Il dibattito sulla gestione ed il coordinamento delle emergenze ISTITUZIONI
Il progetto HortiCultura nei musei campani
Si è svolto il 5 ottobre la presentazione di HortiCultura nella splendida Sala dei Porti della Reggia di Caserta. Il progetto vede come soggetto responsabile la cooperativa sociale Terra Felix e interesserà i territori di Caserta, Santa Maria Capua Vetere, Pompei e Succivo. Il progetto è finalizzato alla creazione luoghi di apprendimento e gioco nei principali siti culturali Mibact della Campania... Morlando a pag.4
NATURA & BIODIVERSITÀ
Rischio estinzione per molte specie di piante
Quello del coordinamento delle emergenze rappresenta il secondo dei sette temi affrontati dal Sinpref in modalità webinar al fine di consentire ai funzionari prefettizi di dialogare con i maggiori esperti del settore circa i casi pratici che quotidianamente le prefetture si trovano ad affrontare, non ultima l’emergenza derivante dalla pandemia. L’incontro virtuale si è tenuto lo scorso 29 settembre, ha aperto i lavori Antonio Giannelli presidente del Sinpref e moderato la discussione Alessandro Tortorella, Viceprefetto Vicario di Grosseto.
AMBIENTE & TRADIZIONE
Grandi Napoletani: Vincenzo Gemito
La nostra terra è stata segnata, da circa tremila anni, da uomini e donne che l’hanno resa grande. Storia, teatro, pittura, scultura, musica, architettura, letteratura… I settori nei quali Napoletani e Campani sono diventati famosi e hanno rese famose Napoli e la Campania sono numerosissimi. Continuiamo il nostro piccolo viaggio tra Napoletani e Campani famosi.
Martelli a pag.2
ARPAC
Il Rapporto Ambiente Snpa 2019 Al momento rappresenta uno degli strumenti più completi per documentarsi sullo stato dell’ambiente nel nostro Paese. Il prossimo 21 ottobre verrà presentato, in diretta streaming.
De Crescenzo-Lanza pagg.14-15
Mosca a pag.5
Il monitoraggio Arpac dei campi elettromagnetici
Bio-architettura Le architetture dell’acqua
NATUR@MENTE
La classe aspirazionale di Elizabeth Currid-Halkett
La diffusione di tecnologie e apparati sempre più sofisticati a supporto di impianti radiotelevisivi, stazioni radio base per la telefonia mobile e reti wireless, ha recentemente accresciuto la preoccupazione della popolazione in merito agli effetti che i campi elettromagnetici(Cem)... Pascarella-Migliaccio-Della Rocca a pag.7
È quanto emerge nel rapporto State of the World’s Plants and Fungi 2020, prodotto da oltre 200 scienziati di 97 istituzioni scientifiche di 42 Paesi, e che, stima la nostra attuale conoscenza della diversità di piante e funghi sulla Terra, delle minacce globali da affrontare e delle politiche da attuare per salvaguardarli. Piante e funghi custodiscono segreti curativi ancora sconosciuti; possono essere combustibili rinnovabili e super- alimenti. Stiamo perdendo le opportunità di utilizzare questo scrigno di incredibile diversità perché molte specie stanno scomparendo a causa... Pollice a pag.8
Numerose e straordinarie sono state, in ogni secolo, le architetture che hanno utilizzato l’acqua come principio primo ed elemento fondante del progetto, anche (e, forse, soprattutto) non considerandola semplicemente un elemento di carattere estetico ma, più ancora, imprescindibilmente legato alla ecosostenibilità in senso lato. Palumbo a pag.13
DIRITTO & AMBIENTE
AMBIENTE & TENDENZE
L’accesso civico ai dati sanitari all’attenzione del Garante della Privacy
Arriva Teracube 2e: la nuova evoluzione di smartphone ecologico
Non sono ostensibili le informazioni sulla salute che rendono identificabili le persone.
In piena crisi ambientale, il nostro pianeta cerca soluzioni nella tecnologia per ridurre l'impronta dell'uomo..
De Capua a pag.17
Abbrunzo a pag.18
Devo staccarmi dalla massa, perché la distanza economica tra me e la massa si sta riducendo e il risultato è che non solo devo sviluppare nuovi modi, meno appariscenti, per distinguermi dai più, ma, avverto un bisogno maggiore di distanziarmi da loro, per esorcizzare questo avvicinamento sgradito. In questo nostro tempo, l’accesso alla ricchezza di molte più persone, il calo dei prezzi dei beni di consumo in generale, hanno trasformato nell’immaginario collettivo il concetto di status. Al punto che, oggi, l’élite punta a consumare meno della classe media e sceglie nuovi indicatori di benessere... Tafuro a pag.19
IL DIBATTITO SULLA GESTIONE ED IL COORDINAMENTO DELLE EMERGENZE Tra gli esperti intervenuti il Direttore Generale di Arpac Stefano Sorvino Giulia Martelli Quello del coordinamento delle emergenze rappresenta il secondo dei sette temi affrontati dal Sinpref in modalità webinar al fine di consentire ai funzionari prefettizi di dialogare con i maggiori esperti del settore circa i casi pratici che quotidianamente le prefetture si trovano ad affrontare, non ultima l’emergenza derivante dalla pandemia Covid-19. L’incontro virtuale si è tenuto lo scorso 29 settembre, ha aperto i lavori Antonio Giannelli presidente del Sinpref e moderato la discussione Alessandro Tortorella, Viceprefetto Vicario di Grosseto. Dopo la relazione introduttiva a cura di Agostino Miozzo (Coordinatore Comitato Tecnico Scientifico per l’emergenza Covid-19 Dipartimento della Protezione Civile, Presidenza del Consiglio dei Ministri) hanno dialogato sui casi proposti: Carolina Bellantoni (Prefetto di Mantova), Marco Iachetta (Funzionario Formez già Responsabile Area Prot. Civ., Sicurezza e Polizia Locale ANCI Emilia-Romagna) e Stefano Sorvino (Direttore Generale Arpac), ha infine concluso l’incontro il Sottosegretario al Ministro dell’Interno Carlo Sibilia, che ha ribadito la necessità di uniformare a livello nazionale le strutture deputate alla gestione delle emergenze, azzerando il gap esistente tra le diverse regioni e puntando su: risorse, professionalità e miglioramento della gestione della comunicazione tra i vari livelli del sistema di protezione civile. Al centro della discussione: il coordinamento, la fase decisionale, il ruolo delle prefetture, l’esigenza di una normativa nazionale ma anche europea di gestione unica delle emergenze, la difficoltà di mettere insieme le indicazioni tecniche con una ricaduta operativa ed applicativa da parte degli organi competenti. Rispetto all’emergenza Covid19 l’Avvocato Sorvino ha innanzitutto descritto il ruolo dell’Agenzia, impegnata sia in attività di monitoraggio straordinario sulle matrici ambientali a causa della diminuzione
degli inquinamenti verificatasi nel periodo del lockdown, sia nella conduzione di studi di settore sugli elementi di potenziale collegamento tra la diffusione del virus e l’inquinamento atmosferico. Tornando indietro nel tempo, a circa quarant’ anni fa, Sorvino ha poi ricordato il terremoto che funestò l’Irpinia nel novembre 1980, considerato lo spartiacque storico tra il vecchio e l’attuale modello di protezione civile sottolineando il paradosso per cui, seppur a fronte dello sviluppo di sistemi sempre più evoluti di gestione delle emergenze, attualmente si assista ad un aumento della percezione di insicurezza, preoccupazione ed incertezza rispetto al futuro. Il Codice di protezione civile nella riscrittura, rivista, aggiornata è stato per certi versi
preveggente, perché come è noto nella legge base la 225/92 e ss.mm.ii. non erano specificati i rischi ma semplicemente la tipologia generale degli eventi di tipo a- b- c, viceversa il Codice, all’art.16, ha puntualizzato con riferimenti determinati e normativi le tipologie di rischi a cui è esposto il nostro sistema. Una prima categoria contiene i rischi ai quali tipicamente è dedicato l’apparato di protezione civile che sono quelli tradizionali (sismico, vulcanico, idrogeologico), al secondo comma vengono indicate ulteriori tipologie tra cui quello igienico-sanitario laddove però l’azione del servizio nazionale di protezione civile si esplica ferme restando le competenze dei soggetti ordinariamente individuati ai sensi delle vigenti normative di settore. Da ciò emerge la complessità del mo-
mento attuale, dove il sistema di protezione civile opera unitamente al sistema settoriale sanitario, rendendo necessario un efficiente coordinamento tra i rispettivi strumenti d’intervento anche dal punto di vista giuridico. La normativa successiva, ha poi posto il problema del diritto dell’emergenza (già presente nel diritto internazionale ed in quello costituzionale) coincidente con il dibattito relativo, in particolare, allo strumento giuridico delle ordinanze contingibili ed urgenti, la loro legittimazione, i loro presupposti ed in particolare le deroghe ad esse. Il problema del coordinamento nelle situazioni emergenziali talvolta risiede nell’ utilizzo spesso confuso degli strumenti di esercizio dei poteri – come ordinanze governative presidenziali, regionali e sindacali – che fanno riferimento a svariate fonti normative e per questo spesso sono in contrapposizione. Nello sviluppo di una materia tanto nuova e complessa, si colloca il ruolo fondamentale del prefetto quale organo dell’emergenza e quindi detentore del potere di coordinamento e direzione unitaria negli eventi di tipo b da esercitare in raccordo con le Regioni. Si tratta di un
passaggio fondamentale, perché gli eventi più complessi dove si dispiega il coordinamento sono proprio quelli intermedi così come formulato nella Legge 100 /2012. In conclusione, Sorvino ha citato quale esempio positivo di raccordo che si è rivelato vincente, l’esperienza del 2016 quando, all’indomani dell’evento sismico dell’Umbria, l’allora prefetto di Perugia insediò il Centro Coordinamento soccorsi d’intesa con la Regione presso il centro regionale di protezione civile dell’Umbria affidandone la direzione al Direttore generale della protezione civile proprio della regione. Di contro, un caso emblematico di un inefficiente coordinamento è rappresentato dal disastro di Sarno del 5 maggio 1998, con 140 morti a causa di progressive colate rapide di fango che si abbatterono dalla montagna sull’abitato pedemontano e che ha portato alla condanna penale dell’allora sindaco per la mancata adozione di un ordine di evacuazione almeno parziale e per una carenza e tardiva informazione verso il livello provinciale e regionale ed una conseguente carenza di attivazione da parte dell’autorità locale di protezione civile.
