Radon, si lavora alle linee guida con il supporto tecnico dell’Arpac EDITORIALE di Luigi Stefano Sorvino Il ruolo delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, nell'attuale fase storica, è caratterizzato dalla sempre crescente attribuzione di compiti e responsabilità sui più svariati tematismi – in corrispondenza con l'incremento dei fabbisogni di controllo e monitoraggio ambientale – pur in un difficile contesto di esercizio delle funzioni a causa della strutturale inadeguatezza delle risorse finanziarie ed umane disponibili (anche se sta aprendosi una fase di nuovo reclutamento). Ciononostante le strutture dell'Arpa Campania provano a rispondere alle nuove attività e competenze assegnate da provvedimenti legislativi ed amministrativi, di livello nazionale e regionale, con ogni possibile impegno e qualificazione, come nel caso della problematica del monitoraggio e della gestione del gas radon, ai sensi della recente legge regionale n. 13/2019 dello scorso luglio. L'emanazione di tale normativa, ancorchè sospesa da un sopravvenuto provvedimento legislativo di fine novembre (legge regionale n. 26 del 4/12/2019) – nelle more che intervengano decreti legislativi statali di recepimento della direttiva Euratom - ha richiamato in Campania l’interesse delle categorie tecniche sul tema, suscitando la necessaria attenzione degli esercenti e dei soggetti obbligati agli adempimenti previsti dalla nuova legge che richiama l’impegno operativo dell’Arpa Campania per rilevanti profili di competenza, subito
subbissata da quesiti e richieste di chiarimenti. La norma articola un apposito sistema di interventi e di prevenzione rispetto all’esposizione alla radioattività naturale derivante dal radon, che costituisce un rischio insidioso in quanto invisibile ed impercettibile, prevedendo il controllo dei livelli di concentrazione di tale gas all’interno degli edifici esistenti e di nuova costruzione, attraverso misure combinate di monitoraggio, pianificazione e risanamento. Il radon appartiene al gruppo dei “gas nobili”, inodore, incolore e radioattivo, prodotto dal decadimento del radio ed è variamente presente in tutta la crosta terrestre tra terreni e rocce, dispiegando effetti gravemente nocivi per la salute con particolare incidenza sulle patologie oncologiche polmonari. Tale gas fuoriesce continuamente dal suolo e dal sottosuolo, penetrando all’interno degli edifici, e si concentra nei luoghi chiusi caratterizzati da inadeguata areazione fino a raggiungere livelli talvolta così elevati da costituire un serio ischio sanitario, in particolare nei locali più bassi dei manufatti, soprattutto interrati e seminterrati, caraterizzati da pareti a diretto contatto con il suolo. Gli studi epidemiologici evidenziano con certezza l’incidenza cancerogena del radon sugli esseri umani, con particolare riferimento all’incremento della mortalità e dei tumori polmonari – allo stesso modo del fumo e dell’amianto – come da tempo ritenuto dalla comunità scientifica in ambito sanitario. Le possibili vie di esposizione a tale gas
sono costituite, innanzitutto e soprattutto, dal rilascio dal terreno e poi anche, in misura più ridotta, dall'impiego di determinati materiali di costruzione oltre che dall’utilizzo di acque per uso potabile, che possono veicolarlo essendo il radon un gas leggermente solubile. Il problema è certamente presente nella nostra regione perché, oltre alle cause generali, alcuni materiali tipici di costruzione, anche a causa della conformazione geo-morfologica del territorio – come quelli tufacei e di provenienza vulcanica – costituiscono sorgenti naturali di radon, anche se il loro contributo all’inquinamento dei luoghi chiusi risulta secondario rispetto al gas propagato dal sottosuolo mediante il cd. “effetto camino” (soprattutto in inverno, per la continua risalita di aria calda con conseguente pressurizzazione dell'ambiente).
Effluenti da allevamento: le strutture di stoccaggio
L’unità di misura della concentrazione di radon, secondo i sistemi di classificazione internazionale, si esprime in becquerel al metro cubo (Bq/m3), che si registra mediante metodologie e tecniche di campionamento esercitate con strumentazioni e rilevatori attivi e passivi. Le fonti normative sono euro-comunitarie, come per tutta la materia ambientale, costituite da una serie di direttive di settore Euratom, e in particolare dalla più recente 2013/59 del Consiglio 5/12/2013, che stabilisce regole fondamentali per la protezione da radiazioni ionizzanti, superando le precedenti del 1989, 1990, 1996/97 e 2003, incorporate in Italia dal decreto legislativo n. 230/1995 (in materia di radiazioni ionizzanti ma anche di sicurezza nucleare, gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività cisegue a pag.12 vili).
L’architettura sostenibile secondo Philippe Starck
Emissioni di CO2: l’obesità pesa sulla salute del Pianeta Che l’obesità sia un’acerrima nemica della nostra salute è cosa più che risaputa, ma che avesse ripercussioni anche sullo stato di benessere del nostro pianeta a questo non c’eravamo ancora arrivati. E invece risulta essere proprio così: essere appesantiti da chili di troppo equivale a produrre una maggiore quantità di emissioni di CO2 sia per via dei processi metabolici, sia per via dell’eccesso di consumo di cibo. Falco-Misso a pag. 6
Paparo a pag.10
Palumbo a pag. 13
EUROPEAN GREEN NEW DEAL: L’EUROPA DICE NO ALLE EMISSIONI di Giulia Martelli L’European Green New Deal è il piano presentato dalla neo-presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen che promette di essere il più ambizioso progetto di abbattimento delle emissioni della storia e si inquadra in un più generale ripensamento delle politiche industriali e anche commerciali dell’UE così come ricorda il nome stesso, mutuato dal provvedimento Roosveltiano del 1932. Il commissario al bilancio Johannes Hahn ha definito il piano comunitario «un gigantesco volano a favore dell'occupazione». Secondo Bruxelles, la transizione verso la neutralità climatica comporterà costi economici, cambiamenti sociali, investimenti infrastrutturali. Ruolo cruciale avrà il Just Transition Fund (in italiano: il Fondo per una transizione equa). Quest'ultimo sarà dotato di denaro fresco per 7,5 miliardi di euro, che grazie al cofinanziamento nazionale, al braccio finanziario InvestEu e alla Banca europea degli investimenti porterà il totale a 100 miliardi di euro. La distribuzione del denaro
tra i paesi membri si baserà su alcuni criteri: tra questi, la presenza di emissioni nocive, l’occupazione nei settori del carbone e della lignite, la produzione di torba o di scisti bituminosi. Alcuni fattori correttivi verranno presi in conto, come per esempio la relativa prosperità dei singoli paesi membri. «Tutti i paesi europei riceveranno un aiuto. L’allocazione dipenderà dall'intensità dei problemi ambientali», ha precisato la commissaria ai fondi di coesione Elisa Ferreira. Nei fatti, il fondo – la cui proposta sarà oggetto di un iter legislativo – dovrà servire ai paesi più inquinanti per finanziare la transizione e per renderla la più equa da un punto di vista sociale. Secondo esponenti comunitari, i paesi saranno chiamati a presentare progetti infrastrutturali. Questi dovranno essere approvati dall'esecutivo comunitario. L’Italia è in prima linea dal punto di vista della transizione climatica ed avendo raggiunto in anticipo gli obiettivi climatici al 2020 è nelle condizioni di poter meglio utilizzare le opportunità di sviluppo e crescita offerte dal Green Deal europeo che, in termini economici, ammontano a 364 milioni.
I DUBBI E LE PERPLESSITÀ Nonostante i buoni auspici il piano dell’Ue è stato oggetto di diverse perplessità. In primis, gli obiettivi che l’Unione si pone non sono in linea con quanto richiesto dalla scienza. Il piano, infatti, prevede di raggiungere la neutralità d’emissioni nel 2050. Dieci/quindici anni più tardi di quando le associazioni ambientaliste stimano debba essere il limite massimo per il nostro continente. Poi, mancano i soldi. Certo, mille miliardi sono una cifra enorme per il cittadino comune, ma dobbiamo rapportarla ai bilanci di un continente come l’Europa e le esigenze di una transizione che, per citare l’Ipcc, richiede “uno sforzo senza precedenti”. Per dare un termine di paragone, altre stime suggeriscono una cifra minima dieci volte superiore. Anche questi mille miliardi, inoltre, sono ancora tutti da verificare. Dopo i primi, entusiastici lanci di agenzia infatti, molti organi di stampa stanno iniziando a ridimensionare i numeri, suggerendo che solo una piccola parte del piano consista in fondi realmente nuovi. Lampante è poi la mancanza di obblighi per l’abbandono dei fossili e, anzi, le nazioni europee continuano a progettare nuovi gasdotti, trivellazioni, addirittura miniere di carbone. Inutile elettrificare trasporti e consumi coi fondi green, se poi quell’elettricità viene prodotta in inquinantissime centrali a carbone. Ma i problemi non finiscono qua: manca infatti qualsiasi piano concreto per la riduzione del consumo di carne, un settore responsabile secondo la Fao del 14% delle emissioni globali. Quanto i trasporti, per intenderci. (dal web)
dal web
Continua la bonifica green nella terra dei fuochi
A Bagnoli inizia la grande bonifica
Pioppi e piante di senape indiana hanno “risucchiato” i metalli pesanti Non ci sono rischi chiusura per il bosco di San Giuseppiello, l’esperimento di bonifica bio dei suoli e delle acque in piena Terra dei fuochi che la Regione Campania, attraverso una collaborazione dell’allora commissario alle Bonifiche, Mario De Biase, oggi in pensione, con un gruppo di ricerca del Dipartimento di Agraria dell’università di Napoli Federico II che faceva capo al Massimo Fagnano. Lo conferma all’Agi il professor Nunzio Romano, responsabile del Centro interdipartimentale di ricerca sull’ambiente (Ciram) dell’ateneo. Il rischio che vedesse un brusco stop una esperienza unica che ha riportato una zona un tempo discarica di fanghi delle concerie toscane illecitamente smaltiti dal clan dei casalesi a diventare oasi di verde ripopolata da istrici e lepri era ventilato da post in facebook, perché dopo il pensionamento di De Biase a fine 2019, si attendeva una nuova nomina della regione. “Le attività scientifiche vanno avanti – precisa Romano – dato che il Ciram ha sottoscritto nei mesi scorsi una convenzione con il gip di Napoli che consente di continuare quanto intrapreso 4 anni fa”. Il terreno in questione, infatti, 6 ettari a ridosso di Giugliano, in un’area che vede più a Sud anche due altre discariche, una delle quali, affidata alla
Resit, ospitò illegalmente anche i fanghi di Seveso. Il dipartimento federiciano di Agraria, grazie all’appoggio dell’allora commissario Mario De Biase, dal 2016 a San Giuseppiello, con soli 900 mila euro a fronte di costi milionari per una bonifica tradizionale, con lo scavo di terreno per almeno un metro di profondità lungo i 6 ettari e mezzo, il trasporto e lo smaltimento in un impianto specializzato del terreno estratto, ha piantato nell’area ventimila pioppi e
migliaia di piante di senape indiana, le cui radici sono state in grado di succhiare dal suolo i metalli pesanti presenti, in pre- valenza cromo trivalente, principale componente dei fanghi e materiali di scarto delle concerie. I ricercatori, inoltre, hanno anche utilizzato per concimare la terra batteri che si nutrono di idrocarburi, risolvendo un’altra problematica ambientale ed oggi, a distanza di quattro anni, la zona può dirsi completamente bonificata.
