Innovazione in sanità con i dati ambientali L’intervento del commissario Arpac: «necessaria l’integrazione con la conoscenza dell’ambiente» Digitalizzazione e innovazione nella sanità campana sono stati il tema di un convegno promosso lo scorso 14 gennaio dalla Federico II a Napoli, nell’ambito dei master sociosanitari organizzati dall’ateneo federiciano. È intervenuto, tra gli altri, il commissario Arpac Stefano Sorvino, di fronte a una platea di studenti e addetti ai lavori riunita nell’Aula magna del dipartimento di Scienze sociali a vico Monte della Pietà. Al commissario dell’Arpa Campania è stato affidato il tema dell’integrazione tra profili am-
bientali e sanitari nell’ordinamento giuridico italiano. Sorvino ha parlato della necessità di «riconsiderare il rapporto tra le due materie, dopo che negli ultimi decenni si è spinto verso l’autonomia dei controlli ambientali rispetto al sistema sanitario. Oggi, al contrario, alla luce delle molteplici e complesse connessioni tra ambiente e salute, non è sbagliato parlare di una nuova esigenza di integrazione tra sistema istituzionale ambientale e quello sanitario: una questione di cui si dibatte troppo
poco nel panorama istituzionale». Il commissario dell’Agenzia ambientale campana ha ripercorso sinteticamente la storia della legislazione ambientale e del sistema di controlli nel nostro Paese, dall’era in cui le funzioni ambientali non erano che un capitolo delle competenze in materia di salute, fino all’istituzione, nel 1986, del ministero dell’Ambiente e alla legge quadro del ’94 che ha previsto l’istituzione delle agenzie ambientali su base regionale...
PRIMO PIANO
ARPAC
Il vento ed il freddo: l’effetto wind chill
Mamma mia che vento gelido! Chissà a quanti gradi saremo! Ma non è possibile siamo a 10°C e fa così freddo? Questa è una frase che si sente molto spesso... Loffredo a pag.2
ISTITUZIONI
Gettare le reti per salvare il mare
Gli ultimi fatti di cronaca locale che hanno visto le acque del porto di Napoli colorarsi di bianco a causa di una sostanza chimica sversata illegalmente, fanno riflettere su come, negli ultimi ... Martelli a pag.4
AMBIENTE & SALUTE AMBIENTE & SCUOLA
Imparare tra i banchi è un diritto inviolabile
Liguori pagg.8-9
Mosca a pag.6
Arpac: approvato il Codice di Condotta L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania, richiamandosi alla Raccomandazione 92/131 CEE sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul posto di lavoro, ai principi costituzionalmente sanciti di parità sostanziale tra uomini e donne ed alla disciplina contrattuale più recente in materia,
Presentato il Rapporto Eco Media 2018
Bio-architettura: il Sahara Forest Project
con deliberazione n. 638 del 28 dicembre scorso ha approvato il “Codice di condotta per la tutela della dignità della persona e della qualità dell'ambiente di lavoro” (di seguito Codice di Condotta), in attuazione del Piano delle Azioni Positive 2018-2020, azione 4.1. a pag.5
Enrico Caruso, il più grande tenore La nostra terra è stata segnata, da circa tremila anni, da uomini e donne che l’hanno resa grande. Storia, teatro, pittura, scultura, musica, architettura, letteratura… I settori nei quali Napoletani e Campani sono diventati famosi e hanno rese famose Napoli e la Campania sono numerosissimi. Continuiamo il nostro piccolo viaggio tra Napoletani e Campani famosi. Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 –Napoli, 2 agosto 1921) è stato...
È stato presentato a Roma, presso la Sala Stampa Estera, durante il 5° Forum nazionale “Ambiente e sviluppo sostenibile tra informazione, economia e politica” il Rapporto Eco Media 2018. Nelle edizioni dei 7 principali TG italiani le notizie dedicate all’ambiente coprono solo l’11% dello spazio dedicato all’informazione. È quanto emerge dal 5° Rapporto Eco Media 2018 realizzato dall’Osservatorio di Pavia e promosso... Giordano a pag.11
I primi studi per il Sahara Forest Project sono stati avviati nel 2009 e presentati in occasione del simposio mondiale per gli accordi sul clima di Copenaghen. Si tratta di un programma ambientale estremamente innovativo ed ambizioso, pensato per produrre cibo, acqua ed energia pulita utilizzando deserti, acqua salata, luce solare e CO2: tutte le tecnologie di questo futuristico progetto di agricoltura sostenibile sono state sviluppate attraverso un graduale processo... Palumbo a pag.12
De-Crescenzo-Lanza pagg.14-15
Il vento ed il freddo: l’effetto wind chill Entro il 2050 negli oceani ci saranno più pezzi di plastica che animali Gennaro Loffredo Mamma mia che vento gelido! Chissà a quanti gradi saremo! Ma non è possibile siamo a 10°C e fa così freddo? Questa è una frase che si sente molto spesso in Italia, quando il vento la fa da padrone. Il nostro corpo sente freddo ma il termometro ci smentisce all’istante. Come mai? In meteorologia, il wind chill è l’effetto che il vento ha sul nostro corpo che ci fa percepire una sensazione di freddo maggiore rispetto alla temperature reale osservata. Da qui è nato il termine inglese che deriva dall’abbinamento di wind=vento e chill=gelido e comunemente detto “raffreddamento da vento”. Il nostro corpo ha una temperature interna di circa 36°C e ciò è dovuto al fatto che tutti i processi energetici del nostro metabolismo necessitano di questa temperatura per avere la massima resa. Questo dimostra la scarsa adattabilità dell’uomo ai climi freddi. Senza abiti protettivi il corpo rabbrividirebbe già ad una temperatura di 15°C con conseguente sensazione di freddo. Il vento si comporta come un agente di disturbo, infilando letteralmente il freddo in ogni punto del nostro corpo. In questo modo noi percepiamo una temperatura nettamente inferiore a quella reale. A parità di temperatura, più forte è il vento più bassa è la temperatura percepita. Per esempio, con una tempera-
tura di zero gradi centigradi e un vento di 25 chilometri orari, cosa che può capitare tranquillamente d’inverno in città, la temperatura percepita è al di sotto dello zero (ovvero -6°C). Per chi frequenta le alte quote di montagna questo fenomeno può essere molto pericoloso e può portare anche a un rapido”assideramento”, se non si è ade-
guatamente coperti nelle parti esposte dell’organismo. Esperimenti in Antartide hanno permesso di stimare il rischio di assideramento: al di sotto di un indice di raffreddamento pari a -30°C il rischio di congelamento è reale, mentre sotto i -50°C il congelamento avviene in un minuto circa. In zone miti questo indice può essere male
interpretato, specie con temperature reali positive. Una temperatura reale di 4°C associata ad un vento di 50km/h fornisce una temperatura apparente di -11°C. Ovviamente non c è pericolo di congelamento, ma l’individuo dovrà coprirsi a dovere. Per la stessa ragione, se abbiamo lasciato delle bottiglie di acqua sul balcone con una
temperatura di +4°C, ma tira un forte vento e quindi la temperatura percepita è al di sotto dello zero, le bottiglie non si congeleranno e non si romperanno, perché il congelamento dipende dalla temperatura reale e non da quella wind-chill. La comprensione dell’indice wind chill e del relativo effetto ci aiuta a capire meglio i bollettini meteorologici e i fenomeni fisici, in particolare quando pianifichiamo le nostre uscite in montagna durante la stagione invernale o in giornate particolarmente ventose, adeguando opportunamente il vestiario e, anche quando, in occasione di temperature non proprio rigide, si ha la sensazione di freddo superiore rispetto a giorni in cui si registrano valori anche sotto lo zero. La materia interessata è la biometeorologia umana: la scienza che studia le interazioni tra i fenomeni atmosferici e l’uomo, una scienza interdisciplinare che coinvolge i settori scientifici, fra loro diversi, come la meteorologia, la medicina e la biologia.
Il Sahara cambia look ogni ventimila anni A dimostrarlo uno studio del Massachussetts Institute of Technology Anna Paparo Nuova scoperta e nuovo traguardo per i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, (Mit) per quanto riguarda i loro studi relativi al famoso deserto del Sahara e al suo look, che a quanto pare cambierebbe ogni venti mila anni. In pratica, grazie allo studio e all’analisi delle polveri, che ha permesso di ricostruire la storia del clima in quest’area negli ultimi duecento quaranta mila anni, il Sahara, col passare del tempo, si potrà trasformare in una pianura verde e viceversa, con un total restyling. Pubblicato sulla rivista Science Advances, l'ipotesi, portata avanti dal team di ricerca americano, è che questi particolari mutamenti siano dovuti ai cambiamenti dell'inclinazione dell'asse terrestre, che periodicamente modificano il modo in cui il pianeta Terra colpita dai raggi del Sole. La scoperta rappresenta, quindi, un vero e proprio punto di svolta, in quanto è importante "per comprendere la storia di questo deserto e in quali tempi
è stato ospitale per l'uomo", rileva David McGee, ricercatore del Mit e coinvolto nel gruppo di ricerca. Quindi, si è dedotto che il Sahara non è stato sempre così desolato e arido. Pitture rupestri primitive e fossili scoperti, infatti, indicano come questo deserto in passato sia stato un'oasi relativamente verdeggiante, dove prospera-
vano insediamenti umani. Ora i ricercatori del Mit, analizzando le polveri depositate al largo delle coste dell'Africa occidentale negli ultimi duecento quaranta mila anni e presenti nelle carote di sedimenti estratte dai fondali, hanno scoperto che il deserto del Sahara e il Nord Africa in generale hanno oscillato tra un clima
umido e secco ogni venti mila anni, in sincronia con i cambiamenti dell'inclinazione dell'asse terrestre. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio “pendolo climatico”. Così è stato definito questo fenomeno, che, secondo gli esperti, sarebbe principalmente dovuto ai cambiamenti dell'inclinazione dell'asse terrestre, che a loro volta influen-
zano la distribuzione della luce solare sulla Terra. Per quanto riguarda il Nord Africa, è probabile che, quando la Terra è inclinata per ricevere la massima luce solare estiva, l'aumento del calore solare intensifichi l'attività dei monsoni della regione, che a sua volta rende il Sahara più umido e verde. Quando l'asse del pianeta si sposta su un angolo che riduce la quantità di luce solare in arrivo sul Nord Africa, l'attività dei monsoni nella regione si indebolisce, producendo un clima più secco. Una scoperta sensazionale che porta alla luce una mutazione che nessuno si aspetta: da un deserto inospitale a un’immensa distesa di verde. La natura continua a regalarci immense sorprese. Nessuno avrebbe mai pensato che un luogo arido e inabitabile, come il deserto del Sahara, avesse subito tali cambiamenti nel corso dei secoli e che potesse trasformarsi di nuovo in un luogo ricco di verde, dove l’uomo potrà tranquillamente ritrovare rifugio.
Sarà un 2019 all’insegna dell’ambiente? Dall’Italia e dall’estero i primi provvedimenti dei Governi per un futuro green Rosa Funaro Il 2019 sembra essere in tutto il mondo un anno all’insegna delle politiche ambientali verdi. Lasciano ben sperare infatti i provvedimenti messi in campo da alcuni Governi per “limitare i danni”. A partire dal 1° gennaio, ad esempio, in Italia è stata vietata la produzione e la vendita dei cotton fioc in plastica, che rappresentano il 9% dei rifiuti sulle spiagge sostituendoli con quelli biodegradabili che potranno essere smaltiti nell’organico e riciclati. Il Comune di Bari, poi, ha avviato un progetto sperimentale che durerà quattro mesi e prevede rimborsi fino a 25 euro mensili per chi si sposta in bici in città e incentivi fino a 250 euro per chi acquista una bicicletta nuova o usata. Se l’Italia chiama New York risponde: si chiama “Foam ban” ed è il de-
creto in vigore sempre dal primo gennaio che vieta l’utilizzo dei vassoi in plastica, contenitori in polistirolo o schiuma, usati di solito da ristoranti e fast food per trasportare panini e cibo caldo. Vietati anche bicchieri e tazze monouso tipici di molti bar che avranno tempo fino al 30 giugno per esaurire le scorte e non incorrere a multe fino a mille dollari. New York si unisce a Chicago, Honolulu, Boston e Washington DC, dove il divieto è già in atto e che presto si espanderà anche alle cannucce di plastica a cui presto dovremo adeguarci tutti. Il "Foam Ban" è stato deciso dall'amministrazione del sindaco democratico Bill De Blasio: il riciclo del polistirene (nome tecnico del polistirolo) è troppo costoso e non economico, e i contenitori di schiuma vanno ad aumentare la spazzatura indifferenziata. Gli imballaggi
di polistirolo saranno permessi solo per carne e pesce crudi. Vietati quelli per gli hamburger e per il cibo da strada: per questi dovranno essere usati contenitori in carta, alluminio o materiali compostabili. Sorprende poi la proposta dei nostri fratelli d’Oltralpe di instaurare un "lunedì verde", cioè una dieta senza carne e senza pesce, per proteggere sostengono oltre 500 personalità francesi - il pianeta, gli animali e anche la salute umana. Produrre carne implica infatti un aumento dei consumi di acqua molto superiori alla produzione di verdura e frutta e in questo la Francia batte ogni record. Senza contare che, ha scritto nell'appello il direttore generale di WWF Francia Pascal Canfin, la carne consumata in Francia viene nutrita con soja proveniente dalla deforestazione dell'Amazzonia.