L'Unione Europea aggiorna l’Atlante Marino Europeo Consultabile on-line in diverse lingue e con nuove applicazioni Angelo Morlando Il nuovo Atlante Marino Europeo è on line su: http://www.european-atlas-of-the-seas.eu/. Dopo aver cliccato sul link è possibile scegliere la lingua. Al momento sono state già inserite 19 mappe predefinite che interessano, ad esempio, i trasporti marittimi, i fondali, i rifiuti, l’utilizzo dei materiali dai fondali, etc. È possibile anche realizzare una mappa personalizzata e ci sono oltre cento argomenti da poter approfondire: si possono inserire informazioni su cavidotti sottomarini, sulla vita marina e tanti altri dati. L’introduzione all’aggiornamento dell’Atlante è affidata a Virginijus Sinkeviius (Commissario europeo per l'Ambiente, gli oceani e la pesca): “Proteggere l'oceano e utilizzare le nostre risorse marine in modo sostenibile inizia con la conoscenza e la comprensione. L'Atlante europeo dei mari contribuisce a migliorare l'alfabetizzazione oceanica di tutti noi. Grazie alla sua disponibilità in tutte le lingue ufficiali dell'UE, l'Atlante diventerà finalmente una risorsa indispensabile non solo per i professionisti, ma anche per gli educatori e gli studenti di tutta Europa, per comprendere meglio l'importanza degli oceani e prendere le decisioni
giuste per salvarli”. Ed effettivamente da poche settimane, l'Atlante Marino Europeo è stato dotato di una serie di nuove funzionalità tra cui: maggiore semplicità per stampare le mappe; inserimento di uno strumento di misurazione delle distanze; nuovi layer di mappe; nuove funzioni di utilizzo della mappa; sfondi dei fondali di tutto il mondo più dettagliati. La nuova piattaforma è fornita da EMODnet (rete europea di osservazione e dati marini). È presente anche una funzione di help/aiuto interattiva per guidare i visitatori. Una delle ultime mappe inserite riguarda la batimetria (EMODnet Bathymetry) che si riferisce alla profondità dell'oceano rivelando un'affascinante topografia del fondo marino con magnifiche catene montuose, trincee, vulcani e canyon, nascosti sotto le onde. La batimetria è la base per gran parte della scienza e della politica oceanica; ad esempio, è la base delle carte nautiche che garantiscono una navigazione sicura delle navi ed è un'informazione vitale per comprendere la circolazione oceanica, i cambiamenti ambientali e le future previsioni climatiche. Si pensi che, fino ad oggi, solo il 20% delle profondità oceaniche è stato mappato con preci-
sione. Il progetto è dello International Hydrographic Organization (IHO) unitamente alla Commissione Oceanografica Intergovernativa Oceanografica (IOC) e alla General Bathymetric Chart of the Oceans (GEBCO). Per la realizzazione della mappa sono stati combinati suoni acustici e dati di gravità
forniti dai satelliti. L’ultima versione disponibile ha una risoluzione molto dettagliata, capace di coprire quasi tutti i settori terrestri. Il progetto EMODnet ha anche armonizzato tutte le indagini termometriche acustiche disponibili per produrre una mappa termometrica con una risoluzione ancora più elevata della precedente e che
copre tutte le regioni marine europee. Grazie a tutti questi evidenti miglioramenti e aggiornamenti, è stato portato avanti anche il progetto Nippon Foundation-GEBCO Seabed 2030, sempre in collaborazione con EMODnet Bathymetry, che ha fissato l'ambizioso obiettivo di mappare il 100% del fondo dell'oceano entro il 2030.
Presentato il progetto HortiCultura nella splendida Reggia di Caserta Vedrà il coinvolgimento di circa mille ragazzi del territorio campano Si è svolto il 5 ottobre la presentazione di HortiCultura nella splendida Sala dei Porti della Reggia di Caserta. Il progetto vede come soggetto responsabile la cooperativa sociale Terra Felix e interesserà i territori di Caserta, Santa Maria Capua Vetere, Pompei e Succivo. Il progetto è finalizzato alla creazione luoghi di apprendimento e gioco nei principali siti culturali MIBACT della Campania quali: Reggia di Caserta, Parco Archeologico di Pompei, Anfiteatro e Museo dell’Antica Capua, Museo Atellano. Ha introdotto il progetto Paola Pascale della cooperativa Terra Felix che ha denunciato il grande problema della povertà educativa: “che è la condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento e che coinvolge il 78% dei minori tra i 6 e i 17 anni che non ha mai assistito ad uno spettacolo teatrale e il 68% che non ha mai visitato un museo. Il riferimento principale è costituito dalla Convenzione di Faro, con la quale i siti culturali diventano protagonisti nell’attivazione di strategie per la riduzione della povertà educativa incrementando la partecipazione, attivando connessioni con i portatori di interesse locali, riducendo le disparità, aumentando la coesione sociale e valorizzando l’eredità culturale territoriale”.
Sono intervenuti anche Stefano Ciafani (Presidente Legambiente) Antonio Salerno, (Direttore dei Musei Archeologici dell’Antica Calatia (Maddaloni), dell’Antica Alife (Alife), di Teanum Sidicinum e del Teatro Romano di Teano) e Ida Gennarelli (direttrice dell’Anfiteatro campano - Santa Maria Capua Vetere). È intervenuto con un video registrato, perché impossibilitato a partecipare in presenza, anche Carlo Borgomeo, Presidente Fondazione con il Sud. Ha concluso la presentazione la Direttrice della Reggia, Tiziana Maffei che ha dichiarato: “Ringrazio tutti per
la presenza nel pieno rispetto delle norme vigenti per la tutela della salute. Lavoreremo insieme per un progetto che ci vede coinvolti con grande responsabilità. La coltura e la cultura hanno la stessa etimologia e sono portatori dei valori sani che abbiamo sempre sostenuto. Il rispetto degli obiettivi di Agenda 2030 sono per noi il pane quotidiano e questa iniziativa si integra perfettamente nel lavoro costante che portiamo avanti”. Citando il progetto con specifico riferimento al luogo della presentazione: “La Reggia di Caserta ospiterà orti museali
per una didattica esperienziale. Saranno uno strumento per contrastare l’abbandono scolastico e la povertà educativa. Per tutto l’anno, grazie a genitori e nonni, in una prospettiva intergenerazionale, gli orti diventeranno un esercizio di cittadinanza attiva. Sarà un’esperienza che educherà i bambini alla responsabilità verso sé stessi e verso la comunità. Il progetto coinvolgerà tanti bambini che vivono in condizioni di povertà educativa e alcuni di loro anche nella vulnerabilità sociale delle caotiche periferie di Napoli e Caserta”. A.M.
Ambiente, approvato il decreto per la forestazione urbana Trenta milioni di euro nel biennio 2020-2021 per progetti da attuare nelle città metropolitane Fabiana Liguori Il cemento, questa brutta bestia, nemico delle città, della natura e dell’aria pulita, grazie alla mano dell’uomo, continua ad appropriarsi sempre più di spazi nuovi. Lo scorso luglio il Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, redatto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), metteva in evidenza tale criticità in Italia, dove l’aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali, avanza inesorabilmente. I dati sono chiari: nel 2019 le nuove coperture artificiali hanno riguardato 57,5 km2, in media circa 16 ettari al giorno. Ogni abitante del no-
stro Paese ha in “carico” 355 m2 di superfici occupate da cemento, asfalto o altri materiali (un valore che cresce di quasi 2 m2 l’anno). Respirare in alcuni centri urbani è diventato davvero complicato. Il Ministero dell’Ambiente prova a scuotere le amministrazioni locali. Pochi giorni fa, infatti, è stato approvato in Conferenza unificata il decreto attuativo della legge Clima, che regola le modalità per la progettazione degli interventi e il riparto delle risorse per i finanziamenti del programma sperimentale finalizzato alla creazione di foreste urbane e peri urbane nelle città metropolitane. Il fondo previsto per il biennio
2020-2021 è di 15 milioni di euro per ciascun anno, stanziati sul capitolo dello stato di previsione del Ministero e destinati ai comuni in procedura di infrazione comunitaria per
la qualità dell’aria (44 in Campania). Per ciascun progetto presentato dalle Città metropolitane è previsto un limite massimo di finanziamento, pari a 500
mila euro e tra i requisiti di ammissibilità al bando è richiesto l’impegno ad assicurare un piano di manutenzione per un periodo di almeno sette anni e l’eventuale nuova messa a dimora delle alberature che non abbiano attecchito. Entro 120 giorni dalla firma del decreto è possibile proporre i progetti che saranno verificati e validati dal Ministero dell’Ambiente entro 90 giorni dalla ricezione. La difesa della biodiversità, l’incremento della superficie delle infrastrutture verdi e soprattutto la tutela della salute e del benessere dei cittadini saranno gli obiettivi fondamentali da perseguire nell’attuazione dei progetti selezionati.
Le migliori esperienze nel Sistema nazionale raccontate dal Rapporto Ambiente 2019 Il 21 ottobre la presentazione in streaming del volume curato da Ispra e dalle Arpa/Appa Luigi Mosca Al momento rappresenta uno degli strumenti più completi per documentarsi sullo stato dell’ambiente nel nostro Paese. Il prossimo 21 ottobre verrà presentato, in diretta streaming, il Rapporto Ambiente curato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, Sistema che come è noto comprende l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e le ventuno Agenzie ambientali di Regioni e Province autonome. La presentazione di questa pubblicazione annuale, edita quest'anno a giugno, si è tenuta una prima volta prima dell'estate, con la presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Il Rapporto Ambiente non è soltanto una rappresentazione della qualità dell’aria, delle acque, dei terreni, e delle altre matrici ambientali in Italia, nonostante l’ovvia importanza del tema. E’ anche una vetrina in cui vengono presentati le esperienze, i controlli sul territorio, l’attività capillare di prevenzione e protezione che le Agenzie svolgono giorno per giorno al fine di monitorare
l’inquinamento e in generale la complessità degli effetti che le azioni umane suscitano sugli ecosistemi. Le “best practices”, le migliori esperienze, saranno appunto discusse nell’incontro online che vedrà la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali. Sono previsti gli interventi di una vasta rappresentanza dei vertici del Sistema nazionale, tra cui diversi direttori generali delle Agenzie ambientali compreso il dg dell’Arpa Campania Stefano Sorvino, che terrà un intervento sul tema “Analisi dei bilanci di materia della gestione della frazione organica differenziata”. L’evento verrà trasmesso in streaming sul canale YouTube IspraVideo.
