Come (non) mandare a puttane una multinazionale

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COME (NON) MANDARE A PUTTANE UNA MULTINAZIONALE Josep Soler i Casanellas www.mgmt2feedbrains.com

Le mie riflessioni dopo 15 anni nel settore automobilisti co. A 42 anni ho smesso nel 2005.


INDICE 1.

Premessa

2.

Agendo il management - Non accertarsi lungo la catena - rilassare la pressione sul second management - Affidare a consulenza esterna invece know-how interno - Interrelazioni - Non conmitment le decisione dopo la porta - Step by step. No la Iuna. - Sapere leggere i numeri - Rischio personale (passaggio a PV) - Cambiato tutto quello fatto dal predecessore - Fate impazzire le vostre agenzie - Non coinvolgere - Logorrea e inglese - "Riunionitis" - La burocrazia dei numeri - Essere first in class - Rimanetti chiusi in ufficio - Potere dei middle e assistants - I junior manager

3.

Agendo sul management - affidare a dei giovanotti - cambiare continuamente il top management - ristrutturare in continuazione. Lasciare ai nuovi manager decidere la struttura - Lasciare gli "anziani" - Politica retributiva del management - Politica retributiva del personale - Tanti assessment...


- DPO to DRH to DR&G - Colpa di chi 10 ha messo o sua - Prendete un contabile e non un controller - Management per navigazione a vista - Management per produzione - Management per test crash - Management per autonomia 4.

Dimenticando i basics aziendali Perdere l'essenza - Distrarsi del core business - Non agire velocemente e fortemente - Local vs Worldwide - Perdere l’ ambizioni degli obbiettivi - Spendacciona - Diverse culture/paese - MKT to MKTCOM to MKTCOMAS - I sindacati - Accesso all’informazione

5.

Dimenticarsi di cosa fa l'azienda - Il prodotto la necessita - Dimenticare la catena di distribuzione: I fornitori - Dimenticare la catena di distribuzione: I distributori - La qualità - Certificare la qualità

6.

Dimenticarsi dei consumatori - Non testare i clienti: prodotto, pubblicità... - Conoscenza del mercato (TV, Reyes) - Consumatore allo stesso tempo - Dei clienti vano persi - Comportamento dei clienti e corba del prodotto


7.

Vivere dell'intorno - Politica ed industria - Impatti dei cicli economici ed la strategia - "Soberbia" nazionale (P,R,VW ... ) - Vivere dei aiuti - Nuove tecnologie - Schiena all'innovazione

8. 10 cazzate d' evitare per avere pi첫 tempo


1.PREMESSA

Mi sono fissato l’obbiettivo di raccogliere in queste pagine più di 15 anni di esperienza in almeno due grande multinazionali dell’automobile. Penso farlo anche di una forma umore, infatti all’americana.

spiegativa, con un certo

Non provate a cercare paragoni con la realtà, sicuramente ci sono perché la esperienza mi serve a raccogliere tutte queste premesse, ma tante volte saranno mischiate o mascherate. Non credo che questi commenti possano applicarsi solo ad una industria, ho provato ad allargarlo a qualsiasi multinazionale per provare a fare un compendio di un manuale di management. Un manuale di management frutto dell’esperienza, di quello che ho visto, su quello sul quale ho riflettuto. Non un manuale di scuola di management, ma si ho la pretesa che possa essere un complemento alla formazione di un manager. La volontà è che lo prendete e lo leggete di una sola tirata. Difficilmente i Manuali si riprendono una seconda volta se non ne sei proprio costretto perché ne hai un esame. Tempo c’è ne, ma non c’è voglia. Perciò il mio obbiettivo e


di farvi qualcosa di leggero, andare allo essenziale e lasciare lo spazio per la riflessione dopo averlo letto, e forse a quel punto andare a rileggere qualche capitolo. Non lo allungherò artificialmente per farlo più bello, non è nel mio stile. Ricordo la mia prima riunione, diciamo di Manager importante, con tutto il mio team di dirigenti e quadri, circa una quindicina nel mio ufficio. Primo incontro per fare le presentazioni e primo contatto, quello era l’obbiettivo della riunione, la durata? Quella necessaria, non più di un’ora! Tutti rimassero stupefatti! Alzandosi mi domandano: Ma? Come? Solo un ora di riunione? Basta cosi? La risposta cordiale fu, perché bisogno di più? Avevamo un obbiettivo e lo abbiamo raggiunto! Da quel momento questa è stata una norma che mi sono imposto: si discute il tempo necessario, non di più! Questo mi ha portato a non pochi malintesi ed alla sensazione da parti di colleghi di essere schivo, di non voler condividere le idee, di lavorare da solo… Tutto perché non arrivavo tardi alle riunione, ma all’ora decisa. Tutto perché non dedicavo i primi minuti a chiacchierare e prendere il caffè. Tutto perché quando uno ripeteva argomenti passati mi agitavo. Tutto perché quando uno ripeteva gli stessi argomenti nella stessa riunione mi agitavo ancora di più. Tutto perché quando una riunione dura più di un ora e destinata a non decidere niente! Per facilitare a quegli che sono in azienda una miglior praticità del Manualetto, vi ho lasciato alla fine di ogni argomento un spazio in bianco, perché possiate scrivere quale pratica nella vostra azienda corrisponde a quel argomento trattato o per quelli più bravi facciano analisi del suo dipartimento per poter migliorare il loro stilo manageriale. Questo vi dovrebbe facilitare in a monte contribuire al miglior funzionamento della vostra azienda, in basso a gestire meglio le vostre risorse.


2. AGENDO SUL MANAGEMENT

Non accertarsi lungo la catena Nelle organizzazione grandi e talvolta complesse la pressione scende da scalino in scalino senza assicurarsi che lo scalino successivo a quello direttamente in contatto riceva la stessa pressione. Spesso, si utilizziamo la metafore di una cascata di acqua in diversi scaloni, la quantità di acqua e forza dell’acqua non è la stessa alla fine di quella dell’inizio, quando per legge naturale la quantità d’acqua e la forza dovrebbe essere la stessa. Il Top management è così occupato a mandare acqua giù della cascata che non dedica il sufficiente tempo ad accertarsi che questa acqua arrivi a tutti i livelli. Uno potrebbe dire che l’importante sono i risultati, che dell’acqua arrivi finalmente nel mare. Ma questa non è la questione. La questione è: è arrivata tutta l’acqua possibile? è arrivata con la sufficiente forza? Se ne ha persa per il fiume? Perché? Come ripararlo? L’altra serie di domande sono: perché occuparsi dei livelli inferiori se tutti sono professionisti e passeranno la informazione? Il problema è che non tutti siamo uguali e capiamo lo stesso, il problema è che spesso le informazioni sono a voce e non scritte, il problema è che sono emesse in riunioni multipli nelle quale la maggior parte delle volte non c’è un resoconto, il problema è che queste riunioni sono lunghissime e uno non si ricorda più di quanto detto all’inizio, il problema è che dopo ci sono gli interessi di crescita personale, il problema è che in più ci sono gli interessi perché quell’altro non abbia successo, il problema è che siamo manager “human being”.


Essendo esseri umani e non semplici computer abbiamo la difficoltà di trasmettere la informazione nella stessa quantità, nelle stesse parole e con lo stesso impeto/pressione da un livello ad un altro. In più il grado di esperienza varia al scendere i livelli e conseguentemente ne varierà la quantità, qualità e pressione della informazione. Questo non è manualetto di metodologia, ma la cosa più semplice è che tutta informazione che deva essere trasmessa lo sia per scritto. Oggi le aziende hanno intranet o internet. Scrivere un testo è cosa semplice, trasmettere le idee alla scrittura anche. Poche parole e chiare ci assicura che il messaggio sia lo stesso in tutta la catena. Cui voglio segnalare la importanza del controllo, non di cosa fare, ma di come comportarsi. Oggi non è sufficiente avere una relazione diretta fra un livello ed un altro. Oggi si deve saltare questa gerarchia per assicurarsi che c’è lo stesso livello di informazione e pressione. Non vuol dire sconfessare il livello immediatamente inferiore, vuol dire supportalo ed assicurarsi che l’azienda lavora a piene rivoluzioni. Oggi ci occupiamo troppo di strategia, di passare i piani per la tattica, di verificare i risultati, ma non conosciamo come i soldati o i marescialli interpretano tutto ciò e come lo eseguono. In passato i generali, potevano vedere tutto il campo di battaglia e capire come le sue ordini erano eseguite, i risultati in tempo reale ed agire modificando la tattica. Oggi non è più possibile in un mercato globale e complesso. Siamo completamente cechi su quanto realmente succede aldilà delle parole, ci ricolleghiamo al capitolo farse ricontare i numeri. Abbiamo bisogno di conoscere come il second management lavora, anche il terzo. Senza sapere come è il sentimento, come interpretano le cose da fare, come le fanno non avremo una azienda efficiente che lavora al massimo delle sue potenzialità, al massimo avremo una azienda che da dei risultati, e nel peggiore dei casi una azienda alla quale si entra a lavorare ad un ora e se ne esce ad un'altra.


Quante più circostanze negative confluiscono, circostanze di mercato o interne già raccontate nei diversi capitoli, una forma di salvare l’azienda di mandarle a puttane e conoscere cosa ne succede a tutti i livelli per intentar indirizzare la situazione. Non dimentichiamo che le aziende non sono fatte di strategie, ma di uomini che applicano delle tattiche e le eseguono. Una conoscenza di come lavorano le persone è basilare. La leadership non deve essere solo ai livelli immediatamente inferiori, ma a tutti i livelli inferiori. Si può avere una forte leadership su un primo livello che è incapace di esercire la stessa al suo livello rispettivo. Così tutta la efficacia si perde. La leadership dovrebbe essere misurata in circoli concentrici che aggruppano tutti i livelli inferiori, così sì si possono ottenere risultati brillanti. E non solo quelli aziendali, ma anche quelli della distribuzione nel caso c’è ne sia una. Le aziende tendono a dimenticare questa esistenza di una distribuzione, riferimento al capitolo riguardante. Quante volte ci troviamo con dei manager chiusi nei suoi uffici che ne escono solo per chiudersi in sale di riunione! Il manager deve uscire, deve conoscere, deve essere sicuro che è stato interpretato correttamente e che la organizzazione di uomini segue.

Rilassare la pressione sul second management Questo capitolo affronta le relazioni di pressione sul second management ed è strettamente legato al capitolo di accertarsi che la informazione fluisce ed al capitolo delle interrelazioni. Sono tre diversi aspetti di tutto ciò intorno al management delle persone: pressione, quantità e condivisione. Lasciate che l’azienda diventi una anarchia e così attenderete più velocemente il vostro obbiettivo, cioè mandare a puttane l’azienda. Una azienda deve essere governata ed assicurarsi che tutti sono in tensione, quello


che i francesi chiamano “flu tendu” è basilare. Sapere che si può contare su ogni uno dei manager per escutere la tattica, per ricevere le buone informazioni i buon analisi e fondamentale per succedere. Questo non vuol dire fare ogni giorno la solita riunione alle 8,30h per vedere quanto fatto il giorno anteriore e cazziare. Questo non vuol dire chiamare a rapporto ogni cinque minuti per razziare. Questo non vuol dire ripetutamente che tutti siete dei incapaci. Questo non vuol dire che sarete tutti licenziati. Questo non vuol dire trasmettere fiumi di negatività. Ci sono delle forme per non rilassando la pressione mantenere la tensione sul second management. Sono loro chi trasmetteranno la tattica ai esecutori, saranno loro che con l’impegno trasformeranno in fatti la tattica. Perciò mantenere una pressione costante e basilare.

Affidare interna

a

consulenza

esterna

invece

know-how

A volte non è una decisione ma una necessita derivata delle scelte sbagliate di management o di decisioni strategiche sbagliate. La “lean” organizzazione ha portato a fine dei 90 alla follia di esternalizzare tutto quello che potesse esternalizzare e di più. Di più nel caso che la scelta non fosse solo strategica per essere più competitivi nel core business, ma derivata anche di una ristrutturazione per diminuire i costi che portarsi ad esternalizzare anche il know-how del core business. Pagare per qualcosa che tu devi fare, la miglior forma di distruggere la fiducia in te stessa azienda e nei tuoi uomini. Non ho mai assistito ad una riunione cosi motivante, quando un amministratore delegato, ha dichiarato nella sua


prima riunione davanti a tutto il management che basta di consulente! Che lui confida nel management interno! Che ha trovato delle persone capace e che il know-how non si può perdere! E stato l’unico applauso fatto dalle centinaia di manager di un discorso che avrà durato circa un ora e di una riunione di quattro! Anche a me una certa pelle d’oca mi è venuta. Finalmente qualcuno riconosceva stupido pagare per delle cose che dovevano essere fatte in azienda, di pagare per delle cose che erano già state proposte o che erano solo la messa in bello delle idee raccolte in interno. Non faccio una crociata contro le consulenze. Anzi, le consulenze devono servire per apportare delle conoscenze nei campi dove uno non ha know-how. Ma non possono essere una sostituzione del management di un’azienda. Perché si finisce per non sapere cosa si deve fare, per aver bisogno di qualcuno per andare a fare la pipi. La miglior conferma di questo e quando in una riunione un consulente ci ha dichiarato: “Il lavoro lo dovete fare voi, io sono solo qua per rilanciarvi se non lo presentate quando si deve, ma..” Questo coglione ripeteva, ” il lavoro lo dovete fare voi!” Reazioni due: quelli intelligenti non ci sono più presentati, gli altri erano così scoglionati che sembravano degli zombi.

Interrelazioni Nella premessa parlavo che tutti i Manager sono "human being", questa credo e una caratteristica che non si può dimenticare nel mondo del business. I Manager, i CEO non sono persone astratte, sono umani e come tali agiscono. Hanno gli stessi pregi e gli stessi difetti che abbiamo gli umani: siamo irascibili, abbiamo delle preferenze, abbiamo delle preferenze, siamo contenti a


volte con piccole cose, amiamo i dettagli, detestiamo il disordine e tante altre cose e sentimenti. Perciò non e' la struttura che possa definire le interrelazioni fra i Manager. Le può favorire, le può facilitare, ma mai le potrà regolare. O, meglio. si le può regolare, ma non e un fattore sicuro di successo, perché i Manager siamo umani, purtroppo. Sì, dico purtroppo perché questo e per me uno dei fattori più importanti per succedere nel mandare a puttane una azienda. Non importa se e multinazionale o piccola. Assicurarsi che ci sia una buona interrelazioni fra i manager è fondamentale per il buon funzionamento di una azienda. Intendiamoci in che cosa voglio dire con interrelazione. Non voglio dire che devono essere "culo e merda", non voglio dire che devono essere amici, non voglio dire che devono essere assieme dal mattino alla sera, non voglio dire che devono condividere idee politiche o di management, non voglio dire che devono avere gli stessi hobby. Non e' e bisogno di tutto questo. Per interrelazioni intendo che devono lavorare per perseguire quello per il quale sono pagati: la crescita dell’azienda nella maggior parti dei casi o l ' obbiettivo che si sia fissato l ' azienda. Intendo che devono lavorare in team e creare le conc1izioni migliori per portare avanti gli obbiettivi. Intendo dire che si devono parlare, devono condividere idee e soluzioni, che devono 1avorare professionalmente, ogni uno con i suoi obbiettivi e caratteristiche personali, ma al servizio dello svi1uppo e raggiungimento degli obbiettivi . In uno dei miei primi lavori ho vissuto una situazione che metteva in pericolo L' azienda. Il mio gran contributo non era stato apportare idee, gestire argomenti, il mio gran contributo era stato favorire la interrelazione fra i tre manager più importanti. Spendere ore, non a fare il mio lavoro, ma a favorire la interconnessione fra i tre. Prendiamo una azienda con una struttura classica, un managing director, un Direttore commerciale e marketing e un Direttore


finanziario. Classico. Prendiamo queste tre funzioni veramente gestite da tre professionali di primo livello con delle conoscenze profonde del business e del suo lavoro. Prendiamo che loro tre sono "human being" con diverse caratteristiche personali, diversi contesti e anche geografiche. Prendiamo che come tali non si comunicano sufficientemente per poter avere successo. Dimentichiamo i perché o come, quello che è importante è la significazione della importanza delle interrelazioni per avere successo o mandare a puttane l ' azienda . Arrivavo la mattina e lavoravo con il middle management e il direttore commerciale e marketing per analizzare la situazione, apportare delle idee, delle novità, soluzionare dei problemi, informarmi ed informare, aiutare in soma in quello che potevo. Fine pomeriggio visita al managing director per vedere delle conclusioni, per parlarli del "mood" del direttore commerciale, per favorire il dialogo e quello che si faceva. Quello era il primo anello da saldare, informarmi ed informare di come andavano le cose. Il secondo anello era quello con i1 direttore finanziario, per trasferire il "mood" del managing director sui aspetti finanziari e di vendite e raccogliere quello del direttore finanziario, si capisce che non c' era molta informazione da una parte ad un'altra. Non pensate a questo punto che era specifico a quella azienda questa situazione. Questo é un fattore ricorrente, pensateci un attimo e vedrete che anche da voi succede lo stesso, più accentuato o meno. E quando parlo di trasmissione di informazioni, parlo di parlarsi, non di mettere disponibile in intranet la informazione!. Riprendo dovevo prendere il "mood' del direttore finanziario per trasmetterlo al direttore commerciale ed al managing director. Sì, perché la giornata non finiva li, purtroppo. Purtroppo perché quando uno é giovane e visita dei paesi, quello che vuole la sera e vivere quel nuovo paese. Invece il mio lavoro non aveva finito! Dovevo praticamente chiudere un altro anello, perciò il direttore commerciale e marketing mi chiedeva sempre di andare a cena o fare una birra Li con la birra o con la cena il


direttore commerciale aveva l'opportunità di esprimere di più il "mood" con il managing director e il direttore finanziario. Finalmente dormire. Ma cosa avevo fatto io per essere più un psicologo che non un commerciale o marketaro! Il giorno successivo, una volta raccolte tutte le combinazioni di "moods" il mio lavoro consisteva in rifare il giro per cercare di passare le informazioni, i "moods" di uni ed altri per far si che ci fosse un minimo di lavoro in comune fino alla mia prossima visita. Devo dire che funziono e che quello marco specialmente la mia forma di comportarmi come manager nel futuro: molto aperto, molto tranquillo, molto a cercare di mettere le persone in comune, Il lavoro fu duro perché non si trattava di applicare tecniche o conoscimenti, ma di "comun sense", di intermediazione, di passare informazioni, di provare a far funzionare una macchina dall’esterno e senza una continuità possibile. Non aver fatto questo lavoro avrebbe voluto dire che quella azienda andava a puttane perché non e' era una azione comune, ogni uno remava dalla parte che credeva doveva farlo, a volte le azioni erano antagoniste e SI annullavano, altre SI ignora pensando che... un disastro. Fino a cui il racconto, la soluzione? Apparentemente facile, i Manager devono essere professionisti e parlarsi e agire. Troppo facile mi pare! Un'altra potrebbe essere quella di creare una nuova figura che potrebbe essere il facilitatore tra i manager. Mi sembra che la tendenza non è a complicare strutture ma a semplificarle! Vi anticipo una delle idee trasversale in tutto il libro. Una nuova missione per la direzione di risorse umane o delle interrelazioni delle risorse come la chiamerò. Sono convinto che questo è un lavoro fondamentale di questa Direzione, non solo reclutare, non solo strutturare, non solo gestire le nomine, ma favorire le interrelazioni. Non ci vogliono risorse in più, non ci vuole tempo in più.


Quello che ci vuole e una nuova "mission". Qualche anno fa lo ho sperimentato con un manager di risorse umane, che per se stesso, possibilmente favorito dal carattere del President della un ita di business, aveva intrapreso per se stesso. Parte del suo lavoro era raccogliere ÍIl primis il "mood" e facilitare la trasmissione d' informazione, la conoscenza dei diversi Manager, i terni che erano comuni. Lui aveva capito che favorire queste interrelazioni aldilà della fisicità delle riunioni, contribuiva a lavorare in comune in una nuova struttura complessa formata da entità diverse con dei nuovi manager che dovevano integrarsi, Lui aveva capito tutto. Noi dobbiamo capire che a tutti i livelli: bottom up e top down, le interrelazioni, la facilitazioni del lavoro per gli stessi obbiettivi aziendali e un fattore determinate per mandare a puttane una azienda o avere successo.

Non commitment: L’azienda non e una Repubblica: le decisione dopo la porta Riunione di primo livello per approvare un progetto strategico dopo mesi di tira i molla sui dettagli, chi fa che cosa, come farlo, dove farlo, dove non sempre tutti sono d’accordo indipendentemente della sua posizione, a volte non e convinto il direttore, avvolte e il marketing, altre volte il commerciale, altre volte le funzioni di supporto, ma dopo mesi si arriva alla riunione definitiva di approvazione. L’amministratore delegato, dopo un lungo dibattito con tutte le funzioni di primo e secondo livello dopo che tutti hanno espresso le loro opinioni di supporto o di sfumature pero sempre di dettaglio senza emettere un “niet” al progetto, si gira a destra e chiede a uno dei suoi due primi livelli che devono portare avanti il progetto, sei d’accordo?


Perché sei tu che lo devi portare avanti, tutti gli altri ti daranno supporto? Sei d’accordo? Risposta secca: si. Si gira alla sua sinistra, al suo secondo primo livello che deve portare avanti la iniziativa e fa la domanda, bene sei d’accordo in lanciarlo? Questo e un grosso passo, sei d’accordo? Risposta meno secca: si, sono d’accordo e importante, dobbiamo aggiustare qualcosa… pero si. Guardando al resto di manager intorno al tavolo sia delle funzioni di supporto che operative, adesso a lavorare ed aiutare questi due signori che si sono compromessi a portare avanti il progetto, perché sono loro quelli che devono venderlo e farlo! Siete d’accordo, eh? Si, si, tutto soddisfazione, risi dopo un lungo processo di realizzazione di un progetto cosi ambizioso. Tutto abbracci, interscambio di opinioni, rilassamento, convinti di andare avanti. Tutti, non ostante i duri momenti passati a far avanzare il progetto, con le reticenze di uni ed di altri, con coinvolgimenti vari a diversi stadi? In una azienda normale, dove non si vive in una Repubblica democratica, ma dove esiste una gerarchia, il risultato normale di una riunione di questo tipo deve forzosamente trasformarsi in azioni, in lavoro duro per ottenere i risultati sperati di un progetto strategico. Quello in una azienda normale, ma dove ci troviamo a voler mandare a puttane l’azienda, non c’è miglior risultato che quello di ogni uno tornare a mettere in dubbio la decisione presa, e che non ci sia nessuna conseguenza. Questa e un'altra efficace norma per mandare a puttane una azienda, favorire una Repubblica dove ogni uno decide cosa deve fare, sarebbe più giusto parlare di Anarchia, ma la parola mi sembra un po lontana, preferirei quella di Repubblica democratica dove si agisce per voti, e non sempre e cosi in tutti i paesi., perché questi voti sono “ballerini”. Ma li ci addentriamo in un altro argomento. Un Top Manager può favorire che le decisioni siano prese in team per favorire la motivazione, favorire la lotta per un obbiettivo, favorire che le decisioni non sono lavoro di uno, ma di una macchina nella quale ogni uno contribuisce con


la sua esperienza. Questo e molto europeo, ma poco efficace, perché il rischio che sia preso per “lascicità” e che favorisca il che ogni uno faccia dopo quello che vuole e troppo rischioso. Noi parliamo di lavorare in team e in tutte le proposte di lavoro e questa capacita di lavorare in team che prevale, basse importante dei assessment e dedicata a questa caratteristica, ma la realtà e che non ne siamo capaci. Non siamo capaci di ascoltare, di ogni tanto fare un passo indietro e lasciare a qualcuno o qualche idea avanzare e condividerla anche se non e nostra. Non siamo capaci di stare zitti ed ascoltare cosa dicono i colleghi o quelli che lavorano con noi, sembra che solo noi sappiamo tutto. Infatti con i nostri colleghi e i nostri collaboratori ci comportiamo come Monarchia, invece quando allo stesso tempo dobbiamo sottoporci a un Amministratore delegato, ci comportiamo di Repubblica. Esigiamo poter decidere noi, poter fare noi, poter contestare la sua decisione, poter agire come vogliamo. Cosi non funziona una azienda, l’unica cosa che si fa e distruggere valore perché gli obbiettivi non sono più comuni, non c’è travaso d’idee, non si lavora nella stessa direzione. Una certa discrezionalità, l’opportunità di apportare idee, di partecipare alle decisioni strategiche mancherebbe altro che non ci fossi a questi livelli, ma dopo, si deve lavorare in un unico senso, con una unica forza di attacco. Si distrugge a medio termine l’operatività perché ogni braccio e gamba dell’azienda cerca di muoversi autonomamente, e per esperienza fisica, sappiamo che se non c’è coordinamento fra i nostri organi motori, non andiamo ne avanti ne indietro. Le organizzazioni più efficaci sono quelle che si comportano come una Monarchia, lasciatemi dire non assolutista, ma monarchia comunque, dove c’è un Amministratore delegato forte, che consulta pero che decide e il quale giudizio e inappellabili, cosi come le sue decisioni. Non c’è un altro organo al quale poter appellare, con quello che comporta a volta di giudici sbagliati o dei errori nel tempo. C’è solo


l’azionista sopra di lui, lui a la loro fiducia e lui gestisce e ordina. Cosi l’azienda e sicura di andare in una unica direzione, a volte anche sbagliata, ma sicura che nel caso deva sostituire il Top Manager perché i risultati non arrivano conseguenza che la direzione era effettivamente sbagliata, può essere sicura che la struttura, che le truppe sono allenate come un unico esercito disposto a dare battaglia, senza fessure, senza diversi campi, senza demotivazione, senza “lassismo”. Lasciate troppo lassismo, anche in buona fede per motivare la vostra gente, e vi troverete con una barca senza direzione. Potrebbe essere la sindrome dell’olivo.

