COVID 19: LA CAMPANIA È PRONTA A RIPARTIRE
Ma mai abbassare la guardia La pandemia vista con gli occhi dei più piccoli
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Lockdown e qualità dell’aria in Campania
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Il Museo delle Arti Sanitarie di Napoli
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La pandemia vista con gli occhi dei più piccoli Intervista a Francesco Tonucci ideatore de “La città dei bambini” Giulia Martelli Siamo alla Fase 2 e quello che davvero conta adesso è ripartire cercando di non incorrere negli errori del passato. Gli adulti, presi dall’emergenza e dalla singolarità di questo evento hanno dimenticato che le giovani generazioni sono quelle che più di tutti hanno “combattuto” questa - definita su più fronti - guerra, rinunciando alla loro quotidianità e alla loro libertà in nome dell’unica arma capace di ridimensionare il nemico: il distanziamento; ed oggi, che si va verso la ripresa, questo sacrificio non può essere ignorato. Ci si aspetta dalla comunità educante e dalle istituzioni che si inizino a domandare davvero quali sono i loro bisogni; aprire i parchi cittadini soltanto nella fascia oraria in cui i più piccoli sono impegnati in casa nella didattica a distanza ci fa però capire che non siamo sulla strada giusta. È il momento di cambiare rotta. Ne abbiamo parlato con Francesco Tonucci, filosofo, psicologo e disegnatore, ideatore già nel 1991 del visionario progetto “La città dei bambini”, oggi diffuso in oltre quaranta città nel mondo che propone ai sindaci di modificare la filosofia
di gestione delle città, assumendo il bambino come parametro, abbassando l’ottica dell’Amministrazione fino alla sua altezza, accettandone la diversità a garanzia di tutte le diversità perché se la città è più adatta ai bambini, sarà più adatta per tutti. La Sua filosofia mette in primo piano il gioco quale diritto vero e proprio del bambino, perché questa attività ha un potere così grande? Il gioco è fondamentale perché grazie ad esso, sin dai
primi anni di vita, si mettono le basi su cui si costruiranno la conoscenza, le relazioni sociali, gli affetti di tutta la vita. Una delle condizioni fondamentali per questa esperienza è l’autonomia, la libertà anche dallo sguardo adulto, lo spazio urbano deve assecondare questa esigenza che nel confronto con i pari sarà scelto come luogo di gioco. Il progetto “La città dei bambini” prevede per i Comuni aderenti l’istituzione dei Consigli dei Bambini. Di cosa si tratta? Si tratta di gruppo di bambini che, riunendosi in veri e propri Consigli, offre agli adulti il proprio punto di vista, esprime i propri bisogni e suggerisce proposte. È una reale partecipazione, nel rispetto dell'art. 12 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia. In questa situazione di reclusione forzata cosa è cambiato per i bambini? Quali sono state le difficoltà maggiori che hanno raccontato? Quando è cominciata questa reclusione forzata abbiamo chiesto ai Sindaci della nostra rete di convocare - seppur virtualmente - i Consigli dei bambini perché tutti si stavano preoccupando di sapere da psicologi come si dovevano comportare i genitori, da pedagogisti come si dovevano comportare gli insegnanti ma a nessuno era venuto in mente di ascoltare loro, i diretti interessati. Da questi incontri
sono emersi i loro bisogni, desideri, tra le mancanze in primis quella dei compagni, i bambini hanno voglia di ritornare a scuola perché hanno bisogno di ritrovare gli amici. Questo è un dato sicuramente importante e su cui riflettere. Per le esperienze che ho potuto conoscere, la scuola in questo periodo ha limitato la didattica all’incontro con i saperi codificati (i contenuti, i compiti, le lezioni frontali online), questa è la parte della scuola che ai bambini interessa meno ed è anche quella che purtroppo funziona meno. L’altra cosa che è cambiata per i bambini è la presenza dei genitori in casa, per molti è stata un’esperienza positiva ma naturalmente in una situazione così forzosa, così innaturale di convivenza coatta ed ininterrotta, si possono creare anche dei conflitti, per questo io ho sempre raccomandato alle famiglie di offrire ai bambini delle “vie di fuga”, come ad esempio la possibilità di nascondersi creando in casa dei rifugi segreti o di scrivere un diario dove appuntare emozioni e riflessioni. Post Covid-19…Sarà necessaria un’attenzione particolare alle esigenze dei bambini e delle bambine traendo da questa esperienza anche la motivazione per apportare dei cambiamenti alle nostre città quasi esclusivamente a misura di adulto. Da dove ripartire? Mi sento di dare due suggeri-
menti principali. Il primo riguarda la scuola, questa può essere l’occasione giusta per sperimentare un cambio di rotta, si tratta di un periodo breve, coperto da una sostanziale giustificazione per cui si può provare a fare qualcosa di nuovo pertanto, se il mondo dei bambini si è ristretto all’interno della loro casa sarebbe stato bello lavorare attorno a questa realtà e non ai libri di testo. La casa che diventa laboratorio e i genitori che come assistenti fanno fare ai bambini esperienza di attività domestiche: lavare, pulire, cucinare, con la scuola che le esamina dal suo punto di vista… penso, ad esempio, alla didattica che interviene in cucina: pesare, fare equivalenze, cuocere, bollire, inventare e scrivere ricette. L’altro suggerimento riguarda gli Amministratori: la città sta sperimentando con sorpresa qualcosa che si è sempre detto ma si è sempre pensato non fosse possibile cioè di essere meno contaminata, meno occupata dalle automobili insomma…una città come la sognano i bambini! Il nostro laboratorio Internazionale ha lanciato un invito ai Sindaci affinché diano come premio ai bambini per il loro sacrificio di questi mesi la città per un giorno intero cosicché possano uscire di casa da soli, incontrarsi con i loro compagni per giocare in libertà ma ovviamente in sicurezza e rispettando le regole sanitarie.
SAN GIORGIO A CREMANO
Post Covid, le proposte dei bambini I Sindaci trovino il coraggio di ascoltare le richieste dei piccoli e la determinazione per realizzarle Il Comune di San Giorgio a Cremano è l’unico in Campania ad aver aderito alla rete del progetto “Città dei bambini e delle bambine”, ne abbiamo parlato con il coordinatore Francesco Langella perché questa esperienza possa essere da esempio anche per altre Amministrazioni affinché trovino il coraggio di ascoltare le richieste dei bambini e la determinazione per realizzarle. Far progettare i bambini significa scegliere di convogliare risorse, concedere priorità a soggetti che non votano, significa riuscire a far diventare protagonisti persone che lanciano idee, che cercano di far avanzare la fantasia, significa mettere insieme assessorati diversi (scuola, ambiente, sociale, urbanistica) e tutti quei settori che di solito non sono abituati a lavorare insieme. «Il Laboratorio Regionale Città dei bambini e delle bambine è attivo a San Giorgio a Cremano dal 1994, di questo fa parte il Consiglio delle bambine e dei bambini: un organismo biennale costituito da venti alunni sorteggiati nelle scuole del territorio. Il Laboratorio, all'inizio dell'emergenza sanitaria, si è attivato subito con riunioni virtuali a distanza sia con il gruppo del Coordinamento Educativo sia con il Consiglio delle bambine e dei bambini, al fine di rimanere in contatto con le loro emozioni e sentire anche il loro parere. Da questo confronto è nato #Iorestoacasaegioco: un insieme di video pubblicati su youtube e sulla pagina fb del Laboratorio, per riscoprire assieme ai bambini giochi e attività manuali, tutorial, audioletture e proposte di intrattenimento per rendere meno complicato e noioso il periodo di quarantena. Azioni ludiche semplici che possono essere contagiose e che possono pesare come azioni poetiche e simboli-
“I bambini sono fiori da non mettere nel vaso: crescono meglio stando fuori con la luce in pieno naso. Con il sole sulla fronte e i capelli ventilati: i bambini sono fiori da far crescere nei prati” Roberto Piumini che, fare le cose belle con le proprie mani è di per sé un modo per fare resistenza, per essere (p)artigiani della bellezza e della pace. Dopo Pasqua, per sopperire alla mancanza di attenzione nei confronti dei bambini che sono stati i grandi esclusi dal discorso pubblico, abbiamo intensificato le videoriunioni con il Consiglio delle bambine e dei bambini, con appuntamenti settimanali sempre di sabato mattina perché liberi dagli impegni dalla "smart school". Ad uno degli incontri ha partecipato anche il Vicesindaco, Michele Carbone, che ha chiesto ai bambini alcuni consigli in visione della cosiddetta fase 2 ed in particolare sulla riapertura dei parchi pubblici. Sono stati chiesti dei suggerimenti e delle proposte su come elaborare anche dei regolamenti locali, dei vademecum che tengano conto anche delle loro esigenze e non siano solo una lista di divieti. L'ordinanza regionale vigente sembra non considerare le attività ludiche e ricreative, e cosa possono fare
i bambini se non questo tipo di attività? I bambini hanno innanzitutto proposto, nel caso dell'eventualità di ridurre l'eccessivo numero di frequentatori del sabato e della domenica, di ribaltare la regola e cioè “Vietato l’ingresso agli adulti non accompagnati dai bambini”, per compensare le tante restrizioni a cui sono stati costretti in questi lunghi mesi e dedicare loro libertà di movimento, sempre rispettando le regole sanitarie del distanziamento fisico (e non sociale). Hanno poi inventato vari giochi che si possono fare senza toccarsi: lanci, posizionamenti, dove il non avvicinarsi alla zona degli altri è parte del gioco. Hanno poi sostenuto che anche gli spazi possono adattarsi e rimodularsi per andare incontro alle nuove esigenze e quindi pensare anche a nuove attrezzature che non prevedono il contatto con le mani o assembramenti come semplici postazioni o percorsi da disegnare a terra. Queste sono le recentissime proposte che stiamo mettendo a punto per pre-
sentarle all'amministrazione che le ha espressamente richieste ai bambini e verificarne la fattibilità. Tutto questo sarà naturalmente frutto di un percorso partecipativo ed educativo, che dovrà essere differenziato anche rispetto alla tipologia dei parchi e dei loro frequentatori…è importante sentirsi liberi tutti senza però infastidire gli altri con il proprio comportamento. Siamo convinti che un'Amministrazione capace di accogliere il bambino come punto di riferimento della propria filosofia di governo della città, sarà capace di accogliere le esigenze e le diversità di tutti (anziani, diversamente abili, ecc.). Per quanto concerne la proposta di regalare ai bambini la città per un giorno, a San Giorgio a Cremano si celebra ormai da 15 anni il secondo mercoledì del mese di maggio “Il giorno del gioco”: un grande appuntamento dedicato al gioco come mezzo di espressione, comunicazione e incontro tra adulti, giovani e bambini in cui le ore di lezione possono essere interamente ore ludiche. Le piazze principali della città, le strade limitrofe ed alcuni edifici scolastici diventano teatro dell’evento, riconquistando gli spazi urbani al traffico e alle auto in sosta e creandovi momenti di aggregazione. Anche se il 13 maggio scorso erano ancora proibite le manifestazioni pubbliche abbiamo accolto l’invito dei bambini di festeggiare “il compleanno del gioco” attraverso con un un flash mob collettivo semplice e "contagioso": tanti aerei di carta legati con un filo ai balconi ed ai terrazzi su cui ogni bambino ha scritto un proprio desiderio, un proprio sogno, un augurio per ripartire come e meglio di prima». G.M.