Alcune ruspe in azione per le prove di tecnologie per la bonifica, mezzi pronti per portare via cumuli di materiale contaminato ammucchiato dal 2000 sotto un capannone sventrato, la rassicurazione di Domenico Arcuri, manager di Invitalia, che «entro tre settimane aggiudichiamo l'appalto per bonificare i primi 16 ettari dall'amianto e lo faremo in un anno». Questi i primi segnali dell'avvio del processo di bonifica nell'area ex Italsider di Bagnoli, una landa morta di veleni, di cui da oggi ministero del Sud, Regione Campania, Comune di Napoli, Invitalia e struttura commissariale per Bagnoli raccolgono la sfida, con i primi 500 milioni di euro in tasca e la consapevolezza che «con Bagnoli ci giochiamo una partita politico-istituzionale sulla credibilità per le politiche del Sud che si costruisce anche qui», come spiega il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Le bonifiche dureranno fono al 2024 assicura Arcuri, ricordando che «In Italia ci sono i ricorsi per le gare pubbliche ma con le procedure d'urgenza non ferme-
remo i cantieri». Un rischio rallentamento burocratico che fa suo il commissario Francesco Floro Flores: «Alle aziende che intendono partecipare alle gare - spiega - chiedo di verificare se hanno i requisiti per gli stringenti vincoli di legalità e le competenze. Non fate ricorsi strumentali». Il rischio, insomma, c'è, e lo sa anche Arcuri che ammette «non facciamo i giudici amministrativi». Ma oggi l'ottimismo non manca per un progetto che prevede il recupero della linea di costa, la spiaggia pubblica, la balneazione, il parco, luoghi per la ricerca in connessione con le Università, il recupero dell'archeologia industriale. La rimozione dell'amianto prevede il prelievo di 90.000 tonnellate di terra, di cui 25.000 contengono amianto. Intanto si metterà mano agli altri disastri, dai metalli pesanti, ai materiali chimici, fino alla depurazione delle acque piovane che passano per il terreno, si inquinano e finiscono in mare. Anche il mare tornerà alla città con la rimozione della colmata.
Gli Stati Uniti si ravvedono: nasce l’agricoltura organica e rigenerativa di Tina Pollice Nel corso degli ultimi 40 anni, negli Stati Uniti, le tendenze dominanti nelle pratiche agricole (semi ibridi, fertilizzanti chimici, pesticidi ed erbicidi) hanno prodotto un sistema alimentare privo di nutrienti e ricco di calorie, danneggiando nel contempo i terreni un tempo fertili e minando seriamente la salute della popolazione. Danneggiate le produzioni di colture di base che sono prive dei componenti medicinali di quelle piante che sono state e sono la base per piante sane e consumatori animali / umani, com'era prevedibile (poiché la salute dei suoli e delle piante che crescono in essi è diminuita), le malattie croniche sono diventate epidemiche. Negli anni ’60 l’intera popolazione americana aveva un carico di malattie croniche del 4%, attualmente il 46% dei bambini ha una diagnosi di malattia cronica. Il rapido aumento dell’uso di pesticidi negli ultimi decenni è coinciso con questa esplosione di malattie croniche. Ad oggi negli Stati uniti l’aspettativa di vita è inferiore di 20 anni nelle aree ad alta attività agricola. Per la prima volta nella storia americana l’attuale generazione dei figli potrebbe avere una durata di vita inferiore di quella dei loro genitori. Ma, c’è un’alternativa al modello della chimica intensiva e, lo testimonia una coalizione
statunitense di agricoltori, educatori, medici, scienziati e imprenditori la Farmer’s Footprint, che nasce proprio per documentare e denunciare gli impatti umani e ambientali dell’agricoltura chimica ed offrire un percorso alternativo attraverso pratiche agricole rigenerative. Rigenerare i territori partendo dalla terra, è questo lo scopo della Farmer’s Footprint che, con una serie di filmati-testimonianze sul proprio sito, documenta le storie, all’avanguardia, delle
famiglie contadine che praticano la transizione all’agricoltura rigenerativa e mostra gli impatti sulla salute e sull’ambiente. L’agricoltura rigenerativa si concentra sulla ricostruzione della materia organica e della biodiversità nel suolo: è così possibile produrre alimenti sempre più ricchi di nutrienti anno dopo anno e sequestrare l’eccesso di carbonio contribuendo a frenare il cambiamento climatico. La Farmer’s Footprint, quindi, si costituisce in rispo-
sta a quegli agricoltori che stanno assistendo ad un crollo della salute nei/dei loro terreni ed al bestiame nutrito con semi OGM. Però, invece di affrontare la causa principale di questo collasso della salute, fa notare la Farmer’s Footprint, il timone delle decisioni è stato nuovamente affidato alle aziende chimiche e farmaceutiche proprietarie dei fitofarmaci e dei semi ibridi che producono oltre l’85% del mais e oltre il 95% dei semi di soia coltivati negli Stati Uniti. “Le stesse com-
pagnie farmaceutiche, denuncia la coalizione, commercializzano erbicidi e pesticidi e trattano le malattie del bestiame con antibiotici, integratori nutrizionali, e farmaci. Il cibo non è più la nostra medicina, i prodotti chimici farmaceutici sono ora l’ingrediente principale nei nostri alimenti. È tempo che il consumatore americano autorizzi i nostri agricoltori a difendere il nostro cibo e il nostro diritto alla salute”.
Bonifiche, lo stato dei lavori Luigi Mosca Dopo dieci anni di lavoro, a che punto è lo stato delle conoscenze sui territori campani critici dal punto di vista ambientale? Nel 2010, il governo istituì un commissario per le bonifiche in Campania. Oggi si traccia un bilancio provvisorio del percorso intrapreso finora, sul piano del risanamento delle aree compromesse, in particolare le sei “aree vaste” che il Piano regionale di bonifica, approvato nel 2013 e in seguito aggiornato, individua come prioritarie per gli interventi di recupero. Sul 90 percento del territorio compreso nelle aree vaste sono state svolte indagini ambientali. Per il 50 percento di questo territorio sono stati progettati gli interventi di bonifica. Tuttavia, solo su una piccola porzione di questa prima frontiera del risanamento ambientale sono stati completati i lavori di bonifica: per la precisione, sul tre percento dell’estensione delle aree vaste, mentre la rinaturalizzazione del territorio non è affatto partita. Di questi risultati si è discusso nel corso di un convegno promosso dal dipartimento di Giurisprudenza della Federico II e dall’Ordine degli ingegneri di Napoli. Tra gli interventi che si sono succeduti lo scorso 27 gennaio, nell’Aula Pessina dell’ateneo federiciano, è toccato a Massimo Fontana, consigliere dell’Ordine degli ingegneri di Napoli, fare il punto dello stato di avanzamento delle bonifiche in Campania. Fontana ha rivolto apprezzamenti al lavoro dell’Arpa Campania. «Sul fronte dei controlli e della conoscenza dello stato dell’ambiente», ha detto, «molto è stato fatto. Siamo ancora all’inizio, invece, per quanto riguarda gli interventi di bonifica». C’è ancora molta strada da fare, anche per riparare i guasti degli anni dell’emergenza rifiuti. La rimozione delle balle di rifiuti stoccate in diversi siti campani, in particolare a Giugliano, è giunta al due percento del totale. Stefano Sorvino, commissario straordinario Arpac, ha illustrato il ruolo dell’Agenzia nei procedimenti di bonifica. L’Arpa Campania non è ovviamente il soggetto che attua le bonifiche, però
svolge compiti impegnativi in tutte le fasi del procedimento. «Dalla caratterizzazione del sito», ha spiegato Sorvino, «all’analisi di rischio, fasi preliminari all’attuazione della bonifica, fino alla relazione tecnica che permette agli enti competenti di emettere la certificazione finale di avvenuta bonifica, e anche ai controlli successivi alla fine dell’intervento, non c’è in pratica momento delle complesse procedure di bonifica che non veda coinvolta l’Agenzia ambientale». All’incontro ha partecipato, tra gli altri, l’ex sottosegretario all’Ambiente Salvatore Micillo, oggi componente della Commissione ambiente della Camera. Micillo ha ricordato come l’estensione dei quarantuno
siti di interesse nazionale, aree da bonificare di competenza del ministero dell’Ambiente, equivalgano, messe insieme, a una regione di piccole dimensioni (in Campania si segnalano i Sin di Bagnoli e Napoli Est). Il parlamentare ha ricordato anche che per decenni il ministero non ha potenziato il suo organico reclutando competenze tecniche di alto profilo, lacuna a cui si è provato a far fronte solo di recente, con la selezione indetta nel 2019. Tra i presenti, oltre ai vertici degli Ordini provinciali di ingegneri e avvocati, anche il maggiore dei Carabinieri Nino Tarantino, componente dell’Ufficio del Commissario per la bonifica dele discariche abusive.
Depuratori nel Salernitano online il secondo Quaderno Negli ultimi anni il Dipartimento Arpac di Salerno ha messo in campo sistematiche azioni di controllo e monitoraggio della qualità delle acque interne e di quelle marino-costiere, anche con controlli periodici degli scarichi degli impianti di depurazione. Sul sito dell'Agenzia è disponibile il secondo Quaderno della serie di pubblicazioni dedicata a divulgare i risultati di questo lavoro. Il primo Quaderno, pubblicato lo scorso luglio, si concentra sugli impianti di depurazione in funzione nella Costiera amalfitana. Questo secondo Quaderno estende lo sguardo ad altri quarantasette impianti di depurazione che immettono reflui nei fiumi e nelle acque costiere della provincia più estesa della Campania. Gli esiti dei controlli svolti dall'Agenzia e degli autocontrolli svolti dai gestori degli impianti sono riportati in modo dettagliato con le indicazioni delle "non conformità" rilevate rispetto alla normativa in vigore.
Arpac ha pubblicato il rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti urbani
La raccolta differenziata cresce in Irpinia Sul sito web dell’Arpa Campania è disponibile il rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti urbani in regione. Il rapporto, previsto dalla legge regionale 16 del 2016 e pubblicato da Arpac a partire dal 2017, analizza in dettaglio il ciclo dei rifiuti urbani in Campania, tracciando i progressi della raccolta differenziata, del recupero dei materiali, della disponibilità di impianti in regione e dell’autonomia rispetto ai trasferimenti in altre regioni. Alcuni dei dati contenuti nel Rapporto (l’ultima edizione si concentra sui dati del 2018) sono già stati diffusi a novembre dall’Osservatorio regionale sulla gestione dei rifiuti in Campania. La questione impianti Nel 2018 la Campania ha
differenziato il 52,7% dei rifiuti, una percentuale sostanzialmente stabile rispetto al 52,8 registrato nel 2017. Ma se si considera una prospettiva “storica” più
ampia, la differenziata in Campania è in netto sviluppo: nel 2009 copriva il 29,3% dei rifiuti urbani prodotti, nel 2013 il 44%. Resta il nodo delle infrastrutture,
in particolare per quanto riguarda la gestione della frazione organica. Su 662mila tonnellate di organico separate nel 2018 in Campania, circa il 74% è stato trasferito in impianti di altre regioni. Il primato del Sannio Si segnala, nell’ultimo anno di rilevazione, la performance positiva della provincia irpina, passata dal 56,1% di differenziata nel 2017 al 63,7% del 2018. La provincia di Benevento è il territorio più virtuoso in Campania con una quota di differenziata pari al 70,6%, di gran lunga superiore al dato nazionale. Anche la provincia di Salerno, con una quota di differenziata pari al 61,9%, risulta sostanzialmente in linea con gli obiettivi indicati dal Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani.