Step by step. No la Luna Questa è la sindrome di voler andare a Marte senza prima essere andato alla Luna. E chiaro che in un’organizzazione tutto il Management voglia andare a Marte, come simbolo di voler intraprendere dei grandi progetti perfetti e completi. Conoscendo l’esistenza di Marte, perché andare sulla Luna? Meglio andare direttamente su Marte, cosi di aver raggiunto la metta ed i successi. Voler a qualsiasi prezzo iniziare un progetto con tutto completamente calcolato ed in funzionamento con degli obiettivi che non potranno essere superati perché sono il massimo dei massimi di quelli conosciuti non porta ad altro che all’immobilismo dell’azienda, alla distruzione di valore perché nessun progetto viene alla luce alla velocità di reazione che ha bisogno il Mercato, perché tutto vuole essere perfetto e raggiungere il massimo livello di perfezione. Stiamo parlando di perfezione del progetto, non parliamo di non raggiungere i massimi livelle di qualità su un prodotto per esempio.


La miglior forma di non fare niente e aggiungere ed aggiungere dei caselli ad un’idea iniziale che aveva uno scopo di iniziare un progetto, per farla divenire un progetto cosi complesso che non potrà mai vedere la luce. Due teorie si confrontano: quella che i progetti sono fatti per essere sviluppati ed evolversi, e quella che i progetti sono con dei fini a se stessi chiusi e non sviluppabili perché e già tutto previsto in quel progetto. Prendete la seconda è non ci arriverete mai, o la vostra organizzazione e cosi forte, potente, strutturata e con risorse umane ed economiche infinite e forse ci arriverete o se non non farete mai nessun progetto strategico. Farete delle cose del a giorno a giorno, gestirete, ma mai, mai un progetto strategico che dia uno scossone alla vostra azienda. A volte, è l’incapacità manageriale che porta a costruire questi progetti faraoni che non vedranno mai la luce, l’incapacità a prendere delle decisione concrete, l’incapacità a voler decidere a voler comandare con la forza delle idee più che con gli atti singoli. E cosi facili nelle grandi aziende nascondersi a creare dei mostri che non verranno la luce e che consumano capitale, risorse umane ed economiche indescrivibili, ma che allo stesso momento creano demotivazioni in quelli che lavorano nel progetto. Cosi facendo non si rischia mai di commettere nessun errore, di essere criticato perché qualcosa non ha funzionato perfettamente. E cosi facile contribuire a questa costante distruzione di valore! Non c’è miglior progetto che quello che nasce e si sviluppa. C’è bisogno d’avere obbiettivi semplici, chiari, ambiziosi ma non impossibile, solidamente finanzieri ma non con obbiettivi di profitto illimitato ed immediato. I progetti si devono consolidare, e frutto dell’esperienza dei risultati il progetto va resviluppato, ripensato, reploiato. Creare costantemente, fare costantemente, non fermarsi per tempi indeterminati a costruire senza realizzare. E chiaro che nelle fasi iniziali ci potranno essere degli errori, dei


miglioramenti da fare, proprio per quello nascono i progetti per ottenere dei risultati durante il tempo. Fare, fare e fare, l’esito di qualsiasi attività e basata sul principio del fare. Se non si fa niente, un giorno o l’altro l’attività morirà, sia perché è invecchiata, non c’è più domanda, altri competitori sono venuti, il mercato e cambiato, qualsiasi ragione che farà che la nostra attività sia morta engangrenata. Per fare ci vogliono idee, trasformate in progetti semplici che comincino a funzionare. Agire e reagire. Lo troverete in qualsiasi Manuale serio di Management, ma anche in qualsiasi Manuale di vita. La perfezione nelle azioni non e necessaria se il rischio è l’immobilismo, se il rischio e lasciare le cose come stanno o peggio fare e fare delle maledette riunione per fare qualcosa di cosi complesso che non verrà mai la luce. I migliori risultati si ottengono di fare dei progetti costantemente, di fare delle cose, a volte azzeccate altre no, ma facendone tante, sicuro che quelle che saranno successo saranno superiori a quelle che non lo avranno avuto. Per quello esiste il monitoraggio, il reagire, il rifare. Non vi fidate di quei Manager che chiedono e chiedono modifiche e/o miglioramenti per cosi dire ad ogni progetto. Non vi fidate di quelli che continuano costantemente a dire potremo aggiungere questo, quello lì non e perfetto potremo farlo cosi, noi ci vorremo aggiungere quest’altra cosa, noi vorremo questo meccanismo più complesso, noi vorremo, noi vorremo… Un cazzo! Questa dovrebbe essere la risposta contundente. Tutti vogliamo dei meccanismi diversi, ma dobbiamo trovare l’equilibro fra quanto ci darà come risultato farlo cosi come è e quanto ci costa non farlo. Perché poche volte ragioni in azienda su quanto ci costa non fare qualcosa. Siamo capaci di fare dei business case meravigliosi su quanto ci daranno i progetti, ma mai quanto ci costa non farlo già, o quanto ci costerà mentre il progetto non è completato. Il costo di non fare, ben venga un altro ratio per poter valutare l’efficacia di un Manager. Il suo costo di non fare


delle cose! Verrete come ci sarà una corsa al fare, al agire, al non nascondersi sui dubbi, sulle incapacità, sulle paure a sbagliare, sul non far vedere che quel posto non era meritato, sulla paura a far vedere che si possono fare delle cose semplici senza bisogno di costruire cattedrali. Non vi fidate perché e l’anticamera per non fare niente, per non portare nessun risultato all’azienda derivato di un’azione e non del flusso del Mercato, della domanda o degli errori dei competitors. Esigete dei progetti che vedano la luce, anche incompleti, chiaramente con una minima base di qualità e di risultato economico, ma fatte fare, mantenete l’azienda viva, con dinamica, in attività, come noi facciamo con il nostro corpo al quale facciamo fare ginnastica per prevenire gli attacchi al cuore o altri malori. Si, i progetti realizzati sono la ginnastica del nostro corpo. Stimolate la gente che vuole fare delle piccole cose o delle grandi cose ma una alla volta, mai tutte assieme. Perché quelli lì vi daranno dei risultati nel tempo. Quelli che vogliono delle perfezioni assolute prima di fare una cosa, defilatevi, non concluderanno niente, perderete solo parte del valore della vostra azienda. Fare e correggere, cosi si va avanti.

Saper leggere i numeri e/o farseli raccontare Nelle grandi aziende la quantità di informazioni disponibili supera quella veramente usata, oserei dire che solo una minima parte si utilizza. A questo fattore limitante dobbiamo aggiungere che quando più in alto si sta la informazione viene più volte rielaborata. Aggruppando i due ci troviamo con scarsa informazione e multiplemente rielaborata utile per il Top Management. Lasciatevi raccontare i numeri e vi troverete nella strada per mandare a puttane l’azienda. E importantissimo sapere leggere i numeri, incontrare le contraddizioni che metteranno in evidenza una rielaborazione dei numeri


maldestra. La possibilità di far dire cose diverse agli stessi numeri quando si dispone di una montana di informazioni è abbastanza semplice, basta collegarne di diversi per far vedere un passaggio come si vuole. Basta poter raccontarli personalmente per così poter surfare fra i diversi numeri e fonti. Voler disporre di tutta la informazione per decidere non è la soluzione, voler concentrare tutta la informazione per poter fissare una strategia non è la soluzione. Questo vale per il Top Management, ma specialmente per quel middle management che vede nella informazione, nell’accesso all’informazione e nella ritenzione della informazione un potere. Vale per tutti i livelli, perché la impossibilità di avere tuta la informazione è evidente anche con gli strumenti informatici più avanzati. Che fare se non può uno stesso avere tutta la informazione per farsene una idea e decidere? La risposta è così semplice come difficile di mettere in pratica: fidarsi dei collaboratori. Infatti, è inutile voler sapere tutti i numeri, tutti i dettagli. Essere un Manager non vuol dire essere il primo della classe perché a quassia domanda ci ha una risposta con i numeri. Essere un Manager vuol dire avere idee, sapere di cosa si parla, gestire i numeri, avere una opinione su quanto si presenta da parte di un altro o di uno stesso, vuol dire sapere su quel argomento. Troppe volte si confondono entrambe le cose, sapere su un argomento e saper rispondere dando un numero. Quanto più complessa è una azienda più bisogno ha che tutti gli ingranaggi funzioni per essere efficiente, vuol dire che c’è bisogno di olio, è sicuramente i numeri sono quel olio. Dobbiamo avere cura che l’olio sia il necessario, però dobbiamo avere più cura che gli ingranaggi siano quelli che abbiamo bisogno. Non ho mai capito quei Top Manager che hanno bisogno di avere tonnellate di piccoli dati per prendere delle decisioni, che alla fine non prendono e che come abbiamo visto quei piccoli dati chi sa quante volte saranno stato manipolati.


Non capisco il voler passare ore a guardare dei dati, quando le aziende si devono muovere per la definizione di azioni e per l’agire invece di passare ore a rivedere e rivedere dei numeri presentati una volta a colori, l’altra in bianco e nero, l’altra in cerchio, l’altra in un'altra figura geometrica. Non serve strettamente a niente. Quello che serve è responsabilizzare quello che da i numeri, che siano i numeri corretti, da lì la importanza di saper leggere i numeri, e dopo discutere apertamente di cosa fare. Ho visto dei Top Manager accecati per la ingegnerizzazione dei numeri, per il flusso dei numeri che alla fine hanno portato a far scappare qualsiasi altro Manager che volessi collaborare con quella Direzione ed a limitarsi a un contatto via email o addirittura a fermare i progetti onde evitare la tortura di dettagliare qualsiasi cifra. A certi livelli è in necessario sapere di dove proviene l’uovo, l’importante è produrre tanti uova! Ed invece ci sono, Manager insicuri della sua posizione che sperano del sapere quanto più possibili sui dettagli li farà essere miglior Manager. Manager che obbligano i suoi collaboratori a produrre numeri invece di produrre delle idee e delle azioni, forse perché produrre numeri c’è un output in termini di ore, che non è lo stesso che in termini di idee o di azioni. Manager che non stabiliscono quella fiducia necessaria perché un team funzioni, si io ti dico qualcosa è perché ne sono sicuro ed voglio che l’azienda progressi. Non voglio dirti una cosa perché così tu avrai ingessata informazione, farai brutta figura e così io guadagnerò dei punti. Cosi ne anche io sono un Manager. Altri Manager accecati per avere quanti più numeri possibili per disporre di tutte le informazioni hanno come premio avere si una tonnellata d’informazione, ma nessuna idea da parte dei suoi collaboratori, o scarse idee di quelli che hanno il tempo per pensare, e soprattutto una montagna di spazzatura, non una montagna di terra consolidata. Il Manager deve disporre della informazione necessaria, ma deve fidarsi di quella informazione somministrata dai suoi collaboratori. Il Manager deve conoscere cosi bene il


business che deve essere capace di riconoscere le contraddizioni dei numeri che li presentano e mettere in questione gli altri Manager sui argomenti, non sul dettaglio di un numero o l’altro. L’importante e far vedere le incongruenze, i numeri non cambiano di un giorno a l’altro, difficilmente ci sono eventi in una azienda che facciano fare dei balzi spaventosi di un giorno all’altro. Potranno farli da qualche mese in qualche mese, ma se di un giorno all’altro c’è un forte cambiamento dei numeri meglio metterli in evidenza, è li si chiedere le ragioni per le quali sono cambiati, non altri numeri che giustificano i cambiamenti. I numeri sono solo cifre, quello che è importante di un numero è quello che racconta, da dove viene, come è venuto, dove vuol andare. Per questo motivo prendete dei Manager che solo parlano di numeri, che collezionano numeri ed avrete una azienda che non innova più, destinata ad andare a puttane. Per me è stato il sindrome della versione r32. Rischio personale (passaggio a PV) To be done Non parlerò tanto dal rischio di mandare a puttane l’azienda, ma del rischio che a volte assume un Manager quando accetta una posizione che non li piace o che non considera adatta per la sua carriera professionale, ma che li è stata suggerita in bona fede per il suo capo o uno addirittura superiore.

Cambiare tutto quel fatto dal predecessore Il manager che vuole creare valore per l’azionista e quello che pretende solo la crescita professionale sì caratterizza perché la prima cosa che fa quest’ultimo e cancellare il


passato o affermare che tutto quel fatto primo erano cazzate fatte male. Nei libri di gestione aziendale si dice prima ascoltare il Mercato, dopo ascolta il tuo team e finalmente decidi. La realtà tante volte e che uno non ascolta il Mercato, sente il team (ascoltare deve avere la valenza che uno e disposto ad assorbire quello che sente, invece sentire e solo essere davanti ad uno con faccia d’ascoltare), e finalmente cambia tutto, anche se c’erano risultati. Il mal manager crede che solo cambiando l’azionista verrà che ha fatto qualcosa, dopo se anche le cose vano male sempre ci sarà qualche spiegazione, la congiuntura, altri dipartimenti... l’importante e far vedere che le cose si fanno inversamente o per diverse persone. Facendo cosi solo si distrugge, purtroppo per Schopenhauer, non e una distruzione per creare qualcosa di meglio. Sono di quelli che pensano che sempre si può partire da quel fatto per costruire, forse va distrutta qualche parte, ma non il tutto. E più facile perché c’è già un’inerzia, costa di meno che rifare tutto, i risultati arrivano più veloci. Invece queste cose che sembrano di buon senso, nelle aziende non strutturate, quelle latine normalmente, sono cosa ordinaria. Cosi si rallenta il processo di decisione, il management gestito non si motiva più, e si bruciano risorse dell’azionista. E lì mi rivolgo al capitolo di chi e la colpa, di lui o di chi lo ha messo li. Un’azienda come leggete e un’interrelazione costante, fragile che per essere efficiente bisogna che il massimo di “issues” funzioni. Prendete il caso di un nuovo Top Manager che arriva e la prima cosa che fa e di portarsi i suoi uomini, sia al livello aziendale o d’affiliata che sia. Nefasto per la motivazione di quelli che hanno lavorato. Nefasto perché sanno che dureranno il tempo che durerà il Top Management e la collaborazione si limita al minimo essenziale in spera di un nuovo Manager o approfittare l’opportunità per farli le scarpe e poter ascendere, cosa che succede raramente.


Nefasto ma succede spesso, l’elefante nella cristalleria, tutto spaccato e dopo raramente si riesce a ricostruire. Questa prima forma di cambiare tutto il management, se combinata in prendere e cambiare tutte le azioni implementate o in implementazioni provocano la paralisi e l’insuccesso, solo giustificato perché dovendo cambiare tutto non e stato possibile concentrarsi nella strategia e le azioni per guadagnare. Troppo facile! Ma fino a lì la distruzione di valore per l’azionista e bassa. Si eleva poiché dopo questo periodo che normalmente porta sei mesi di perdita, si cominciano ad applicare nuove politiche, perché come tutto e relazionato, sicuramente questo manager non avrà analizzato il passato e i perché dei risultati, meno si sarà preoccupato da ascoltare il Mercato, e a quel punto le sue azioni non possono che essere nefaste sia nel momento sia per la futura sopravvivenza dell’azienda. Io lo chiamo il sindrome della gallina!

Fatte impazzire le vostre agenzie Non c’è più piacere che quello di decidere quello che uno vuole senza più impunità che la responsabilità che dovrebbe avere ogni manager. Non capite che l’agenzia di pubblicità e li per consigliarvi, per darvi il miglior prodotto che loro hanno che e la creatività. Capite solo che sono li per fare soldi, che non capiscono niente di quello che voi li chiedete e che vi danno solo quello che loro vogliono. Cosi voi diventare i creativi delle campagne, con il vantaggio che la responsabilità dell’insuccesso e dell’agenzia. Entrate in una voragine di cambiamenti o processi decisionali interminabili e non avrete più una campagna che corrisponderà al briefing. Si, questa parolaccia dovrebbe essere al centro di qualsiasi azione di Marketing.


Briefing vuol dire spiegare chiaramente quali sono gli obbiettivi della campagna, perché si fa, cosa si vuole ottenere tangibilmente o no, dare a disposizione tutto il materiale statistico o di ricerca per poter fare un lavoro approfondito da dare ai creativi. Spiegare ed spiegare cosa si vuole. Troppo speso il briefing e solo una chiacchierata chiacchierona generica su niente in concreto, solo che si vuole lanciare un prodotto, per un target specifico, ma speso vuol dire per tutti. E fino li sarebbe gia un progresso, ma si dopo si aggiunge che questo briefing non e condiviso di chi dovrà prendere la decisione finale, il casino e servito, perché a quel punto mai l’agenzia potrà presentare un risultato che corrisponda all’accettazione di chi decide. Facciamo un esempio: Quando un Direttore di Pubblicità Centrale da un briefing più o meno concordato con il Direttore Marketing Centrale se e il suo gerarchico, l’agenzia risponde con diverse proposte al Direttore Pubblicità, questo le deve presentare al Direttore Marketing Centrale che deve farle condividere con i Responsabili dei Mercati o del Direttore Marketing del/degli Mercati più importanti, che deve essere approvata dal Direttore di Divisione che deve far vederla all’amministratore delegato, che deve presentarla ad un assessore del Amministratore delegato di una capogruppo e finalmente a questo. Quale e il risultato, se la campagna e un successo e pura fortuna. Immaginiamo quante decisione vengono prese senza conoscere la fonte, senza conoscere il briefing. Questo legame briefing/campagna dovrebbe essere indissociabili. Non ci sono campagne brutte o belle. Ci sono campagne che corrispondono ad un briefing ed altre che sono frutto di decisioni unilaterali. Se sulla creatività come nel calcio tutti siamo allenatori della nazionale, nella scelta dei mezzi sui quali questa pubblicità sarà lanciata troviamo le aberrazioni più grandi, dove il piccolo potere si fa più evidente, dove i piani


presentati da tecnici dopo un adattamenti al piacere personale.

briefing

diventano

Anche li il briefing e indissociabile del risultato che una centrale media deve presentare. Date un buon briefing una volta all’anno per pianificare tutte le azioni e dopo aggiustatelo man mano, ma createvi almeno una traccia del giusto investimento, quando in che mezzi e dopo andate ad adattarlo. Invece, non pianificate niente, andate ogni mese a pianificare, non brifate l’agenzia, scegliete solo il media cosi, senza un studio di affinità, e cosi ottenette un spreco di valore per l’azionista. E finalmente scegliete a seconda il piccolo potere che avete, quegli magazine perché cosi ogni tanto vado a pranzo o mi invitano a serate, quelle radio perché sono quelle che ascolto, o a quella ora perché io sono in macchina, quegli giornali perché sono quelli che leggo io e mi voglio vedere della stessa forma che mi verranno i miei amici, ma i consumatori mi vedranno, logicamente si, perché essi devono fare le stesse cose di io. In questi due argomenti si giocano milioni di euro di valore per l’azionista: circa un 4% del fatturato? Andare a guardare li per capire come si spende, come si fa, come si brifa, come si decide, e li capirete quanto forte e una azienda. Lasciate che si facciano spot milionari che mai andranno in onda perché finalmente non sono piaciuti, buttate i milioni su dei mezzi che non corrispondono ai target del prodotto, fatte delle sponsorizzazioni senza una linea strategica, lasciate ad ogni paese spendere come vuole e fare gli spot che vuole. Trovate dei amministratore delegati senza capacita ai quali li date un budget per farne quello che vuole, alla fine i risultati sono frutto di tante combinazione che e facile dire che la pubblicità o la spesa nei mezzi non ha influenza. C’è sempre la rete di distribuzione che sono dei coloni che non capiscono niente.


Trovate dei amministratori delegati che pensino che le agenzie sono solo macchine di fare soldi sulle spalli dei clienti e che sono li per eseguire e non per proporre. Cosi il coctel per mandare a puttane un risultato sono fatti. Trovate dei piccoli Hitler che buttino il lavoro fatto in precedenza.

Non coinvolgere Sicuramente una delle azioni più difficile del Manager e quella di coinvolgere. Come umani, almeno nel mondo occidentale, la nostra capacita di coinvolgere si limita a un partner o a un partner alla volta, almeno in situazioni diciamo normali, e durante certi spazi temporali. Potremo concludere che nella natura siamo solo capaci di coinvolgere e per tanto condividere so lo con un altro essere umano e limitatamente nel tempo. Se quando siamo circondati di migliaia di altri seri umani solo siamo capaci di coinvolgere e condividere solo con un'altra persona, perché dovremo farlo già in azienda e con più persone? La risposta a questa questione ci porta a due conclusioni: la prima, la difficoltà di trovare un manager che sia capace di coinvolgere e condividere; la seconda, quando lo troviamo questo e straordinario, Comunque, il manualetto è per mettere in evidenza che il non coinvolgere, ancor che sia difficile, porta a brutti risultati. Una azienda non e la natura. Una azienda e un gruppo di persone che producono un output e che questo output deve essere redditizio per continuar a produrlo ed sviluppare l’attività. Una azienda si costituisce liberamente, si ci appartiene per volontà Una azienda e costituita per ottenere il massimo dell'addizione delle persone che partecipano. E come l ' output e prodotto solo se ci sono una collaborazione nell'addizione delle individualità, quando queste sono coinvolte al massimo, anche l ' output sarà il


massimo, sia in termini di qualità, di volumi, di disegno o di qualsiasi misura. Questo coinvolgimento deve essere in tutti i livelli ed in tutte le interrelazioni. Sia nei piccoli team di lavoro, sia ne11e individualità cercando altre individualità, sia a livello di top management per coinvolgere tutti ali attori in una azienda Ma coinvolgere, vuol dire coinvolgere, vuol dire partecipare nella vita dell'azienda, vuol dire condividere azioni, vuol dire partecipare nelle decisioni, nella costruzione delle stesse, vuol dire che l ' obbiettivo il output. Prima di parlare dei fattori che impediscono questo coinvolgimento, e per tanto i fattori naturali che ci spingono a lavorare da soli, controproducente, voglio cercare di definire che coinvolgere non voglio dire partecipare alla festa, al gran stile autarchico o fascista. Organizzare un incontro annuo festivo con tutto il personale, mangiare qualcosa assieme, invitare le famiglie, interscambiarsi auguri o regali, e fare discorsiti con i quali si ringrazia del lavoro fatto non e coinvolgere. E fare festa i basta. E accontentarsi con la superficialità, E autostimarsi per niente. E pura bazzoffia! Oddio queste auto promozioni che non servono ad altro che all'autostima di chi le organizza e che non apportano niente al collettivo aziendali. Altra cosa sarebbe se fossero la fine di un processo, il momento per condividere il frutto dei risultati, il momento per dirsi abbiamo condiviso, ci siamo coinvolti ed abbaiamo ottenuto questo o quell’altro. Coinvolgere e difficile, lo ripeto, il Manager deve fare un sforzo contro natura. Ma quelli che ci riescono sono quelli che veritevolmente fanno grande una azienda. Il non farlo quello che fa è distruggere valore. Di li, e questo è un altro capitolo che parlerò delle ER, la importanza che ci sia qualcuno in azienda che si assicura che il management coinvolga, che condivida, che decida con. Deve formare parte del DNA della' azienda lo stile di coinvolgere a tutti i livelli, un cancro positivo per contrasto al cancro negativo che tutto mangia e tutto distrugge. Fomentare questo coinvolgimento con azioni concrete solo può che portare dei benefici. Non c’è bisogno di tanto tempo, c’è solo bisogno di costanza nell’obbiettivo. C'è bisogno di usare piccoli


strumenti per mantenere questo obbiettivo sempre in vista e sempre attivo. A questo punto, sono convinto che qualche deviato starà già pensando che quello che propongo sono più gruppi di lavoro, più riunioni, più stage, più corsi e mille cavolate. Niente di tutto questo! Per coinvolgere e' e una cosa cosi semplice che e il parlare, comunicare di voce, cosi semplice che non ha costi. Quando si parla si esprimono i dubbi, le voglie, cosa vogliamo, dove vogliamo andare, i sentimenti ed i rancori. Facendo cosi si condivide, il passo al coinvolgere e ancora più semplice, solo una domanda: tu, cosa ne pensi? In questa domande si concentra tutto il coinvolgere e il condividere. Farla significa che ci siamo quasi, per esserci del tutto, ci vuole la continuità nel farla, in ripeterla nel tempo. A quel punto ci siamo. Non farla vuole dire chiudersi nelle proprie conoscenze, come tali, limitate. Vuol dire il chiudersi nelle proprie esperienze, come tali, limitate. Vuol dire non approfittare del tutto quella esperienza e quella conoscenza che ci circonda Per questo motivo la sorte di una azienda sta anche nella capacita del Management in coinvolgere ed in condividere, in tare una cosa cosi semplice come chiedere: e tu, cosa ne pensi", una ed un'altra volta, e tu, cosa ne pensi?

Logorrea ed inglese: attenzione, gli orgasmi fuori copia si pagano. I latini abbiamo due cose sulle quali soccombiamo . per piacere ed l’altra per difetto.

Una

Per piacere, trovare un Manager che è un “logorroico” e qualcosa che ci affascina. Per difetto, trovare un Manager che parla perfettamente inglese ci affascina.