Stazione Zoologica Anton Dohrn: allarme per mascherine in mare Tina Pollice Le mascherine sono indubbiamente utili a limitare i contagi da Coronavirus ma, quelle usa e getta, sono molto inquinanti e stanno creando non pochi problemi a livello ambientale. Aziende di ogni tipo stanno convertendo la propria produzione e si stanno preparando a sfornarne un numero sempre maggiore, mentre i Comuni e la Protezione civile le distribuiscono gratuitamente laddove mancano. La mascherina è un dispositivo indispensabile per ridurre il rischio di contagio da Covid-19, che potrebbe tramutarsi in una vera e propria tragedia ambientale per i nostri mari e le specie che li abitano. A lanciare l’allarme è Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, il quale denuncia la presenza di centinaia di mascherine sulle spiagge, così come altrettante ne vengono pescate in mare. Un vero e proprio dramma per le tartarughe e i mammiferi marini che, scambiando le mascherine e i guanti per cibo, finiranno per mangiarli come già accade con gli altri rifiuti in plastica che arrivano in mare. Da non sottovalutare
il fatto che si tratta di plastiche le quali, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche e vengono ingerite anche dai pesci sino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo. Nei nostri mari finiscono ogni anno otto milioni di tonnellate di plastica e, se a questo dato aggiungiamo uno scorretto smaltimento delle mascherine, così come dei guanti e degli altri dispositivi di sicurezza necessari per proteggere la nostra salute, arriviamo a numeri stratosferici. Tutto ciò sarebbe evitabile se si mettessero in campo comportamenti individuali responsabili fino ad arrivare a un corretto riciclo e smaltimento del rifiuto. Ancora meglio sarebbe incoraggiare la produzione di mascherine e guanti monomateriali e abbandonare e contenere l’uso di dispositivi “poliaccoppiati” (come la plastica utilizzata, fatta di polietilene e polipropilene) impossibili da differenziare e riciclare, ricorrendo, per esempio, a mascherine in tessuto. Sono in molti che cercano di capire come orientarsi in quella che sembra essere una lunga fase di transizione in cui le mascherine e i guanti saranno obbligatori o almeno
consigliati a livello planetario. Le multiutility cominciano ad interrogarsi come gestire un miliardo e 200 milioni di mascherine che si calcola verranno gettate da qui alla fine del 2020, insieme ad un numero ancora non definitivo di guanti usa e getta che rischiano di finire nella catena alimentare marina, aggravando la situazione di sofferenza già alta delle popolazioni di delfini, balene e tartarughe. La più grande azienda del biologico in Italia, NaturaSì, ha annunciato la produzione di mascherine in cotone lavabili, fino a 15 volte, certificate dall’Istituto Superiore di Sanità che le classifica come maschera a uso medico di Tipo I. Le mascherine in cotone garantiscono la protezione richiesta con un impatto sull'ambiente ridotto di 15 volte, mentre la Maeko, specializzata in filati e tessuti naturali (non solo canapa ma anche soia, ortica e bamboo) già produce mascherine di canapa ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020 “Cura Italia” del 17/03/2020. La strada per arginare le centinaia di milioni di presidi sanitari dispersi nell’ambiente è ancora in buona parte da esplorare e da percorrere al più presto e bene.
AAA cercasi mascherine e guanti plastic free A portare scompiglio tra gli amanti degli outfit all’ultimo grido e a dettare nuove leggi nel campo della collezione moda primavera-estate 2020 ci ha ben pensato il Covd-19, meglio conosciuto con il nome di Coronavirus, obbligando tutti all’uso incondizionato di mascherine e guanti. E oltre al problema su come abbinare i nuovi accessori, si è posto l’accento sul fatto che mascherine e guanti monouso potrebbero incrementare l’inquinamento. "Non sommergiamo l'Italia di mascherine e guanti monouso né di altri nuovi imballaggi di plastica che diventerebbero obbligatori per tantissime attività. Chiedo al Presidente del Consiglio, al Ministro dell'Ambiente e al Ministro della Salute l'adozione di provvedimenti e linee guida che favoriscano l'uso di prodotti compatibili con una vera economia circolare". Così parte a gran voce l'appello di Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde, che, insieme a Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo, ha lanciato sulla piattaforma di attivismo Change.org la petizione #RipartiamoPlasticFree #RipartiamoSenzaMonouso. Una riflessione doverosa che non può essere trascurata: il problema del “monouso” e delle sue ripercussioni sull’ambiente è stato sempre al centro di discussioni con l’unico intento di vivere “plastic free”. Dopo i buoni risultati raggiunti ante Covid, ora aleggia di nuovo lo spettro dell’inquinamento dovuto ai rifiuti non smaltiti o quantomeno non differenziati nel giusto modo. Quindi, "le doverose misure di protezione individuale devono tenere conto della necessità di proseguire nelle azioni di riduzione ed eliminazione delle plastiche e dei prodotti monouso ovunque sia possibile in condizione di sicurezza sanitaria” questo è quanto si legge nel testo della petizione lanciata dall'ex Ministro dell'Ambiente. Un monito forte che pone l’accento sul fatto che debba essere essenziale favorire gli impegni normativi e organizzativi #PlasticFree e la riduzione del "monouso" avviati dal Governo e da numerose realtà pubbliche e private per evitare il drammatico inquinamento da plastiche dei nostri mari e dei nostri territori. Quindi, si auspica un intervento veloce di tutti orientati nella ricerca di materiali biodegradabili, riutilizzabili e riciclabili che non arrechino ulteriori danni alla natura circostante. Insomma, tutti alla ricerca di mascherine e guanti all’ultimo grido e soprattutto amici dell’ambiente, che proteggano noi dal contagio e nello stesso tempo salvaguardino la salute della nostra madre Terra. A.P.
Piccoli borghi al Sud, esigenza o opportunità? Un bando del MIBACT contro lo spopolamento delle piccole frazioni dell’entroterra Maria Cammarano Partendo da un bando del MIBACT che - dedicato ai piccoli comuni delle Regioni del Sud finanzia il recupero di immobili e spazi di proprietà comunale ed azioni di carattere immateriale, i consiglieri comunali di Laurito (Domenico Romanelli, Raffaele Lia, Claudio La Porta) ed Alfano (Francesco Carbone, Alessia Carbone, Katia Allegro), hanno elaborato una proposta per la preservazione dei borghi dell’Alta valle del Mingardo, situata in Cilento (SA), con una lettera aperta inviata ai Comuni di Alfano, Laurito, Montano Antilia e Rofrano. "Negli ultimi anni, il tema delle cosiddette aree interne è emerso più volte nel dibattito politico ed economico italiano" dichiara l'ing. Raffaele Lia, consigliere del Comune di Laurito (SA) - "Al centro del dibattito. Questo tema, alla luce della profonda crisi sanitaria ed economica determinata dal diffondersi del Covid-19, può assumere risvolti nuovi ed inaspettati ed essere affrontato, finalmente, da un punto di vista
molto più concreto rispetto a quanto fatto in passato. Nell’economia rurale si potrebbero, infatti, individuare i presupposti per riconsiderare il sistema economico, in essa è possibile ritrovare un rapporto equilibrato tra l’uomo e l’ambiente e l'alternativa ai grandi agglomerati urbani sullo sfondo di un’organizzazione globale che non ci porti a perdere di vista le esigenze di ciascuna Nazione, Regione o Comune. Inseguendo tale prospettiva continua Lia - come consiglieri comunali di Laurito ed Alfano (SA), abbiamo iniziato a concentrarci sulla preservazione dei borghi dell’Alta valle del Mingardo. Il primo elemento della nostra proposta è stato individuato nella necessità di condivisione. Infatti, oltre ai progetti di riqualificazione che ciascun comune potrà presentare per recuperare il proprio patrimonio urbanistico, la proposta sollecita le Amministrazioni a condividere parte delle misure in modo tale che, anche nel caso in cui non dovessero essere finanziati tutti i progetti, i benefici determinati dai finan-
ziamenti ottenuti possano ricadere su tutti i comuni della rete. I piccoli borghi, ferme restando le peculiarità di ciascuno, potranno trovare spazio nel mondo post-Pandemia solo se inizieranno a programmare il futuro in modo armonico ". Sostanzialmente, la proposta promossa dai due gruppi consiliari prevede un piano volto a recuperare e preservare le peculiarità architettoniche dei luoghi che si rischia di perdere. D'altronde l'attrattore turistico,
per le aree verdi del Cilento è rappresentato in gran parte proprio dalla bellezza e dall'originalità dei borghi che hanno saputo conservare l’assetto urbanistico originario senza consumo incontrollato di suolo. Recupero e preservazione dunque. Per questo è stato immaginato di associare ai piani architettonici di recupero, dei corsi di formazione rivolti agli artigiani sulla lavorazione della pietra, del ferro, sulle malte e sugli intonaci tradizionali. Tale
aspetto è fondamentale sia per garantire che i dettami dei piani trovino puntuale applicazione, sia per favorire il recupero e la sopravvivenza di tecniche che si rischia di perdere. I gruppi consiliari di Laurito ed Alfano hanno immaginato inoltre un piano per la mobilità che abbia come obiettivo principale la connessione dei borghi con la fascia costiera e con le stazioni ferroviarie più vicine. Il tema dell’accessibilità, oltre ad essere legato al turismo, è un altro elemento sul quale dovrebbe reggersi il nuovo sviluppo dell’economia locale volto a consentire un reale ripopolamento dell'area e la possibilità di vivere in questi borghi tutto l'anno. "Forse non sarà questa proposta da sola a cambiare il destino di questo territorio" conclude Raffaele Lia - "ma nella speranza che possa suggerire un nuovo modo di guardare, pensare e programmare lo sviluppo dei nostri paesi, attendiamo fiduciosi il riscontro delle Amministrazioni comunali investite".
In Campania dopo il lockdown buone nuove per l’agricoltura e la vendita a km zero Fabiana Liguori “Chi non semina non miete”. Anche in Campania, dopo oltre due mesi di lockdown, grazie all’ordinanza 45 dell’Amministrazione regionale, riaprono i battenti i mercati Coldiretti Campagna Amica, consentendo agli agricoltori di riprendere l’attività di vendita diretta dei loro prodotti. Tale “buona nuova” è senz’altro, in un momento di grande difficoltà, una grande opportunità per sostenere l’economia ed il lavoro dei territori. In conformità alle norme stringenti e alle linee guida sulle misure di sicurezza indicate nell’Ordinanza, nelle aree mercatali sono state adottate tutte le precauzioni per garantire quanto richiesto, con la presenza in loco di disinfettanti, l’invito a non toccare la
merce e ingressi contingentati per evitare affollamenti. “Si tratta di un passo in avanti importante – ha commentato Gennarino Masiello, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente regio-
nale – perché tornare in piazza per noi ha un valore enorme, sia in termini economici per le aziende agricole che partecipano, sia come segnale di rinascita per la società. Speriamo che siano maturi i tempi anche
per riaprire gli agriturismi, altro tassello fondamentale della multifunzionalità agricola”. Altra importante novità riguardante il mondo contadino campano è il ritorno dopo quasi sessant’anni della coltivazione delle arachidi, per offrire nuove opportunità alle imprese agricole, rafforzandone la resilienza in tempi di Covid19. Lo scorso 8 maggio, infatti, si è dato avvio, con la prima semina, al progetto Arachidi in Campania (ArCamp), grazie alla collaborazione tra la Coldiretti Campania, la Vincenzo Caputo Srl, la SIS - Società Italiana Sementi, il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e la startup Farzati Tech. Le prime operazioni di semina hanno coinvolto quattro aziende agricole nei territori di
Calvi (Benevento) e Montoro (Avellino). Per l’anno in corso è prevista un’attività di sperimentazione e collaudo sugli aspetti di innovazione varietale e di processo tecnologico relativi a tale coltivazione, per lo sviluppo di una filiera di produzione autoctona, dal seme al prodotto finito. Il seme è stato fornito dalla SIS di Bologna, primaria azienda sementiera italiana. La prima raccolta è prevista a settembre. Il Dipartimento di Agraria di Portici e lo staff tecnico di Coldiretti cureranno il coordinamento scientifico del progetto e le attività di divulgazione dei risultati, mentre la startup innovativa Farzati Tech svilupperà, attraverso la propria tecnologia BluDev, la tracciabilità, dal seme al prodotto finito, per certificarne l'origine.