Effluenti da allevamento: le strutture di stoccaggio Rappresentano uno dei luoghi fondamentali per una corretta e sana gestione delle aziende zootecniche Pasquale Falco Michele Misso Tra i diversi manufatti rurali presenti in un allevamento zootecnico, fondamentale importanza riveste il luogo di ricovero dei capi allevati (stalla o porcilaia), dove questi vengono tenuti, alimentati, e dove, per essi, vengono create con le aree di riposo condizioni di tranquillità e benessere. Le ottimali condizioni di pulizia ed igiene si ottengono con l’allontanamento frequente, soprattutto quando non c’è grande utilizzo di paglia come lettiera, delle deiezioni zootecniche. L’allontanamento avviene con sistemi meccanici (nastri convogliatori, estrattori a lame raschianti, mezzi gommati con benne), o con getto di fluidi (acqua o la stessa parte liquida degli effluenti). Lo stoccaggio di tali residui è necessario per la loro maturazione, cioè per il miglioramento delle caratteristiche concimanti ed ammendanti, per un abbattimento microbico, che renda la movimentazione sicura da un punto di vista igienico-sanitario, e per il solo accumulo quando ne è
impedito l’impiego agricolo. Gli effluenti zootecnici sono differenti per caratteristiche chimiche e contenuto di azoto (N) in funzione della specie allevata, per quantità prodotta in funzione dell’età e del numero di capi allevati, per stato di addensamento in relazione alle modalità di stabulazione in cui sono tenuti i capi, se ad esempio c’è una lettiera di paglia; altro fattore che incide sulle caratteristiche degli effluenti è il ricorso all’applicazione di trattamenti, che migliorano le caratteristiche agronomiche, consentono una migliore gestione degli spandimenti, e possono portare ad un recupero energetico o ad una riduzione dell’azoto. La vigente disciplina tecnica regionale ha provveduto a tabellare le quantità prodotte di effluenti, cosicché è possibile, sulla base di specie allevata, età, condizioni di stabulazione, calcolare i quantitativi di effluenti prodotti nell’anno e il rispettivo contenuto di azoto, N (i limiti posti all’utilizzo in campo sono 170 e 340 kg di N/per ettaro in un anno, rispettivamente per le zone vulnerabili
ai nitrati e per le zone non vulnerabili). Per stato di addensamento, gli effluenti si distinguono in letami, cioè effluenti palabili che possono essere movimentati anche con una semplice pala a mano, tipici degli allevamenti bovini e bufalini con grande utilizzo di paglia, e in liquami, effluenti non palabili, in quanto liquidi, tipici di allevamenti suinicoli. Lo stoccaggio dei letami avviene su platea impermeabilizzata, con portanza sufficiente a reggere il peso del materiale accumulato e dei mezzi per la movimenta-
zione. La platea deve essere munita di idoneo cordolo o di muro perimetrale, con un'apertura per l'accesso dei mezzi meccanici per l’ asportazione del materiale e deve essere dotata di adeguata pendenza per il convogliamento dei liquidi di sgrondo e delle acque di lavaggio della platea, verso apposito pozzetto di raccolta. La capacità della platea di stoccaggio è legata al numero di capi e non deve essere inferiore al volume di letame prodotto nell’allevamento in 90 giorni, minimo periodo di maturazione per il successivo utilizzo in campo.
I contenitori per lo stoccaggio dei liquami sono realizzati preferibilmente in cemento armato. Tali strutture possono anche essere di materiale diverso, a condizione che garantiscano la presenza di una barriera impermeabile, naturale o artificiale. Vanno dotati di un fosso di guardia perimetrale lungo il bordo esterno e di idonea attrezzatura per l’omogeneizzazione del contenuto. Vanno sottoposti a periodico controllo, almeno ogni 5 anni, e lo stato di impermeabilità è attestato da tecnico iscritto ad albo professionale. Deve infine essere garantito sempre un franco di sicurezza di 30/50 cm tra il livello massimo del battente liquido e il bordo. La capacità di stoccaggio è pari al volume di liquami prodotti in 90-120 giorni e deve comprendere anche le acque di lavaggio delle strutture, degli impianti e delle attrezzature zootecniche, nonché le acque meteoriche incidenti; al contrario è vietato convogliare le acque bianche provenienti da tetti e tettoie nonché le acque di prima pioggia provenienti da aree non connesse all’allevamento.
L’inquinamento da sostanze azotate di origine agricola in Campania Pasquale Falco Danilo Lubrano Pasquale Iorio Il comparto produttivo zootecnico campano è caratterizzato dalla presenza di allevamenti intensivi con dimensioni sempre maggiori, all’interno dei quali è indispensabile assicurare il benessere dei numerosi capi allevati e tenere alte le rese produttive; d’altro canto il numero elevato di capi tenuti in questi impianti comporta la produzione di rilevanti quantitativi di effluenti di allevamento che richiedono risorse importanti per la loro gestione, sin dal momento della raccolta in adeguate strutture di stoccaggio e fino alla loro successiva destinazione che deve avvenire nel rigoroso rispetto dell’ambiente. Da sempre gli agricoltori hanno fatto ricorso alla pratica dello spandimento degli effluenti di allevamento su terreni agricoli (pratica nota come fertirrigazione), sia per utilizzare le sostanze ad alta potenzialità ammendante e concimante in essi contenute (componenti soprattutto dell’azoto, N, del fosforo, P, e del potassio, K), sia per
Arpa CAMPANIA AMBIENTE del 31gennaio 2020 - Anno XVI, N.2 Edizione chiusa dalla redazione il 31 gennaio 2020 DIRETTORE EDITORIALE Luigi Stefano Sorvino DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO F. De Capua, G. De Crescenzo, B. Giordano, P.Falco, P. Iorio, G. Loffredo, D. Lubrano, R. Maisto, M. Misso, L. Monsurrò, A. Palumbo, A. Paparo, T. Pollice SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/427/451 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it magazinearpacampania@libero.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 1-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali.
restituire ai suoli agricoli ciò che viene loro sottratto mediante le pratiche colturali, evitandone un progressivo ed eccessivo impoverimento. Negli ultimi decenni, però, l’aumento del numero di capi allevati per azienda, non associato ad un aumento della superficie agricola funzionalmente connessa da utilizzare per gli spandimenti, e la conseguente e crescente disponibilità di effluenti zootecnici utilizzabili in agricoltura hanno portato ad un progressivo aumento nei terreni di queste sostanze, soprattutto di quelle azotate, che hanno determinato seri problemi di inquinamento sia nelle acque superficiali che in quelle di falda freatica. Nello schema riportato di seguito (estratto da un lavoro della Facoltà di Agraria della Università di Milano e rielaborato dagli scriventi) è illustrato, oltre alle emissioni prevalentemente di ammoniaca, NH3, il “percorso” dei nutrienti (N, P, K), che passano dalla stalla di produzione alle strutture di stoccaggio per il prescritto periodo di maturazione, necessario a valorizzare le proprietà concimanti ed ammendanti degli effluenti che li contengono, prima
del loro utilizzo in campo e dopo aver subito, nel caso prospettato, un trattamento di separazione tra la fase solida e quella liquida; ebbene, dopo l’utilizzo in campo degli effluenti, le quote di nutrienti eccedenti i quantitativi “utilizzati” dalle colture per il loro accrescimento e maturazione vengono facilmente disciolti e trasportati (lisciviati) dalle acque meteoriche sia verso la sottostante falda freatica, sia direttamente, attraverso il “ruscellamento” superficiale, verso i corsi d’acqua. Le pratiche agricole, quindi, che fanno largo uso di effluenti di allevamento e
di concimi di sintesi, distribuiti a iosa sui terreni agricoli per incrementare le produzioni agrarie, possono ritenersi oggigiorno tra le concause principali di contaminazione dei suoli e, di conseguenza, delle acque superficiali e sotterranee. Tale inquinamento idrico ha un significativo risvolto negativo non solo per la matrice ambientale acqua, ma anche per le ricadute sulla salute umana, a causa della trasformazione dei nutrienti azotati, durante il percorso visto in precedenza, in sostanze inquinanti quali nitrati e nitriti. (prima parte)
Pesca nel Mediterraneo: le nuove decisioni Incentivate la lotta contro le attività illegali e la protezione dei coralli e degli habitat sensibili di Bruno Giordano I paesi del Mediterraneo hanno fatto, e continuano a fare importanti passi in avanti per ripristinare l’abbondanza di stock ittico nel mar Mediterraneo, e, per proteggere alcune delle sue specie più vulnerabili. La Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM) della Fao, nel corso della 44esima sessione, ha adottato misure incisive per aumentare la trasparenza, proteggere i coralli minacciati da estinzione e preservare le zone di riproduzione dal momento che si creeranno aree in cui i pesci potranno riprodursi al sicuro e, si ostacolerà la pesca illegale. La Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo è un'organizzazione regionale di gestione della pesca. Con 23 paesi membri e l’UE, il suo obiettivo principale è proprio quello di garantire la conservazione e l' uso sostenibile delle risorse marine viventi nonché lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Nell’ultimo incontro sono state prese ben 15 nuove decisioni, ed è la prima volta, da quando è stata istituita la CGPM, che si adottano così tante misure. Alcune rivestono particolare importanza e sono: 1. La lotta contro la pesca illegale, non
dichiarata e non regolamentata (INN): la CGPM ha adottato meccanismi di trasparenza, in modo tale che i paesi comunichino tutti gli accordi di pesca in vigore tra la loro flotta e i paesi terzi. Inoltre, la lista INN della CGPM sarà rafforzata aggiungendo la necessità per i paesi di assicurare che i loro cittadini non appoggino né si beneficino della pesca Illegale, Non dichiarata e Non re-
golamentata (INN). 2. Protezione dei coralli: per la prima volta nel Mediterraneo è stato approvato un quadro normativo per stabilire misure di protezione per le specie di corallo a rischio di estinzione o minacciate dall’impatto della pesca. Questa era una misura a lungo attesa dopo l’appello delle Nazioni Unite del 2004 a favore della preservazione degli habi-
tat di profondità. 3. Protezione degli Habitat Sensibili: è stato adottato un nuovo piano di gestione nell’Adriatico per il nasello, la triglia, la sogliola e i gamberi che include chiusure temporanee alla pesca a strascico (oltre 40.000 km2) per proteggere i “branchi” di pesci giovani. Il piano prevede inoltre l’identificazione di nuove Zone di Restrizione della Pesca (FRA) per proteggere ulteriori vivai o zone di deposizione delle uova di questi stock demersali (ad essere demersali sono soprattutto i pesci ed i molluschi cefalopodi come le seppie. Tra i pesci demersali si annoverano numerose specie di notevole interesse economico come merluzzi, naselli, triglie, quasi tutti gli sparidi, spigole). 4. Adempimento delle norme nelle FRA: la CGPM si è impegnata a valutare i livelli di applicazione delle FRA, alcune delle quali esistono dal 2006. L’ONG Oceana ha documentato costantemente violazioni del rispetto delle norme, attestando ad esempio la presenza di barche che pescavano illegalmente in queste aree a restrizione di pesca nel 2018 e nel 2019. La parte più difficile di queste valide buone disposizioni risulta essere, ancora una volta, l’attuazione ed il rispetto delle stesse, se si vuole che il Mediterraneo torni ad essere il mare più ricco di specie e di biodiversità.