Gettare le reti per salvare il mare Anche in Campania al via il Fishing for litter che coinvolge pescatori, aziende e associazioni Giulia Martelli Gli ultimi fatti di cronaca locale che hanno visto le acque del porto di Napoli colorarsi di bianco a causa di una sostanza chimica sversata illegalmente, fanno riflettere su come, negli ultimi decenni, il mare sia diventata la più grande discarica di materiali di scarto prodotti dall’uomo: liquami, spazzatura, rifiuti ingombranti e persino interi arsenali bellici. Lo sanno bene i pescatori delle nostre marinerie, che ogni giorno trovano le reti piene di materiali di ogni tipo. Quello che si vede in superficie - o che le mareggiate portano sulla costa - è infatti soltanto la minima parte di ciò che giace sui fondali, tanto che i pescatori potrebbero raccogliere 30-40 kg di rifiuti a imbarcazione e liberare il mare da tonnellate di materiali di ogni tipo. Purtroppo però, per un beffardo vuoto normativo ciò non è possibile e anzi, coloro i quali conducono i rifiuti a riva, oltre a dover sostenere i costi dello smaltimento, rischiano una multa in quanto la legge per quanto assurdo possa sembrare, li considera produttori
attrezzi da pesca in mare.
Il modello di Arcipelago pulito
di rifiuti. Per non perdere tempo, però, nell’attesa che il Governo adotti una legge ad hoc, sono sempre più frequenti progetti ed attività di “pesca al rifiuto” che coinvolgono istituzioni, enti locali ed imprese. Anche in Campania è stato firmato - alla presenza del ministro dell’Ambiente Sergio Costa - un protocollo per il recupero dei rifiuti in mare nei Comuni di Massa Lubrense, Sant’Agnello, Piano di Sorrento e Vico Equense. La campagna «Fishing for litter», che ha coinvolto l’amministrazione comunale di Vico Equense attraverso l’assesso-
rato al Demanio, è stata attuata nei mesi di novembre e dicembre da otto barche della cooperativa San Francesco di Paola. I pescatori durante la loro attività hanno differenziato anche i rifiuti accidentalmente intrappolati nelle loro reti. L’attuazione di questa campagna di rimozione ha avuto il duplice obiettivo di contribuire al miglioramento della qualità dell'ambiente marino a livello locale e di promuovere misure concrete di sensibilizzazione dei pescatori e degli stakeholder del settore per limitare l'abbandono volontario e la perdita accidentale dei rifiuti e degli
A fare da apripista nei mari italiani i pescatori di Livorno con il progetto “Arcipelago pulito” che, partito a marzo, ha coinvolto sei pescherecci che fino al 20 agosto hanno raccolto 1.590 kg di rifiuti. Tra questi, poco meno di un quarto delle plastiche recuperate sono risultate riciclabili Il modello “Arcipelago pulito” ha convinto la commissione Ambiente del Parlamento europeo a riconoscere ai pescatori un ruolo a tutela del mare. A metà settembre, infatti, i commissari hanno inserito nella direttiva sugli impianti portuali di raccolta dei rifiuti delle navi alcuni emendamenti, proposti dall’eurodeputata Simona Bonafè, volti a recepire i principi base del fishing for litter sperimentato in Toscana. «Il settore della pesca è uno di quelli più impattati dai rifiuti ma anche quello che può ricoprire un ruolo da protagonista nella pulizia del nostro mare – ha commentato Serena Carpentieri, vicedirettrice generale di
Legambiente – L’attività di “fishing for litter”, oltre che necessaria, è prevista dalla direttiva “Marine strategy”, ma in Italia è ostacolata dalle leggi vigenti. Serve al più presto una legge nazionale che possa chiarire il quadro normativo e rendere questa attività omogenea e possibile lungo tutta la penisola». Forse i tempi sono maturi, visto che il ministro Costa l’ha annunciata e la deputata di Leu, l’ex presidente di Legambiente Rossella Muroni, ha depositato alla Camera una proposta di legge con questi obiettivi.
La campagna di sensibilizzazione #stopmicrofibre contro l’utilizzo delle microplastiche Uno studio condotto in Italia, primo nel suo genere, ha rivelato che stiamo irrorando non solo i mari ma anche i terreni con tonnellate di microplastiche. Da dove arrivino queste microplastiche, o come giungano in mare attraverso le acque continentali, sono domande ancora aperte. L’80% dell’inquinamento marino da microplastiche proviene dai continenti, in particolare attraverso i fiumi. Lo studio, condotto dalla Università di Milano, dalla Università Politecnica delle Marche, e dal Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare, dimostra che i depuratori non sono sempre una barriera assoluta contro le microplastiche. Anzi. Milioni di particelle sintentiche fuoriescono quotidianamente dagli impianti, e vengono in parte sparse nei campi come fertilizzanti. A penetrare i terreni agricoli sono decine di milioni di brandelli minuscoli di pellicole trasparenti, fibre o frammenti plastici di
cui ancora non si conosce la tossicità ma che, come altri inquinanti persistenti (ovvero resistenti alla decomposizione) sono ora ritrovati in tutto il mondo. La campagna di sensibilizzazione realizzata da Metaphora del gruppo Alphaomega, è stata lanciata perché quella delle microfibre rilasciate da tessuti è un'altra emergenza da non sottovalutare. Il poliestere, il nylon, l’acrilico non più
grandi di mezzo millimetro, ed invisibili a occhio nudo rappresentano circa il 60% del materiale di cui sono composti i nostri capi d’abbigliamento, che sono robusti, leggeri, caldi per l’inverno ed economici, ma, nocivi per gli ecosistemi di cui facciamo parte anche noi. Ad ogni lavaggio si staccano minute parti di tessuto e da qui comincia il viaggio della microplastica fino al terreno agricolo e nei mari. Diventa
indispensabile investire sulla ricerca e l'innovazione del settore tessile e migliorare il trattamento delle acque reflue. Per questo Marevivo richiede alle aziende di progettare sistemi di filtraggio più efficaci per lavatrici e, a noi tutti, di ridurre quanto più possibile gli acquisti, di riciclare e riusare. Oltre che nei capi che indossiamo, microsfere di plastica sono talvolta aggiunte a prodotti per la salute e la bellezza, come alcuni detergenti e dentifrici. Ed ancora perfino nei composti farmaceutici, noti alla scienza, ma su cui le istituzioni non prendono posizione. Sulla tossicità delle microplastiche siamo all’anno zero. Ne sappiamo pochissimo, tanto che la EU non li ha ancora inseriti come nuovi contaminanti da ricercare nelle acque potabili. Alcuni Paesi cominciano a bandire o regolamentare l’uso di microsfere plastiche, ma mancano ancora conoscenze sufficienti per una normativa efficace. B.G.
Arpac: approvato il Codice di Condotta Integrato il quadro regolamentare per le pari opportunità, il contrasto alle discriminazioni e alle altre forme di violenza L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania, richiamandosi alla Raccomandazione 92/131 CEE sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul posto di lavoro, ai principi costituzionalmente sanciti di parità sostanziale tra uomini e donne ed alla disciplina contrattuale più recente in materia, con deliberazione n. 638 del 28 dicembre scorso ha approvato il “Codice di condotta per la tutela della dignità della persona e della qualità dell'ambiente di lavoro” (di seguito Codice di Condotta), in attuazione del Piano delle Azioni Positive 2018-2020, azione 4.1. Il Codice di Condotta dell’ARPAC, per la redazione del quale si è registrato un determinante contributo del “Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni” (CUG), rappresenta un fondamentale tassello per la tutela della salute delle/dei lavoratrici/lavoratori in quanto
ispirato alla logica della prevenzione attuata con politiche di gestione lungimiranti e con l'individuazione di procedure atte a risolvere realmente disagi ed a rimediare a distorsioni organizzative, al fine di garantire un ambiente di la-
voro sicuro, sereno, favorevole alle relazioni interpersonali e fondato sui principi di solidarietà, cooperazione e rispetto. L’ARPAC considera il benessere psico-fisico e la serenità del personale nei luoghi di lavoro come fattori strategici per
l’organizzazione e con il Codice di Condotta si impegna a: -garantire la tutela da qualsiasi atto o comportamento pregiudizievole o discriminatorio, lesivo della dignità della persona, riconoscendo come fondamentale il diritto a se-
gnalare eventuali ritorsioni, intimidazioni o atti molesti subiti sul luogo di lavoro; - prevenire e contrastare fenomeni di discriminazione, molestia morale o sessuale, mobbing, costrittività organizzativa o altra forma di disagio, disciplinando procedure (formali ed informali) dirette alla concreta ed effettiva soluzione dei casi ivi contemplati; - contrastare condotte prevaricatorie e/o persecutorie che possano condurre un lavoratore o una lavoratrice alla mortificazione morale e all’emarginazione, al dolore e alla sofferenza, con effetto lesivo dell’equilibrio psico-fisico e della personalità; - promuovere l’auto-educazione e la formazione a comportamenti etici nelle relazioni interpersonali sul luogo di lavoro. Il Comm. Straord. Arpac Avv. Luigi Stefano Sorvino Il Presidente del CUG Avv. Claudia Cesaro
Mal d’aria: il 2018, ancora un anno nero per la Campania San Vitaliano, Pomigliano d’Arco ed Acerra le città con il record di sforamenti “Breathe, breathe in the air, don’t be afraid to care” cantavano i Pink Floyd nel lontano 1973. Oggi, anche la cosa più naturale e prima del mondo, respirare, è diventata fonte di preoccupazione o malessere. Nel 2018 in Campania tredici città hanno superato la soglia di polveri sottili Pm10 consentita per legge. Nelle città capoluogo quota superata ad Avellino e Napoli, con picchi rispettivamente di 46 e 37 sforamenti. Secondo i dati dell’Arpac (Agenzia regionale protezione ambientale della Campania) elaborati da Legambiente, nella Provincia di Napoli si concentrano il maggior numero di giorni con sforamenti: 122 a San Vitaliano (104 nel 2017); 101 a Pomigliano D’Arco (115 nel 2017) e 72 ad Acerra (centralina scuola Caporale) dove nel 2017 furono 63 i giorni “bui”. Le altre città campane fuori-
legge sono: Nocera Inferiore (SA) con 65 giorni; Casoria (NA) con 50 giorni, Sparanise (CE), 43, Aversa (CE) con 57
giorni; Teverola (CE), 60; Cava dei Tirreni (SA) con 39; Marcianise (CE) con 37 giorni e Volla (NA) con 38 sforamenti.
La popolazione residente in questi luoghi è costretta a respirare polveri nocive circa un giorno su tre nel peggiore dei casi (San Vitaliano e Pomigliano d’Arco), e uno su quattro nel caso di Acerra. Numeri che si traducono in problemi di salute, costi per il sistema sanitario e impatti rilevanti sugli ecosistemi: le morti premature attribuibili all’inquinamento atmosferico nel nostro Paese sono oltre 60mila l’anno, come riportato annualmente nei report dell’Agenzia Ambientale europea (EEA). Senza contare che in Italia i costi collegati alla salute derivanti dall’inquinamento dell’aria si stimano fra i 47 e i 142 miliardi di euro (stima al 2010). Dati che descrivono ancor di più l’urgenza di politiche concrete di miglioramento della qualità dell’aria: “Come ribadiamo da anni – ha dichiarato Mariateresa Imparato, presidente Legambiente
Campania - non servono misure sporadiche, ma è urgente mettere in atto interventi strutturali e azioni ad hoc sia a livello nazionale che locale per liberare le città dalla cappa dello smog. In questo è fondamentale il ruolo della Regione nel predisporre piani e misure oltre a nuovi fondi da destinare a progetti innovativi”. Accanto alla politica regionale, le amministrazioni comunali devono avere più coraggio, essere meno timorosi nell’ applicare nuove e concrete scelte di mobilità sostenibile: “Prioritario sarebbe investire su uno svecchiamento del parco autobus, puntando su un trasporto pubblico locale moderno, treni per pendolari e mobilità alternativa, senza dimenticare la riqualificazione energetica degli edifici, garantendo così una riduzione nelle emissioni dagli impianti di riscaldamento domestici”.