Il Rapporto sul consumo di suolo in Campania 2020 Arpac attraverso la fotointerpretazione evidenzia le nuove aree antropizzate Pasquale Iorio Gianluca Ragone Il Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” ogni anno fornisce il quadro aggiornato delle trasformazioni del nostro territorio, tali processi continuano a causare la perdita di una risorsa fondamentale: il suolo, con le sue funzioni ed i relativi servizi ecosistemici. Grazie all’impegno del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e alla collaborazione tra ISPRA e le Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province Autonome, da anni viene svolto un lavoro di monitoraggio attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie e delle informazioni derivanti da satelliti di osservazione della Terra, tra cui quelle del programma Copernicus. Anche quest’anno, nonostante l’emergenza sanitaria, l’Arpac ha dato il suo contributo alla realizzazione di questo importante documento, il personale coinvolto ha svolto nei tempi previsti il compito affidatogli, concludendo parte del lavoro in modalità di Smart Working. La fotointerpretazione, che ha riguardato l’intero territorio regionale, ha avuto come obiettivo principale l’individuazione di aree interessate da processi di antropizzazione legati essenzialmente a dinamiche insediative quali: superfici originariamente agricole, naturali o seminaturali coinvolte nell’incremento di copertura artificiale attraverso la costruzione di nuovi edifici, fabbricati, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, piazzali e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane. Ma, oltre all’individuazione delle aree con perdita di suolo avvenuta nell’anno di riferimento (2018-2019), per tutte le restanti zone cementificate è stata effettuata una ricostruzione temporale che ne descrivesse storia ed evoluzione. Il lavoro di fotointerpretazione ed implementazione dei dati è avvenuto attraverso l’utilizzo di QGIS, software li-
bero ed Open Source, che grazie a specifici plug-in ha permesso l’utilizzo di immagini satellitari ad alta risoluzione presenti sul web (Google Images) e, laddove necessario, l’impiego di immagini satellitari Sentinel 2 prodotte dal progetto Copernicus dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). La ricostruzione dell’andamento temporale del consumo di suolo è avvenuta attraverso l’utilizzo del dispositivo temporale presente in Google Earth. Tulle le informazioni raccolte sono state inserite all’interno di uno shape file che oltre all’individuazione geometrica dell’area interessata dal processo di consumo di suolo, ne ha anche permesso attraverso l’impiego di una specifica codifica, di indicarne la tipologia. La fotointerpretazione ha coinvolto diverse Unità Operative della Direzione Tec-
nica dell’Agenzia. poiché la notevole mole di lavoro ed i tempi stringenti hanno reso necessario il coinvolgimento di dieci unità lavorative. Il processo di analisi, che ha riguardato una superficie di ben 13.588 km2, si è concretizzato con la digitalizzazione
di circa 12.000 poligoni, per una superficie complessiva di circa 14 km2. l file implementato è stato quindi sottoposto ad analisi topologica, finalizzata all’individuazione di eventuali errori di natura geometrica e al controllo tabellare della con-
gruità temporale dei dati digitalizzati. Nel Report 2019, riferito al consumo di suolo nel periodo 2017-2018, Campania, Lombardia e Veneto sono risultate le Regioni con i maggiori valori di suolo consumato. In particolare nella nostra Regione il 10,5% delle aree a pericolosità sismica alta risultano antropizzate, e nello stesso periodo si è registrato un incremento del consumo di circa l’11% delle aree soggette a vincoli e di ben il 30% delle aree costiere. Il risultato del lavoro di quest’anno, riferito al periodo 2018-2019, insieme al contributo fornito da tutte le altre ARPA e dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), sarà pubblicato all’interno del Report 2020, grazie al quale sarà possibile effettuare un’analisi completa e di confronto anche con i dati delle passate annualità.
Lockdown e qualità dell’aria in Campania Ad aprile cala ancora il monossido di azoto Arpa Campania sta continuando a studiare le concentrazioni di inquinanti atmosferici nei capoluoghi campani, per valutare gli effetti che le misure di contenimento della pandemia di Covid19, soprattutto nella cosiddetta “fase 1”, hanno avuto sulla qualità dell’aria in Campania. I dati di aprile confermano un drastico abbattimento delle concentrazioni di ossidi di azoto in aria ambiente, direttamente connesso agli effetti del lockdown, in particolare alla notevole riduzione del traffico veicolare. Ad aprile l’Agenzia ha rilevato diminuzioni delle concentrazioni medie giornaliere di monossido di azoto fino all’80% rispetto ai valori riscontrati negli anni precedenti nello stesso periodo (nel Grafico 1 è riportato l’andamento delle concentrazioni medie giornaliere di monossido di azoto rilevate da una delle centraline presenti a Napoli, confrontato con le medie dei tre anni precedenti).». Sul sito istituzionale Arpac, all’indirizzo http://www.arpacampania.it/ web/guest/1402, è disponibile la serie completa di grafici relativa alle concentrazioni di inquinanti atmosferici ri-
Arpa CAMPANIA AMBIENTE del 15 maggio 2020 - Anno XVI, N.9 Edizione chiusa il 15 maggio 2020 DIRETTORE EDITORIALE Luigi Stefano Sorvino DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO M. Cammarano, A. Cammarota, B. Citarella, F. De Capua, G. De Crescenzo, B. Giordano, P. Iorio, G. Loffredo, R. Maisto, G. Merola, L. Monsurrò, A. Palumbo, A. Paparo, L. Pascarella, T. Pollice, G. Ragone SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/427/451 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it magazinearpacampania@libero.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 1-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali.
scontrate nel mese di aprile. Anche le medie giornaliere di concentrazione di biossido di azoto manifestano una notevole riduzione ad aprile, fino al 60% dei valori riscontrati negli anni precedenti. Il calo del biossido di azoto non era stato così evidente a marzo, probabilmente a causa dell’apporto ancora elevato degli impianti di riscaldamento, in particolare domestici.Per le polveri sottili, invece, il quadro interpretativo è più complesso, così come già evidenziato nell’analisi dei dati di marzo. Per quanto riguarda il PM2.5, nella prima metà del mese l’Agenzia ha rilevato concentrazioni mediamente superiori rispetto ai valori storici, nonostante la regione fosse in lockdown da almeno venti giorni. Per quanto riguarda l’evoluzione del PM10, si possono evidenziare nel corso del mese periodi di aumento delle concentrazioni. Dal 4 al 12 aprile si è rilevato un tendenziale aumento generalizzato delle concentrazioni, legato a condizioni meteorologiche di ristagno atmosferico. Dal 18 al 20 aprile, inoltre, ha concorso all’aumento delle concentrazioni di PM10 l’afflusso di
polveri di origine desertica da meridione. Nel Grafico 2 si riporta l’andamento delle concentrazioni medie giornaliere di PM10 rilevato da una delle centraline presenti a Napoli, confrontato con le medie dei tre anni precedenti nello stesso periodo. In sintesi, per quanto riguarda le polveri sottili, come già evidenziato per il mese di marzo, nei capoluoghi campani non è stato possibile riscontrare ad
aprile un calo significativo delle concentrazioni dovuto al lockdown, nonostante la presumibile riduzione delle emissioni dei riscaldamenti rispetto a marzo. Le condizioni meteo rappresentano un fattore che determina fortemente l’andamento delle concentrazioni di questo tipo di inquinanti. «Nonostante le difficoltà legate all’emergenza Covid-19», dichiara il Commissario straordinario Arpac Stefano Sorvino, «l’Agenzia è riuscita nell’obiettivo, non scontato, di garantire la continuità del monitoraggio della qualità dell’aria, offrendo ai cittadini e alla comunità scientifica un quadro prezioso di conoscenze su un periodo che dal punto di vista ambientale ha rappresentato un unicum nella storia della nostra regione, con evidenti benefici per lo stato di alcune matrici ambientali: una nota senz’altro positiva, in un periodo funestato dall’emergenza sanitaria». Comunicato stampa Arpac (La foto a sinistra è tratta dal sito del Comune di Napoli)
Smart working, la soluzione è nel cloud In pochi giorni Arpac si è riorganizzata per l’emergenza Covid. Decisivo il ruolo delle IT Bruno Citarella L’emergenza legata alla pandemia Covid-19 ha imposto cambiamenti radicali (soprattutto con le misure di distanziamento sociale) e anche le pubbliche amministrazioni hanno dovuto prenderne coscienza e agire in tempi rapidi, al fine di fronteggiare il rischio di interruzione di pubblico servizio per non aggravare lo stress del tessuto sociale e produttivo nazionale. Nell’azione di contenimento del virus Covid-19, anche Arpac ha adottato misure di lavoro "agile" o SmartWorking (SMW), abilitando il lavoro extra sede per tutti quei casi in cui la natura dei servizi erogati dall'Agenzia lo rendesse plausibile e possibile. Il Servizio Sistemi Informativi (Sinf), pur con risorse molto ridotte, ha affrontato l’emergenza sia dal punto di vista progettuale che gestionalerealizzativo, con tempi di reazione molto rapidi: in circa dieci giorni dalla progettazione alla messa in esercizio è stato possibile rendere operativa la piattaforma di fruizione da remoto dei principali sistemi informativi agenziali. Oggi più dell’80% dei dipendenti Arpac possono usufruire dello SMW limitando così la presenza in ufficio al minimo indispensabile. La soluzione si fonda sul paradigma Cloud+BYOD (BringYourOwnDevice – impiego dei dispositivi personali dell’utente) che rappresenta la
strada più efficiente per rendere operativi e fruibili da remoto sistemi IT (Information Technologies) complessi per un elevato numero di operatori, superando lo scoglio dell’approvvigionamento di risorse hardware ad hoc. Arpac aveva già in corso progetti di telelavoro per percentuali (molto basse) del personale in ossequio ai dettami ministeriali; a seguire si era ipotizzata la sperimentazione dello SMW, passaggio poi temporaneamente messo in stand by dal management. L’emergenza Covid-19 ha dato una spinta eccezionale ai progetti di SMW, trasformando così il problema in una opportunità che il Sinf ha saputo cogliere e che accelererà la trasformazione dell’Agenzia aprendo a nuove modalità lavorative, con potenziali benefici in termini di produttività e conciliazione del binomio vita-lavoro. Tecnicamente la soluzione adottata vede nel “Portale di SmartWorking (RDP)” la porta di accesso da remoto alle risorse IT agenziali necessarie allo svolgimento delle attività operative. L’infrastruttura è basata sul concetto di cloud ibrido: alcuni server restano on-premises (nel data center Arpac) e altri sono ospitati nel cloud (Microsoft-Azure). La tecnologia adottata per progettare e implementare l’impianto, struttura portante per il “Portale RDP”, è basata sui Servizi Desktop Re-
moto di Microsoft: è una tecnologia consolidata che permette agli utenti di accedere in remoto alle applicazioni, senza che queste vengano installate sulle proprie macchine locali. Questa architettura(vedi immagine in basso a destra) rappresenta il miglior equilibrio tra funzionalità, flessibilità, scalabilità e protezione da accessi indesiderati. Ogni elemento dello schema ha un “ruolo” ben specifico che garantisce coerenza d’interazione: • Web Access: Portale web che consente agli utenti di accedere ai servizi IT agenziali tramite un semplice browser; • Gateway: garantisce la sicurezza, usando HTTPS per stabilire connessioni sicure tra utenti remoti e i SessionHost
(cuore operativo del sistema); • Connection Broker: gestisce le connessioni verso i vari SessionHost, bilanciando i carichi di lavoro; • SessionHost: sono i server in cui sono installate le applicazioni che vogliamo utilizzare; • Licensing Server: contiene e controlla le licenze necessarie; • Active Directory: tutti i precedenti elementi sono soggetti al servizio Active Directory già esistente. Le macchine virtuali create nel Cloud Azure-Microsoft sono state annesse al dominio Active Directory preesistente, consentendo agli amministratori di dominio del SINF di operare in continuità con il passato. Sono state definite procedure di backup rispetto alla criticità dei servizi così da
bilanciare occupazione di risorse e garanzia di recupero dei dati. Il progetto è operativo ma in continua evoluzione ed ampliamento, con tutta la struttura del Sinf fortemente impegnata nel supportare l’utenza ed accelerarne l’operatività. Le inevitabili resistenze al cambiamento sono state superate senza traumi grazie al generale spirito di collaborazione emerso nell’Agenzia a tutti i livelli, pur nel grave contesto emergenziale. Resta l’auspicio per il prossimo futuro in un reale e consistente rinforzo del Sinf con risorse tecniche adeguate visto che ormai il binomio Pubblica amministrazione – Information Technologies è divenuto inscindibile.