L’OLEOTURISMO È DIVENTATO LEGGE Una nuova opportunità di crescita per la Campania “Il 2020 porta in dono alle aziende agricole una nuova opportunità di crescita: l’oleoturismo”. Così in una nota Coldiretti Campania sulla novità contenuta nella legge di Bilancio che battezza l’ingresso del turismo olivicolo tra le attività agricole connesse, assimilandolo direttamente all’enoturismo. “Nella previsione normativa – spiega Aprol Campania, la più grande associazione regionale di olivicoltori – i commi 513 e 514 dell’articolo 1 precisano che per oleoturismo si intendono le attività di conoscenza dell’olio d’oliva espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura e produzione, l’esposizione degli strumenti utili alla coltivazione dell’ulivo. In questa tipologia di turismo in aree rurali rientrano la degustazione e la vendita delle produzioni olivicole aziendali, anche in abbinamento ad altri alimenti freddi, e le iniziative a carattere didattico e ricreativo”. “Si tratta di una grande opportunità – sottolineano Coldiretti e Aprol Campania – che aiuterà a diffondere
la cultura dell’olio extravergine di qualità e a combattere le fake news che continuano a colpire il principe della dieta mediterranea, influenzando negativamente i consumatori nelle abitudini a favore di oli scadenti, a basso costo e non tracciabili. Grazie all’oleoturismo sarà possibile promuovere un rapporto diretto tra consumatori e produttori, facilitando la conoscenza dei processi produttivi e delle qualità organolettiche dell’extravergine, visitando direttamente i luoghi di produzione. L’attività oleoturistica ha natura di attività agricola connessa se svolta dalle imprese agricole. Come per l’enoturismo, l’attività consiste nella conoscenza del prodotto con attività espletate nel luogo di produzione e quindi avremo i ‘frantoi aperti’ per consentire l’accesso ai consumatori. In Campania – prosegue la nota – “sono cinque le Dop: Cilento, Colline Salernitane, Irpinia – Colline dell’Ufita, Penisola Sorrentina e Terre Aurunche. In regione sono presenti oltre 74 mila ettari coltivati ad oliveto, di cui il 5%
circa con metodi di produzione biologica. Le principali varietà olivicole campane sono: l’Ogliarola, la Marinese e la Ravece in provincia di Avellino; l’Ortice, l’Ortolana e la Racioppella in provincia di Benevento; l’Asprinia, la Tonda, la Caiazzana e la Sessana in provincia di Caserta; l’Olivo da olio (detta anche Cecinella o Mi-
nucciolo) in penisola Sorrentina, Napoli; la Rotondella, la Carpellese, la Nostrale, la Salella, la Biancolilla e la Pisciottana in provincia di Salerno. A queste autoctone vanno aggiunte varietà come il Leccino e il Frantoio, che pur non essendo autoctone sono presenti da lungo tempo in varie zone della regione. (dal web)
Il ghiaccio con temperature sopra lo zero In condizioni anticicloniche l’aria fredda più pesante rende le temperature più basse in prossimità del suolo di Gennaro Loffredo Quante volte ci è capitato di osservare nel corso dell’Inverno le nostre automobili coperte da un sottile strato di ghiaccio superficiale o i prati imbiancati dalla brina? Anche le strade, spesso, risultano insidiose proprio per la formazione di questa patina di ghiaccio molto pericolosa. Durante le notti stellate della stagione fredda la scarsa umidità e l’assenza di vento favorisce la massima dispersione di calore in atmosfera e la temperatura crolla durante la notte anche di molti gradi, portandosi in prossimità dello zero o localmente al di sotto. Gli agricoltori sono preoccupati quando le previsioni indicano temperature minime di +2°/+3°C e in realtà nei campi all’alba trovano valori termici inferiori allo zero, i quali poi sono responsabili della formazione delle gelate. L’irraggiamento in atmosfera limpida e calma è l’aspetto più importante per raffreddare l’aria. In situazioni di alta pressione lo strato d’aria a contatto con il suolo può essere molto freddo (ci riferiamo ai primi
5cm, l’aria fredda infatti si concentra verso il basso). In questo contesto spesso si nota che alcune autovetture vengono rapidamente ricoperte da un velo di ghiaccio sulla carrozzeria, nonostante la temperatura segnalata dal termometro non sia inferiore ai 2°-3°C sopra lo zero; questo fenomeno sembrerebbe evidenziare un controsenso, perché sappiamo che l’acqua diventa ghiaccio solamente se si scende a 0°C. In realtà ci sono da considerare due aspetti importanti che ci chiariscono il concetto: I metalli che costituiscono la carrozzeria hanno un’alta capacità termica, ossia acquisiscono calore e lo disperdono nell’ambiente con rapidità; di conseguenza quando la temperatura scende, il metallo si raffredda più velocemente dell’ambiente circostante. I nostri termometri solitamente si trovano almeno ad un metro, un metro e mezzo dal suolo; in condizioni di cielo sereno in inverno durante la notte il terreno si trova sempre qualche grado al di sotto della temperature rilevata dai nostri sensori, e di conseguenza quando la co-
lonnina di mercurio segna +2+3°C solitamente il suolo è già attorno allo zero. Inoltre il metallo in generale è un ottimo conduttore termico ed elettrico, e se non ci sono fonti di calore dirette sulla carrozzeria, la macchina diventa quasi sempre parte integrante del suolo, ac-
quisendone la temperatura. Lo stesso discorso vale anche per la brina. In condizioni di temperature rilevate di poco sopra lo zero, la rugiada su un prato o su qualsiasi conca tenderà a ghiacciarsi per i motivi citati prima. Non meravigliamoci, quindi, se
nel corso delle prossime settimane in presenza di alta pressione, cielo sereno, umidità scarsa e vento assente, ci sia la concreta possibilità di vedere le nostre macchina gelate con temperature che non sono effettivamente allo stato puro di congelamento.
FOCE DEL TEVERE: UNO SCRIGNO DI BIODIVERSITÀ APERTO AL PUBBLICO NELL’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO Per l’ultimo giorno dell’anno la capitale si è distinta per originalità e biodiversità, organizzando una particolare visita guidata al tramonto. Promossa dal “Centro Habitat Mediterraneo Lipu” di Ostia, l'oasi naturalistica alla foce del Tevere è stata aperta al pubblico per un inizio d’anno all’insegna dell’amore per l’ambiente. Realizzata in quella che era una discarica a cielo aperto, questo posto è divenuto un prezioso scrigno di biodiversità, vero e proprio paradiso del Birdwatching, in cui sono state censite oltre duecento specie di uccelli. La visita, a donazione libera, era in programma alle ore 15.30 del tanto atteso trentuno dicembre e ha consentito di scoprire l'oasi in un momento particolare dell'anno. Per Alessandro Polinori, vicepresidente del “Lipu-BirdLife Italia” e responsabile dell'oasi lidense, questa iniziativa rap-
presenta davvero un punto di svolta in quanto "viviamo sempre più in una società che soffre di gravi deficit di natura ed a volte, proprio per la scarsa confidenza che abbiamo con i suoi elementi, siano essi animali o vegetali, li percepiamo solo come un fastidio, non comprendendo la loro importanza, da tanti punti di vista, non ultimo per il benessere dell'uomo, oltre che per il loro immenso valore intrinseco, anche in termini di bellezza, in grado di aiutarci a contrastare lo stress della quotidianità.” Così, trascorrere un paio d'ore immersi nella natura rinata alla foce del Tevere, tra svassi piccoli, aironi, martin pescatori, anatre e falchi di palude, è stato un modo per concludere l'anno facendo pace con la natura, vivendo incredibili emozioni, come quelle regalate dalla possibilità di assistere al tramonto sul lago dell'oasi.
E, nella riappacificazione uomo/natura, la speranza dei promotori del- l’evento è stata quella che sempre più persone vorranno acquisire stili di vita rispettosi della biodiversità e di tutti i suoi abitanti, a partire dall'evitare di utilizzare, proprio in occasione del Capodanno, botti e fuochi pirotecnici rumorosi, causa della morte di migliaia di animali selvatici e domestici, oltre che elementi fortemente inquinanti. Insomma, in attesa di lenticchie, tombole e brindisi augurali, si è riuscito a trovare anche il tempo di volgere lo sguardo al cielo, emozionandoci nell'osservare il volo di uno stormo di uccelli. Un modo originale per salutare il vecchio anno e accogliere il nuovo ponendo l’accento sul delicato equilibrio in cui vivono flora e fauna e poter sperare in un 2020 totally green. A. P.
L’OBESITA' PESA SULLA SALUTE DEL PIANETA Essere appesantiti da chili di troppo equivale a produrre una maggiore quantità di emissioni di CO2 di Anna Paparo Che l’obesità sia un’acerrima nemica della nostra salute è cosa più che risaputa, ma che avesse ripercussioni anche sullo stato di benessere del nostro pianeta a questo non c’eravamo ancora arrivati. E invece risulta essere proprio così: essere appesantiti da chili di troppo equivale a produrre una maggiore quantità di emissioni di CO2 sia per via dei processi metabolici dell'organismo (più ponderosi negli individui sovrappeso e obesi), sia per via dell'eccesso di cibo consumato da chi soffre di obesità. Tutto ciò emerge da uno studio pubblicato rivista Obesity: a livello globale l'obesità contribuisce a un eccesso di 700 mega-tonnellate (partendo dal presupposto che 1mega tonnellata è 1miliardo di chili) di emissioni di CO2 l'anno, pari a circa l'1,6% di tutte le emissioni prodotte dall'uomo. Lo studio è stato condotto dagli esperti dell'Università di Copenaghen, dell'Alabama e dell'ateneo di Auckland in Nuova Zelanda che hanno tenuto però sottolineano che questi dati non devono portare alla stigmatizzazione dell'eccesso di peso. Le persone che soffrono di obesità sono già vittime di discriminazioni, e numerosi studi hanno documentato l'esistenza di diversi stereotipi. Quindi, "questo studio dimostra che paghiamo un prezzo altissimo per la difficoltà di accesso alle cure contro l'obesità - sostiene Ted Kyle, il fondatore di ConscienHealth -; non solo il problema affligge i pazienti obesi, ma l'eccesso di peso non curato può anche contribuire a problemi ambientali". Insomma, bisogna prendersi cura di se stessi e della Terra così da poter vivere in maniera armoniosa tutti insieme. La ricerca prende avvio dal calcolo delle emissioni in più prodotte da un individuo obeso rispetto a individui di peso normale: gli esperti hanno, infatti, tenuto conto del surplus di emissioni legate ai più ponderosi processi metabolici di chi convive con chili di troppo, le emissioni in più dovute alla produzione e al consumo dell'eccesso di cibo mangiato da questi individui, infine le emissioni legate al maggior dispendio di carburante per i loro spostamenti. In questo modo, i ricercatori hanno visto che rispetto a un individuo normopeso, uno obeso produce ogni anno 81chilogrammi extra di emissioni di CO2 per sostenere il suo metabolismo più elevato, 593chilogrammi extra l'anno di emissioni legate al maggior consumo di cibo e bevande, 476 chili extra l'anno di emissioni per gli spostamenti in automobile e aerei. Complessivamente l'obesità è risultata associata a un 20% in più di emissioni di gas serra se confrontata con le emissioni di per-
jsone normopeso. Gli autori di questo studio sono fiduciosi nell’offrire un motivo in più per sviluppare, finanziare ed attuare strategie preventive e terapeutiche nella lotta all'obesità: il vantaggio oltre che in termini di salute e di risparmio sui costi sanitari sarebbe anche per l'ambiente. Quest’analisi va anche a collegarsi a un altro studio, pubblicato sul British Medical Journal, secondo cui l’obesità dipende dall’ambiente circostante e non è una questione di geni. I principali responsabili dell’aumento di peso sono gli stili di vita sbagliati che si ripercuotono anche sulla natura. Quindi, tutti i dati rilevati attraverso questi studi rappresentano un monito per tutta la popolazione mondiale ad avere rispetto in primis per se stessi e di conseguenza anche dell’ambiente, così da creare i presupposti di un rapporto uomo/natura equilibrato e pacifico senza alcuna conseguenza negativa ora per l’uno ora per l’altra.
LA CORRELAZIONE SEMPRE PIÙ PREOCCUPANTE TRA MALATTIE INFETTIVE E DISASTRI AMBIENTALI di Rosario Maisto Negli ultimi anni molti studi scientifici hanno suggerito che proprio la deforestazione crea le condizioni perché un’ampia gamma di patogeni, virus e parassiti colpiscano l’uomo. Ma noi cosa facciamo per difenderci? Niente! Noi nel frattempo vediamo e cerchiamo soluzioni per domare vasti incendi che si formano per natura o vengono innescati nelle foreste tropicali dell’Amazzonia, alcune aree dell’Africa, il sud est asiatico e la stessa Australia che in questi giorni è ancora sotto assedio dalle fiamme, gli esperti manifestano preoccupazione per la salute delle persone che vivono nei pressi di questi territori, temendo che dalle foreste del nostro pianeta possa emergere la prossima grave pandemia. Tante malattie infettive che normalmente colpiscono gli animali selvatici dopo tanti disastri come disboscamento, desertificazione e incendi hanno raggiunto l’uomo, infatti è accertato che questi sono un importante fattore nella trasmissione di malattie, più danneggiamo gli habitat forestali, più è probabile che si vada incontro a epidemie di malattie infettive. Le foreste coprono circa il 30% del pianeta e gli ecosistemi che creano hanno un ruolo essenziale nella conservazione della vita sulla Terra, possiamo dire fungo da polmone e da barriera del pianeta, ma a lungo si è sospettato che la malaria sia progredita di pari passo con la deforestazione. Infatti, sembra che radere al suolo le foreste
crei l’habitat ideale per la riproduzione della zanzara Anopheles darlingi, il più importante vettore della malaria in Amazzonia. In una complessa analisi di dati satellitari ed epidemiologici si è visto un significativo impatto della deforestazione sulla trasmissione della malaria nel bacino dell’Amazzonia, in linea con alcune ricerche precedenti. in media, hanno stimato un incremento della perdita di foresta del 10% l’anno abbia portato a un incremento del 3% dei casi di malaria, i continui incendi amazzonici e quelli australiani di recente non promettono nulla di buono, gli ultimi dati, pubblicati questa settimana, dicono che fino ad ora è stata distrutta un’area pari a 16 volte New York City. Nella foresta molti virus convivono con gli animali senza conseguenze perché gli animali sono evoluti insieme a loro, ma
gli uomini no, inconsapevolmente può capitare che le persone ospitano questi virus nel momento in cui si spingono all’interno di foreste o cambino habitat forestale e quindi la malattia si diffonde dopo, può anche capitare che una malattia si sviluppi perché gli animali che vivono in queste aree, attratti dall’abbondanza dei frutti prodotti nelle piantagioni e negli insediamenti circostanti li contaminano e l’uomo può contrarre il virus quando entra in contatto con cibo. Insomma, le probabilità che le malattie passino all’uomo potrebbe aumentare man mano che il clima si riscalda, ma se rimarranno confinate nelle foreste o si faranno spazio negli organismi umani, scatenando una pandemia, dipende dal modo in cui si trasmettono, consentendo poi la loro propagazione in tutto il mondo.