In un convegno alla Federico II si è discusso di rivoluzione digitale in medicina con i vertici del Secondo Policlinico
«Innovazione in sanità con i dati ambientali» L’intervento del commissario Arpac: «necessaria l’integrazione con la conoscenza dell’ambiente» Luigi Mosca Digitalizzazione e innovazione nella sanità campana sono stati il tema di un convegno promosso lo scorso 14 gennaio dalla Federico II a Napoli, nell’ambito dei master sociosanitari organizzati dall’ateneo federiciano. È intervenuto, tra gli altri, il commissario Arpac Stefano Sorvino, di fronte a una platea di studenti e addetti ai lavori riunita nell’Aula magna del dipartimento di Scienze sociali a vico Monte della Pietà. Al commissario dell’Arpa Campania è stato affidato il tema dell’integrazione tra profili ambientali e sanitari nell’ordinamento giuridico italiano. Sorvino ha parlato della necessità di «riconsiderare il rapporto tra le due materie, dopo che negli ultimi decenni si è spinto verso l’autonomia dei controlli ambientali rispetto al sistema sanitario. Oggi, al contrario, alla luce delle molteplici e complesse connessioni tra ambiente e salute, non è sbagliato parlare di una nuova esigenza di integrazione tra sistema istituzionale ambientale e quello sanitario: una questione di cui si dibatte troppo poco nel panorama istituzionale». Il commissario dell’Agenzia ambientale campana ha ripercorso sinteticamente la storia della legislazione ambientale e del sistema di controlli nel nostro Paese, dall’era in cui le funzioni ambientali non erano che un capitolo delle competenze in materia di salute, fino all’istituzione, nel 1986, del ministero dell’Ambiente e alla legge quadro del ’94 che ha previsto l’istituzione delle agenzie ambientali su base regionale, sottraendo alle Asl le competenze in materia di controlli ambientali. L’avvocato alla guida di Arpac ha parlato delle Arpa come «cugine» delle Asl. Si tratta – ha aggiunto – di cugine «povere »: mentre il settore sanitario è la principale voce di spesa della pubblica amministrazione, le Arpa sono indubbiamente meno dotate di risorse finanziarie, strumentali e di personale, nonostante abbiano dei compiti i cui risvolti sanitari sono evidenti.
Ad esempio, il monitoraggio delle acque di balneazione, svolto in Campania da Arpac, ha un evidente scopo sanitario: verificare, in parole povere, se le acque costiere sono salubri per i bagnanti o siano piuttosto da considerare rischiose per la loro salute. Sorvino ha parlato di «intrecci di competenze» tra enti del sistema ambientale ed enti del sistema sanitario. E di provenienza sanitaria è anche la principale fonte di finanziamento dell’Arpa Campania, attualmente sovvenzionata con una quota dello 0,54 percento del Fondo sanitario regionale. La legge 132 del 2016, che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, del resto, ha introdotto un concetto che il commissario Arpac ha definito come «ancora poco conosciuto, anche tra gli addetti ai lavori». Si tratta dei Lepta, i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, standard minimi di funzionamento del sistema istituzionale da garantire su tutto il territorio nazionale così come prevede la Costituzione, sulla falsariga dei Lea in ambito sanitario. Sorvino ha ricordato poi che il rapporto di lavoro, all’interno delle Arpa, è regolato dalle stesse norme contrattuali che si applicano in ambito sanitario. Una serie di connessioni e di punti comuni, insomma, che avvicinano ancora oggi il Sistema nazionale per la prote-
zione dell’ambiente al sistema sanitario. «Il tema dell’innovazione in sanità», ha concluso il commissario Arpac, «non può prescindere dall’integrazione con i dati che provengono dai monitoraggi ambientali». Tra gli altri relatori, il direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II, Vincenzo Viggiani, il quale ha concordato con l’idea che il concetto di medicina si stia attualmente «dilatando», fino a ricomprendere aspetti tecnologici, gestionali, psicologici e appunto ambientali. Viggiani ha citato, come esempio, l’esperienza del Veneto che di recente ha adottato un sistema gestionale innovativo il quale divide la popolazione in raggruppamenti in base al rischio di sviluppare determinate patologie e al peso che questi gruppi hanno sulla spesa sanitaria. «Con questo tipo di sistemi basato sui cosiddetti big data», ha argomentato il dg del Secondo policlinico, «il sistema di welfare può essere rimodellato con una più efficace ed equa allocazione delle risorse». Questo anche in considerazione del fatto che l’Italia ha un’aspettativa di vita alta, ma non brilla per aspettativa di vita «in buona salute», con una fetta rilevante di popolazione che soffre di patologie croniche, magari invalidanti, che mettono a dura prova la tenuta, anche finanziaria, del sistema sanitario. Altro
intervento di rilievo istituzionale, quello di Maria Grazie Falciatore, vicecapo di Gabinetto della Regione Campania, che ha illustrato la programmazione finanziaria regionale in tema di ricerca e innova-
zione. La funzionaria della Regione ha ricordato come una lunga serie di iniziative in ambito sanitario e biotecnologico, condotte da istituzioni, università, ma anche da privati (o in alcuni casi da soggetti misti). I risultati fanno a volte notizia, dai componenti aerospaziali made in Campania che finiscono su Marte, con la missione Insight, fino all’esoscheletro sviluppato dal Santobono e dal Cnr, che sostituisce il tradizionale gesso per le fratture, a beneficio dei pazienti più piccoli. Tra gli altri relatori intervenuti nel corso del convegno, il direttore del Dipartimento di scienze sociali dell’ateneo federiciano, Stefano Consiglio, il direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II, Gaetano D’Onofrio, il direttore generale di Soresa spa, Gianluca Postiglione, la coordinatrice dei master sociosanitari della Federico II, Gianfranca Ranisio.
Con PagoPa pagamenti elettronici in Arpac Arpa Campania ha aderito al sistema PagoPA, che consente a cittadini e imprese di effettuare pagamenti verso le pubbliche amministrazioni in modalità digitale. Dall’inizio di quest’anno, tutti coloro che devono versare importi di danaro all’Agenzia, ad esempio per prestazioni laboratoristiche, dovranno farlo attraverso le nuove modalità previste dal sistema. Sul sito Arpac è presente un’apposita sezione in cui si può accedere a PagoPA utilizzando le credenziali fornite dal Spid (Sistema pubblico di identità digitale), in modo da procedere al pagamento con carta di credito. In alternativa, l’utente può versare gli importi attraverso i Prestatori di servizi di pagamento (Psp), tra questi le banche che aderiscono al sistema, ad esempio presso gli sportelli o mediante i servizi di home banking. In questo caso occorre utilizzare i codici CBILL e “Codice Avviso” che
il sistema invia via e-mail ai singoli utenti, codici consultabili anche dopo aver effettuato il login attraverso la sezione PagoPa del sito Arpac. Solo per i bollettini 2018, inviati fino all’entrata in funzione del sistema, restano disponibili le tradizionali modalità di pagamento. Con l’adesione a PagoPA l’Agenzia si conforma, nei tempi previsti dalla normativa, all’obbligo introdotto dall’articolo 5 del Codice dell’amministrazione digitale. Un risultato utile ad avvicinare l’Ente ai propri utenti e portatori di interesse, ottimizzandone i servizi anche attraverso le tecnologie digitali.
Comunicare l’ambiente a scuola è un lavoro difficile Chi è l’educatore ambientale e perché oggi il suo lavoro è così prezioso Anna Gaudioso Comunicare genera comprensione, anzi crea ponti di intesa tra noi e gli altri. È questa la sensazione che è stata recepita dagli interlocutori di Arpac nell’ambito del percorso di alternanza scuola-lavoro all’istituto Imbriani di Pomigliano d’Arco che si è tenuto nelle scorse settimane. L’esperienza informativa educativa presso le scuole ha dato senza dubbio dei risultati positivi: il settore Educazione ambientale di Arpac cerca di fare un bilancio di considerazioni generali valutando i momenti e i risultati ottenuti nei vari incontri educativo-formativi.Quanto fatto fino ad ora è stato importante, ma è sempre poco, rispetto a quanto si può fare in questo ambito. Entrare in una classe non è facile, se non si ha la giusta autorevolezza, la fermezza e la socialità spiccata per interagire con la platea. È importante trasmettere ai ragazzi l’idea che di fronte hanno qualcuno (o qualcuna) che ha qualcosa
Arpa CAMPANIA AMBIENTE del 15 gennaio 2019 - Anno XV, N.1 Edizione chiusa dalla redazione il 15 gennaio 2018 DIRETTORE EDITORIALE
Luigi Stefano Sorvino
DIRETTORE RESPONSABILE
Pietro Funaro
CAPOREDATTORI
Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli
IN REDAZIONE
Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Savino Cuomo
HANNO COLLABORATO
I. Buonfanti, C. Cesaro, F. De Capua, F. Clemente, G. De Crescenzo, A. Esposito, Funaro, B. Giordano, G. Loffredo, R. Maisto, A. Palumbo, A. Paparo, T. Pollice
SEGRETARIA AMMINISTRATIVA
Carla Gavini
DIRETTORE AMMINISTRATIVO
Pietro Vasaturo
EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/427/451 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it magazinearpacampania@libero.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 1-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali.
da dire e che è loro interesse ascoltare. È importante rassicurarli su un punto in particolare: in questi incontri non ci sono valutazioni, ma per loro è solo un’opportunità di sapere qualcosa di più o di rafforzare ciò che già sanno. Se capiscono che l’educatore non è lì per esaminarli, si sciolgono e spesso viene fuori un dibattito interessante, positivo e costruttivo di cui si meravigliano gli stessi professori. Spesso l’insegnante chiama a intervenire colui o colei che sa essere particolarmente pronto a fare domande, eppure, se il comunicatore ci sa fare, in realtà tutti intervengono. Se poi chiedono al formatore di tornare, allora ci si può davvero ritenere soddisfatti e pensare che ne è valsa la pena. L’incontro insomma è stato utile e quindi, in altre parole, «missione compiuta». È un po’ come dire: ehi, amici, io sono qua per voi! Vedere gli alunni già schierati dietro ai banchi all'inizio dell'ora è un sogno di gioventù, la sequenza di un vecchio film in bianco e nero con gli scolari compunti e solenni di fronte al professore. Oggi però bisogna conquistare quell'attenzione ora per ora, minuto per minuto. Se si riesce a farlo, creando un’atmosfera di reciproco interesse, anche senza l'ausilio di strumenti particolari, allora si potrà prendere la parola e via… Spesso i ragazzi sono attratti dalle fonti storiche: se le si trasmette come illustrando la trama di un film, allora si riesce a captare più facilmente il loro interesse. Non esistono tuttavia metodi preordinati o più o meno efficaci. Dipende soltanto dall’educatore, dal suo modo di relazionarsi con gli altri, dalla sua
sensibilità, dall'educazione ricevuta e dalle reazioni che ha incamerato ed elaborato nel corso degli anni. Tutto accade in quei pochissimi istanti in cui si prende la parola, quando i ragazzi guardano e ridono. Può accadere di tutto: sono frazioni di secondo, lì ci si gioca la giornata e la reputazione. Se si sbaglia, si paga. Si perde la fiducia, ma se ci si accorge in tempo che occorre raddrizzare il tiro, si può recuperare, perché i giovani sono elastici e concedono una seconda possibilità. Diffondere la cultura ambientale è indispensabile. Per troppo tempo siamo andati avanti pensando che la natura si rigeneri da sola senza limiti e che le risorse del pianete siano infinite. La verità è che la natura non ce la fa più ad autorigenerarsi e autodepurarsi e le risorse del pianeta rischiano di di-
minuire. Per questo motivo è necessario informare, perché solo così l’umanità sarà libera di decidere coscientemente se essere o no a favore dell’ambiente. Dare informazioni giuste è importante per stimolare una coscienza ambientalista, perché solo avendo una reale percezione degli attuali squilibri ambientali si può decidere se essere o no a favore della natura e quindi di noi stessi. Una buona diffusione dell’informazione e la conoscenza della cultura ambientale devono portare a promuovere un cambiamento degli stili di vita in armonia con l’ambiente naturale e un futuro sostenibile, che a sua volta non possono che portare a una riflessione cruciale per il futuro dell’umanità e della terra, per noi e per le generazioni future.
