ITALIA-COVID19: SI PASSA ALLA FASE DUE Il 4 maggio entra in vigore il nuovo decreto. Un primo e fondamentale passo per ritornare a una vita serena Fabiana Liguori “Avete dimostrato forza, ora inizia una nuova fase. Dobbiamo affrontarla con metodo e rigore”, queste le parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la presentazione del nuovo Dpcm, contenente le misure relative alla Fase 2- emergenza Coronavirus, in vigore dal 4 al 17 maggio 2020. Ma quali sono le “buone nuove” contenute nel documento istituzionale? Per pochi cittadini cambia qualcosa. Per molti, purtroppo, nulla. Le parole d’ordine sono sempre le stesse, dure e difficili da digerire: “mantenere la distanza sociale”. Dal 4 maggio gli spostamenti finora consentiti soltanto nel proprio Comune di residenza saranno ampliati all’intera Regione. Sarà possibile, inoltre, recarsi anche dai congiunti. Tutto adesso ruota attorno alla definizione di “congiunti”. Si attende, infatti, un’interpretazione ufficiale che ancora non c’è. A breve dovrebbe essere pubblicata una FAQ esplicativa sul sito della Presidenza del Consiglio. In ogni caso è consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Chi torna dall’estero deve rimanere in quarantena 14 giorni.
Altre piccole novità riguardano le passeggiate all’aria aperta: sarà consentito l’accesso ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici, seppur resterà vietato svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; individualmente si potrà fare invece attività sportiva nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale (almeno due metri per l’attività sportiva e almeno un metro per ogni altra attività). Cade quindi il limite di svolgere tale attività “in prossimità della propria abitazione” come previsto dal precedente decreto. È consentito, inoltre, andare in bicicletta. Per quanto attiene i servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), sarà consentita solo la vendita con consegna a domicilio, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per il confezionamento che per il trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. Aria di cambiamento anche per la celebrazione dei funerali, seppur con alcune limitazioni: saranno presenti fino a un massimo di 15 persone (parenti prossimi, preferibilmente all’aperto). Si potranno celebrare anche i matrimoni
con la presenza dei testimoni e dei parenti stretti. Le messe saranno ancora per un po’ essere seguite solo in diretta TV. Molti lavoratori resteranno ancora in ginocchio. Conte ha annunciato che solo dal 18 maggio potranno riaprire le attività di vendita al dettaglio, le mostre e i musei. Per quanto riguarda bar, ristoranti e attività di cura della persona (parrucchieri, centri
estetici e così via), la riapertura è prevista solo dal 1 giugno. I clienti dovranno entrare in maniera scaglionata. I centri commerciali rimarranno chiusi, non è stata ancora ipotizzata una data di riapertura. Chiusi anche i mercati rionali ad eccezione di quelli dove si vendono generi alimentari. Una tragedia sociale ed economica per tanti uomini e donne che tutt’oggi non hanno ancora ricevuto alcun aiuto sostanziale da parte delle Istituzioni. Il Governo varerà nuove azioni contro le speculazioni sulle protezioni individuali, le mascherine: il Presidente ha annunciato, infatti, che verrà fissato “un prezzo equo”, anche per remunerare le imprese in questo settore. Non resta che attendere la pubblicazione dell’ennesimo modulo di autocertificazione che sarà reso noto senz’altro in data utile, antecedente al 4 maggio 2020, giorno di entrata in vigore del nuovo decreto. Ma come sono state “accolte” in Campania le nuove direttive del Governo? Queste le parole del Governatore De Luca: "Ho avuto oggi un colloquio con il Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese in relazione al previsto esodo verso la Campania del 4 maggio e giorni successivi. Ho espresso fortissima preoc-
cupazione rispetto al fatto che arrivi di massa e incontrollati possono determinare espansione del contagio e vanificare i sacrifici fatti per due mesi dai nostri concittadini. Ho chiesto al Ministro che il Governo nazionale ribadisca che gli arrivi da altre regioni dovranno essere motivati da ragioni di lavoro o sanitarie e comunque autocertificati. Per quello che riguarda la Campania rimarrà fermo l'obbligo oggi vigente per chiunque venga da fuori regione, di segnalare all'Asl di competenza il proprio arrivo, così da poter procedere a controlli nel 15 giorni successivi. Invito fin d'ora i sindaci a segnalare alle Asl e alla Regione gli arrivi nell'ambito dei propri territori. È questa una funzione essenziale per consentire di tenere la situazione epidemiologica sotto controllo. Confermo che saranno mantenuti i controlli preventivi nelle stazioni ferroviarie e ho sollecitato il Ministro a esercitare analoghi controlli ai caselli autostradali e nelle stazioni di partenza". Siamo “certi” che il Governatore stia già pensando e valutando nuovi atti e soluzioni per “proteggere” la Campania, una regione che conosce bene, in tutte le sue fragilità e carenze strutturali, soprattutto in ambito sanitario.
Anche a Napoli si prepara la “fase 2” È il momento giusto per dare una svolta green alla mobilità, il Comune immagina una città in bici Giulia Martelli La “fase 2” dell’emergenza Covid19 sarà una grande sfida anche per i trasporti e per le congestionate strade delle nostre città perché, con le norme di distanziamento sociale, sui mezzi pubblici l’accesso sarà contingentato e sui marciapiedi bisognerà rimanere a un metro di distanza l’uno dall’altro. Ma come si sta preparando il Comune di Napoli a questa ripartenza? Il tema è stato affrontato lo scorso 21 Aprile durante il tavolo per la promozione della mobilità ciclabile convocato da Luca Simeone alla presenza degli Assessori Clemente, Felaco, Del Giudice, Palmieri e del Vice Sindaco Panini, dove si sono dati appuntamento in un “assembramento virtuale” più di cento tra decisori politici, rappresentati di associazioni, mondo produttivo, società civile e tecnici. In uno scenario futuro la ripartizione modale degli spostamenti sistematici automobilistici, a causa della paura di contagio che farà disertare il mezzo pubblico, con grande probabilità tenderà ad aumentare in modo significativo (i dati preliminari provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese vanno in questa direzione), superando anche l’intensità esistente prima delle attuali restrizioni. Questo potrebbe avere conseguenze negative a livello di inquinamento e per la salute di
“Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema” ognuno di noi, perché aumentando considerevolmente il numero di auto in circolazione, aumenterà il particolato nell’aria. La Fase 2 della mobilità a Napoli poggia, secondo Simeone, su tre punti-chiave: al primo posto c’è l’infrastruttura, in tempi brevi e a costi sostenibili si dovranno realizzare delle piste ciclabili di emergenza che avranno segnaletica orizzontale e verticale gialla coperta da un cordolo di gomma che viene installato in pochissime ore. Il secondo intervento è sui servizi: “C’è un bando aperto per il bike sharing,- ha dichiarato - mi auguro ci siano delle domande che mettono in campo un numero di mezzi, parliamo di circa seimila, adeguato alla sfida. Se ci fosse la necessità di integrare questa offerta credo che possa fare la sua parte anche Anm”. Il terzo elemento è quello culturale: il messaggio da lanciare è che se vogliamo ripartire con il piede giusto la bicicletta è fondamentale. Per spingere le persone in questa direzione è possibile immaginare incentivi economici all’acquisto, magari, della bici a pedalata
assistita che è perfetta per la nostra città, anche con l’aiuto dell’intermodalità. Un altro incentivo è quello dei buoni mobilità con le aziende che premiano quei dipendenti che vanno a lavoro in bicicletta. Ad illustrare il piano del Comune di Napoli l’Assessore Alessandra Clemente che ha parlato di una fase immediata di sperimentazione (maggiosettembre 2020) per la gestione post-emergenza, ed una fase di “resilienza” di medio periodo (settembre 2020-settembre 2021) per il consolidamento delle azioni previste. Per quanto riguarda le misure sull’offerta di mobilità la Giunta prevede di attivare nuove forme di trasporto con veicoli leggeri (bike sarin e monopattini sharing), di estendere le infrastrutture della rete ciclabile cittadina attraverso la realizzazione di una rete di mobilità di emergenza dedicata alle biciclette e alle forme di micro mobilità elettrica e l’incremento della dotazione di rastrelliere, infine, di realizzare una rete di infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici incentivando l’installazione di colonnine su suolo privato. In conclusione, l’Assessore ha annunciato la pubblicazione di un documento di dettaglio ed un crono programma per inizio maggio. Restiamo in attesa, consci che questa è un’occasione che non può andare sprecata per imprimere finalmente una vera svolta green alla mobilità cittadina.
Addio al filosofo Aldo Masullo Nelle ultime interviste il suo pensiero sulla pandemia in corso La scorsa settimana ci ha lasciato Aldo Masullo, filosofo campano, pensatore con la reale capacità di soffrire e di immedesimarsi nella sofferenza altrui. Nelle sue ultime interviste aveva parlato anche della pandemia in corso per la quale aveva inventato il termine «panpatìa», intesa come sofferenza universale. Nell’intervista rilasciata a Fiorinda Li Vigni per il sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici, nel ciclo Diario della crisi, pochi giorni fa dichiarava: «Fortunatamente mi pare che oggi la nostra collettività, invece di rimanere bloccata come altre collettività, si sia messa a rispondere con la maggiore efficacia possibile all’attacco di questo nemico». E ancora, al Corriere del Mezzogiorno e ilfattoquotidiano.it aggiun-
geva: “Il dramma dei giovani è la mancanza di prospettive. Come dirsi: non c’è più nulla da fare. È stato già fatto tutto. Questo evento stravolgente potrebbe dare loro uno scossone, come dirgli, fatevi avanti, il mondo adesso più che mai è vostro. La filosofia mi ha insegnato che nessuno di noi si salverà da solo. Viviamo nella sospensione di un tempo. Il tempo ci minaccia, è l’avvertimento interiore al nostro cambiamento. L’etica si propone di liberare non l’uomo dal tempo ma il tempo dell’uomo dall’essere un vissuto traumatico, e rendere il vissuto capace di sopportare le perdite e di consegnarlo a un vissuto sereno del proprio cambiamento, sostenuto dalla consapevolezza della ragione”.