Se una o le due di queste caratteristiche che deve avere un manager non è ben valutata i rischi di fare una brutta scelta sono terribili per l’azienda. Scegliamo prima il manager logorroico. Ogni volta utilizziamo meno parole, ogni volta leggiamo di meno, ogni volta utilizziamo di più i nuovi strumenti come internet dove si scrive più automatico, a volte senza accenti, non abbiamo più delle segretarie che mettono i testi in corretto idioma, ogni volta di più ci interscambiamo dei email con dei colleghi di tutte le parte di Europa o il Mondo scrivendo noi stessi come possiamo… la grammatica diventa un optional! Perciò dal momento che ci incontriamo con qualcuno che parla e parla e parla anche bene un piccolo orgasmo ci viene. Non è completo come quello di trovarsi con un “anglofilo” ma siamo lì. Il problema è che l’orgasmo rischia di costarci caro in termini di valore per l’azienda. No sempre logorroico e parlare bene sono complementi di risultati. Anzi, ho più fiducia in uno concreto, che va direttamente alle questioni, che decide, che non perde tempo, che non in quelli che i primi venti minuti li dedicano ad autoascoltarsi su qualsiasi argomento, che dopo quando in un momento di distrazione sei riuscito ad infilarli il tema per il quale eravate lì, prova a “balbettare” qualcosa, per riprendere il suo argomento e andare via senza aver risolto niente. Anzi, sicuramente avendo creato un malinteso futuro, perché tu andrai avanti, lui non avrà capito niente e dirai che non era mai stato d’accordo o che addirittura mai era stato informato ne fatto una riunione sull’argomento. Solo perché non aveva ascoltato niente! Scegliamo dopo quello che parla bene l’inglese. Li, l’orgasmo e ancora più facile e soddisfacente, non è come essere con una bella dona? è la riconoscenza di anni ed anni di lavoro che uno ha dovuto fare per imparare quella lingua e trovarsi di fronte con qualcuno che da la giusta intonazione, che parla fiorito che… che ti lascia come un coglione! Che ti lascia completamente distrutto perché lui parla cosi bene. Potrei dire che l’inglese nel nostro mondo


aziendale è la donna nella vita reale. Uno vuole essere il migliore, darli la maggior soddisfazione, avere la più bella, avere la più formosa… bene! Questo vuole essere un manualetto di management, non di altro. Questo in sé non sarebbe distruttibili per una azienda, sto parlando di parlare bene l’inglese. Quello che è distruggibili è quando si prende un manager che o è anglosassone o tutta la sua formazione è passata in un paese anglosassone. Li, visto che siamo in pieno orgasmo, ci confondiamo e mischiamo quello che sono le idee o la esperienza del Manager con la buona espressione di queste. Purtroppo questo attimo di follia, come nella vita reale di copia, porta a dover pagare gli sbagli. Non mi sembra ci devono essere più spiegazioni. Non lasciarsi ingannarsi. La chiamerei la sindrome dei calzini.

"Riunionitis" to be done Quanto ci vuole per parlarne....? Ci facciamo una riunione?

Tonnellate di numeri e lettere 530 pagine di numeri e lettere per configurare un Budget che tutti sapiamo non ha niente a vedere con quello che veramente succederà. Questo e il mio "personal record". Quanto più nel dettaglio vogliamo andare più lontani dell’obbiettivo siamo. Anche rima fa!


Voler e voler più numeri e solo segno di insicurezza, segno di poca capacita di decisione. Quello importante non e tanto la quantità di numeri che giustificano un progetto, ma la qualità dell’idea del progetto. Abbiamo gia detto che i numeri si devono saper leggere, della stessa forma che ai numeri e lettere possiamo farli dirle quello che vogliamo. Basta modificare leggermente un parametro ed il colore del progetto cambia completamente. Non ci vuole essere un gran manager o avere decine di anni di esperienza, vale essere solo smart. Diminuiamo un po il mercato e le nostre quote saliranno, aumentiamo un po il mercato ed il nostro piano sembrerà più raggiungibile. Abbiamo modificato la nostra strategia o gli “rationals” del piano? No, semplicemente con una modifica in più o in meno, il nostro piano sembra diverso. Questa stupidaggine, che lo e, e cosi stessa nelle organizzazioni che alla fine uno non sa più se lo fa cosciente o incoscientemente. E questo del mercato e solo un esempio, quante volte non abbiamo aumentato o ridotto i prezzi di una centesima, o cambiato il mix di prodotti o allocato un investimento fisso più di qua o di la, un elenco interminabile. Purtroppo le organizzazioni girano intorno a queste tonnellate di numeri e lettere. Non si prende una decisione senza una bella presentazione piena di numeri e lettere. Anzi, non si prende una decisione senza essere alla terza o quarta release della stessa presentazione. Dei colleghi, anche io alla fine, per dare più significanza al progetto sottolineavamo che quel progetto era la release 3 o 4 o 2.10 o 2.13... e cosi nominavamo il file, anche se alla fine fra una relaese ed un altra era cambiata solo una coma o il tipo di lettering. Ma quello aiutava a che il Senior Management fosse predisposto a chiedere meno cambiamenti. Stupido quando parliamo dei investimenti o dei progetti o delle riduzioni di costi di milioni di euro? Si, ma le grande aziende si muovono cosi. E incredibile come queste cose che sono di “common sense”, invece siano cosi stese. Ma non sarebbe cosi facile


di limitare il numero di presentazioni, la quantità di numeri e lettere, in profitto dell’idea? Ma se fosse cosi? Cosa faremo con tutto il tempo a disposizione? Muovere il culo! Ah no! Si sta cosi bene in ufficio, con l’assistente, con il caffè, dirigendo, chiamando che venga questo o quel altro, andando ad un altro ufficio, ad una sala per una riunione a vedere dei numeri, a non pensare, solo a criticare questo o quel altro progetto, a mostrare ai juniors quanto sono intelligenti le mie vuote frasi... Mancano dei “rules”! Nelle organizzazioni moderne mancano dei “rules”. Sembra contraddittorio che chiediamo di limitare la iniziativa in un mondo liberale come quello dell’azienda, dove dovrebbe prevalere la libertà. Ma no! Stabilire delle regole permetterebbe guadagnare in produttività, in concretezza, in veracità, in “do it”, in “be smart”, in “execution”. Avere tempo ed avere spazio e il nemico di questi tre termini che esprimono quanto una azienda deve essere competitiva ed orientata a creare del valore. Non più di 10 pagine, non più di 5 righe per pagina, non più di 10 parole per riga. Non più di 1 chart per pagina o tabella, non più di 5 righe e 5 colonne per tabella o grafico. Semplice! Le presentazioni sono i veicoli per esprimere una idea. La idea deve essere espressa dal manager supportato dei numeri semplici e irrefutabili. Quante presentazioni avviamo visto con numeri minuscoli, con decine di grafici in una sola pagina, con il lettering più grande o più piccolo. Una marea per dimostrare cosa? Che la nostra idea funziona? Bullshit! Non per la quantità di numeri o lettere dimostreremo che la idea funziona! Alla fine quello che porta all’approvazione di una idea non dipende ne dei numeri ne delle lettere ne della loro quantità, dipende solo di due cose: il grado di fiducia che il CEO ha nel senior management e nel grado di “matching” di questa idea con le sue concezioni del business. E questo a tute le scale del negozio. Tonnellate di numeri e lettere che alla fine non hanno servito a niente, si, a far perdere valore all’azienda.


Quante volte abbiamo chiesto di rifare i numeri o di recompletarli solo perché non siamo sicuri di prendere quella decisione in quel momento? Solo per aspettare ad esserne convinti che e la giusta cosa da fare? Erano i numeri che ci dicevano di aspettare o era la idea che non ci convinceva? La seconda, sicuro. Le nostre organizzazioni mancano di “do it”, “be smart”, “execution”. Entrambe azioni sono il contrario di lavorare per tonnellate di numeri e lettere. Il secolo XXI sarà di quelle organizzazioni capaci di fare, non di dire! Sara di quei manager capaci di rompere con il si fa cosi perché sempre si e fatto cosi, ed io aggiungerei, cosi ci ha andato! Tagliare questi processi di budget interminabili che servono solo per diluire le responsabilità. Io lo ho scritto perché voi mi avete dato l’input, ma tu non lo hai rifiutato, ma si, ma non, ma che! Tagliare questi processi di piani a 3 anni o a 5 anni, che nati per creare una discussione sul futuro, sulle tendenze, una riflessione sul mercato dove va, sulle innovazioni, su di noi, su dei concorrenti, finalmente e solo una massa di numeri e lettere per giustificare che seguiremo crescendo e guadagneremo di più fra 5 anni! Ma siamo matti? Ma ancora crediamo a queste cose? Quanti piani hanno “matchato” la previsione con la realtà? Qualcuno mi può dare un esempio, lo pagherei bene! Ve lo assicuro! Ah, ma non? Non era possibile che il piano fosse raggiunto perché nel frattempo ci e stata una innovazione, perché c’è un nuovo concorrente, perché le sinistre hanno vinto, perché, perché... Perché c’è stata una guerra o un grosso attentato, forse queste sono delle eccezioni, o talvolta delle giustificazione per una situazione che era già degradata e che alla fine ci e andato anche bene per giustificare le povere performance. Tagliare le tonnellate di numeri e lettere che non servono che solo per ottenere un commitment o una giustificazione per bacchettare perché i numeri non sono stati raggiunti o per premiare perché si lo sono stati.


C’è bisogno di ripensare i processi di budget e piano a 5 anni, semplificarli, tenendo sempre in mente le tre azioni. Rispondendo a delle domande semplici: -

Quale e il Mercato, dove e, dove va?

-

I competitors, cosa fanno, dove vano?

-

Noi, dove siamo, dove possiamo andare?

-

Che obbiettivi ci fissiamo?

-

Cosa obbiettivi?

dobbiamo

-

Possiamo farlo?

-

Facciamolo!

fare

per

raggiungere

dei

Ci vogliono tanti numeri e lettere per una cosa cosi semplice? Ma accaso manca qualche domanda da farsi? Non siamo mica manager che atterriamo da Marte in questa organizzazione e che non conosciamo niente! Sapiamo del passato, sapiamo del presente, intuiamo il futuro. A questo punto cosa ci manca? E sempre la idea prima dei numeri che la giustificano. E vero che la idea nasce da un analisi di numeri e lettere, ma non di una presentazione che la giustifica. Siamo veramente innovatori e dedichiamo le nostre energie di manager a manageriare, a muovere il culo, a fare, a essere veloci.

Voler essere first in class Non c’è strategia più efficace per mandare a puttane una azienda di quella di mettere l’impegno per essere il numero


uno quando sei lontano di quello. Anzi, c’è ne ancora una di più pericolosa, esserlo nel tempo più breve possibile: l’anno prossimo. Anzi, c’è ancora quella di voler esserlo in tutto: vendite, qualità, impegno, soddisfazione, immagine... Questa fallacia e molto estesa nei CEO, come sanno che la possibilità di successo in carica durante un periodo di tempo più o meno lungo va a diminuire come si constata nelle grandi multinazionali europee ed americane a quel punto ci sono due strategie a seconda la situazione dell’azienda: 1.- nel caso l’azienda sia in una situazione confortevole interna a livello di risultati ed esterna in una posizione di primo livello, il CEO tenderà a conservare il posto applicando una strategia accomodatrice, ciò e rischio 0. 2.- nel caso l’azienda stia perdendo quote, perdendo risultato e la sua posizione non sia di primo livello, il CEO tenderà ad applicare la politica del tutto o niente, quella del salvatore della patria. Lasciatemi anticipare, che entrambe politiche sono nefaste, la prima perché non coglie i vantaggi che possa offrire il Mercato o la propria azienda e per tanto a lungo termine tenderà a perdere posizioni, e la seconda chiaramente perché non ci sono casi di aziende che in un periodo di uno a tre anni siano passati dalle tenebre ad essere number one. Ci vuole un po’ di più. Analizziamo prima il caso più interessante, quello di voler essere numero uno subito. Partiamo dell’assunzione che il CEO non e scemo e per tanto e cosciente e convinto che fissando all’organizzazione un obbiettivo ambizioso questa arriverà ad un obbiettivo intermedio che era il vero obbiettivo non confessato. Nella teoria sembra anche assumibile, nella pratica e nefasto. Perché? E nefasto perché il proprio primo livello non ci crede cosciente delle difficoltà di target cosi elevati in cosi poco tempo con le risorse limitate che ci sono. Perciò già si parte


con una manca di fiducia e di commitment e con degli obbiettivi non confessabili di ogni primo livello all’altezza di quello che lui crede che sarà già un buon risultato. Risultato: primo, ogni uno a il suo personale obbiettivo che non coincide con gli altri, asimmetria d’obbiettivi; secondo, trasferisce ai suoi primi livelli manca di commitment e motivazione che a loro volta trasmetteranno al loro personale risultando in una manca di motivazione per raggiungere l’obbiettivo e finendo per fare “as usual”. E nefasto perché il sistema di retribuzione variabile non si può modulare di altra forma che non sia copiando l’obbiettivo sulla carta. Come non si ci crede, non si aspetta ne anche che ci sia una retribuzione variabile ed una giustezza in che a più risultati, più retribuzione. Non raggiungendo gli obbiettivi folli, non c’è retribuzione. Moltiplicando questo effetto lungo la catena si finisce per lavorare “as usual”. Più as usual quanto più la dipendenza del proprio stipendio sia sul variabile. E come sapiamo che il personale commerciale, quello che fattura, e quello più esposto, sarà anche quello che più lavorerà as usual o anche meno. Anche meno, perché la prima riflessione del senior manager e della rispettiva DRH sarà: “non preoccupatevi, sapiamo che e ambizioso, nel caso non si raggiunga, troveremo delle forme di remunerarvi”. Con queste semplice parole, tutta la tensione che il CEO ha voluto introdurre nell’organizzazione sparisce in meno di ore. E nefasto perché la P&L risultante dello esercizio con quella di fine anno non avranno niente da vedere. Essere il numero UNO vuol dire che anche la P&L sarà di numero uno, cioè con un fatturato del numero uno, con dei investimenti programmati di numero uno, con spese di marketing di numero uno, con spese commerciali di numero uno, con aumento di personale o di produttività di numero uno e cosi via. Quanto più questa P&L sia rigida, cioè quanto più spesa fissa ci sia bisogno e quanto più questa spesa sia necessaria all’inizio, più in rischio sarà il risultato a fine anno e più veloce sarà la caduta andando su un spirale invertito e profondo. Più tempo il management


passera in trovare riduzioni di costi, mantenendo il fatturato in quello chiamato “effetto bolla di neve” o “ spazzaneve”, cioè portando i risultati brillanti verso la fine dell’anno ricuperando le vendite non fatte con più risorse. Riduzioni di costi che hanno il suo proprio limite, aumento del fatturato che ha il suo stesso. Tutto per andare ad un spirale di perdite ancora più grandi. E nefasto perché si creano delle tensioni fra Dipartimenti perché ogni uno tende a colpevolizzare al vicino quando il CEO cerca delle responsabilità nei primi livelli perché i risultati cosi ben pianificati, cosi ben presentati da tutti, cosi ben elaborati da tutti, cosi accettati da tutti adesso non arrivano. Il commerciale accusa il marketing di non offrirli campagne vincenti, accusa la produzione di non darli prodotti come i concorrenti. Il Marketing accusa il commerciale di non essere efficiente, di non controllare la rete di distribuzione, accusa la produzione di non essere capace di rispettare le loro specifiche. La produzione accusa il Marketing di chiedere cose impossibile e i commerciali di ordinare delle cose impossibili. E cosi via, via, via. La guerra e servita, e da quel momento i junior non faranno altro che giustificare le parole dei loro capi in confronto ai altri dipartimenti, invece di concentrare le energie in “fare”, in aggredire il Mercato. Tutta la tensione che il CEO voleva in obbiettivo comune si e trasformata in una miriade di piccoli personali obbiettivi per la sopravvivenza come manager. Ma e cosi difficile fissarsi un obbiettivo dopo un altro? E veramente l’azionista che impone essere il numero uno in tutto o l’ego del manager di voler essere più pagato e più potente? La risposta e chiaramente nella seconda parte. C’è pero anche il rischio contrario, cioè il punto 1 o l’accomodamento allo status quo. Chiaramente adornato di belle parole, di belle strategie, di forward thinking, pero nel momento dei fatti, P&L conservatrici e rischi in innovazione 0.


E pericoloso, perché l’assunzione dietro questa strategia e che noi siamo il Mercato e che siamo cosi forti nel nostro management e prodotto o servizio, che siamo capaci a reagire al cambiamento del Mercato e per tanto dei abiti dei consumatori. Più vero quanto che siamo una azienda leader, con dei buon risultati, significa che siamo capaci. Sbagliato! Troppa soberbia! In un Mercato congelato, cioè che non cambia per niente e che rimane eternamente come e sarebbe vero. Pero purtroppo il Mercato, il Mondo e soggetto a cambiamenti, ed a volte bruschi. Sempre c'è un fattore socio politico in qualche parte, sempre c’è un passo avanti nell’innovazione, sempre c’è qualcuno che trova un nuovo processo, sempre c’è cambiamento. E tante volte questo cambiamento appare cosi stupido, cosi fallito, che non ci rendiamo conto che in qualche anno diventa un successo e trasforma il Mercato. Pensiamo solo come uno dei esempi alle compagnie low cost. All’inizio si pensava una cosa di internet come l’acquisto di un libro più che di una compagnia veramente aerea con dei aeri veri. In qualche anno hanno trasformato il Mercato aereo. Pensiamo all’esempio cosi semplice e banale, adesso ed oggi, di Dell, qualcosa cosi semplice come cambiare il metodo distributivo! C’è ne sono di grande e di piccoli esempi che hanno sconvolto questo quell’altro Mercato. In un altro ordini, non dovuto all’innovazione ma alle regole del Mercato, la sparizione di Arthur Andersen! Dove voglio arrivare e che e molto facile versi tentato per una o un altra delle due politiche possibile, e che ogni strategia deve accomodarsi alla situazione dell’azienda, non a quella del CEO. Perciò deve essere molto vigilante l’azionista, il consiglio di amministrazione. E cosi facile mandare a puttane una azienda e cosi difficile risanarla, che ci vuole il “common sense” allora di applicare le strategie. A qualcuno li sembreranno obbietta, li sembrerà che non e possibile applicare una strategia come quella di voler essere numero uno in tutto e subito. Vi posso assicurare che non e cosi banale.


Rimaneti chiusi in ufficio To be done Sì, lasciatevi sedurre del vostro ufficio, di ricevere la gente, la posta e le telefonate. Non guardate con I vostri occhi cosa succede nelle vostre filiali, lasciatevi raccontare e velocemente andrete giù.

Potere dei middle management e assistants To be done Non è di dimenticare mai il potere che il middle management e gli assistants possano avere.

Gli junior manager Dalle categorie di manager che ho suddiviso una azienda questi sono quelli più nel “limbo”, non sono da una parte o d’un altra, non hanno ne privilegi ne vantaggi di essere manager, ma tutte le obbligazioni di essere impiegati. La divisione la ho stabilita in quattro categorie: il CEO, gli senior manager, il middle management ed i junior.


In teoria, guardandolo buttom up, quella dovrebbe essere la progressione logica, uno e stato un junior, e diventato un middle per dopo essere un senior e un giorno svegliarsi come CEO. Ma questo romanzo dipende di fattori così diversi come le qualità, l’azienda nella quale uno e, per quanto tempo uno e stato li, per le amicizie fuori o dentro de l’azienda e tanto altro, e tutte in senso positivo o negativo.


3. AGENDO SUL MANAGEMENT

Affidare a dei giovanotti Questa e sicuramente la più rapida per mandare l’azienda a friggere. Si afferma che la terza generazione e quella che la distrugge. Andiamo ad analizzare il perché succede nelle grandi corporazioni che dovrebbero essere più protette delle piccole e medie aziende dove la gestione essendo più diretta a più incidenza nelle decisioni. Non c’è bisogno di un intervento diretto nel processo di decisione, basta solo essere lì da qualche parte per inciampare tutto il meccanismo di gestione aziendale. I meccanismi d’autorità via gerarchia sono sconvolti, i meccanismi d’autorità via consenso sono sconvolti, i meccanismi d’autorità via conoscenza sono finiti. Basta solo dire l’azionista a detto quello perché i dubbi s’istallino, i maligni n’approfittino per far passare le loro idee, e quello che e peggio, e che sì pian piano quello che dice l’azionista o hanno affermato che ha detto l’azionista divengono delle cazzate che finalmente si fanno, la sfiducia fra le truppe s’installa, si perde lo spirito di gruppo, la fiducia in che c’è un management capace e l’azienda diviene una barzelletta. Non sempre pero deve succedere cosi, se l’inserimento nella struttura aziendale sì e fatto con intelligenza. Per intelligenza intendo che un percorso di carriera è fatto ed


eseguito con un tutore questo può invece d’essere fatale, può essere benefico. Ma quando e fatto esclusivamente per passeggiare e quando la legenda diviene un boomerang contro. Quando si fanno esperienze all’estero, più per divertirsi o imparare una lingua che lavorare, andando a lavorare con skateboard perché e moda, o si fa un giro in state in fabbrica o si assegnano dei compiti mal definiti come ruolo e/o come inserimento in struttura in posizioni che hanno un impatto diretto nella vita dell’azienda, senza di nessuno con più esperienza che li sta all’ombra per dargli una mano nelle decisioni, correggerlo o stimolarlo, la catastrofe e servita. L’azienda diviene un giocatolo per più simpatico che sia l’azionista. Si creano tensioni sia in alto della struttura se l’inserimento non e nel top perché il peso morale di un’opinione vale di più che l’opinione di un altro manager, in basso perché i lavoratori non capiscono più niente e rischiano il posto di lavoro che hanno, finalmente allo stesso livello perché il peso specifico dell’azionista e maggiore delle opinioni di quelli che si hanno guadagnato il lavoro. In ogni modo, fino a qui i danni possono essere contenuti, se le decisioni non hanno un impatto forte fuori dell’azienda, se i clienti o futuri clienti percepiscono e collegano il lavoro dell’azionista con il risultato delle sue decisioni. Parliamo sempre del caso in negativo, perché chiaramente se il livello della coppia azione/risultato ha delle conseguenze buone perché stiamo sullo strategico, sulle alte decisioni di management, i risultati possono essere giusti, e lì l’America c’insegna molto se prendiamo per esempio Ford. A passo a passo, niente gioco, niente ragazzonate, una carriera che porta alla maturità professionale. Qui invece si gioca, e uno diviene protagonista sia dei programmi di pettegolezzi sia di quelli di satira, ma mai intervistato dai grandi network generalisti o economici per parlare di strategia.


Ed in questi casi la domanda e sempre la stessa, ma e colpa sua o di chi lo ha messo in quella posizione? Lo vedremmo nel capitolo dedicato. Ma e cosi difficili? No, non deve, hanno tutti i mezzi a disposizioni perché cosi non sia, quando uno e circondato di grandi uomini, conosce da piccolo a grandi uomini, qualcosa deve appiccicarsi. Uno non deve avere altra preoccupazione che imparare a vivere ed a governare.

Cambiare continuamente il top management Beh! Senza dubbio questa è la più veloce ed efficiente per mandare a puttane l’azienda. Non c’è n’è nessun dubbio possibile. In questo caso quando parlo de top management parlo del CEO dell’azienda, anche se in conseguenza ne va normalmente il primo livello, un'altra pratica che abbiamo già analizzato come nefasta e che aggiunta alla prima ha gli effetti devastanti, è quasi sempre senza ritorno. L’azienda è costituita di azionisti, ma la gestione quotidiana ed strategica è lasciata ad un CEO. Questo è quello che può determinare l’insuccesso dell’azienda. Non parlo della parte positiva del sceso, perché se l’azienda è costituita di un primo livello di manager capace può sopravvivere senza difficoltà, forse non crescerà come potrebbe crescere, ma difficilmente ci sarà pericolo di distruggerla. Il CEO accompagna la crescita, ma accelera la distruzione. Essendo la sua incidenza più forte verso la distruzione che non la crescita troviamo la sua importanza. Se a questo fattore aggiungiamo quello del cambiamento del CEO e conseguentemente la successione di personaggi, si capisce che l’accelerazione è peggio che quella di particole di atomo che conformano una esplosione atomica.


Cosa succede quando si cambia un CEO? Dopo ci chiederemo il perché, lo facciamo così perché la risposta tante volte a poco di razionale. Il cambio di CEO comporta un cambio di strategia perché si da per scontato che si ci è stato un cambiamento era perché le azioni messe prima non hanno funzionato. E lì ci potrebbe stare, a condizioni che il CEO precedente abbia avuto almeno un periodo sufficiente per provare che le azioni hanno funzionato. E questo dipenderà da industria ad industria e molto legato al ciclo del prodotto, in concreto al tempo di rinnovamento che c’è n’è bisogno. Conoscendo il ciclo del prodotto o del loro rinnovamento si può misurare il tempo che uno ha bisogno per poter raccogliere delle azioni implementate. Perciò, a tanti cambiamenti di CEO, tanti cambiamenti di strategia perché sì, aggiungendo confusione nel management e posteriormente nei clienti perché i diversi prodotti o azioni che ne usciranno saranno completamente barbariche. Seconda cosa che succede, adattamento delle strutture, perché come le precedente non hanno funzionato (non obbiettivato) c’è bisogno di cambiare. Anche i piccoli cambiamenti fanno che l’azienda rimanga immobilizzata per capire, per sapere come interrelazionarsi nella nuova struttura. Terza cosa che succede, il nuovo CEO dichiara che conta con il management in luogo, che lo ha trovato motivato e capace di affrontare i nuovi reti, che non porterà nessuno. Beh! Solo il tempo di organizzarsi, fare delle chiamate e lasciare il tempo di dimettersi ai nuovi manager che devono arrivare. Perciò, ballo di primi livelli. Persone che se ne vanno (motivate a), nuove che arrivano. Tempo che hanno bisogno di adattarsi, di più si arrivano di paesi diversi, se arrivano di industrie diverse. Ad ogni aggettivo aggiungete un effetto esplosivo in più. Quarta, conseguenza però delle anteriori, immobilismo da parte di tutta l’azienda, demotivazione, perdita della bussola…


Lasciamolo così e comproviamo l’effetto in catena che se ne produce: cambio di strategia, cambio di struttura, cambio del management, immobilismo del resto delle persone che conformano l’azienda. Ad ogni volta una esplosione, che si deve moltiplicare per ogni nuovo CEO che arriva, e la potenza deve essere elevata al quadrato o al triplo quanto più breve è il periodo nel quale rimane nel posto il nuovo CEO, la conseguenza è la distruzione dell’azienda. Se prendete una azienda che in 3 anni ha visto succedersi 4 CEO potremo trovarci con una formula distruttiva del tipo: (cambio strategia + cambio struttura + cambio management + immobilismo)2 + (cambio strategia + cambio struttura + cambio management + immobilismo)3 + (cambio strategia + cambio struttura + cambio management + immobilismo)3 + (cambio strategia + cambio struttura + cambio management + immobilismo)2 * essendo 2 più di un anno in posizione e 3 meno di uno. Devastante! I perché? Quelli non si capiscono molto bene, nessuno può aspettarsi di un CEO un miracolo in mesi, se lo può aspettare in qualche hanno, ma no in mesi. Ci sono i tempi tecnici in business necessari, se in più questo succede in momenti di recessione, potete aggiungere alla formula anteriore un'altra potenza all’insieme. I perché dovrebbero essere sempre i risultati, se non ci sono dentro dei tempi tecnici, sì cambiamento, assolutamente sì. Però si no, l’unico che l’azionista raggiunge e mandare a puttane l’azienda. Deve essere questo un processo indefinito fino alla morte definitiva? Non necessariamente, c’è bisogno solo di stoppare la catena di San Antonio. C’è bisogno di fermarsi, ed lasciare i tempi tecnici che trascorrano, non potrà essere peggio, anche se sempre c’è. Si rischia di meno lasciando vedere cosa succede, che saltando in piena corsa.