Il Piano di monitoraggio e controllo è d’obbligo per gli impianti sottoposti ad Autorizzazione integrata ambientale
Il Pmc nelle installazioni sottoposte ad Aia adempimento formale o strumento di prevenzione? Loredana Pascarella Giuseppina Merola L'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) è il provvedimento che autorizza l´esercizio di un impianto, a determinate condizioni dettate dalla direttiva Ippc sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento. Viene rilasciato dall’Autorità competente, statale o regionale, sulla base di una valutazione complessiva che tiene conto del consumo di materie prime, degli impatti ambientali, delle migliori tecniche disponibili (Mtd) e del contesto ambientale. Sono soggette a questo adempimento le più importanti realtà produttive, in termini di dimensioni, fatturato, numero di addetti, impatto ambientale. In provincia di Caserta, ad oggi, si contano 26 insediamenti in cui si svolgono in complesso 34 attività codificate con i relativi codici Ippc, quasi la metà relative alla gestione dei rifiuti, seguite da attività di trattamento di superfici con utilizzo di solventi organici e allevamenti intensivi (Grafico 1). Il Dipartimento Arpac di Caserta supporta l’Autorità competente nell’istruttoria per il rilascio e il riesame delle Aia ed effettua i controlli delle installazioni, secondo un programma di ispezioni approvato annualmente
In provincia di Caserta si contano 26 insediamenti soggetti ad Aia
dalla Regione Campania, a cui si aggiungono i controlli relativi agli insediamenti soggetti ad Aia nazionale, coordinati dall’Ispra. Il programma dei controlli è basato su vari fattori di rischio, in parte ricavati dagli esiti dei monitoraggi effettuati da Arpac. I gestori degli impianti effettuano d’altronde gli autocontrolli e ne danno comunicazione all’Autorità competente, secondo quanto prescritto dal Piano di monitoraggio e controllo (Pmc) che è il documento da produrre all’atto dell’inoltro dell’istanza di autorizzazione o del riesame, in cui sono specificati i metodi e la frequenza di misurazione degli inquinanti, i principali parametri di processo, i sistemi di abbattimento, la metodologia di valutazione, la tempistica di comunicazione. Il Dipartimento di Caserta effettua la valutazione dei report degli autocontrolli che i gestori inoltrano, mediante un Nucleo di valutazione nominato dal dirigente dell’Area territoriale, con riguardo alla gestione delle risorse (consumo di materie prime, combustibili, risorse idriche, energia), delle componenti ambientali interessate dai processi produttivi (emissioni in atmosfera e in acqua, rumore, produzione dei rifiuti, eccetera), della manutenzione preventiva, dell’applicazione delle migliori tecniche disponibili, degli indicatori di performance ambientale. Il procedimento termina con la formulazione di una relazione tecnica inoltrata alle Autorità competenti. Nel triennio 2014-2016 sono stati valutati 30 report di autocontrolli rilevando non conformità rispetto alle prescrizioni del Pmc che hanno riguardato, principalmente, il superamento di limiti nelle acque sotterranee e nelle emissioni in atmosfera (Grafico 2).
L’attività di analisi ha permesso di rilevare e segnalare criticità relative principalmente alle metodiche di misurazione delle emissioni in atmosfera, al calcolo dei fattori contenuti nel Piano gestione solventi (Pgs), alle incertezze di misura nelle acque sotterranee, a scarichi con valori vicini al limite prescritto per taluni parametri (Grafico 3). Tali criticità, pur non sostanziandosi in “non conformità” soggette a irrogazione di sanzioni, rappresentano un campanello di allarme nella gestione ambientale dell’installazione e sono di supporto alla pianificazione delle visite ispettive, sia ordinarie che straordinarie, mirate ad analizzare gli aspetti più critici. Questo approccio rende l’attività ispettiva più efficiente, efficace ed economica in quanto permette ad Arpac di intervenire tempestivamente in situazioni potenzialmente critiche prima che tali situazioni comportino conse-
guenze rilevanti per l’ambiente, e che quindi richiedano un maggiore impiego di risorse pubbliche. In questo modo, il piano di verifica ispettiva viene redatto focalizzando gli aspetti più rilevanti da un punto di vista ambientale, evitando di sottoporre il gestore a lunghi esami documentali durante il sopralluogo o a prelievo di campioni non indispensabili, ferma restando la valutazione complessiva degli aspetti ambientali. Per l’anno 2020, dal momento che l’emergenza da Covid-19 ha comportato il rallentamento di molte attività di sopralluogo, si è dato un nuovo impulso alla valutazione dei report relativi all’anno 2019 inviati dai gestori sugli esiti dei Pmc, cercando di sfruttare a pieno la potenzialità di detta fase istruttoria documentale quale supporto alla prevenzione degli impatti ambientali ed elemento propedeutico alla pianificazione delle visite ispettive.
In Australia si “piantano” coralli Durante la pandemia, una società di immersioni di Cairns sta cercando di ripopolare la Grande Barriera Corallina Ilaria Buonfanti Il Covid-19 ha sconvolto in pochi mesi il nostro mondo, ci ha chiusi in casa, ha minato le nostre fondamenta, ha sviluppato paure e dubbi ma non tutto il male viene per nuocere. La natura ha tratto enorme giovamento da questa regressione dell’uomo, riappropriandosi dei suoi spazi. E così, in Australia, dove da decenni si stava assistendo ad un lento e doloroso declino della Grande Barriera Corallina, la più grande struttura fatta di organismi viventi del mondo, i ricercatori hanno approfittato della totale assenza di turisti per ripopolare la barriera in alcuni punti. Tredici anni fa ho visto la Grande Barriera con i miei occhi, ho nuotato nelle sue acque, ho ammirato le colorazioni sgargianti dei suoi coralli e dei suoi pesci. Adesso, gran parte di quegli stessi coralli sono “sbiancati” a causa delle attività umane, a causa del riscaldamento globale. A Cairns, sulla costa orientale dell’Australia ha sede “Passions of Paradise”, una società di tour per immersioni a conduzione familiare, è una di queste
aziende che spera di nutrire e curare l’ambiente delle coste piantando coralli sulla Grande Barriera Corallina. Scott Garden, CEO di Passions of Paradise, ha dichiarato che la compagnia di ecoturismo ha donato un catamarano multiscafo avanzato, Passions III, nonché carburante e volontari al Coral Nurture Program, avviato dall’industria del turismo e dalla comunità scientifica australiana per contribuire a riportare in vita la Barriera. Già qualche anno fa svariati ricercatori hanno sviluppato sistemi di ripopolamento delle colonie coralline, una sorta di “giardinaggio marino” che sta dando i suoi frutti. I coralli, tagliati dal corallo genitore secondo la tecnica del microfragmenting, crescono in serbatoi grandi svariati metri, sui quali viene costantemente spruzzata acqua salata aspirata a 80 piedi sotto terra intrappolata nel calcare poroso e successivamente filtrata per rimuovere tutte le tracce di ammoniaca, anidride carbonica e idrogeno solforato. I coralli, in file ordinate, in un solo anno crescono 25 volte più velocemente di come farebbero in mare. Una volta cresciuti, ven-
gono ripiantati accanto a quelli già presenti nel loro habitat naturale, rendendo felici biologi e appassionati del mare. Un’altra tecnica è stata testata con successo anche al largo delle Isole Vergini britanniche le cui barriere coralline sono messe a dura prova dalle tempeste. Non serve essere un giardiniere esperto per sapere che piantando un rametto rotto ne può nascere una nuova pianta grande e rigogliosa: il rametto (o talea) interrato emette radici e genera un nuovo individuo. Gli esperti hanno provato a fare lo stesso con pezzi di corallo: hanno “piantato” rametti di corallo, alcuni anche danneggiati, scoprendo che, nel giro di pochi mesi, molte di queste micro-colonie “attecchiscono” a perfezione e in alcuni anni riescono a formare nuovi grandi banchi corallini. Dal 1950 è già scomparso il 20% delle barriere coralline, un altro 20% è a rischio di collasso, mentre il 58% è minacciato dalle attività umane (di cui l’80% nel Sudest asiatico). Forse, ripopolare le barriere “piantando” nuove colonie, potrebbe essere la soluzione definitiva a questa tremenda problematica.
