook- twitter ARKEDAMAGAZINE

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Un approdo per il benessere a San Marco di Castellabate A cura di Marco Borrelli Ricercatore SUN

Introduzione e descrizione dello scenario L’occasione di visitare il nuovo centro Approdo Resort Thalasso SPA nella serata di inaugurazione nel mese di Settembre, ha rappresentato per il sottoscritto un momento divertente ed al contempo molto intrigante per ascoltare direttamente dal progettista Prof. Arch. Massimiliano Rendina alcune considerazioni sul tema progettuale “Benessere Talassoterapico” (antico ed efficace modo per rilassare il corpo e la mente che utilizza l’azione combinata di tutte le risorse marine, acqua, clima, fanghi, alghe e sale). L’inserimento di tale struttura all’interno del piccolo approdo della frazione San Marco, porto del Comune di Castellabate, è stato un abile intervento di integrazione ambientale. Le colline digradanti verso il porticciolo, su cui il centro si affaccia, seguono un segno orografico accattivante e seducente, disegnando una profonda ansa nel paesaggio cilentano. In essa, il piccolo approdo per barche da diporto e da pesca, sembra come ritagliato.

L’occasione del progetto Il progetto del centro benessere dal nome “Approdo Resort Thalasso SPA”, inserito in un piccolo lotto di circa 800 mq. ed articolato su più livelli per uno sviluppo totale di circa 2500 metri quadrati, rientra in un programma di ampliamento dell’Hotel L’Approdo (presente da più di 40 anni sul porticciolo) con l’obiettivo di offrire ad una clientela selezionata ed esigente un soggiorno di relax completo. L’intento fondamentale è quello di offrire ai turisti altre e diversificate prestazioni attraverso specifici servizi, incentrati sulla cura e la salute del corpo e della mente sfruttando le qualità della straordinaria risorsa naturale “acqua”, qui da circa 8 anni premiata con la Bandiera Blu d’Europa. Nel caso specifico la progettazione è nata come occasione offerta al prof. Arch. Alfredo Sbriziolo, antico frequentatore del Cilento, da questi subito affidata al suo migliore allievo Massimiliano Rendina che né ha fatta la più grande e sofisticata Thalasso-SPA del centro Sud.

corpi di fabbrica, la presenza del vetro e l’utilizzo di striature di legno per il rivestimento dei fronti opachi. Le articolate volumetrie del complesso, emergenti dal grande giardino pensile, sono a tratti totalmente trasparenti (vetrate a tutt’altezza) e a tratti circoscritti da una listatura regolare in legno (parapetti) che restituisce un effetto di semitrasparenza, “…che, piuttosto di rimandare alle forme autoctone da borgo a mare… ‘privilegia e favorisce’… continue relazioni e rimandi al paesaggio…“ attraverso una sintesi osmotica tra interno ed esterno in relazione a continui rimandi con l’ambiente circostante. Gli spazi all’aperto sono infatti articolati in terrazze rivolte verso il mare, ricreando sofisticate ambientazioni e scenografie (tende, chaise longue, piante ornamentali) ed altre condizioni di comfort per la pausa estiva cilentana. La grande vasca al primo livello, estesa tra l’interno e l’esterno, “…sospesa al piano verde pensile, disegna il cuore di questa leggera architettura terracquea…“ inserita in modo discreto nella natura, crea un equilibrio con l’ambiente attraverso la composizione di volumi aperti verso il paesaggio. Il progetto degli spazi interni ha sapientemente ordinato ambienti e percorsi tra bagni, fanghi, idromassaggi, piscine interne, esterne e ampie zone relax; tutto opportunamente predisposto per favorire la continuità spaziale e l’omogeneità cromatica.