Sarò pedante, ma usando sempre il calcio come riferimento, che potrebbe essere quello più simile ad una azienda, perché c’è un azionista che è il presidente, c’è un allenatore che è il CEO, ci sono i giocatori che sono i manager di diverso livello ed il restante staff che sono gli impiegati. In questo caso il prodotto è quello che sono capaci di fare assieme, di marcare più gol possibili e lasciarsene fare il meno. Quante società cambiano e cambiano allenatore durante la stagione e ancora nelle successive? Quante di queste società avete visto vincere il campionato o almeno le posizioni di onore? Nessuna! Nessuna, perché non è possibile, non è possibile cambiare continuamente di allenatore come di giocatori! Le società che vincono sono quelle che hanno i nervi saldi, che lavorano sul medio con un buon allenatore, con una squadra solida che si rinnova nelle posizioni dove ci sono opportunità, che si solidifica durante gli anni. Queste vincono, non perché sono grandi, senno perché sono costanti nelle norme basiche di qualsiasi business, lavorare nel tempo!

Ristrutturare in continuazione. Lasciare ai nuovi manager decidere la struttura. Lo abbiamo abbordato in diversi capitoli, tutti in relazioni ad una mancanza di controllo di una direzione di risorse umane ed organizzazione. L’azienda e fatta di relazioni, non solo quelle gerarchiche, ma di relazioni interpersonali a diversi livelli, l’azienda e fatta di “human being”. Questi, noi, ci comportiamo attuando con dei riferimenti, se questi riferimenti ci mancano, ci perdiamo e non agiamo efficientemente. Il riferimento più importante in un’azienda e la struttura, sapere dove sei, cosa devi fare, che cose devi fare per progredire, che cose per migliorare, dove puoi arrivare.


Tutti abbiamo ambizioni, piccole o grande che quelle siano, ma sono passioni. La voglia di guadagnare di più, d’essere più riconosciuto, di fare un lavoro meno pesante, di fare un lavoro più gratificante monetariamente o solo moralmente, sono questi i fattori che ci fanno avere dei riferimenti. Non c’è niente di peggio per la motivazione delle persone, non solo del subgruppo manageriale, non c'è niente di peggio che lavorare duramente perché voi accedere a quel posto o a quel altro, e che subitamente ci sia un cambio di struttura organizzativa per la quale non sai più che quello che hai fatto sarà ricompensato. Notate bene che non parlo degli effetti distruttivi che chiaramente ha una riorganizzazione su uno stesso se questa li colpisce ad uno stesso di forma negativa o positiva. Parlo anche nel caso che sia di forma positiva perché in qualche forma questa riorganizzazione avrà mosso anche le aspettative che uno poteva avere. La direzione di risorse umane ed organizzazione dovrebbe essere molto attenta a questi cambiamenti organizzativi. Lasciatemi dire, e più nefasto un cambio organizzativo del cambio delle persone. Il cambio delle persone affetta moralmente le proprie aspettative, la propria motivazione, ma lo fa subito e a corto. E un colpo duro, si, ma passato qualche giorno, si ritorna a lavorare sapendo che e stato un incidente di percorso, forse uno si rende conto che l’altra persona scelta ha più esperienza o e migliore per la posizione, anzi, che potrà essere un’opportunità perché e una persona che lavora in team, che lascia spazio, che s’occupa di più dei suoi collaboratori. Le aspettative sono state rallentate, ma non cancellate, il suo percorso, le sue ambizioni su quel posto o su quel altro rimangono intatte perché la struttura e rimasta intatta. Se sì e agito su un cambiamento strutturale tutti i riferimenti sono andati a puttane e si devono ritrovare nuovi riferimenti. Questo comporterà tempo, questo farà anche sì che le capacita richieste per le posizioni di questa nuova organizzazione siano diverse, quello potrà portare a


che uno non sia più adatto a queste nuove posizioni. Che non possa ne anche formandosi diversamente o imparando altre cose sia adatto a queste nuove posizioni. Può essere che sia parzialmente o totalmente inadatto, quello provocherà una demotivazione che difficilmente sarà ricuperabile. Nella posizione opposta può essere che il Management sia anche sopraadatto alla posizione richiesta perché si sono ridotte le sue competenze. Il problema si pone lo stesso, uno si sente demotivato, sottovalutato e si realizza il nuovo lavoro richiesto alla perfezione, non può che non farlo senza motivazione, mancata motivazione che dopo si trasmette anche al team ed al resto delle persone con le quali ci hanno delle relazioni. Quanto più si cambi la struttura dell’organizzazione, sia completamente o in delle sezioni dell’azienda, più grande sarà questa perdita di riferimento, più grande sarà la demotivazione, più grandi sarà la perdita di efficienza, più si distruggerà valore per gli azionisti. Voglio sottolineare, che parlo di cambi organizzativi a tutti i livelli, anche quelli nelle piccole sezioni, perché anche li funzionano gli stessi meccanismi di motivazione. Chiaramente se un’azienda agisce sui cambiamenti nel Top, li traslata in basso, ha guadagnati il gran premio per divenire un’azienda non gestita, non motivata e inefficiente. Inefficienza che si tradurrà nei risultati.

Lasciare gli “anziani” Questa mi sembra una moda iniziata ad inizio del nuovo secolo, probabilmente per una avvicinamento all’economia americana dove la gioventù del management intermedio e


molto più elevata in Europa, facilmente si possono trovare in posti di prima linea manager che appena arrivano ai 40. In Europa l’accesso al primo livello di management sempre era stato un fattore di conseguimento passo a passo e la struttura piramidale della organizzazione poteva corrispondere fedelmente alla struttura piramidale di età. Difficilmente prima dei 45 o 50 anni non si trovavano dei Manager di primo livello, a non essere nel caso di aziende diciamo con controllo familiare, ed anche cosi i casi erano contati. Ma dall’inizio del 2000, l’età del management e cominciata a diminuire ed era più nei 45 che i 50, adesso ci troviamo con la esagerazione di trovare dei manager di primo livello prima dei 40! Che esperienza possono avere? 15 anni di carriera, tutto al massimo, non danno per aver accumulato conoscenze, metodi, capacita per essere al fronte di responsabilità di primo livello. La risposta, che non la correttezza della risposta, può venire della importazione di Top Manager di precedenza anglosassone, specialmente americana, e del aumento di affiliazioni americane in Europa, e del boom della new economy americana, dove li troviamo dei Manager diciamo di corta età. Ma dico che non e la correttezza perché il sistema americano sia delle università che quello aziendale sono completamente diversi a quello Europeo. Se uno si basa nella concorrenza da, lasciatemi dire, l’asilo, quello Europeo si bassa nella mediocrità. Da piccolo nei USA uno entra in una battaglia competitiva in tutto quello che fa, sia scuola, sia sport, sia entrare nelle “cheer leaders”, sia nel teatro della scuola, il periodico… In Europa non c’è questo spirito di essere in una battaglia, uno studia ordinatamente, fa uno o due sport perché si deve sviluppare, ogni tanto scrive se ha anche interesse, ma la realtà e che uno studio per se, non contro gli altri per uscire miglior posizionato. E un studio tutto a se, per presentarsi dopo in un mercato del lavoro che ti proteggerà.


Quella e l’altra grande differenza, in fronte a un mercato del lavoro che si basa nei risultati, nel turnover costante di posizione o lavoro, nella mobilità, nella ricerca di nuove opportunità sia forzate per risultati poveri o per trovare migliori opportunità, quello europeo ti offre il contratto a vita. Si, devi competere all’inizio per ottenere un lavoro e hai dovuto di aver studiato qualcosa, forse ci vorranno due o tre lavori diversi fino a trovare quello giusto, ma dopo, sei partito per un lavoro a vita fatto da piccoli passi nella protezione di una grande madre, che e il sistema di mercato Europeo continentale. Un sistema che non favorisce la mobilità, che non favorisce il lavoro per obbiettivi, che non favorisce in qualche maniera la precarietà che ti fa crescere, e preferisce la protezione di tutti alla crescita del sistema generato per una maggiore motivazione ed spinta provocata perché tutti cercano la crescita, le opportunità. E chiaro che un manager uscito da un sistema USA o uno europeo continentale non può dare gli stessi risultati anche se ha la stessa età o anni di esperienza. Il manager europeo a 40 anni non e cosi consolidato come ne può essere uno americano. Questa conclusione la ritengo irrefutabile. Non a caso, la società USA e l’unica nel mondo che dalla sua costituzione e permanentemente in guerra con qualcuno. Non c’è paese al mondo che continuamente sia in guerra con qualche paese, sia sotto mandato ONU, di coalizioni o da solo. Questo vuol dire che lo spirito di sopravvivenza e che la lotta, sia nell’ambito che sia, formano parte del ADN dei cittadini americani. Se in più le sommergiamo in un ambiente di battaglia come è il Mercato, la logica ci dice che loro da molto più giovani riescono a dare il più. LA nostra società europea e troppo conformante, troppo sociale, troppo protezionista, più preoccupata di non rischiare niente che di rischiare per avere di più. Non sto facendo una apologia della guerra, sto solo significando dei fatti. Sto significando anche che non serve


solo copiare per avere risultati, se non si analizza gli perché di quei risultati. Così adesso ci troviamo con l’ascensione di manager europei ai primi livelli con età “giovanissima” agevolati per un minor costo del lavoro tra questi e quelli in posto più anziani. Sì, con il dover di aggiustare costi e management iniziato dopo il 2001, quella tendenza importata dai USA, in Europa si e accelerata al dover ridurre i costi sacrificando la esperienza, per una mal incompresa “voglia da fare” dei giovani rampanti europei non usciti del circolo virtuoso USA. Pensando che con solo la voglia una azienda può portarsi avanti. Cosi i manager di 50-55 si sono visto rapidamente sostituiti per quelli di 45 prima fino ad arrivare a delle aberrazioni di sotto i 40! Vedere che non ci sono più riferimenti mese dopo mese, vedere che quando uno si interpella su un problema, chiudeva gli occhi e si domandava a chi posso consultare e venivano in mente due o tre nomi che solo pronunciarli uno preferiva essere sicuro di quello che andava a chiedere per paura di non essere considerato un ignorante, e adesso fare la stessa operazione di chiudere gli occhi e dirsi, bah! Meglio che decida io stesso perché se devo chiedere a quello li l’unico che rischio e perdere del tempo o che mi stoppi quello che vorrei fare perché cosi non si sbaglia. Il problema e che ti rimane la frustrazione di non più appartenere a un team, di voler arrangiartele per te stesso. Quello e vero e motivante dentro di un sistema, perché l’azienda e un sistema. Ma e demotivante quando non puoi crescere con il resto. Perché cosi facendo i rischi di sbagli aumentano, il controllo diminuisce, e le possibilità di insuccesso aumentano. E come sempre la colpa non può essere di loro se non hanno successo, come e impossibile che lo abbiano, perché l’autorità venuta dal Top Management e si importante, ma non sufficiente se non combinata con l’autorità derivata delle conoscenze, della esperienza, del saper gestire le risorse, di “leadership”! La colpa non può essere che della manca di controllo dell’azionista sul Top Management.


Perché la distruzione del valore non viene solo dall’errore di aver assegnato la responsabilità a manager cosi giovani, ma delle conseguenze che se ne derivano, demotivazione del resto del management, normalmente ci saranno più manager con esperienza sopra la sua età che non sotto, la paralisi aziendale che se ne deriva, la riorganizzazione necessaria conseguente al non funzionamento e non successo, la doppia demotivazione del proprio manager in questa situazione perché dopo la euforia si dovrà ritrovare ricollocato e ridimensionato in altre posizioni, in definitiva spropositi uno dietro l’altro. Questo lo chiamo la sindrome della cintura arancione. In judo si progressa a livello di cinture che vai guadagnando quanta più esperienza hai: dal bianco, al giallo, arancione, verde, blu, marrone, nero e dopo i diversi “dan”. O almeno era cosi quando io inizia di giovane, più di trenta anni fa. C’erano due correnti di pensiero all’epoca: le scuole che in più regolavano il diverso passaggio di cintura a una età, e quelle che liberamente lasciavano progredire i ragazzini. La mia scuola era delle prime, e ricordo che era frustante non poter passare a quel arancione sognato, si manteneva un giallo con diverse tirete nere a forma di “dan”. Era frustante andare a dei tornei e vedere che altri ragazzi della stessa età avevano già quel arancione. Questa frustrazione veniva a meno, perché al essere i combatti per chili e non per cinture, questa frustrazione spariva e i risultati dipendevano da uno stesso e non del colore della cintura, talvolta era un vantaggio, perché l’opponente si credeva più forte. Per dire che la formazione e l’accumulo di esperienza sono i due pilastri importanti di un Top Manager e che questi non possono essere maturi in età non mature.

Politica retributiva del management Non c’è metodo più efficace di quello di creare una bellissima politica retributiva basata sulla leadership e sui risultati su obiettivi che non sarà mai eseguita!


Questi dovrebbero essere i pilastri di una politica retributiva del management: la loro leadership ed i risultati che riesce a portare a casa rispetto agli obiettivi assegnatoli. Il management non e diverso dei distributori, se questi non hanno obiettivi fissati ad inizio d’ogni periodo di misurazione, sia l’anno, il trimestre o altro spazio temporale, difficilmente potranno agire secondo i risultati, ma lo faranno solo per percepire lo stipendio o guadagnare quello che si sono prefissato di guadagnare nel caso dei distributori. Ritorniamo al concetto di una Direzione di risorse umane, se questa e sufficientemente forte e ha il commitment degli azionisti per poter agire, ci troveremo con dei sistemi che durano nel tempo e sono un riferimento per avere un management motivato a far crescere l’azienda apportando dei risultati, il solito “gagnant, gagnant”. Io come manager contribuisco al miglioramento del risultato dell’azienda e questa mi retribuisce in funzione di quello. Il metodo e uno: un sistema premiante per obiettivi. La modo deve essere constante nel tempo. Gli obiettivi potranno variare anno ad anno secondo i risultati e nuove sfide che abbia l’azienda. Un manager che si avvicina per la prima volta ad un’azienda dirà: ovvio, niente più facile. Invece c’è a chi li piace la complicazione, non per mala fede, ma perché ogni uno vuole cambiare le cose fatte dal predecessore, n’abbiamo già parlato. Uno non può accontentarsi di prendere ed aggiustare gli obiettivi, siano in volume o in tipo d’obiettivi, deve cambiare il metodo. Cosi il manager non capisce più quale saranno le sue possibilità di raggiungere quelli obiettivi e si limiterà a gestire, non a perseguire un obiettivo perché non conosce come sarà misurato. Questo nel miglior dei casi, la demotivazione si fa più elevata quando non si conoscono gli obiettivi all’inizio del periodo valutativo sino durante l’anno o addirittura alla fine dell’anno per poter, da parte della DRH, mostrare che esiste un sistema premiante e che lì obiettivi sono stati fissati. Una farsa! Il problema e che


l’azienda e un corpo che deve funzionare in tutte le sue parte, e che nel momento che una si cancrena il pericolo d’estensione a tutto il corpo e altissimo, favorendone la morte. Il problema non e già il raggiungimento dei obiettivi, la famosa asticella, ma il sistema. Il Top Management s’imbarca in agre discussioni sul metodo ad ogni volta, la DRH contemporeneggia sui tempi, la comunicazione di metodo ed obiettivo invece di essere fatta “one to one”, occhi negli occhi a cascata, viene diffuso per mail, cosi il momento più importante che e quello di dire ad una persona ti stiamo pagando per ottenere questo e sì lo fai ti daremo tanto in più, viene completamente banalizzato. Non solo, ma come il management percepisce che e una frode, non lavora più per obiettivi e la richiesta di stipendi fissi più alti da parte di chi già lavora o dei nuovi entranti viene aumentata perché alla carota della parte variabile non ci crede più nessuno. Altro valore aggiunto per l’azionista fumato. Peggio va quando un nuovo Top Manager arriva e per motivare le truppe utilizza l’argomento di un nuovo metodo di retribuzione variabili. Ala! Siamo ripartiti per un altra giro! Quella e la risposta del più efficiente dei manager, quella degli inefficienti non si può riprodurre. Sapere che non esiste un metodo di retribuzione per quello che fai e una delle cose più frustranti in azienda. Sapere che tu tanto si lavori o non avrai la stessa non valutazione che il tuo collega e frustrante. Invece sapere che sì tu superi quello che tu fai tu sarai ricompensato, anche con un simbolico euro contribuisce alla motivazione della gente. Ma amici, parliamo di metodo, d’obiettivi e risultati che devono essere misurabili. Dopo non cominciamo alla fine del processo mettere dei paletti. Non prendiamo e cominciamo ad annunciare che il management da premiare e un 10% o che la distribuzione attesa e di x% con un valore y% di un latro e cosi via. Quello sono cazzate che contribuiscono a che nessuno lavori per obiettivi, solo ad


accontentare a qualcuno più per quello che ha fatto che non perché abbia lavorato per raggiungere i suoi obiettivi. Non parliamo che tutti devono avere il primo premio, in azienda non e come in una competizione sportiva dove il jack pot e per il primo. In azienda e il team che contribuisce ai successi, perciò e meglio retribuire in valore meno a tutti, tutti quelli che hanno raggiunto dei obiettivi, che non falsare la competizione e dare di più salvo che non si sa perché o come. Della stessa forma, che anche se l’azienda e in situazione difficile ci saranno dipartimenti che avranno lavorato meglio degli altri, perciò e sempre buono far che il metodo funzioni e si mantenga nel tempo con un riferimento e premiare, sempre anche meno economicamente, però premiare a quelli che hanno raggiunto quello che se li aveva chiesti. Finalmente, la “cerise” sulla torta e quando i premi non si comunicano, ma e il tam tam che fa che si spanda la comunicazione e generi, come tam tam che e, delle informazioni parziali o partigiane di quello che ha fatto suonare il tamburo. Il processo della retribuzione deve essere trasparente, e le aziende lo odiano. Invece questo e il salto culturale da fare. Noi lavoriamo perché ci paghino alla fine del mese, non c’è un’altra ragione. Il resto cagate da benestanti! Noi lavoriamo meglio perché vogliamo guadagnare di più nel futuro. Il resto delle cagate da falsi! Se il sistema e diafano dall’amministratore delegato fino all’ultimo degli operai, non può che essere benefico per generare una competizione per fare migliori risultati ed accedere a dei livelli superiori di responsabilità e di stipendio. Tutti assumiamo che a maggior responsabilità, maggior salario. Il problema e quando non esiste una politica di retribuzione stabilità, che e più fatta dagli uomini che comandano più di una politica aziendale o di Mercato. Quando troviamo a pari responsabilità stipendi molto diversi, o addirittura più bassi quelli di un superiore rispetto


ad un inferiore la leva più importante di motivazione che sono i soldi sparisce, perché non c’è competizione. Peggio quando il tam tam, non serve solo nel momento di comunicare i premi, ma anche per spandere voce su stipendi, a quel punto e servita la demotivazione di quegli che credono che non e giusto che loro guadagnino meno e la competizione sparisce perché chiaramente a politica non trasparente non e che la DRH può iugulare stipendi. La no trasparenza gioca a favore di cancellare la leva dello stipendio e gioca a favore di eliminare la competizione per obiettivi, favorendo il dover pagare di più in stipendi, quando una chiara e comunicata politica di retribuzione favorisce la contenzione delle richieste perché ogni uno sa cosa avrà. Come tutto ci vuole lavoro, ma una volta stabilito, la gestione delle risorse nel tempo diviene più semplice, potendo concentrarsi nella loro valutazione più che nella gestione dei casi o le modifiche constante di metodo o nel ricalcolo constante d’obiettivi e risultati. Lasciamo che il management viva con stipendi alti in alcuni casi, con stipendi sproporzionatamente bassi in altri, non li motiviamo con la retribuzione per obiettivi e il risultato sarà un management che lavora solo per portare a casa uno stipendio, e sì l’azienda va male, beh! E sufficiente solo che non vada cosi male come per sparire. Una soluzione, la DRH la trova sempre, mandiamo via i manager e li sostituiamo per dei nuovi. Normalmente, come questi sono intelligenti il processo d’accelerazione per la novità e l’impegno dura il tempo di rendersi conto che il sistema di retribuzione variabile e una farsa. Questo dura un trimestre normalmente. Da quel momento il manager diviene come gli altri, ed il risultato per il valore dell’azienda e che e diminuito perché per avere quel nuovo manager sì e pagato un ticket fisso maggiore e la demotivazione e aumentata.


Politica retributiva del personale Un aspetto cosi facile di trattare, quanto difficile si trasforma nella realtà. Non voglio entrare nei diversi aspetti di manageriare il personale in profondità, solo qualche pennellata perché su quello che voglio centrarmi e in quanto un elemento cosi semplice può essere un fattore importantissimo nell’aiutare l’azienda a prendere la strada della eccellenza o quella della catastrofe. A mio avviso in quanto al management ci sono due scuole: quella che il personale e un mero esecutore e che deve ringraziare l’azienda per avere un stipendio a fine mese; i quella che intende il personale come una risorsa per far più grande l’azienda, in qualsiasi la grandezza si concreti, immagine, risultato, commitment con l’intorno... Mi sembra cosi ovvio che la seconda forma di mangement e la corretta che non andrò aldilà. Volevo solo appuntare che il primo esiste, ed e ben presente nella nostra realtà. Non mi sembra che sia quella la strada per l’eccellenza, ma si quella per mandare l’azienda a puttane perché alla fine come nella politica, le autarchie e le dittature finiscono prima o poi. Si volevo parlare della forma di manageriare la politica retributiva, che può anche darsi in entrambi dei casi esposti, anche nel secondo. L’inizio della mia vita professionale e stato in un dipartimento commerciale e per tanto eravamo motivati fortemente da una parte variabile, per inciso quello che vi racconterò a portato conseguenze nefaste in me come manager, da quel momento non ho creduto più nel variabile e non ho più trattato il variabile come stipendio, si arriva bene, se no lo “stess”. Il fatto e che in un momento di difficoltà l’azienda ha deciso di tagliare il bonus, cosa


perfettamente assumibile per un junior manager o per il personale dell’azienda. Non piace, non può essere la tua colpa diretta, ma se l’azienda va male, si capisce che qualcosa si deve sacrificare. Il problema e la spiegazione. Il nostro capo, il senior manager si presento alla riunione dicendo: “ mi dispiace comunicarvi che questo anno non ci sarà bonus, la situazione dell’azienda non lo permette”, fino a li tutto bene, uno lo intuiva, uno si preparava, tutto poteva rimanere li. No! Aggiunge “capisco che e duro, io ho dovuto andare in banca questa mattina a rinegoziare la mia ipoteca sulla seconda casa che mi ero comprato!” Figlio della gran...! Come non sei capace di estrapolare che lo effetto non e lo stesso per te che per noi che per le persone che nono sulla catena di montaggio! Come non sei capace di capire che quello che per te e un optional, per il resto del personale e una necessita di vivere! Devo dire che era un buonissimo manager, ma questi “ticks” sono molto spesso presenti nel momento di decidere se e quanto sarà la parte variabile. Non siamo ancora capaci di capire quanto il personale ha bisogno di essere rimunerato, non per optionals, senno per vivere. E quanto questa infima parte può essere importante per motivare lui ed il resto a produrre di più o meglio, a far crescere l’azienda. Punto uno, retribuire anche poco motiva molto di più che niente. Punto due, deve retribuire chi conosce i meriti di uno o un altro. Ho già parlato in altri capitoli che una azienda non e una democrazia. Ma e molto stesso il fatto di decidere la retribuzione individuale del personale in Grandi Comitati piramidali che si vanno riducendo in presenze a misura che si sale nell’individuo a retribuire. Qualcuno potrà obbiettarmi che una azienda e fatta di interrelazioni e che e il frutto del lavoro in equipe, si, sono d’accordo, ma non ha tutti i livelli. Quanto più si sale se, quanto più in basso più importante e il lavoro dentro del proprio team. E se questo e vero, che lo e, come si può


valutare da un manager che forse lo avrà visto una volta passando per un corridoio o entrando o salendo del lavoro? Ed invece e cosi. Un spettacolo grottesco che si trasforma in una lotta fra dipartimenti per vedere chi a premiato più persone e quanto in valore. Una lotta fratricida fra managers spiegando perché si o perché no del tutto assurdi. Dopo un anno qualcuno e capace da dire” se, io sono d’accordo, perché un giorno lo vide in corridoi e mi sembro molto attivo!” o “si le chiedemmo una cosa un giorno e ci rispose cortesemente e celermente!” Una volta dopo 24 ore, dopo 365 giorni!!! Quante volte possibili ci sono in questo spazio temporale! E questo nel lato positivo, nel caso che un altro manager appoggi un candidato. Ma cosa succede quando la stessa esperienza e negativa? Guerra, rancore, preparativi per la prossima giocata. Perché questo crimine non può rimanere impune! Cosi quando sarà il torno del manager successivo, a seconda le sue risposte la battaglia sarà più o meno dura nel contrasto di pareri sui candidati, andando a prendere gli stessi argomenti. Ma non e possibile! Vi racconto della fiction! A certi livelli di management e di esperienza cose cosi non sono possibili! Ci sarà qualcuno che non interviene! No, No, No! Anche il più freddo dei manager, anche quello che più persone a, anche quello che più “passa”, in un momento o in un altro esplode! E partecipa nel “sarao”. Un processo questo dei comitati lodabile per la volontà di trasparenza e di condivisione, ma profondamente sbagliato nell’applicazione. Solo si genera battaglia, malumore e poca equità. Demotivante per il management, demotivante per le persone perché i criteri non sono chiari, il perché quello si ed io no? Perché quell’altro un giorno ti ha visto in corridoi e non lo hai salutato! Lo avevi tu visto? Ti aveva salutato lui?... Perché anche se quello che si discute nei comitati dovrebbe restare li, niente più lontano, dopo minuti si sa già tutto, gli interessi corporativisti si lanciano alla conquista di quanto perso.