L’appello delle Associazioni Ambientaliste per organizzare il post Coronavirus Tina Pollice L’esperienza del Coronavirus impone di ripartire mettendo al primo posto la salute ambientale, umana e degli animali. È l’appello accorato che le Associazioni Ambientaliste hanno rivolto ai presidenti delle Commissioni Permanenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e che rappresenta un elemento significativo nel progetto politico italiano post Covid-19. È lampante che al termine della crisi Coronavirus ci troveremo di fronte a due possibilità: la prima è quella di tornare indietro e continuare con gli errori fatti in passato, la seconda è quella di utilizzare questa crisi come un’opportunità per operare un vero cambiamento verso una società realmente eco-sostenibile. L’appello chiama alla necessità di mettere l’ambiente e la salvaguardia delle risorse naturali al centro del dibattito politico nelle future scelte del nostro Paese, anche nell’ottica della promozione della sua ripresa. L’ambiente è sempre stato, nella storia dell’umanità,
un elemento indispensabile al progresso dell’uomo, ma, con quello che stiamo vivendo oggi, ci rendiamo conto che dobbiamo pensare a un futuro sviluppando nuove modalità di interazione tra Uomo e Natura. Quest’opportunità deve essere colta nelle scelte strategiche a livello del nostro governo e della Unione Europea, con un rilancio della lotta ai cambiamenti climatici, nell’impegno al rispetto delle agende internazionali per la protezione dell’ambiente, nel lancio del “Decennio degli oceani per lo sviluppo sostenibile” e del decennio per il “Restauro ecologico”, promossi dalle Nazioni Unite. La quarantena obbligatoria di oltre un miliardo di persone sul pianeta, ha ridotto in modo straordinario l’impronta dell’Uomo sul nostro pianeta. È rallentata o invertita la tendenza all’accrescimento di concentrazione di gas serra e di anidride carbonica nell’atmosfera, è crollata la concentrazione di polveri sottili, responsabili di moltissime malattie respiratorie; si sta espandendo l’areale di distribuzione
di molte specie, le acque appaiono molto più trasparenti e depurate, e gli stock ittici beneficeranno sicuramente di una riduzione della pressione della pesca. È questa la prova che l’uomo può fare molto per cambiare il suo impatto sul Pianeta. Ed è anche la prova che le scelte future saranno premiate rapidamente in termini di qualità della vita e dell’ambiente se saranno orientate a principi di sostenibilità
ambientale. Queste scelte dovranno essere centrali non solo a livello governativo, ma anche nelle scelte a livello regionale e locale. “Il Paese deve ripartire nel modo giusto, realizzando la sostenibilità enunciata nei programmi dei governi nazionale ed europeo (il Green Deal) per la prosperità delle aziende e del Paese, mettendo al primo posto la salute ambientale e umana, come prerequisito per
un sano sviluppo economico. Il sistema delle aziende ‘green’ italiane, leader a livello europeo è pronto a dare il proprio contributo a queste auspicabili scelte politiche. Questo è il momento di innescare un nuovo inizio rispettoso della salute dell’ambiente, umana e degli animali”, scrivono. E aggiungono: “Ci siamo illusi di poter essere sani in un mondo malato” queste le parole di un grande uomo del nostro tempo, Papa Francesco. Occorre ripensare le priorità a cui far fronte e ridisegnare, con opportune leggi e scelte politiche, un sistema di produzione e consumo più sano e sostenibile. I paradigmi del passato hanno fallito, occorre disegnarne altri. Firmatari Appello: Marevivo; Accademia Kronos; Cetri-Tires Circolo Europeo Per la Terza Rivoluzione Industriale; Conisma; Fise Unicircular; Fondazione Symbola; Fondazione Univerde; Greenpeace Italia; Italia Nostra; Kyoto Club; Lav; Legambiente; Lipu, Birdlife Italia; Stazione Zoologica Anton Dohrn; Università UniCamillus; Wwf Italia.
Fase 2: ripartenza green per l’Italia con le proposte delle Ong dei ciclisti Anna Paparo Il countdown all’inizio della famigerata “Fase 2” è finalmente iniziato. E tutti stanno già vedendo come affrontare al meglio un primo graduale ritorno alla normalità. Così, le principali associazioni ciclistiche e alcune ong ambientaliste hanno deciso di mettere nero su bianco in una lettera aperta al Governo le loro proposte in vista della creazione di un pacchetto di misure per incentivare la mobilità sostenibile nella fase 2 dell'emergenza coronavirus. L’obiettivo fondamentale è quello di evitare che la gente prenda in massa l'automobile, visto che l'accesso ai mezzi pubblici sarà limitato per il rischio contagio. Partendo da questo aspetto fonda-
mentale, le associazioni come primo step hanno chiesto la realizzazione di infrastrutture per la mobilità pedonale e ciclabile, ovvero piste ciclabili, doppi sensi per bici, intermodalità con i mezzi pubblici. An-
dando avanti i ciclisti chiedono che siano introdotti massicci incentivi economici e finanziamenti per il potenziamento della mobilità sostenibile, facendo chiaro riferimento al mantenimento di misure come
le ZTL, la sosta regolamentata, le corsie preferenziali. Continuando a scorrere la lettera, troviamo, poi, la richiesta da parte delle ong della promozione dello “smart working”, accompagnata da una differenziazione degli orari delle varie attività economiche e degli uffici, senza tralasciare la consegna a domicilio, privilegiando ed incentivando naturalmente quelli su bicicletta e cargo-bike. A completare il pacchetto troviamo il “riconoscimento, promozione e finanziamento della mobilità attiva (pedonalità e ciclabilità) come modo di trasporto urbano resiliente”. Le associazioni ciclistiche propongono anche l'istituzione di un gruppo di lavoro tenico-scientifico che coordini le misure previste dalla
loro proposta su tutto il territorio nazionale. Infine, si chiede l’organizzazione di “campagne informative nazionali per stimolare stili di vita basati su forme di mobilità attiva, indispensabili per tenersi in salute e recuperare la forma fisica”. La missiva è stata firmata fra gli altri da Fiab, Salvaiciclisti, Legambiente, Bikeitalia, Kyoto Club e Fridays For Future. E Oltre al premier Conte, il documento è stato inviato al presidente della task force per la fase 2, Vittorio Colao, ai commissari Borrelli e Arcuri, ai ministri delle Infrastrutture, della Salute e dell'Interno. Un appello accorato caratterizzato da proposte concrete e totally green per una ripartenza al top per noi e per l’ambiente.
L’elettrificazione in Europa Pubblicato il report della società di ricerca BloombergNEF (BNEF) Bruno Giordano Il report pubblicato dalla società di ricerca BloombergNEF - BNEF e realizzato in collaborazione con Eaton e Statkraft, intitolato Sector Coupling in Europe: Powering Decarbonization, delinea un percorso di elettrificazione dei trasporti, degli edifici e dell’industria in Europa, in parte attuato e credibile considerando le politiche attuali dei Paesi presi in esame. L'elettrificazione o sector coupling darebbe un enorme contributo al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, fissati dai governi, sfruttando la transizione verso un sistema a basse emissioni di carbonio, già in corso nel settore della produzione di energia. L'elettrificazione si realizzerebbe attraverso un mix di cambiamenti diretti e indiretti. Quelli diretti implicherebbero una proliferazione capillare di veicoli elettrici nel settore dei trasporti e l’ampia diffusione di sistemi di riscaldamento elettrici, come le pompe di calore negli edifici e in alcuni ambiti industriali. I cambiamenti indiretti, comporterebbero un passaggio all'idrogeno verde, prodotto dall'elettrolisi,
utilizzando elettricità rinnovabile, come combustibile per riscaldare gli edifici, e, applicato al maggior numero possibile di processi industriali, che altrimenti utilizzerebbero
combustibili fossili. Secondo lo studio l'elettrificazione di altre aree dell'economia avrà ripercussioni significative sul sistema elettrico. I decisori politici dovranno supportare il
rafforzamento e l'estensione della rete per gestire volumi di energia più elevati, e, un numero maggiore di fonti energetiche rinnovabili oltre a sostenere l’implementazione di batterie e di altre fonti di flessibilità necessarie per bilanciare il sistema. Il sistema elettrico dovrebbe essere più flessibile a causa dei diversi modelli di consumo energetico di riscaldamento e trasporto, contestualmente i settori recentemente elettrificati potrebbero creare nuove fonti di questa flessibilità, potendo modificare i loro modelli di consumo, a condizione che siano messe in atto le politiche e le tecnologie giuste. Questo percorso di elettrificazione consentirebbe all'energia, direttamente e indirettamente, di indirizzare sino al 60% della domanda finale di energia da parte di questi settori, rispetto al 10% dell’attuale. La totale decarbonizzazione di questi settori sarebbe ancora molto lontana dovuto alle numerose attività difficili da ridurre al loro interno, tra cui aviazione, spedizioni, trasporti stradali a lungo raggio e processi industriali a elevate temperature come quello del cemento e dell’acciaio, e ai lunghi cicli di so-
stituzione di alcuni beni. Per ridurre ulteriormente le emissioni a zero, i governi dovrebbero introdurre politiche più ambiziose per accelerare il percorso di sector coupling e portare sul mercato altre tecnologie come la cattura, l'uso e lo stoccaggio del carbonio, CCUS. Bisognerà affrontare questioni legate all'agricoltura e all'impiego del suolo. Sarà importante soddisfare, la domanda di energia aggiuntiva, con energia pulita per massimizzare i benefici climatici del sector coupling. Il report conferma ciò che l'elettrificazione significa per la decarbonizzazione della società e il ruolo senza pari che le energie rinnovabili ricopriranno negli anni a venire. In futuro, le energie rinnovabili devono essere la soluzione. È dimostrata la necessità di grandi cambiamenti nella politica e nella progettazione del mercato, al fine di accelerare la transizione energetica e arrestare l'accumulo di gas serra nell'atmosfera e, sebbene le riforme essenziali per la regolamentazione della rete abbiano iniziato a progredire in tutta Europa, vi è molto da fare per replicare le best practice e incoraggiare ulteriormente l'innovazione.