Il Rapporto Ambiente – Snpa, disponibile sul sito snpambiente.it, nasce appunto con l'obiettivo di garantire un’ampia ed efficace divulgazione dei dati e dell’informazione ambientale prodotta da Ispra e dalle Arpa/Appa. La base dati è l’Annuario dei dati ambientali Ispra. Il Rapporto è realizzato in un unico volume strutturato in due parti. La prima descrive le realtà regionali, la seconda è
composta da brevi articoli che riguardano specificità regionali oppure attività Snpa particolarmente rilevanti e di interesse per la collettività. L'edizione 2019 presenta 301 indicatori, di cui 232 aggiornati, per un totale di circa 150mila dati organizzati in 494 tabelle e 667 figure. Prevalentemente l’aggiornamento è al 31 dicembre 2018 e, dove possibile, al 2019. I temi trattati spaziano dalla qualità dell’aria a quello dei corpi idrici, dalla gestione dei rifiuti all’inquinamento del suolo, e molto altro. Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente è nato nel 2016 con la legge 132, entrata in vigore all’inizio del 2017, ma ha raccolto e rilanciato le competenze del sistema delle agenzie ambientali, nate dopo la metà degli anni Novanta. Tra gli obiettivi di questa nuova realtà istituzionale a rete, garantire omogenee prestazioni ambientali in tutto il Paese, di modo che, di fronte all’esigenza di tutelare le risorse ambientali, cittadini e imprese abbiano garanzie, e anche doveri, identici in tutto il territorio nazionale. Alla prima Conferenza del Sistema, tenutasi a Roma nel febbraio 2019, alla presenza del Presidente della Repub-
blica Sergio Mattarella, nel corso del suo intervento il ministro Costa ha citato l’esperienza dell’Arpa Campania come esempio di «spirito di servizio, di generosità e passione», nell’ambito del panorama delle Agenzie ambientali. C’è da aggiungere che un numero crescente di attività, nell’ambito del Sistema, non sono frutto di una singola realtà ma di un lavoro di squadra. Lo stesso Rapporto che “fotografa” lo stato dell’ambiente in Italia viene realizzato con il contributo di tutte le Agenzie ambientali, compresa ovviamente quella campana. Referente Arpa Campania per l’elaborazione del Rapporto è Paola Sonia Petillo (UO Sostenibilità ambientale). Sul versante della comunicazione, negli anni è stato fatto uno sforzo per rendere la pubblicazione fruibile per una platea di lettori più ampia possibile e non necessariamente dotata di competenze tecniche. Il Rapporto, ad esempio, fa un ampio uso di infografiche, utilizzate per illustrare le problematiche ambientali e rappresentare dati e idee complesse in un modo nuovo, diretto e immediato. (foto di Antonella Masala e Vincenzo Salerno, licenza CC BY 4.0 da snpambiente.it)
Digital Pollution: anche internet ed email inquinano Quanta CO2 può produrre un sito web? Abbiamo testato il sito arpacampania.it Bruno Citarella Gianluca Esposito La teoria economica nota come "tragedia dei beni comuni" è un concetto che riguarda le cosiddette risorse condivise (come un pezzo di terra "comune", o l'aria che respiriamo). Non essendo definiti espliciti diritti di proprietà, alcuni utenti individuali tenderanno a rovinare o a sfruttare la risorsa agendo nel proprio interesse, contrariamente al bene comune di tutti gli utenti. Questa teoria è alla base di molte norme ambientali, tese ad esempio a impedire o limitare scarichi o emissioni inquinanti nei corpi idrici o in atmosfera. Inquinamento digitale Anche Internet è una risorsa condivisa e gli stessi modelli del mondo reale si applicano anche online. Qui l'inquinamento avviene attraverso un ecosistema pubblicitario digitale senza scrupoli: grandi piattaforme dipendenti da un modello di business pubblicitario sfruttano e distorcono lo sviluppo dei beni comuni online per dare priorità all'interesse commerciale. Le informazioni si evolvono per adattarsi meglio alla pubblicità e spesso veri e propri truffatori giocano con il sistema dando la priorità ai contenuti online progettati per raggiungere milioni di persone ed evo-
care rapide reazioni o interazioni. Uno dei risultati più gravi è che il giornalismo oggi è fortemente contaminato dal fenoe meno del clickbait1 proliferano siti di notizie false che diffondono disinformazione a macchia d'olio. Il problema del digital pollution (inquinamento digitale) ha ricadute misurabili in termini di emissioni di CO2 nel mondo reale. È dunque una realtà concreta e tangibile anche se può sembrarci difficile da visualizzare essendo connesso a un mondo astratto come quello del web. In effetti c’è poca consapevolezza del fatto che ognuno di noi contribuisce, con il suo essere on-line, ogni giorno alla produzione di CO2. L'esempio più semplice lo abbiamo per così dire “a portata di mano” e sono i nostri smartphone, laptop, tablet eccetera.. Pochi si fermano a riflettere sul fatto che generino CO2 proprio come un qualunque elettrodomestico soprattutto durante l’uso. Abbiamo ormai superato i 5 miliardi di utenti/smartphone, l’industria di questi dispositivi è immensa come le emissioni che produce, e soprattutto, una volta arrivato all’utente finale, lo smartphone (che ormai supera il PC in termini di funzionalità) continua a inquinare tra chia-
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mate, navigazione internet, mail, videostreaming eccetera. Che Internet inquini è ormai incontestabile, in rete abbondano gli studi e le ricerche con risultati impietosi: - Una mail (1Mbyte) emette 9 grammi di CO2e (CO2 equivalente, fonte: Ademe, Agenzia per la transizione ecologica francese). - Un server può arrivare a produrre annualmente da 1 a 5 tonnellate di CO2. - Nel 2015 si stimava per l'industria IT globale un'im-
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pronta di carbonio paragonabile a quella del settore mondiale dell'aviazione (emissioni da consumo di carburante): oggi questa soglia è ampiamente superata. Insomma, quando si invia un'e-mail viene emessa CO2 e il peggio è che alla ricezione farà probabilmente parte di quel 20-60% di e-mail che rimangono nella posta in arrivo senza mai essere aperte ingrossando i nostri archivi di email “inutili” conservati nei data center. Acclarato che navigare su internet o inviare una e-mail è tuttaltro che carbon-free, il vero problema sono i datacenter necessari per alimentare la vita online del pianeta Terra, che lavorano costantemente producendo anidride carbonica. Internet verde Ci sono segnali di attenzione verso il problema e cominciano a diffondersi (anche in Italia) realizzazioni di datacenter a emissioni zero, ma ognuno di noi può dare il proprio contributo, bastano poche semplici mosse (v. fig.1): tenere in ordine la propria casella e-mail, cancellarsi da newsletter inutili, usare motori di ricerca “green” che compensano le emissioni di CO2 finanziando progetti ambientali, ad esempio: - “ecosia” (www.ecosia.org ...ogni 45 ricerche effettuate piantano un albero2 )
- “Lilo” (www.lilo.org). Tra l’altro sono iniziative nate nell’Unione Europea, che rispettano la normativa sulla privacy e... pagano le tasse in UE. Il sito Arpac AvantGrade.com, realtà di marketing digitale molto impegnata sul fronte dell’intelligenza artificiale, ha sviluppato un «misuratore di web-CO2» a valle di una interessante ricerca sull’inquinamento prodotto dal web: anche i siti delle associazioni ambientaliste rilasciano molta CO2, ma ad esempio il sito del ministero dell’ambiente italiano è più virtuoso dell’omologo tedesco3 . E in Arpac a che punto siamo? ci siamo sottoposti alla prova e… non è andata male4 (v. fig.2), ma l’impegno a migliorare continua! Note (1 in italiano acchiappaclic, è un termine che indica un contenuto web la cui principale funzione è di attirare il maggior numero possibile d'internauti, per generare rendite pubblicitarie online. 2 1 albero può assorbire fino a 5kg di emissioni di carbonio all'anno 3 Fonte: www.corriere.it/ pianeta2020/ 4 Abbiamo testato altre pagine del sito a campione con risultati analoghi, è in fase di rilascio il nuovo sito web per il quale uno degli obiettivi di miglioramento sarà la riduzione dell’impatto in termini di digital pollution).
Il monitoraggio dei campi elettromagnetici: la risposta di Arpac a una criticità emergente L’Agenzia ha acquistato nuovi strumenti per adeguare i controlli alle crescenti richieste di intervento Loredana Pascarella Agostino Migliaccio Maria Rosaria Della Rocca La diffusione di tecnologie e apparati sempre più sofisticati a supporto di impianti radiotelevisivi, stazioni radio base per la telefonia mobile e reti wireless, ha recentemente accresciuto la preoccupazione della popolazione in merito agli effetti che i campi elettromagnetici (Cem) comportano per la salute umana e per l’ambiente in generale. Le Autorità competenti sono, pertanto, chiamate a dare risposte frequenti in tempi rapidi, avvalendosi in primis degli organi deputati al controllo e monitoraggio. In questa cornice in rapida evoluzione, Arpac in virtù delle competenze assegnate dalle vigenti disposizioni nazionali e regionali, ha deciso di rinnovare la strumentazione in dotazione, al fine di fornire un servizio sempre più efficace ed efficiente. A tale scopo, dal mese di maggio sono state avviate le attività inerenti alla fornitura e alla
Arpa CAMPANIA AMBIENTE del 15 ottobre 2020 - Anno XVI, N.19 Edizione chiusa il 15 ottobre 2020 DIRETTORE EDITORIALE Luigi Stefano Sorvino DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO I. Buonfanti, B. Citarella, A. Cammarota, F. De Capua, G. De Crescenzo, M. Della Rocca, G. Esposito, P. Falco, B. Giordano, G. Loffredo, C. Marro, A. Migliaccio, A. Morlando, A. Palumbo, A. Paparo, L. Pascarella, T. Pollice, M. Tafuro SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/427/451 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it magazinearpacampania@libero.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 1-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali.
Foto 1 – Collaudo degli strumenti per le misure Cem
formazione all’utilizzo di quattro lotti di strumentazione per misure di campi elettromagnetici, attività concluse nel mese di settembre. Queste attività sono state oggetto di una specifica procedura di gara, la cui indizione è stata autorizzata con Deliberazione n. 308/2019. L’iniziativa è inserita nel “Programma di contributi per esigenze di tutela ambientale connesse alla minimizzazione dell’intensità e degli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, denominato in sintesi “Programma Cem”, istituito dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con Decreto direttoriale n. Rin-Dec 72/2016. A seguito dell’approvazione e ammissione a contributo, da parte del Ministero, dei progetti elaborati da Arpac su richiesta della Regione Campania, con quest’ultima è stata sottoscritta
Foto 2 – Antenna triassiale a corredo dell’analizzatore di spettro
apposita Convenzione e nominato il Responsabile della stessa, con il compito di dare attuazione a quanto previsto. La procedura di gara è stata espletata dalla Stazione unica appaltante e si è conclusa con la presa d’atto dell’aggiudicazione con efficacia della fornitura dei quattro lotti a due Società leader nel settore, avvenuta con Deliberazione n. 192/2020. Le attività svolte dal personale interno incaricato dell’iter procedimentale (il Responsabile unico del procedimento e il Direttore dell’esecuzione, con il supporto dei Dirigenti referenti e del Personale individuato presso ciascun Dipartimento), sono consistite anche nella verifica documentale e funzionale della fornitura consegnata; nell’organizzazione delle attività di formazione (con modalità mista online/presenza per un totale di circa 80 ore); infine nella certificazione
Foto 3 – Formazione presso i Dipartimenti provinciali
e attestazione di conformità della fornitura (Foto 1). La fornitura ha permesso di potenziare la dotazione strumentale delle cinque articolazioni provinciali dell’Arpa Campania, nell’ottica di incrementare il numero dei controlli che saranno effettuati, anche mediante l’ampliamento delle risorse umane, per la misura delle potenziali esposizioni dovute alle installazioni di nuove antenne destinate alla telefonia mobile (comprese quelle relative al cosiddetto 5G), in affiancamento all’attività di rilascio dei pareri tecnici preventivi. Ha inoltre permesso di dotare i Dipartimenti provinciali di Napoli e Salerno, i cui territori di competenza presentano le maggiori criticità dal punto di vista dell’impatto elettromagnetico generato da infrastrutture di telecomunicazione Radio-Tv e telefonia mobile, di strumentazione in grado di effettuare misure Rf (radiofrequenza) selettive (ovvero a banda stretta) al fine di consentire la quantificazione dei contributi relativi ai singoli gestori dei servizi di telecomunicazione, in particolare nei casi di criticità e/o superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione previsti dalla normativa vigente, così da individuare i principali responsabili di eventuali superamenti e porre in essere la procedura di riduzione a conformità (Foto 2). Le centraline rilocabili di monitoraggio dei Cem, distribuite tra le cinque province della Campania, infine, permetteranno di valutare l’andamento nel tempo dell’intensità del campo elettromagnetico in un dato sito e forniranno, dunque, un valido supporto ai tecnici Arpac che sono stati opportunamente formati (Foto 3).
Molte specie di piante e di funghi sono a rischio estinzione È un quadro molto preoccupante del pericolo e dell’urgente necessità di agire Tina Pollice È quanto emerge nel rapporto State of the World’s Plants and Fungi 2020, prodotto da oltre 200 scienziati di 97 istituzioni scientifiche di 42 Paesi, e che, stima la nostra attuale conoscenza della diversità di piante e funghi sulla Terra, delle minacce globali da affrontare e delle politiche da attuare per salvaguardarli. Piante e funghi custodiscono segreti curativi ancora sconosciuti; possono essere combustibili rinnovabili e superalimenti. Stiamo perdendo le opportunità di utilizzare questo scrigno di incredibile diversità perché molte specie stanno scomparendo a causa della distruzione degli habitat e dei cambiamenti climatici. Secondo i dati del rapporto, i 2/5 delle piante del mondo sono a rischio di estinzione; il 405 del totale delle specie di piante e funghi conosciute. Viviamo in un’epoca di estinzione. È un quadro molto preoccupante del rischio e dell’urgente necessità di agire. Si sta per-
dendo la corsa contro il tempo poiché le specie stanno scomparendo più velocemente di quanto si possano trovarle e nominarle. Molte di loro potrebbero contenere indizi importanti per risolvere alcune delle sfide più urgenti della medicina e forse anche delle pandemie emergenti e attuali. Il dossier ha rivelato che solo una piccola percentuale delle specie vegetali esistenti viene utilizzata come alimenti e bio-
carburanti. Più di 7.000 piante commestibili hanno un grande potenziale alimentare, ma, solo una manciata di specie viene utilizzata per nutrire una popolazione mondiale in crescita. Ci sono circa 2.500 specie di piante che potrebbero fornire energia a milioni di persone in tutto il mondo, mentre, la stragrande maggioranza dei biocarburanti è, ancora, prodotta solo con 6 colture: mais, canna da zuc-
chero, soia, olio di palma, colza e grano. Secondo gli scienziati, il rischio di estinzione sarebbe molto più alto di quanto si pensava in precedenza, con una stima di 140.000, il 39,4%, specie di piante vascolari che sarebbero minacciate di estinzione, rispetto al 21% stimato nel 2016. Un censimento delle specie vegetali in pericolo, dovuto a valutazioni più sofisticate e accurate che esigono un’acce-
lerazione nello stimare il rischio di estinzione, può attuarsi utilizzando tecnologie come l’intelligenza artificiale e con maggiori finanziamenti per la conservazione delle piante. La ricerca ha rilevato che sono a rischio di estinzione ben 723 piante utilizzate per fini medicinali, soprattutto per la raccolta eccessiva in alcune aree del mondo. Nel 2019 la scienza ha dato un nome ad altre 1.942 specie di piante e 1.886 specie di funghi, anche tra queste ci sono specie che potrebbero essere preziose come alimenti, bevande, medicinali o fibre. Il resoconto degli scienziati è stato un lavoro collaborativo senza precedenti che dà uno sguardo approfondito su come possiamo e dobbiamo proteggere, e, utilizzare in modo sostenibile le piante e i funghi del mondo a beneficio delle persone e del pianeta. Ora, più che mai, bisogna esplorare le soluzioni che piante e funghi potrebbero fornire alle sfide globali che dobbiamo affrontare.