Come una leva cosi importante come la retribuzione del personale si trasforma di un elemento motivante a qualcosa che si arriva bene e se non, “lo stess”. Invece di assumersi ogni uno la responsabilità di per quanto viene pagato, la responsabilità di prendere decisione che significano premiare ad uno e avvertire ad un altro. E troppo bello ripartire il pane ed i pesci a tutti ugualmente, ma a quel punto a che serve? E troppo bello non dover spiegare perché a te si e a te non. E troppo bello sopravvivere. Ma a quel punto, cosa ti paga a fare l’azienda! La responsabilità nella politica retributiva vuol dire retribuire diversamente e motivatamente. Cosi facile! Si. Uno pensa che la DRH dovrebbe essere il garante di un processo trasparente, beh! Mi riferisco al capitolo già lungo sulla DPO. Invece ho assistito anche al processo contrario. Come la politica retributiva creava un spirito di appartenenza all’azienda, di fedeltà all’azienda, e di lotta per migliori risultati e per stimolare il vicino ad ottenere migliori risultati. Il fatto di trovarsi in una azienda che ogni anno ripartiva una parte del profitto fra i lavoratori faceva che questi fossero motivati. E vero che era in Francia e che la legge cosi lo stabilisce. Ma trovarsi in quella situazione faceva che uno si demandasse perché in quella filiali i risultati erano migliore che le altre, lasciatemi dire a condizioni di Mercato simili. E la domanda uno la trovava in che il fatto di motivare il personale con due, anzi a volte tre mensilità di stipendio a tutti facessi che si creassi un spirito di lavoro che facessi che i remi fossero tutti spostati nella stessa direzione. Qualcuno potrà giudicare che questo e intervenzionismo dello stato nella economia. Ed e vero, e cosi. Ma aver vissuto quella esperienza mi fa riflettere e che dovrebbe essere nelle regole del buon management un tipo di ripartizione di quel tipo, risultante dell’andamento dell’azienda e ridistribuito ugualmente. Per punire chi aveva remato in contra c’e il business quotidiano.


Lo ho valutato tanto, che l’azienda successiva nello stesso tempo, soffriva del caso opposto. La situazione e vero che era meno positiva, in parte perché l’azienda aveva una posizione minore, ma anche perché le strategie di affiliate erano diverse, applicando dei costi di trasferimento molto superiori a quelli che dovrebbero essere o almeno e questo che ho sempre pensato, o ostaggio di certi costi soprammercato. Come il personale lo sapeva, e come logicamente non c’erano profitti da ripartire, lo sforzo per motivare il management ed il personale era fortissimo, gran parte del tempo era più motivare che non concentrarsi nei propri obbiettivi di far crescere l’azienda via fatturato. Sapere che uno può godere di un beneficio sociale derivato nella misura del suo proprio sforzo e per politiche multinazionali non goderne era molto frustrante per il personale. Francia e intervenzionista, e pubblica e cosi, ma in certi aspetti lavorali a dei aspetti che dovrebbero incorporarsi alla condotta manageriale per non mandare a puttane una azienda. Uno ne abbiamo parlato come sono “la participation et l’interessement”, l’altro “l’entretien annuel“ come parte del processo del MPP, Management du Potentiel et de la Performane.

Tanti assessment To be done Svilupperò il concetto dei assesments, tanti per niente!


DPO to DHR to DR&G In diversi capitoli di questo manualetto ho affrontato questa evoluzione di una direzione del personale esclusivamente concentrata in aspetti classici operativi della gestione del personale ed in costruzioni di strutture organizzative ad una più moderna di gestione delle risorse umane per considerarne anche la sua progressione e interrelazionare delle risorse per creare strutture ad una futura Direzione che non solo gestisce le risorse e interrelazionare persone per costruire strutture ma che agisce come garante per l’azionista dell’essenza dell’azienda. Infatti, è l’aggiunta della parola Garanzia che introduce questa novità nel futuro sviluppo delle strutture aziendali. Oggi in azienda si danno garanzia sui prodotti, siano di legge o complementare per riassicurare i clienti sulla qualità dei prodotti manufatti. A questo punto perché non dare a monte ai azionisti una garanzia sulla gestione delle risorse umane e della organizzazione? Perché dare questa garanzia ai azionisti? A che serve? Nel Management moderno c’è una sola figura che è eletta dai azionisti che è il presidente o amministratore delegato dipendendo della forma organizzativa che si siano dati, in ogni caso su una unica figura è concentrato tutto il potere per decidere sulle sorte dell’azienda. Questa logica derivava di un intorno aziendale dove questi Top Manager erano scarsi, normalmente dotati di una grande esperienza prima di accedere alle posizioni di comando unico e probabilmente destinati a rimanere per lunghi periodi al comando, dove la fedeltà all’azienda era un valore fondamentale del Top Manager. Oggi questo intorno è cambiato, i Top Manager si succedono, ogni volta sono più giovani con una esperienza meno consolidata ed anche essi internamente con una minor fedeltà ad una azienda e più disponibili alla mobilità, non esiste più fedeltà checca, ne d’una parte nell’altra. Nel senso che ne anche oggi l’azionista è disposto a concedere più di una opportunità ad un Top Manager cresciuto in azienda e fedele all’azionista se trova un altro sostituto più noto o commette qualche sbaglio.


Questo cambiamento di attitudine da parte dei Top Manager provoca che siano obbligati a ottenere risultati a corto per consolidare la loro stessa posizioni di super Top Manager capaci di risolvere qualsiasi problema a discapito della consolidazione dell’azienda per le generazioni future. Così in questa frenesia di ottenere dei risultati tutto il potere li e concentrato e possono dedicarsi a cambiare tutto. Non si dedicano solo ad stabilire una strategia ed implementarla, ma hanno la tendenza a creare il tutto di nuovo per ottenere dei risultati più in fretta possibile. Mi direte che questo è normale, bene, non tanto, ottenere dei risultati velocemente non può essere sempre significativo che questi risultati consolideranno il business ed assicureranno il futuro della azienda. Tagliare i costi per ottener un profitto può essere molto importante, ma farlo subitamente senza un piano di investimenti o idee dietro può provocare la messa in dubbio dei risultati futuri contribuendo a mandare a puttane l’azienda. In passato questi Top Manager si limitavano a cambiare le posizioni chiave commerciali e marketing le più volte per cosi poter dotarsi di persone di fiducia con le quale agire sul braccio operativo dell’azienda, a punto il Commerciale ed il Marketing. Fino a qua una certa normalità, normalità alla quale io sempre sono stato contrario perché provoca una forte demotivazione nelle truppe e nello stato maggiore per cosi dire. Li è dove dovrebbe intervenire la DHR attuale, cioè mettendo in evidenza le risorse interne, allertando sulla insoddisfazioni che potrebbero crearsi, assicurando un passaggio non traumatico, favorendo la integrazione del Top Manager e non l’isolamento. Questa azione della DHR è sicuramente più facile nel caso di un Top Manager dall’interno intanto conosce le forme di attuare ed il Management. Diviene più difficile quando viene dall’esterno con una volontà di tagliare con il passato. E questo non ostante le prime parole di un Top Manager al Management attuale di una azienda siano sempre le stesse: io vengo qui per aiutare, voglio conoscere il Management attuale, ho conosciuto questi giorni dei Manager e sono convinto che siete bravi, non voglio portare persone di fuori perché sono


convinto che qua c’è personale abbastanza, bla, bla bla. Finalmente arrivano tutta una troupe nuova, perché e conseguente a questa nuova élite di Top Manager. Ma ritorniamo al punto, fino ad oggi questi cambiamenti erano solo nelle aree operativi, e difficilmente in quelle di back office, difficilmente quella finanziaria, custode dei veri numeri e difficilmente quella della DHR perché custode della istoria delle persone e della organizzazione. Questo, proprio perché questa élite non aveva abbastanza con dei cambiamenti dei singoli Manager, ha voluto ridisegnare organizzazioni, inventare nuove strutture, cambiare tutto. A questo punto, davanti a una DHR che poteva cercare di discutere delle opzioni siano strutturali o di persone, hanno preferito far entrare in questo ballo anche il Management della DHR. Cosi facendo hanno distrutto tutto quello che può comportare la parola Human Ressources nel senso di essere la istoria delle relazioni interpersonali in azienda e delle strutture che hanno fatto l’azienda, per diventare un semplice strumento di riorganizzazione e conseguentemente di riclassificazione delle persone. Ma le risorse sono state messe a disposizione della struttura e non in funzione di una istoria, ma di nuovo feeling con il Top Management. Tutta la essenza di una DHR si è persa per una gestione del day by day, cosi specchio della gestione day by day del Top Management. Niente si può creare intanto si è creato un nuovo legame DHR e Top Management completamente dipendente di quello fra Azionista e Top Management, conseguentemente l’attività di DHR viene subordinata a quella del Top Management, ma il più grave è che viene subordinata temporalmente in funzione del mandato o permanenza del Top Management. Da una parte il prodotto dell’azienda è stato sottomesso a un nuovo Top Manager, ma adesso anche la essenza dell’azienda ed il suo miglior valore che sono le persone che ci lavorano, viene anch’essi sottomesso al corto e non al consolidamento dell’azienda.


Assistiamo a dei cambiamenti di organizzazione per cambiamenti, da quelli più razionali a quelli più strafalari che durano quanto lo sperimento. Assistiamo ad strutture piramidale a quelle per Business Unit a quelle altre matriciali a quelle altre appiattite e che dopo si ritrasformano in altri ibridi, tutto ciò in un arco di tempo cosi veloce che fa che l’azienda sia permanentemente senza rombo. Senza rombo perché durante un periodo di qualche mese si sta fermo per capire come sarà la nuova struttura e come collocarsi, una volta ufficializzata la nuova struttura si cerca di capire dove uno è e con chi dovrà relazionarsi, in questo stesso momento tutti staranno cercando di capire lo stesso perciò altri mesi di in operatività come gruppo, solo azioni isolate meno effettive che se realizzate in gruppo. Una volta si comincia ad operare in questa nuova realtà, nuova aria di cambiamento, nuovi mesi di attesa, nuovi mesi di capire e cosi via. Processo accelerato e fortificato se accompagnato da cambiamenti nel Top Management e nella DHR che saranno simboli chiari di nuovi cambiamenti. Se in più non si realizza nessuna formazioni per imparare a lavorare con le nuove strutture si otterranno due effetti negativi: il primo, che il management continuerà a lavorare come prima e così svanendo gli effetti che si volevano cercare con la nuova struttura; il secondo la demotivazione perché non si va avanti favorendo un nuovo cambiamento e paralizzando la propria attività. Se questo succede diverse volte nell’arco di qualche anno, il risultato è evidente, l’azienda rimane paralizzata nelle sue strategie e decisione e va a puttane irrimediabilmente. Se questo si lascia moltiplicare a tutti i livelli ed anche nelle affiliate l’azienda sparisce. Al Top Manager sempre li rimarrà la scusa che il Mercato è caduto, che le condizioni erano impossibili, che non ha potuto fare quello che voleva fare per impedimenti interni perché il Management non ha capito… cazzate! Ha portato il Management che ha voluto, ha modificato la struttura come ha voluto! Il problema era forse che non era capace per una così grande azienda o settore! L’azienda non è un ente militare per il quale il Generale comanda e gli altri obbediscono come un corpo unico, l’azienda è fatta di individui che decidono di collaborare o di


imboscarsi fino all’arrivo di un nuovo generale o per vita. Nelle grandi aziende e molto semplice farlo, perciò si deve cercare la collaborazione di tutti per portare avanti il progetto. Per evitare questo, questa perdita di risorse, non solo nel senso di perdita perché cercano altre realtà, ma di perdita motivazionale che ha una incidenza diretta in quanto ogni uno produce, sia un prodotto o sia gestione o siano idee, l’azionista deve assicurarsi il controllo su questa funzione, della stessa forma che lo mantiene sul Top Manager. Per questo motivo la mia suggestione e procedere ad un doppio cambiamento manageriale. Il primo, che la DHR si trasforma in DR&G, cioè in Direzione per la gestione delle Risorse, conseguentemente dell’organizzazione delle stesse e, si aggiunge il fattore di GARANTE, cioè attua di Garante dell’azionista per una gestione delle risorse e dell’organizzazione che assicurino la sopravvivenza dell’azienda a lungo. Questo primo passo non dovrebbe essere difficile organizzattivamente, basta che il Top Manager sappia che quello che vuole fare deve essere condiviso con un ente come quello della DR&G per agire sul medio lungo periodo è non semplicemente sul corto. Vuol dire concedere maggior peso alla DR&G che ha perduto nei ultimi anni. Un'altra cosa e trovare professionisti delle DHR attuali che intendano questa nuova funzione come di collaborazione, lasciatemi dire, bicefala con il Top manager e non come il proprio "virreinato" dove fare quello che uno vuole. Il secondo, che questo nuovo DR&G, viene direttamente investito dell’autorità da parte dell’azionista (Consiglio di amministrazione). Sempre strutturalmente sotto una struttura nella quale il Top Manager è il padrone, ma dove ha una figura come il DR&G che assicura il lavoro a medio termine sulle risorse e sulla organizzazione. Non poteva non essere investito dell’azionista, perché al contrario non ci sarebbe sicurezza d’interventi collaborativi e non di subordinazioni. Così nel caso di conflitti, la decisione non sarebbe esclusivamente di potere derivato della struttura,


ma dovendo fare escalation sul Consiglio amministrazione per delucidare la strategia a seguire.

di

Concentrare il potere assoluto sulla strategia e sulle risorse in una sola persona da parte dell’azionista nell’intorno di oggi mi sembra troppo azzardato, e le ultime esperienze dimostrano che i continui cambiamenti strutturali che durano quanto il Top Manager, l’accompagnamento di nuovi manager che durano quanto il Top Manager, dei Direttori di HR che durano quanto il Top Manager hanno dimostrato la capacità di mandare a puttane una azienda nonostante il Mercato non sia caduto.

Colpa di chi lo ha messo o sua Questo e uno dei temi più affascinanti che hanno a vedere sia con la capacita del top management ad individuare elementi capaci tanto quanto la capacita di una forte direzione di Risorse Umane capace a coordinare la crescita dell’organico. Una forte direzione di Risorse Umane, per me e li la chiave di volta di un azienda, il successo di una azienda. Tanti metteranno l’accento nel prodotto, nella capacita di guida di un leader, nell’immagine costruita di una marca, in una aggressiva forza commerciale. Io lo metto nella direzione di risorse umane. Dopo la nascita di un’idea da parte di qualcuno che costituisce l’azienda, e dopo l’abilita in cercare le persone, in strutturarle, in occuparsi di farle crescere o farle produrre, in creare le successioni dove si concentra il "savoir faire". Una forte DRH da sicurezza all’azionista perché sa che la gestione degli uomini e in buone mani e che l’adattamento strutturale ai cambiamenti dell’intorno saranno gestiti per cercare il massimo ritorno agli investimenti. Da anche


sicurezza a chi ci lavora perché sa di avere un riferente che e indipendenti degli umori o dei cambiamenti dei superiori gerarchi. In epoche di crisi già sia per cause interne o lo sia perché l’intorno e in crisi la tendenza e a cambiare e cambiare tutte le funzioni e creare gli effetti domino quando un Top Manager cambia. Queste forze naturali devono essere contrastate da una DRH forte che faccia prevalere la costruzione di nuove strategie con le risorse interne e che assicuri un processo di valutazione di tutto il management e personale rigoroso. In questi forti cambiamenti la singola storia si perde, il singolo lavoro si perde. Non avendo più storia si cancella la benzina migliore di un’azienda che e la motivazione del management e del personale. Se uno non si sente più seguito, se non sa che il suo lavoro precedente e stato apprezzato, se non può fidarsi del suo superiore e sapere che quello li resterà per saldare un patto di dando/donante la motivazione crolla, l’intensità del lavoro crolla, lo scontento s’installa nella persona che facilmente lo spande al suo intorno, questo si demotiva ed il cancro si spande. Quale azienda può sopportare in un arco temporale di tempo almeno cambiamenti in tutte le funzioni di Top Management, dagli almeno cinque amministratori delegati della capo gruppo, almeno tre nella controllata, almeno tre direttori commerciali, almeno tre direttori di risorse umane, almeno tanti in produzione, nel prodotto, almeno due giri nei capi dei mercati ed all’interno dei Mercati la stessa kermesse? Se in più non ci conformiamo ad un cambiamento delle persone, ma in più ci mettiamo un cambiamento fondamentale nella forma di lavorare, vale a dire e nelle strutture e facile capire che il disastro e servito. E questo può essere evitato se e la DRH chi ha l’autorità dell’azionista per essere il garante del buon funzionamento della società. Se anche questa e travolta in questo tsunami, il tsunami si porta via l’azienda a metro a metro.


Perché dopo e facile trovare altre responsabilità. Ma il prodotto non c’è? Ma non ci sono investimenti? Ma non ci sono le persone? Tante cazzate, perché i prodotti li fanno le persone, d’investimenti c’è ne sono sempre, e di persone ce ne sono sempre, più o meno valide, non e possibile che tutti quei Top Manager a sua volta abbiano messo dei coglioni nei posti. Forse penserai che ho perso il filo, passando dell’argomento centrale di chi e la colpa, a quelli altro della forza della DRH, ma come quella e al centro del processo e logico questo percorso. Questo di chi e colpa, viene da due concezioni di come deve essere strutturata la carriera di un manager: multidisciplinare o monodisciplinare. Un po’ lo stesso dibattito fra i sistemi universitari europei generalisti o quegli americani specialisti. I famosi sapere un po’ di tutto o tanto di molto poco. Questa semplicità nel discorso può essere anche semplicità nella soluzione. Infatti, le aziende si strutturano per macroaree che talvolta hanno dei punti di collegamento conoscitivo ed una funzione d’amministratore delegato. Il percorso di carriera essendo fatto per arrivare ai Top. Un percorso multifunzionale si adatta ad un profilo fuori degli schemi, qualcuno di veramente brillante che può divenire amministratore delegato. Il percorso monofunzionale e adatto a quegli un gradino sotto quei brillanti che dovranno essere i primi livelli. Purtroppo d’amministratore delegato c’è né uno solo, e le esperienze con due a struttura matriciale diventano difficili da gestire nei paesi latini e tante volte fracassano. Mi sono perso un’altra volta? No. Infatti, se uno prende lasciatemi dire un bon manager, ma non uno brillante e li fa fare un percorso multifunzionale le conseguenze possono essere nefaste. Questo succede spesso quando si vogliono scambiare funzioni di staff con quelle commerciali o quelle tecniche con quelle commerciali. Escludo i casi inversi perché sono meno frequenti, essendo la tendenza del


manager commerciali più reticente a perdere i privilegi di quell’area. Quando la parte commerciale o marketing si gestisce come un ragioniere, senza rischi, sotto controlli asfissiante, burocratizzando delle funzione che sono le parte del corpo dinamiche, questo finisce per tumefarci ed i risultati in conseguenza. Stesso risultato quando la gestione viene ingegnerizzata.

Affidatevi ad un contabile invece di a un controller Difficile trovare la differenza, perché oggi un nome significa poco, è più l’attitudine che definisce un comportamento. Non è tanto importante che la formazione tecnica sia stata la stessa come l’attitudine a gestire un posto di lavoro. All’inizio, contabile e controller hanno la stessa origine formativa: la contabilità. La gestione dei numeri, la gestione del budget, la gestione della P&L. Su quello che lavorano è sempre lo stesso lo spostamento di numeri da una parte all’altra del bilancio, dell’analisi di questi numeri e de la proposizioni di soluzioni per migliorare la P&L. Le tecniche sempre sono le stesse, applicare i principi contabili. Il loro output è sempre quello di una P&L. La grossa differenza viene dell’attitudine ad affrontare il proprio lavoro. Cioè, la differenza fra essere un mero fotografo di una situazione ed un attore di un film. Questo in questi anni di esperienza professionale è stato basilare, trovare un contabile fotografo o un contabile attore ha fatto che il lavoro del Marketing e Commerciale sia stato più facilitato e conseguentemente più efficiente o no.


La P&L potremo semplificarla in due grandi macro attività: il fatturato come entrata ed quello che serve per fatturare come uscita (spese di Marketing ed spese Commerciali in incentivi e/o sconti). Se consideriamo che la prima è esterna al nostro controllo intanto dipende delle condizioni del Mercato e può oscillare, quella delle spese è endogena all’azienda, si può ridurre o aumentare più facilmente, basta tagliare una spesa è si riducono i costi. Sto semplificando molto il discorso, però mi servirà per andare al concetto, è chiaro che tagliare non è sempre possibile perché ci sono dei impegni, è chiaro che ci sono altre spese come R&D o personale o altre, e chiaro che il fatturato non è una cosa che si ottiene senza investire e senza spendere. Quello che mi interessa è evidenziare come una attitudine contabile o di controller possono favorire il business o portarlo al disastro. Non c’è bisogno di dire che anche il miglior controller non può impedire il disastro. Abbiamo detto che per fatturare c’è bisogno di spese. Nelle grandi aziende è difficile stabilire causa effetto fra una spesa ed un risultato. Il più famoso è la pubblicità. Ci sono tante variabili che influiscono che farne una formula matematica è un esercizio divertente per un giovane laureato, ma che dopo purtroppo si rivela inutile. Uno investe oggi in una pubblicità su un prodotto, ma ne avrà li effetti nei prossimi mesi, o avrà di effetti secondari su altri prodotti, o non avrà avuto nessun effetto non ostante sia cresciuto il fatturato perché è stato un prodotto concorrente che ha generato una domanda generale o una situazione politico/economica che si ha generato in quel momento, o una scarsità di prodotto dei concorrenti in quel periodo, o decine di altri motivi, di lì la difficoltà di tradurre tutto ciò in un modello matematico. Ma della stessa forma che è difficile tradurlo in un modello matematico è difficile di interpretarlo per chi deve contabilizzarlo. Il contabile fotograferà ed avrà visto che fronte a una spesa x si e prodotto un fatturato y. E che questo fenomeno si può ripetere cosi. Un controller analizzerà, filmerà, anche tutto il processo, chiederà di capire cosa ha o non ha funzionato.


La posizione tradizionale e difensiva del Marketing e Commerciale potrà dire che chi ha ben agito è il contabile. Che fotografa e basta. Che non li deve fregar di meno quello che si fa con i soldi, che chi ha la responsabilità della P&L sono loro, il contabile zitto e che non rompa. E lì ci troviamo nella classica situazione nella quale l’azienda avanza o retrocede in funzione di conflitti di interessi, di lotte di sfiducia fra manager, di informazioni più o meno nascoste, di poca trasparenza in quanto ogni uno fa. Risulta che ogni uno fa i conti in tasca all’altro, invece di aggredire la concorrenza. Risulta che ogni piccola spesa va all’amministratore delegato che deve mediare fra uno o l’altro e che finisce la maggior parte del tempo a sbilanciarsi sul contabile perché alla fine pur uno si deve fidare di chi gestisce i numeri ed è stato nominato per quello. Questa posizione è anche abbastanza comoda per il Marketing e Commerciale, alla fine se non si può andare avanti è per colpa del contabile che impedisce qualsiasi nuova spesa, qualsiasi nuova forma di spendere, che solo chiede dei numeri difficilmente connessi solo per poter dire non ha funzionato. La colpa si trasferisce o si cerca di trasferire, i numeri si cominciano ad truccare (nel senso del make-up, non in quello di “tricher”). Passi una parte del tuo tempo a trovare delle formule o delle idee per raggirare l’ostacolo interno che non quelle per ottenere risultati. Ogni piccola battaglia diventa una guerra. Ogni vittoria una grande soddisfazione. Ogni sconfitta una grande delusione. Il contabile rimane come spettatore chiuso nel suo bilancio, non c’è proposizione. Riassunto del contabile, non si avanza, si perde solo tempo di reazione, si crea sfiducia interna, nessuna proposizione positiva. Invece, trovare un controller, un attore del film è molto più duro per il Marketing e Commerciale però molto più soddisfacente. Purtroppo questa seconda parte non è ancora considerata dai manager Marketing e Commerciale, si soffermano di più nella parte primaria. Perché? In qualche forma se uno è un fotografo è un esterno, prende un piano, lo rivela e dopo lo mostra. Essere un attore vuol


dire partecipare dell’azione, è partecipare attivamente, vuol dire per il controller dover partecipare dei perché? Dei come? Dei che? Dei chi delle attività che sono soggetto del film. Perciò vuol dire che deve rompere i ciglioni ai Marketing e Commerciale per capire. Dell’altra parte, per questi ultimi vuol dire sentirsi levati di una parte del suo potere, vuol dire condividere delle scelte che in teoria, in un mondo antico, sarebbero solo ed esclusivamente responsabilità di loro perché di loro è la responsabilità del risultato. Questa corta veduta fa sì che si uno si "enroca" (dai scacchi) in questi posizionamenti ci può essere ancora più tensione che nel caso del contabile. Più tensione perché in questo caso il controller è stato investito di attore e non di mero fotografo, creando più conflitti, da un spettatore è diventato un integrante del film. E vero che spiegare al Top Management è già duro, e che farlo anche al controller diventa una rottura, però non c’è niente di più avanzante per una azienda che un flusso di intercambio di vedute costruttive. E chiaro che non si chiede al controller immobilismo, quello che se li chiede è un contributo a risolvere i problemi esistenti.