A metà aprile l’87% dei dipendenti Arpac era in “lavoro agile”. La flessibilità organizzativa come risposta alla pandemia
Emergenza Covid-19 e Smart Working la connessione diventa relazione interpersonale Loredana La Via Loredana Pascarella* L’emergenza sanitaria dichiarata lo scorso 30 gennaio da parte dell’Oms e le regole di “distanziamento sociale” dettate dal Governo e dalle Regioni hanno imposto cambiamenti radicali alla società intera, sia da un punto di vista interpersonale che lavorativo. Le pubbliche amministrazioni hanno dovuto prenderne coscienza e agire in tempi rapidi per fronteggiare il rischio di interruzione di pubblico servizio, ricorrendo, come da normativa, a modalità di lavoro “agile” in tutti quei casi in cui la natura dei servizi erogati lo rendesse plausibile. A partire dalla Circolare 1/2020 del Ministro per la Pubblica amministrazione, è superato il regime sperimentale che caratterizzava l’introduzione di tali modalità spazio-temporali di lavoro, con la conseguenza che la misura opera a “regime”, incentivata dai successivi Dpcm emanati in conseguenza della fase emergenziale. Ma cosa è lo smart working o lavoro agile? Si tratta di una modalità di lavoro che slega la prestazione professionale dai tradizionali vincoli di spazio, tempo e strumenti depu-
tati allo svolgimento delle attività; diverso dal cosiddetto telelavoro (dove la persona resta vincolata a una postazione fissa e a limiti di orario prestabiliti), si basa su principi di flessibilità e responsabilità personale. Tutto ciò implica, quindi, una revisione della cultura organizzativa, revisione che in questo particolare frangente si è imposta tout court. Con le norme di distanziamento sociale, quindi con la riduzione ai minimi termini del campo di azione individuale nel dominio fisico della realtà, i bisogni umani e i servizi essenziali si sono riversati sulla tecnologia, per cui è aumentata esponenzialmente la nostra dipendenza dal digitale: le infrastrutture IT e il web diventano l’elemento principale che abilita l’interazione umana e quindi le modalità in cui comunichiamo, ci aiutiamo, studiamo o lavoriamo. Lo smart working è di certo una opportunità per tutti i lavoratori, ma anche per i dirigenti che, nonostante la iniziale preoccupazione di “perdere il controllo” sulla produttività del dipendente, di fatto stanno constatando persino un aumento della stessa: il lavoratore dipendente, sollevato dal trascor-
rere, secondo tutte le più recenti ricerche internazionali, in media (in Italia) circa 10 ore e 40 minuti a settimana per il viaggio casa-lavoro, vede migliorare la qualità della sua vita e di conseguenza, sensibilizzato e responsabilizzato, si ritrova ad aumentare la sua efficienza e la sua produttività, con considerevole vantaggio economico per l’Ente, ad esempio per la riduzione degli spazi, riduzione dei consumi, riduzione dell’assenteismo e soprattutto (questione rilevante anche in ragione della mis-
sion istituzionale di Arpac) con un sensibile contributo alla riduzione dell’inquinamento ambientale. E infatti la tecnologia, mai come questa volta, in una situazione emergenziale inimmaginabile fino a poche settimane fa, ha consentito da subito, a chi ha saputo farsi trovare pronto, di continuare a lavorare senza soluzione di continuità. E questo è proprio ciò che ha fatto Arpac che, in ottemperanza alle nuove normative, ha provveduto da subito a garantire il distanziamento sociale e la salute del suo personale agevolando, già dalla data del 17 marzo scorso, l’utilizzo dell’istituto del lavoro agile. Dopo qualche ovvia perplessità iniziale da parte dei dirigenti, questa modalità di lavoro si sta rivelando una opportunità per tutti i lavoratori e non ultimo per i dirigenti stessi. Ad un mese esatto dallo start up dello smart working in Agenzia possiamo fare le prime considerazioni, anche statistiche: i numeri relativi al personale che ha ricevuto l’autorizzazione per lo svolgimento del lavoro agile sono andati in queste settimane via via crescendo. I valori sono costantemente monitorati dal Servizio Sistemi informativi, che ha curato l’allineamento tra il numero
di utenti autorizzati e il numero di profili abilitati alla piattaforma in Cloud, anche per una questione di sicurezza, aspetto molto delicato quando si parla di lavoro agile con BYOD (Bring Your Own Device), ossia facendo lavorare i dipendenti con la strumentazione IT in loro possesso, non fornita dall’Ente. I dati mostrano che in poco più di un mese, ovvero dalla data in cui la prima autorizzazione allo smart working è pervenuta alla casella di posta dedicata, 12 marzo 2020, fino alla data 23 aprile 2020, sono stati abilitati in totale 466 utenti tra personale del comparto e della dirigenza. Ad oggi, quindi, su di un totale di 528 dipendenti, quasi tutto il personale Arpac (88%) svolge la prestazione lavorativa in SMW (grafico in basso). Nella grafico in alto vediamo la percentuale di smart workers in ogni macrostruttura agenziale (Struttura centrale e Dipartimenti provinciali). * questa autrice ha collaborato per la parte statistica (nel prossimo numero descriveremo più in dettaglio le soluzioni tecnologiche approntate da Arpac per consentire ai dipendenti di lavorare da casa durante l'emergenza Covid-19)
Clima, è il momento di agire Con il lockdown la natura torna protagonista: un messaggio per una ripartenza “green” Anna Gaudioso Nell’ultimo rapporto sullo stato dell’ambiente dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) si legge chiaramente che l’Europa deve affrontare sfide ambientali di portata e urgenza inaudite. Il mondo è chiamato ad affrontare sfide senza precedenti. Così come, senza precedenti si è affermato causando danni finora irreparabili il coronavirus, un nemico invisibile e spietato che sta distruggendo le nostre vite. Questi giorni di blocco quasi totale stanno mettendo a dura prova tutta l’umanità, senza distinzioni e senza frontiere, ma ci stanno dando anche la possibilità di pensare e agire in modo determinato, per la salvaguardia del Pianeta, anche se ovviamente si tratta di un risultato in un certo senso complementare rispetto agli scopi per i quali sono state adottate le misure di lockdown. Però, il fatto che la natura, nelle immagini che abbiamo visto in tv e sui social, si sia ripresa i suoi spazi, è un qualcosa che ci vuole far riflettere. “Ogni essere umano navigava per conto suo” ha detto papa Francesco nel corso di una preghiera speciale a
Arpa CAMPANIA AMBIENTE del 30 aprile 2020 - Anno XVI, N.8 Edizione chiusa il 30 aprile 2020 DIRETTORE EDITORIALE Luigi Stefano Sorvino DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO M. Cammarano, A. Cammarota, F. De Capua, G. De Crescenzo, B. Giordano, P. Falco, L. La Via, G. Loffredo, R. Maisto, L. Monsurrò, A. Palumbo, A. Paparo, L. Pascarella, T. Pollice SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/427/451 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it magazinearpacampania@libero.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 1-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali.
fine marzo. “Pensavamo di rimanere sempre sani in un mondo malato. Non è così”. Infatti, non è così. Questo terribile 2020 è stato preceduto da un 2019 che sarà ricordato come un momento di svolta per il clima e per l’ambiente in Europa e nel mondo. Abbiamo visto milioni di europei, di giovani e di persone di ogni età e di vari livelli economici e culturali che hanno partecipato a manifestazioni e hanno esortato il mondo politico a fare qualcosa per l’ambiente. Ricordiamo il movimento Fridays for Future che ha mobilitato migliaia di giovani. Il mondo scientifico, come sappiamo, fonda le sue preoccupazioni su prove concrete. Nella Relazione sullo stato dell’ambiente dell’Agenzia europea dell’ambiente (SOER 2020) sono state sottolineate la portata delle sfide che ci attendono e la necessità di un intervento immediato. Queste richieste si stanno ora trasformando in una tabella di marcia politica. Il Green Deal europeo presentato dalla Commissione europea a fine 2019 è un inizio promettente per il decennio cruciale che si è appena aperto, cioè una serie di misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l'ambiente la produzione di energia e gli stili di vita. Sicuramente l’obiettivo più bello a cui ambire è che nelle nostre vite un po’ egoistiche cambi qualcosa dopo questa grave emergenza che ci ha visti tutti coinvolti. Però l’Europa non raggiungerà i suoi obiettivi per il 2030 senza un’azione urgente nei prossimi dieci anni per affrontare il tasso allarmante di perdita di biodiversità, l’aumento degli impatti dei cambiamenti climatici e il
consumo eccessivo di risorse naturali. Alla presentazione del Green Deal europeo, Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione UE e coordinatore delle attività per lo European Green Deal, ha dichiarato che questa strategia è “perfettamente programmata per darci l’impulso aggiuntivo di cui abbiamo bisogno. Nei prossimi cinque anni metteremo in atto un’agenda veramente trasformativa, implementando nuove tecnologie pulite, aiutando i cittadini ad
adattarsi alle nuove opportunità di lavoro e cambiando le industrie, e passando a sistemi di mobilità più puliti ed efficienti e cibo e agricoltura più sostenibili. Ci saranno molteplici vantaggi per l’Europa e per gli europei se riusciremo a farlo bene, e anche la nostra economia e il nostro pianeta ne usciranno vincitori. Questa è una sfida globale urgente e un’opportunità unica per l’Europa”. Ma anche a noi è dato da fare la nostra parte senza sconti e senza scuse. Siamo tutti coinvolti.
Estate 2020, il Cilento propone gli “holiday bond” L’idea del Comune di Pollica-Acciaroli a sostegno degli operatori turistici Maria Cammarano L'epidemia di coronavirus oramai preoccupa anche per le sue conseguenze economiche ed uno dei settori che rischia maggiormente è quello turistico, vuoi perché destinato a ripartire più tardi rispetto ad altri e probabilmente a stagione turistica quasi terminata, vuoi per tutto quanto trapelato sulla fase due: drastica riduzione dei numeri ed adattamento delle strutture. Così dal Cilento una delle mete turistiche estive più belle e ambite della Campania - e precisamente da Pollica/Acciaroli e dal primo cittadino Stefano Pisani, arriva un'idea a sostegno degli operatori turistici: gli "holiday Bond". Mutuando il concetto dei più noti euro bond, gli "holiday Bond" sarebbero dei titoli di viaggio, dei voucher per le vacanze da acquistare a prezzi molto scontati e da sfruttare una volta finita la pandemia ovvero quando le attività turistiche saranno riavviate e comunque non oltre il dicembre 2022. Il valore nominale degli "holiday Bond" dovrebbe essere superiore a quello di acquisto. Per i turisti il vantaggio di acquistare pacchetti vacanza a prezzi davvero vantaggiosi e
quindi selezionare un hotel da 150 euro a notte ad un prezzo molto più basso ma non è tutto, oltre all’immediato sconto, i turisti avrebbero la possibilità di dedurre il bond acquistato dalla propria dichiarazione dei redditi. Per i turisti stranieri invece si potrebbe immaginare un meccanismo simile al "tax rembursement", un rimborso di valore pari a quello dell’Iva. Per gi operatori turistici, come ha spiegato il sindaco Pisani all’Ansa, la vendita della vacanza futura garantirebbe liquidità di breve termine e fatturato nel medio periodo. In sintesi "l’obiettivo degli "holiday Bond" è quello di sostenere economicamente il settore turistico stimolando la domanda prossima e futura; contribuire alla finanza a breve degli operatori senza aumentare il debito pubblico del Paese e mediante la vendita di vouchers; attivare il risparmio privato degli italiani per garantire liquidità alle piccole aziende". Naturalmente per permettere il perfetto funzionamento di questo meccanismo è necessario l'intervento dello Stato che dovrebbe defiscalizzare tutte le entrate derivanti dalla vendita degli "holiday Bond". "Il governo deve fare propria l'iniziativa, solo così sa-
rebbe realizzabile" ha dichiarato Pisani che, per questa ragione, ha sottoposto il suo progetto al Governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca e al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Il progetto comunque sembrerebbe aver già raccolto il placet della sezione campana dell'Anci ed avrebbe registrato l'interesse di Liguria, Emilia Romagna e di alcuni comuni veneti; inoltre l’Associazione nazionale comuni italiani, avrebbe fatto propria l'idea con
un progetto per far ripartire il turismo e garantire liquidità agli operatori, da subito. L'idea del primo cittadino Stefano Pisani è dunque sul tavolo del Governatore campano Vincenzo De Luca e del Ministro della Cultura e Turismo Dario Franceschini e i consensi ormai sono già tanti. Pisani, che racconta di essersi ispirato ai bond attivati per il settore della ristorazione, ha dichiarato: "Ci sembrava un'idea buona che si basava però solo sulla solida-
rietà e che avrebbe dovuto invece far leva anche su altro per essere del tutto appetibile; di qui il pensiero al vantaggio fiscale". Per il funzionamento pratico - infine - il Sindaco suggerisce la realizzazione di un software informatico ovvero "una piattaforma web based sulla quale potranno registrarsi sia gli operatori del settore, sia gli utenti interessati. Una piattaforma solidale che tra i vantaggi avrebbe quello anche di regolare il caos del settore extralberghiero".