La nebbia marittima, un fenomeno tipico di fine primavera Tra Aprile e Maggio le nostre coste sono spesso avvolte da questo affascinante fenomeno atmosferico Gennaro Loffredo Quante volte è capitato, nel recente passato, di assistere ad un travaso di nubi basse avanzare dal mare verso la terraferma ed avvolgere i nostri litorali, rendendo il panorama del capoluogo napoletano simile a quello della pianura pa-
dana? Negli ultimi anni, forse, questo fenomeno è diventato un po’ più raro, ma era molto frequente fino agli inizi degli anni 2000. Stiamo parlando della nebbia marittima o nebbia d’avvezione. Questo particolare tipo di nebbia si forma quando l’aria umida e calda passa per avve-
zione sopra il mare: la temperatura dell’acqua è ancora relativamente bassa, quindi l’aria calda viene raffreddata anch’essa. Tale fenomeno è frequente sul mare quando l’aria tropicale incontra a latitudini più settentrionali acqua più fredda, ciò accade tipicamente in pri-
mavera sul nostro Mediterraneo. Queste nebbie invadono le nostre zone costiere ed il vicino entroterra, soprattutto durante la giornata, grazie alle brezze che spingono la massa nebbiosa sulla terraferma. Ma perché la nebbia sul mare si verifica soprattutto in Primavera? In questo periodo, mentre i deserti dell’Africa settentrionale vengono arroventati dall’intenso soleggia mento diurno, le acque del Mediterraneo si presentano ancora piuttosto fredde, dopo aver scaricato tutto il calore accumulato durante la precedente stagione estiva. L’umidità contenuta in seno a questi flussi caldi provenienti dai quadranti meridionali a contatto con le acque più fredde del mare, tende rapidamente a condensarsi in banchi di nebbia, sospinti fin verso le coste dai venti dominanti. In
questo caso il vapore acqueo, per evaporazione appunto, entra nell’atmosfera e si satura condensandosi. In questa stagione si sono verificati pochi casi di nebbia marittima ed hanno essenzialmente interessato soprattutto le zone del golfo di Napoli e di Salerno, soprattutto ad inizio Aprile, e Capri con i faraglioni praticamente avvolti da un spessa coltre nebbiosa. Spettacolare fu la nebbia d’avvezione che interessò tutto il golfo di Napoli il 20 Aprile del 2008, come testimoniano persino le immagini del satellite. Le temperature quel giorno mostrarono valori estremamente singolari, in quanto negli strati bassi si verificavano alti tassi di umidità relativa prossima al 100%, le quali rendevano i valori termici di ben 8-10°C più bassi rispetto alla retrostante collina.
Il Mar Mediterraneo, un ecosistema a rischio Sfruttamento eccessivo delle risorse, pesca selvaggia e bracconaggio le principali minacce Ogni anno, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), svolge degli studi sulla pesca per valutare quanto e soprattutto come si pesca, fornendo quindi dati sulla sostenibilità e sulla quantità del pescato. Purtroppo le notizie che giungono da questi studi non sono affatto rassicuranti, il Mare Nostrum risulta infatti essere sovra pescato, addirittura il più sovra pescato al mondo. Tra il 78% e il 95% degli stock sono in stato di sovrasfruttamento. Un prelievo eccessivo che colpisce sia le specie di fondo, ad esempio il nasello (Merluccius merluccius) pescato con reti a strascico e con palamiti, che su specie di piccoli pesci pelagici come le acciughe (Engraulis encrasicolus) e le sardine (Sardina pilchardus) pescate principalmente con reti a circuizione e con le lampare, o ancora su crostacei, come il gambero rosa del Mediterraneo (Parapenaeus longirostris). La gestione della pesca se-
condo la PCP (Politica Comune della Pesca) può assumere la forma di controllo degli input o dell’output. Nel primo caso si tratta di norme per controllare quali pescherecci hanno accesso a quali acque e quali zone; controlli sullo sforzo di pesca per limitare la capacità di pesca e l’utilizzo di pescherecci; misure tecniche per disciplinare l’uso delle attrezzature e i periodi di pesca. Nel secondo caso si tratta di stabilire dei limiti alla quantità di pesce pescato in un determinato settore, in particolare attraverso il sistema delle quote (o totali ammissibili di cattura, Total Allowable Catches, TAC). Fino agli anni ’70 in Italia si mangiavano circa 150 specie di pesci, mentre oggi il consumo nazionale si basa su 40 specie. E tra queste, tra il 70% e l’80% del consumo avviene su solo 10 specie ittiche. “Oggi, grazie alla tecnologia, i pescatori rivolgono l’attenzione esclusivamente alle specie di mercato e ciò ha de-
terminato la sovra pesca. Le altre specie, abbondanti, rimangono inesplorate o scartate” spiega Andaloro, direttore di ricerca presso la Stazione Zoologica di Napoli Anton Dohrn, sezione di Palermo. Il Mar Mediterraneo è un grande ecosistema marino caratterizzato da elevata biodiversità ed è per questo ancor più soggetto ad un’intensa pressione di pesca, con circa il 90% degli stock valutati che mostrano chiari segni di sfruttamento eccessivo. Nonostante le prove allarmanti dell’eccessiva mortalità per pesca esercitata su popolazioni sfruttate, la pressione di pesca non è stata assolutamente ridotta nell’ultimo decennio per la maggior parte delle specie. La pesca ufficiale ha una responsabilità marginale sul depauperamento delle risorse ittiche” dice Andaloro. “Al suo fianco ci sono altri fattori importantissimi come la pesca illegale, il bracconaggio e la pesca ricreativa”. I.B.
Arricchire la biodiversità proteggendo le spiagge La sabbia, apparentemente sterile, ospita in realtà una sorprendente diversità faunistica Rosario Maisto Uno studio di ecologia molecolare ha rivelato che la sabbia apparentemente sterile, ospita in realtà una sorprendente diversità faunistica, costituita da una miriade di microscopici e bizzarri animali, la meiofauna, la cui esistenza può essere minacciata dai turisti. Proprio per questo, ci sono parchi ed aree marine protette che mantengono alcune spiagge completamente chiuse all’accesso di visitatori. La necessità di tale limitazione arriva in un momento particolare della nostra epoca in cui non sappiamo neanche se andremo a mare, in questo caso creando sicuramente un vantaggio per l’ambiente marino e la biodiversità, infatti, l’approccio integrato di analisi faunistiche ed ecologiche con metodi tradizionali e con me-
todi basati su DNA prelevato in ambiente, ha dimostrato che anche in un’ area marina piccola - su un totale di circa duecento specie di invertebrati microscopici rinvenute nelle spiagge - si registrano oltre ottanta specie finora ignote, quindi, ci sono alti livelli di biodiversità che attestano quanto poco ancora
sappiamo della vita che ci circonda, soprattutto per quanto riguarda la “popolazione” che vive nella sabbia e nei sedimenti. In mancanza di tale conoscenza diventa impossibile studiare le molteplici funzioni ecologiche fondamentali, la trasformazione, il riciclo e il trasporto della so-
stanza organica ai vari livelli della rete trofica svolte da tali specie, e gli impatti esercitati su di essi dalle attività umane. Dal punto di vista della gestione e conservazione ambientale, il fatto di tenere alcune spiagge chiuse al pubblico è una scelta fondamentale per mantenere elevati livelli di biodiversità. In particolare per permettere la diversificazione degli organismi microscopici che vivono nella sabbia e nei sedimenti marini dei litorali. Studi come questo, dove la ricerca di base viene applicata a sostegno delle decisioni politiche in campo ambientale, sono essenziali per fornire una corretta elaborazione di adeguati piani di gestione di parchi ed aree protette, volti a limitare l’impatto umano nell’ambiente. Tali ricerche potrebbero inoltre essere usate per comprendere gli ef-
fetti ambientali della diminuzione dell’impatto antropico a causa del lockdown durante l’emergenza COVID19. Tutti i sistemi litoranei sono fortemente minacciati da problemi locali come lo sversamento illegale e da quelli globali come i cambiamenti climatici e l’innalzamento del livello dei mari, ma se si mette a repentaglio la conservazione di alcuni di questi luoghi importanti con il depauperamento a causa dell’uomo ed il continuo calpestio da parte dei turisti meno attenti, ci sarà un indebolimento di tutto il sistema antropico, mettendo a rischio l’entroterra. Queste aree sono quelle considerate ambienti sacrificali, perché vengono erose parzialmente ma preservano l’entroterra dalle mareggiate, quindi salvarle è un dovere dell’uomo.
Ispra: emissioni gas serra in calo Dal 1990 al 2018 la decrescita è stata pari al 17% Bruno Giordano Presentati da Ispra in live streaming su Youtube gli ultimi dati relativi all’andamento dei gas serra e degli inquinanti atmosferici. Gli esperti dell’Istituto hanno illustrato la situazione italiana in collegamento con oltre 2800 persone e con punte di 700 connessioni simultanee. Esperienza positiva per una modalità che accompagnerà le prossime presentazioni dei rapporti di Ispra in questo tempo di emergenza sanitaria Covid 19. Il quadro delle emissioni dei gas serra nel nostro Paese vede un trend in decrescita negli ultimi 28 anni. Nel 2018, le emissioni diminuiscono del 17% rispetto al 1990, passando da 516 a 428 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e dello 0,9% rispetto all’anno precedente. È questa la fotografia dello stato emissivo nazionale scattata dall’Istituto per la Protezione e Ricerca Ambientale nel “National Inventory Report 2020” e “Informative Inventory Report 2020”. La diminuzione è dovuta alla crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e all’incremento dell’efficienza energetica nei settori industriali. Calano del 13% anche le emissioni del settore agricolo, che
costituiscono il 7% delle emissioni di gas serra, circa 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. La maggior parte di queste emissioni, quasi l’80%, deriva dagli allevamenti, in particolare dalle categorie di bestiame bovino e suino, mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici. In particolare, per gli allevamenti, la maggior parte delle emissioni deriva dalla fermentazione enterica, a carico in particolare dei ruminanti e dalla gestione delle deiezioni (stoccaggio e spandimento). Dal 1990 le emissioni sono scese del 13% a causa della riduzione del numero dei capi, delle superfici e produzioni agricole, dell’uso dei fertilizzanti sintetici e dei cambiamenti nei metodi di gestione delle deiezioni. Per quanto riguarda invece il PM10 primario, cioè quel materiale
presente nell'atmosfera in forma di particelle microscopiche, è il riscaldamento domestico la principale fonte di emissione nel 2018. Non solo. Il settore, con un +41%, è l’unico che aumenta le proprie emissioni a causa della crescita della combustione di legna per il riscaldamento residenziale, mentre calano di oltre il 60% quelle prodotte dal trasporto stradale e rappresentano, nello stesso anno, il 12% del totale. Importante anche la diminuzione delle emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche che, sempre rispetto al 1990, scendono nel 2018 del 30%, a fronte di un aumento della produzione dei consumi di energia elettrica. Nel periodo 1990-2018, le emissioni energetiche dal settore residenziale e servizi sono aumentate del 6% a fronte di un incremento dei consumi energetici pari al 18,3%. Segnano infine un aumento del 5,6% le emissioni derivanti dalla gestione e dal trattamento dei rifiuti. Le emissioni del settore sono destinate a ridursi nei prossimi anni, attraverso il miglioramento dell’efficienza di captazione del biogas e la riduzione di materia organica biodegradabile in discarica grazie alla raccolta differenziata.