Management per navigazione a vista To be done Una delle miglior forme di mandare a puttane l’azienda.

Management per produzione L’arte del Management delle persone non si improvvisa, non è lo stesso managiare una fabbrica o un ente produttivo, che managiare un collettivo di manager. E lo stesso vale all’inverso.


Questo semplice argomento mi serve per dare il giusto valore alle capacità di managiare delle persone nel momento di scegliere un manager di primo livello. Non è sufficiente che il Manager abbia una forte capacità di lavoro o che sia un gran tecnico o che abbia una gran esperienza in un settore di attività o dell’attività. Nei primi livelli aziendali c’è bisogno di managers che abbiano la capacità di manegiare altri manager. Questa dovrebbe essere la qualità fondamentale. Da un Manager di primo livello si dovrebbe esigere la leadership, la capacità di guidare, la capacità di portare, la capacità di estrarre il meglio ed il massimo del team che gestisce. Uno dei esempi più chiari è nella diversa gestione di un team piccolo di manager ma molto amplio di operai come può essere una fabbrica o un ente di produzione, e la gestione di un team essenzialmente di manager e di impiegati, colletti bianchi per capirci. Nella prima deve primare la capacità di portare avanti la organizzazione, con regole molto precise lasciando poco margine a l’iniziativa individuale senno quando questa iniziativa e canalizzata o richiesta, relazioni personali forti per far girare la produzione. Molto rigorosa, molto guidata per i regolamenti e le regole interne. Sicuramente molto complicata da gestire perché deve essere molto disciplinata, i margini di tolleranza devono essere molto piccoli per mantenere numero e qualità de la produzione. C’è poco spazio ai colpi di genio, alle idee che trasformano delle situazione, il contributo personale ad un successo. E più fatto di piccolo contribuzioni che migliorano l’intorno produttivo o la qualità come il metodo Toyota ci insegna, ma tutto e canalizzato. Invece quando si gestisce un team di manager si deve dare libertà al team per creare, per apportare delle idee di cambiamento, di miglioramento. Integrarli nella presa di decisioni e nel flusso d’informazione top down, alla fine tutti abbiamo quasi sempre un capo sopra a non essere che coincidiamo come principale azionista e manager. Integrarli


per allo stesso tempo loro poter motivare i suoi team di manager o impiegati per poter sbloccare situazioni, per apportare nuove idee, per poter far crescere l’azienda. Se l’azienda è strutturata come si deve questi manager che formano il team saranno più giovani e più tecnici nel loro settore che il proprio Manager di primo livello, perciò e fondamentale motivarli a formare parte di un team che darà delle opportunità di crescita e cosi poter avere da loro il massimo impegno. Per questo ci vuole leadership data non delle conoscenze tecniche ma del "savoir faire" con i manager, guidare integrando che non guidare obbedendo. Quando un manager di primo livello deve far ricorso costante ad io decido, voi dovete fare questo, perché non lo avete fatto, si va di questa parte, non tengo perché informare, vi ricordo le categorie professionali e cosa voglio di ogni uno, la voce che si alza, le domande che si fanno più forte, le porte che si sbattono, le risposte secche, il malumore costante, il pugno sul tavolo ci troviamo davanti a quello che io chiamo la sindrome del buco nella parete. Chiamato così, perché in un momento di forte pressione si rischia che uno dia un pugno su una parete per far passare la pressione, ed invece si trovi che ha fatto un buco perché la parete era di cartongesso. E da quel momento non c’è più ritorno indietro, non si po’ più ricuperare la fiducia, non si po’ più supportare le umiliazioni quotidiane o lo stile di management aggressivo. Non c’è più ritorno indietro che quello di trovare una uscita, e questo non ostante questo manager abbia delle capacità tecniche e anche di interrelazioni con i propri manager dello stesso livello eccellenti e fuori del comune. Un stilo di “caserma” che andrebbe perfetto in una fabbrica, ma impossibile per un team di manager, perché questi da un tempo lo hanno abbandonato, si sono solo da tempo adattato a subire, e non hanno contribuito in niente che non quello che li era richiesto senza confronto e senza interesse.


Perciò nei primi livelli è importante la leadership, la capacità di estrarre, di integrare. Nel prossimo capitolo verremo il management per crash test, un esempio di come mantenere la tensione ottenendo il meglio.

Management per crash test Ah, se c’è un metodo di management che apprezzo è il cosi battezzato come crash test. Il nome viene dato delle riunione di middle management con l’amministratore delegato che si tenevano regolarmente ogni venerdì mattina. Situiamoci nel contesto per maggior capire la sostanza. Una affiliata, un amministratore delegato, un primo livello classico (sales, marketing, PR, HR, controller...) e un secondo livello abbastanza esteso di quadri perché l’affiliata gestiva diversi prodotti. A livello di età anche come dovrebbe essere un AD con esperienza sui 45, un primo livello sui 38 e un middle management sui 31. Stilo di management del’AD con il primo livello di completa integrazione, duro ma confrontabile, un po’ lontano, guardando da sopra ma anche disteso. Duro nel corpo a corpo individuale, soffice nelle riunione di consiglio. Infatti ogni venerdì pomeriggio avevamo la riunione di consiglio piuttosto rilassante, piuttosto di colleghi, dopo la tormenta della mattina con il middle management. Passiamo all’azione, ogni venerdì mattina il middle management con presenti la parte operativa del primo livello dovevano fare individualmente il resoconto della settimana, i risultati, gli obbiettivi, le deviazioni... la normale routine di una attività commerciale a non essere per una piccola differenza. La differenza era che si faceva davanti all’amministratore delegato con almeno 14 anni di esperienza di avanzo, che annotava tutti i numeri importanti nel suo quaderno organizzato meglio che un


computer. 14 anni di avanzo sono tanti, perciò non valgono le solite scuse, i soliti problemi, le solite imprecisioni, il solito non sapevo, non c’ero, lo aveva detto un altro. Il middle management doveva conoscere perfettamente i suoi argomenti, le possibile domande, i perché si o perché no, era un esame universitario in tutta regola, ma senza la possibilità di riflettere e senza la possibilità di guardare da nascosto le soluzioni. C’era chi lo viveva più bene che male, per chi era un vero esame, per chi invece era una opportunità di navigare e crescere. Anche noi stessi potevano essere soggetti al crash test in una specie di escalation. Sì, crescere perché si capiva subito chi non conosceva sufficientemente l’argomento, chi lo conosceva ma era incapace di trasmettere tutto quello che sapeva, chi lo conosceva e quello che avendo delle conoscenze generali si permetteva navigare. Navigare fino ad un certo punto, fino a che il capitano voleva, perciò aveva 14 anni in più! La tensione si respirava dal giovedì sera, più di uno non dormiva, ve lo assicuro. Il venerdì mattina come la riunione molte volte era per gruppi, si vedevano le care di rilassamento o di ancora più tensione perché c’era stato il crash proprio. A volte chi poteva ci giocava e si azzardava a dare qualche numero o qualche commento concordato per far vedere la sua “valentia”, il suo potere di essere sopra le parti, qualcuno scherzava con il collega che sempre cercava i numeri nel computer e non li trovava, o quello che traspirava e traspirava o quello che si nascondeva. L’importante è che ogni uno doveva giocare il suo ruolo fra di noi. L’AD doveva essere di ferro, noi non intervenire a non essere per salvare una situazione di affondamento, il middle management aver preparato l’argomento con noi e provare a navigare. Con le regole chiare è stato il miglior assesment quotidiano del middle management per noi, per individuare quelli che veramente potevano ed sono cresciuti. Per il middle management che aveva la


potenzialità crescersi ad ogni crash test e poter crescere professionalmente. Nel pomeriggio i primi minuti servivano per evacuare i risultati del crash test, per valutare non tanto i numeri che lo sarebbero durante la riunione, ma la evoluzione del management, sia personale, come d’integrazione, come da team. Un po’ per valutare il pulso dell’affiliata. Questo metodo basato in regole chiare mi pare quello che ha dato più risultati frutto di una tensione constante, di regole chiare, di risultati, di opportunità di confronto al massimo livello. Una formazione costante della quale nelle aziende di oggi il middle management ne va più mancato. Uno potrebbe dire che non c’è differenza fra questo metodo è quello del management per produzione. Invece c’è n’è, è profondamente diverso. Nel metodo del crash test c’è lo scopo di far crescere il middle management, non di affondare il primo livello. Nel metodo del crash test c’è lo scopo di ottenere il meglio frutto della preparazione, non di ottenere perché si ha chiesto di fare così una cosa. Nel metodo del crash test è più un gioco di roll, non di obbedienza. Nel metodo del crash test s’insegna a non fare errori, ad approfondire gli argomenti, si danno dei indirizzi, non dei “slogans” da eseguire senza un perché.

Management per autonomia La forma di management si acquisisce lungo gli anni, lungo la esperienza di quello che un manager ha vissuto nei suoi diversi stadi della sua carriera. Si va modellando durante il tempo che gestisce teams ogni volta più complessi, più interdisciplinari, fatti di più livelli. Vedo difficile prenderne una da un Manuale di management è dire, adesso applicherò questo metodo di management. Mi sembra più semplice applicare strategie, tattiche o strutture che no


metodi di management sui quali è la prozia persona che lo esercita. Il carattere che uno si è formato durante il tempo ne condizionano lo stile di management, difficilmente uno può separare il modo di essere nel lavoro e fuori, potrà essere affinato, ma non credo che possa essere l’opposto. Se uno è un bonaccione fuori lo sarà nel lavoro, se a uno li piace fare le cose per se stesso fuori lo sarà nel lavoro, se uno è rigido fuori lo sarà nel lavoro, se uno busca sempre amicizie fuori le troverà anche dentro, se uno parla e parla fuori lo farà anche nel lavoro, se uno è chiuso fuori avrà tendenza ad isolarsi nel lavoro, se uno è grigio fuori lo sarà anche nel lavoro, se uno è espansivo fuori lo sarà anche nel lavoro e cosi via. Affinato, ma difficilmente uno potrà essere nel lavoro l’opposto di come è fuori. Questo carattere forgiato durante anni di esperienza nel lavoro ne determinerà il metodo di management. Io mi centro su quello dell’autonomia, fino ad un certo punto. Ma prima parliamo del management per autonomia. Delegare, questa è la parola chiave. Ma come? Questa è la vera domanda, perché tutti parlano di delegare, di lasciare lavorare, di dare tutta la fiducia, ma le più delle volte è più un protettorato che non una autonomia. Perché? Perché lasciare in mano di altri quello sul quale noi siamo responsabili non è nel ADN umano. Qui è tutta la chiave di un bel management per autonomia. La capacità di ingannare la naturalità umana. Chi lascerebbe il suo bambino appena nato a un altro durante qualche giorno senza nessuna preoccupazione? Chi lascia la macchina appena comprata durante un week end a qualcun altro? Chi lascia il suo appartamento per qualche mese a qualcun altro? Chi si addormenta in aeroporto con la valigia senza tenere un occhio aperto? Nessuno, o quasi nessuno. Uno mi dirà che lo fa a qualche familiare, ma non è la risposta. Ed sono convinto che anche così un occhio rimane sempre aperto.


E facile dirlo, difficile applicarlo. Normalmente ci troviamo con i manager che parlano del lavoro in team, sempre quello che ha l’autorità e che è responsabile del team. Normalmente ci troviamo a parlare che si deve delegare e lavorare in autonomia con la piena fiducia, sempre quello che è il responsabile degli altri. Delegare non vuol dire solo dirlo, non vuol dire controllare costantemente, non vuol dire assumersi tutto il protagonismo per se, non vuol dire dare la colpevolezza chi è gestito, non vuol dire decidere senza ascoltare, non vuol dire fare delle riunioni fiumi con il team, non vuol dire avere mille presentazioni, non vuol dire essere sempre presenti in tutte le riunione, non vuol dire dover decidere su tutto… Delegare vuol dire che i collaboratori possono applicare le azioni necessarie per adempire la strategia, vuol dire che possono fare le riunioni necessarie senza la presenza del responsabile, vuol dire che possono decidere, vuol dire che si qualche decisione è sbagliata ne assumerà le conseguenze il responsabile, vuol dire che possono passare giorni senza vedersi con il responsabile, vuol dire che non c’è bisogno di riferire di ogni passo, vuol dire portare risultati frutto del proprio lavoro, vuol dire che non c’è bisogno di meetings fiume solo per stare assieme, vuol dire agire anche senza bisogno di aver riferito primo, ma perché c’è n’era bisogno in quel momento. Per tutto questo vuole non solo avere un responsabile capace d’ingannare la propria natura, ma vuol dire aver esplicitato bene quale è la strategia e quali gli obiettivi. E forse è qua la difficoltà maggiore. Esplicitare dove vogliamo andare, come ci vogliamo andare. Senza queste due basilari affermazioni è impossibile dare autonomia, perché sarà più una anarchia perché ogni uno farebbe quello che lui crederebbe sarebbe il meglio per andare dove lui crederebbe si deve andare e come. Questa è la difficoltà, dire chiaramente dove andiamo e come. Una volta esplicitato questo c’è bisogno di un passo successivo, far imparare ad agire in autonomia ai propri


collaboratori e questi ai suoi. Senno l’ingranaggio rimane a girare non efficientemente come potrebbe. Come? Facendo. Lasciando. Assumendo. Tre parole semplici, ma difficili da seguire. Facciamolo con un esempio: una nuova campagna pubblicitaria. Quante volte davanti all’inizio della creazione di una nuova campagna pubblicitaria vogliamo controllare tutto il processo, essere in tutte le riunioni con l’agenzia e decidere fino al ultimo dettaglio. Niente più sbagliato, perché cosi facendo avanza qualcuno o più di qualcuno: il direttore marketing, il responsabile della pubblicità, chi ha i contatti con l’agenzia… Ci vuole una prima riunione per dare bene il briefing, che sia chiaro cosa si vuole, questa è la fase più importante di qualsiasi creazione, dire chiaramente cosa ci vuole, cosi da non trovarsi alla fine di un processo complesso a qualcosa che non è quello che si voleva. Se tutto funzione ed i collaboratori sono competenti non ci dovrebbe essere bisogno di nessuna più riunione fino al lavoro finito, ne anche passando per i diversi story board o proposte… la campagna definitiva. Perché una campagna non ci deve piacere, deve piacere a chi è indirizzata e ne anche, deve incitare ad acquistare a chi è indirizzata. E per quello non c’è bisogno dell’intervento diretto. E se la campagna non funziona, assumere la responsabilità che forse si è sbagliato nell’analisi di cosa si voleva, di dove si voleva andare e del come. Autonomia non vuole dire impunità. Fino adesso abbiamo visto l’autonomia dal punto di vista del responsabile versus i suoi collaboratori. Quando parliamo d’impunità ci riferiamo all’atteggiamento dei collaboratori versus il responsabile. Dare per avere. Dare autonomia per avere un lavoro più efficiente ed un impegno più importanti. Una volta decisa una strategia, dove si vuole andare e come andarci. Da quel momento non c’è più impunità. Si si va! Non è possibile prendere una decisione e dopo uscire della riunione fare altre cose. L’ingranaggio funziona se l’ingranaggio rimane attaccato ai altri, si si stacca è


impossibile che faccia funzionare il tutto. Perciò Autonomia deve andare fortemente legato a Rigore, a Non Impunità. Tutti dobbiamo agire in funzione di quella decisione e lavorare per raggiungere quello che vogliamo. Quando si lavora così, nei collaboratori si produce un doppio effetto. Da una parte quello motivante che uno si sente veramente facente di qualcosa, che può veramente agire nel suo ambito. Dall’altra l’abbandono. Abbandono perché può darsi che non ci sia una relazione costante con il responsabile, di ogni cinque minuti sentirsi chiamato, controllato, visitato. Questa sensazione nuova di dover assumersi la responsabilità di quanto si sta facendo senza che il responsabile deva intervenire lascia molto soli. Perciò è importante mantenere un inseguimento, lontano e soffice, ma inseguimento. Che il collaboratore sappia che siamo lì. Parlavo di autonomia, però fino a un certo punto. Infatti, da qualche parte ci deve essere la responsabilità del responsabile, se non a che serve, solo a coordinare. No, essendo questa comunque la funzione più determinante che è quella di coordinare le persone i team, c’è la responsabilità intrinseca del suo lavoro. Perciò il “fino a un certo punto”. E chiaro che quando si definisce dove si vuole andare e come andarci c’è la responsabilità del responsabile. E chiaro che quando i collaboratori agiscono per andare e fanno c’è la responsabilità del responsabile. La responsabilità di quando c’è bisogno dire adesso si fa così. Dopo discutere, dopo analizzare assieme, se non c’è una visione comune, se l’analisi non è riuscito a convincere, se le spiegazioni non sono sufficiente, si deve decidere, è li non può decidere altro che il responsabile. Questo è il tributo ad avere autonomia che deve pagare il collaboratore, che se non è stato capace di convincere sul che da fare, deve seguire quanto insegnato dal suo responsabile. E farlo con rigore. E cosi come funziona meglio il team, come diviene più sodato. Provate! è il miglior metodo di management per non mandare a puttane una azienda. Al contrario, controllate


tutto, seguito tutto, andate da per tutto, rompete i ciglioni da per tutto. Cosi non avrete manager motivati e voi stessi non avrete tempo per riflettere dove state andando, come ci state andando. Seguirete solo quello che verrete o peggio, vi vogliono far vedere per tenerti-vi contenti.


4. DIMENTICANDO I BASICS AZIENDALI – PERDERE L’ESENZA

Perdere l’essenza materiale ed immateriale Per essenza materiale parleremo di quello che l’azienda fa, del suo oggetto sociale. Della parte immateriale ci occuperemo dei suoi simboli. Ambedue formano parte dell’essenza di una azienda. Una azienda a un oggetto centrale per il quale è nata. E il successo di quel oggetto che potrà sviluppare posteriormente l’azienda in quel settore o in altri. Ci vogliono anni per avere successo nel settore industriale, ci sono altri settori dove un vantaggio tecnologico può fare che il successo venga velocemente, ma nel mondo tradizionale dell’industria che produce prodotti fisici avere successo vuol dire conquistare il proprio mercato, dopo gli altri, aumentare la gamma di prodotti, innovare, ricercare, creare di nuovo, sorpassare i cicli economici il meglio possibile, diversificarsi se il mercato è saturo e cosi via. Anni e anni di consolidamento e crescita, non che periodi di retrocesso. Quando una azienda è “focused” in quello che ha sempre fatto, in quello che ha formato il suo management, in quello che ha investito in innovazione per anni, difficilmente potrà essere mandata a puttane di un CEO o diversi. Focalizzarsi


significa concentrarsi, concentrare l’attenzione, concentrare le risorse. Perché alla fine è di questo che parliamo, di risorse. Le risorse generate devono essere in parte reinvestite in parte ridistribuite fra i azionisti. Disporre di risorse significa rinforzare l’azienda. I problemi arrivano sempre quando ci si vuole diversificare, e si è buona una diversificazione nel proprio business, verticale, più difficile lo è quando si vuole attaccare altri settori, orizzontale. Alla fine controllare tutta la catena di un settore è un processo logico d’integrazione e di sfruttare al massimo le opportunità di negozio. Se questa integrazione verticale è fatta in questo senso può solo essere benefico per l’azienda. La verticalità, per il proprio modo di essere implica interrelazioni commerciali fra diverse aziende partecipate dallo stesso azionista. Quando queste interrelazioni sono guidate da una mano sola ci troviamo nel caso di due tasche ed un solo pantalone. Alla fine il profitto di uno e la spesa di un altro rimane nello stesso pantalone. Questo funziona se è guidato è se gestito in termini di intercambi di mercato. Solo cosi si possono trovare efficienze. Il processo diviene marcio quando non c’è più una gestione centralizzata del gruppo ed chi è in posizione dominante rispetto all’altro attua per realizzare profitto a discapito di prezzi e livello di servizio di mercato. Quello che succede è che una tasca si riempie meno, l’altra si buca di più ed i pantaloni si accorciano. Quello che succede è che tutto il Gruppo si trasforma in inefficiente, ed il business centrale finanzia tutti gli altri business verticali, quando quello che dovrebbe essere beneficiato è lui, il business centrale. Si produce così un doppio effetto: da una parte un spolpamento di risorse dal business centrale impoverendolo; è dall’altro una inefficienza in quello che fa rispetto ai concorrenti che avoca in una perdita di mercato. A quel punto il circolo è ben partito per andare giù e giù. Perché? Perché ogni volta il prezzo che paga il business centrale è più alto per coprire le inefficienze dei business verticali, lo spolpamento di risorse è superiore, la inefficienza traslatata al business centrale superiore, il


divario con i concorrenti maggiore, le risorse disponibili per focalizzarsi nel business centrale inferiori ed alla fine caos e distruzione. Finendo per vendere tutti i pezzi verticali per incentrarsi nel business centrale. Ma il peggio sta per venire, viene quando uno vuole fare una strategia in forma di croce, verticale ed orizzontale. Le possibilità di finire come la strategia, cioè crocificato sono tante. E la velocità di arrivarci è altissima. Una strategia di diversificazione verticale è già difficile perché vuol dire mettere assieme molti pezzi, il vantaggio è che più o meno il mestiere si conosce. Invece in una strategia orizzontale di diversificazione, di ricerca di nuovi settori è fuori di quello che l’azienda ha fatto per anni. Farlo, vuol dire cambiare completamente il “focus” dell’azienda. Vuol dire che il management si concentrerà su altro, che dedicherà meno tempo a quello che è stato il business che ha permesso questo cambiamento di strategia. Vuol dire che le risorse generate dal business centrale si dedicheranno ad acquisti a risanamenti di altre aziende. Per fare una strategia cosi ambiziosa vuol dire che questa azienda non solo deve essere in una posizione dominante nel suo settore che li permetta non soffrire dei cicli economici o dei nuovi intervenenti nel mercato. Vuol dire generare i profitti illimitati per poter assumere altre aziende ed i colpi di mercato che queste stesse aziende saranno sommerse. Vuol dire avere delle palle di acciaio. Purtroppo una strategia di questo tipo solo può essere in mani di una o due aziende nel Mondo. Voler imitarle il più delle volte vuol dire dover rivendere quello che si ha acquistato, e nel peggior dei casi, sempre c’è il peggior dei casi, vendere il business centrale, in toto o in parte. Come spiegavo prima, il drenaggio di fondi è tanto che fa che per anche poco tempo non si siano dedicati al business


centrale, che ricuperare quello che ha fatto la concorrenza sia irraggiungibile ed in conseguenza si moia. L’essenza materiale è la base di una azienda, consolidarla, farla crescere, espandersi, quello è quello che ha successo. Perché avventurarsi aldilà quando ancora non si è dominante o il pericolo di perdere la posizione dominante è grande? Consolidarsi e crescere e crescere. Ma c’è un'altra essenza, è quella che chiamo immateriale, è quella non legata al prodotto o servizio oggetto dell’azienda, ma quello che la identifica. Sempre ho dato un gran enfasi a questo aspetto immateriale, a quello che i consumatori riconosco di quella azienda aldilà del prodotto, aldilà della comunicazione. Aldilà del prodotto e comunicazione perché questi sono molto legati ai nuovi desideri dei consumatori, lasciatemi dire non molto legati, devono essere assolutamente legati per avere successo. Perciò il prodotto evolve ed il modo di comunicare evolve in funzione dei diversi stili di vita dei consumatori, dei paesi. Invece il logo è quello che l’azienda si porta avanti per anni, è quello che è. E quello che fa di nudo fra azienda e consumatore, è l’essenza immateriale di una azienda. I prodotti cambieranno più o meno velocemente, la comunicazione anche, ed un consumatore di oggi può non ricordarsi di un prodotto di trenta anni fa, quello che ha bisogno è di avere in fronte un prodotto adatto a lui e la conoscenza identificativa di un logo di una marca che li ha trasmesso delle emozioni. Non voglio parlare di Coca cola, di Google, di Microsoft, di Toyota, di… pensate a tante marche alle quale c’è abbinato un logo. Un logo che ne è l’essenza, e che perdura nel tempo, passano gli anni ed il logo è sempre lo stesso, un pò più raffinato, arrotondato, colorato a seconda delle moda, ma essenzialmente lo stesso. Mantenere le radici, i simboli grafici contribuisce meglio che spendere milioni in pubblicità a consolidare i prodotti di quel marchio. Abbandonate il marchio e pian piano i consumatori abbandoneranno i vostri prodotti. Ci sono delle volte che il


prodotto a miglior immagine del marchio. A quel punto uno deve reagire e rinforzare il marchio. Non farlo vuol dire condannare i prodotti. Conformarsi in vendere, non ostante la immagine del marchio difficoltà le vendite e faccia che queste deviano essere più aiutate vuol dire pane per oggi e fame per domani, vuol dire cadere e cadere. Prendete un marchio, dopo fattene un altro per i vostri prodotti, dopo usatene un altro per la vostra rete di vendita, dopo usatene ancora un altro per parte dei vostri prodotti e cosi crearete una tal confusione nel consumatore che vi abbandonerà il prodotto. Il consumatore ha bisogno di certezze e di ricevere emozioni. Per quello le aziende che lavorano per il futuro, lavorano sul marchio, sul logo, quello è sacro, non si modifica ad ogni instante, non si utilizza di qualsiasi maniera. Prendete una azienda che fa quello descritto prima. Non può che perdere e perdere mercato. Ma si può reagire, non è una condanna eterna. E anche facile farlo. Cosa ci vuole? Ci vuole iniziare con una ricerca di cosa si è e cosa si vuole essere come azienda, si definisce quale è l’obbiettivo dell’azienda, cosa si vuole trasmettere nei prossimi decenni, un logo deve durare almeno qualche decennio per integrarsi nell’immaginario della gente. Dopo si cercano diverse soluzione da aziende specialistiche. Una volta si hanno, si procede a testarle sui consumatori obbiettivo dei nostri prodotti. Si analizzano queste ricerche, si fanno le modifiche che ne escono della percezione di loro e si procede alla stesura definitiva del logo. Dopo, come questo è un evento storico per una azienda, è il suo DNA scennificato, si deve procedere a un forte lancio all’interno dell’azienda. Posteriormente all’esterno ed assicurarsi che le norme di utilizzo del logo sono chiare e si procede alla sostituzione palatina del precedente logo da tutte le parti. Non sembra complicato, ne sembra che nessuna azienda possa farlo. Ci vuole solo rigore in quello che si vuole, ascoltare i destinatari, rigore in applicarlo. Be! C’è chi


anche in questo riesce a contribuire ad affondare una azienda. Riunite tutto il management aziendale per l’evento, collegate in videoconferenza tutti i paesi con il loro il management di tutti i paesi del mondo, quelli che è ancora di note, quelli che sta per arrivare il nuovo giorno. Preparate giorni prima tutto il personale per dirli che sta per arrivare un nuovo giorno, un cambiamento storico, un step in più per il successo aziendale. Ditteli che è finita la confusione, che adesso il ADN si raggruppa, che lo abbiamo trovato di nuovo, fatte già lavorare agenzie, architetti per essere pronti per il giorno D l’ora H. Lasciati che arrivi questa ora, create il pathos necessario, tenete guardato il segreto al massimo. Cominciate la riunione con discorsi accessi, forti, è finito il passato, si cambia verso il nuovo, verso il successo! Scoprite il logo! Vi piaccia o no, applaudite, salutate il nuovo nato. Alla fine l’importante non è che vi piaccia, l’importante è che il processo sia stato rigoroso e che sia quello che piacerà ai consumatori. Vi ho messo in atmosfera? Chiudete un attimo gli occhi e pensati a questa cerimonia, più o meno spettacolare nella forma, ma forte di emozione perché si assiste a qualcosa che ci accompagnerà durante anni, e noi siamo stati lì, in quel preciso momento della nascita o rinascita. Chiamate tutti i managers allo scenario perché avvolgano il nuovo logo, perché si facciano vedere da tutti gli altri colleghi nel mondo, per certificare che tutti siamo assieme dietro questa nascita. Finite con altri discorsi accessi, un buon buffet ed al lavoro. Al lavoro a trasmettere ai vostri collaboratori la buona nova. Fatte la piccola cerimonia, descrivete il nuovo logo, cosa vogliamo dire, cosa significa, l’impegno di cambiare velocemente il vecchio… Cominciate a muovere chi deve muoversi nei prossimi giorni per trasformare quello che è nelle vostre competenze. Lasciate passare una settimana è il nuovo logo non si vede ne all’interno ne all’esterno. Cominciano i primi


rumori, forse il logo non è venuto cosi bene, forse non abbiamo analizzato tutte le conseguenze, forse e forse. Affondate il logo e lasciate le cose come prima, con la confusione di loghi. Cosi affonderete la morale e la motivazione dei vostri impiegati, cosi questi capiranno che non sono governati, che sono solo carne di cannone! Cosi distruggete l’azienda. Ma c’è di peggio, ve lo ho già detto all’inizio di questo capitolo. C’è di peggio, perché in questa confusione può esserci chi si inventa ancora un altro logo, e senza tanta cerimonia ne niente, lo fa uscire un giorno per l’altro, e questa volta all’esterno. Non si preoccupa ne anche di spiegare all’interno perché quel meraviglioso logo non c’è più. Fa e basta. Cosi se prima non si era capito niente all’interno, adesso creiamo più confusione all’esterno. Bravi! Non c’è bisogno di concorrenza che ci faccia la vita difficile, c’è la facciamo da soli. Perdete queste essenze, giocatevi, è distruggerete una azienda.