Il tema dell’architettura e dello spazio per il benessere Il Centro Benessere più propriamente pensato come SPA è un tema progettuale, oggi molto attuale, spunto di riflessione teorico metodologico sviluppato nelle attuali linee di ricerca universitaria sia per la possibilità di offrire al progetto architettonico nuove destinazioni d’uso ibride e multifunzionali articolate attraverso spazi destinati al servizio alla persona, sia per integrare nuovi modelli concettuali e tipologie che nel terziario commerciale offrono migliori occasioni di sperimentazione, a partire dallo studio del com-

Il rapporto del manufatto con il contesto Per non ricalcare pedissequamente i caratteri tipici della costa cilentana, il progettista ha cercato di instaurare relazioni virtuose e di simiglianza, tra la sagoma della nuova costruzione e le tolde di quelle imbarcazioni che da settembre in poi vengono tirate in secco per il periodico rimessaggio. Ecco perchè si comprende la prevalente orizzontalità dei

Planimetria generale del complesso del nuovo centro benessere a livello della piscina

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Nello specifico dei singoli elementi: 1. I pilotis, che allegerendo la struttura nel suo rapporto

Vista della piscina di notte

Vista dell’interno con particolare dei pilotis

portamento del consumatore e dell’experience (creazione di uno scenario di senso). Nuovi paradigmi di indagine incentrati sul comportamento dell’utente e sul rapporto con lo spazio d’uso e di “consumo del tempo libero” analizzano il consumatore nella società postmoderna aumentando l’attenzione verso la tendenza alla smaterializzazione dei prodotti a favore di una risposta prestazionale polisensoriale emotiva dove i desideri superano per valore ed intensità i bisogni dell’utente. La soluzione innovativa del nuovo complesso talasseoterapico nel settore dell’architettura d’interni, propone un alternarsi di percorsi e spazi intreconnessi dove le funzioni relax e benessere si compenetrano ai bisogni individuali ed emozionali dell’utente in un percorso spaziale dilatato nel tempo capace di restituire una esperienza indimenticabile. La risposta ai desideri degli utenti nel campo della pratica del benessere psico-fisico si concretizza in una nuova tendenza che soddisfa l’attuale “consumer”, figlio della società contemporanea ed espressione e figura che tende all’individualismo, all’edonismo ed al narcisismo; questo nuovo soggetto negli spazi preposti alla cura del sé trova il suo più alto grado di compiutezza attraverso la mobilitazione globale dei sensi.

La guida per una decifrazione dell’opera di architettura L’analisi dei caratteri architettonici dell’intero sistema termale e la successiva individuazione dei principali elementi funzionali e linguistici potrebbero, per comodità di lettura dell’opera architettonica in esame, attenersi alla descrizione dei cinque principi base dell’architettura moderna noti come “5 punti” dettati da Le Corbusier, maestro del Movimento Moderno e importante riferimento colto dell’architettura: i pilotis, il tetto-giardino, la pianta libera, la facciata libera, e la finestra a nastro.

col suolo, nei suoi vari livelli e nel profilo esterno, favoriscono un dialogo più aperto tra uomo e paesaggio, quasi smaterializzandosi nelle parti più interne del corpo di fabbrica, affidano alle superfici e ai piani la costruzione di volumi e invasi. I pilotis costituiscono anche il pretesto per scandire ritmicamente il percorso in un’alternanza di luci e ombre, omogeneità e disomogeneità cromatiche, superfici piane e curve, contrasti materici, muri di pietra, piani di acqua, strutture di acciaio e vetro, in una scenografia polisensoriale; 2. Il tetto-giardino costituisce l’occasione per attrezzare spazi all’aperto in stretto collegamento con il verde circostante e con la natura incontaminata del Cilento, per meglio sviluppare tecnologie e sistemi di benessere e di thalasso-terapie anche in relazione alla qualità della risorsa naturale “acqua di mare” a disposizione del territorio; 3. la pianta libera crea grandi spazi interni a differenti altezze dove è stato possibile organizzare bagni, percorsi di cromoterapia, fanghi terapeutici, varie attività per il benessere del corpo e della mente; inoltre in questo modo il progettista ha raggiunto compiutamente l’intento di creare uno spazio fluido con materiali di diversa natura e matrice quali vetro pietra acciaio e malta resinosa a base di poliuretano e cemento, ricreando un effetto traslucido che favorisce un senso di leggerezza, di fluidità, di equilibrio e benessere psicofisico; 4. la facciata libera manifesta un segno predominante orizzontale nell’alternarsi e sovrapporsi di elementi architettonici, di pieni e vuoti con vetrate che sembrano sorreggere parapetti e vuoti che paiono sostenere pieni, materializzando così l’idea di un’architettura “protesica” in cui il legame ottenuto con il contesto naturale circostante è molto forte senza dover necessariamente ricorre ad una operazione di mimesi con il paesaggio; 5. la finestra a nastro restituisce all’uomo, attraverso ampie vetrate, un continuo collegamento visivo, quasi osmotico, tra l’interno e l’esterno, capace di offrire enorme vitalità alle attività del centro benessere che si traducono in una estensione dei confini tra spazio fisico e spazio mentale rimodulando il modello dell’architettura del luoghi del benessere. Oggi la realizzazione di un spazio per il benessere in architettura, oltrepassa il tradizionale rapporto dialettico artificio/natura rappresentando in sintesi la soluzione sperimentale di progettare un contesto fisico ‘ampliato’ come estensione del proprio corpo, in cui i confini si diluiscono e talvolta si sovrappongono in un unico universo, espressione di intima naturalità, finalizzato ad accogliere un nuovo concetto di benessere interiore in cui la dimensione introspettiva si integra alla più banale ed effimera dimensione della esteriorità. L’architettura degli interni, utilizzando anche sistemi di controllo del comfort ambientale attraverso le tecnologie adattative immateriali ed il design dell’interazione, supera la sola aspettativa di ricerca del piacere psico-fisco dell’utente e rimanda alla costruzione di una complessità che raccoglie tensioni ed emozioni espresse in una percorribilità di senso, in un sistema di relazioni aperto in uno spazio fluido, immateriale, spazio del possibile. ARKEDAMAGAZINE