Covid-19 e smog: l’aria è più pulita Anna Paparo Il Covid-19, o meglio conosciuto come Coronavirus, ha completamente rivoluzionato la nostra quotidianità, regalandoci una nuova visione delle cose e della natura che ci circonda. Tra gli aspetti positivi da non sottovalutare c’è il forte abbassamento dell’inquinamento che ha dato un po’ di respiro al nostro pianeta che aveva bisogno di una boccata d’aria pura. In particolare, ci si deve soffermare sulla stima del Center for research on energy and clean air (Crea) di Helsinki sui decessi legati all'inquinamento atmosferico. Secondo questo studio statistico il calo dello smog attorno al quaranta per cento per le misure di contenimento adottate negli ultimi mesi ha portato a un relativo abbassamento dei decessi legati all’inquinamento. Ma vediamo nello specifico i dati raccolti nella ricerca finlandese. Emerge, infatti, che le misure per combattere il coronavirus nell'ultimo mese hanno portato a una riduzione di circa il 40%del biossido di azoto (NO2) nell'aria, con conseguenti 1.500 decessi evitati in Italia, 11mila in tutta Europa. Secondo il Crea, il livello medio d'inquinamento da biossido di azoto (NO2) è diminuito di circa il 40% (43%in Italia) e quello da particolato del 10%(-5%in Ita-
lia). Lo studio, inoltre, mostra maggiori riduzioni dei livelli di particolato rispetto a quanto riportato in precedenza, e attribuisce questo calo alle misure di lockdown prese in Europa per combattere il nuovo coronavirus. L'impatto sui decessi viene valutato in base agli ultimi modelli di rischio che collegano l'esposizione all'inquinamento atmosferico con i danni alla salute. Scaricando il testo della ricerca cliccando sul seguente link https://energyandcleanair.org/wp/wp-content/ uploads/2020/04/CREA-Europe-COVID-impacts.pdf, si può notare che le maggiori riduzioni dei livelli di particolato rispetto a quanto riportato in precedenza, e attribuisce questo calo alle misure di contenimento prese in Europa per combattere l'epidemia che si è diffusa a livello globale a partire dalla Cina, ovvero dalla città di Wuhan. L'impatto, poi, sui decessi legati all'inquinamento atmosferico è stato valutato in base agli ultimi modelli di rischio che collegano l'esposizione all'inquinamento atmosferico ai danni alla salute. Come afferma il Centro di ricerca finlandese l'analisi dell'impatto sulla salute evidenzia anche come indipendente- mente dal miglioramento della qualità dell'aria, l'inquinamento atmosferico stia contribuendo al carico sul sistema sanitario al momento dell'epidemia.
Inquinamento atmosferico: la durata della vita si riduce di tre anni Angela Cammarota L’inquinamento dell’aria rappresenta un pericolo pubblico e ciò non è di certo una novità ma un nuovo studio conferma che si tratta di uno dei rischi per la salute pubblica più pericoloso. Secondo una recente ricerca effettuata su scala globale, da un gruppo di ricercatori del Centro Medico Universitario di Magonza, sono state riscontrate conclusioni non rassicuranti. È stato provato che l’inquinamento atmosferico provoca più vittime rispetto a quelle provocate dal fumo di tabacco, dalle malattie infettive, dall’HIV e addirittura più della malaria (malattia più diffusa nel mondo). I
ricercatori hanno calcolato che l’inquinamento dell’aria causa, esattamente, una riduzione dell’aspettativa di vita pro capite media in tutto il mondo di 2,9 anni. Da questa “Pandemia di inquinamento atmosferico” hanno scientificamente accertato il proliferarsi di determinate e gravi patologie quali: infezioni delle basse vie respiratorie, malattia polmonare, cancro ai polmoni, malattie cardiache, malattie cerebrovascolari che portano a ictus e altre patologie non trasmissibili, fra cui ipertensione e diabete. Per giunta è stato riscontrato che i territori a soffrirne di più, avendo un alto tasso di avvelenamento dell’aria, sono l’Asia orientale e
l’Asia meridionale mentre i tassi di mortalità più bassi dovuti all’inquinamento atmosferico si riscontrano in Australia. In questo momento il Lockdown mondiale, con il blocco progressivo degli spostamenti delle persone, dei mezzi e delle attività produttive, ha provocato un crollo anche dei consumi e ridotto i livelli di inquinamento in gran parte del mondo. I rivelamenti satellitari degli ultimi mesi hanno mostrato un forte calo delle emissioni di biossido di azoto (NO2) in Cina e nel nord Italia, come noto i due focolai che per primi e in modo più pesante sono stati colpiti dalla diffusione del contagio. Anche nel Regno Unito, in Germania e
nei Paesi Bassi il contenimento del virus è stato attuato attraverso un blocco totale o parziale delle attività riducendo oltremodo le concentrazioni di NO2. Anche in America e soprattutto a New York, principale città focolaio dell’intero paese, si è sensibilmente ridotto l’inquinamento atmosferico con una leggera di-
minuzione delle polveri sottili. Presto ritorneremo alla normalità, supereremo questa crisi sanitaria mondiale e cosa ne sarà dell’ ambiente? Sicuramente un modo per mitigare gli effetti di questo tipo di inquinamento comunque esiste: basterebbe eliminare le emissioni derivanti dallo sfruttamento di combustibili fossili per far aumentare di un anno l’aspettativa di vita media globale. Il rischio è che presto i benefici del lockdown lasceranno il posto agli interessi economici. Con Cina e Stati Uniti che faranno di tutto per far recuperare alle loro industrie il “tempo perduto” senza pensare all’ambiente e a salvaguardare la salute umana.
LA “TEORIA DELLA BAUBIOLOGIE” DELL’ARCHITETTO KARL ERNST LOTZ Antonio Palumbo Secondo la concezione di Karl Ernst Lotz, architetto tedesco che si annovera tra i fondatori della bioedilizia (o “edilizia ecosostenibile”), formulata nella sua nota “Teoria della baubiologie”, ciascuno di noi dispone di 3 tipi di pelle: la prima corrisponde alla nostra epidermide corporea; la seconda è rappresentata dagli abiti che indossiamo quotidianamente; la terza, infine, si identifica con la casa in cui abitiamo. Quando a ciascuna di queste “pelli” viene impedito di svolgere correttamente le proprie funzioni naturali (come quella di farci percepire il mondo che ci circonda e di metterci in contatto con esso e quella di respirare) i nostri “ambienti”, interno ed esterno, possono diventare malsani e inadeguati: in tali condizioni, noi stessi, che siamo parte integrante dell’ambiente, rischiamo di uscirne danneggiati. Una teoria, quella di Lotz, formulata intorno alla metà degli anni Settanta (quasi mezzo secolo fa), che, estendendo il nostro discorso nell’ambito del suo ragionamento, ci consente di poter individuare una serie di ulteriori “pelli” che ricomprendono le 3 che abbiamo già menzionato: i nostri quartieri, i nostri paesi o città, e, a seguire, ancora, il contesto sociale, quello biologico, ecc. Il tema dominante della “baubiologie” di Lotz, in definitiva, as-
serisce proprio questo: noi siamo parte integrante di questi contesti, noi stessi siamo queste “pelli”. In tal senso, tutta l’architettura del maestro tedesco si pone quale obiettivo primario la complessiva ricerca del benessere dell’uomo negli ambienti confinati e non, perseguito segnatamente attraverso lo studio delle interrelazioni tra i diversi tipi di “pelle”, ciascuna delle quali come si è capito - viene inclusa da quella più estesa che la ricomprende, a partire dall’elemento centrale, rappresentato appunto dall’uomo. Rispetto ad una nuova cultura architettonica e paesaggistica rispettosa di tutti gli
“elementi-pelle” in gioco, dunque, risulta fondamentale soprattutto la preventiva comprensione delle peculiarità e specificità di ogni caso, di ogni sito naturale, di ogni contesto urbano ed edificio in cui si interviene. Il principio per cui ogni luogo ha un suo carattere da rispettare rappresenta uno degli aspetti fondamentali della “baubiologie” di Lotz: il concetto basilare rimane quello di armonizzare gli spazi in sintonia con l’ambiente circostante e le persone che vi si insediano. Ai fini di una migliore comprensione del peculiare concetto di ecosostenibilità espresso dalla “Teoria della
baubiologie”, può risultare importante quanto dichiarato dallo stesso Lotz in un’intervista di alcuni anni fa: «Il rapporto fra architettura ed ecosostenibilità ha visto accrescersi l’attenzione per l’ambiente solo negli ultimi decenni. Quale fenomeno collettivo se ne è iniziato a discutere proprio in Germania, nelle aree caratterizzate da un maggior inquinamento industriale, come la Ruhr. È noto, d’altronde, come proprio in Germania siano nate le prime architetture ecosostenibili (o ecocompatibili). Dapprima si è cercato l’equilibrio fra sviluppo e ambiente: l’impegno era volto più alla produzione che all’abitazione. Infatti, salvaguardare territorio, acqua, aria e così via senza rinunciare alle “comodità” moderne, all’energia a disposizione, ecc. è impresa
generalmente molto difficile. Direi, pertanto, che l’unica strada rimanga quella di concepire l’architettura veramente ecosostenibile come un obiettivo finale, cercando, intanto, di non peggiorare le cose, ricordando peraltro che, almeno in Europa, utilizziamo da millenni un territorio interamente antropizzato. L’architettura ha un ruolo decisivo nell’ambito di queste dinamiche: è, emblematicamente, un elemento “artificiale” contrapposto al “naturale” e diventa fondamentale, quindi, cercare di equilibrare costantemente artificio e natura. Architettura e ambiente dell’artificialità, in definitiva, rappresentando appunto quei tipi di “pelle” che vanno a collocarsi tra l’uomo e l’ecosistema, richiedono, proprio per questo, lo sviluppo di rinnovate e diffuse sensibilità».