Distrarsi del core business Nefasto! Nefasto! Nefasto! Il Mercato e oggi cosi complesso e cosi competitivo che la minima distrazione ti butta fuori. Oggi una azienda deve essere il massimo di competitiva, deve essere concentrata al massimo sul suo intorno e destinare le sue risorse ad assicurare la crescita futura. Non e possibile rallentare l’investimenti perché il profitto generato si destina ad altre aziende sia di una forma palese o con dei scarichi intragruppo per servizi inefficienti, mascherando la vera efficienza dell’azienda.


Il famoso “non importa, sono tasche diverse, ma i pantaloni sono gli stessi” non vale. Non vale perché cosi facendo si rischia di perdere i pantaloni o che questi sia ogni volta più corti. Perché? Perché in tanti casi, i prezzi di trasferimento sono artificiali e non frutto di un prezzo di mercato. Il prezzo di mercato ti obbliga ad essere efficiente, il prezzo artificiale a vivere holgadamente mettendo a rischio il tuo cliente interno, distraendoli risorse esenziale per la sua crescita. Ogni azienda deve essere efficiente, non si può creare del valore artificiale. Si, si può fare a corto, ma a medio termine la sopravivenza dell’azienda del core business ne soffrirà e sarà condannata. Questo tempo derivererà dalle condizione del Marcato, chiaramente in situazioni espansive questo circolo viziato può rimanere mentre questo ciclo duri, ma cadrà velocemente dal momento che il ciclo si converta in recessivo. La viziosità derivata che le risorse sono andate a far crescere il profitto delle società collegate invece di essere reinvestite in essere più efficienti o creare nuovi prodotti o R&D per assicurare il futuro provoca che l’azienda non sia più pronta per agire, che i tempi per agire si allunghino perché non ci sono nuovi prodotti o sottoprodotti ed il tutto porti al circolo della disfatta, meno vendite, meno risorse per appoggiare le vendite, meno R&D, meno nuovi prodotti, meno vendite, perdite... Ma questa visione economicista non e il peggio. Tante volte in azienda guardiamo gli aspetti economici di risultati, ma spesso non guardiamo il motore di qualsiasi azienda, il suo management. La mia credenza e cecca. Credo ciecamente che un management motivato e capace di far fronte anche ai peggiori momenti e poter uscirne. Credo che le aziende sono fatte di uomini e sono questi quelli che determinano il successo a lungo termine, più che i prodotti che sono condannati a cicli propri o di mercato. L’uomo non soffre nessun ciclo, lui e costante, non dipende del Mercato, non dipende de se stesso (escludiamo le malattie), dipende di una sola cosa: la motivazione! Motivate il management e sarete efficiente a lungo.


Ritorno a dire che non e il peggio. Il peggio e quando la mancanza di trasparenza e la mancanza di definizione strategica l’importano. Quando non si dice chiaramente, dobbiamo adesso aiutare questa azienda o quel altra perché strategicamente ci conviene o perché c’e un disegno chiaro, e si lascia all’interpretazione del management la demotivazione cresce. Il sapersi permanentemente spremuto per ottenere dei risultati mentre altri managers godono del tuo contributo senza un reale apporto favorisce la demotivazione e la “lascita”. Stiamo parlando dei casi dove palesemente le aziende non core non sono efficienti o non forniscono i servizi alla azienda core in condizioni di Mercato. Il caso contrario, cioè che le aziende non core lavorassero a prezzi di mercati o in termini di efficienza di Mercato, non potrebbe essere che un aiuto e portante di un effetto moltiplicatore nella motivazione perché i risultati non potrebbero che essere positivi e la tua responsabilità aumenterebbe perché saresti cosciente che il resto di aziende lavorano per metterti nelle migliori condizioni possibili per aver successo. E li saresti tu il determinante per il resto di aziende del tuo e del loro successo, il circolo virtuoso. Pero qui parliamo di quello che si deve fare per mandare a puttane l’azienda. Creare tutto questa matrice di aziende controllate e positivo, controllare tutto il business generato intorno ad un prodotto e positivo, estrarne il massimo e non lasciare ad altri approfittare del tuo prodotto e positivo. Quello che e negativo e farlo senza il giusto controllo delle condizioni nelle quale i servizi o sottoprodotti sono offerti. Quello che e negativo e non compartire con il management operativo la strategia aziendale per la quale si agisce in una forma o un altra. Nelle grandi organizzazioni questo controllo possibilità di nascondere o “maquillare” immense. Se non esiste un comitato indipendente di controllo della efficienza di

e difficile, le i dati sono o direzione ogni società


controllata il rischio e che ogni uno tende a guadagnare il massimo sulle spalle dell’altro, generandosi solo un beneficio fittizio in certe società a corto, ma che fa solo che queste aziende ora profittevoli si trasformino in inefficienti perché hanno perso il confronto con il mercato, e nel momento che qualcuno si sveglierà e chiederà dei servizi di mercato il trauma sarà cosi forte da non recuperarsene. Il denaro facile e una tentazione troppo grande all’interno delle grandi società, applicare dei prezzi di trasferimenti per sottoprodotti o servizi più elevati o meno efficienti che quelli di mercato ad altre direzioni crea solo delle inefficienze all’interno della direzione generatrice perché si addormenta ed in quella che li riceve perché la sua difficoltà per trasformare questi sottoprodotti e servizi in prodotti adatti al Mercato e maggiore, più difficoltosa la commercializzazione, più difficile ottenere risultati, a volte dover generare dei costi supplementari per commercializzarli tramite promozioni, comunicazioni superiore a quelle che avrebbero essere necessarie per introdurre il prodotto. E solo una generazione di inefficienze. Nei ultimi anni ci preoccupiamo tanto tanto del “XXXXXXXXXXXXXXXXXX”, del controllo del sistema contabile della società e del controllo etico del management, ma oggi non esiste nelle grande aziende una direzione che valuti questi prezzi di trasferimento o non lascerò di dare importanza alla efficienza dei servizi offerti. Non sto parlando dei prezzi fra matrice ed affiliate che ben controlla la Direzione Finanziaria, o del controllo fra aziende del gruppo che la Direzione Finanziaria gestisce. Mi riferisco a che la Direzione Finanziaria non analizza che questi prezzi siano effettivamente di Mercato o quelli più convenienti all’azienda perché c’e una strategia. La Direzione Finanziaria non analizza che siano efficienti i servizi pagati, non analizza che si lavori efficientemente. Non lo fa ne anche la direzioni acquisti normalmente più orientata all’acquisto di prodotto che di servizi dove e più difficile valutarne la efficienza o il prezzo. La direzione acquisti e normalmente più orientata sul prezzo che non sul servizio.


Tante volte questi contratti intraGruppo sfuggono proprio alla negoziazione degli acuisti, concentrati nel prodotto in se e non con i servizi o sottoprodotti generati dal proprio prodotto. Si lascia alla lotta di potere interna fra Top Managers a provare ad ottenere il meglio o il meno peggio, ma frutto di una relazione di potere, che non di una azione comune per essere tutti più efficienti. Mascherare l’efficienza e troppo facile perché non ci sia un vero organo di controllo. Utilizzare le indagini per mostrare una efficienza o un altra e cosi facile che ci deve essere una interpretazione obbiettiva. Disporre di un organo di controllo della efficienza di questi prodotti o servizi deve aggiungere valore all’azionista. La sindrome della D. La chiamo cosi perché

Non agire velocemente e fortemente In un mercato globale, con multipli competitori e con cambiamenti constanti delle abitudini e gusti dei consumatori non c’è niente di migliore per affondare un’azienda che l’immobilismo. Oggi, ci vuole agire velocemente e fortemente. Non si può esplorare il risultato con un’azione intermedia per stare a vedere se e efficiente o non. Un solo colpo e forte. Come tutte le cose di senso comune dovrebbe essere facile agire su questo principio. Come tutte le cose di senso comune sappiamo che sono quelle che non rispettiamo mai. Sono così evidenti, così facili da fare, così semplice… che dobbiamo trovare un'altra cosa più nascosta, più complicata da fare e più complessa di esercitare. Solo così ci sentiamo al sicuro della sconfitta nel caso ci sia. Sempre potremo dire che avevamo agito della forma più complessa e più analitica possibile, che a quel punto o è la sfortuna o il


mercato. Come si la fortuna ed il mercato fossero dei soggetti! Nelle grande aziende questo è il gioco migliore del middle management senno viene correttamente stimolato. Infatti la mia massima preoccupazione sempre è stato far agire, con il conseguente rifiuto da parte del resto del management. Ma una ed una altra volta ho reagito, con il conseguente rifiuto conseguente. Sembra veramente contraddittorio ma è cosi. Il management ha una forte avversione al rischio. Il management preferisce andare per strade già percorse che non provarne delle nuove. Nelle ricerche siano già da head hunters o nei annunci dei giornali, verremo sempre le parole: cerchiamo un manager con spirito d’innovazione, creativo, con delle nuove idee…bla, bla… Alla fine chi ha successo è il manager lugubre e grigio che farà sempre le stesse cose. Si vuole cercare nuove strade, ma siamo contenti con quelle che abbiamo. E curioso che questa caratteristica si trova principalmente nel middle management, non nel livello del CEO. Il CEO che ha successo è quello che riesce a trasformare questo immobilismo naturale in una potente macchina di guerra. Il CEO che riesce far fare al middle management o primo e secondo livello delle cose, velocemente e fortemente. Li possiamo veramente discernere fra un CEO brillante ed un CEO per caso. Non è proprio facile far cambiare la gente, non è facile farli uscire dal guscio. Ma sono i CEO brillanti che avranno successo quelli che fanno seguire alle sue strategie l’azione del primo e secondo livello. Infatti sono loro chi muovono le truppe e fanno avanzare una azienda. Collocate dei CEO molli, dei CEO di troppo consenso, dei CEO che s’implichino poco nel quotidiano, dei CEO di ufficio, dei CEO di concetto e vi troverete con una azienda in fase di resezione. Collocate dei CEO con delle palle, dei CEO aggressivi, dei CEO che in più della strategia siano nel campo accanto le


truppe, dei CEO con autorità, dei CEO che facciano fare e puniscano chi non fa vi troverete con una azienda pronta alla sfida del Mercato. Perché ho fatto questo passo sul CEO? LO ho fatto perché per agire velocemente e fortemente c’è bisogno di una guida che lo favorisca contro il buon costume di non agire e/o tappare i risultati. Perché il non agire è fratello del occultare i risultati, del maquillage i risultati. Si possono vedere mese a mese perdere fatturato e l’unica cosa che si fa e intervenire sul occultamento o sul maquillage tagliando delle riserve per il futuro, dei investimenti per il futuro, occultandosi su effetti di mercati, su giuntura sfavorevole, su scioperi da una parte o un'altra, ma non agendo sul fondo del problema, sul front del problema: perché non si fattura di più. E cosi facile maquillage che perché abbordare le difficoltà di trovare delle soluzioni nuove, da affrontare nuove strade. Solo si deve dare un sguardo a dei settori cosi veloci nei cambiamenti come nell’automobile o la distribuzione per rendersi conto che non c’è praticamente trasferimento di management. In quasi nessun settore c’è trasferimento di management. Si preferisce continuare con le cose che si fanno sempre. Ho assistito a delle esperienze di trasferimento di management e devo anche riconoscere che nessuna a finito in esito. Per tanto perché difendere questa causa? Perché l’esito o il fracasso vanno analizzati. In alcuni casi le cause sono da trovare nel proprio manager che pensava che in solo trapiantare delle tecniche di un altro settore era sufficiente per augurare il suo successo. Una volta a uno di questi manager li abbiamo dato tre mesi, nella sua prima riunione aveva promesso di tagliare i lead time da due mesi a quindici giorni in tre mesi, perché da dove veniva era cosi, peccato che dal settore che veniva si trattava di un solo prodotto industriale e non di una complessa gamma di prodotti commerciali, alla fine ne duro quattro di mesi! In altre è stato la mancanza di tempo per poter produrre


qualcosa. Si, perché nei casi di trasferimento di settore c’è bisogno di dare tempo al manager perché capisca questo nuovo settore e non intenti trapiantare, ma dalla esperienza anteriore proporre nuove strategie. E li la chiave. Il prendere le esperienze dell’altro settore e proporne di nuove nel nuovo settore. Solo così si può avere successo. E questo vale da posizioni di CEO come a posizione di primo o secondo livello. Sembra più facile la integrazione in settori aziendali molto tecnici o specializzati, ma anche lì ci vuole la onestà di voler capire la nuova industria e innovare. Ho fatto un percorso sui CEO, un altro sui cambiamenti di settore in un capitolo che parla di agire velocemente e fortemente. E sono proprio condizionanti per agire, da una parte perché ci deve essere un ambiente creato dal CEO per agire e d’un'altra per le caratteristiche intrinseche di ogni manager che favoriscono o impediscono agire. Semplificate la informazione, nella informazione c’è il miglior amico della in natività perché la informazione permette spiegare tutte le cose dal angolo che si preferisce. Semplificate le strutture, nelle strutture complesse si arenano le decisioni. Semplificate gli obbiettivi, nei multipli obbiettivi c’è la scusa per agire su uno e non su un altro. Semplificate la esigenza di presentazioni per prendere una decisione, nelle presentazioni multipli c’è la scusa per essere sempre in progess o in draft e mai in esecuzione. Create un intorno semplice, o lean se lo volete chiamare cosi, ma lean da vero ed avrete una azienda che agirà velocemente, che muterà per anticipare il Mercato, cosi sarà vincente e non perdente. Esigete centinaia di dati prima di prendere una decisione, chiedete che tutti in azienda siano d’accordo su quella azione a fare, create una struttura di decine di primi livelli, fate correre tutti in tutte le direzioni con decine d’obbiettivi, fatte e fatte riunioni per presentare e per decidere, cosi manderete a puttane l’azienda.


Local vs Worldwide Questa è una delle prime elezioni che deve fare una azienda, essere, dirigersi ad un mercato locale o a un mercato mondiale. Se si decide per un mercato locale dovrà avere atteggiamenti locali, se invece la scelta è per un mercato sopranazionale dovrà comportarsi diversamente e dovrà adottare strategie adatte. Mischiare le due solo può portare a disastri. Agire su un mercato mondiale con atteggiamenti locali e, viceversa, agire in un mercato locale con atteggiamenti di voler prendere il mondo solo conduce al disastro. Ma cosa vuol dire prendere questi due atteggiamenti? In cosa si caratterizza un atteggiamento locale versus un atteggiamento worldwide? Basicamente nel modo di comportarsi verso i clienti e in come si struttura l’azienda. Prendiamo prima in come si presenta al cliente. Alla fine è la risposta del cliente con l’acquisto del bene o del servizio che da ragione o no ad una azienda. Presentarsi localmente vuol dire concentrarsi nel buono e nel cattivo di una comunità. Vuol dire dare a quella comunità quello che vuole e come vuole che se lo dia. Alla fine uno può dire che anche per agire worldwide si deve agire della stessa forma perché alla fine è una regola di mercato dare al cliente quello che vuole. Pero la differenza è specialmente il come. Uno tende a pensare che quando più piccola è la realtà o il gruppo di clienti più semplici sarà comunicare. Questo è vero se uno può comunicare solo localmente, senza dover andar a pescare valori più universali. Facciamo un esempio pratico. Dopo più di dieci anni sono tornato nella mia comunità, nel mio paese. Ho acceso la televisione. Ho visto le stesse facce che danno le notizie, ho visto le stesse facce che danno la meteo, ho visto gli stessi attori che fanno le telenovele, ho


visto gli stessi personaggi popolari, ho visto la stessa forma di fare, ho visto che i soggetti di dibattito sono gli stessi. Vero, tutti dieci anni più vecchi! Ci ho riflettuto un po’, lo ho trasportato al paese dove vivevo fino adesso, ed ho visto che la realtà era la stessa. Le stesse facce in televisione, le stesse telenovele, le stesse forme da fare, le stesse forme da condursi, gli stessi temi. Vero, ma chiaramente diversi a quelli dell’altro paese. Da questo confronto, non confronto, mi sorge questa riflessione sul local vs worldwide. Per attaccare questo mercato e quell’altro si siamo una azienda locale dovremo enfatizzare quella forma di fare, quei argomenti che sono contestuali a quel mercato, andare con argomenti universali sarebbe una choqueria che non avrebbe risposta perché non sarebbe riconosciuta l’azienda come portatrice di questi valori. Da li il forte consiglio ad una azienda di definire bene quale è il suo ambito ed agire in accordo con questo ambito. Se è locale, dare i temi locali: tette e culi in Italia, toreros e folcloriche in Spagna, umore chovinista in Francia, british spirit in Uk, chucrut e carnevale e birra in Germania. Sarà semplicista? No, puto marketing! E riduttivo e superato? No, pura logica. Il problema di non riconoscere questa semplicità che è nell’origine del marketing, di targetizzare, in questo caso un paese, ed offrirli come vuole quel prodotto è pura logica di Mercato. Ma non riconosciamo queste logiche perché si mischia il fatto di voler essere universali, di pensare che ci dobbiamo comportare più worldwide, che dobbiamo costruire delle campagne più belle, più universali, che non possiamo essere “trash”, se per trash intendiamo quello che vediamo tutti i giorni in televisione o nella stampa o nei dibattiti sociali. In qualche forma ci voliamo redimere di quel peccato di essere cosi locali. Sbagliato. Come sbagliato è il caso di una multinazionale agire con atteggiamenti locali. L’effetto è devastante. Voler in qualche forma imporre una visione del come comunicare a comunità cosi differenti come ci sono in Europa o nel Mondo se vogliamo stendere il nostro ambito geografico sono


demenziali. Se siamo una azienda che vuole vendere al Mondo dobbiamo trovare dei valori universali sui quali tutti i cittadini si possono ritrovare sopra della quotidianità del paese. Coca cola, Nike, Benetton, ma anche Barilla possono essere esempi di aziende con un unico prodotto, ma che nella sua comunicazione hanno cercato dei valori trasversali per parlare a tutti. Quando mi riferisco a valori universali mi riferisco indistintamente a valori intrinseci del prodotto è che sono origine proprio del prodotto, non esclusivamente al termine valore come idea universale. Il problema è che a volte una azienda non sa cosa vuole, non trova questo valore universale o pensa che è troppo semplice, come era prima nel caso di una azienda per un mercato locale. A quel punto comincia a complicarsi la vita e andare su due direzioni. La prima, realizzando campagne per il loro mercato interno che dopo saranno lanciate nei altri paesi e la conseguenza sono un successo interno ed un disastro esterno. La seconda, meno male, quando si verifica questo insuccesso esterno, per legge del pendolo, si vanno a fare delle campagne paese per paese portando ad un indubitabile successo in ogni paese. A quel punto uno si dice che questa è la opzione dal punto di vista marketing migliore. Vero, relativamente vero. Relativamente perché la domanda dopo si pone in termini economici. Si può sostenere un investimento cosi frammentato? La risposta sicuramente è No. Domanda successiva: a quel punto non sarebbe più efficiente comportarsi come nel punto di sendo una azienda che si rivolge al Mondo trovare dei valori universali? La risposta è indubitabilmente sì. Dopo ci sono le derive che quello che ha fatto un paese diventi universale o momentaneamente universale, niente di peggio e di più distruttivo. Così ci troviamo con strizzacervelli che analizzano polli che diventano universali e solo fanno che danneggiare la immagine di un Marchio, solo perché fa sorridere a qualcuno. O quando la lotta contro il brutto diventa universale ed incomprensibile per i distinti popoli. O quando la italianità o la essenza di un paese si pensa che sono ben ricevute dalle altre comunità


perché il nazionalismo non esiste, perché il senso di appartenenza non esiste. Sbagliato, il nostro cervello elabora sempre gli impulsi negativi in primis di quelli positivi. Conclusione, pane et circus. Non mischiamo mai quello che a noi ci piacerebbe con quello che piace al nostro target o pubblico. Se siamo locali, a fondo ad esplotare le “faiblesse” del nostro paese. Se siamo globali agiamo con messaggi globali. Altrimenti manderemo l’azienda a puttane. All’inizio parlavo di due fronti, quello di come comunicare è quello della organizzazione interna. Il primo è stato chiarito, passiamo al secondo, anche molto brevemente. L’organizzazione interna si deve adattare ugualmente al tipo di comportamento che come azienda vogliamo seguire. Se vogliamo essere locali, non andiamo a cercare managers con proiezione worldwide, sarebbe solo una perdita di soldi e di efficacia, perché questi managers avrebbero la tentazione di agire come worldwide invece di essere efficienti e di agire localmente. Se vogliamo essere worldwide dobbiamo avere una struttura aziendale che incorpori dei managers worlwide, dal contrario saremo tentati a credere che i nostri messaggi locali devono essere ricevuti dai altri paesi con la stessa naturalità. Semplice, no? No! O si? Il problema sono le derive, as usual. Con lo semplice che sarebbe o bianco o nero o rosso o blu o giallo. No, dobbiamo sempre andare sul grigio o sul verde, o sull’arancione, o su qualsiasi combinazione fuori dai colori primari. Prendete la volontà di rinnovare una azienda che vuole diventare mondiale, rinnovate il management e cercatelo con esperienza e proiezione worldwide e avrete avuto successo. Ma a questo punto quale è la deriva, se sembra tutto logico. La deriva si produce quando a quel punto di rinnovamento lo fate agire localmente, lo incorsetate, lo obbligate ad agire localmente. Distruggerete non solo la Marca, ma anche distruggerete il management. Così accelererete la distruzione dell’azienda.


Seconda conclusione, ad ogni strategia semplice il management che li corrisponde. Niente esperimenti inutili, no funzionano!