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hanno collaborato i nostri autori Daniela Abbrunzo Giornalista praticante della scuola di giornalismo di Napoli. Nel 2011 prende la laurea magistrale in “Editoria multimediale” a La Sapienza di Roma. È stata in stage a La Repubblica, Radio 24 e Matrix di Canale 5. Ha lavorato come redattrice per Rai Due e nell’ufficio stampa del Ravello Festival. Ha iniziato a scrivere nel 2007 per Napolipi. Mirella Armiero Responsabile della pagina culturale del Corriere del Mezzogiorno, edizione campana del Corriere della Sera. Cura l’inchiesta finale del master della scuola di giornalismo del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato al Manifesto, Io Donna, Alias. Ha curato un numero monografico della rivista Ventre. Giancarlo Artese È nato a Napoli nel 1965, architetto e designer. Partner di Altromodo Architects, ha costruito oltre 60 edifici e ville in Italia e all’estero. Ha collaborato con riviste di architettura e di design. Con Diego Lama e Sebastiano Gorini ha realizzato il progetto Sevenhits.com. Donatella Bernabò Silorata Giornalista free lance, scrive per lo più di costume, turismo e life-style. Dal 2000 collabora assiduamente con La Repubblica e con il mensile Dove. Nel 2008 ha pubblicato il libro Le case di Napoli (Iredon Edizioni) seguito da un secondo volume nel 2010, in cui svela interni partenopei e nuovi stili dell’abitare contemporaneo sotto il Vesuvio. Giorgia Borrelli Architetto laureata nel 2009 all’università Federico II di Napoli ha conseguito il master ‘Territorio ed architettura sostenibile’ al Politecnico di Milano. Dopo 3 anni di esperienza nello studio LAND di Andreas Kipar torna a Napoli dove si occupa di progettazione urbana e paesaggistica. Simonetta Capecchi Si è laureata in Architettura a Venezia e vive a Napoli dal 1993. Lavora come illustratrice e tiene workshop di disegno in Italia e all’estero. Ha esposto e pubblicato pagine dai suoi taccuini di viaggio in occasione di numerose mostre collettive. Fa parte di “Urban Sketchers”, associazione internazionale dedicata a promuovere il valore narrativo del disegno come reportage urbano. www.inviaggiocoltaccuino.com www.urbansketchers.org Salvatore Carbone Co-fondatore di sa.und.sa, laureato alla Federico II. Titolare di dottorato in Progettazione Urbana. Ha partecipato al progetto “Obus Incertum” (capogruppo Beniamino Servino) esposto all’XI Biennale di Venezia. Organizza workshop sperimentali di autocostrizione e progettazione partecipata.