SOS Fiumi: manutenzione idraulica o gestione fluviale? Bruno Giordano È nel dossier SOS fiumi. Manutenzione idraulica o gestione fluviale? del Wwf che si evidenzia come in Italia soltanto il 40% dei corsi d’acqua è in buono stato ecologico così come richiesto dalla Direttiva Europea Quadro Acque. Purtroppo, continuano ad essere autorizzati dalle Regioni interventi di taglio indiscriminato della vegetazione ripariale e/o di dragaggio (ripulitura) dei letti con la scusa di renderli più sicuri. Azioni in aperto contrasto con le direttive europee ma anche con la recente Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, la quale afferma che, occorre adoperarsi di più per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi. Uno dei modi per farlo consiste nell’elimi-
nare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori, e, nel migliorare il flusso libero dei sedimenti. Ed è per questo che, il Wwf, si è posto l’obiettivo di ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 Km di fiumi, entro il 2030. Nel dossier sono stati analizzati 26 recenti casi di mala-manutenzione, dove con gli interventi si è stravolto l’ecosistema fluviale, distruggendo habitat naturali e spesso peggiorando anche la sicurezza idraulica. Un esempio, quello del fiume Savena in Emilia Romagna dove, a seguito di un intervento devastante, è stato distrutto il bosco ripariale per quasi 12 Km, aumentando il rischio idrogeologico: rami, tronchi e altro materiale accumulatosi lungo il letto non sono stati rimossi perché non avevano valore eco-
nomico, mentre, sono stati tagliati migliaia di alberi il cui valore economico è alto: la commercializzazione del legname da parte della ditta di manutenzione è in genere consentita ed è detratta dal costo di intervento, per cui più si taglia lungo la fascia fluviale e
più si guadagna, col risultato che aumenta l’erosione delle sponde, è ridotta la capacità di “cattura” del materiale trasportato dal fiume durante le piene e, infine, si determina un maggior accumulo di materiale, rispetto alla situazione pre-intervento, alla base dei pi-
loni dei ponti rendendoli così più vulnerabili. L’organizzazione ambientalista chiede di cambiare rotta, e, di adeguarsi alle direttive europee considerando fiumi, laghi e zone umide come ambienti naturali che forniscono importanti servizi all’ecosistema, e che, la loro tutela e corretta gestione è fondamentale per garantire l’uso delle acque in generale. La manutenzione è necessaria ma deve essere mirata, basata su criteri ecologici seguendo modalità e piani redatti con il coinvolgimento di geologi, forestali, ingegneri ambientali e biologi. Prevale ancora un approccio esclusivamente idraulico mentre dovrebbe essere considerato l’ecosistema acquatico nel suo complesso e la necessità di preservarlo e gestirlo per migliorare la sicurezza dei nostri fiumi.
Per un mare più pulito: Clean Up The Med Dalla Palestina alla Francia i paesi del Mediterraneo uniti nella lotta ai rifiuti marini Anna Paparo Tutti insieme appassionatamente contro i rifiuti marini. E stretti in un’alleanza green tutti i paesi del Mediterraneo: dalla Palestina alla Francia, dall'Italia alla Grecia, oltre due mila persone, armate di sacchi e guanti, hanno preso parte all'appuntamento sulle spiagge di tutto il Mare Nostrum grazie a Clean Up The Med, la campagna di sensibilizzazione Legambiente sulla gestione sostenibile e sulla riduzione dei rifiuti marini, che dal 25 al 27 settembre ha coinvolto associazioni, università, comuni, enti pubblici, scuole e cittadini. Si sono raggiunti più di tredici tonnellate di rifiuti trovati dai diciassette Paesi diversi e si è constatato che l’oltre l'80% del “raccolto” è plastica. Questa iniziativa di volontariato ambientale è stata promossa da COMMON (COastal Management and MOnitoring Net-
work for tackling marine litter in Mediterranean sea), progetto europeo finanziato da Eni CBC Med che coinvolge Italia, Libano e Tunisia con l'obiettivo di tutelare le coste del Mediterraneo dall’inquinamento attraverso una gestione eco-sostenibile. Hanno aderito all'iniziativa circa cento organizzazioni provenienti da diciassette Paesi: Italia, Francia, Spagna, Algeria, Libano, Tunisia, Egitto, Palestina, Croazia, Cipro, Marocco, Malta, Giordania, Macedonia del Nord, Turchia, Libia, e Grecia. Sono stati oltre venticinque i chilometri di spiaggia ripulita dai rifiuti, che mostrano come il problema dell'incuria e del cattivo smaltimento accomuni tutta l'area mediterranea: alle plastiche monouso, ubiquitarie e ritrovate in gran quantitativi sulle coste battute, si aggiungono cicche di sigaretta, metallo, tessile e legno lavorato. All’appello non mancano, poi, guanti,
mascherine e dispositivi sanitari legati all'emergenza Covid-19. La Dottoressa Serena Carpentieri, vicedirettrice di Legambiente, ha commentato entusiasta l’iniziativa, sottolineando che “anche quest'anno,
Gaiola, dopo la mareggiata il mare ha restituito solo alghe Tristemente abituati a titoli di giornale che denunciano litorali ricoperti di rifiuti dopo le mareggiate, leggere che a Napoli, nella spiaggetta della Gaiola a Posillipo, il mare ha restituito soltanto alghe e sedimenti è una notizia che ci riempie il cuore e ci fa ben sperare. Esultano per l’evento i volontari del Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus che da anni si sono rimboccati le maniche facendo diventare
quella che prima del loro avvento era solo una delle tante spiagge abbandonate della città in uno dei luoghi più ambiti per i bagnanti nostrani. Oggi la spiaggia di Posillipo è finalmente un luogo dove la natura si è ripresa il proprio habitat. E a raccontare il lavoro svolto, senza sosta, dagli attivisti ci ha così pensato la natura stessa, quasi come segno di ringraziamento spontaneo per l’impegno vo-
lontario realizzato sul territorio. Così dopo due giorni di mareggiata e maltempo sulla spiaggia della Gaiola, anziché cicche di sigarette o rifiuti di qualsiasi ordine e grado, sono spuntate semplicemente alghe ovvero “quello che ci dovrebbe essere su una spiaggia naturale dopo una mareggiata”. “Siamo – raccontano i volontari – così abituati a trovare la spiaggetta piena di rifiuti portati dal mare e doverla ripulire, che la vera notizia è quando ciò non avviene!”. “Purtroppo non ci illudiamo – chiariscono gli attivisti – è solo un caso, le correnti ci avranno graziato questa volta, ma ogni tanto fa bene rivedere una spiaggia post mareggiata come l’avrebbero vista i nostri nonni, prima dell’avvento della plastica, degli oggetti usa e getta e dei vuoti a perdere, che in pochi decenni, assieme ad una grossa dose di inciviltà diffusa, hanno colmato il nostro mare di rifiuti di ogni genere”.
nonostante le difficoltà, la campagna ha riunito moltissime persone in piena sicurezza, segno che la lotta per un Pianeta più pulito rappresenta una priorità senza confini". Le attività di pulizia si sono svolte principalmente in
spiagge situate in prossimità dei centri urbani e hanno portato alla raccolta di oltre novecento sacchi di rifiuti, pari a più di tredici tonnellate in totale. Facendo una stima di ciò che è stato rinvenuto sui litorali è venuto fuori che oltre l'ottanta per cento dei rifiuti rinvenuti è costituito da plastica: primi fra tutti, bottiglie e sacchetti, seguiti da tappi, cannucce e bicchieri. In quasi tutte le spiagge monitorate sono presenti cicche di sigarette, mentre il quaranta per cento delle spiagge ripulite hanno fatto registrare la presenza di guanti, mascherine o rifiuti legati alla cattiva gestione dei Dpi (in Libia, Spagna, Grecia, Croazia, Libano, Tunisia e Algeria in quantitativo maggiore). Una bellissima sfida che Clean Up Med ha lanciato ai paesi del Mediterraneo che ha dato i suoi frutti nella lotta ai rifiuti marini per un mare più pulito.
Un giardino fiorito nei fondali di Procida Il mare di Procida protagonista di buone nuove: un vero e proprio “screening” della bellezza sommersa ha infatti rivelato ecosistemi in salute, regalando scorci variopinti e bellissimi, popolati da gorgonie e coralli e attraversati da donzelle pavonine e pesci d’ogni tipo, saraghi e occhiati, cernie e scorfani, oltre a tursiopi e stenelle “catturati” da foto straordinarie. Il trionfo del corallo rosso lungo una delle più belle pareti del Mediterraneo, compresa nell’area marina protetta Regno di Nettuno, dove proliferano anche spugne di ogni genere, coralli, gorgonie e paramuricee in una irresistibile tavolozza di colori, attrae appassionati da tutto il mondo per immersioni di straordinario impatto. Lo scatto del fotosub napoletano Edoardo Ruspantini, classe 1961, sembra quasi un quadro: “Una bellezza da tutelare e salvaguardare”, commenta. Anche il direttore del Regno di Nettuno, Antonino Miccio,
ha espresso un proprio pensiero: “Non siamo naturalmente sorpresi dalla bellezza del patrimonio sommerso compreso nella nostra area marina, né dal numero rilevante di specie vegetali e animali fotografate in poche ore. Quel che mi preme sottolineare è la necessità di continuare a salvaguardarlo e a divulgarlo, con la collaborazione di tutti e grazie anche al nostro portale di citizen science attraverso cui chiediamo ai cittadini di segnalare il bello e il brutto dell’area marina protetta, contribuendo al monitoraggio di un tratto di mare unico, che continua a farci letteralmente stropicciare gli occhi.