SORRIDERE E IMPARARE TRA I BANCHI DI SCUOLA È UN DIRITTO INVIOLABILE E UNIVERSALE In Italia solo il 32% degli istituti scolastici risulta accessibile ai bambini diversamente abili Fabiana Liguori L’istruzione è un diritto universale di ogni bambino di qualunque colore, ceto, cultura. Non è ammissibile che spesso davanti a una disabilità tale diritto venga negato e che l’inefficienza e la negligenza di un Governo continuino indisturbate a calpestare la dignità e la crescita di intere famiglie. Questo non può e non deve accadere, soprattutto in Paesi che, come l’Italia, vengono definiti civili, sani, attenti alle esigenza della popolazione, all’avanguardia, dignitosi e accoglienti. Quante storie si raccontano, quante volte abbassiamo la testa … Secondo il report dell’Istat sull’inclusione scolastica, qualità dell’offerta e caratteristiche degli alunni con sostegno, in Italia meno di una scuola su tre è accessibile. L’indagine è stata effettuata su 56.690 istituti (d’infanzia, primarie, secondarie di I e II grado). Ma guardiamo i numeri. Nell’anno scolastico 2017-2018 soltanto il 32% delle scuole risulta accessibile dal punto di vista fisicostrutturale. Nel nord del Paese i valori sono superiori alla media nazionale (40%); la percentuale si riduce nelle regioni del Centro (32%) e tocca i livelli più bassi nel Mezzogiorno (26%). Tra le regioni più “virtuose”: la Valle d’Aosta (66% a norma) e la Provincia Autonoma di Bolzano, con il 47%. Di contro, Campania e Molise: solo il 22%. Tali insufficienze si accentuano se si considera la presenza di barriere senso-percettive. In Italia solo il 18% delle scuole dichiara di possedere facilitatori senso-percettivi volti a favorire, all’interno della struttura, l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi agli alunni con disabilità sensoriale. Anche in questo caso, a livello territo-
riale si delinea un forte differenza: la quota di scuole dotate di ausili sensopercettivi diminuisce progressivamente passando dal 22% registrato nelle regioni del Nord al 13% rilevato in quelle del Sud. Se si esaminano le scuole accessibili sia dal punto di vista fisico che sensoriale, la quota scende all’8% e tocca ancora una volta i valori più bassi nel Mezzogiorno (5%). Dal Rapporto Istat si evincono diversi dati raccapriccianti, uno fra tutti purtroppo la mancanza di un semplice ascensore o la presenza di un ascensore non adatto al trasporto delle persone con disabilità (63%): a quanto pare i “piani alti” non sono per tutti. Meno frequenti sono le scuole sprovviste di bagni a norma (30%), rampe esterne (23%) o servoscala (21%). Rari i casi in cui si riscontra la presenza di scale o porte non a norma (rispettivamente 7% e 4%). Nonostante la percentuale di scuole accessibili risulti piuttosto bassa, solo nell’11% dei casi sono stati effettuati, nel corso dell’anno, lavori finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche. Quando il problema non ci riguarda da vicino, non esiste. E se il problema non esiste, neanche la disabilità esiste e neanche i ragazzi che convivono ogni giorno con queste problematiche esistono: questo è il Belpaese. In riferimento alle sole scuole primarie e secondarie di primo grado, negli ultimi cinque anni è migliorato il livello di accessibilità grazie esclusivamente
a una riduzione delle barriere fisiche. La quota di scuole accessibili da un punto di vista fisico è passata infatti dal 14% (2013-2014) al 33% (2017/2018). La presenza di barriere senso-percettive resta invece stabile nel tempo intorno al 20% delle scuole. Anche nell’impiego della tecnologia, che potrebbe “facilitare” il processo d’inclusione scolastica di questi bambini, siamo davvero indietro: le scuole dell’infanzia che ne utilizzano una specifica a supporto dell’alunno con sostegno sono il 16% e a livello territoriale non si riscontrano differenze rilevanti. Tra le innovazioni impiegate emerge un largo uso di strumenti informatici di base (pc e tablet) ma anche di strumenti più specifici, come software per la comunicazione aumentativa e alternativa. Per i restanti ordini scolastici, una scuola su quattro risulta carente di postazioni informatiche: le regioni
con la maggiore dotazione sono l’Emilia Romagna (’85%), la Provincia Autonoma di Trento 84,2% e la Toscana (82%) mentre le scuole meno dotate si trovano nella Provincia Autonoma di Bolzano (51%). Nel sistema scolastico italiano, la principale figura professionale a supporto della didattica è l’insegnante per il sostegno che oltre a ricoprire un ruolo fondamentale nel percorso formativo dell’alunno può promuovere e favorire il processo d’inclusione scolastica, realizzando interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli. Nello scorso anno scolastico sono stati circa 156 mila (dati MIUR). A livello nazionale il rapporto alunno-insegnante per il sostegno è migliore di quello previsto dalla Legge 244/2007 (due alunni ogni insegnante per il sostegno) con un valore pari ad 1,5. segue a pag.9
segue da pagina 8 Se da un lato tale rapporto risulta pienamente soddisfacente su quasi tutto il territorio nazionale, dall’altro a causa della carenza di insegnanti specializzati, si riscontra una grossa quota selezionata dalle liste curriculari(36%). Per la realizzazione del programma individuale di ogni singolo bambino sarebbe importante che ci fosse una continuità del rapporto tra docente per il sostegno e alunno, non solo nel corso dell’anno, ma anche per l’intero ciclo scolastico. Questo perché oltre a favorire l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra i due e i conseguenti benefici nella crescita del fanciullo, permetterebbe all’insegnante di svolgere la propria attività nell’ambito di un progetto più ampio finalizzato all’inclusione. Purtroppo questo non accade sempre, anzi: il 41% degli alunni ha cambiato insegnante per il sostegno rispetto all’anno precedente. Una quota inferiore, ma non trascurabile di alunni, il 12%, ha cambiato insegnante per il sostegno nel corso dell’anno scolastico. Ma quanti sono i ragazzi con sostegno che frequentano la scuola primaria e secondaria di primo grado in Italia? Nell’anno scolastico 2017/2018 sono stati complessivamente 165.260 (il 3,7% del totale), quota in continua crescita con un incremento, negli ultimi 10 anni, di oltre il 27%. La disabilità intellettiva riguarda il 46% di questi studenti, seguono i disturbi dello sviluppo (25%) e quelli del linguaggio (22%). Tra i disturbi meno frequenti: i problemi di tipo motorio e sensoriale (cecità, sordità, ipovisione e ipoacusia), rispettivamente 11% e 9%. Quasi la metà degli alunni con sostegno risulta avere più di un problema di salute (48%), soprattutto quando vi è una disabilità intellettiva: oltre il 61% presenta infatti anche altri tipi di disturbi. La conoscenza dei livelli di autonomia del bambino nello svolgimento di alcune attività essenziali, quali lo spostarsi all’interno dell’edificio scolastico, mangiare, andare al bagno da soli rappresenta uno dei presupposti necessari per l’attuazione di un percorso formativo adeguato e finalizzato all’inclusione. Negli ultimi cinque anni le ore di sostegno settimanali hanno subito un incremento del 14%, 1,7 ore in più a
CONCORSO SURFING GLASS
Message in the bottle per la dodicesima edizione
settimana per entrambi gli ordini scolastici. L’incremento si osserva su tutto il territorio ma è più alto nelle regioni del Centro dove supera il 18% (2,2 ore in più a settimana) ed è minimo nel Mezzogiorno (10%, 1,3 ore in più), che però registrava in medi settimanali più elevati. Dall’indagine emerge che il 5% delle famiglie degli alunni con sostegno ha presentato ricorso al Tribunale civile o al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), ritenendo l’assegnazione delle ore non idonea a soddisfare il bisogno dell’alunno. Nelle regioni del Mezzogiorno, i ricorsi risultano più frequenti in confronto alle regioni del Nord (rispettivamente 6% e 3%). La condivisione del percorso didattico con la classe e la partecipazione a momenti di socializzazione sono elementi fondamentali per la realizzazione del processo di inclusione scolastica. Per questo motivo sarebbe opportuno che tutta l’attività didattica dell’alunno con sostegno si svolgesse insieme ai compagni e che ci fosse una completa partecipazione a tutte le attività scolastiche comprese le gite di istruzione e le uscite didattiche brevi, anche quando tale partecipazione implichi una maggiore complessità organizzativa dell’evento (numero di accompagnatori, scelta di luoghi accessibili, ecc.). Quanto emerso dall’indagine Istat è da far accaponare la pelle. La libertà di sorridere e imparare tra i banchi di scuola è un diritto inviolabile e universale. Ma non in Italia.
È giunto alla sua dodicesima edizione “Surfing Glass”, il Concorso dedicato alle scuole organizzato da Assovetro (l'Associazione Nazionale degli Industriali del Vetro) e da CoReVe (Consorzio Recupero Vetro). La tematica di quest’anno sarà quella di una bottiglia virtuale lanciata nello sconfinato mare cibernetico di internet contenente un messaggio sulle qualità del vetro. Gli alunni delle scuole di tutta Italia che parteciperanno dovranno elaborare contenuti in grado di esprimere perfettamente le straordinarie peculiarità dei contenitori in vetro: amici dell'ambiente, preziosi per la salute, campioni di economia circolare, riciclabili all'infinito e al 100%, e farli viaggiare naturalmente sul web. Il Concorso, che si svolge nell'ambito del Protocollo d'Intesa sottoscritto da Assovetro con il MIUR è rivolto alle classi quarta e quinta della Scuola primaria ed ai tre anni delle Scuole secondarie di primo grado sia statali che paritarie. Nello specifico le classi partecipanti creeranno messaggi
positivi sul vetro, da far viaggiare in bottiglie “virtuali” che navigheranno sul sito www.surfinglass.it. Qui, ogni classe troverà un momento didattico composto da una serie di domande a risposta multipla sui contenitori in vetro e le loro caratteristiche. Ogni risposta esatta assegna un punteggio alla classe. Solo a questo punto gli alunni avranno la possibilità di accedere alla parte creativa del progetto: scrivere un contenuto che parli di contenitori in vetro per alimenti sui temi della Sicurezza alimentare e del riciclo. La classe che avrà risposto correttamente potrà comporre uno o più messaggi con le seguenti caratteristiche: 1. Messaggio composto da solo testo di una lunghezza massima di 280 caratteri spazi inclusi; 2. Messaggio composto da testo e immagine (foto o disegno) al fine di comporre un manifesto o una locandina, in formato quadrato (il file non dovrà pesare più di 2MB); 3. Messaggio composto da un video del peso massimo di 64 MB e della durata massima di 2 miA.P. nuti.
Etna: minaccia o stupenda bellezza? La doppia faccia del vulcano attivo più alto d’Europa Rosario Maisto Negli ultimi anni l'Etna ci ha mostrato la sua faccia più spettacolare con imponenti fontane di lava, cenere e gas innalzati in cielo per alcuni chilometri e ripresi perfino dai satelliti, ma vivere alle pendici del vulcano attivo più alto d'Europa, dichiarato patrimonio Unesco dal 2013 per il suo particolare pregio scientifico e naturalistico, vuol dire anche dover fare i conti con l'altra faccia della medaglia, il potere distruttivo che si scatena ai danni delle popolazioni che hanno scelto di convivere con questa straordinaria forza della natura. Infatti l'Etna ha mostrato il 26 dicembre il suo volto più violento con un terremoto di magnitudo 4.8 Richter, che poco si intona con le spettacolari immagini di eruzioni che invece vorremmo sempre vedere, oggi solo macerie, devastazione, intere famiglie disperate per aver perso tutti i sacrifici di una vita, di fatto, la sua violenza è da attribuire alla bassissima profondità dell'ipocentro che, in questo caso, è stato di appena 1Km. L'evento, avvertito distintamente in tutti i paesi
etnei e anche in buona parte della Sicilia orientale, ha causato diversi feriti e ingenti danni al paese, ormai questa zona ha in qualche modo imparato a convivere con i terremoti e, nonostante la paura, la gente sa bene che non c'è altro da fare se non rimboccarsi le maniche e ricominciare. Ma cosa c'è sotto le case degli abitanti dell'Etna? L'intenso sciame sismico è stato accompagnato da un incremento della degassazione e da emissioni di cenere dai crateri sommitali, per poi culminare nella messa in posto di una densa colonna di cenere scura, parallelamente una fessura eruttiva si è aperta alla base del Cratere di Sudest dando luogo a un'imponente colata lavica che si è riversata nella Valle del Bove. Il magma segue la via dettata da tre assi tettonici principali (gruppi allineati di faglie e fratture) che interessano l'intera area etnea, importantissimi nel determinare la fragilità del versante orientale del vulcano e il cui sistema di faglie si è attivato in occasione della sequenza sismica registrata in questi giorni. Questi assi sono delle enormi linee di debolezza sulla
crosta terrestre attraverso i quali il magma trova la via di risalita, il suo cammino è un intricato sistema di dicchi (intrusioni magmatiche) fatto di ramificazioni, e quando arriva in superficie può dar luogo ad eruzioni spettacolari, altre volte si accumula in profondità e, se non riesce a fuoriuscire, si
raffredda fino a cristallizzare lentamente. Il verificarsi di eventi sismici con una frequenza così elevata come quella registrata in questi giorni e localizzati tutti in prossimità della medesima area, vuol dire che la rottura del terreno e le deformazioni del suolo verificatesi sono la conseguente
risposta fragile del fianco del vulcano ai movimenti del magma in profondità. Ora, è difficile prevedere le prossime mosse del vulcano, ma di certo non è da escludere la possibilità di un'attività eruttiva completamente diversa da quelle a cui l'Etna ci ha abituati a vedere!