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Veronica Viviana Carbonelli Vive a Napoli dove ha conseguito il master in mediazione familiare sistema relazionale. È esperta di pittura dell’800, ha collaborato con Casa Mia Decor. Roberto D’Alessandro Nato a Napoli, è appassionato di tecniche del linguaggio televisivo e dei nuovi media, ha lavorato come giornalista ed è stato fra i primi autori di Un Posto al Sole. Oggi continua a scrivere sceneggiature per la televisione e per i videogame. Sergio Fermariello Nasce a Napoli nel 1961. Dall’età di vent’anni decide di dedicarsi esclusivamente all’attività artistica. Nel 1989 espone per la prima volta in una personale alla Galleria Lucio Amelio con la quale intraprende una lunga collaborazione di lavoro. Le sue opere sono esposte in tutto il mondo. Mauro Giancaspro Nato a Napoli. Bibliotecario dal 1977, ha diretto la Biblioteca Nazionale di Cosenza dal 1986 al 1995. Dal 1995 dirige la Biblioteca Nazionale di Napoli; ha diretto ad interim la Biblioteca Nazionale di Bari. Da giugno del 2012 è anche direttore della Biblioteca dei Girolamini. Alcuni sui libri: Leggere Nuoce gravemente alla salute e Il morbo di Gutenberg (L’Ancora del Mediterraneo), E l’ottavo giorno creò il libro (Cargo), L’importanza di essere un libro (Liberilibri), L’odore dei libri e Un libro per piacere (Grimaldi). Giuseppe Guida Architetto e docente di Urbanistica al Dipartimento di Architettura della Seconda Università di Napoli. È autore di numerosi saggi e volumi sul rapporto tra urbanistica, architettura, paesaggio. È opinionista de La Repubblica/Napoli e membro del Direttivo dell’Istituto Nazionale di Architettura. Diego Lama Architetto, è autore di Cemento Romano (2010, Clean Edizioni), Storie di cemento (2007, Clean Edizioni). Ha fondato e diretto la rivista nazionale di architettura Ventre (2004, Cronopio Edizioni), è editorialista per il Corriere del Mezzogiorno, è autore del blog Byte di Cemento, è corrispondente dalla Campania per il Giornale dell’Architettura (Allemandi). Andrea Nastri Architetto, giornalista e studioso dell’architettura contemporanea, collabora con diverse riviste di settore. Ha pubblicato i saggi Edwin Cerio e la casa caprese (Clean, 2008), La Chiesa di S. Michele ad Anacapri (con M. F. Cretella, Arte’m, 2010), CapriGuida (Clean, 2011) e Reima Pietila. Dallo schizzo all'architettura (Aracne, 2012). Sergio Stenti Insegna architettura alla Università di Napoli. Studioso della città moderna ha pubblicato su Napoli: Napoli Guida, itinerari di architettura moderna, Clean, 2010.