Monitoraggio del radon: il ruolo di Arpac segue dalla prima pagina La Regione Campania, con legge n. 13 del luglio 2019, ha effettuato un recepimento “avanzato”, prima del legislatore statale, dell’ultima direttiva Euratom del 2013 approvando la disciplina organica “in materia di riduzione delle esposizioni alla radioattività naturale derivante dal gas radon in ambiente confinato chiuso”. Tuttavia, a fine novembre, lo stesso legislatore campano ha disposto una moratoria dei termini di applicazione della propria normativa, in attesa dei decreti statali di recepimento in ambito nazionale della stessa direttiva, di cui alla legge di delegazione europea 2018 (con cui il Parlamento ha delegato al Governo l’attuazione di una serie di direttive comunitarie), che potrebbero anche stabilire limiti e modalità diverse di attuazione. Nonostante la sospensione della vigenza, si è comunque utilmente attivata una fase informativa e preparatoria, che ha stimolato la crescente attenzione degli esercenti, dei tecnici, dei dirigenti ed amministratori pubblici – con responsabilità per gli edifici tenuti alle attività di misurazione – ed un diffuso interesse professionale tra le categorie interessate, in attesa della puntualizzazione dei profili operativi della nuova disciplina. Pur tra le apparenti incertezze del processo legislativo di recepimento delle direttive Euratom, tra norme regionali anticipatrici e decreti statali sopravvenienti, l’iniziativa della Campania costituisce comunque una spinta positiva e motivante a formare la necessaria consapevolezza sul tema e ad attivare le azioni propedeutiche di monitoraggio e prevenzione rispetto al rischio radon, da fronteggiare anche attraverso interventi strutturali di risanamento. A monte degli interventi operativi dovrà progressivamente elaborarsi una adeguata pianificazione, articolata mediante strumenti di settore di livello nazionale, regionale e locale. Infatti, la normativa prevede l’approvazione entro due anni (luglio 2021) del Piano regionale radon – avente un contenuto conoscitivo, informativo, localizzativo e tecnico-operativo – che la Regione deve predisporre avvalendosi del supporto tecnicoscientifico dell’Arpac, in coerenza con il piano nazionale di settore del Ministero della Salute.
Nelle more della sua approvazione, a cui dovrà poi adeguarsi settorialmente la pianificazione urbanistico-territoriale della stessa Regione e degli Enti locali - con l’integrazione delle relative norme tecniche – devono redigersi apposite "linee guida" ad opera di un gruppo di lavoro regionale (informalmente già operativo), con la componente ambientale e sanitaria, costituito da Arpac, Asl e altri enti. L’art. 3 della legge regionale stabilisce livelli limite di concentrazione di 200 Bq/m3 per le nuove costruzioni e per quelle oggetto di ristrutturazione, eccetto per i vani tecnici isolati o di servizio, salvo limiti specifici o più restrittivi che potrebbero essere previsti dalle norme statali. I progetti edilizi di nuove costruzioni devono contenere dati tecnici dedicati e soluzioni adeguate per fronteggiare il rischio radon, in particolare rispetto alla tipologia di suolo ed ai materiali impiegati, e gli strumenti urbanistici dovranno essere accompagnati da studi preliminari con la definizione di adeguate tecniche costruttive ed apposite prescrizioni. L’art. 4 prevede diversi limiti di concentrazione per gli edifici esistenti, e quindi per il patrimonio già costruito, da misurare attraverso un monitoraggio continuativo su media annuale (suddiviso in due semestri), con particolare riferimento ai cosiddetti “edifici strategici” ed a quelli destinati all’istruzione scolastica ed ai locali interrati, seminterrati e al piano terra aperti al pubblico, con esclusione dei residenziali e dei vani tecnici, stabilendo un livello limite non superiore ai 300 Bq/m3 (meno restrittivo, ovviamente di quello previsto per le nuove costruzioni). Gli esercenti per i locali aperti al pubblico e le amministrazioni, responsabili per gli edifici strategici e scolastici, devono avviare le misurazioni su base annuale, articolate per il periodo autunno/inverno e primavera/estate, e poi trasmettere gli esiti dei rilevamenti continuativi effettuati al Comune in-
teressato, all’Arpa ed all’Asl territorialmente competente. Il punto giuridicamente nevralgico del procedimento è costituito, in caso di inadempimento della misurazione entro il termine perentorio di diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, dalla grave sanzione della sospensione del certificato di agibilità, previa intimazione agli inadempienti mediante ordinanza comunale. Qualora, invece, ad esito delle misurazioni si riscontri un livello di radon superiore al limite consentito dalla legge, il soggetto responsabile è obbligato a presentare ed eseguire un piano di risanamento e, a seguito dell’esecuzione degli interventi, è tenuto a nuove misurazioni di cui deve presentare l’esito al Comune, pena la sospensione del certificato di agibilità. I Comuni sono chiamati a predisporre progetti di recupero e risanamento per gli edifici esistenti che saranno individuati a rischio radon dal Piano regionale di prevenzione, con un prevedibile impegno finanziario e tecnico-progettuale di non facile
sostenibilità per gli stessi enti locali, oggi stressati dalla pesante e duratura crisi della finanza pubblica territoriale. Come si vede, la legge regionale del luglio 2019 prevede per la prima volta meccanismi articolati di misurazione, monitoraggio del radon e conseguenti piani di intervento, mediante procedimenti e tempistiche ordinatorie fino al termine finale e perentorio di adempimento, sanzionato con la comminatoria di sospensione dell’agibilità, che renderebbe gli immobili temporaneamente inutilizzabili. L’applicazione della normativa ingenera qualche dubbio interpretativo, con la conseguente necessità di definire - come già previsto dalla stessa legge - apposite linee guida per chiarire aspetti amministrativi e soprattutto tecnici, in ordine ad esempio ai criteri di definizione dei luoghi di lavoro sotterranei, dei metodi e tecniche di misura attiva e passiva delle concentrazioni, dei requisiti degli organismi di misura, della figura del responsabile tecnico e quant’altro. L’Arpa Campania è il principale ente tecnico chiamato operativamente in causa dall’attuazione della legge, in qualità di referente pubblico in materia di controllo e monitoraggio ambientale e con competenze specifiche sulla radioattività, sia a supporto della Regione – per la predisposizione delle linee guida, del Piano e per ogni forma di assistenza e collaborazione tecnica – sia come organo di controllo, corresponsabile della verifica
degli adempimenti e, in particolare, destinatario delle misurazioni del radon effettuate dai soggetti obbligati. Nell’ambito dell’organizzazione tecnica dell’Agenzia opera il Centro regionale radioattività (CRR), con un laboratorio ubicato a Salerno ma attivo per l’intero territorio regionale, che dispone di un ridotto ma qualificato gruppo di tecnici, attualmente in fase di graduale potenziamento nonostante la limitata disponibilità di risorse finanziarie ed umane. L’Arpac ha già attivato e reso disponibile il proprio supporto di esperienze e know how, anche con la pubblicazione di elementi informativi sul sito istituzionale, la predisposizione di un opuscolo (che contiene interessanti risposte e precisazioni su cos'è il radon, da dove proviene, come si misura, quali effetti produce sulla salute, ecc.) e la partecipazione al confronto con le categorie, gli ordini e collegi professionali, gli addetti ed i tecnici di settore interessati ad approfondire la problematica. Oltre ai compiti istituzionali già definiti dalla legge, l’Agenzia – ove ciò sarà validato dalle prossime direttive e linee guida regionali – potrebbe anche svolgere, previo un necessario potenziamento della propria struttura, attività di controllo delle concentrazioni di radon negli edifici pubblici, a richiesta di enti ed amministrazioni su base convenzionale. Luigi Stefano Sorvino commissario straordinario Arpac
Mare: task force con Federico II e Arpac Intersezione tra ricerca pubblica e privata, opportunità di sviluppo tecnologico ed economico per il sistema industriale e marino: questi i principali topic del convegno tenutosi lo scorso 30 gennaio presso l’Università Monte S. Angelo di Napoli. In questa occasione la task force BigFed2 dell’Università Federico II sulla Blue Growth ha incontrato gran parte degli stakeholders coinvolti nello studio, la gestione, il monitoraggio e la progettazione di strategie vincenti per migliorare l’economia del mare. Tra questi l’Arpac, impegnata non solo nel monitoraggio marino costiero delle acque di balneazione – come ha sottolineato il Commissario Straordinario Stefano Sorvino - ma anche in tutte le attività previste dalla Direttiva Marine Strategy coordinata dal
ministero dell’Ambiente. Oltre a queste attività l’Agenzia è impegnata, poi, nel controllo della sicurezza del pescato attraverso la partecipazione al CRiSSaP, nello studio delle fioriture algali (in particolare l’Ostreopsys ovata) e del marine litter, oltreché nella valutazione dell’impatto ambientale di numerose opera-
zioni tra cui l’ampliamento ed il potenziamento delle strutture portuali. “L’Arpac - ha concluso Sorvino – quale ente tecnico-scientifico resta favorevole a raccogliere e sviluppare forme di partenariato, confronto e collaborazione negli ambiti di competenza”. G.M.