“Campania On Show”: il patrimonio culturale della nostra regione raccontato dai cittadini Una bella iniziativa della Scabec, la società della Regione Campania per i Beni Culturali, per far conoscere l’altra Campania, quella dei borghi e di quei luoghi che sono fuori dai grandi giri del turismo di massa ma che sono comunque posti bellissimi, unici e straordinari. Tutti conosciamo l’immenso patrimonio culturale della Campania fatto di grandi siti culturali come Pompei, Ercolano, il Vesuvio, Paestum, di grandi musei come il MANN, Capodimonte, la Reggia di Caserta o di luoghi straordinari come Positano, Amalfi, Capri, la costiera sorrentina. Ma in Campania ci sono tanti,
ma proprio tanti altri luoghi e bellezze artistiche e culturali conosciute e apprezzate in tutto il mondo, basta pensare che in questa regione ci sono ben sei siti inseriti nel patrimonio mondiale dell’Umanità tutelato dall’Unesco tra cui il Centro Storico di Napoli, la costiera Amalfitana, il Parco Nazionale del Cilento, la Benevento longobarda e non solo! Ma non solo, sono tanti i luoghi “speciali, i borghi che nascondono uno straordinario patrimonio che ognuno di noi conosce ed ha nel cuore e che dovrebbero essere conosciuti da tutti. E per questo è nato “Campania on Show”, proprio per
dare a tutti la possibilità di raccontare questi luoghi inviando foto e/o video autoprodotti con anche testi, aneddoti, leggende che consentiranno di conoscere e scoprire un volto della Campania meno noto ma non per questo meno bello. Partecipare è semplice: basta inviare una e-mail (digital@scabec.it) o scrivere su Telegram (@Scabec) allegando, dopo aver letto il regolamento, foto e/o video autoprodotti inerenti l’immenso patrimonio culturale campano, la Scabec poi selezionerà i contenuti e le storie e le pubblicherà sui suoi canali social. (dal web)
Maggio e i primi caldi estivi Nell’ultimo mese della primavera il caldo si fa più deciso Gennaro Loffredo A Maggio la primavera è ben inoltrata e dovrebbero già intravedersi i primi caratteri dell’estate. In effetti non è sempre così e a volte il caldo estivo stenta a farsi sentire. Le temperature sono generalmente molto miti, le giornate si allungano ulteriormente e, grazie anche all’ora legale, possiamo goderci delle belle ore di sole fino al tardo pomeriggio. È il momento opportuno per riporre cappotti ed indumenti pesanti anche perché l’aria è tiepida sulla nostra penisola e pure sull’Europa centrale, per cui non si corre il pericolo di sgradevoli invasioni di aria fredda da nord. Eppure ci sono state delle eccezioni nel passato, l’ultima avvenuta lo scorso anno. Fu uno dei maggio più freddi di sempre, stante la presenza di un anomalo anticiclone che andò ad insediarsi sul nord Europa, in quella che in gergo definiamo “configurazione tipicamente invernale”. Ma si presentò come un evento abbastanza raro, in quanto a livello climatico questo mese rappresenta l’apripista della stagione estiva. In questo periodo dell’anno le regioni settentrionali si trovano ancora all’interno della fascia dove scorrono le perturbazioni atlantiche e le piogge sono ancora frequenti, mentre nelle giornate di alta pres-
La primavera più secca degli ultimi sessant’anni
sione le temperature possono già raggiungere valori tipici dell’estate. Questo perché il loro clima continentale permette a queste zone di riscaldarsi velocemente. Al centro e al sud Italia, invece, la pressione comincia ad aumentare, grazie all’avvicinarsi dell’anticiclone delle Azzorre e di conseguenza le piogge tendono gradualmente a diminuire. Al sud l’aria è abbastanza calda e piacevole, in genere si sta all’aperto a maniche corte. Il mare ancora freddo, tuttavia, non consente la colonnina di mercurio a schizzare su valori troppo elevati. A volte possono verifi-
carsi delle invasioni di aria calda ma, in ogni caso, non si rischiano le condizioni di afa, in quanto è sempre presente una certa ventilazione. Nelle giornate più calde i più intraprendenti possono già fare i primi bagni al mare. È il periodo stagionale dove risulta significativa l’instabilità pomeridiana sui rilievi. Durante le ore pomeridiane, infatti, il forte riscaldamento diurno favorisce la formazione di nubi convettive, che sfociano spesso nei classici temporali di calore che interessano principalmente le nostre montagne della penisola. Segno dell’estate sempre più vicina.
Chi l’avrebbe mai detto ma questa che è arrivata da poco più di un mese è la primavera più secca degli ultimi sessant’anni. A livello nazionale, infatti, manca all'appello ben il sessanta per cento delle precipitazioni, linfa vitale per la natura. A porre l’accento su questo problema è stata l'analisi di Meteo Expert-Meteo.it, secondo cui la prima metà della primavera meteorologica, ossia il periodo compreso tra l'inizio di marzo e la metà di aprile, è stata decisamente avara di pioggia. L'assenza di piogge di queste ultime settimane sta inasprendo sempre di più il problema della siccità che si trascina ormai da inizio anno: basti pensare che da gennaio ad oggi il nostro Paese ha ricevuto poco più della metà della pioggia che dovrebbe cadere normalmente, facendo registrare forti ripercussioni anche sulla portata di laghi e fiumi. All'Italia è mancato, poi, il volume di pioggia pari all'intero lago di Como. "Per ora si tratta della più elevata anomalia negativa primaverile degli ultimi sessant’ anni – con queste parole ha spiegato la situazione tragica Simone Abelli, meteorologo di Meteo Expert –. In particolare ha sottolineato che le regioni del Nord Italia risultano essere le più provate, con una anomalia del meno settanta per cento, ma sono in sofferenza anche le regioni del Centro e quelle del Sud, dove il deficit di pioggia è rispettivamente del cinquanta nove per cento e del quarantuno per cento. E ancora, "a livello nazionale – aggiunge – l'anomalia è del meno quaranta quattro per cento, poco più della metà rispetto alla norma. Da inizio anno sono mancati all'appello circa ventiquattro miliardi di metri cubi di acqua, il volume dell’intero lago di Como". Come detto più volte a farne maggiormente le spese sono ancora una volta le regioni settentrionali, dove l'anomalia è pari al meno quarantasette per cento, per un totale di circa nove miliardi di metri cubi di acqua in meno rispetto alla media. In tutto questo marasma, la zona più critica sembra essere il Piemonte - ha commentato Abelli. A Torino da inizio anno sono caduti solo 24 mm, tutti nel mese di marzo, pari a un deficit di meno ottantacinque per cento nei primi tre mesi e mezzo del 2020. La situazione non migliora molto se ci spostiamo al Centro e al Sud (-43%) dove, sono mancati all'appello rispettivamente da un lato 6,4 e dall’altro 8,1 miliardi di metri cubi di acqua rispetto alla media. Insomma, uno scenario davvero apocalittico, in cui l’oro blu fa sentire davvero la sua mancanza. A.P.
La Giornata Mondiale della Terra 22 Aprile 1970 - 22 aprile 2020, il 50° Anniversario Angela Cammarota Era il 22 aprile del 1970 quando venti milioni di americani si mobilitarono per protestare a seguito del gravissimo danno ambientale che coinvolse gli Stati Uniti. In California, precisamente a Santa Barbara ci fu la fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oi, a seguito del quale, il senatore Nelson decise fosse giunto il momento di portare le questioni ambientali all'attenzione dell'opinione pubblica e del mondo politico. Le dichiarazioni del Senatore Americano risuonarono in tutto il mondo: “Tutte le persone, a prescindere dall'etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”. Da quel giorno l’Onu ha istituito per il 22 Aprile la Giornata Mondiale della Terra. Sono quasi 200 i paesi coinvolti e che si impegnano attivamente a difendere il pianeta. Il 2020 è un anno speciale perché si festeggia il 50° Anno dell’Earth Day, tutti i cittadini del mondo sono chiamati ed invitati a partecipare a
questo “evento” ed a contribuire in azioni a difesa di “Madre Terra”. Il tema al centro della giornata Mondiale è il cambiamento climatico, la salute del nostro pianeta e della nostra terra sono inseparabili. Tutti noi siamo chiamati, con grande senso di responsabilità, a proteggere la nostra salute e quella del pianeta. Ognuno di noi in piccola parte
può contribuire attraverso semplici e banali gesti ed abitudini quotidiane. È necessario abbandonare vecchie tendenze per dare spazio a nuove forme anche di consumo che si presentano migliori per il pianeta e per la nostra economia domestica. Piccoli esempi che aiutano il pianeta e consentono un risparmio economico: spegnere le luci se non servono, non la-
sciare il cellulare ed altri apparecchi sotto carica più del dovuto, preferire l’acquisto di prodotti sfusi piuttosto che imballati, prestare attenzione e attuare una corretta raccolta differenziata, evitare di comprare contenitori usa e getta, non sprecare il cibo ma acquistarne solo il necessario ed utilizzare gli avanzi, preferire ed incentivare la mobilità sostenibile, promuovere
l’istallazione del fotovoltaico e tanto altro. In questo periodo stiamo affrontando e combattendo un grande mostro, il Coronavirus che di reale non ha nulla e tra le tantissime privazioni a cui ci ha sottoposto c’è anche quella di non permetterci di partecipare, fisicamente, ad iniziative ambientali. I tempi però son cambiati (anche in positivo) rispetto a cinquantanni anni fa, abbiamo la “fortuna” di poter accedervi attraverso il digitale. Potremo aderire ai festeggiamenti virtuali, ma, quello che più conta è diffondere nella vita di tutti i giorni la cultura della sostenibilità e promuovere la formazione di una coscienza ambientalista. Mentre in tanti paesi si spegneranno per qualche minuto le luci, anche di molti monumenti luoghi di simbolo, in segno di mobilitazione globale per il Pianeta, cosa indispensabile è collaborare tutti i giorni, non solo il 22 Aprile, per poter vincere la nostra sfida individuale contro il cambiamento climatico. “La terra è un bel posto e per essa vale la pena lottare”. E. Hemingway
La nostra sopravvivenza è legata a quella delle foreste È fondamentale insegnare ai bambini a preservare la natura e il patrimonio arboreo La deforestazione prosegue a un ritmo inquietante. Ogni anno vengono distrutti oltre tredici milioni di ettari di foresta. La deforestazione è la seconda causa dei cambiamenti climatici dopo i combustibili fossili. Gli alberi assorbono carbonio, diventando un vero e proprio deposito, il 20 per cento del loro peso è derivato proprio da questa sostanza. I motivi per salvare le foreste sono molti. Gli alberi sono gli esseri viventi più antichi del pianeta ci forniscono ossigeno, cibo e risorse. È nostro dovere difenderli ed è innanzitutto necessario insegnare ai bambini che la tutela delle foreste è fondamentale per il nostro futuro e la loro importanza contribuirà ad aumentare l’aumento
della popolazione globale. Affinché venga perseguita tale convinzione è importante sottolineare il ruolo fondamentale svolto dai genitori ed insegnanti, aiutare i bambini a entrare in contatto con la natura
può creare generazioni future consapevoli dei benefici degli alberi e delle foreste. Investire nell’educazione forestale dovrebbe dunque essere considerata una priorità per tutti i paesi. Per questo motivo da
anni si celebra il 21 Marzo la Giornata Internazionale delle foreste istituita nel 2012 dalle Nazioni Unite, al fine di accrescere la consapevolezza verso l’importanza del patrimonio arboreo presenti sul nostro pianeta. Il tema di quest’anno è stato “Imparare ad amare le foreste”. Istruzione e comunicazione sono fondamentali per raggiungere la gestione sostenibile delle foreste e la conservazione della biodiversità. Una foresta sana produce comunità sane ed economie prospere. Per far fronte a questa situazione in costante evoluzione, è necessario che ricerca e politica forestale, mettano in pratica interventi in grado di aiutare le foreste ad adattarsi alle condizioni in continua tra-
sformazione. Le modalità d’azione sono numerose, dalla valorizzazione delle risorse genetiche alla creazione e gestione di boschi misti per specie e a struttura diversificata. Anche il nostro Paese si sta attivando attraverso iniziative imprenditoriali e progetti , non ultimo quello della Filiera Solidale (ovvero l’acquisto di legname proveniente dai boschi danneggiati dagli eventi climatici ) al fine di contribuire non solo alla tutela della copertura forestale e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Ognuno di noi è chiamato a contribuire, dobbiamo salvaguardare e tutelare il nostro migliore amico simbolo di vita equilibrio e saggezza: “ L’albero”. A.C.