Il ritorno dei lupi e la preoccupazione dell’uomo È indispensabile un monitoraggio per tentare di risolvere i problemi di coabitazione Tina Pollice Secondo i dati del terzo rapporto Direttiva Habitat coordinato dall’Ispra, Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale, i lupi sono tornati a popolare l’arco appenninico e buona parte di quello alpino. Negli anni ’70 erano quasi estinti, se non per pochi esemplari presenti sull’Appennino centro-meridionale. Favoriti dall’introduzione del divieto di abbattimento, tra il 2012 e il 2018, i lupi son tornati ad occupare poco meno di un quarto del territorio nazionale. Stabilirne il numero esatto è difficile poiché in Italia non esiste un programma organico di monitoraggio, ma, si stima che ne vivano oltre 290 esemplari sulle Alpi, tra i 1269 e i 1800 sugli Appennini. Il ri-
torno dei lupi non riguarda soltanto noi. Nel 2013 in Europa ce n’erano circa 14mila, nel 2017 circa 17mila presenti soprattutto in Spagna, Portogallo, Svezia, Norvegia, Carpazi e Alpi Dinariche. Al convegno organizzato a Roma, l’Ispra ha proposto
l’avvio di un piano nazionale di monitoraggio indispensabile soprattutto per tentare di risolvere la difficile coabitazione con l’uomo. Infatti, se la crescita della popolazione di lupi è una splendida notizia per la biodiversità, non si può ignorare che il rap-
porto con gli abitanti dei territori di nuova colonizzazione è molto conflittuale. Dati dell’Unione Zoologica Italiana riferiti al quinquennio 2010-2015, provenienti da 15 regioni, due province autonome e nove parchi nazionali, indicano che ogni anno 2590 capi di bestiame sono vittime delle predazioni dei lupi, e, gli indennizzi ammontano a poco meno di un milione e mezzo di euro. Gli allevatori lamentano che i soldi compensano solo il costo dell’animale perso, ma, non i danni indiretti quali quelli derivati dalla mancata vendita di latte, lana e formaggio. Di controparte il lupo è minacciato dal bracconaggio, dagli incidenti stradali, dalle malattie trasmesse dagli animali domestici; l’ibridazione con i cani mette in pericolo l’in-
tegrità genetica della specie che, secondo le indagini degli ultimi 15 anni, interessa tra l’8 e il 10% degli esemplari, con picchi del 25-30% in Toscana e addirittura del 50% nel Grossetano. L’Ispra ha cercato una sintesi, ad una sfida tutt’altro che semplice, per la convivenza pacifica e rispettosa tra lupi ed umani coinvolgendo tutti gli attori: dagli allevatori ai ricercatori, dai cacciatori agli ambientalisti, e, la proposta di quantificare la presenza dei predatori, identificarne il patrimonio genetico, schedare i branchi è solo il primo passo, occorre una strategia nazionale di gestione che tuteli le attività antropiche, salvaguardando al contempo una specie che non è ancora ufficialmente fuori pericolo.
Presentato il Rapporto Eco Media 2018 Poco spazio alle notizie ambientali nei TG italiani Bruno Giordano È stato presentato a Roma, presso la Sala Stampa Estera, durante il 5° Forum nazionale “Ambiente e sviluppo sostenibile tra informazione, economia e politica” il Rapporto Eco Media 2018. Nelle edizioni dei 7 principali TG italiani le notizie dedicate all’ambiente coprono solo l’11% dello spazio dedicato all’informazione. È quanto emerge dal 5° Rapporto Eco Media 2018 realizzato dall’Osservatorio di Pavia e promosso da Pentapolis Onlus. Questo 11% in gran parte è collegato a notizie legate principalmente ad emergenze e disastri ambientali naturali e notizie su condizioni meteorologiche. Minoritarie, ma comunque presenti, notizie precise su temi ambientali e quella che è la rappresentazione della natura e degli animali. Sono dati che fanno riflettere se si considera che le notizie si concentrano prevalentemente su disastri naturali e condizioni meteorologiche in cui l’ambiente fa spesso da sfondo e poco da protagonista. L’ambiente è ancora accostato a disastri naturali, alle emergenze e ancora poco connesso al sistema produttivo e alle
questioni economiche. In realtà, l’Italia è piena di “best practice” che andrebbero valorizzate ed in questo, il mondo dei media ed il mainstream può e deve fare la sua parte valorizzando e promuovendo un’Italia di qualità che funziona. “Best practice” che nascono, crescono si moltiplicano e che investono sempre di più sulla responsabilità sociale di impresa e sulla sostenibilità puntando ad un tema che è e sarà il futuro del nostro Paese e non solo. La responsabilità sociale di impresa è diventato il punto della politica industriale italiana perché, oggi si sa che, la sostenibilità è il futuro. Sostenibilità ambientale in cui diventa fondamentale il ruolo delle imprese che possono dare un grandissimo contributo ad un cambiamento che è epocale. Siamo in un momento di transizione energetica e chi fa infrastrutture sui territori ha regole da seguire che possono essere indicative di un approccio sostenibile e di valore condiviso, ma, è importante l’ascolto delle comunità per consentire adeguati ed innovativi progetti. Le imprese possono contribuire da un lato, i media supportare dall’altro. L’informazione, attraverso televisione,
radio, carta stampata, ma anche attraverso il web ed i social network, può dare un forte contributo al tema dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile. C’è bisogno di un giornalismo di settore più moderno, capace di cogliere l’elemento di attualità e di connettersi con le questioni economiche senza spettacolizzare il green, mostrando che la questione ambientale non è puramente una questione ecologica ma è fondamentale per il futuro dell’economia della società italiana. Molti Paesi hanno già capito ciò ed hanno immaginato ed attuato una trasformazione dei sistemi di produzione ecocompatibile. Dal momento che l’Italia ha firmato per “Strategie e Sviluppo Ecocompatibili”ambiente, società ed istituzioni devono essere modificate ed orientate in questa direzione. Bisogna mostrare ai lettori che le connessioni che ci sono tra i vari fenomeni possono aiutare a capire l’enormità del ruolo, ma, anche la possibilità di questo cambiamento. E per concludere, operare un monitoraggio attento su come la politica pone o non pone attenzione allo sviluppo sostenibile.
Occhiali fatti con fichi d’india e ulivi Dal Salento i primi modelli green Ha sangue salentino e un’anima 100% green la nuova linea di occhiali da sole in fibra di fico d’India e legno di ulivo. Per ora sono un centinaio di pezzi in edizione limitata, ma tutti hand made e interamente creati in Italia. Si tratta della prima collezione di occhiali “Ferilllieyewear”, ossia ciò che è venuto fuori dalla fervida mente del giovane Cristiano Ferilli, originario di Giuliano di Lecce, laureato in ortottica e assistenza oftalmologica all’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma e grande appassionato di occhiali. “L’idea di creare una linea di occhiali tutta mia, racconta Cristiano, è nata a 17 anni quando, durante una fiera internazionale a Milano, tra i vari padiglioni rimasi affascinato e incantato dalla varietà di forme, colori, modelli e linee che caratterizzano il mondo degli occhiali”. Cristiano ha presto associato negli anni la sua passione per le lenti all’amore per la natura imbattendosi in un innovativo materiale ecosostenibile nato nel cuore della Puglia, il Sikalindi (fico d'india in lingua Grika). Si tratta di un materiale, vincitore del premio Oscar Green, ottenuto dalla disidratazione delle pale del fico d’india, una pianta molto diffusa in terre pugliesi. Da questo processo di disidratazione, che non prevede agenti inquinanti e si svolge nel totale rispetto del ciclo vitale della pianta, nasce un materiale unico dove le texture naturali della fibra riprendono vita in un occhiale, “rendendolo non solo un accessorio di impatto visivo esclusivo perché mai utilizzato prima d’ora per realizzare occhiali, ma anche un oggetto dal design ricercato e sorprendentemente naturale”, spiega Ferilli sul suo sito. La collezione si compone di 120 occhiali suddivisi in tre modelli: San Gregorio, Otranto e Porto Miggiano, ognuno dei quali racconta una storia attraverso la colorazione della lente. Il modello San Gregorio, ad esempio, parla di tramonti ammirabili dall’omonima baia e questo viene espresso attraverso il colore blu sfumato rosso della lente. Le aste sono interamente realizzate in legno di ulivo, creando così un connubio perfetto tra due materiali rappresentativi del Salento per un occhiale 100% made in Italy. Cristiano si augura di crescere in questo campo, coinvolgere più persone e trovare sempre nuovi spunti per ideare collezioni in materiali diversi e innovativi. I.B.
IL SAHARA FOREST PROJECT Produrre cibo, acqua ed energia pulita utilizzando deserti, acqua salata, luce solare e CO2 Antonio Palumbo I primi studi per il Sahara Forest Project sono stati avviati nel 2009 e presentati in occasione del simposio mondiale per gli accordi sul clima di Copenaghen. Si tratta di un programma ambientale estremamente innovativo ed ambizioso, pensato per produrre cibo, acqua ed energia pulita utilizzando deserti, acqua salata, luce solare e CO2: tutte le tecnologie di questo futuristico progetto di agricoltura sostenibile sono state sviluppate attraverso un graduale processo di studi di bioarchitettura, modellizzazione di dati, operazioni pilota a carattere sperimentale, programmi di ricerca e sviluppo ed ingegneria. Nel deserto della Giordania, a pochi chilometri di distanza dalla città portuale di Aqaba, fa decisamente caldo. Le temperature medie sfiorano i 40 gradi e non piove quasi mai. Proprio per questo il sito è stato scelto per accogliere il Sahara Forest Project, promosso e sponsorizzato dal re Abdullah II di Giordania e dal principe di Norvegia Haakon. A sostegno dell’iniziativa si sono altresì attivati il governo norvegese, l’Unione Europea e la Max Fordham (azienda inglese specializzata in ingegneria innovativa). Il progetto è attualmente nella sua fase di pieno sviluppo. Le risorse su cui gli ingeneri della Max Fordham
hanno ragionato molto - pianificando un sistema olistico capace di sfruttare al massimo gli elementi disponibili per creare un circolo virtuoso e sostenibile - sono stati appunto il sole, il mare e la sabbia stessa. I progettisti sono partiti dall’introduzione di serre ultratecnologiche, dotate, all’interno, di postazioni per il controllo delle piante. Dopo una serie di analisi termiche svolte in situ, è stata immaginata una soluzione molto intelligente per raffreddare le colture e fornire umidità: in pratica, l’aria secca del deserto, dopo essere stata convogliata sopra cuscinetti di acqua marina che la raf-
freddano e la rendono umida, viene fatta fluire nelle serre. Per procurarsi l’acqua dolce necessaria per l’irrigazione, invece, si sfrutta soprattutto l’evaporazione e la condensazione di quella marina. Ma non solo: sul soffitto delle serre trovano posto degli impianti di raccolta dell’umidità che si forma durante la notte e che viene trasformata in acqua dolce. A livello energetico, quando il progetto sarà completo, verrà alimentato da una torre costituita da pannelli solari. Oltre a fornire energia, il calore prodotto servirà anche per riscaldare l’acqua marina, contribuendo all’ottenimento di
acqua dolce. Questo futuristico esempio di agricoltura nel deserto, per il momento, viene adoperato esclusivamente per la coltivazione dei cetrioli, che sono risultati gli ortaggi meno difficili da far prosperare. Ma il progetto prevede un ampliamento delle varietà colturali nei prossimi anni. Attualmente, nelle serre del Sahara Forest Project vengono prodotte circa 130 tonnellate di vegetali, sfruttando una superficie di circa 3 ettari. Se tutto procederà secondo il cronoprogramma immaginato, nei prossimi anni gli ettari diventeranno 200, capaci di restituire circa
34.000 tonnellate di frutta e verdura. Oltre a fornire almeno 800/1000 posti di lavoro, le “serre del deserto” potrebbero offrire un contributo alimentare importante all’interno di uno scenario geopolitico complesso e ricco di tensioni: in Yemen, ad esempio, molti abitanti sono morti di fame durante il blocco saudita conseguente alla guerra civile interna scoppiata nel 2015. Per scongiurare gravi crisi come questa e rendere il progetto “nobile” in senso più ampio, sarà necessario che il Sahara Forest Project cresca e riceva ancora sostegni e finanziamenti importanti.
“Dopo un digiuno il corpo é in grado di fare un uso migliore delle sostanze nutritive, di digerire, assorbire, trasportare e assimilare”
I BENEFICI DEL DIGIUNO DISINTOSSICANTE Fabiana Clemente L’inimitabile magia delle feste natalizie trascina con sé anche inevitabili chili in più. Dolci in abbondanza, pranzi prelibati e le famiglie riunite che inducono ad assaporare pietanze nuove. I presupposti per far oscillare l’ago della bilancia ci sono proprio tutti. Come correre ai ripari? Perché un giorno intero di digiuno farebbe bene alla nostra salute? Gli studiosi sostengono che una dieta del genere apporti numerosi benefici. Il digiuno è un momento di completo riposo, dall’attività fisica, mentale ed emozionale. È un momento di pausa per l’intero organismo, in cui il corpo ha modo di rigenerare e riparare. Dopo un digiuno il corpo é in grado di fare un uso migliore delle sostanze nutritive, di digerire, assorbire, trasportare e assimilare. Gli esperti lo definiscono digiuno di ma-
nutenzione. Niente assunzione di alimenti, niente fatica per fegato e reni. Funzionale anche se si hanno delle patologie – nello specifico cancri, tumori o noduli - un digiuno di 10-20 giorni è indicato e si considera come digiuno terapeutico. Durante il primo giorno le risorse di zucchero nel sangue e di glicogeno si esauriscono e aumenta di conseguenza stanchezza e affaticamento. Dal secondo giorno il corpo si converte ad uno stato di chetosi, ossia comincia ad ottenere la sua energia - che solitamente deriva dal glucosio - dalle riserve di grasso. Per questo una serie di digiuni ben pianificati possono aiutare alcune persone nel controllo del peso. Quando anche le riserve di grasso sono esaurite, il corpo inizierà ad utilizzare le riserve di proteine – che a livello cellulare degli enzimi aiutano a distruggere e digerire gli accrescimenti anomali.