Le acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche Gli aspetti autorizzativi previsti dalla regolamentazione semplificata Claudio Marro Pasquale Falco (seconda e ultima parte) Proseguendo la panoramica sui percorsi autorizzativi per le acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche, con l’intento di dare un contributo alle attività imprenditoriali che rientrano nella categoria della PMI (piccola media industria), occorre sottolineare come la Regione Campania, recependo l’art. 101 del TUA e riprendendo parzialmente i criteri di assimilazione dettati dal DPR N. 227 del 2011, ha definito i relativi criteri di assimilazione regionali. Il Regolamento regionale n. 6/2013, all’art. 3 co. 1, ha previsto complessivamente sei casistiche (le prime quattro includenti, le restanti escludenti), così come nella tabella 1. Nel seguito, si passano in rassegna le diverse opzioni previste. • Per quanto concerne la casistica di cui al co.1 lett.a), il regolamento regionale assi-
mila alle a.r.d. le acque reflue scaricate dalle attività riportate nella Tabella A del regolamento (per inciso, tale tabella è una riproposizione, con qualche variazione, della Tabella 2 dell’allegato A al DPR 227/2011). Si tratta di un elenco di 36 categorie disparate e ben definite, in qualche caso ulteriormente precisate anche con parametri quantitativi. A condizione che siano rispettati i criteri quali-quantitativi dettati, le acque reflue, prodotte da una data attività che rientra in una, o più, delle 36 categorie, possono godere della assimilazione alle a.r.d.., non essendo richiesta alcuna autorizzazione per lo scarico di tali reflui in rete fognaria. • Per la casistica prescritta dalla lettera b) si prevede l’assimilabilità di due diverse tipologie di reflui; la prima è da considerarsi assimilabile se proviene da attività di produzione di beni e prestazioni di servizi il cui scarico finale è prodotto esclusivamente da servizi igienici, cucine, mense.
segue da pagina 10 La seconda tipologia prevista è costituita di reflui provenienti da tutte quelle attività, che presentano determinate caratteristiche qualitative e a condizione che confluiscano ad un impianto di trattamento finale. Nel complesso, comunque, per questa seconda tipologia è stabilito che può esserci assimilazione alle a.r.d., solo se sono verificate contemporaneamente le suddette condizioni: - rispetto di tutti i v.l.e. dei parametri indicati nella tabella B del regolamento; - rispetto degli ulteriori v.l.e. dei parametri indicati nella tabella 3 dell’allegato 5 alla parte terza del TUA; - recapito in un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i valori limiti di emissione previsti dalla normativa vigente per lo scarico finale. Ai fini autorizzativi per entrambe le tipologie della casistica della lettera b), per lo scarico in rete fognaria, non è richiesta l’autorizzazione, ma è fatto l'obbligo di: - consentire i controlli così come previsto ex D. Lgs. n.152/06, e - presentare richiesta all'Autorità competente di rilascio autorizzazione allo scarico in pubblica fognatura. • Per quanto concerne la casistica della lett. c), nel caso
in cui un’attività supera i valori limite di emissione di cui alla tabella B, ma rispetta comunque i limiti previsti dalla normativa statale in materia di criteri di assimilazione (quelli dettati con il DPR n. 277/2011), il titolare dell’attività o il legale rappresentante può presentare istanza di assimilazione all’Autorità competente; questa, a sua volta, trasmette l’accoglimento o il rigetto solo dopo aver acquisito il parere tecnico motivato del Gestore dell’impianto di depurazione finale in cui è convogliato lo scarico da autorizzare, circa la capacità dell’impianto a ricevere ed a trattare tale tipologia di refluo. L’eventuale parere negativo rilasciato dal gestore, si traduce nell’obbligo di richiedere l’autorizzazione allo scarico, ai sensi dell’art.124 del TUA. • Per quanto riguarda la casistica della lett. d), In base a questa opzione di assimilazione (o meglio escludente l’assimilazione), sono da considerarsi non assimilabili a domestiche le acque reflue scaricate da attività che non rientrano tra quelle indicate alla lettera a) e alla lettera b) dell’art. 3 co. 1 del regolamento regionale. • L’ultima opzione, la lett. e), infine, riguarda una combinazione di scarichi di acque reflue che rientrano fra quelle assimilate alla a.r.d. previste alle lettere a) e b)
Tab.1
dell’art. 3 co. 1 del regolamento regionale con acque reflue non assimilate né assimilabili alle acque reflue domestiche. Per queste ultime tre tipologie di scarico, il titolare dell’attività o il legale rappresentante, richiede
l’autorizzazione allo scarico conforme al regolamento dell’Autorità competente, ai sensi dell’articolo 124, D.lgs. n.152/06, fermo restando che, in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i valori limiti di emissione previsti
dalla normativa vigente per lo scarico finale, resta l'obbligo di rispettare i valori limite di emissione previsti dalla Tabella 3, colonna 4 (Scarichi in acque superficiali) dell'Allegato 5 alla parte terza del D. Lgs. n.152/06.
Le configurazioni meteorologiche tipiche dell’autunno in Italia Ecco perché la nostra penisola risulta esposta a molte perturbazioni, spesso anche violente Gennaro Loffredo L’autunno, nella tradizione della climatologia e della meteorologia italiana, risulta essere uno dei periodi più piovosi dell’anno. Ma è anche vero che negli ultimi decenni le piogge sono cadute in maniera spropositata, a carattere di nubifragio con alto potenziale alluvionale. Il mare è ancora tiepido e fornisce ancora troppa energia alle perturbazioni provenienti dall’Atlantico; inoltre la quota neve altresì troppo alta favorisce l’ingrossamento della portata dei fiumi a valle. Imputare la colpa esclusivamente al clima, è semplicistico: l’uomo, negli anni, ha messo il carico da 90. E un paese come l’Italia, tanto splendido quanto fragile, il mal utilizzo del territorio amplifica gli effetti delle ondate di maltempo. Non a caso, infatti, tali eventi hanno subito una forte accelerazione negli ultimi anni. Basta menzionare le recenti alluvioni che hanno colpito la Campania a fine
settembre (a Monteforte Irpino una frana, staccatasi dalla montagna, ha letteralmente invaso parte del paese) e quella più recente sul nord ovest italiano, dove nella provincia di Cuneo sono caduti circa 600mm di pioggia, un quantitativo eccezionale in un lasso di tempo di 24 ore. Un fenomeno eccezionale che ha avuto ripercussioni sul manto stradale, causando la caduta di ponti, dispersi e vittime. Una stagione autunnale che ogni anno porta eventi meteorologici sempre più estremi. Un film già visto e rivisto e che si ripresenta con una frequenza disarmante. Da qui subentra la psicosi che ad ogni pioggia prevista sul nostro bel paese possa succedere qualcosa. Si lanciano le allerta meteo di colore giallo, arancione, rosso; si chiudono scuole, parchi e cimiteri. Ma quali sono le configurazioni meteorologiche più tipiche dell’autunno? Durante la stagione autunnale l’alta pressione, che proteggeva la nostra penisola nei mesi estivi,
si ritira verso le lande più meridionali e pertanto il nostro paese risulta così esposto all’arrivo delle piovose perturbazioni atlantiche. La variegatura della morfologia del nostro territorio rende la previsione meteorologica molto complicata e pertanto in base alla disposizione delle correnti, ci sono zone che possono ricevere più piogge rispetto alle altre. Negli ultimi decenni le stagioni autunnali hanno visto
crescere sempre più le situazioni alluvionali in Italia, stante alla formazione di veri blocchi anticiclonici sull’Europa orientale, cosicché le perturbazioni anziché avanzare normalmente verso levante, restano bloccate sull’Italia scaricando piogge rilevanti sempre sulle stesse zone. Dalla seconda parte di ottobre fino a tutto novembre le piogge interessano in maniera continua e costante le nostre aree, soprattutto quelle costiere. Inoltre la
graduale espansione degli anticicloni verso la Scandinavia pone le basi per le prime ondate di freddo di stampo invernale, soprattutto sulle regioni del versante adriatico. Nonostante ciò, può succedere che l’anticiclone delle Azzorre possa instaurarsi temporaneamente sul Mediterraneo centro occidentale, regalando brevi periodi di bel tempo e di clima mite, grazie alle famose “ottobrate romane” o “l’estate di San Martino”.
Le città d’Italia soffrono di “mal’aria” Secondo Legambiente otto su dieci sono messe in ginocchio dallo smog Alle città d’Italia manca l’aria, tanto che tra loro otto su dieci sono messe in ginocchio dallo smog. Infatti, ben l’ottantacinque per cento non raggiunge la sufficienza in termini di qualità dell’aria. In questa grande fetta di centri urbani del Bel Paese a fare i cosiddetti fanalini di coda troviamo le città di Torino, Roma, Palermo, Milano e Como, che in pagella hanno collezionato uno zero tondo tondo. A dirlo è il nuovo rapporto di Legambiente 'Mal'aria' che analizza l'inquinamento lungo un periodo di cinque anni (dal 2014 al 2018), tenendo in considerazione i valori dell'Organizzazione mondiale della sanità, la famigerata Oms. Lo studio analitico sulla situazione
dell’aria delle città italiane è stato presentato alla vigilia dell'entrata in vigore delle misure antismog in diverse aree del Paese sulla base dell'accordo per le zone del bacino padano. E con questa edizione speciale vengono assegnate le pagelle sull'inquinamento dell'aria a ben novantasette città italiane, grazie a un confronto delle concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2). Come si legge nella ricerca, “solo il quindici per cento delle città ha raggiunto nei 5anni un voto sufficiente, ovvero Sassari con voto 9, Macerata con un bell’otto, a seguire Enna, Campobasso, Catanzaro, Grosseto, Nuoro, Verbania e Viterbo con un discreto 7; infine, L'Aquila,
Aosta, Belluno, Bolzano, Gorizia e Trapani raggiungono la sufficienza piena". Ha, poi, dichiarato il Dottor Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, che "per tutelare la salute delle persone è necessario avere coraggio e
coerenza definendo le priorità da affrontare e finanziare. Le città sono al centro di questa sfida. Inoltre, serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e alle deboli e sporadiche
misure anti-smog. Il governo italiano, grazie al Recovery fund, ha un'occasione irripetibile per modernizzare davvero il Paese, scegliendo la strada della lotta alla crisi climatica e della riconversione ecologica dell'economia italiana – continua a spiegare - non perda questa importante occasione e riparta dalle città incentivando l'utilizzo dei mezzi pubblici, potenziando la rete dello sharing mobility e raddoppiando le piste ciclopedonali". Un monito quello di Legambiente per porre fine ai continui abusi che l’uomo, poco o per niente lungimirante, continua a mettere in atto sull’ambiente naturale senza comprenderne le conseguenze sul presente e sul futuro. A.P.
LE ARCHITETTURE DELL’ACQUA Utilizzano questo elemento come principio primo del progetto Antonio Palumbo Numerose e straordinarie sono state, in ogni secolo, le architetture che hanno utilizzato l’acqua come principio primo ed elemento fondante del progetto, anche (e, forse, soprattutto) non considerandola semplicemente un elemento di carattere estetico ma, più ancora, imprescindibilmente legato alla ecosostenibilità in senso lato. L’acqua, infatti, primo principio vitale per gli esseri viventi, è spesso diventata anche nell’arte del costruire grazie soprattutto all’estro ed alla sensibilità ambientale di grandi progettisti del passato e del presente (come Wright, Scarpa, Ando, Legorreta, ecc) - elemento determinante: l’architettura ha spesso fatto ricorso ad un intimo rapporto con l’elemento liquido, forse perché essa è realizzata con materiali secchi, porosi, aridi, come la pietra e il mattone. Iniziando da quei Paesi per i quali l’acqua è sempre stata un bene prezioso: a cominciare dalla cultura delle fontane nelle corti arabe, di cui l’Alhambra a Granada rimane forse l’esempio più spettacolare. Inoltre, l’acqua come ricordo dei fiumi dell’Eden ritorna nei chiostri dei conventi medievali. Nella storia dei giardini, infine, l’acqua è l’elemento capace di generare e sostenere la vita (si pensi ai giochi spettacolari di Villa d’Este a Tivoli o della Reggia di Versailles) e, probabilmente, la versione più filosofico-meditativa è quella datane dai giardini giappo-
nesi. L’Ex-Arsenale La Maddalena, progettato e costruito da Stefano Boeri nel 2009, si annovera tra i casi emblematici di architetture che hanno instaurato un rapporto ideale con l’acqua, insieme, per esempio, al Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude, al Terme Vals di Peter Zumthor e all’Edificio sull’Acqua ideato da Alvaro Siza e Carlos Castanheira. Prendiamo il primo degli interventi menzionati: la rigenerazione dell’Ex-Arsenale La Maddalena segue, da un lato, la tradizione e introduce, dall’altro, un rapporto del tutto nuovo tra la natura e l’organismo edilizio. Il mare e
l’architettura si fondono letteralmente in questo progetto, per regalare agli ospiti e ai residenti dell’isola una sensazione di “immersione nel paesaggio” e per illuminare gli spazi interni con una luce soffice e diffusa, generata dai riflessi del mare. L’edificio della Casa del Mare è collocato sul limite sud-occidentale del porto ed è costituito da due volumi parallelepipedi sovrapposti di dimensioni diverse: al pianterreno un volume in vetro a pianta romboidale, posto a filo della banchina, sorregge il volume superiore, di dimensioni maggiori e a pianta quadrata, che si protende a sbalzo verso il mare, come sospeso nel vuoto, per 6
metri in altezza. Gli interni, volutamente semplici e flessibili, possono ospitare incontri, conferenze, eventi e mostre. La forma rigorosamente squadrata rimanda alla tradizione delle architetture militari italiane, in cui si può vedere senza essere visti: lo sguardo di chi si trova all’interno dell’edificio può spaziare dal paesaggio circostante alle altre strutture nuove dell’Arsenale, che, in questo modo, dialogano in un continuo gioco di relazioni e coni visivi. Oltre al nuovo edificio per conferenze, il progetto comprende un albergo e il Padiglione del Mare, ricavato da un ex edificio militare. Altro maestro contemporaneo
sempre in grado di creare, con le proprie opere, un connubio ideale tra l’elemento acquatico e gli edifici progettati è l’architetto nipponico Tadao Ando. Nella sua Casa Monterrey la piscina si proietta a sbalzo sul paesaggio roccioso del Parco Nazionale Cumbres, in Messico: una superficie di cemento crea una terrazza a bordo piscina, che si estende da un lato dell’edificio e si sporge sulla collina verso l’orizzonte; un portale in cemento, ombreggiato dalla pensilina, incornicia la vista della piscina stessa, che si protende, con la sua forma rettangolare oblunga, verso il paesaggio roccioso all’orizzonte.