Le acque meteoriche di prima e di seconda pioggia In Campania manca una regolamentazione per il trattamento e le modalità di separazione Pasquale Falco In diversi opifici campani, nonostante non sia in vigore una regolamentazione circa i trattamenti e le modalità di separazione delle acque di prima pioggia da quelle di seconda pioggia e il loro trattamento, sono stati adottati accorgimenti finalizzati a ridurre il rischio di inquinamento ambientale correlato. Prima di descrivere tali accorgimenti adottati e le modalità, è necessario dare le definizioni tecniche e normative: • per superficie scolante si intende l’insieme di aree carrabili, piazzali, aree di carico e scarico e di ogni altra superficie coperta, rese impermeabili, all’interno di un opificio, le quali vengono dilavate dalle acque meteoriche; • le acque meteoriche di dilavamento sono quella parte delle acque di una precipitazione atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici scolanti; • le acque di lavaggio sono le acque, recuperate o attinte, utilizzate per il lavaggio delle superfici scolanti e qualsiasi altra acqua di origine non meteorica che interessi direttamente o indirettamente le dette superfici; • per evento meteorico si intende una o più precipitazioni atmosferiche, tra loro anche temporalmente distanziate, di altezza complessiva almeno pari a 5 mm/mq (le piogge si
misurano in millimetri su metro quadrato di superficie), che si verifichino o si susseguano a distanza di almeno 72 ore da un precedente e analogo evento; • con acque di prima pioggia si indica la quantità di acqua meteorica precipitata nei primi 15 minuti di un evento meteorico, che convenzionalmente è assunta pari ai primi 5 mm di acqua precipitata durante l’evento per ogni metro quadrato di superficie interessata scoperta, resa impermeabile e dotata di sistema di captazione e collettamento (le piogge si misurano proprio così, in millimetri su metro quadrato di superficie); • per acque di seconda pioggia si intendono le acque meteoriche di dilavamento derivanti dalla superficie scolante, servita dal sistema di drenaggio e avviata allo scarico nel corpo recettore in tempi successivi a quelli definiti per il calcolo delle acque di prima pioggia (dopo 15 minuti). Date le suddette definizioni, per quanto concerne le azioni da attuare, dettate dalla disciplina, queste consistono nel sottoporre a raccolta, convogliamento, separazione, accumulo, trattamento ed infine a scarico le acque le acque di prima pioggia e di lavaggio provenienti dalle superfici scolanti a servizio di attività produttive ben individuate; l’elenco delle attività è abba-
stanza lungo e comprende le industria petrolifere, industrie chimiche, di trattamento e rivestimenti dei metalli, per la concia e tintura delle pelli e del cuoio, produzione della carta e cartone, produzione di pneumatici, aziende tessili che eseguono stampa tintura e finissaggio di fibre tessili, produzione di calcestruzzo, aree intermodali, autofficine, carrozzerie, attività di deposito rifiuti, centri di raccolta e/o trasformazione degli stessi, depositi di rottami, depositi di veicoli destinati alla demolizione, stazioni di servizio per autoveicoli e distribuzione di carburanti, aree di opifici destinate, anche saltuariamente, al deposito, al
carico, allo scarico, al travaso e alla movimentazione in genere di sostanze riconosciute pericolose. L’ulteriore accorgimento da adottare consiste nel far convogliare, attraverso il sistema di collettamento, le acque di prima pioggia e di lavaggio che si generano dalle superfici anzidette, in una apposita vasca di accumulo a perfetta tenuta, definita vasca di prima pioggia. Quando il riempimento di questo manufatto, con acque di prima pioggia potenzialmente inquinata, è terminato, tramite un by-pass, le acque, in questo caso di seconda pioggia, pulite, non contaminate e separate da quelle di
prima pioggia, continuano ad essere convogliate e vengono scaricate in corpo recettore, in fogna, in corpo d’acqua superficiale ovvero sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo. Infine, va evidenziato che la vasca di prima pioggia deve avere una capacità di accumulo calcolata per trattenere complessivamente i 5 mm di pioggia per ogni metro quadrato di superficie scolante servita ed è soggetta a svuotamento entro 48 ore dalla fine della precipitazione, per il successivo trattamento depurativo da effettuarsi in loco o in impianti di trattamento/ smaltimento esterni. (ultima parte)
Le zanzare sono portatrici di Covid-19? La domanda che molti si stanno ponendo alla luce dell'emergenza Coronavirus Rosario Maisto Con i primi caldi stagionali tornano le zanzare, qualcuna ha già fatto la sua comparsa nelle città e in periferia da qualche giorno con l'addolcimento del clima o semplicemente non se n’è mai andata, infatti, come sappiamo questo insetto per potersi riprodurre ha bisogno di sangue umano o animale, quindi la domanda che molti si stanno ponendo alla luce dell'emergenza di Coronavirus è se la zanzara succhiando il sangue ad una persona infetta può trasmettere il virus pungendo subito dopo una persona sana. Sappiamo che la zanzara può essere portatrice di diverse malattie e non soltanto parassitarie come la malaria ma anche virali come il Dengue e la Febbre Gialla, tanto che ogni anno nel mondo ci sono decessi causati da questi insetti, vi sono tuttavia virus che non riescono a sopravvivere nelle zanzare o a infettarle, come quello dell'HIV o quelli responsabili di Ebola, quindi secondo i ricercatori, anche se non sono stati fatti studi speri-
mentali, probabilmente il COVID-19 non dovrebbe essere un virus che si trasmette per vettori. La zanzara per essere in condizioni di infettare al suo interno deve essere infettata essa stessa dal virus replicando l'agente patogeno, proprio come avviene per le persone, quindi dovrebbe essere in grado di trasmetterlo attraverso il suo pungiglione e non con il sangue che succhia perché questo finisce nel suo stomaco e lì resta. Ma la domanda è: se la zanzara ci punge dopo aver preso questo sangue infetto, qual è il meccanismo che essa crea al suo interno con il pungiglione? Subito dopo aver infilato il suo pungiglione attraverso la nostra cute, l'insetto ci inietta una sostanza anestetica e anticoagulante che ha la funzione di non farci avvertire il pizzico e fluidificare il sangue in modo che possa scorrere agevolmente all'interno del pungiglione, quest'iniezione è l'unico momento in cui il virus potrebbe trasferirsi, quindi il Covid-19 dovrebbe riuscire a superare lo stomaco e diffondersi in altre parti del suo or-
ganismo, infine poi raggiungere le ghiandole che la zanzara utilizza per produrre questa sostanza. Questa è una condizione abbastanza tortuosa per il virus, considerando che nell'apparato digerente delle zanzare ci sono sostanze che disgregano il sangue per poterlo trasformare in sostanze nutrienti utili all'insetto, in questo processo, gli eventuali virus presenti vengono quasi sempre distrutti, rendendo impossibile il contagio da parte della zanzara, in più, la durata della vita di una zanzara, è inferiore alla settimana, questo lasso di tempo è importante da tenere conto per i tempi di incubazione del Coronavirus che come sappiamo sono piuttosto lunghi, almeno 10 - 12 giorni. Comunque sia è da considerare che il Coronavirus si concentra nelle vie del nostro sistema respiratorio, mentre è meno presente nel sangue, quindi in via definitiva, anche se pungendoci una zanzara ottenesse una quantità di sangue con un'alta carica virale, questo difficilmente implicherebbe una sua infezione fortunatamente.
Attenzione alle bottiglie di plastica lasciate al sole Le alte temperature facilitano la contaminazione del liquido interno Bere una sola bottiglia d’acqua lasciata al sole non fa male ma gli esperti sostengono l'importanza di evitare l’uso costante di contenitori di plastica esposti al caldo estremo, perché la plastica rilascia una piccolissima quantità di sostanze chimiche nelle bevande o nel cibo che viene contenuto e, più la temperatura e il tempo di esposizione aumentano, più i legami chimici della plastica si rompono e aumenta la probabilità che le sostanze chimiche filtrino. La maggior parte delle bottiglie d’acqua che si trovano sugli scaffali dei supermercati sono fatte di un tipo di plastica chiamata polietilene tereftalato, o PET questa è riconoscibile dal codice di riciclaggio uno e accettata dalla maggior
parte dei programmi di raccolta differenziata per il riciclo, ma il calore accelera il rilascio di antimonio nelle bottiglie in PET. L’antimonio è utilizzato nella produzione della plastica e può essere tossico a dosi elevate, con un clima mite a circa 20°C la sostanza chimica nelle bottiglie d’acqua non si disperde, ma man mano che la temperatura aumenta avviene la contaminazione dell’acqua, infatti negli esperimenti condotti ci sono voluti 38 giorni perché le bottiglie d'acqua riscaldate mostrassero livelli di antimonio superiori alle raccomandazioni di sicurezza. Come regola generale, sì, il calore può facilitare la rottura dei legami chimici nella plastica, e le bottiglie riutilizza-
bili? Le bottiglie d’acqua che possono essere riutilizzate sono per la maggior parte fatte di polietilene ad alta densità HDPE o di policarbonato. L’HDPE è ampiamente accettato dai programmi di riciclo, codice di riciclaggio numero due, ma il policarbonato è più difficile da riciclare codice di riciclaggio numero sette, per rendere queste bottiglie resistenti e lucide, i produttori usano il bisfenolo-A o BPA, un composto che è stato criticato per la sua tossicità e ad alte temperature può essere rilasciato anch’esso in acqua, il BPA altera il sistema endocrino, quindi altera la normale funzione degli ormoni e porta a una serie di gravi problemi R.M. di salute.
LO SPAGNOLO CÉSAR MANRIQUE: ARTE, ARCHITETTURA, LUOGO Antonio Palumbo Dopo Gaudí pochi architetti si sono rivelati in grado di replicare l’estro strettamente connesso alle forme naturali che caratterizza tutta l’architettura del grande maestro catalano: uno di questi è certamente César Manrique, spagnolo di Lanzarote (nato ad Arrecife nel 1919 e scomparso nel 1992), insignito nel 1978 del Premio Mondiale per l’Ecologia e il Turismo. Pittore, scultore, architetto e artista multidisciplinare, dopo numerosi viaggi in molte parti del mondo (tra cui un soggiorno di vari mesi a Parigi, nei primi anni Cinquanta) Manrique si trasferisce a New York (la capitale indiscussa dell’arte a livello mondiale) nel 1964, per poi far ritorno a Lanzarote, dove si stabilisce definitivamente nel 1966. Nel suo ambiente nativo, sostenuto dall’amore per la propria terra e da un’ispirata ed estrosa personalità, egli avvia il suo progetto più singolare ed ambizioso: utilizzare l’isola come un vero e proprio laboratorio di architettura naturalistica ed ecosostenibile, attraverso il quale sperimentare le proprie idee artistiche e di difesa e promozione dei valori ambientali. A tal fine, nel 1974 (epoca in cui la cre-
scita turistica delle Canarie è in fase di pieno sviluppo) pubblica il libro-catalogo dal titolo “Lanzarote, arquitectura inédita”, in cui raccoglie le varie tipologie e i più importanti elementi architettonici locali, allo scopo di contribuire alla tutela del patrimonio culturale e delle bellezze naturali del luogo e promuovere un modello d’intervento sul territorio in chiave ecosostenibile: i risultati da lui raggiunti si rivelano decisivi ai fini della dichiarazione di Lanzarote, nel 1993, quale Riserva della Biosfera da parte dell’UNESCO. L’attività creativa di César Manrique si incentra intorno ad un nuovo pensiero estetico, denominato “Arte-Natura/Natura-Arte”, basato sul concetto di “arte totale”, in cui trovano spazio diverse espressioni artistiche e nel quale pittura, scultura, murales e architettura vengono inseriti in spazi naturali prescelti, le cui caratteristiche si adattano particolarmente ad un determinato tipo di intervento: Manrique sperimenta e concretizza tale presupposto artistico-operativo attraverso la realizzazione di singolari opere di arte pubblica e di architettura paesaggistica, come Jameos del Agua, la sua casa di Tahíche (odierna sede della Fonda-
zione César Manrique), Lago Martiánez e Jardín de Cactús. Jameos del Agua, ad esempio, è stato il primo “Centro d’Arte, Cultura e Turismo” ideato da César Manrique e rimane uno degli esempi più armonici del connubio arte/natura: l’architetto utilizza parte dell’interno del tunnel vulcanico per creare un auditorium naturale di straordinaria bellezza, accanto al quale spiccano un giardino di palmeti con un lago artificiale e il museo della “Casa dei Vulcani” (uno dei centri di ricerca più importanti del mondo). El Taro de Tahíche (odierna
Fundación César Manrique) è la spettacolare dimora costruita dall’artista-architetto dopo il suo ritorno da New York: ubicata nel mezzo di una colata di lava (originata dalle grandi eruzioni che colpirono l’isola tra il 1730 e il 1736), è la casa nella quale Manrique trascorse la maggior parte del suo tempo (vi visse, infatti, per 20 anni, dal 1968 al 1988). In questa struttura, che occupa una superficie di circa 3.000 mq, il dialogo tra l’edificio e la natura si esalta nella fusione simbiotica tra il vulcano e l’architettura che lo ricomprende.