L’architettura sostenibile secondo Philippe Starck Un esploratore non solo del design ma, soprattutto, della natura umana Antonio Palumbo L’architetto e designer francese Philippe Starck (classe 1949) - definito da Philippe Branche «un esploratore non solo del design, ma, soprattutto, della natura umana» - dall’ideazione dell’ultima stazione spaziale passando per lo spremiagrumi e lo yacht di Steve Jobs, continua ad immaginare il mondo di domani guardandolo con la lucida ed inequivocabile consapevolezza di chi sa bene quali e di quale portata siano le tante problematiche ambientali da affrontare nell’immediato futuro. In un noto ed emblematico passaggio, riguardante la sua tecnica creativa e costruttiva, Starck chiarisce: «Nonostante quello che si potrebbe pensare, per realizzare le mie architetture preferisco usare materiali di sintesi. Questo è dovuto principalmente a una ragione filosofica. Non ho molto rispetto per le materie naturali, perché non credo in Dio: è la natura che le ha create, ma non devono essere necessariamente ammirate, contrariamente ai materiali sintetici, derivati dal genio dell’uomo e che sono quasi tutti superiori ai materiali naturali. Preferisco lavorare con un produttore di alta qualità morale che usa plastica stampata invece di un produttore che uccide alberi. Per quanto riguarda la plastica, la maggior parte delle alternative biodegradabili sono a base vegetale: prodotti che gli uomini potrebbero mangiare. Per esempio, è fuori questione sacrificare qualcosa che potrebbe essere mangiato per fare una sedia. Anche se produciamo con alternative come la canapa o il lino, questo occupa superfici che potrebbero essere state dedicate al cibo». Tra le creazioni più importanti dell’architetto-designer parigino, vale la pena soffermarsi brevemente sulle “Prefabricated Accessible Technologi-
cal Homes” - P.A.T.H.: abitazioni in grado di integrare i sistemi di tecnologie ecosostenibili (solare, geotermico, fotovoltaico solare, turbine eoliche, ecc.), i quali, utilizzati in combinazione, permettono alle stesse di produrre più energia di quanta ne consumino. Le case della linea P.A.T.H. sono costruite con un avanzato processo di prefabbricazione industriale, che permette di risparmiare tempo e denaro: una volta ordinato il modello, ci vogliono meno di 6 mesi per la consegna, mentre l’assemblaggio e i lavori di finitura richiedono circa 3 mesi per il completamento. È possibile scegliere tra 34 sviluppi planimetrici, che variano dai 140 ai 350 mq, con diversi
numeri di stanze (da una a otto). Ogni casa è disponibile in tre tipi di strutture (rivestimento esterno completamente in vetro, combinazione di pareti in legno e superfici in vetro o completamente in legno) e con diverse coperture. Le case utilizzano soluzioni ecologiche all’avanguardia, segnatamente in termini di isolamento e impermeabilità, così come sistemi ad alta tecnologia finalizzati a generare energia da fonti rinnovabili (pannelli solari, turbine eoliche, sistemi di recupero dell’acqua piovana, ecc.): nel prototipo Montfort che fa parte della seconda generazione di edifici ad energia positiva (BEPOS), capace di produrre fino al 50% di incremento energetico - il fabbisogno
globale è ottimizzato in modo che l’intero organismo edilizio possa consumare un terzo dell’energia di una casa tradizionale. Tra le opere di architettura emblematiche di Starck occorre ricordare il Groninger Museum (Groninga, Paesi Bassi, 1993), frutto della collaborazione con un estroso team di grandi progettisti (fra cui Michele de Lucchi, Coop Himmelblau, Achille Castiglioni, Robert Ostinelli, Francois Morellet e Alessandro Mendini), i quali hanno dato vita ad un edificio dai connotati fortemente riconoscibili, dove lo straordinario utilizzo dell’acqua, che circonda l’intero complesso espositivo, diviene l’elemento distintivo e predominante.
Francesco Saverio Mercadante Uno dei massimi compositori meridionali. Nella sua vasta produzione oltre sessanta opere teatrali di Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza La nostra terra è stata segnata, da circa tremila anni, da uomini e donne che l’hanno resa grande. Storia, teatro, pittura, scultura, musica, architettura, letteratura… Saverio Mercadante nacque forse ad Altamura in Puglia il 17 settembre del 1795, morì a Napoli il 17 dicembre del 1870. In un altro atto di battesimo, redatto nel 1808 nella parrocchia di S. Maria in Cosmedin a Napoli si legge invece che «il 26 del mese di giugno 1797» venne battezzato «Francesco Saverio Giacinto, figlio di D. Giuseppe Mercadante e D. Rosa Bia». La presenza di questo documento, redatto nello stesso anno in cui il padre lo aveva riconosciuto ufficialmente al fine di agevolarne la domanda di ammissione al conservatorio partenopeo di S. Sebastiano, ha indotto a sostenere che il Mercadante fosse nato a Na-
poli nel 1797. Allievo di Giacomo Tritto e Nicola Antonio Zingarelli, il suo esordio come compositore teatrale avvenne nel 1819 con L'apoteosi d'Ercole: nel 1821 lo troviamo alla Scala di Milano con Elisa e Claudio. Già in queste prime opere vengono fuori le caratteristiche dello stile di Mercadante: la nuova tecnica di orchestrazione, la drammaticità dei personaggi, il linguaggio armonico, tutti tratti rilevabili nella sua vasta produzione con
oltre sessanta opere teatrali, tra le quali emergono La testa di bronzo (1827), Il giuramento (opera) (1837), Il bravo (1839), La Vestale (1840), Orazi e Curiazi (1846) e Virginia (opera) (1866). Compose anche quattro balletti, sinfonie commemorative dedicate a Bellini, Donizetti, Rossini e Pacini, composizioni per orchestra, cantate, inni, musica sacra e da camera. All'inizio della sua carriera prevaleva la musica strumentale con marce, brevi brani per banda e pezzi came-
ristici. Nel 1817 gli fu affidata la direzione dell’orchestra, per la quale scrisse i famosi e vari concerti solistici, in particolare per flauto traverso (quello scritto nel 1814 ebbe una grande fortuna ed è ancora oggi in repertorio). L’editore Girard nel 1818 aprì il proprio catalogo con una sua arietta cameristica (Se di lei t’accendi) e stampò il Gran concerto a 2 clarinetti, flauto e corno da caccia obligati, con dedica dell’«alunno del R. Collegio di musica all’Augusta Maestà di Ferdinando Re del Regno del due Sicilie». Dal 1819 scrisse le prime scritture operistiche per il teatro San Carlo (L’apoteosi d’Ercole e Anacreonte in Samo) e per il teatro del Fondo (Violenza e costanza). All'estetica neoclassica nel periodo della Restaurazione si collega l'esordio operistico: con Maria Stuarda (dal dramma di Schiller) dimostrò l’attenzione anche per soggetti di gusto «moderno» (Teatro Comunale di Bologna, maggio 1821). Da
Napoli si trasferì a Roma frequentando il salotto di Paolina Bonaparte Borghese e presentò al teatro Valle Il geloso ravveduto e al teatro Argentina l’opera seria Scipione in Cartago oltre che Elisa e Claudio, melodramma, per il teatro alla Scala di Milano. Evidente in quegli anni la fusione di spunti neoclassici e spunti romantici, fusione coerente anche con i cambiamenti nella sfera della vocalità e l’ampia varietà di soggetti musicato dal Mercadante oltre che con le numerose soluzioni drammatiche, strutture morfologiche e scritture vocali. Con Andronico aprì la stagione di carnevale al teatro La Fenice di Venezia (1822). Nel gennaio del 1823 al teatro Regio di Torino presentò Didone abbandonata, dal famoso libretto settecentesco di Pietro Metastasio. Dopo i successi lombardi, l’artivissimo mpresario Domenico Barbaia gli offrì il posto di compositore stabile del teatro San Carlo, lasciato libero da Gioacchino Rossini. (Continua a pag.15)
segue da pagina 14 Successivamente lo troviamo direttore della musica dell’opera italiana a Madrid dove fu influenzato dalla musica tradizionale spagnola (in teatro presentò I due Figaro e il rifacimento de Il posto abbandonato). Un breve viaggio lo portò nel1827 a Milano e poi di nuovo a Madrid e da qui, in autunno, a Lisbona, dove scrisse La testa di bronzo e poi ancora a Cadice dove compose l’opera buffa La rappresaglia alla quale fece seguito, per la stagione successiva, ancora un lavoro buffo, Don Chisciotte alle nozze di Gamaccio. Nel 1830 ritornò a Milano e poi a Napoli e incontrò il soprano partenopeo Adelaide Tosi, con la quale, di ritorno a Madrid, intrecciò una relazione amorosa che divenne troppo pesante per il compositore («le attrattive di madamigella sono infinite ma sono più adatte a’ nobili che a’ maestri di musica», avrebbe scritto ad un amico). A Napoli scrisse con successo il melodramma tragico Zaira, a Torino: I Normanni a Parigi, a Genova Gabriella di Vergy, per un compenso pari a 2000 franchi (segno di ricchezza, fama e successo del Mercadante). Sposò in quel periodo Sofia Gambaro, una giovanissima vedova genovese (ebbe da lei tre figli) accettando anche per esigenze di famiglia (la sua e quella della moglie) il posto di maestro di cappella a Novara. A Parigi pubblicò Les soirées italiennes, una raccolta di liriche vocali da camera per i cantanti di moda che si esibivano nei salotti della capitale. Di quegli anni un sostanziale cambiamento del suo stile cambiando la struttura stessa del melodramma ottocentesco, con una maggiore ric-
chezza nella tavolozza orchestrale e con cori monumentali e un incremento della drammaticità. La scrittura del Bravo è la sintesi di questa «rivoluzione». Nel 1838 i primi problemi alla vista che lo condussero negli ultimi anni di vita alla cecità. Decise così di tornare a Napoli per il «desiderio di morire dov’ero nato, di essere utile al mio paese, di passare la vita vicino a quelli amici del cuore della prima età» e assunse la direzione del Reale Collegio di Musica vincendo ancora la concorrenza di Donizetti. Una decina circa i titoli degli anni seguenti e quasi tutti destinati alla piazza partenopea con la prevalenza del gusto neoclassico: Orazi e Curiazi (Napoli, S. Carlo, 1846), Virginia (tratta da V. Alfieri, scritta nel 1849), Medea (1851) e Statira (1853). Nel 1859 scrisse un’ultima cantata filoborbonica; negli anni seguenti fu direttore della musica nei teatri di Napoli fino alla morte nel 1870 (per la cecità dettò le Sue ultime opere agli affezionatissimi allievi).
IL PROVVEDIMENTO DEL GARANTE SULL’ ACCOUNT DI POSTA AZIENDALE di Luca Monsurrò Nell’esercizio dei propri diritti in materia di protezione dei dati personali, ciascun cittadino ha la facoltà di presentare una istanza al Garante Privacy Nazionale ai sensi dell’articolo 77 del Regolamento UE n.679/2016, nel momento in cui riscontra presunte violazioni di dati. Nello specifico, un lavoratore, tramite il suo legale, aveva rilevato che nella Società dove da poco era scaduto il rapporto di lavoro, non vi era stata, alla scadenza dello stesso, la contestuale disattivazione della posta elettronica aziendale e quindi si perpetrava il libero accesso ai messaggi ricevuti sul suo account. A seguito del reclamo effettuato dallo stesso, era emersa la mancata disattivazione della mail aziendale per oltre un anno e mezzo dopo la conclusione del rapporto di lavoro, dove la Società aveva avuto accesso alle varie tipologie di comunicazioni che erano pervenute, alcune anche estranee alla attività lavorativa. Ritenendo quindi illecito tale comportamento ai sensi dell’art. 57 par. 1 lett. f) e art. 58
par. 2 lett. b) da parte del Garante Privacy e riaffermando il principio che la protezione della vita privata si estende anche all’ambito lavorativo, si è reso necessario da parte della Società datore di lavoro, conformarsi ai principi della tutela dei dati personali anche per quanto attiene i trattamenti effettuati sugli account di posta elettronica aziendali. Infatti si rileva che lo scambio di corrispondenza elettronica (estranea o meno all’attività lavorativa) su un account di tipo individualizzato con soggetti interni o esterni alla compagine aziendale configura un’operazione che consente di conoscere alcune informazioni personali relative all’interessato, anche relativamente ai dati c.d. esterni delle comunicazioni (data, ora, oggetto, nominativi di mittenti e destinatari). Il Garante inoltre ritiene che “il contenuto dei messaggi di posta elettronica –come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati- riguardano forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza tutelate anche costituzionalmente, la cui ratio risiede nel proteggere il nu-
cleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali" (punto 5.2 lett. b delle Linee guida per la posta elettronica ed internet adottato dall’ Autorità nel marzo 2007) e che ciò, trasposto in ambito lavorativo, comporta la possibilità che il lavoratore
o soggetti terzi coinvolti (i cui diritti devono essere parimenti tutelati), possano vantare una legittima aspettativa di riservatezza su talune forme di comunicazione” . Tutele che devono essere tenute in considerazione anche nell´ipotesi in cui venga a ces-
sare il rapporto di lavoro tra le parti. Per tale motivo si è disposto l’iscrizione di questo provvedimento preso dal Garante nel registro interno delle violazioni, che è istituito presso la stessa Autorità e costituisce un precedente per la valutazione di eventuali future violazioni.