pagine a cura di: Gennaro De Crescenzo e Salvatore Lanza
Il Museo delle Arti Sanitarie di Napoli Si trova nel complesso di Santa Maria del Popolo degli Incurabili Mai come in questo periodo la sanità pubblica è sotto i riflettori. Ripercorriamo allora qualche tappa storica della sanità napoletana nel periodo preunitario. Al Museo delle Arti sanitarie di Napoli, all’interno del complesso di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, è stata allestita qualche tempo fa un’interessante mostra dedicata alla storia sanitaria della Napoli dei Borbone. L’evento rese omaggio alla tradizione medica che diede lustro al Sud tra il 1734 e il 1860, ricostruendo l’intera pagina sanitaria nel Mezzogiorno, all’avanguardia nell’Europa dell’epoca. La prima assistenza sanitaria gratuita italiana (promossa da Ferdinando IV), la percentuale di medici per numero di abitanti più alta di
tutto il resto e la più bassa mortalità infantile del territorio italiano la dicono lunga sul sistema sanitario borbonico. Due esempi storici di eccellenza: nel 1777 il Regno delle Due Sicilie sostenne una campagna vaccini contro il vaiolo per due milioni di persone; nel 1813 Aversa fu sede del primo ospedale psichiatrico italiano. La prevenzione era il cardine della medicina del Regno, tanto da detenere il record di bassa mortalità infantile; nonostante questa grande tradizione meridionale, peraltro risalente alla Scuola Medica Salernitana del XII secolo, con l’unificazione italiana i medici dell’ex Regno delle Due Sicilie furono obbligati a ripetere l’esame di idoneità alla professione medica. segue a pag.15
segue da pagina 14 Tra le riscoperte della mostra c'era il Congresso internazionale degli scienziati, che ebbe luogo il 20 settembre 1845 e riunì a Napoli ben 1600 scienziati. Un summit che Ferdinando II volle nella capitale per quella che oggi sarebbe definita una questione d’immagine: consapevole delle maligne voci che circolavano su di lui in Europa in merito ad una presunta insensibilità verso il sapere e la cultura, il sovrano decise di fare le cose in grande: per gli illustri ospiti furono organizzate delle spettacolari feste e delle escursioni in stile Grand Tour che mandarono in tilt la potente struttura poliziesca destinata alla sicurezza al punto da far litigare tra loro il questore e il ministro dell’Interno. Analizzando l'organizzazione della sanità pubblica nei vari Stati preunitari, appare evidente come alcuni di questi (Stato Pontificio, Regno delle Due Sicilie) avevano una rete capillare di controllo e assistenza in ambito sanitario, ben superiore ad altri, le cui attenzioni erano evidentemente rivolte altrove. Non mancano i riferimenti alla Scuola medica salernitana, all’esperienza casertana di San Leucio, ai primi manicomi, alla Real Casa dell’Annunziata, ai principali ospedali della città, così come si ricorderanno i grandi maestri della scienza medica partenopea – in primis Cirillo e Cotugno – che proprio nella struttura sulla collina di Caponapoli mostrarono il loro valore guadagnandosi la
stima dei colleghi di tutta. Il Sud era avanti, eccome, rispetto al resto della Penisola e il processo di ”piemontesizzazione” e repressione con tutto quello che ne seguì durante e dopo il Brigantaggio, cancellarono per sempre quelle conquiste. Il resto, purtroppo, è storia d’oggi con la migrazione sanitaria verso il Nord che sappiamo e che sottrae risorse preziose al Mezzogiorno. Questione complessa con la palla al piede costituita da burocrazia, classe dirigente spesso mediocre, divisioni, questione morale e illegalità di vario tipo, che hanno creato situazioni a macchia di leopardo tra eccellenze e malasanità. Ma il Sud c’è e se facesse rete ne avremmo da guadagnare tutti. Serve la buona politica del passato, e quella borbonica è tra queste, insieme a quella che sta dando prova di voler fare. Del resto abbiamo una tradizione che lo testimonia. I musei ne sono pieni. Non va dimenticato che la buona tradizione sanitaria napoletana è proseguita anche dopo l’Unità d’Italia. Emblematici i casi di Vincenzo Tiberio e Arnaldo Cantani, veri padri dell’antibiosi nella Napoli post-unitaria ben prima di Fleming, i primi a condurre validissimi studi che condussero alla scoperta della penicillina. La Sanità del Sud può farcela, ad armi e risorse pari con il Nord e liberandosi, una volta per tutte, di quella pesante zavorra descritta prima. (foto tratte dal sito web e dalla pagina facebook del Museo delle arti aanitarie di Napoli)
Valutare l’impatto della privacy in emergenza da Covid -19 Luca Monsurrò Come noto l’articolo n. 35 del Regolamento Europeo 679/2016 prescrive una valutazione di impatto sul trattamento dei dati personali come ad esempio quando un tipo di trattamento prevede l’uso di nuove tecnologie, le quali potenzialmente possono rappresentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche. In questo contesto, ovvero quando si è in presenza di un monitoraggio sistematico di un gran numero di soggetti interessati, dove sono trattati molteplici dati personali e sensibili, il Titolare del Trattamento effettua, prima di procedere al trattamento stesso, una valutazione sull’origine, la natura, la particolarità e la gravità di tali rischi. A seguito della valutazione si dovrebbero considerare poi le opportune misure da adottare, al fine di dimostrare che il trattamento dei dati personali rispetti sia le norme nazionali, sia quelle di matrice europea; così, nella attuale crisi da Covid-19, dovrebbe sempre sussistere un bilanciamento tra la capacità di tutela dei diritti individuali e la capacità di garantire l’efficacia del sistema di governance dell’emergenza sanitaria. Più chiaramente ci si chiede quali siano i contenuti di tale valutazione di impatto; ebbene certamente in primis vi è da
considerare una descrizione del trattamento e dell’interesse legittimo del titolare del trattamento, successivamente una valutazione delle proporzionalità dei trattamenti rispetto alle finalità perseguite ed infine una valutazione dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati e delle misure previste per affrontare detti rischi e cioè le probabilità che un evento dannoso si possa realmente verificare. Nell’attuale contesto di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica, appare certamente utile valutare l’impatto dell’ordinanza Ministeriale relativa alla applicazione (APP) “IMMUNI” che rappresenta il metodo prescelto ed il monitoraggio attivo, per raccogliere, analizzare e conservare i dati della popolazione, al fine di identificare i soggetti “potenzialmente infetti”. Ebbene vi sono una serie di perplessità inerenti questa APP riferite ad esempio alla sua volontarietà, che da un lato risolve il consenso del cittadino il quale installa autonomamente questa applicazione sul proprio smartphone, ma dall’altro lascia incalcolato il fattore tempo, dove la necessità di copertura per almeno il 60% della popolazione, può far perdere efficacia in caso di una dilatazione dei tempi troppo lunghi, dovuti appunto alla non totale copertura. Inoltre non si comprende pienamente se il cittadino sia indotto e/o incentivato a sotto-
porsi al contact tracing dove le criticità potrebbero di fatto verificarsi nelle successive disinstallazioni che rallenterebbero ancora di più l’efficienza del metodo. Ed ancora la stessa volontarietà non dovrebbe assolutamente penalizzare le persone che decidono di non utilizzare tale strumento come per esempio le persone più anziane che o per mancanza di praticità con la tecnologia o perché potrebbe profilarsi per loro un onere economico per l’acquisto di un nuovo telefo-
nino, comporterebbero ulteriori impedimenti oggettivi che farebbero arenare il progetto complessivo. In aggiunta, la problematica molto seria dell’ utilizzo relativo alla raccolta generale dei dati, seppur anonimizzati, rappresentano un elemento molto delicato sia in termini di potenziale diritto all’oblio sia in termini di gestione complessiva post-pandemia, con delle implicazioni rilevanti sulla sicurezza e trattamento dei dati personali raccolti, come anche
e soprattutto quelli relativi alla salute degli interessati. In definitiva la valutazione della proporzionalità del trattamento unita alla valutazione dei rischi per i diritti e le libertà delle persone e quindi dell’impatto complessivo del progetto, sono considerate forme di responsabilizzazione (accountability) dei titolari del trattamento, chiunque essi siano, e che hanno l’obbligo di dimostrare adeguatamente idonee garanzie ed osservanza alla normativa di settore.
Il diniego del diritto di accesso ai documenti amministrativi L’inesistenza materiale dell’atto richiesto non è una motivazione sufficiente Felicia De Capua Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (sez. terza) con la sentenza n. 1993 del 20 marzo 2020 si esprime su un caso interessante che riguarda il provvedimento di diniego del diritto di accesso con il quale l’ente interpellato si limitava ad addurre, quale motivazione, l’inesistenza materiale del documento oggetto della richiesta e la non esigibilità dello stesso. I giudici di palazzo Spada affermano che si tratta di “un’espressione polisensa, in quanto può avere riguardo a diverse fattispecie (mancata conclusione del relativo procedimento; smarrimento o altra forma di perdita materiale del provvedimento) alle quali corrispondono diverse forme di tutela dell’interessato ed altrettante forme di responsabilità dell’amministrazione”. Il Collegio condivide, di certo,
il principio giurisprudenziale secondo cui l’esercizio del diritto di accesso non può che riguardare i documenti esistenti, non anche quelli non più esistenti o mai formati (così, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1033/2018). Al contempo, aggiunge, affinché tale principio non diventi uno scudo difensivo dell’ente, atto a giustificare immotivati dinieghi, occorre che lo stesso sia applicato tenendo conto dell’esigenza, pure acclarata dalla giurisprudenza, di un onere motivatorio che non vanifichi l’effettività della tutela della pretesa all’ostensione (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 892/2013; T.A.R. Lombardia, Milano, sentenza n. 1433/2018; T.A.R. Sicilia, Catania, sentenza n. 2903/ 2019). La pretesa dell’appellante non riguardava l’avvio o la conclusione del procedimento di riesame, preannunciato dalla
stessa amministrazione, ma l’accesso ai relativi atti, una volta che è stata comunicata la volontà di riesaminare le risultanze istruttorie del procedimento riguardante un incarico dirigenziale. In sostanza, nel caso in esame, adducendo la descritta motiva-
zione, all’interessata non è stato dato modo di conoscere né l’esito, né le ragioni del procedimento di riesame in questione. In tal senso la motivazione del provvedimento impugnato non dà adeguatamente conto delle ragioni per le quali l’istanza
dell’interessata non è stata soddisfatta. Pertanto il collegio ordina all’amministrazione appellata di esibire il documento oggetto dell’istanza di accesso per cui è causa, ovvero di indicare le specifiche ragioni della sua materiale inesistenza.
Viaggio nelle leggi ambientali RIFIUTI È entrata in vigore il 29 aprile 2020 la legge 24 aprile 2020, n. 27 di conversione del decreto-legge n.18/2020 (c.d. Cura Italia). Il provvedimento contiene alcune disposizioni di estremo interesse per quanto concerne la disciplina ambientale. In primis, l’aumento dei limiti temporali e quantitativi del deposito temporaneo di rifiuti che, fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione incendi, è ora consentito fino ad un quantitativo massimo doppio, mentre il limite temporale massimo non può avere durata superiore a diciotto mesi (art. 113-bis). Alcune regioni, tramite lo strumento delle ordinanze contingibili e urgenti ex art. 191 D.L.vo 152/2006, avevano già disposto queste estensioni su limiti del deposito, ma mancava ancora un intervento legislativo nazionale che rendesse omogenea su tutto il territorio nazionale la possibilità di derogare, vista l’emergenza
sanitaria, alle disposizioni generali. Altre disposizioni riguardano la proroga della validità delle autorizzazioni ambientali in scadenza (art. 103) e il rinvio delle scadenze degli adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti, tra cui il MUD, prorogate al 30 giugno 2020 (art. 113). Gazzetta ufficiale: Serie Generale n.110 del 29 aprile 2020 Suppl. Ordinario n. 16 AMBIENTE Nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17 marzo è stato pubblicato il Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanita-
rio nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 – cd. “Cura Italia”), che contiene tra l’altro il rinvio al 30 giugno di scadenze adempimenti relativi a comunicazioni sui rifiuti. Ma non solo: ci sono anche ulteriori disposizioni relative a TARI, pile, RAEE e Iscrizione all’Albo. Gazzetta ufficiale: Serie Generale n.70 del 17 marzo 2020 DIRITTO SANITARIO Non va disposta la sospensione cautelare del provvedimento con il quale l’ASP di
Catania ha inibito la possibilità di eseguire test di accertamento della positività al Covid 19, “sul mercato” a favore dei soggetti (diversi da quelli indicati e proposti dal SSR) asintomatici che, volontariamente, ne facciano richiesta e che intendano affrontare il relativo costo, alla luce della “politica” sanitaria che – almeno allo stato delle conoscenze scientifiche attuali e delle connesse scelte “tattiche” – governa questo particolare momento emergenziale (cfr. Circ. Min. Salute n. 9774 del 20 marzo 2020 che richiama il “Documento relativo ai criteri per sottoporre soggetti clinicamente asintomatici alla ricerca d’infezione da SARS-CoV-2 attraverso tampone rino-faringeo e test diagnostico”, nel quale è stato evidenziato che il contributo apportato da potenziali casi asintomatici nella diffusione epidemica appare limitato; cfr. inoltre la Circ. Min. Salute n. 11715 del 3 aprile 2020 – prendendo le mosse dalla ra-
pida evoluzione epidemiologica della pandemia, dalla disponibilità limitata di test a livello internazionale, dalla segnalata carenza di reagenti necessari – ha ritenuto di dover individuare delle priorità nella esecuzione dei test diagnostici per SARS-CoV-2, riservandone prioritariamente l’esecuzione ai casi clinici sintomatici/paucisintomatici, ai contatti a rischio familiari e/o residenziali sintomatici, ai pazienti ospedalizzati con infezione acuta respiratoria grave o ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali e nelle altre strutture di lunga degenza; al personale sanitario o delle RSA esposto a maggiori rischi; tali disposizioni operative sono state ritenute dal TAR non in contrasto con l’art. 32 Cost., posto che questo tutela la salute non come “diritto dell’individuo”, ma anche come “interesse della collettività”). Tar Sicilia, Catania, Sez. 4, ordinanza n. 384 del 27 aprile 2020. A.T.