Infine, altro intervento di fondamentale importanza, ubicato interamente sulla costa, è quello per il Lago Martiánez, un magnifico esempio di architettura paesaggistica aperta verso mare: con i suoi 33.000 mq, questo specchio d’acqua artificiale comprende cinque isole (che offrono ai turisti ristoranti, bar e discoteche), mentre le terrazze e i giardini di flora autoctona contribuiscono a creare un’atmosfera esotica e tutto l’ambiente, in cui sono collocate anche diverse sculture dell’autore, si adatta perfettamente alla tradizione costruttiva delle Canarie.
I vaccini al tempo dei Borbone Una pratica obbligatoria che Ferdinando IV sperimentò lui stesso insieme alla sua famiglia Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza Il XVIII secolo fu segnato radicalmente da una pandemia di vaiolo, decimando intere popolazioni. A seguito delle prime sperimentazioni di vaccino, condotte dai due medici inglesi J. Marshall e J. Walker, convocati nel Regno di Napoli per guarire i marinai britannici, Ferdinando IV, reputando il metodo valido ed efficace, introdusse la prima vaccinazione nel corso del 1802. Il Re rese il vaccino pratica obbligatoria e incoraggiò il popolo, sperimentando in primis lui stesso insieme alla sua famiglia al fine di darne il buon esempio. Il decreto uscì il 7 Maggio del 1807 per l’istituzione di un Comitato Centrale di vaccinazione con presso l’Albergo dei Poveri, un monumentale edificio costruito per accogliere poveri e senza tetto ed avviarli al lavoro. Il Comitato, composto da dieci soci ordinari, dodici vaccinatori e un segretario, era diretto dal chirurgo personale del Re, Michele Troja, affiancato dal medico salentino Antonio Miglietta. Il programma prevedeva la realizzazione di un lavoro di coordinazione tra
Comuni e Province, facendo fronte alla ritrosia e i tentennamenti della popopolazione, affinché vi fosse una diffusione capillare del vaccino sull’intero territorio. Ciò comportò dunque, la creazione di commissioni di vaccinazione provinciali e distrettuali a livello periferico. Le commissioni avevano il compito non solo di somministrare il vaccino all’intera popolazione da parte degli “intendenti”, ossia i vaccinatori qualificati, ma di documentare la stessa vaccinazione al Ministero Dell’Interno. Il Comitato centrale di vaccinazione, invece, si preoccupava di redigere progressivamente uno schedario generale che registrasse i progressi. Il programma di vaccinazione nacque come emendamento a carattere esclusivamente obbligatorio, che comportò la collaborazione delle rappresentanze territoriali suddette, amministratori comunali e medici, impegnati nella rivelazione di qualunque sospetta “epidemia vaiolosa, sviluppatasi nel proprio recinto”. Pertanto, la Commissione distrettuale era tenuta ad aggiornare il proprio rapporto mensilmente e comunicarlo all’amministra-
zione superiore, ovvero la Commissione provinciale. Il carattere perentorio e categorico del decreto rimase inalterato anche dopo il periodo francese, tale che il 6 febbraio 1821 la vaccinazione mirò alla salvaguardia dei bambini, lottando talvolta anche contro l’ostilità di quella fascia di po-
polo “scettica”, che viveva nell’ignoranza e nella miseria. Per vincere dunque la ritrosia di chi si opponeva al decreto, si richiese dapprima il supporto dei parroci i quali, nella loro veste di uomini di pace e di fede, nonché strategiche figure di manovra nel contesto sociale cittadino, avrebbero
contribuito a sciogliere i dubbi e placare gli animi, al fine di coadiuvare nella vaccinazione degli infetti. Inoltre, furono proprio i parroci ad essere incaricati di redigere un rapporto dei giovani vaccinati da consegnare alla Giunta comunale, di cui a capo il Sindaco. segue a pag.15
segue da pagina 14 La normativa del 1831 fu ampliata e nuovamente approvata nel corso del 11 settembre 1838, ribadendo gran parte degli emendamenti precedenti, di cui l’art.45, che vedeva i parroci impegnati nel “ predicare l'utilità della vaccinazione, e facendo conoscere il dovere strettamente imposto da Dio e dal Re a ciascun padre di famiglia di preservare da' mali la vita de' suoi figliuoli "; art 85, che sanciva l’obbligo di “ inculcare l'uso del vajuolo vaccinico, e far rilevare nelle istruzioni catechistiche ed omelie qual grave colpa commettasi da' genitori che lasciano esposta la vita de' loro figli al pericolo del vajuolo umano"; infine, comma 6 dell’art.45, che vedeva assieme ai parroci l ‘impegno delle levatrici, strategiche figure per la persuasione popolare, nella promozione del vaccino, pena la sospensione dell’esercizio. Esistevano due tipologie di somministrazione del vaccino: ricavandolo da altri esseri umani, secondo la modalità “da braccio a braccio”; oppure dal sangue delle vacche, seguendo gli studi iniziatici del medico inglese Jenner, primo nella sperimentazione del vaccino, che trattò pertanto già nel 1798 tali argomenti nel suo saggio a n inquiry into the causes and effects of the variolae vaccinae, a disease known by name of cow pox, nel quale dimostrò che l’immunità al vaiolo poteva essere ricavata
dalla somministrazione di un vaccino di derivazione sia animale sia umana . Ciò vide il formarsi di due scuole di pensiero a Napoli: da una parte lo studio del vaccino intrapreso dal Miglietta, che sosteneva l’efficacia della trasmissione braccio a braccio; dall’altra il medico napoletano Gennaro Galbiati, chirurgo ostetrico dell’Ospedale degli Incurabili, che sosteneva invece la somministrazione da derivazione animale, prediligendo quest’ultima alla tecnica “braccio a braccio”, più esposta alla trasmissione di gravi malattie, quali la sifilide. La diatriba tra i due medici comportò la nascita di due centri di ricovero: da una parte la vaccinazione intrapresa dal Miglietta, funzionario reale che assicurava vaccini gratuiti ed estesi a tutta la popolazione, secondo decreto; dall’altra nel 1810 Galbiati istituì un centro di produzione proprio di vaccino, a sostegno del proprio metodo. Il centro fu a carattere privato e soprattutto di controtendenza, poiché si opponeva alla procedura braccio a braccio offerta dal Miglietta. Vi furono, tuttavia, vari ostacoli al compimento del programma di vaccinazione, primo tra i quali la negligenza da parte di alcuni medici comunali che, noncuranti dei dovuti controlli, abbandonarono i bisognosi a se stessi in una situazione di laissez-faire generale, delegando l’incombenza all’amministrazione Provinciale.
Per sopperire a tale disastro, fu effettuato un censimento a servizio della Segreteria di Stato degli Affari Interni, con le indicazioni non solo dei pazienti ma anche dei medici intendenti, al fine di attivare controlli generali all’operazione e al prelievo del pus, indispensabile per ricavarne l’elemento essenziale per l’inoculazione. Qualora i medici e gli infetti, si fossero rifiutati di eseguire le disposizioni emanate, questi sarebbero stati esentati da qualsiasi beneficio della sovrana Munificenza a qualsiasi titolo. Il vaiolo fu una delle epidemie più devastanti dell’Età Moderna, e il 30 aprile del 1849 ancora in molti Comuni del Napoletano, la vaccinazione non era stata attuata del tutto. Si intervenne nuovamente con censimenti che stilassero il numero di bam-
bini infetti bisognosi del vaccino, e si richiesero ai Sindaci dei rispettivi Comuni l’analisi degli eventuali ostacoli e impedimenti che erano sorti per la realizzazione del piano strategico, affinché si potesse definire la risoluzione delle problematiche e garantire la diffusione capillare e definitiva della vaccinazione. Questo tema mai come oggi è ancora attuale: innanzitutto, oggi molti ripercorrono le stesse incertezze e perplessità sull’argomento, timorosi di effetti collaterali spiacevoli che possano invece renderci più vulnerabili. In secondo luogo, soprattutto oggi, che stiamo vivendo un periodo drammatico a causa del covid-19, un morbo ignoto che ha suscitato una devastante pandemia, esistono pareri discordanti sulla natura e l’origine del morbo, e le consequenziali modalità di
reazione e prevenzione. Infine, se nell’Ottocento il vaccino era ancora una novità che suscitava incertezze e pregiudizi, ora mai come oggi è fondamentale e sempre più attesa la scoperta di un vaccino nuovo, in grado di fronteggiare la situazione disastrosa che stiamo vivendo. Per cui, come diceva Guicciardini, la storia, sebbene sembra ripetersi, non si ripresenta mai allo stesso modo, sorgono sempre prerogative, contesti e premesse differenti che pregiudicano un dato storico. È bene dunque, che questa breve parentesi storica del nostro tempo ci faccia riflettere sulle debolezze che attanagliano la società odierna, al fine di costruire basi politiche, economiche e sociali solide, sperando di rialzarci in fretta e costruire un avvenire migliore.
SIAMO TUTTI “ IMMUNI” Via libera alla Applicazione nazionale di contact tracing Luca Monsurrò Il Commissario Straordinario per l’emergenza sanitaria da Coronavirus nominato dal Governo per rafforzare la distribuzione di strumenti sanitari in tutto il territorio Nazionale coadiuvato dalla Commissione Straordinaria denominata “Data Drive”, su impulso del Ministero dell’Innovazione Tecnologica, ha in questi giorni firmato l’Ordinanza n. 10 con la quale si dispone di procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software denominato “Immuni”, necessario a tenere sotto controllo il virus nella cosi detta Fase 2 del contagio, individuando una Società privata che gratuitamente offrirà il copyright al Governo e che si occuperà anche degli aggiornamenti necessari nel corso dei mesi a venire. L’intero sistema individuato è interamente gestito da uno o più soggetti pubblici ed il suo codice è aperto (open source) e suscettibile di revisione da qualunque soggetto indipendente che voglia studiarlo. Le caratteristiche di “Immuni” sono rappresentate dalla non obbligatorietà per i cittadini, che quindi possono scaricare l’Applicazione in modo volontario, dove un sistema di tracciamento dei contatti quotidiani, che sfrutta la tecnologia Bluethooth, consente di rilevare la vicinanza tra due smartphone nel perimetro di circa due metri e ripercorrere
a ritroso tutti gli incontri avuti da una persona risultata positiva al Covid -19, così da poter rintracciare ed isolare i potenziali contagi. Inoltre la peculiarità di questa App è rappresentata dalla possibilità di custodire una lista di codici identificativi anonimi di tutti i dispositivi che si sono incrociati, così che nel momento in cui si ha la conferma di essere stato infettato dal virus, si riceve dall’operatore sanitario un codice che scarica su un server i dati raccolti dalla sua App, con la lista quindi delle
persone con cui si è stati a contatto in un determinato periodo di tempo. Questo server calcolerà così il rischio che potrebbe incorrere il contatto, in base alla vicinanza ed al tempo di esposizione con il contagiato, e creerà un vero e proprio elenco di persone che verranno informate mediante notifica inviata appunto sul proprio smartphone. Altra funzione importante è data dal diario clinico del soggetto, cioè un database dove sono custodite tutte le informazioni più rilevanti dell’individuo quali sesso, età, malattie pregresse, assunzioni di farmaci, etc. e che saranno passibili di aggiornamenti continui in considerazione di eventuali sintomi e cambiamenti sullo stato di salute. Il cosi detto “contact tracing” necessita dell’adesione e della sensibilizzazione volontaria di almeno il 60% della popolazione per ottenere un risultato utile alla salute di tutti i cittadini ed al contempo deve rispettare anche le principali regole di tutela della Privacy quali proporzionalità, precauzione, temporaneità e pseudonomizzazione, nonché consentire la reale cancellazione dei dati aggregati ai fini di ricerca e/o statistica. La non eccedenza del trattamento dei
dati e l’individuazione di un server sicuro nel quale stanziare i dati in maniera protetta, tale da impedire usi e fini diversi dal consentito, e di cancellarli non appena termini l’utilità degli stessi, limitano certamente i diritti individuali dei singoli ma esclusivamente nella misura necessaria a salvaguardare quante più vite umane possibili. L’applicazione quindi non dovrà accedere alla rubrica dei contatti presenti sullo smartphone, non chiederà il numero di telefono personale e
non consentirà la geolocalizzazione degli utenti. Si auspica chiaramente che, vista la matrice Europea della normativa di settore, vedi Regolamento U.E. n. 679/2016, si utilizzi una App di valenza pan-europea, che consenta una lettura dei dati in modo uniforme su tutto il Vecchio Continente, e offra risoluzioni ad una problematica che purtroppo ha riguardato da vicino indistintamente tutti i paesi Europei, così come opportunamente segnalato dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati.