Grandi Napoletani, grandi Campani
L’arte di Vincenzo Gemito Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza La nostra terra è stata segnata, da circa tremila anni, da uomini e donne che l’hanno resa grande. Storia, teatro, pittura, scultura, musica, architettura, letteratura… I settori nei quali Napoletani e Campani sono diventati famosi e hanno rese famose Napoli e la Campania sono numerosissimi. Continuiamo il nostro piccolo viaggio tra Napoletani e Campani famosi. Vincenzo Gemito nacque a Napoli il 16 luglio del 1852 e vi morì l’1 marzo del 1929. Gemito fu autore originalissimo e profondamente legato alla cultura popolare della sua città. Sculture e disegni in grandi quantità lo resero un artista unico nel panorama non solo italiano. Tra le sue opere principali, spesso tratte da scene popolaresche napoletane, il Pescatorello, l'Acquaiolo, i geniali autoritratti fino alla statua di Carlo V sulla facciata del Palazzo Reale a Napoli, insieme a quelle degli altri re dai Normanni in poi. Fu uno dei tanti “esposti” alla ruota
della chiesa dell’Annunziata, utilizzata dalle famiglie povere per affidare a quella antica struttura il proprio figlio nell’impossibilità di poterlo allevare. Spesso le opere sono molto simili agli autori e mai come in Gemito questa è una profonda verità: visse un’adolescenza più che mai irrequieta e iniziò a frequentare la bottega di Emanuele Caggiano, conosciuto quando aveva meno di 10 anni. Nel 1864 venne ammesso al Regio Istituto di belle arti, ma non era quello il suo mondo: preferiva la strada e i vicoli napoletani fino all’esordio nel 1868 espose alla Società promotrice di Belle Arti di Napoli con il Giocatore di carte (uno scugnizzo come lui). In seguito riunì attorno a sé un gruppo di artisti “insofferenti” nei confronti delle regole accademiche della scultura (in testa il vecchio e fidato amico Totonno Mancini) nei sotterranei del complesso monasteriale di Sant'Andrea delle Dame (bottega e sala per le esposizioni). Tra il 1870 e il 1872 realizzò la famosa serie di testine di terracotta, «mirabili per vivacità di sguardi e naturalezza
di atteggiamenti»; di questi anni il Moretto, lo Scugnizzo e il Fiociniere (i suoi amici della strada): “Gli adolescenti popolani ch'egli si conduceva in quell'antro afferivano all'impasto mirabile della sua cera e della sua creta magnifici brani di nudità, riarsa dal nostro sole ardente e intinta
come nel colore del bronzo” (parole del poeta, cronista e scrittore Salvatore Di Giacomo). Nel 1871 vinse il primo premio del concorso indetto dall'Istituto delle Belle Arti di Napoli, che garantiva ai vincitori una borsa di studio per un Pensionato artistico a
Roma. Le opere che portò come prova del concorso furono l'altorilievo Giuseppe venduto dai fratelli (molto apprezzato dal famoso pittore Domenico Morelli) e la scultura del Bruto (da studi effettuati presso il Museo Archeologico). segue a pag.15
segue da pagina 14 Nel 1873 conobbe Matilde Duffaud, compagna e modella nella sua nuova bottega sulla collina del Moiariello, a pochi passi dall’Osservatorio di Capodimonte. Di questi anni i busti in terracotta raffiguranti Francesco Paolo Michetti e Totonno e quelli in bronzo di Domenico Morelli e Giuseppe Verdi. Nel 1876 Gemito un nuovo studio presso il Museo Archeologico di Napoli con la possibilità di “imitare” le statue della tradizione classica, frutto degli scavi di Pompei ed Ercolano. Da lì la sua partecipazione alle prime mostre parigine e i primi successi all’estero in particolare per il Pescatore che, in precario equilibrio sugli scogli, cerca di fermare sul suo petto alcuni piccoli pesci (un’opera semplice e innovativa nella sua grande semplicità e nel suo estremo realismo). Restò a Parigi per diversi anni tornando a Napoli nel 1880 dove realizzò il suo famoso Acquaiuolo che ebbe un destinatario importante e significativo: Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, in esilio e da circa un ventennio lontano dalla sua
capitale e dal suo regno. Capri fu la sua destinazione dopo la dolorosissima e prematura morte della moglie Matilde (fu un periodo di disegni e ritratti soprattutto ri-
feribili agli splendidi paesaggi dell’Isola Azzurra). Si innamorò e si sposò con una modella di Domenico Morelli (Nannina-Anna Cutolo) e da lei ebbe la figlia Giuseppina. Aprì una sua fonderia privata a Mergellina ma dopo la difficoltosa realizzazione della statua del Palazzo Reale su commissione del re Savoia, iniziò una fase non felice per il grande artista, vittima di depressione e deliri e sempre più spesso in preda ad una vera e progressiva follia nonostante l’affetto della moglie e della figlia che gli furono sempre vicini. Tutto questo non gli impedì di raccogliere altri grandi successi anche all’estero (a Buenos Aires come a Parigi e ad Anversa). Lo stesso D’Annunzio, per tanti aspetti vicino allo stile e alle tematiche di Gemito (ad esempio nella idealizzazione della vita popolare) scrisse per lui bellissime parole: “Egli aveva nome Vincenzo Gemito. Era povero, nato dal popolo; e all'implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungeva talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua”. Negli anni successivi, parzialmente guarito, partecipò alla Biennale di Venezia dedicandosi soprattutto a ritratti e figure femminili oltre che agli autoritratti (quelli famosi con la barba bianca e fluente). In questi anni anche
la Madonnina del Grappa, un disegno per una Fede per il monumento funebre di Papa Pio X e, infine, fu espositore, nel 1913 e nel 1915, alla XI Esposizione di Belle Arti di Monaco e all'Esposizione universale di San Francisco e il suo sogno di una bottega a Roma nei luoghi del grande Benvenuto Cellini, a Castel Sant’Angelo non si realizzò. Anche Mussolini non fu insensibile al fascino dello scultore e del suo stile e gli assegnò un premio in denaro consentendogli di allestire mostre antologiche nella galleria di Lino Pesaro a Milano (1927) e nel Maschio Angioino di Napoli (1928). Vincenzo Gemito, infine, morì a Napoli il 1º marzo 1929 e il suo affollatisimo funerale ci fu sintetizzato da Alberto Savinio: “Dal Parco Grifeo il corteo scese lentamente tra gli eucaliptus. Il mare brillava sotto il sole, i negozi avevano chiuse le porte e accesi i lumi. Arrivati davanti alla marina, i becchini d’un tratto sentirono la bara più leggera sulle spalle. Corse un po’ di scompiglio tra i personaggi ufficiali. Un signore in tuba levò la mano a indicare il golfo: scortato da due delfini, Gemito navigava verso i mari della Grecia”. Diverse sculture di Gemito sono esposte al Palazzo Zevallos di Napoli, su via Toledo, al centro anche di una bella mostra presso il Museo di Capodimonte (ottobre 2020).
Preziose le testimonianze di alcuni suo grandi e recenti ammiratori. Per Giorgio de Chirico “ci vorrebbe un museo speciale per simili artisti, altroché trovare i loro capolavori in vendita nelle vetrine dei camiciai. Ma per Gemito, come per qualche altro, veniet felicior aetas [...]. In Gemito si riconosce quella capacità eminentemente classica di rivelare il lato spettrale e occulto di una apparizione, mostrando quello che è e, nel tempo stesso, quello che forse è stato”. Giacomo Manzù di diceva “contento di poter dire qualcosa su Vincenzo Gemito […] scultore possente a cui i libri, la critica dedicarono scarsa attenzione. Sono bastati pochi anni […] per sommergerlo nella nebbia dell’oblio. Gemito era uno scultore appassionato delle cose sublimi e che, in un certo senso, si adattava alle cose più semplici, in apparenza semplici, in realtà profondamente vere […]. A mio giudizio Vincenzo Gemito è il più grande scultore dell’Ottocento. Superiore, sotto certi aspetti a Medardo Rosso […]. Sono convinto, e in questo sta la grandezza di Gemito, che alla scultura non serve il romanticismo. Alla scultura servono tre cose: la forma, il mestiere e il genio. Il resto è inutile contorno, esercitazione sterile, inessenziale. Gemito è stato un genio solitario”.