Gli stabilimenti balneari a prova di Covid Le proposte risolutive delle start up italiane per l’estate 2020 Cristina Abbrunzo Nel tentativo disperato di riuscire a salvare la stagione balneare e più in generale quella delle varie attività nazionali legate al turismo, mettendo così al riparo migliaia di posti di lavoro inevitabilmente a rischio a causa della pandemia da Coronavirus, si continuano a cercare delle soluzioni in grado di garantire sia la sicurezza dei cittadini che la possibilità di fruire delle varie strutture ricettive. Finché non ci sarà un vaccino o verrà sviluppata un’immunità di gregge, il Coronavirus cambierà per sempre i nostri comportamenti e chi gestisce luoghi pubblici e privati dovrà adeguarsi. Con la recente firma del protocollo per Spiagge, Mare e Stabilimenti balneari che ha fissato le linee guida per il distanziamento sociale e la profilassi anti-Covid19 sulle spiagge dell'estate 2020, le località balneari e gli operatori del settore dovranno cercare qualunque stratagemma possibile per riuscire ad adeguarsi alle direttive. Le ipotesi avanzate in questi ultimi giorni variano dai box (o cupole) in plexiglass ai recinti disegnati a terra con il nastro rosso e bianco utilizzato solitamente per delimitare le aree dei cantieri stradali e altri lavori. Insomma, chiunque si sta ingegnando per trovare un modo per farci tornare in spiaggia a
prendere il sole in totale relax e senza correre alcun pericolo. Entrambe queste soluzioni, però, potrebbero essere rimpiazzate da un’idea di una startup italiana con un impatto decisamente minore, sia per i villeggianti sia per i gestori degli stabilimenti balneari: un braccialetto smart. L’idea è della startup italiana MetaWellness, con base in Puglia e specializzata nella creazione di dispositivi per il fitness e l’attività fisica. Il braccialetto anti-COVID si chiamerà Labby Light ed è realizzato basandosi su brevetti e tecnologie proprietarie della stessa azienda barese.
Per funzionare non richiederà né app né smartphone ed è trasformabile anche in uno stick da mettere in borsa o da applicare sulla cinta. Labby Light utilizza un protocollo di comunicazione criptato e sicuro, così da renderlo non intercettabile e garantire la privacy di chi lo indosserà. Il sistema di comunicazione utilizzato, inoltre, permette di rilevare con assoluta certezza la distanza dalle altre persone che lo indossano e, in caso non rispettassimo il distanziamento sociale, inizierà a vibrare e a illuminarsi con un LED incorporato. Nel caso in cui qualcuno dovesse risultare positivo, in-
vece, il braccialetto potrebbe essere utilizzato per ricostruire la rete di contatti e stoppare sul nascere un possibile focolaio. Il braccialetto anti-COVID di MetaWellness, dunque, potrà essere utilizzato anche per il tracciamento sociale e il contenimento della diffusione dell’infezione. In questo settore, dunque, si pone in aperto contrasto con Immuni, l’app per il tracciamento sociale selezionata dal Ministero dell’Innovazione, e le API che Google e Apple stanno sviluppando come piattaforma per la realizzazione di altre app. Ma non è tutto. Le Regioni starebbero pensando anche all’introduzione di vigilantes che, in aggiunta ai bagnini, facciano rispettare il contingentamento degli accessi e il divieto di assembramenti anche e soprattutto nelle spiagge libere. Un’altra soluzione degna di nota arriva dalla start up veneta Sunrise, fondata da un gruppo di imprenditori che hanno unito le loro competenze nel mondo del digitale, dell’artigianato e del management per lanciare Spray For Life, un totem digitale che unisce un termoscanner per la misurazione della febbre a due apparati evoluti per disinfettare mani e piedi. Ispirata alle tecnologie usate a Wuhan, si tratta di una co-
lonnina, del tutto simile ai metal detector degli aeroporti, che racchiude le ultime innovazioni tecnologiche dentro un “digital totem kiosk” unico nel suo genere, basato su componenti tecnologici cinesi e realizzazione a firma di artigiani 4.0 veneti, che hanno già depositato il brevetto. Il sistema è formato da tre dispositivi. Innanzitutto, un termo scanner ad infrarossi che, a un metro di distanza, in meno di un secondo analizza la temperatura corporea con margine di errore di 0,2 gradi e mostra i risultati su uno schermo; la scansione del video permette di fermare anche le persone che non sono dotate di mascherina o che, tramite riconoscimento facciale, abbiano già commesso in precedenza una violazione. Per chi supera il test della febbre, ci sono poi due dispositivi notouch: un dispenser di gel igienizzante per le mani, che si attiva con una fotocellula, e un nebulizzatore per i piedi e le scarpe, che garantisce la sanificazione immediata. Grande spazio e apertura, dunque, all’ausilio dell’innovazione tecnologica e alle idee creative di start up come queste che forniscano soluzioni valide e efficienti per aiutarci a ritrovare un minimo di “normalità nel pieno rispetto delle disposizioni vigenti per la nostra sicurezza.
a cura di Andrea Tafuro
Veramente ci sono persone secondo cui farsi la pizza o il pane in casa rappresenta il primo passo verso un’umanità responsabile?
Rallentare non è certo questa la soluzione Paul Collier, Economista e docente ad Oxford, in: “Il futuro del capitalismo” (Laterza), sostiene che, comunque vada, il futuro è nel capitalismo. Il cattedratico inglese racconta di come sia indispensabile correggere questo sistema economico, iniettando in esso, forti dosi di equità e compassione. È necessario trovare la formula per arrivare ad imprese e società che producano profitti, lavoro ed etica. E suggerisce le strade da percorrere. L’unica combinazione vincente capace di generare una prosperità di massa resta il vituperato capitalismo. Sotto la copertura di uno stato efficiente capace di finanziarsi con le tasse, si sviluppano caratteristiche come l'abilità a organizzare la quan-
tità, la specializzazione, l'investimento, l'innovazione, la competizione e collaborazione tra aziende. Il rovescio della Medaglia è che la cattiva gestione dello stato sta facendo venir fuori società divise in cui a farla da padrone sono l'ossessione per il profitto a breve termine, l'individualismo e la richiesta di diritti scissa dai doveri. Insomma, si sono indebolite la basi della reciprocità. Collier, prefigure come traguardo un capitalismo etico, ma come raggiungerlo? “Assicurandoci che ogni Regione di un singolo Paese abbia almeno una città principale che sia raggiungibile da qualsiasi punto e che abbia un gruppo di aziende ad alta intensità che produca posti di lavoro ad elevata produttività. E facendo in
modo che la gente del posto abbia gli strumenti adatti per tali incarichi”. Inoltre, prefigura di arrivare ad una sorta di maternalismo sociale. “Lo scarso livello delle nascite ci dice che la vita famigliare è troppo difficile e che bisogna intervenire. Le famiglie giovani che rischiano di sfasciarsi e i loro bambini in età scolare vanno aiutati perché ritrovarsi costretti ad un lavoro di bassa produttività spesso è il punto finale di una vita di svantaggi che comincia dall'infanzia. Bisogna rompere il cerchio. Ma possiamo farlo solo passando da una politica di controlli di stampo paternalistico ad un tutoraggio maternalistico, che non metta le famiglie sotto esame, ma le supporti e dia fiducia”.
Riscoprire la consapevolezza del senso del limite Per comprendere la nozione di decrescita è indispensabile partire dalla differenziazione tra merci e beni d’uso. La merce è un bene creato per il mercato in vista di un profitto e dotato quindi di un prezzo. In teoria non c’è nessuna relazione tra l’aumento quantitativo delle merci, progresso e diffusione del benessere. Negli anni settanta del `900 abbiamo capito che l’aumentare delle quantità di merci prodotte per il mercato è sempre più correlato a indicatori precisi di un diminuito benessere della maggioranza della popolazione e di una minore libertà individuale. Pertanto è importante evidenziare che la decrescita non è il rifiuto dell’agiatezza economica, perché si riferisce alle merci e all’incorporazione di energia e materie prime nei prodotti. Quindi è prendere atto del fatto che è necessario non
già di fruire di meno beni, quanto di consumare meno merci, meno energie e meno territorio. Possiamo fare svariati esempi dove c’è corrispondenza tra una minor quantità di beni e una vita migliore, libera e sana. Parto da me, se e dico se, mangiassi in modo più sano otterrei il risultato di non consumare prodotti industriali sofisticati e manipolati. Questo è il caso in cui mi privassi di qualcosa, ma c’è anche il caso in cui posso accrescere la mia disponibilità di beni e servizi, anche in un contesto non di sviluppo, ma di decrescita. Immaginiamo che il nostro sistema statale produca e faccia rispettare leggi che riducano drasticamente i rischi di contatto nell’ambiente con sostanze patogene. In una tale situazione il cittadino fruirebbe di migliori servizi sanitari e po-
trebbe maggiormente disporre di quei beni preziosi che sono cure mediche attente alle persone e basate su buone informazioni ambientali, nel quadro non di uno sviluppo, ma di una decrescita dell’economia. Per non parlare delle conseguenze negative per l’ambiente naturale, infatti il danneggiamento dell’ambiente, si traduce in pessima qualità dell’aria, accumulo di rifiuti non smaltibili senza danni, nocività degli alimenti. La crescente invivibilità dell’ambiente per effetto dello sviluppo è una tale evidenza, di cui ciascuna persona psichicamente sana ha percezione quotidiana, che per negarla bisogna essere o privilegiati che hanno ancora per lungo tempo i mezzi per sottrarsi a gran parte delle sue venefiche conseguenze, o sciocchi resi tali da una radicale atrofia dell’anima.
Passatempoyoung, uno spazio online dedicato ai bambini e ai ragazzi Un contenitore di attività ludiche e creative da svolgere in casa durante il lockdown Laboratori, progetti, attività didattiche e ludiche, spettacoli, filmati, libri e tanta musica: w w w. p a s s a t e m p o young.it è un piccolo mondo del tempo libero dedicato ai bambini e ai ragazzi, dai 4 ai 16 anni. Si tratta di una specie di “contenitore” online per aiutare genitori, nonni, docenti e gli stessi bambini ad orientarsi in maniera più semplice tra le centinaia di proposte che ogni giorno arrivano in rete e sui canali social. Uno spazio aperto non solo alle singole proposte della rete ma anche alle associazioni, agli operatori, alle società, ai teatri, ai musei, agli editori, ai singoli artisti, alle scuole e a tutti i professionisti che operano nel mondo dell’infanzia e degli adolescenti. Grazie alla nuova piattaforma le diverse realtà
possono non solo promuovere le proprie attività ma anche creare sinergie e collaborazioni. PassaTempoYoung è diviso in sezioni: dallo yoga per i più piccoli, alle visite virtuali nei musei, dai tutorial con gli animali domestici a quelli di cucina facile. E poi letture, poesie, tanto teatro, movimento creativo, cinema e danza, lezioni di scienze e piccoli esperimenti, ma anche barzellette e indovinelli, consigli per disegnare, corsi per fumetti, videogiochi gratuiti da scaricare, film e libri. Sono presenti anche progetti BES (Bisogni Educativi Speciali). Per aderire all’iniziativa basta accreditarsi, inviando attraverso il form le caratteristiche della propria proposta, i dettagli su chi la realizza e in quale categoria del sito web si desidera essere inseriti.