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distribuzione Dove trovare la rivista Arkeda Altedo Sud via Torre della Catena 225, 82100 Benevento | Anhelo Caffè Bistrot via Bisignano 3, 80121 Napoli | Arredamenti Galotti viale Michelangelo 83/C, 80129 Napoli | Arredamenti Lo stile via Winspeare 4, 80125 Napoli - via Filangieri 16, 80121 Napoli | Bar Di Lorenzo via Pasquale Scura 3, 80134 Napoli | BEN via dei Mulini, 82100 Benevento | Bordese Design via Torrione 145, 84127 Salerno | Bottega Ferrante via Ferrante 26, 81100 Caserta | Cap’Alice via Bausan 28, 80121 Napoli - Circolo Nazionale dell’Unione Napoli, via San Carlo 99, 80132 Napoli | Colorado Design via Carlo Poerio 18/A, 80121 Napoli | Concessionarie Autorally via Gianturco 109, 80143 Napoli - via Reggia di Portici 49, 80146 Napoli - via delle Calabrie 45, 84131 Salerno | Cuccaro Contract Corso Trieste 224, 81100 Caserta | Deca Mobili via Torre della Catena, 82100 Benevento | Deluca Design via Cisterna dell’Olio 5/B, 80134 Napoli | Grimaldi via Capitano Salvatore Rampone 32, 82100 Benevento | Hartè via Monteoliveto 76, 80134 Napoli - via Crispi 130, 80122 Napoli | Ioarredo via del Pomerio 53, 82100 Benevento | Jap One via Cappella Vecchia 30/I, 80121 Napoli | Les Etoiles via Vittoria Colonna 8/A/B, 80121 Napoli | Libreria Clean via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli | Libreria Colonnese via San Pietro a Majella 7, 80138 Napoli | Libreria Cues Monte Sant’Angelo, via Cinthia 26, 80125 Napoli | Libreria Dante & Descartes piazza del Gesù, 80134 Napoli | Libreria Feltrinelli corso Trieste 154-156, 81100 Caserta | Libreria Feltrinelli corso Vittorio Emanuele I 230, 84123 Salerno | Libreria Feltrinelli, via Santa Caterina a Chiaia 23, 80121 Napoli | Libreria Feltrinelli via S. Tommaso D’Aquino 70-76, 80133 Napoli | Libreria Fiorentino calata Trinità Maggiore 36, 80134 Napoli | Libreria Neapolis via S. Gregorio Armeno 4, 80138 Napoli | Libreria Renato Pisanti corso Umberto I 38/40, 80138 Napoli | Mobili Filomeno via Silvio Baratta 83, 84134 Salerno | Novelli Arredamenti via dei Mille 40, 80121 Napoli | Novelli Arredamenti via Vetriera 20, 80132 Napoli - via San Leonardo 178, 84131 Salerno | Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli via Cisterna dell’Olio 6/B, 80134 Napoli | On Site Architettura e Design via Salvatore de Renzi 68, 83100 Avellino | Petrillo Arredi via Renato De Martino 15, 81100 Caserta | Showroom Ferrari via Mario Fiore 33, 80129 Napoli | Showroom Ferrari via

ARKEDA Trimestrale di architettura, edilizia, design e arredo Numero 1 • novembre 2013 Registrazione presso il Tribunale di Napoli autorizzazione n° 68 del 5/11/2013 Editore: Progecta srl Direzione, redazione e amministrazione Via Vannella Gaetani, 15 - 80121 Napoli tel. +39 081 7640032 fax +39 081 2451769 arkeda@progecta.org Direttore responsabile: Diego Lama Redazione: Mirella Armiero, Donatella Bernabò Silorata, Salvatore Carbone, Luigi Centola, Giuseppe Guida, Andrea Nastri Si ringrazia per le immagini: Massimo Lama, Massimo Cavuoto, Barbara Jodice, Roberto Pierucci, Sergio Riccio, Marinella Paolini, Ana Gloria Salvia, Aldo di Chio, Filippo Vinardi, Mimmo Capurso, Studio Badini, Thorsten Greve, Bruno Sorrentino Progetto editoriale e redazione grafica Progecta srl: Giuliana Gargano gargano@progecta.org Simona Postelli postelli@progecta.org Stampa: Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. Via Cisterna dell’Olio n. 6/B - 80134 Napoli www.gianninieditore.it direzione@gianninispa.it Pubblicità Progecta srl: Natalia Frangipane frangipane@progecta.org

Miguel Cervantes 60, 80133 Napoli | Spazio NEA via Costantinopoli 53, 80138 Napoli | Tender Sushi Bar via Cappella Vecchia 5, 80121 Napoli | The Wellness Center via Cappella Vecchia 26, 80121 Napoli | Unopiù piazza Rodinò 19/20, 80121 Napoli | Vineria Belledonne vico Belledonne a Chiaia 18, 80121 Napoli - Riviera Chiaia 244, 80121 Napoli | 2CM via Vittorio Colonna 45, 80121 Napoli

la rivista si può trovare anche in edicola

edizioni

ERRATA CORRIGE Nel precedente numero, in una didascalia dell’artico Datè, è stato scritto “RARO design srl di Roberto Liberti”, andava scritto “RARO design srl – designers Raffaele Di Bartolomeo, Roberto Liberti, Clara Del Giudice”.