Accesso agli atti: l’applicabilità delle diverse fattispecie La tipologia di accesso non può essere riqualificata in sede giudiziaria Felicia De Capua La giurisprudenza amministrativa ancora una volta si esprime in merito alla distinzione tra le diverse tipologie di accesso agli atti contemplate dal nostro ordinamento. Da ultimo il Tar Toscana, sez. II, con la sentenza 20 dicembre 2019, n. 1748, afferma che la coesistenza di tre diverse specie di accesso agli atti non può indurre a ritenere che esista un unico e generale diritto del privato ad accedere agli atti amministrativi che possa farsi valere a titolo diverso. Esistono invece specifiche situazioni e determinati presupposti in base ai quali il privato assume titolo ad accedere alla documentazione amministrativa, con limiti e modalità diversificate nelle varie ipotesi. È onere del richiedente individuare quale tipologia di accesso azionare. Una volta effettuata la scelta, è su tale rapporto che si incardina la controversia e lo stesso non può dunque essere riqualificato in sede giudiziaria. Nello specifico i giudici toscani sono intervenuti su una questione nella quale l’impresa ricorrente è proprietaria di un
distributore di carburanti e di alcuni appezzamenti di terreno adiacenti a destinazione agricola. Una impresa concorrente ottiene il permesso di costruire per realizzare un nuovo distributore di carburanti a pochi metri di distanza, su un’area confinante con il terreno della prima. Nella relazione tecnica allegata all’istanza per il rilascio del permesso tale impresa comunica che le terre e le rocce da scavo estratte sarebbero state riutilizzate in loco per riempimenti. La ricorrente presenta all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana un’istanza di accesso agli atti, ai sensi della L. 241/1990, per ottenere copia della dichiarazione di utilizzo ex art. 21, d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 attestante la sussistenza dei requisiti affinché terra e roccia da scavo siano qualificate come sottoprodotti. La domanda viene respinta evidenziando nella parte motiva del provvedimento di diniego che le terre movimentate sono destinate al deposito su un terreno distante, di proprietà dell’impresa concorrente. Il diniego viene impugnato sostenendo che
l’ostensione dovrebbe essere consentita non solo in base alla legge n. 241/1990, ma anche sulla base di altre normative in materia di accesso e segnatamente da un lato, il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195 che riconosce il diritto di accedere ad atti aventi rilevanza ambientale a chiunque ne faccia richiesta, senza necessità di motivare il relativo interesse, e dall’altro ai sensi dell’art. 5, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 a titolo di accesso civico generalizzato. Il Tar, accogliendo la tesi difensiva dell’Agenzia e richiamandosi alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503, rileva che l’accesso agli atti è regolamentato da tre sistemi generali: il tradizionale accesso documentale ex artt. 22 ss., l. n. 241 del 1990; l’accesso civico cd. “semplice” concesso a “chiunque” per ottenere “documenti, informazioni o dati” di cui sia stata omessa la pubblicazione ex art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013, e l’accesso civico generalizzato concesso “senza alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva” in relazione a documenti non assoggettati all’obbligo di pubblicazione, ex art. 5, comma 2, dello stesso
decreto. Si tratta di istituti aventi un oggetto diverso e applicabili, ognuno, a diverse e specifiche fattispecie. Il Tar ritiene che ognuno di essi operi nel proprio ambito di azione senza assorbimento della fattispecie in un’altra, poiché diverso è l’ambito di applicazione di ciascuno di essi. Laddove quindi il richiedente abbia espressamente optato per un istituto, è precluso all’Amministrazione qualificare diversamente l’istanza al fine di individuare la disciplina applicabile. Inoltre il richiedente, una volta effettuata la propria istanza motivata dai presupposti di una specifica forma di accesso, non potrà convertire la stessa in corso di causa poiché questa si radica su una specifica ri-
chiesta e sulla relativa risposta negativa dell’Amministrazione, ed entrambe concorrono a formare l’oggetto del contendere. Le medesime considerazioni valgono con riferimento alla richiesta di riqualificare l’istanza di accesso alla stregua di una domanda di informazioni ambientali ex d.lgs. n. 195 del 2005, che a sua volta costituisce un sottosistema normativo disciplinante una fattispecie specifica di accesso. Ove riqualificasse l’istanza presentata dal richiedente l’accesso e decidesse in merito, il Giudice si sostituirebbe inammissibilmente all’Amministrazione in poteri che essa non ha (ancora) esercitato violando il divieto di cui all’art. 34, comma 2, c.p.a.
Viaggio nelle leggi ambientali RIFIUTI Quando da un’azienda o da una abitazione privata il liquame prodotto non viene preventivamente e legittimamente incanalato in uno “scarico” e, cioè, sulla base di quanto disposto dall’art. 185 del D.L.vo 152/2006, non si è attuata la legittima e reale trasformazione del “rifiuto liquido” iniziale (industriale o domestico) in una “acqua reflua di scarico”, il riversamento in una vasca, cisterna o qualunque altro contenitore che poi dovrà essere svuotato (come nel caso di un “pozzo nero”), comporta che il liquame resta giuridicamente un “rifiuto liquido di acque reflue” ed è dunque definitivamente soggetto alla disciplina sui rifiuti (parte quarta del
D.L.vo 152/2006). Cassazione Penale Sezione VII, Ordinanza n. 50432 del 13/12/2019. RIFIUTI Ai fini della configurabilità del reato di gestione di rifiuti non autorizzata, non rileva la
qualifica soggettiva dell’agente, bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità. Si è recentemente osservato che per individuare la natura non occasionale
dell’attività di trasporto, vanno considerati, anche alternativamente, dati univocamente sintomatici, quali, ad esempio, la provenienza del rifiuto da una determinata attività imprenditoriale esercitata da colui che effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto quando risultino indicative di precedenti attività preliminari, quali prelievo, raggruppamento, cernita, deposito. Cassazione Penale Sezione III, Sentenza n. 49718 del 06/12/2019. RIFIUTI Per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, ef-
fettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate dall’art. 183, comma 1, lett. bb), del D.L.vo n. 152/2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti. Cassazione Penale Sezione III, Sentenza n. 49732 del 06/12/2019. A.T.
IN ARRIVO LA NEVE ARTIFICIALE ED ECOLOGICA Un’innovazione nata in Trentino dalla combustione degli scarti del legno di Cristina Abbrunzo Più gli inverni sono caldi e sotto l'effetto dell'alta pressione, minori saranno le nevicate. Non è un problema di questi giorni, ma con il climate change la tendenza è evidente. E se non nevica, oggigiorno, bisogna sparare. Con buona pace di chi scia, ma un po' meno di quelli che pensano che innevare artificialmente non sia poi così sostenibile. Un impianto, da poco in funzione a Cavalese (Trento), sembra pero’ in grado di far cambiare idea. Lo scorso dicembre, nella sede della BioEnergia Fiemme di Cavalese, alla presenza di impiantisti e operatori del settore, è stato presentato il progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea che prevede l’utilizzo di fonti di energie rinnovabili (solare, termica e biomasse) e che permette la produzione di neve artificiale con l’uso della biomassa legnosa. Si tratta di un’innovazione assoluta nel campo del risparmio energetico e dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili come il legno prodotto dalle foreste di Fiemme. L’idea è nata dalla startup NeveXN con sede al Polo della Meccatonica di Rovereto. Sono occorsi otto anni di progettazione e sperimentazioni per realizzare sei macchine Snow4ever in grado di produrre neve artificiale da materiale di scarto. I generatori di neve programmata riescono a offrire il manto bianco anche a temperature che toccano i 16 gradi. I fondatori sono Francesco Besana, 41 anni, ingegnere di origine bergamasca; Fabiano Maturi, ingegnere di Pinzolo di 36 anni; Anna Vanzo, responsabile marketing originaria della Val di Fiemme, 40 anni. A produrre e commercializzare la macchina
Snow4ever il colosso altoatesino Demaclenko, del gruppo Leitner, azienda leader nell’innevamento programmato che ha creduto nel progetto e investito 2 milioni di euro. La riduzione dei consumi arriva a 10 kWh per metro cubo di neve prodotta a fronte di 25 kwh per metro cubo di altri concorrenti. La macchina può essere dotata di due tipi di motore: elettrico o termico. La caratteristica ecosostenibile riguarda l’alimentazione che può sfruttare l’energia termica derivata dal cippato, scarti della lavorazione del legno, segatura, trucioli, legname di recupero. La centrale di cogenerazione brucia cippato e produce energia elettrica e termica per il teleriscaldamento, l’impianto recupera il calore dei fumi della centrale e lo sfrutta per produrre la neve. Il cuore del sistema è un “evaporatore” e tutto il macchinario necessita di energia termica che può essere recuperata da fonti di energia rin-
novabili. Come ha spiegato l’ideatore del progetto l’ingegner Francesco Besana, a Cavalese è stato sviluppato un nuovo impianto di tri-generazione in grado di produrre simultaneamente e ad altissima efficienza, energia elettrica, energia termica per il riscaldamento delle abitazioni ed energia frigorifera sotto forma di neve. “È un sogno partito nel 2010 – ha esordito il giovane ingegnere bergamasco – che ci ha permesso di creare un prodotto esportato ormai in tutto il mondo. Si tratta di cannoni di terza generazione, che utilizzano la biomassa legnosa.”
Niente più acqua dunque, ma solo fonti rinnovabili presenti sul posto con un risparmio del 50% sull’energia elettrica. In pratica con questi cannoni si crea un sottovuoto spinto all’interno della macchina e il vapore residuo si trasforma in neve artificiale asciutta di eccellente qualità. Ma la novità sta anche nel fatto che i cannoni possono produrre neve a qualsiasi temperatura, dai meno 2 gradi a più 16 gradi sempre risparmiando il 50% di energia rispetto ai vecchi modelli. In pratica per produrre un metro di neve fresca si consuma solo 1 Kw/h contro i due dei cannoni tradizionali. Questi cannoni sono in grado
di produrre per ora solo 45 metri cubi al giorno. Ma il sogno dell’ingegnere della Demaklenco è di riuscire in futuro a produrre 200 metri cubi al giorno. L’ulteriore obiettivo è di riuscire in futuro a produrre su larga scala neve con energia solare termica. Lo studio di fattibilità è per altro già in fase avanzata. Intanto l’azienda, nella propria sede a Rovereto ha già realizzato 6 di questi impianti. Due sono operativi in Spagna, uno in Germania, uno può essere affittato, quello presso la BioenergiaFiemme di Cavalese e l’ultimo sta per essere installato in Norvegia.