Questi accrescimenti provengono da depositi di grasso, tessuti di cicatrici interiori, tumori, cellule cancerogene, verruche, cisti, noduli. Il digiuno è la via più efficace nell’eliminazione delle tossine, più di ogni altra dieta depurativa. Molti gruppi di ricerca hanno esaltato gli effetti benefici del digiuno. Un team di scienziati italo-americani diretti da Valter Longo, direttore dell’Istituto di Longevità della University of Southern California e responsabile del programma di ricerca “Oncologia & Longevità” all’IFOM ha dimostrato come la periodica privazione strategica di alcuni nutrienti svolga una funzione anti-cancerogena. Lo studio pilota, effettuato su 19 soggetti relativamente sani, ha dimostrato che le ricerche condotte nei modelli sperimentali sono effettivamente applicabili. La dieta, somministrata una volta al mese per cinque giorni, ha ridotto i fattori di
rischio e i biomarcatori di invecchiamento, diabete, malattie cardiovascolari e cancro. Per i soggetti obesi o le persone a rischio elevato invece la dieta potrebbe essere consigliata dal medico fino ad una volta ogni due settimane. La cosiddetta “dieta della longevità” dovrebbe essere rispettata per 5 giorni e in realtà non è un vero e proprio digiuno. Questa dieta infatti prevede un basso contenuto proteico con la seguente restrizione calorica. Il primo giorno si devono assumere circa 1000 calorie di cui 34% di carboidrati, 56% di grassi e 10% di proteine. Nei successivi 4 giorni le calorie si riducono ulteriormente fino a raggiungere le 750, suddivisi in 47% carboidrati, 44% grassi e 9% proteine. Una soluzione per aiutare le cellule del nostro corpo a rigenerarsi e proteggere il corpo da malattie croniche legate all’invecchiamento.
Secondo i ricercatori dell’Università dei Paesi Baschi alcuni oli generano composti nocivi
Aldeidi: sostanze tossiche rilasciate dall’olio di frittura A seconda del tipo di olio utilizzato per cucinare - utilizzato per friggere e per altri molteplici usi - potremmo esporci ad alti livelli di aldeidi tossiche, sostanze chimiche che causano malattie neurodegenerative e cancro. I ricercatori della Università dei Paesi Baschi in Spagna hanno scoperto che alcuni oli, tra cui oli di soia e di girasole, generano alti livelli di aldeidi. Tossiche quando vengono riscaldati. L’acroleina è un contaminante fortemente inquinante e nocivo per l'uomo. Costituisce il 5% delle aldeidi atmosferiche e più della formaldeide, rappresenta la molecola più pericolosa. Anche a basse concentrazioni, provoca infiammazioni alle mucose congiuntive degli occhi ed alle
mucose delle vie aeree. L’esposizione continuativa all’acroleina determina il peggioramento dell’irritazione mucosa, la riduzione della frequenza respiratoria, la bronco costrizione e squilibri enzimatici riconducibili a sofferenza epatica. Una ricerca del 2008 svolta da Lupoping et al. ha dimostrato che la
formaldeide e l’acroleina risultano molecole potenzialmente cancerogene sia per la mucosa nasale che per quella esofagea, oltre ad essere probabilmente responsabile di leucocemie. L'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro – AIRC - ha classificato queste molecole come “Nocive per l’esposizione profes-
sionale”. Gli alimenti ad elevato contenuto di acroleina sono soprattutto quelli fritti. Ricerche ventennali sostengono che quando sono scaldati gli oli di mais, girasole, palma e soia rilasciano aldeidi, composti chimici che sono stati associati a varie forme di cancro e a malattie neurodegenerative come l'Alzheimer. I colpevoli sarebbero i grassi polisaturi di cui questi condimenti sono ricchi. Secondo Martin Grootveld, professore di chimica bioanalitica alla De Montfort University di Leicester, un piatto di cibo fritto in olio di semi contiene dalle 100 alle 200 volte più aldeidi della dose giornaliera raccomandata dall'Oms. Diversamente usare burro, strutto o olio di oliva ridurrebbe la produzione di queste sostanze
chimiche nocive per la salute, con l'olio di cocco che sembra essere il migliore di tutti. Ergo, gli oli di semi sono correlati con malattie cardiache, cancro, infiammazioni, ipertensione e problemi mentali. Per contro, una dieta ricca di olio di oliva ha effetti benefici sulla nostra salute. Gli acidi grassi omega 6 presenti negli oli vegetali depotenziano l'effetto degli omega 3, importanti soprattutto per la salute mentale. La carenza di omega 3 è un fattore importante nel crescente numero di disturbi mentali e in problemi come la dislessia. A conferma del fatto che l’alimento principale della dieta mediterranea – l’olio d’oliva – risulta il condimento più salubre sia per pietanze cotte sia per quelle crude.
Grandi Napoletani, grandi Campani
Enrico Caruso, il più grande tenore di tutti i tempi Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza La nostra terra è stata segnata, da circa tremila anni, da uomini e donne che l’hanno resa grande. Storia, teatro, pittura, scultura, musica, architettura, letteratura… I settori nei quali Napoletani e Campani sono diventati famosi e hanno rese famose Napoli e la Campania sono numerosissimi. Continuiamo il nostro piccolo viaggio tra Napoletani e Campani famosi. Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 –Napoli, 2 agosto 1921) è stato uno dei tenori più famosi e apprezzati del mondo. Caruso era nato a Napoli, nel quartiere di San Carlo all'Arena, in quella che ancora oggi è conosciuta come "San Giovanniello" (via Santi Giovanni e Paolo). I genitori originari dell'attuale Piedimonte (il padre era operaio, la madre era una donna delle pulizie). Frequentò una scuola serale e, oltre a cantare nel coro della chiesa, iniziò a partecipare ad alcuni spettacoli teatrali. La sua voce nel frattempo era diventata più robusta e le piccole rappresentazioni cominciarono a non bastargli più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missiano, sentendolo cantare ad un funerale, nella chiesa di Sant'Anna alle
Paludi (zona-ferrovia a Napoli) una messa di Saverio Mercadante, si entusiasmò a tal punto che lo presentò al maestro Guglielmo Vergine, il quale accettò di dargli lezioni per migliorare la voce, ma pretese da lui il 25% dei suoi compensi con un contratto che sarebbe durato cinque anni. L'esordio ebbe luogo il 16 novembre 1894 con una parte ne L'amico Francesco di Domenico Morelli (80 lire per quattro rappresentazioni diventate due a per lo scarso afflusso di pubblico e nonostante una buona cri-
tica). Iniziò poi ad esibirsi nei teatri di Caserta e Salerno e fece la sua prima esibizione all'estero in Egitto. Nel 1897, a Salerno, conobbe il direttore d'orchestra Vincenzo Lombardi che gli propose di accompagnarlo nella stagione estiva a Livorno. Qui Caruso conobbe il soprano Ada Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino. Con lei ebbe una relazione che durò undici anni (e nasceranno i figli Rodolfo ed Enrico junior) con un finale amaro (Ada lo lasciò: "quelli che non hanno provato mai niente non possono can-
tare e io ho sofferto molto nella mia vita"). Nel 1898 esordì al Teatro Lirico di Milano nel ruolo di Loris in Fedora di Umberto Giordano; seguirono poi tournée in Russia, a Montecarlo, in Portogallo, in Argentina e in Inghilterra (a Londra interpretò il Rigoletto di Giuseppe Verdi). Nel novembre 1899, al Teatro Costanzi di Roma interpretò Osaka nella ripresa di Iris di Pietro Mascagni, Enzo nella ripresa di La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Nel 1900, sotto la direzione di Arturo Toscanini, cantò alla
Scala, in occasione della ripresa di La Bohème, serata inaugurale della stagione lirica. Nel 1901 fu a Napoli, al Teatro San Carlo (compenso di 3000 lire a recita). In tanti raccontano che durante l'interpretazione de L'elisir d'amore abbia avuto la sua più grande delusione con una interpretazione non ineccepibile (avrebbe fatto prevalere l'emozione di cantare nella sua città). Non resse alle critiche e attirò quella famosa forma di auto-esilio che caratterizzò tutta la sua carriera. Resta, però, il mistero per gli applausi scroscianti ed numerose richieste di bis e per molte ed esaltanti critiche (con l'eccezione, forse, del Pungolo che lo invitava a scegliere un repertorio degno del suo canto). Fu ancora alla Scala con le opere di Mascagni e a Bologna con Giuseppe Verdi oltre che di nuovo a Montecarlo con Puccini. È del 1902 una svolta importante per il suo destino ma anche per la storia della musica: a Milano Caruso incise dieci dischi con arie d'opera per conto della casa discografica inglese "Gramophone e Typewriter Company". Fu il primo cantante a mettersi alla prova e con grande successo nella nuova tecnologia (fino ad allora snobbata dagli altri cantanti). segue a pag.15
segue da pagina 14 Fu il primo artista nella storia a vendere più di un milione di dischi con l'aria Vesti la giubba dall'opera Pagliacci, incisa negli Stati Uniti nel 1904. Il singolo della Victrola nella versione di Caruso venne premiato con il "Grammy Hall of Fame Award". Nel 1903 ottenne il primo importante contratto negli Stati Uniti, a New York, press Teatro il Teatr Metropolitan (il suo debutto avvenne il 23 novembre con il duca di Mantova nella ripresa di Rigoletto: il pubblico gli chiese di bissare La donna è mobile). Sempre nel 1903 al Metropolitan Opera House fu Radamès in Aida, Cavaradossi in Tosca (bissando E lucevan le stelle), Rodolfo ne La bohème, Canio in Pagliacci (bissando Vesti la giubba) e Alfredo ne La traviata. Nel gennaio 1904 interpretò Edgardo ne Lucia di Lammermoor e Nemorino ne L'elisir d'amore. Sempre al Metropolitan nel 1905 in novembre fu Fernando ne La Favorita; in dicembre Elvino ne La sonnambula; nel 1906 in gennaio Faust nell'opera omonima; in febbraio Lionel in Martha, bissando M'appari e Don José in Carmen; in dicembre il Conte Loris Ipanov in Fedora, sempre con Lina Cavalieri: visto l'entusiasmo del pubblico al termine del II atto, Enrico Caruso e Lina Cavalieri ne bissarono la scena finale. Nacque in quegli anni il mito di Enrico Caruso: lui stesso
commissionò a Tiffany la produzione di una medaglia in oro 24 carati col suo profilo, per ricordo delle sue recite al Metropolitan di New York distribuendole tra i suoi amici e i suoi fans più accaniti. I guadagni erano enormi ma enorme fu anche la sua generosità (poteva cantare anche gratis per allietare gli emigranti, suoi conterranei napoletani/italiani). Durante il suo interminabile tour, nel 1909 Caruso incise una serie di ventidue canzoni napoletane (tra le altre anche Core 'ngrato, scritta da Riccardo Cordiferro e da Salvatore Cardillo e ispirata alle sue vicende sentimentali dopo l'abbandono da parte della Giachetti). Nello stesso anno venne operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la sua carriera, tanto da consentirgli di continuare le sue tournée per il mondo, senza trascurare recite per beneficenza durante il periodo della guerra. Al Wiener Staatsoper nel 1912 fu Gustaf III in Un ballo in maschera, e Mario Cavaradossi in Tosca; nel 1913, Des Grieux in Manon diretto da Toscanini; nel 1914, Julien nell'opera omonima di Gustave Charpentier; e nel 1915Samson in Samson et Dalila. Nel 1915, in marzo, interpretò Arturo Buklaw nella ripresa di Lucia di Lammermoor alla Salle Garnier del Théâtre du Casino di Montecarlo; in aprile, Canio nella ripresa di PagliacciRuggero
Leoncavallo; nel 1916, Nadir in Les pêcheurs de perles al Metropolitan; nel 1918, Flammen in Lodoletta, Jean of Leyden ne Le prophète con Claudia Muzio, Avito ne L'amore dei tre re ancora con la Muzio, e Don Alvaro ne La forza del destino con Rosa Ponselle. Nel 1918 sposò la statunitense Dorothy Benjamin (da lei ebbe la figlia Gloria). Fopo una lunghissima tournée in Nordamerica, nel 1920, la salute iniziò a peggiorare forse in conseguenza di un incidente in scena (crollò una colonna di scena colpendolo ad un fianco). Ripreso suoi spettacoli con le consuete centinaia di repliche ma dovette essere operato ad un polmone. Trascorse la sua conva-
lescenza a Sorrento e fu visitato anche dal famoso Giuseppe Moscati, medico e (di recente) santo ma solo quando ormai non c'erano speranze. Quel soggiorno in costiera ispirò il grande Lucio Dalla nella composizione della sua famosa canzone "Caruso". Trasportato da Sorrento a Napoli, vi morì il 2 agosto 1921 all'età di 48 anni. È sepolto a Napoli, in una cappella privata a pochi metri dalla tomba di Antonio de Curtis (Totò) nell'area monumentale del cimitero di Santa Maria del Pianto in via Nuova del Campo (area da anni trascurata). Caruso interpretò due film come protagonista: My Cousin e The Splendid Romance. Questo contribuì ad accre-
scere la sua fama planetaria frutto del dono naturale di quella voce ma anche del suo lavoro costante. Da intelligente autodidatta arrivò a sviluppare una personale tecnica vocale (l'intero torace – a un tempo mantice e organo – vibrava amplificando i suoni). In questo modo corresse tutti i principali difetti dei primi anni di carriera (utilizzò il naturale colore scuro della voce come perno delle sue interpretazioni). Così riuscì anche a superare le "leziosità" dei cantanti ottocenteschi (anche di scuola napoletana) con una personalità che lo rese consapevole dei mezzi a disposizione del suo canto e dei mezzi per farlo conoscere e apprezzare ieri come oggi.