“Zero Waste Global Convivium” La Giornata Internazionale sugli sprechi e le perdite alimentari Angela Cammarota Nel 2019 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indetto per il 29 settembre la Giornata Internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari. Ogni anno in tutto il mondo si sperperano all’incirca sedici tonnellate di cibo. Una situazione inaccettabile sia dal punto di vista etico che dal punto di vista economico e ambientale. Ridurre gli sprechi è essenziale soprattutto nei confronti degli 820 milioni di bambini, di donne e uomini che soffrono di denutrizione, che delle 33 milioni di persone che, nel mondo, non possono permettersi un pasto ogni due giorni. Lo spreco degli alimenti produce , da solo, un danno economico pari a 400 miliardi di dollari e a livello ambientale produce l’8% delle emissioni di gas serra. Anche nel nostro paese si sperperano 2 milioni di tonnellate di cibo anche se con il lockdown si sono registrati numeri diversi. Secondo un’indagine curata dalla Coldiretti, il lockdown è riuscito ad avere sugli italiani un buon effetto dal punto di
vista dello spreco. Moltissimi hanno diminuito gli sprechi in cucina durante il periodo della pandemia, l’emergenza Covid ha di fatto costretto le famiglie a prendersi cura anche del cibo valorizzandolo non solo dal punto di vista economico ma apprezzandone il valore in sé. Per il lancio della Giornata Internazionale della Consapevolezza sugli Sprechi e le Perdite Alimentari, la FAO (Organizzazione per il cibo e l'agricoltura delle Nazioni Unite) e l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) hanno organizzato un evento virtuale il giorno 29 settembre dalle ore 16 alle ore 19.30. "Zero Waste Global Convivium" è stata una vera maratona virtuale per riflettere a livello globale sul tema dello spreco di cibo e sull'impatto che esso ha sui nostri ecosistemi. Lo slogan della manifestazione è stato “Stop alle perdite e agli sprechi alimentari. Per le persone. Per il pianeta”. L'iniziativa ha inteso puntare verso la sensibilizzazione di un problema serio e critico che inve-ste tutto il pianeta. Hanno partecipato chef, ricer-
catori, professori universitari ed esponenti istituzionali che oltre ad affrontare il problema hanno individuato e proposto alcune soluzioni. Non sono mancati, durante l’iniziativa , soluzioni ed idee innovative a partire dalla cucina ovvero al modo e all’utilizzo dei cibi ( questo grazie ai consigli di chef stellati) fino ai consigli degli esperti sull’alimentazione sostenibile. Ma non è mancato il momento della riflessione, di come comprendere la necessità di modificare i nostri comportamenti abituali. È necessario cambiare rotta, semplici accorgimenti aiuterebbero a ridurre la quantità di cibo che finisce, solitamente, nella spazzatura. Come? Piccoli gesti, ad esempio: prima di fare la spesa dovremmo imparare a pianificare i nostri pasti per i giorni successivi in modo tale che la nostra lista della spesa risulti giusta e non eccessiva, nè impulsiva, nè costosa. Non farsi influenzare dalle promozioni, spesso l’offerta della settimana ci induce ad acquistare di più (nelle quantità) e soprattutto alimenti che non avevamo previsto. (prima parte)
Le mascherine al grafene Massima protezione anche grazie al sole Ilaria Buonfanti Da molti mesi ormai la mascherina è diventata un accessorio indispensabile per la nostra salute. Le aziende concorrono nella produzione di mascherine comode da indossare e spesso anche esteticamente carine ma il requisito fondamentale di una mascherina è in realtà la sua capacità di proteggere noi stessi e gli altri. Per questo motivo la Directa Plus, un’azienda lombarda che produce grafene, ha pensato di utilizzare questo speciale materiale ideando una mascherina “hi-tech”. L’idea iniziale ha preso forma in un’università di Hong Kong per poi venire usata da quest’azienda italiana situata nel comasco. La particolarità di questa mascherina è la capacità di rendere inattivi i batteri e molto probabilmente anche i virus. Tutte le altre mascherine che si trovano in commercio, siano esse chirurgiche, di stoffa, con filtri di vario tipo, ci proteggono ma i batteri e i virus eventualmente presenti sulla superficie esterna della mascherina restano lì, infatti bisogna fare molta attenzione quando la togliamo. G+ Co-Mask, questo il nome della mascherina al grafene è ipoallergenica e dermatologicamente testata, inoltre ha proprietà antibatteriche, antistatiche e di conduzione del calore. Significa che può disperdere il calore in eccesso ed è facile da sanificare. Essa diventa ancora più “potente” se riceve anche per pochi minuti la luce del sole. “Il grafene per sua natura
agisce con un “effetto barriera”, molto probabilmente ha anche proprietà antivirali, che sono in fase di test”, spiega il fondatore e ad di Directa Plus, Giulio Cesareo: “In più conduce il calore permettendo di creare dispersione termica e di sterilizzare la mascherina”. I test iniziali su due coronavirus hanno rilevato che il materiale con cui è stata realizzata la speciale mascherina ha inattivato oltre il 90% dei virus in cinque minuti e tutti in 10 minuti. Per mettere a punto il nuovo prodotto, la ditta ha testato 180 materiali prima di optare per un jersey traspirante, sul quale viene applicata una stampa al grafene. Per il modello in cotone, è stata progettata una nuova tecnologia, l’impregnazione con grafene. Il cotone è trattato con acqua e grafene che così penetra all’interno della fibra. Infine il filtro, che viene inserito nella tasca della mascherina e ha una durata di 16 ore, è ottenuto attraverso un rivestimento totale di grafene. È traspirante e in grado di filtrare i batteri al 95%. Un altro vantaggio riguarda il fatto che per la produzione di mascherine al grafene si possono usare materiali di recupero come cellulosa o carta visto che, secondo gli autori della ricerca la maggior parte dei materiali contenenti carbonio, ad esempio cellulosa o carta, può essere convertita in grafene. È importante rispettare ancor più l’ambiente in questo momento quindi utilizzare materiali di recupero è davvero un’ottima soluzione.
L’accesso civico ai dati sanitari all’attenzione del Garante della Privacy Non sono ostensibili le informazioni sulla salute che rendono identificabili le persone Felicia De Capua Il Garante per la protezione dei dati personali con il parere n. 155 del 3 settembre scorso ha nuovamente confermato che non si possono diffondere i dati sulla salute che rendano, seppur indirettamente, identificabili le persone. In sostanza, qualora l’istanza riguardi i dati personali relativi alla salute, l’accesso civico deve essere escluso, così come previsto dalla normativa in materia di trasparenza e avvalorato dall’Anac attraverso le Lineeguida sull’argomento. Con tale decisione il Garante ha risposto alla richiesta di parere del Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza della Regione Autonoma Valle d’Aosta nell’ambito del procedimento di riesame attivato dal richiedente l’accesso, in conseguenza di un provvedimento di diniego parziale
riguardante dati sanitari. In particolare, il caso in esame riguarda l’istanza di accesso civico che un giornalista ha formulato alla suddetta Regione riguardo i casi di infezione da Covid-19, chiedendo i relativi dati suddivisi per Comune, sesso, età, esito, domicilio, data delle diagnosi di infezione, numero ed esiti dei tamponi eseguiti per paziente e numero, distribuzione per Comune e dati relativi alle telefonate pervenute all’apposita struttura della Regione, da ultimo le persone prese in carico per infezione. Pur affermando l’“interesse conoscitivo” alla base della richiesta, la Regione, al fine di evitare che le persone contagiate venissero identificate, ha accordato un accesso parziale ai dati richiesti, fornendo soltanto alcuni dati in forma aggregata (tamponi effettuati ogni settimana e casi positivi totali nell’intero periodo, per ogni Comune; casi positivi,
guariti e decessi nell’intera regione, tutte informazioni suddivise per sesso). Il Garante ha ritenuto corretto l’operato della Regione, osservando che la piena conoscenza delle informazioni di dettaglio richieste in riferimento a ciascun soggetto che ha contratto il virus (come il
sesso, l’età, l’esito cui ha condotto l’infezione, il domicilio, la data in cui è stata diagnosticata l’infezione, il numero e l’esito dei tamponi effettuati, la data dei contatti telefonici della Centrale), avrebbe potuto consentire di identificare i soggetti colpiti dal virus, in ragione dello
scarso numero degli abitanti che caratterizza molti Comuni valdostani e anche attraverso il «raffronto» dei dati richiesti con altre informazioni eventualmente in possesso di terzi. In tale quadro, risulta che i dati e le informazioni riferite a persone fisiche, identificate o identificabili, che hanno contratto il virus da Covid-19 rientrano nella definizione di dati sulla salute per i quali va escluso l’accesso civico ai sensi dell’art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013. Utile, a tal fine, il richiamo del Garante al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati laddove definisce «dati relativi alla salute» i «dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute» (art. 4, par. 1, n. 15).
Viaggio nelle leggi ambientali INQUINAMENTO ACUSTICO L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. non può essere dichiarata rispetto al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 cod. pen.) in caso di reiterazione della condotta, in quanto si configura, in tale evenienza, una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio. Cassazione Sezione III, n. 26077 del 16 settembre 2020. RIFIUTI Il proprietario non responsabile dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i) e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e
di ripristino ambientale. A tale regime fa tuttavia eccezione l’ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile, abbia attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale. In questo caso, il proprietario, seppur non obbligato, assume spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gra-
vano sull'area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie. Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute, pur se si tratta del dante causa, a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà. Consiglio di Stato Sez. IV n. 5372 del 7 settembre 2020
AMBIENTE Alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio - economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione - zero; in particolare, la natura schiettamente discrezionale della decisione finale, sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale
superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste. A tali fini, l’ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici, pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona. Consiglio di Stato Sez. II n. 5380 del 7 settembre 2020. A.T.
Arriva Teracube 2e: la nuova evoluzione di smartphone ecologico Quando l’high-tech diventa etico e green per aiutare l’ambiente Cristina Abbrunzo In piena crisi ambientale, il nostro pianeta cerca soluzioni nella tecnologia per ridurre l'impronta dell'uomo e restituire una speranza all'ecologia. Una tecnologia in grado di risolvere, da sola, la crisi ambientale che attanaglia il nostro pianeta non è ancora stata inventata. Eppure, utilizzare nel modo migliore una vasta gamma di tecnologie rende possibile già oggi ridurre la nostra impronta ecologica e di conseguenza aiutare l’ambiente. Ogni anno centinaia di nuovi brevetti e di invenzioni promettono di cambiare il mondo per renderlo più efficiente, ma si sa, gli oggetti elettronici non sono certamente quelli più sostenibili dal punto di vista ambientale, per diversi motivi. Sebbene buona parte delle loro componenti sarebbe recuperabile e riutilizzabile per nuovi prodotti, secondo le statistiche realizzate a fine 2018 dall’ONU, ogni anno nel mondo
vengono prodotte 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici (smartphone e computer palmari in testa), di cui solo il 20% viene avviato al riciclo: il resto finisce in discarica o viene esportato nelle nazioni più povere. Le aziende produttrici però non possono ignorare il crescente interesse verso la sostenibilità, che i consumatori hanno già dimostrato in altri campi: la vera sfida per il settore hi-tech sarà quindi rinnovarsi e scovare soluzioni sempre più green. Se dovessimo riflettere sull’impatto ambientale e sociale dei prodotti tecnologici, dovremmo cominciare da uno che possediamo praticamente tutti e di cui, a quanto pare, non possiamo più fare a meno: lo smartphone. Il problema principale è che alcuni componenti sono a base di minerali estratti principalmente in zone di conflitti e regimi dittatoriali, come il Congo, e vengono venduti per finanziare la guerra, a spese dei lavoratori.
A cercare di cambiare le cose ha provato un’azienda olandese, che alcuni anni fa ha lanciato Fairphone, ovvero il telefono etico: hanno una filiera completamente trasparente e consultabile sul sito, materie prime che non provengono da zone di guerra e sono attenti al rispetto dei diritti dei lavoratori. Inoltre, il prodotto è etico anche perché è pensato per durare a lungo, essendo fa-
cilmente riparabile e composto da vari moduli sostituibili. Siamo nel 2020 e Fairphone è diventato sinonimo di smartphone ecologico. Giunto alla quarta generazione con il modello medio range 3+ che ha ottenuto il punteggio perfetto, 10/10, nell’apposita valutazione di iFixit. Tuttavia, ci sono molti utenti che si accontenterebbero della stessa filosofia con un dispositivo più
I caricabatterie ad energia alternativa Tante le sorgenti per ricaricare il cellulare rispettando l’ambiente Se il vostro problema è la batteria del telefono che non resiste più tutta la giornata fuori casa, l’unica soluzione è armarvi di un caricatore portatile. Quanti modi conosci per ricaricare il tuo smartphone? Lo puoi collegare alla presa di corrente, volendo anche al PC via USB e, perché no, anche all’accendisigari dell’auto o ancora a una powerbank portatile. Ma se invece volessi utilizzare una sorgente energetica differente, preferibilmente ecologica? Online puoi trovare davvero tanti caricabatterie alternativi e green. Doverosa premessa: esclusi i modelli solari, buona parte dei caricabatterie alternativi ecologici trasformano il movimento in energia. Questo “movimento” può essere naturale come quello del vento,
dell’acqua oppure di origine umana. In più, ci sono tecnologie ingegnose che spaziano in altri orizzonti spesso sorprendenti. In generale, però, tutti questi caricatori fanno il pieno a costo zero. Vediamone alcuni esempi tra i più attuali: ALLPOWERS Solar Panel Charger - Nel foltissimo gruppo dei caricabatterie solari c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Ma se cerchi un
modello leggero e portatile quasi quanto un cellulare, che però non tema la vita outdoor e che ti metta sul piatto una capacità da ben 10.000mAh, allora sarà difficile trovare di meglio che ALLPOWERS. Soulra FRX5 - Un gadget popolarissimo nel settore, che rispetta l’ambiente, ti fa risparmiare e… ti fa venire bicipiti incredibili. Funziona infatti a manovella: più giri e più puoi ricaricare lo smar-
tphone con un rapporto di 4 minuti di giri per 1 minuto di chiamata. Include anche una radio FM, slot per le pile alcaline e un piccolo pannello solare integrativo. CampStove - Una delle fonti energetiche più antiche come il fuoco per i tuoi dispositivi di ultima generazione: si tratta di una stufa che sfrutta il calore per ricaricare le batterie e al tempo stesso, quando sei in campeggio, puoi utilizzare il fuoco per cucinare. HYMini - Un mini generatore di energia dal vento, questa centrale eolica tascabile lavora in coppia a un piccolo pannello solare per un’alta efficienza, un relativo basso costo e una grande semplicità d’uso. C’è anche la fascia da braccio così potrai fare il pieno alla batteria interna mentre vai a correre. C.A.
semplice e – dunque – anche più economico. Per venire incontro a questa potenziale ampia platea ecco il progetto Teracube 2e, che si piazza nel segmento low-cost mettendo sul piatto encomiabili valori. Ideato da una start- up americana, è un dispositivo realizzato con il 25% di materiale riciclato, dotato di batteria rimovibile da 4.000mAh e custodia biodegradabile. Lo si può riparare anche da soli grazie alla facilità con cui si accede al suo interno, all'assenza di colla (solo viti) ed alla disponibilità dei pezzi di ricambio. Viene proposto con una garanzia di 4 anni che copre anche la sostituzione della batteria, il rallentamento prestazionale, la manodopera, i costi di spedizione e con l’assicurazione che Android 10 arrivi già nella primavera. É il secondo modello dell'azienda, dopo che lo scorso anno era stato proposto Teracube One. Teracube 2e non offre dunque particolari novità dal punto di vista del design o delle caratteristiche tecniche, ma l’obiettivo prefissato, ovvero quello di limitare l’inquinamento causato dai rifiuti tecnologici, è sicuramente interessante. Teracube 2e è attualmente finanziato in crowdfunding su Indiegogo. Come per tutti gli articoli di crowdfunding il prezzo è basso, pari circa ad 84 euro. Ma la caratteristica più rilevante sarà che si manterrà un prezzo di mercato comunque molto basso per uno smartphone(circa 168 euro), per una tecnologia green alla portata di tutti.