IL CORAGGIO DI SAPER DEMOLIRE E COSTRUIRE Lavoro. Qualità di Vita. Economia. Famiglia. Giustizia per una Cittadinanza Sostenibile. Andrea Tafuro Il termine dieta deriva dal greco dìaita (δίαιτα), cioè stile di vita. Gli antichi greci usavano questo termine per riferirsi allo sforzo di adottare un tenore di vita ispirato alla sobrietà e alla concretezza sociale. Non pensavamo mica al loro aspetto fisico! Oggi per stile di vita intendiamo un insieme saldo e durevole di modi di agire, di comportamenti che rispecchiano l’ ordine gerarchico dei valori della persona o del gruppo di riferimento. Quindi lo stile è definito non da quelle scelte episodiche e diradate nel tempo, quanto da quelle che sono caratterizzate dalla stabilità temporale e dalla trasversalità ai diversi ambiti di vita e che fanno riferimento a precisi modelli sociali ed economici. Lo stile di vita, dunque, si realizza all’interno di una continua interazione tra il singolo con il suo orientamento valoriale e il sistema sociale che lo circonda, come a cerchi concentrici. Il contesto attuale rende urgente una riflessione sui nuovi stili di vita, che parta da questa prospettiva relazionale che coinvolge la famiglia nel suo rapporto con le cose, le persone, l’ambiente e il mondo. Lo stile è, quindi, una maniera di abitare il mondo. Forse è proprio immaginando una nuova cittadinanza sostenibile, che è possibile percorrere strade per comprendere che cosa rappresenta la ricerca autentica del bene comune. Abitare il mondo significa entrarvi come nella casa che ci genera e trasformarlo a nostra volta generando vita, giustizia,
LAVORO E QUALITÀ DI VITA “Lavorare significa fondamentalmente gestire le relazioni con il contenuto del lavoro, con le tecnologie impiegate, con le persone e con i diversi ruoli con i quali si interagisce, con l’organizzazione nella quale e per la quale si lavora” Francesco Avallone
fiducia, diventando speranza di futuro per le nuove generazioni. Abitare il mondo ha un senso passivo e attivo insieme: io abito nella casa come il mondo in cui cresco e abito la casa come un mondo che faccio crescere. Se il primo spazio è ricco di vita influirà sul secondo e il secondo fornirà l’orizzonte per non lasciar chiudere il primo nel privato. Al centro di questo progetto c’è la famiglia, che si pone come obiettivo principale di modificare secondo giustizia la struttura dei propri consumi e l’utilizzo dei propri risparmi, cioè l’economia quotidiana. Prima o poi un economista vincerà il premio Nobel spiegando il modo in cui una famiglia italiana riesce a rimanere in piedi pur avendo compiuto la scelta di mettere al mondo dei figli... voglio proprio vedere il modello matematico che verrà applicato dal terzo figlio in poi. Parlare di economia, famiglia e giustizia è, quantomeno, impegnativo, perché non vedo in giro un orizzonte etico condiviso. A chi avesse tali aspettative, ricorderò che voglio parlare meno di giu-
stizia e fare più giustizia. Iniziamo con il combattere l’invadenza e lo strapotere della razionalità economica a partire dal carrello del supermercato, con l’auto misurazione del bilancio familiare. E’ lì che si rendono visibili e si quantificano i cambiamenti effettuati nelle scelte economiche e si raggiunge un primo obiettivo: il contenimento dei consumi. In Supercapitalismo Robert Reich spiegava che, se da cittadini apprezziamo i diritti, da consumatori ci importa solo del prezzo. Mi ritorna in mente, la tragedia del Rana Plaza del 24 aprile 2013, quando un edificio commerciale di otto piani, crollò a Savar, un sub-distretto nella Grande Area di Dacca, capitale del Bangladesh, le operazioni di soccorso e ricerca si conclusero con il bilancio di 1129 vittime e circa 2515 feriti estratti vivi dal palazzo. In un servizio televisivo un’attivista se la prendeva con chi delocalizza: “Non serviva Rana Plaza per sapere in che condizioni producono. È la sagra dell’ipocrisia”. Ha ragione, sanno tutto, compreso che se il tuo for-
nitore ha una capacità produttiva di cento e gli chiedi mille è evidente che si rivolgerà a subfornitori. Ma se i grandi marchi se ne andassero quanti Paesi ripiomberebbe indietro di un’era? Non sarebbe più sensato restare e ridistribuire i profitti? L’onnipresente globalizzazione, la non più controllabile mobilità dei popoli e delle persone, il permanere di problemi associati all’esigenza di una maggiore giustizia sociale e distributiva, insieme alla crisi del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nel ricco occidente, hanno fatto prevalere comportamenti opportunistici e forme di bramosia che hanno reso palesi le debolezze e la pericolosità di una visione della crescita senza limiti. Lo sviluppo è diventato preda di malsani automatismi che hanno generato solo attese prive di futuro, hanno sperperato risorse ed energie. La condivisione della conoscenza e la fiducia nei talenti altrui generano valore aggiunto solo se vengono immaginati come alternativa alla crescita illimitata e onnivora delle risorse del pianeta. L’economia della famiglia è l’unica ad essere articolata secondo criteri di giustizia, poiché è l’unica forza capace di impedire al sistema economico turbocapitalista di volgersi contro gli esseri umani e la natura. Voglio che i miei figli passino dalla logica dell’ appropriazione indebita alla dottrina del non-attaccamento alla proprietà e alle cose.
Henry Minzberg, in “La progettazione dell’organizzazione aziendale”, scrive che un’organizzazione può essere idealmente raffigurata come un iceberg in cui i tratti affioranti sono costituiti dalle variabili hard, cioè la struttura, i ruoli, i prodotti/servizi, la tecnologia e le procedure che definiscono l’assetto organizzativo, e dagli elementi soft che costituiscono le cosiddette variabili sommerse, ovvero, gli atteggiamenti, l’ideologia, la cultura, i sentimenti, l’immagine, il clima, i valori, le norme di gruppo. Se, dunque, nell’agire collettivo i principi fondativi sono l’efficienza, l’efficacia e l’economicità, essi sono il prodotto di un mix di entrambe le variabili. La sfera pubblica negli ultimi decenni è stata investita da un profondo mutamento di contesto, per cui stiamo vivendo una marcata evoluzione delle forme organizzative. Viviamo quotidianamente sulla nostra pelle il passaggio da un tipo di struttura meccanico a una forma relazionale organica, se sino ad ora era la gerarchia la principale leva di integrazione, ora viviamo in strutture costruite sulla comunicazione verticale, orizzontale e trasversale. Ai processi di specializzazione si accostano processi di integrazione e gestione organica delle interdipendenze ed è in tale quadro operativo che diviene pregnante il fattore uomo, poiché è impulso cruciale per il buon funzionamento degli elementi strutturali per il successo organizzativo sia in un’ottica sociale che individuale. Investire risorse e tempo per il miglioramento del BenEssere organizzativo diventa, così, un aspetto decisivo per lo sviluppo e l’efficacia organizzativa, che influenza positivamente la capacità dell’organizzazione stessa di adattarsi ai mutamenti del contesto di riferimento. Tutto ciò è vero sia nel privato che nel pubblico, tanto più che la Pubblica Amministrazione è, da sempre, interessata da radicali cambiamenti che hanno imposto agli enti di cambiare il modo di operare e di agire consolidato. Essendo sottoposti a sempre più pressanti sollecitazioni e mutamenti si vanno perdendo quelle certezze che hanno caratterizzato per lungo tempo il lavoro pubblico. Oggi viene chiesto ai dipendenti pubblici di esprimere una professionalità sempre maggiore, ben visibile nell’offerta di servizi ai cittadini e costantemente monitorata sia all’interno che all’esterno. Oggi tutti i dipendenti sono sempre più in prima linea nel percorso del miglioramento, trovandosi a dover fronteggiare nuove complessità e nuove contingenze oltre che a cogliere quotidianamente i segnali nuovi che provengono dall’interno e dall’esterno. In un contesto organizzativo così complesso pertanto a fianco delle variabili hard (tecnologia, aspetti normativi, organizzazione verticale del lavoro), assumono sempre più peso le variabili soft legate alle persone (motivazione, comunicazione, relazioni, trasmissione e gestione delle conoscenze, condivisione dei valori).
Banksy al Palazzo delle Arti di Napoli “Un muro è una grande arma. È una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno” di Fabiana Liguori Si intitola “Banksy e la (post) street art” la collettiva dedicata al movimento artistico underground, in corso al Museo PAN (Palazzo delle Arti) di Napoli fino al 16 Febbraio 2020. Il curatore Andrea Ingenito propone al pubblico un’esposizione di settanta opere di quattro artisti dediti all’arte di strada: ad aprire il più discusso del momento, Banksy, per poi passare all’esuberante
e coloratissimo Mr. Brainwash, ai lavori di Obey, che sono inseriti come anelli di congiunzione tra le prime due sale, e per concludere il percorso l’italiano Mr. Savethawall. La scelta di cominciare la mostra con le opere di Banksy non è casuale, oltre ad essere uno dei principali protagonisti dello scenario artistico attuale ha un particolare legame con la città di Napoli. Risale al 2010 la sua prima misteriosa apparizione in città con il mu-
rales (poi purtroppo vandalizzato) rappresentante l’Estasi di Santa Teresa, dopo poco ci fu lo stencil in Piazza dei Girolamini chiamato la “Madonna con la pistola”, le prime tracce – e fino a poco tempo fa le uniche – del graffitaro inglese in Italia. Dei magnifici quattro, Banksy è senz’altro il più provocatorio, dall’ironia sottile e mai scontata, in perfetta sintonia con la singolarità della tradizione e cultura napoletana che spesso affronta proprio con l’humour e l’irriverenza le difficoltà quotidiane e le ingiustizie da parte del “sistema”. Le sue opere con un taglio a volte anche satirico, trattano tematiche complesse: le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l'omologazione, le atrocità della guerra, l'inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca e il maltrattamento degli animali. Per arrivare ai passanti, al cuore della gente e dei “potenti”, l’artista si avvale di diversi protagonisti nei suoi “racconti a muro”: scimmie, topi (celebri ormai i suoi rats), poliziotti, ma anche bambini, gatti e membri della famiglia reale. Manipolando abilmente i co-
dici comunicativi della cultura di massa, Banksy traspone questi temi atroci in opere piacevoli e brillanti, in grado di sensibilizzare i destinatari sulle problematiche proposte e di trasformare il tessuto urbanistico delle città occidentali in luogo di riflessione. Altra originalità del suo stile è la capacità di giocare sull’esito non scontato dei presupposti narrativi: la linearità delle sue figure, infatti, è sovvertita dalla presenza di elementi di dissonanza, che non invalidano la comprensibilità del
messaggio, bensì ne rinforzano il sapore sarcastico e sovversivo. Ammirare l’arte che, fino a ieri, era considerata solo figlia indocile della strada, in una vera e propria galleria è senz’altro un’ esperienza affascinante: la sperimentazione, la combinazione di alcuni “elementi” apparentemente lontani e discordanti, la continua ricerca di “incontri”, di nuovi canali di comunicazione, sono sempre una ricchezza, per l’arte, per la società e per tutta l’umanità.
Artigianato. Alla Reggia di Caserta un’iniziativa che fa bene ai cittadini e al territorio
Una nuova vita per gli alberi abbattuti dal maltempo Il maltempo che nelle scorse settimane ha stretto l’intera regione Campania (e non solo) ha, come spesso accade, procurato non poche conseguenze per l’ambiente e il territorio. Numerosi gli alberi danneggiati, abbattuti e destinati, senza alcun appello, a morire. Un interessante iniziativa, voluta da Tiziana Maffei, direttore generale della Reggia di Caserta, sembra invece essere orientata a dare “nuova vita” ai secolari “caduti” presenti nel Parco e nel Giardino Inglese del complesso vanvitelliano. Con un progetto sperimentale, finalizzato a contribuire all’attuazione degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, è stato pubblicato dalla direzione della Reggia un avviso pubblico per la cessione di ma-
teriali legnosi per finalità di recupero e valorizzazione, nell’ottica di favorire lo sviluppo di una filiera territoriale etica ed ecocompatibile. La partecipazione è subordinata alla presentazione e attuazione da parte degli operatori interessati di un progetto di riutilizzo che riesca anche ad esaltare il valore storico del legname e a ridurre la quantità di scarti da destinare allo smaltimento. Tale proposta deve essere correlata da un’offerta economica del materiale legnoso da destinare. L’aggiudicatario dovrà provvedere alla rimozione completa dei tronchi e dei rami, al caricamento e trasporto con modalità e mezzi idonei, alla pulizia dell’area limitrofa e alla sistemazione del terreno sottostante (entro 45 giorni dalla
sottoscrizione del contratto). È necessaria, successivamente, la presentazione di un report di sintesi e fotografico sulle lavorazioni svolte e sulle azioni di recupero e valorizzazione dei materiali acquisiti. È esclusa dalla procedura l’esemplare di Cupressus Macrocarpa abbattuto dagli avversi eventi atmosferici del 23 dicembre scorso. Il termine ultimo di presentazione delle domande è fissato il 10 febbraio 2020. Quello che può sembrare un piccolo esempio di “riutilizzo” di materiali di scarto è invece un’azione di triplice valenza: economica, perché da un evento, seppur naturale ma traumatico, come l’abbattimenti di alberi secolari, entreranno nelle casse della Reggia soldini reinvestibili; commer-
ciale, perché le botteghe artigianali aggiudicatrici dell’affidamento potranno ottenere materiali di altissimo pregio, con una spesa economica sostenibile, con cui realizzare manufatti unici e di qualità e dulcis in fundo: ambientale,
non solo per la nuova vita che avranno i “caduti” ma anche perché il denaro ottenuto dalla Reggia potrebbe essere utilizzato per la piantumazione di nuovi esemplari arborei, vitali per la salute del territorio e della popolazione.