WIKADO PLAYGROUND: L’INNOVATIVO PARCO OLANDESE Le turbine eoliche in disuso si trasformano in un’area gioco per bambini Ilaria Buonfanti Il mondo delle rinnovabili è in continua evoluzione, per questo molto spesso capita che le turbine eoliche vengano continuamente modernizzate. Cosa farne di quelle in disuso? Trasformarle in arredo urbano. A Rotterdam, l’amministrazione comunale ha deciso di mettere fine al triste scenario che vedeva finire in discarica le turbine eoliche in disuso. I materiali pur essendo forti e leggeri allo stesso tempo, sono quasi impossibili da riciclare. Secondo una stima, 500 tonnellate rischiano di finire tra i rifiuti entro il 2020, e oltre 200mila nel 2034. Per questo, risulta quanto mai necessario reinventarsi un modo innovativo per riciclarli.
Un esempio arriva dai Paesi Bassi che sono in testa al cambiamento. Ciò che prima serviva a catturare il vento e trasformalo in energia appare oggi sotto forma strutture adibite all’esclusivo divertimento dei bambini. Il progetto realizzato dallo studio 2012 Architecten, oggi Superuse Studios, ha riqualificato 1200 metri quadrati di spazio abbandonato a Rotterdam. Le pale eoliche e i rottami sono stati modellati e tagliati in funzione del gioco diventando scivoli, percorsi ad ostacoli, ponti, torri e un labirinto tunnel. Nel Wikado Playground anche le comuni giostre e gli arredi come le altalene, le panchine o i tavoli, sono stati realizzati con materiale di recupero. Tutto è stato realizzato riadattando elementi dimessi secondo le norme di sicurezza e a mi-
sura di bambino. Nella piazza pubblica di Willemsplein, inoltre nove pale sono invece panchine ergonomiche dove rilassarsi in pausa pranzo. E ci sono tanti altri esempi, secondo il consorzio di innovazione GenVind, facendo così la regione potrebbe sbarazzarsi di oltre 400 pale l’anno. La vita delle turbine eoliche è dignitosa fin dalla nascita. Certo, ci vorrà energia per produrre quei grossi giganti ma nell’arco della loro esistenza riescono benissimo a ripagare l’investimento in termini sia economici che di CO2. Una pala eolica passa la sua vita a produrre energia pulita e la conclude in Olanda in un meraviglioso parco giochi, diventando la principale attrazione per i piccoli della città di Rotterdam ma anche per
turisti e curiosi che vogliono osservare le pale eoliche disassemblate e rielaborate per intrattenere i bambini. Comunque, un team di scienziati dell’Università di Aarhus in Danimarca sta cercando di sviluppare una sostanza chimica che renderà possibile separare i materiali compositi, che è il principale problema che ostacola il riciclo. L’obiettivo è quello di creare un solvente che può separare il vetro dalle fibre di plastica in modo che ciascuno di essi può essere riciclato individualmente. Un altro team di ricercatori della Washington State University ha poi scoperto che le pale delle turbine, se tagliate in piccoli pezzi possono essere trasformate in nuovi materiali, utili quanto il legno.
Mobilità green e progetti europei
A VILLASIMIUS LA PRIMA PISTA CICLABILE SOLARE D’ITALIA Alessia Esposito Dopo Amsterdam, anche Villasimius, in Sardegna, si appresta a dotarsi di una pista ciclabile a energia solare che produca energia pulita da utilizzare in prossimità del tracciato. Prima al mondo fu la capitale olandese che lanciò SolaRoad nel 2014: con 70 metri di pista si fornisce energia per tre case. Oggi Villasimius diventa la prima realtà italiana a proporre un progetto simile. La pista sarda sarà lunga circa quattro chilometri e si svilupperà tra il centro e il porto turistico; si tratterà di una struttura rivestita da pannelli fotovoltaici ricoperti da una lastra di vetro antiscivolo e integrati in un
supporto di acciaio sollevata e ancorata a terra. “Il progetto, sviluppato in collaborazione con l’Università di Cagliari, fa parte del programma Stratus (Strategie ambientali per un turismo sostenibile) e sarà finanziato grazie a fondi comunitari e a una campagna di crowdfunding che coinvolgerà cittadini, aziende e istituzioni e sarà realizzato da un soggetto scelto tramite una manifestazione d’interesse”. Dichiara il responsabile del progetto Fabrizio Atzori, che è anche direttore dell'Area Marina Protetta Capo Carbonara: "L'aspetto più interessante di questa iniziativa è proprio il duplice vantaggio pubblico e privato: la riduzione dell'inquinamento
e dei costi energetici per i cittadini. Una pista ciclabile solare può produrre energia sufficiente per soddisfare le esigenze di una struttura alberghiera di medie e grandi dimensioni". La produzione di energia da fonti rinnovabili come i pannelli solari sarà un elemento che contribuirà al raggiungimento degli obiettivi ambientali green del comune, alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e comporterà un risparmio energetico, oltre ad essere elemento di attrattività per il territorio. Afferma il sindaco Gianluca Dessì: "Le piste ciclabili devono essere viste anche come un'opportunità in termini di abbellimento e arricchimento del territorio, basti pensare al
bellissimo progetto di ciclabile a sbalzo sull'acqua del lago di Garda". Un ulteriore step green per Villasimius, inserita, per l’anno 2018, nella top 100 delle destinazioni che offrono un turismo sostenibile con il merito di aver soddisfatto i criteri riconosciuti a livello mondiale dallo standard “Green Destinations”. I vincitori saranno premiati durante l'International Tourismus-Borse (ITB) Earth Award il 6 marzo
2019 all'ITB Berlin, la fiera mondiale leader dei viaggi. Commenta Patrizia Modica, coordinatrice del corso di laurea in Management e Monitoraggio del Turismo Sostenibile e responsabile dell’Università di Cagliari per i progetti legati alla sostenibilità: “Villasimius e l’Area Marina Protetta giocano un ruolo di rilievo per contribuire al raggiungimento dei goal di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.
Se invece di accenderli i termosifoni li indossassimo? Arrivano le ultime innovazioni made in Usa per il riscaldamento invernale Cristina Abbrunzo Le feste sono ormai passate. L’ umore post ferie non è al massimo, la pesantezza da chiletti di troppo si fa sentire, ma è soprattutto questo freddo glaciale, che negli ultimi inverni ha investito anche la nostra penisola, a farci desiderare un letargo salvifico che ci costringa a restare a casa sotto le coperte. Tante le ricerche condotte da ricercatori e meteorologi di tutto il mondo che rivelano che stiamo andando incontro ad inverni sempre più gelidi e lunghi. La colpa, stando agli studi, starebbe quasi paradossalmente proprio nel riscaldamento globale. Sì, perché proprio a causa dell’aumento delle temperature globali, si sta assistendo sempre più alla fusione e riduzione dei ghiacci nell’Artico. Fenomeno che, a quanto pare, è strettamente correlato con la vitalità del cosiddetto vortice polare che, essendo meno compatto, spinge aria artica verso sud fino anche ad arrivare a basse latitudini. E quindi come fare a difenderci dal gelo senza rischiare di consumare troppo? Sapevate che il 47% dell'energia globale viene spesa per il riscaldamento indoor? E che il
42% di questa energia viene utilizzata per riscaldare gli spazi piuttosto che le persone? La soluzione della crisi energetica globale - un contributore importante a riscaldamento globale - richiederebbe una forte riduzione dell'energia per il riscaldamento degli interni. E se invece di accenderli i termosifoni li indossassimo? Sembra un’immagine alquanto buffa e una battuta simpatica, ma invece si tratta di realtà. Anzi di scienza. I ri-
cercatori della Rutgers University e della Oregon State University sostengono la necessità di ridurre il consumo energetico come primo passo per la crisi globale. Come? Grazie ad una nuova ed economica tecnologia, ovvero toppe riscaldanti da applicare direttamente sui vestiti, risparmiando su termosifoni e stufe. Si tratta di patch riscaldanti piccoli, sottili e flessibili che mostrano prestazioni del 70% superiori a qualsiasi tecnolo-
gia simile realizzata finora. Il principio che inseguono è semplice: fornire calore direttamente al corpo, anziché all’ambiente, ovvero puntare alla riduzione dei fabbisogni di riscaldamento degli edifici concentrandosi sul calore corporeo in base alle esigenze individuali. Per concretizzare questo approccio i ricercatori hanno creato un’unità a basso profilo basata sull’effetto Joule, che può essere pre-cucita come toppa sui vestiti e
E per quando arriverà il caldo? Ecco l’abbigliamento che ti raffredda, utilissimo in estate Partendo dallo stesso principio delle toppe termiche riscaldanti, ovvero fornire calore direttamente al corpo anziché all’ambiente, puntando alla riduzione dei fabbisogni di riscaldamento degli edifici e concentrandosi sul calore corporeo, altri ricercatori americani, stavolta dell’Università di Standford, si sono posti il problema inverso, cioè mettere a punto il primo materiale in grado di rinfrescare la pelle per quando invece arriveranno calore e afa nei mesi estivi. Questo rivoluzionario materiale, che sarà messo in commercio nel prossimo futuro ed è stato presentato sulle pagine di Science, lascia traspirare il sudore e i liquidi attraverso la pelle, un po’ come fanno i
tessuti sportivi, ma la vera novità sta nel meccanismo che consente al calore di filtrare e disperdersi completamente verso l’esterno. Il risultato è incredibile: la pelle viene riscaldata appena 0,8 °C, contro i 3,5 di un normale tessuto leggero in cotone.Il tessuto plastico ribattezzato “nanoPe” è un comune poli-
mero, il polietilene, il principale costituente di molte plastiche. Per renderlo funzionale alle esigenze tessili, c’è stato bisogno della competenza incrociata di esperti di ingegneria, nanotecnologie, fotonica e chimica. Innanzitutto è stato selezionato un tipo di polietilene utilizzato nelle batterie, per garantire la permeabilità alle onde infrarosse. Poi sono state apportate una serie di modificazioni chimiche per rendere il tessuto opaco alle radiazioni solari e per permettere ai nanopori di lasciar passare ed evaporare le molecole d’acqua. Il tessuto definitivo è dunque costituito da tre strati: i due esterni in polietilene e quelli centrale da semplice cotone. Infatti la funzione dei vestiti è
principalmente quella di proteggere il corpo e coadiuvare i fisiologici processi di omeostasi termica, perciò qualunque fibra non deve dissipare totalmente il calore ma trattenerne una parte. I test effettuati dimostrano che il materiale ottenuto rende la pelle più fresca di circa 2 gradi. La progettazione e lo sviluppo di questi tessuti intelligenti, che siano utili a proteggerci dal gelo o dall’afa, riscaldanti o rinfrescanti, rappresentano senz’altro una grande risorsa per il futuro. Quello degli sprechi energetici è un argomento molto attuale e c’è bisogno di trovare vie per garantirci il benessere ma senza sfruttare l’ambiente. C.A.
alimentata da una semplice pila a bottone. Piccoli fasci di luce pulsata per unire fili d'argento al poliestere: una sorta di borsa dell'acqua calda che dà calore immediato grazie ad un materiale dal costo ridotto. Il lavoro condotto dai ricercatori si è concentrato proprio su questo processo ad hoc per la fabbricazione di nanofili d’argento, componente chiave dei patch. Il processo in questione utilizza intensi impulsi di luce per fondere minuscoli fili d’argento con il poliestere della toppa in appena 300 milionesimi di secondo. Efficienza ed economicità insomma: tali toppe possono infatti stare sia su maglioni che su qualsiasi tipo di indumento e, grazie ad una minuscola batteria e alla possibilità di caricarla, garantiscono performance nettamente superiori rispetto ad altre attualmente disponibili. A livello estetico inoltre sembrano comuni toppe, resistenti a lavaggi e umidità, personalizzabili nei disegni senza modificare il risultato finale. Le fasi successive della ricerca includono la verifica della possibilità di utilizzare questo metodo per creare altri tessuti intelligenti, inclusi sensori e circuiti basati su questi patch. Gli ingegneri vogliono anche determinare quanti di questi elementi sarebbero necessari per garantire il comfort termico personale ideale. Insomma, un mondo diverso comincia da un approccio alle cose diverso.