Tutela giudiziale per illegittimo diniego di accesso agli atti Il caso dell’omessa notifica ai controinteressati Felicia De Capua Il T.A.R. Marche Ancona con sentenza n. 213 del 14 aprile scorso si è espresso sul ricorso presentato dal ricorrente a seguito di provvedimento di diniego illegittimo tacito, formatosi sull’istanza di accesso avente ad oggetto tutte le domande pervenute all’ente nell’ambito di una manifestazione di interesse per servizi di assistenza tecnica, cui lo stesso richiedente aveva partecipato. Nel caso di specie i giudici marchigiani hanno accerta l’esistenza di "controinteressati", cui la pubblica amministrazione non ha inviato la dovuta notifica ex art. 3 D.P.R. 184/2006. In tal caso, affermano, il giudice adito non può condannare l’ente ad ostendere immediatamente i documenti, ma deve limitarsi ad ordinare l’incombente procedimentale di cui al citato articolo di legge, rimettendo all’ente stesso il bilanciamento e la ponderazione degli interessi contrapposti ovvero diritto di accesso e diritto alla riservatezza. Nel merito, nel
dichiarare il ricorso fondato, i giudici rammentano che il diritto di accesso agli atti è strettamente inerente al diritto alla difesa sancito dall’art. 24 Cost. Non è né l’amministrazione né il giudice adito che deve stabilire la concreta utilità degli atti richiesti dovendo limitarsi a verificare che l’istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e abbia invocato l’accesso per la cura degli interessi giuridici a scopo difensivo ex art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990. Il giudice dell’accesso non può che compiere una valutazione in astratto della necessità difensiva evidenziata dall’istante medesimo e della pertinenza del documento, non potendo giungere sino a sindacare la concreta utilità della documentazione ai fini della vittoriosa conclusione di quel giudizio (Tar Sardegna 11 febbraio 2019 n. 107). Piuttosto i giudici evidenziano, nel caso specifico, l’omessa notifica ai controinteressati, titolari di dati riservati oggetto del documento richiesto, che per legge devono essere chiamati a motivare l’even-
tuale diniego e consentire nella fase istruttoria del procedimento, la valutazione del bilanciamento dei contrapposti interessi, ovvero diritto di accesso agli atti e diritto alla riservatezza. Di conseguenza, nell’accogliere il ricorso, i giudici invitano l’ente a interpellare, entro cinque giorni dalla comunicazione della decisione in esame, i titolari dei dati ri-
servati eventualmente contenuti nei provvedimenti oggetto di istanza di accesso, al fine di verificare se gli stessi esprimano il loro dissenso all’accesso (entro ulteriori cinque giorni). In tal caso l’ente dovrà valutare l’eventuale presenza di dati riservati, fermo restando la generale prevalenza del diritto di accesso difensivo ai documenti amministrativi.
In esito alla valutazione degli eventuali dissensi e salve documentate ragioni di differimento nei casi previsti per legge, l’Amministrazione, entro 15 giorni dalla scadenza del termine concesso ai controinteressati, consentirà l’accesso e l’estrazione di copia (con relative spese a carico del ricorrente) degli atti richiesti con l’istanza de qua.
Viaggio nelle leggi ambientali DANNO AMBIENTALE Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 452 bis codice penale, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale o dell’ecosistema che, nel caso del “deterioramento” o squilibrio strutturale, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddi-
cio in questione deve essere proporzionato e giustificato dall’impatto positivo dell’intervento. TAR Toscana Sez. I n. 342 del 19 marzo 2020.
sfare. Si è ulteriormente precisato che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici. Corte di Cassazione Penale, sez. 3^, 23 marzo 2020, sentenza n.10469.
VIA - VAS La V.A.S., come anche la V.I.A., comportano scelte largamente discrezionali, nelle quali l’opportunità di un dato intervento viene posta a raffronto con i problemi che da esso derivano. È inevitabile che le scelte pianificatorie da sottoporre a V.A.S. comportino sacrifici per il territorio; peraltro il sacrifi-
VIA di competenza regionale La diretta efficacia dell’art. 27-bis del D. Lgs. n. 152 del 2006 (introdotto dall’art. 16, 2° co. del D. Lgs. n. 104 del 2017), rispetto alle istanze inoltrate agli organi della Regione, risulta subordinata, a norma del successivo art. 23, 4° co., al mancato adeguamento dell’ordinamento regionale nel termine perentorio di 120 giorni dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Prescrive infatti l'art. 23, 4° co.: “le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti esercitando le potestà normative di cui al-
l'articolo 7-bis, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dall'articolo 5 del presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. Decorso inutilmente il suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234”. Considerato, dunque, che il D. Lgs. n. 104 del 2017 è entrato in vigore dal 21 luglio 2017, la possibilità per le Regioni di adeguare i propri ordinamenti è venuta a scadere non prima del 21 novembre 2017. TAR Friuli VG Sez. I n. 102 del 13 marzo 2020. A.T.
La stampa 3D e il supporto all’emergenza Covid 19 L’innovazione tecnologica scende in campo con ingegno e generosità Cristina Abbrunzo In questi giorni la stampa 3D è tornata alla ribalta in modo inaspettato a causa dell’emergenza coronavirus. L’attenzione del pubblico e del legislatore per la manifattura additiva è stata risvegliata da una vicenda avvenuta sul fronte della “guerra” contro il virus, nell’ospedale di Chiari (in provincia di Brescia). Nelle settimane scorse i medici, a corto di valvole per le apparecchiature respiratorie della terapia intensiva e nell’impossibilità di acquistarne dalla casa madre, avevano la necessità disperata di trovare una soluzione per salvare le vite dei pazienti ricoverati. Attraverso il giornale locale, l’ospedale è stato messo in contatto con una piccola azienda del territorio, la startup Isinnova, che in 24 ore è stata in grado di risolvere il problema. Ma cerchiamo di capirci di più. Si chiama Charlotte e all’apparenza è solo una maschera da snorkeling, tranquillamente acquistabile dal sito di Decathlon per meno di 20 euro. Uno di quei visori integrali pensati per offrire una vista mozzafiato dei fondali marini e al tempo stesso facilitare la respirazione subacquea, ma che con l’applicazione di una valvola stampata in 3D si trasforma in una maschera respiratoria d’emergenza per terapia sub-intensiva. Christian Fracassi, fondatore di Issinova e la sua azienda
hanno riprodotto la struttura della valvola, creato un progetto e mandato in stampa 100 esemplari del prezioso dispositivo. Il fabbisogno dell’intero ospedale. Quella di Fracassi e Isinnova è una bella storia di speranza che arriva dalla creatività, ma di certo non l’unica. Nei giorni più bui della pandemia, le regioni maggiormente colpite dal virus hanno spontaneamente reagito all’emergenza con ogni mezzo necessario, compresa quella che può essere definita la più grande chiamata alle armi nella storia della stampa 3D. A Hong Kong alcuni ricercatori della Polytechnic University hanno messo a punto una maschera-scudo dotata di supporto per la fronte, molto si-
mile a quelle utilizzate nei processi di saldatura, da indossare sulle normali mascherine chirurgiche. Negli Stati Uniti, la compagnia privata FormLabs ha deciso di dedicarsi alla stampa di tamponi nasali, mentre Hp e Carbon, due tra i maggiori produttori di stampanti 3D al mondo, hanno annunciato di voler sostenere i loro acquirenti e aiutarli nella stampa di materiale utile a superare il difficile momento storico. Nel Regno Unito 1.400 imprese hanno risposto all’invito governativo di fermare il normale processo industriale per partecipare alla produzione di macchinari per la respirazione meccanica e tra queste anche la 3T Additive Manufacturing, compagnia di stampa 3D che
ha annunciato di poter aiutare con componenti minori in metallo e polimeri. L’Italia, ovviamente, non sta a guardare: in rete è nata una piattaforma che mette a disposizione il file per stampare in casa mascherine a basso costo, mentre la Wasp, azienda della provincia di Ravenna, ha da poco presentato le sue mascherine con filtri intercambiabili e un casco di protezione da microgocce unico nel suo tipo. Benché siano messi a disposizione gratuitamente e diffusi con la formula dell’open source, tutti questi progetti hanno un costo per i makers (in termini di spese elettriche, progettazione e materiali), ma si scontrano soprattutto con problemi di omologazione. Dovendo momentaneamente sostituire i fornitori originali di strumenti medici, infatti, non solo le produzioni devono rispettare determinati standard qualitativi, ma rischiano anche di violare brevetti, andando così incontro a sanzioni milionarie. A Chiari, come si è detto, si è arrivati alla stampa 3D per vie traverse. Stando a quanto dicono gli attori della filiera, non sono stati facilitati canali di comunicazione tra domanda e offerta, né da parte dello stato né da parte delle regioni. Se davvero questa tecnologia, come sembra, può fornire un supporto per risolvere delle mancanze urgenti, sarebbe dunque opportuno trovare un modo per indicare ai
produttori di oggetti stampati in 3D quali sono le necessità. Vediamo quindi quali sono le cose che si potrebbero fare per rendere il mondo della stampa 3D in grado di fornire un supporto utile in questa emergenza. I diritti di proprietà intellettuale non devono costituire un ostacolo. Per la startup di Brescia che ha realizzato le valvole destinate all’ospedale di Chiari, ad esempio, è stata paventata l’accusa di non aver rispettato i brevetti. Si tratta di un enorme problema per chiunque faccia reverse engineering (ovvero, partendo da un oggetto finito, lo studia e lo riproduce) su un pezzo brevettato e costituisce quindi un grosso deterrente per i maker. A tale proposito si è paventata l’ipotesi di richiedere una legge per sospendere temporaneamente i diritti di proprietà intellettuale sui prodotti medicali per ragioni di pubblica utilità. Inoltre è bene sottolineare che, soprattutto quando si tratta di dispositivi medici e dispositivi di protezione personale, la legislazione europea per la tutela del consumatore è molto severa e richiede un lungo iter di certificazioni prima dell’immissione nel mercato. Per ovviare alla mancanza di tempo, sarebbe auspicabile la creazione di un canale preferenziale da parte delle autorità preposte al controllo di questi oggetti. Addirittura si potrebbe pensare a speciali deroghe, come ha suggerito persino la Commissione europea, da applicare anche ai pezzi stampati in 3D che sono utilizzati in ambito medico. La stampa 3D ha indubbi vantaggi quando si tratta di piccole produzioni, di oggetti personalizzati o dal design complessi. La manifattura additiva annulla i tempi di adattamento e configurazione dei macchinari e permette di realizzare pezzi complessi e personalizzati senza far schizzare costi e tempi di produzione. Rimane quindi da capire come, una volta passata l’emergenza, sapremo approfittare dei benefici specifici di questa tecnologia e se il suo utilizzo in situazione di crisi ne spingerà una più diffusa adozione.