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di Mauro Giancaspro

Il “Monaciello” di via Aniello Falcone N

e trovate una foto in internet: è la bellissima villa Rossi Filangieri che si trovava in Via Aniello Falcone di fronte ai giardinetti intitolati da poco a Nino Taranto. Fu demolita senza tanti complimenti nel 1959, travolta da una delle tante fameliche mani sulla città della metà Villa Rossi Filangieri di quegli anni indimenticabili. Una gradevolissima costruzione liberty fu sostituita da un fabbricato dalla facciata adornata da scintillanti piastrelle giallo uovo. La mia famiglia era andata ad abitare al Vomero nel 1954, a Calata San Francesco, poco a ridosso di Via Aniello Falcone. Nel punto in cui la calata incrociava Via Aniello Falcone per proseguire la sua discesa verso il mare, c’era un piccolo villaggio autosufficiente, estrema propaggine abitativa del Vomero Vecchio: con la salumeria, il macellaio, la cantina, il fruttivendolo, il tabaccaio e l’edicola del leggendario Gigino, punto di ritrovo all’imbrunire di scombiccherati chiacchieroni dei quali faceva parte integrante mio padre. La demolizione della villa in quel lembo di quartiere fece molto scalpore. Nei commenti di famiglia all’ora del pranzo sentii parlare dai miei delle fantasie, raccolte certamente al cenacolo del giornalaio, su un fantasma, reo di aver spaventato a morte un operaio durante la demolizione. Evidentemente lo spirito benevolo che albergava in quella villa temeva di perdere, come accadde, la sua amatissima residenza. Anche lui dunque fu vittima della speculazione edilizia, come tutti gli antichi spiriti che albergavano in tutte le dimore demolite dalle più sontuose alle più dimesse: tutti buttati in mezzo a una strada. Le pochissime case che miracolosamente erano state risparmiate, erano già abitate dai loro folletti e dai loro coboldi che non avrebbero accettato altri occupanti con cui dividere gli spazi. Tutti dunque alla disperata ricerca di una casa da occupare e da proteggere. Ma come vivere in quegli orrori di cemento? Come adattarsi nelle stanze di quegli alveari affollati, di quei parchi senza alberi e senza verde, nell’asfissia della ‘muraglia cinese’ incombente su Via Kagoshima o lungo la teoria di palazzi del prolungamento di Via Scarlatti? Fu un pellegrinare mestissimo; gruppi angosciati di monacielli si imbattevano ad ogni incrocio con altri gruppi di spiriti domestici. Alla fine tutti gli sfrattati si riunirono quasi per caso a Piazza Vanvitelli e uno di loro, un coboldo dalla cadenza straniera, li convinse che ci voleva una rivoluzione, che si dovevano occupare tutti i 134

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cantieri degli edifici in costruzione e fermare gli operai intenti alle demolizioni. Tutti applaudirono entusiasti. Ma un saggio monaciello, che parlava solo in dialetto, fece notare che essendo spiriti, al di là di mettere paura, non avrebbero potuto fermare niente e nessuno. L’unica via praticabile di reazione era quella di tormentare nel sonno gli speculatori edilizi e seguirli poi all’inferno, dove certamente tutti sarebbero andati dopo morti, a dar man forte ai diavolacci torturatori. Questa idea piacque moltissimo. Adesso questi spiriti hanno trovato finalmente una sede stabile e calda: nelle bolge degli inferi. Ma se la passano niente male, divertendosi un mondo a prendere in giro con coretti beffardi, con bordate di fischi terrificanti e con sonore grandinate di pernacchie, tutti gli speculatori edilizi, sprofondati, per la dantesca legge del contrappasso, nella bolgia del cemento ribollente. Chissà che tra loro non ci sia anche il presunto monaciello della bella villa di Via Aniello Falcone.

Disegno di Mauro Giancaspro


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architettura | edilizia | design | arredo

INTERNI

Un progetto contro la luce Novembre 2013 - Numero 1

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ARCHITETTURA

Il parco senza porta GIOIELLI

Grattacieli tra le dita FOCUS

Bianco & Nero Novembre 2013 - Numero 1

Case Il più bel colore dell’architettura www.arkeda.it


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