La classe aspirazionale di Elizabeth Currid-Halkett Non ha i soldi dell’élite ma aspira a diventarla puntando su nuovi indicatori di benessere Martina Tafuro Devo staccarmi dalla massa, perché la distanza economica tra me e la massa si sta riducendo e il risultato è che non solo devo sviluppare nuovi modi, meno appariscenti, per distinguermi dai più, ma, avverto un bisogno maggiore di distanziarmi da loro, per esorcizzare questo avvicinamento sgradito. In questo nostro tempo, l’accesso alla ricchezza di molte più persone, il calo dei prezzi dei beni di consumo in generale, hanno trasformato nell’immaginario collettivo il concetto di status. Al punto che, oggi, l’élite punta a consumare meno della classe media e sceglie nuovi indicatori di benessere per dimostrare il proprio posizionamento sociale. Elizabeth Currid-Halkett, docente presso l’Università della Southern California in politiche pubbliche, offre un’analisi di questo spaccato sociale in The Sum of Small Things. A Theory of the Aspirational Class (La Somma delle Piccole Cose. Una Teoria sulla Classe Aspirazionale), in cui indaga i nuovi comportamenti di consumo delle classi abbienti. O meglio delle nuove élite, che non per forza coincidono con le classi più ricche: i nuovi parametri per definire i potenti del pianeta, secondo Currid-Halkett, sono piuttosto l’istruzione di alto profilo e il capitale culturale. La ricercatrice sostiene che ciò che aveva previsto Thorstein Veblen alla fine dell’800, e cioè che il consumismo fosse il principale interesse dell’alta borghesia, oggi non sia più vero. L’autrice, per definire queste nuove élite, introduce il concetto di “aspirational
class” e nel dipanarsi delle pagine del volume ne descrive le abitudini in termini di istruzione dei figli, salute, genitorialità e pensioni. La classe aspirazionale non compra auto di lusso o ville con piscina per dimostrare la propria superiorità, ma sceglie di assumere la domestica per avere più tempo per sé e poter dedicarsi allo sport o alla meditazione. Insomma, i beni materiali non sono più il simbolo di un elevato status sociale, perché accessibili a tutti. Gli aspirational hanno modificato le proprie abitudini d’acquisto in modo meno appariscente, modificandole in maniera da svelare la propria padronanza del mondo in determinate materie… attraverso la somma di piccole cose, ma che si riferiscono a precisi stili di vita. Gli aspirational sono: “Estremamente istruiti, definiti dal capitale culturale piuttosto che dal proprio salario annuale, questi individui sono ardentemente impegnati nell’acquisto di prodotti biologici, nell’indossare borse di tela griffate NPR [National Public Radio, organizzazione non profit che comprende un migliaio di radio indipendenti americane] e allattano al seno i propri bambini. Hanno a cuore il fatto che i propri consumi siano discreti e poco ostentati: mangiano, per esempio, pollo solo se allevato all’aperto e pomodori bio, indossano magliette di cotone organico e scarpe TOMS, ascoltano le serie di podcast. Utilizzano il proprio potere d’acquisto per assumere bambinaie e domestici, per coltivare la crescita dei propri figli e praticare yoga e Pilates”. La nuova élite non si lascia
più attrarre da “capi firmati, orologi, gioielli, auto e altri beni socialmente visibili”, preferisce, invece, acquistare oggetti che gli diano uno status intellettuale. Il fatto di consumare solo alimenti bio, dimostra le proprie tendenze all’ambientalismo e una spiccata conoscenza di tematiche come il climate change. Evidenzia, inoltre l’autrice, che la classe media indirizza gran parte dei propri guadagni al consumo ostentativo, più di quanto non faccia la classe abbiente. Quindi per la classe aspirational, il consumo ostentativo democratizzato è meno appetibile per le persone più ricche, se per Veblen il lusso ostentato serviva per dimostrare di non aver bisogno di lavorare per essere ricchi, oggi la classe abbiente è anche quella che lavora di più. D’altra parte l’aspirational lavora di più, perchè pone al centro dei suoi desiderata un bene per lui di estremo valore in termini sociali: l’istruzione. Le competenze guadagnate dall’élite nel corso degli anni derivano infatti proprio dal loro accesso all’istruzione superiore delle università. Ecco perché oggi, secondo CurridHalkett, “la consapevolezza sociale, ambientale e culturale” rappresenta la principale fonte di capitale sociale. Allora, mi chiedo: “Se i genitori benestanti spendono sempre più soldi nell’educazione dei figli, questo non limita le opportunità per i ragazzi meno abbienti?”. Il timore è che le nuove abitudini d’acquisto dell’élite potrebbero trasformarsi in una strategia per rafforzare la propria posizione di dominio. “Prima, essere ricchi voleva dire avere tempo libero e, per
esempio, potersi dedicare al volontariato. Le nuove classi agiate invece si distinguono in base al merito e al fatto di lavorare sodo, perciò anche chi è più in alto nella scala non ha molte ore di libertà. E allora ci si distingue perché si può pagare una tata, o perché si può scegliere di allattare al seno”. Fai parte della classe aspirazionale se: 1) compri cose che ti fanno sentire una persona migliore; 2) i consumi non vistosi rappresentano una fetta importante della tua spesa; 3) fare il genitore è un nuovo status symbol; 4) parli di idee e non di cose… come nei salotti intellettual/
chic; 5) disponi del tuo tempo con discreta flessibilità… come lavorare da casa che fa tanto élite. In conclusione, la classe aspirazionale, in Italia, può essere classe dirigente? In questo nostro Bel Paese dove nei locali cool d’estate sono state stappate bottiglie di Cristal con la sciabola e i Suv parcheggiati in terza fila hanno brillato nell’afa appiccicaticcia, possiamo fantasticare un passaggio meno volgare e pacchiano, orientato alla sobrietà? Io faccio un tifo sfegatato per le argomentazioni della Currid-Halkett… Flavio e suoi emuli consentendo.
Riscaldamento in casa: il decalogo ENEA Le dieci regole per risparmiare soldi e tutelare l'ambiente 1) Esegui la manutenzione degli impianti. È la regola numero uno in termini di sicurezza, risparmio e attenzione all'ambiente. Infatti un impianto consuma e inquina meno quando è regolato correttamente, è pulito e senza incrostazioni di calcare. Chi non effettua la manutenzione del proprio impianto rischia una multa a partire da 500 euro (DPR 74/2013).
8) Scegli impianti di riscaldamento innovativi. Dal 2015, tranne poche eccezioni, si possono installare solo caldaie a condensazione. È opportuno valutare la possibilità di sostituire il vecchio generatore di calore con uno a condensazione o con pompa di calore ad alta efficienza. Sono disponibili anche caldaie alimentate a biomassa e sistemi ibridi (caldaia a condensazione e pompa di calore) abbinati a impianti solari termici per scaldare l'acqua e fotovoltaici per produrre energia elettrica. Anche per questi interventi è possibile usufruire degli sgravi fiscali.
2) Controlla la temperatura degli ambienti. Scaldare troppo la casa fa male alla salute e alle tasche: la normativa prevede una temperatura di 20 gradi più 2 di tolleranza, ma 19 gradi sono più che sufficienti a garantire il comfort necessario. Inoltre, per ogni grado in meno si risparmia dal 5 al 10 per cento sui consumi di combustibile. 3) Attenzione alle ore di accensione. È inutile tenere acceso l'impianto termico di giorno e di notte. In un'abitazione efficiente, il calore che le strutture accumulano quando l'impianto è in funzione garantisce un sufficiente grado di comfort anche nel periodo di spegnimento. Il tempo massimo di accensione giornaliero varia per legge a seconda delle 6 zone climatiche in cui è suddivisa l'Italia: da un massimo di 14 ore giornaliere per gli impianti in zona E (nord e zone montane) alle 8 ore della zona B (fasce costiere del Sud Italia). 4) Installa pannelli riflettenti tra muro e termosifone. È una soluzione semplice ma molto efficace per ridurre le dispersioni di calore, soprattutto nei casi in cui il calorifero è incassato nella parete riducendone spessore e grado di isolamento. Anche un
semplice foglio di carta sta- 7) Fai un check-up alla tua casa. gnola contribuisce a ridurre le Chiedere a un tecnico di effettuare una diagnosi energetica dispersioni verso l'esterno. dell'edificio è il primo passo da 5) Scherma le finestre durante fare per valutare lo stato dell'isola notte. Chiudendo persiane e lamento termico di pareti e finetapparelle o collocando tende stre e l'efficienza degli impianti pesanti si riducono le disper- di climatizzazione. La diagnosi sioni di calore verso l'esterno. suggerirà gli interventi da realizzare valutandone il rapporto 6) Evita ostacoli davanti e sopra costi-benefici. Oltre ad abbati termosifoni. Posizionare tende tere i costi per il riscaldamento, o mobili davanti ai termosifoni anche fino al 40%, gli interventi o usare i radiatori come diventano ancora più conveasciuga biancheria, ostacola la nienti se si usufruisce delle dediffusione del calore verso l'am- trazioni fiscali per la biente ed è fonte di sprechi. At- riqualificazione energetica degli tenzione, inoltre, a non lasciare edifici, l'ecobonus che consente troppo a lungo le finestre di detrarre dalle imposte IRPEF aperte: per rinnovare l'aria in o IRES dal 50 all'85% delle una stanza bastano pochi mi- spese sostenute a seconda della nuti, mentre lasciarle troppo a complessità dell'intervento e il lungo comporta solo inutili di- superbonus, con cui l'aliquota di spersioni di calore. detrazione sale al 110%.
9) Scegli soluzioni tecnologiche innovative. È indispensabile dotare il proprio impianto di una centralina di regolazione automatica della temperatura che evita inutili picchi o sbalzi di potenza. La possibilità di programmazione oraria, giornaliera e settimanale garantisce un ulteriore risparmio energetico. Anche la domotica aiuta a risparmiare: cronotermostati, sensori di presenza e regolatori elettronici permettono di regolare anche a distanza, tramite telefono cellulare, la temperatura delle singole stanze e il tempo di accensione degli impianti di riscaldamento. 10) Installa le valvole termostatiche. Queste apparecchiature servono a regolare il flusso dell'acqua calda nei termosifoni, consentendo di non superare la temperatura impostata per il riscaldamento degli ambienti. Obbligatorie per legge nei condomini, le valvole termostatiche permettono di ridurre i consumi fino al 20%.