Che cosa potrà succederà dopo? Come crescere senza umiliare le persone? Andrea Tafuro Anno Primo dell’Era Covid19, siete tutti chiusi in casa in attesa dell’evoluzione del viruss. Attendete il masterplan della Fase 2, dove tutto il popolo dalla libertà costipata troverà risposta, forse, alle mitiche 5W che lo assillano: Who? (Chi?), What? (Che cosa?), When? (Quando?), Where? (Dove?), Why? (Perché?). Vivo la mia vita sospesa, nella speranza che sia una parentesi. Quante volte nel corso del XXI secolo A.C. (Ante Covid) avete sentito dire: “Dove andremo a finire se continua così?” I sacerdoti e i profeti oranti e adoranti del dio denaro, non hanno più verbo da vendere per invogliarci a consumare. Come tanti famelici roditori, masticano e rigurgitano tutti i loro evanescenti e vuoti prodotti. O’ viruss, viene fatto nascere a Wuhan città di oltre 11 milioni di abitanti, nella regione dell’Hubei che conta circa 60 milioni milioni di abitanti. Eccole le nostre megalopoli, abitate da orde sciroccate di ominidi dalle dita opponibili, che chiedono l’elemosina, offerta terminale della globalizzazione, per comprare gli ultimi scampoli di felicità. Tommaso Moro, nel 1516, pubblicò: Dell’ottima forma di Stato e della nuova isola Utopìa. (titolo originale: Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopìa). Il santo pensatore inglese, nel romanzo, affida la realizzazione della sua visione a Raffaele Itlodeo (Raphael Hythlodaeus), descrivendo il suo viaggio fantastico verso l’isola immaginaria di Utopia. Un non-luogo, dal greco ou, non e tópos, luogo. Nell’isola che non c’è vige un ordinamento politico articolato secondo giustizia e ragione. La parola utopia, quindi, oltre che luogo che non esiste, viene così a indicare anche il buon luogo, una eutopia (da eu, bene e tópos, luogo). Nell’isola di Utopìa, l’occupazione comune a tutti i cittadini è l’agricoltura (quanto servirebbe che molti ritornassero alla zappa!), per la quale vengono educati sin da piccoli. Oltre a ciò ognuno si dedica ad un particolare mestiere e nel
“Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere” Tommaso Moro tempo libero si dilettano in studi letterari, così che nessuno venga sopraffatto dalla pigrizia. La guerra è profondamente detestata in Utopia, poiché viene utilizzata solamente per difendere il territorio, per combattere i nemici che abbiano invaso le terre di amici o allo scopo di liberare un popolo dalla tirannia, poiché i torti fatti ad amici vengono puniti più aspramente che non i propri. Ogni regione o singola città possiede una propria religione, tuttavia esiste una divinità eterna e inspiegabile riconosciuta da tutti chiamata: Mitra. A lui attribuiscono l’origine e la fine di tutte le cose. Chi non è tollerante verso le altre religioni viene punito con l’esilio o la schiavitù. Utopìa esprime il sogno rinascimentale di una società pacifica dove è la cultura a dominare e a regolare la vita degli uomini. Credete sempre di essere voi a risolvere tutto, pensate che sia in vostro potere cambiare ogni cosa, avete in testa un modello che volete imporre, salvo poi trovarvi deboli e insicuri, incerti e spiazzati. Già! a volte ciò che cercate e fate non lascia traccia, ma solo vuoto. Esiste un luogo oggi, dove è possibile raccontare una nuova narrazione della vita, della società e del mondo? Esiste, un laboratorio di pratiche sociali alternative, un esperimento radicale di vita comunitaria, una Zona Temporaneamente Autonoma (TAZ), come l’avrebbe definita il teorico americano Hakim
Bey, dove gli abitanti come giapponesi nella foresta non si sono finora accorti della crisi che sta sconvolgendo l’intero mondo o meglio il suo modello economico? Qualche anno fa, l’Associazione Monastero del Bene Comune, nata nel 2009 presso l’antico monastero di Sezano, in provincia di Verona, promosse un incontro dal titolo: “L’audacia mondiale - Ripensare l’utopia”. Uno dei laboratori, dove si svolgevano i lavori, aveva l’obiettivo di produrre una lista delle distopie, cioè di utopie negative, dei dominanti e di quelle che costoro considerano utopie irrealizzabili. I dominanti trasformano in distopia qualunque tentativo di difendere i diritti
umani, stravolgendo e mistificando il significato di parole come solidarietà, democrazia, sviluppo. Nello stesso ambito furono premiati, poi, i Dottori Honoris Causa in Utopia. Tra gli altri, il riconoscimento fu concesso a New Hope, una cooperativa sociale di donne italiane e donne migranti ex-vittime della tratta, che aveva creato a Caserta un laboratorio di sartoria etnica. La motivazione fu: “per il coraggio e la capacità di trasformare il sogno di un’esperienza di lavoro e di economia sociale in un segno concreto di speranza”. Caserta? Ma siamo impazziti! Perché vi ho citato questo riconoscimento? Perché risponde alla domanda fondamentale dell’essere umano, spingendolo a non rinunciarvi neppure quando questo porta sofferenza. Il richiamo è all’ unica cosa al mondo che si moltiplica quando viene divisa: la speranza, l’utopia. Essa è diffusiva, cioè si espande quando viene condivisa, pensate è un’esperienza paradossale, cresce quando viene donata, diminuisce quando è trattenuta. Forse le difficoltà a diffondersi, dipendono dall’avarizia indotta dal continuo richiamo a una vita dove il risparmio viene vissuto in modo improprio, cioè come una forma d’opportunismo che deve essere compensata dal consumo. Anche il consumo può andare bene, quando,
però, è presentato come l’agire di un roditore che usa cose e persone per compensare le sue frustrazioni, allora quello che avviene è che ci si consuma, cioè si corrode e si erode la base d’umanità su cui dovrebbe edificarsi la libertà come capacità di sperare #aggratis. L’io cerca il tu, non l’esso, come ha sottolineato il filosofo Martin Buber. La nostra libertà non si specchia nell’uso, ma in ciò che, oltrepassando l’uso, testimonia che la libertà sovrasta il bisogno. Si tratta della capacità oblativa, che supera la funzionalità. Oblativa vuol dire essere costruttore di sogni, senza aspettarsi nulla in cambio. Significa instaurare relazioni lavorative nelle quali ci sentiamo sicuri e quindi non proviamo in modo elevato sentimenti di gelosia e prevaricazioni. Riconsegnare le nostre utopie a chi le ha smarrite, a questo punto, diventa la meta paradossale di chi desidera affermare sé stesso. Nella nuova era che si apre, nel nuovo sol dell’avvenire che sorge all’orizzonte voglio sentirmi come una piccola vela contro un uragano, perché con quel poco che ho, voglio gustare l’infinito, l’inimmaginabile, l’incalcolabile. Voglio essere come il figlio di Madonna Pica, il mio amato Francesco: “… restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi...”.
EMERGENZA CORONAVIRUS
Nasce il numero verde di supporto psicologico L’emergenza Covid-19 sta mettendo a dura prova la tenuta psicologica delle persone alle prese con una situazione inedita nella sua drammaticità. Il timore del contagio, le misure di isolamento, tanto indispensabili sul piano sanitario, quanto difficili su quello umano, la solitudine, i lutti, le incertezze economiche: tutti elementi che possono far nascere attacchi di ansia, stress, paure, disagio. Per queste ragioni dal 27 aprile è operativo il numero verde di supporto psicologico 800.833.833, attivato dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile, con l’apporto tecnologico offerto gratuitamente da TIM. Il servizio è attivo anche dall’estero (02.20228733) e sono previste modalità di accesso anche per i non udenti. “È una risposta strutturata ed importante messa in atto accanto a tutti gli sforzi della Sanità italiana per fronteggiare
al meglio la sfida al Coronavirus. In questo momento è fondamentale essere vicini alle persone che hanno bisogno di un sostegno emotivo, dare ascolto alle loro fragilità e affrontare insieme le paure”, queste le parole del ministro della Salute, Roberto Speranza. Tutti i giorni, dalle ore 8 alle 24, professionisti specializzati, psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti, daranno risposta alle richieste di aiuto. L’iniziativa punta ad affiancare, in questa fase di isolamento sociale, tutti i servizi di assistenza psicologica garantiti dal SSN: è sicuro, gratuito e organizzato su due livelli di intervento. Il primo livello è di ascolto telefo-
nico, l'obiettivo è fornire rassicurazioni e suggerimenti, aiutare ad attenuare l’ansia davanti ad una quotidianità travolta dall’arrivo dell’epidemia e si risolve in un unico colloquio. Per rispondere all’esigenza di fornire un ascolto più approfondito e prolungato nel tempo, le chiamate saranno indirizzate verso il secondo livello di cui fanno parte, oltre ai servizi sanitari e sociosanitari del SSN, molte società scientifiche in ambito psicologico. Le richieste di sostegno saranno inoltrate dal primo livello anche in base alle loro specificità: ad esempio, psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, dipendenze, psico-onco-
logia. I professionisti del secondo livello offriranno colloqui di supporto, ripetuti fino a quattro volte, via telefono oppure on line. L’obiettivo è fornire consultazioni esperte attraverso un ascolto empatico del dolore e dell’angoscia connessa all’emergenza, favorendo così l’attivazione di un processo di elaborazione dell’evento traumatico. Tutto ciò consente a chi chiede aiuto l’acquisizione di competenze emotive e cognitive utili per affrontare anche il post-emergenza. Il servizio coordinato dal Ministero della Salute, dalla dottoressa Mariella Mainolfi, con il supporto tecnico della dottoressa Maria Assunta Giannini, vede la partecipazione di diverse associazioni e società scientifiche di area psicologica. Del primo livello fanno parte più di 500 psicologi dell’emergenza afferenti alle Associazioni del Volontariato della Protezione
Civile: Federazione Psicologi per i Popoli, la Società Italiana di Psicologia dell'Emergenza, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, il Centro Alfredo Rampi. Al secondo livello partecipano oltre 1500 psicoterapeuti volontari delle seguenti società scientifiche iscritte nell’elenco del Ministero (D.M. 2 agosto 2017) e facenti parte della Consulta CNOP: l’Associazione Italiana di Psicologia (AIP), l’Associazione Italiana Psicologia Psicoanalitica (AIPA), la Federazione Italiana delle Asso- ciazioni di Psicoterapia (FIAP), Soci Italiani European Federation for Psychoanalytic Psychotherapy (SIEFPP), la Società Italiana di Psico-oncologia (SIPO), la Società Italiana di Psicologia Pediatrica (S.I.P.Ped), la Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC), la Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) e la Società Psicoanalitica Italiana (SPI).