Richiesta di accesso agli atti da parte del consigliere comunale È giusto il diniego per le attività istruttorie della Corte dei Conti Felicia De Capua Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V del 02/01/2019 n. 12, affronta nuovamente il caso di una domanda di accesso agli atti da parte di un consigliere comunale. Il Collegio ribadisce che la finalizzazione dell’accesso ai documenti in relazione all’espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere (ex plurimis Cons. Stato, V, 26 settembre 2000, n. 5109). Il diritto di accesso di cui trattasi riguarda, secondo il regolamento comunale, esclusivamente gli “atti, anche interni, formati dall’amministrazione o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”. In realtà la richiesta dell’appellante non aveva ad oggetto gli atti interni dell’amministrazione comunale, bensì la documentazione relativa ad un procedimento istruttorio aperto dalla magistratura contabile, ancorché tale inda-
gine fosse collegata ad una determinata attività dell’Ente territoriale. Il Collegio conferma, con la sentenza in esame, la conclusione del primo giudice, secondo la quale al caso in specie doveva applicarsi la disciplina generale sull’accesso agli atti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241. Di conseguenza, in consi-
derazione dell’art. 24, comma 1, gli atti in esame dovevano rimanere riservati, non avendo l’istante addotto alcuna esigenza di difendere i propri interessi giuridici, in forza del comma 7 dello stesso articolo. La fattispecie in questione, dunque, fuoriesce dal perimetro di applicazione del regolamento comunale e, più
in generale, dell’art. 43 del Testo Unico Enti Locali, con l’effetto che le eccezionali prerogative riconosciute da tale norma ai consiglieri comunali devono considerarsi inapplicabili, tanto più a fronte di previsioni di legge che prevedono, invece, un regime speciale di segretezza o riservatezza, nell’interesse generale o di
terzi. Tant’è che le disposizioni del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice della giustizia contabile) disciplinano, nell’ambito delle attività di indagine della Procura contabile, le ipotesi di accesso al fascicolo istruttorio (art. 71), la riservatezza della fase istrut- toria (art. 57) e le comunicazioni dell’archiviazione dei procedimenti istruttori (art. 69). Il diritto di visionare e di estrarre copia di tutti documenti inseriti nel fascicolo istruttorio depositato presso la segreteria della procura regionale, è riconosciuto, previa presentazione di domanda scritta, al solo destinatario dell’invito a dedurre, fatta salva comunque la tutela della riservatezza, relativa all’obbligo di segretezza delle generalità del pubblico dipendente denunziante (articolo 52, comma 1). Del resto, viene precisato, lo stesso provvedimento di archiviazione viene inoltrato solamente a chi abbia assunto formalmente la veste di “invitato a dedurre” (art. 69, comma 4, del citato Codice), dovendo in linea di principio rimanere ignoto ai terzi.
Viaggio nelle leggi ambientali ARIA. GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE La stessa relazione illustrativa della legge n. 21 del 25.02.2016 di conversione del D.L. 210/2015 precisa che la legge in questione interviene accordando le deroghe in un periodo transitorio comunque non superiore ad un anno. Pertanto, salva la possibilità di ottenimento della deroga di cui al comma 3 ter, deroga valevole fino al 01.01.2017, per il periodo successivo riprende vigore l’art. 273, comma 3, norma a carattere cogente e prescrittivo, il quale prevede che “Ai grandi impianti di combustione anteriori al 2013 i pertinenti valori limite di emissione di cui alla Parte II, sezioni da 1 a 6, dell'Allegato II alla Parte
provvedimenti oggetto di separata impugnativa in sede giurisdizionale. TAR Sardegna Sez. II n. 1002 del 3 dicembre 2018.
Quinta si applicano a partire dal 1 gennaio 2016”. Ciò sta a significare che a decorrere dal 1.01.2016 (termine come detto prorogato al 1°.01.2017 dall’art. 8, comma 2, D.L. 210/2015, convertito in L. n.
21 del 25.02.2016) i limiti emissivi dovranno essere obbligatoriamente ricondotti ai livelli previsti dalle BAT di settore, come già richiesto alla società ricorrente - che ha omesso di adeguarsi - con i
ACQUE REFLUE In materia di acque, la nozione di acque reflue industriali (come definita dal D.L.vo 152/2006, art. 74, comma 1, lett. h) comprende tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, quindi tutti i reflui che non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche, cioè non collegati alla presenza umana, alla coabitazione ed alla convivenza di persone, e che non si configurano come acque meteoriche di dilavamento, intendendosi
come tali quelle piovane, anche se venute in contatto con sostanze o con materiali. Pertanto, sono da considerare scarichi industriali, oltre ai reflui provenienti da attività di produzione industriale vera e propria, anche quelli provenienti da insediamenti ove si svolgono attività artigianali e di prestazioni di servizi, quando le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche. Di conseguenza, rientrano nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti e scaricate dalle operazioni di lavaggio di capannoni adibiti in forma stabile ad allevamento di animali. Cassazione Penale Sezione III, Sentenza n. 51006 A.T. del 09/11/2018.
RESPONSABILMENTE “RISPARMIATORI” PER ESSERE “RESPONSABILI” SOCIALMENTE Andrea Tafuro È possibile, nel mondo del capitalismo fuori controllo, avere un ritorno finanziario e nello stesso tempo originare, un efficace e duraturo, impatto socioambientale dagli investimenti? Generare tale effetto positivo, è il principio alla base dell’ impact investing, una strategia di investimento sostenibile e responsabile (o SRI) che si sta diffondendo sempre più nel corso degli ultimi anni. Confermano questa crescita i dati raccolti dal Global Impact Investing Network (GIIN) l’organizzazione internazionale di riferimento per l’impact investing, nell’ultimo rapporto: Annual Impact Investor Survey 2018, basandosi sulle risposte di 229 investitori: gestori di fondi, banche e fondazioni, il 47% in USA e Canada e il 30% in Europa occidentale. Nell’insieme, i rispondenti hanno destinato $228 miliardi di asset in investimenti a impatto socio-ambientale. Nello scorso
anno hanno investito $35,5 miliardi, per un totale di 11136 operazioni, di contro gli 82 soggetti che hanno partecipato all’indagine anche nel 2013 hanno registrato un aumento dei volumi del 27% rispetto a 5 anni fa. Secondo il Rapporto i principali settori d’intervento sono stati: servizi finanziari (19%), energia (14%) e microfinanza (9%). Inoltre è da sottolineare che, dal punto di vista geografico gli investimenti si sono concentrati in USA e Canada (20%), in America Latina e Caraibi (16%) e in Africa Subsahariana (12%). La Commissione Europea, attenta alle dinamiche finanziarie, ha pubblicato lo scorso anno, il Piano d’Azione sulla finanza sostenibile, dove illustra le misure che intende adottare per orientare il mercato dei capitali verso un modello di sviluppo sostenibile, inclusivo e in linea con gli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima e in linea con le raccomandazioni dell’High-
Level Expert Group on Sustainable Finance. Le misure introdotte dalla Commissione puntano a: orientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili; gestire in modo più efficace i rischi finanziari che derivano dal cambiamento climatico, dal consumo di risorse, dal degrado ambientale e dalle disuguaglianze sociali; migliorare la trasparenza e incoraggiare un approccio di lungo periodo delle attività economico-finanziarie. Altro importante contributo per uno sviluppo sostenibile dei mercati finanziari viene dall’ Eurosif – European Sustainable Investment Forum, organizzazione europea la cui missione è la promozione dello sviluppo sostenibile attraverso i mercati finanziari. Eurosif lavora in collaborazione con i Sustainable Investment Forum (SIF) nazionali, che comprende oltre 500 organizzazioni europee attive nel settore degli investimenti sostenibili. Eurosif è anche membro fondatore della Global Sustainable Investment Alliance, la coalizione dei più grandi SIF su scala mondiale. Le principali attività di Eurosif rientrano negli ambiti: policy pubbliche, ricerca e creazione di piattaforme per promuovere best practice in ambito SRI. L’Eurosif, identifica sette principali strategie per selezionare i destinatari del finanziamento: Esclusione di settori o attività controverse. Dai possibili destinatari dell’investimento sono esclusi, totalmente o sulla base di una soglia mas-
sima di ricavi realizzati da operazioni controverse, gli emittenti coinvolti in attività ritenute dannose per la società, come la produzione di alcol, tabacco, armi, coinvolgimento nel gioco d’azzardo e pornografia, o per l’ambiente, come la produzione di organismi geneticamente modificati, l’energia fossile e nucleare. Rispetto di norme e standard internazionali. Vengono esclusi dai possibili investimenti gli emittenti (imprese e Stati) accusati da fonti autorevoli di gravi violazioni di norme internazionali legate a temi ambientali, sociali e di governo (Environment Society Governance – Esg). Selezione Best-in-Class Esg. Un voto Esg, attribuito agli emittenti (imprese o Stati), ne riassume l’esposizione a rischi di natura ambientale, sociale e di governo e la capacità di gestirli in modo tempestivo ed efficace. Investimenti tematici. Gli investimenti vengono indirizzati verso aree o attività legate allo sviluppo della sostenibilità. Integrazione. Questa strategia prevede che i gestori del risparmio, svolgano un’analisi esplicita, sistemica e costante degli emittenti secondo le variabili Esg. Engagement. Questa strategia prevede che l’investitore crei e sviluppi un rapporto strutturato, costante e di lungo periodo con il management delle imprese oggetto di investimento al fine di portare all’attenzione eventuali fattori di rischio Esg e spronarla nel migliorare il profilo socio-ambien-
tale. Impact investing. Questa strategia prevede l’investimento in imprese, organizzazioni o fondi ideati con l’obiettivo principale di realizzare un impatto ambientale e/o sociale positivo e il vincolo di ricercare un ritorno finanziario sostenibile, tendenzialmente almeno superiore all’inflazione. Nel contempo si cerca di tracciare un profilo del risparmiatore responsabile italiano, l’ultima indagine pubblicata è l’aggiornamento di una ricerca svolta nel 2013 , avente l’obiettivo di analizzare come sono cambiate le attitudini dei risparmiatori e degli investitori, la loro propensione ad investire in prodotti SRI e l’importanza che attribuiscono ai temi sociali, ambientali e di governance. Lo studio si propone, inoltre, di indagare le aspettative e il grado di consapevolezza dei risparmiatori rispetto a queste tematiche, nonché i canali di comunicazione e di informazione preferenziali per i prodotti finanziari e per quelli SRI in particolare, con riferimento al ruolo della banca, dell’assicurazione e del consulente finanziario. L’indagine, infine, mira ad analizzare come si sono evoluti i criteri adottati nelle decisioni di investimento e la propensione a tenere maggiormente in considerazione gli aspetti ESG (Environmental Social and Governance) nella scelta dei prodotti finanziari. Scopri se sei un risparmiatore responsabile: https://www.youtube.com/watch?v=1KrEH5FP 3rM&feature=youtu.be
15 febbraio – 30 giugno 2019. Napoli, Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta Lo stile espressivo e colorato di Marc Chagall arriva a Napoli. La sua vita e le sue tradizioni in una grande mostra che con oltre centocinquanta opere approda dal 15 febbraio al 30 giugno 2019 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta dove sarà possibile immergersi in un suggestivo
percorso espositivo diviso in quattro sezioni con dipinti, disegni, acquerelli e incisioni. La mostra intitolata “Sogno d’amore”, curata da Dolores Durán Úcar, e prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia, racconta il mondo intriso di stupore e meraviglia del maestro russo.
Nelle sue opere sono “raccontati” ricordi d’infanzia, fiabe, poesia, religione e guerra; un universo di visioni oniriche dai colori vivaci, di sfumature intense che danno vita a paesaggi popolati da personaggi, reali o immaginari, che si affollano nella fantasia dell’artista.
INFORMAZIONI Quando: Dal 15 febbraio 2019 al 30 giugno 2019 Dove: Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta – Napoli Orari di apertura: Tutti i giorni 10.00 – 20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima) Info e prenotazioni: +39 081 1865941 Biglietti: Singoli Aperte le prenotazioni, 25% di sconto per chi acquista il biglietto entro il 15 gennaio • Intero € 11 (anziché € 14) – audioguida inclusa • Ridotto € 9 (anziché € 12) – audioguida inclusa • Bambini € 4 (anziché € 6) – audioguida inclusa Gruppi Promo primo meseper gruppi e scuole che visitano la mostra entro il 15 marzo Gruppi € 9 a persona (anziché € 10) Scuole € 4 a studente (anziché € 5) Scuole dell’infanzia € 2 ad alunno (anziché € 3)