Perdere l’ambizioni degli obbiettivi

To be done

Spendacciona Le grande aziende sono per la loro natura delle grandi entità di spesa. Spesa per il bisogno di materia prima, d’approvvigionamenti, di manifattura, di personale, di risorse… di spese in Marketing e Commerciale. Marketing e commerciale, li si che entriamo in “una grande entità di spesa”. Anche se le due sonno molto legate, lasciamo per un momento fuori del dibattito quelle commerciale che intendiamo più direttamente allocate ad un prodotto od a un distributore per poter migliorare i risultati del prodotto o dell’azienda o l’immagine, infine l’obbiettivo prefissato dall’azienda. Vorrei parlare di quelle di Marketing, montagne di soldi a disposizione dei uomini di Marketing. Montagne piene di gallerie, gallerie sulle quale è difficile guidare per mancanza di luce. Proprio per la entità della Montagna e per la quantità di gallerie un controllo responsabile di queste spese merita una attenzione particolare. Queste spese


possono rappresentare anche il 5% del fatturato o più dipendendo del settore. Definiamo prima queste spese e dopo accenneremmo al loro controllo, chi deve farlo, come deve farlo. Se la natura delle spese è chiara, non lo e tanto la sua gestione. Parliamo di pubblicità, parliamo di acquisto di spazzi, parliamo di acquisto di materiale promozionale, di acquisto di creatività, di sponsorizzazioni, di eventi, di pubbliche relazioni, di marketing diretto o relazionale… Un mondo di spesa abbastanza eterogeneo come per non far indirizzare i cappelli. Tutte queste spese tante volte sono difficili di valutare correttamente, anche con la collaborazioni della direzioni di acquisti più efficiente, è sempre difficile di valutare la qualità di una idea, la qualità di una produzione, la qualità di un evento, i risultati di una sponsorizzazione. E per “aiutare” ci sono sia i Managers del Marketing come le agenzie come l’intorno che ha a che fare con la creazione. Un aiutare virgolettato perché c’è la tendenza a mantenere certi livelli di spesa, quando andando su una produzione si capisce bene che dei sforzi nei costi si potrebbero fare, tutto sia per far andare l’economia. Le spese sui media posiamo dire che sono quelle più controllabili grazie a le centrali di acquisto, mantenendo queste in gare si può sempre trovare qualche euro da risparmiare a livello di commissioni, altra cosa è nel proprio acquisto dei mezzi. Si da una parte gli acquisti di media tradizionali sono assai regolamentati come in Francia, in altri mercati regna la trattativa one to one, è li dove ci possono essere le aree di risparmio o di acquisto migliore. Da un'altra parte queste centrali di acquisto quanto più regolamentato è l’acquisto e meno margini si ha, tendono ad offrire dei media non tradizionali dove poter ricuperare dei guadagni. E li dove entra la professionalità del Manager, saper scegliere fra le proposte, valutarle bene i costi, saper confrontarle, saper trovare lo strumento per valutarne l’efficacia, saper discutere direttamente anche con la presenza della centrale media per poter ottenere il miglior


prezzo. Ma anche nel caso di acquisto di media tradizionali il Manager ha una importante parte per fare una gestione il più economica possibile, questa parte si chiama pianificazione. Pianificare con tempo significa risparmio, costa di più cambiare una campagna nell’ultimo minuto, trovare spazi quando non è pianificato, costa di più in relazioni con i Media, quanta miglior relazione si stabilisce fra un Manager, la centrale di acquisto e il Media, più facile sarà stabilire delle negoziazioni soddisfacenti per tutti, ogni uno potrà contare sull’altro. Perciò pianificare deve essere l’obbiettivo principale del Manager del Marketing, incluso prima dell’obbiettivo di acquistare bene. Il secondo, stabilire gli elementi di pre-test e post test della efficienza dei Media, non solo in termini di risultati per i prodotti o immagine dell’azienda, ma in termini di risultati stessi della campagna. Oggi ci sono disponibili tutti i numeri che si vuole in termini di GRP, in termini di penetrazione, in termini di target, in termini di costo definitivo. Non è concepibile non fare questo lavoro sistematicamente, ed invece si presta poca attenzione. Si preferisce considerare la pubblicità come una spesa, che non investimento, più considerare quel 50% che l’altro. Invece, una gestione accurata di questi aspetti di investimenti può differenziarci del successo al’insuccesso. Spendere il giusto, dove è più effettivo è sempre un eccellente risultato. Invece, ci limitiamo vagamente a dire questa campagna ha funzionato o no. Perché? Beh, perché più o meno abbiamo venduto di più! Ma era grazie al mix di Media utilizzati? Era grazie alla promozione inclusa? Era grazie al prezzo? Era che eravamo in una posizione competitiva predominante? Era grazie a che? Sono convinto che il Top Management dedica poco spazio ad analizzare i perché? Analizza solo dei numeri di prodotto, ma non presta la sufficiente attenzione a la parte più importante di qualcosa come il 5% o più del fatturato che può rappresentare le spese di Marketing! Le spese in creatività rappresentano una parte piccola di questo 5% però significativa, anche li i fee possono essere controllati tramite la messa in concorrenza di differente agenzie e anche i costi di produzioni tramite produzioni e dopo sottomessi a “cuttcontrollers” professionisti. Però c’è


anche li spazio per la bravura di un Manager del Marketing, pianificare in tempo la produzione costa di meno che farlo all’ultimo momento dovendo spendere nell’urgenza, pianificare il futuro utilizzo di questa produzione girando già adattamenti per le future promozioni costa di meno, trovare un filo che costruisca awarness nel tempo è ancora meglio. Obbietta ma sulle quali ci troviamo confrontanti giorno a giorno e sempre all’ultimo momento, non solo nella televisione, ma la radio, anche la stampa. In questo momento del dibattito esce la coordinazione necessaria fra Marketing e Commerciale, ma questo lo lascerò per un capitolo specifico, è troppo importante per mandare a puttane una azienda. Le spese in pubbliche relazioni in sponsorizzazioni in eventi sono quelle di più difficile controllo, ma anche lì ci vuole entrare nei dettagli, e quello lo può fare solo chi ci lavora, non può farlo la miglior direzione acquisti se non è specializzata in questo tipo di prodotti. Non si può fare una negoziazione con una agenzia come se fossi l’acquisto di una fornitura. Non si può fare essenzialmente perché nel secondo caso il prodotto e fisico e risponde a un capitolato ed ogni fornitori offre lo stesso prodotto; invece, nel primo caso non esiste lo stesso prodotto o si esistesse sarebbe così impegnativo realizzare il capitolato tecnico che non sarebbero prodotti sui quali si cerca la originalità, ma preconfezionati da acquistare in un supermercato. Le tecniche di trattativa portano a una negoziazione la ribasso di quello richiesto, uno ha chiesto un gran spettacolo, e pian piano si ritrova che non c’è più quello, ne quell’altro o e meno sostanzioso o così via, dovendo dopo ripianare in fase di esecuzione, e sicuramente li qualche risparmio se ne va, perché non c’è stata più trattativa. Questa relazione fra spese di Marketing ed Acquisti vuole di buona volontà fra le parti, tirare il prezzo per tirare il prezzo in questo tipo di spese non è la miglior forma di risparmiare. Dopo misurarle è un'altra complessità ma si deve fare, anche solo in termini di immagine riscontrata, come valutare una Convention? Come valutare il risultato di una sponsorizzazione? Di un evento? Se uno si esprime un po’ il cervello ne trova, è importante farlo di una forma statistica


per posteriormente poter vedere l’evoluzione o correggere le azioni, è vi assicuro Le spese in Marketing relazionale sono più facili da controllare, alla fine parliamo di postalizzazione, di produzione di materiale, di creatività sul materiale. Forse in questa ultima resede la difficoltà più importante per una miglior gestione, quanto vale? Anche lì il miglior metodo è mettere in concorrenza sempre le agenzie. Ho parlato speso di mettere in concorrenza le agenzie, quando in una latro capitolo parlo del bisogno di stabilire dei alaci stabili. Una cosa non impedisce l’altra, mettere in concorrenza l’agenzia vuol dire farlo guardando al mercato senza bisogno di pitch, vuol dire controllare le spese dei suoi fornitori, vuol dire che dopo qualche anno si può mettere in pitch il budget o l’azione e cosi via. Non è un lavoro facile, come non è facile evitare la tendenza a non avere i migliori professionisti per una questione di costi. Quello che non raccomando è sacrificare avere i migliori professionisti o le migliori agenzie, solo perché le cose si possono fare in casa a costi minori. I costi forse si saranno minori i risultati no. Oggi ci vuole professionalità, avere dei mezzi a disposizione per produrre o per acquistare che non si possono avere in casa. Non possiamo cadere nel sindrome del cugino sottoscala. Per questo sindrome entendo che qualsiasi lavoro di creatività o di impaginazione o di produzione può essere fatto con qualsiasi medio. Purtroppo i risultati dopo sono evidenti, considerando che la pubblicità deve vendere un prodotto, ma rafforzare la sua immagine e quello dell’azienda, è meglio fare meno però meglio. Spendere per spendere non è buono, tal volte i risultati migliori si ottengono utilizzando mezzi alternativi, targetizando al massimo i prodotti e perciò i media usati, facendo poche uscite ma con del materiale molto impattante, utilizzando bene i testimonial o le sponsorizzazioni molto mirate, non fare di tutto e non importa dove, queste tendenze a fare e fare per fare perché cosi facendo si ottengono più risultati, niente più lontano


della realtà, solo una dispersione di risorse. Ma come dopo in azienda nessuno ne analizza i risultati di una forma professionale, e per professionale intendo statistica ed obbiettiva, non importa per niente. A questo punto siamo arrivati al controllo, vista la complessità della spesa, la durata nel tempo, la quantità di piccola spesa, non è facile il suo controllo. Normalmente la Direzione Finanziaria si limita a consuntivare da parte di quella Marketing che si sente controllata. Un 5% di spesa può fare la differenza nei risultati quello che il Manager del Marketing dice. Considero che vista la importanza delle spese si dovrebbe chiedere di più alla Direzione Finanziaria, ma anche maggior consapevolezza commerciali, ma specialmente nel profitto di una azienda. Consuntivare solo è molto poco… Ci sono molti argomenti da esplodere sul Marketing, fino a cui ho voluto inserirlo come parte fondamentale da controllare o non controllare per mandare a puttane una azienda, sicuramente un Manualetto tutto suo al Marketing lo merita.

Diverse culture/paese Questo e un argomento più di riflessione che non veramente di una causa che provoca l’effetto di distruggere una azienda. Ci sono esempi di tutti i tipi che possono portare a difendere l’opzione di mantenere un management strettamente nazionale, come quella di un management completamente internazionale o addirittura un mix di Headquarter nazionale con una saggia combinazione di management locale nelle affiliate. Personalmente credo nei vantaggi internazionalizzazione delle aziende. Non

di mi

una piace


particolarmente il calcio, ma la ispirazione può venire di questo esempio nel quale c’e bisogno di almeno 11 persone che giochino ogni uno almeno a un certo livello, che abbiano anche qualche altro aspettando ad uscire che metta la pressione. Non e una azienda, ma può essere facilmente una struttura manageriale di azienda: c’e il leader, c’e chi ha una missione offensiva, altri difensiva, altri specifiche... Oggi non esiste un equipe fatto solo da giocatori nazionali, i club cercano al loro livello di disponibilità i migliori giocatori per le migliori posizioni. Nel caso aziendale c’e un vantaggio aggiuntivo nella internazionalizzazione del management, che e che l’azienda non gioca solo nella sua nazione, ma che gioca in altre nazioni. Conoscere le diverse culture e fondamentale, s’impara, non e facile farlo ci vuole tanta televisione e tanta lettura di quotidiani. Riprenderò dopo la mia tecnica. Si pensa che in tutti i paesi si possono applicare gli stessi principi, le stesse pratiche, gli stessi prodotti, le stesse comunicazioni. Sbagliato, non dico che devono essere radicalmente distinte o che e sempre cosi. Quello che voglio significare e che si deve considerare la diversa identità prima di intraprendere una azione decisa a miglia di chilometri. Non solo nel momento di prendere decisioni sui prodotti, sulle azioni commerciale, ma anche in quello della gestione delle risorse umane. Uno dei episodi più buffi ed al quale ho avuto più difficoltà ad adattarmi e quello francese di salutarsi dandosi la mano dal momento che uno si incontra per la prima volta e quello quando se ne Va. Le mie abitudini di lavoro sono cominciare molto presto, quando ancora non e arrivato quasi nessuno e andarmene non molto tardi. Considero inutile prorogare artificialmente la giornata di lavoro. Ho rischiato il primo conflitto di risorse umane quando ho cominciato ad arrivare e non salutare dando la mano a nessuno, ma limitandomi ad un ciao da lontano e cosi via, anche nel momento della partenza salutare. Ho dovuto dopo qualche giorno e dopo un colloquio con il mio carissimo capo che anche lui era sorpreso della mia attitudine modificare la condotta e


salutare tutti con la mano per evitare un ammutinamento, entrando nei uffici, facendo il giro dei tavoli, o lasciare che entrassero nel mio ufficio a salutarmi. Tutto perché non c’era un conoscimento culturale specifico delle relazioni interpersonali in Francia. Devo dire che non mi sono mai adattato perché quella interruzioni di qualcuno che entra mentre sei concentrato su altro fa solo distruggere efficacia, ma e cosi. Questo esempio buffo, di conoscenze culturale, e una indicazione che non tutti gli dintorni o mercati sono uguali, ci sono dei comportamenti dei consumatore che se non conosciuti possono portare a non essere efficaci. Non parlo solo dei diversi regolamenti che possono condizionare un prodotto, una azione o una campagna di comunicazione, parlo del comportamento generale di una società, di un target. Sembra facile, basta saperlo ed e anche di comune senso che non tutti siamo uguali. I Managers siamo abbastanza abituati a viaggiare o ad incontrare altri managers di altri paesi e vediamo che non siamo uguali culturalmente. Non ostante queste ovvietà niente più facile di sentirsi in potere che quello deciso in generale va bene per tutti. E in quel momento che questa perdita di senso per il particolare, di lavorare solo sul generico e più pericoloso per l’azienda facendo solo che distruggere valore. Come? Non solo con la perdita di efficacia dei messaggi o dei prodotti, non solo con la demotivazione del management locale, non solo con la perdita di risultati, ma anche con la distruzione propria di valore. Quante volte si sono fatti dei spot per la televisioni con costi mostruosi e che dopo non sono potuto andare in onda perché inadattatti al mercato o alle regole di quel mercato. Uno può pensare che a questi livelli di management non si può essere cosi stupido. Dicono che alla stupidita non c’e limite.


Purtroppo questo meccanismo di tenere in conto tutte le realtà nel momento che si costruisce qualcosa non e naturale. E difficile di insegnarlo e solo si acquisisce avendo vissuto in diverse realtà culturali che uno può attisbare ad avere un certo automatismo di chiedersi: ma questo funzionerà anche li? Ma sarà facile adattarlo? Ma possiamo farlo diverso, completarlo? Possiamo dare altre possibilità? Vi assicuro non e facile ed avere questa capacita di pensare a che quello che stai facendo deve poter essere il più efficiente possibile e qualcosa di raro. Vi parlavo della televisione e della lettura dei quotidiani per avere qualche dritta di come sono i consumatori di un paese. Il commento di una manager con più esperienza di me mi disse all’inizio della mia carriera che lei per imparare sulla pubblicità quello che faceva all’arrivare in albergo ed era sintonizzarsi sugli spot. Faceva zapping di spot! Questa apparente assurdità ti da un panorama di cosa desiderano quei consumatore, si parte chiaramente del principio che la pubblicità e fatta per convincere ad acquistare o sognare in prodotto o servizio e che in media deve essere efficace perché se non si fareve differentemente. Io ampliai il concetto a masticare durante i primi mesi qualsiasi programma di televisione, ore davanti a qualsiasi programma. Lo ampliai perché non volevo solo copiare un stilo, ma volevo capire per poter migliorare. Vedendo ore di televisione uno capisce facilmente le culture di ogni paese. Leggendo i quotidiani, a parte di provare a migliorare la lingua, uno capisce cosa pasa in quel paese e come e la sua struttura politica, visto che gran parte del quotidiano e dedicata alla vita politica. Capire la struttura politica di un paese ti dice gia tanto della particolarità culturale di quel paese. La conoscenza culturale ti permette poter manageriare meglio le risorse, integrarsi meglio in un team, ti permette poter aggiustare le tue decisioni a quelle che sono più accordi per essere efficiente in quel paese. Tutte le decisioni devono essere prese in funzione dei consumatori ai quali ci rivolgiamo e perciò c’e bisogno di una conoscenza


culturale di quel intorno. Agire in funzione delle proprie convinzioni non e solo sbagliato, ma conduce a distruggere valore per l’azienda. Europa non e una, e varie, che in parte si assomigliano ma in gran parte sono anche molto lontane. Non agire con questa attitudine di aperuta che le cose non forzosamente devono essere uguali in tutti i paesi condanna l’azienda. Avere l’onestà di dire, a me cosi non mi piace, ma deve piacere a voi che siete del paese! E l’attitudine che conduce ad essere performante ed avere successo.

MKT TO MKTCOM TO MKTCOMAS Questo titolo sarebbe più proprio di un Manuale militare che non di un manualetto di management. Lo dico perché per chi a fatto il servizio militare in comunicazione si familiarizza con tutte quelle sigle che identificano i diversi comandamenti. Che cosa voglio significare, voglio significare l’evoluzione, meglio, la integrazione più importante che ci deve essere fra le diverse direzioni che generano business o incidono sul business. I tre braci che generano business sono il marketing più mo meno allargato nelle sue competenze che sia, ma che definisce il prodotto, i prezzi, la comunicazione e a volte anche le azioni commerciali; il commerciale che gestisce o definì queste azioni commerciali, che le implementa, che spinge la rete distributiva, che la definisce; i l’after sales, sorellastra dei due anteriori, che genera il business della post vendita sia tramite la vendita dei Ricambi o delle ore per riparare le macchine, come dal controllo dei costi di garanzia.


Chiamo all’after sales sorellastra per il ruolo completamente secondario che ha avuto fino adesso, della poca cura che ha avuto e della mancanza di managers formati di primo livello che lo gestiscono. Ma ne parleremo più avanti, dopo di aver affrontato la necessità di integrazione del Marketing e del Commerciale. In tutte le aziende nelle quali ho lavorato ho trovato sempre questo forte conflitto fra Marketing e Commerciale, che è stato più forte quanto peggio erano i risultati. Un conflitto non fra Managers, ma proprio culturale perché stesso anche al middle management. Non un conflitto per ambizioni, ma proprio nelle radici di entrambe funzioni. In teoria una che definisce e l’altra che agisce, dando per buono che si i risultati non sono buoni o e colpa del Marketing che non ha ben definito le azioni o e colpa del Commerciale che non ha saputo implementare e viceversa a seconda di chi difende una opzione o l’altra. E cosi radicato che sembra che sia nel nostro ADN per dopo svilupparsi quando uno entra in una funzione o l’altra. Questo si amplifica dal momento che non c’è una forte intersezione nella vita lavorativa di una funzione e l’altra, quando uno inizia nel Marketing ci rimane, e lo stesso con il Commerciale. Questa è già una delle prime conclusione per mandare a puttane una azienda, mantenete una forte stancheità fra funzioni, non sviluppate dei managers trasversali è l’unica cosa che otterrete è sì dei manager specialisti, ma che lavorano da se, non per obbiettivi comuni. U no direbbe che a certi livelli questo non succede, che i Managers di primo livello sono così formati che vegliano per l’interesse aziendale e lavorano in team. Cazzatte! E nell’ADN purtroppo, e sendo così e molto difficile erradicarlo se uno non ha vissuto entrambe situazioni, a quel punto può rendersi conto della strozzata che è lavorare solo in funzione del Marketing o del Commerciale. Esempio di questo fu una delle mie prime interviste di lavoro con un primo livello Commerciale, io li disse che vista la situazione dell’azienda che perdeva volume, che la


immagine era ogni volta inferiore, che la qualità non era al livello, che la comunicazione era confusa, che i prodotti erano strani, li disse che mancava del Marketing in quella azienda. Lui, offeso, mi disse che l’unico che mancava erano buoni commerciali con dei ciglioni, che le aziende sono fatte di commerciali che vendono e che il resto sonno cazzate! Io li disse che in quel momento la proposta di un posto commerciale non mi interessava, che credevo che per far crescere l’azienda mancava il Marketing. Dopo ritornai dal Marketing a questa azienda, purtroppo i risultati erano peggiorati nel frattempo. E peggiorarono ancora, mancavano già le due cose: un bon Marketing e un bon Commerciale. Ci vuole lavorare assieme, ma cosa vuol dire un buon Marketing e un buon Commerciale. Vuol dire anzi tutto lavorare assieme. Meglio se ci hanno dei Managers formati in entrambe discipline, ma vuol dire soprattutto parlarsi. Parlarsi una parola cosi semplice e cosi difficile di applicare fra i primi livelli. Eravamo in un stesso piano, in un stesso corridoio e non riuscivamo a parlare! E non perché non volessimo, se non perché ci sono delle forze che spingono a non farlo. Fissavamo delle riunioni, ma c’era sempre qualcosa che ci impediva di farlo. Solo nelle riunione di Direzione riuscivamo a stabilire un dialogo, ma anche li parziale. A questo punto direte forse che ero io o erano loro, ma in quella tappa mi incontrai con due direttori commerciali, uno diverso da l’altro e sempre la stessa difficoltà. Forse ero io. Ma non ho mai chiuso le porte o le informazioni o il confronto, ed invece non era possibile il dialogo. Per poter palliare a questo decissemo di duplicare le posizioni sotto di ogni struttura, cosi ad ogni prodotto o brand c’era un uomo di Marketing che dipendeva del direttore Marketing e allo stesso tempo un uomo di Commerciale sotto il direttore commerciale, per cosi poter esperimentare che se i due Direttori non ci potevamo vedere per problemi di lavoro ed agenda, ci fosse un flusso costante fra di loro. Miet, per non dire Niet. Non c’era abbastanza comunicazione. Secondo step, li mettiamo tutti nello stesso ufficio, cavolo! Si uno e davanti o accanto all’altro si parleranno. Meglio, ma Miet. Conclusione, lo


abbiamo nell’ADN, e si amplifica lungo la catena formativa se questa è rigida in una sola funzione. Comunque, questi cambiamenti riuscissero parzialmente perché i risultati furono migliori del passato e migliori che in altri paesi dove si mantenevano delle strutture rigide. Perciò la seconda conclusione è che si devono forzare le interrrelazioni, che non è sufficiente definirle, c’è bisogno di far fare che succeda. Quella fu una buona esperienza, che se non riuscì a che i due direttori parlassero di più, si che almeno le proposte che arrivavamo a entrambi fossero viste da entrambi collaboratori. Ho cominciato forse per il tetto dando per assunto che c’è bisogno di interrelazione, che è meglio interrelazionarsi che non lavorare ogni uno per la sua strada. Mi sembra assolutamente ovvio, ma vorrei ancora svilupparlo un po’. Le due funzioni devono essere obbligate a lavorare assieme, se non il motore non funziona, se i denti di serra dei pignoni non combaciano, e impossibile dare rotazione e movimento. Il Marketing deve creare, deve definire, ma non deve farlo solo attraverso le analisi di ricerche o di clinic test tutto chiuso nelle sue informazioni, deve prendere spunto di quanto li trasmette la direzione commerciale che ha sua volta deve essere aperta a quanto riceve della rete di distribuzione o dei suoi concorrenti. Solo con le orecchie aperta e trasferendo e confrontando i diversi segnali si può applicare una strategia il più azzeccata possibile, almeno nelle intenzioni, condivisa da tutti e cosi più facilmente trasmissibile alla rete di distribuzione e più facilmente spingibile da tutta la truppa commerciale. Una volta superato questo scoglio della collaborazione fra Commerciale e Marketing, rimane ancora una delle parti più produttiva dell’azienda da integrare, l’after sales. In questo caso non si tratta di ADN dei Managers, ma più di ADN delle aziende. Le aziende sono orientate a vendere un prodotto e fare tutto il possibile per venderne di più facendo


lavorare al massimo le direzioni Marketing e quella Commerciale. Considerando che quanto più si vende più profitto si deve fare ed il resto, in questo caso l’after sales, se ne beneficia di questo lavoro perché vendi ricambi, ore di lavoro… In se è vero ed è così che si ha lavorato sempre in azienda. Questo ha fatto sì che le Direzioni di After Sales siano sempre state gestite da tecnici, con una visione tecnica e secondaria del business. Sendo tecnici e secondari con dei stipendi decisamente inferiori alle altre due aree non ha fatto ne anche creare un interesse nel Management per accedere a queste posizioni, rimanendo così a parte delle decisione, delle strategie, dal cuore dell’azienda. Senza interesse del middle management per queste posizioni per allargare le conoscenze in azienda ha fatto si che la qualità manageriale di questi sia molto specifica sul tecnico e completamente scarsa nel management e nella strategia aziendale, trovandosi con dei Managers mediocri e gestori di una situazione creata, lavorando a ruota delle altre due aree. Completamente sbagliato, quando la concorrenza è dura è la situazione dei Mercati non è rosea c’è bisogno dello sforzo di tutta l’azienda per creare profitto che serva ad investire nelle aree più soggette a competizione. L’after sales è una delle aree che da più redditività già sia per un effetto di vendita di ricambi, già sia per un controllo dei costi di garanzia. Nelle grandi aziende sono centinaia di milioni che oggi sono solo gestiti. Dico gestiti perché le azioni che si intarprendono sono tecniche, orientate a consolidare quello che si ha, ma non sono orientate a crescere innovando. In più innovare è facile in un area che fa le stesse cose che ha fatto sempre. Questo principalmente per due motivi: un Management tecnico senza conoscenze di management aziendale, non orientato ad innovare nel suo profilo e abituato a seguire a ruota il resto dell’azienda; aziende che non danno la importanza strategica e lo spazio a questa area e non hanno cercato profili commerciali o non hanno seguito una politica di crescita professionale dei suoi managers trasversale a tutte le aree dell’azienda. Comunque, anche in questi casi di trasversalità, troviamo dei Managers molto più forti con una


visione molto più ampia del business e perciò con più possibilità di successo, ma per i quali il passaggio in after sales è stato solo un tramite per poter arrivare a posizioni commerciali più importanti, perciò nel suo passaggio nell’after sales alla fine si sono comportati come tecnici. Così abbiamo avuto un bon Manager di primo livello formato a 360° ma che non si è espresso al massimo nel suo passaggio. In momenti di flessione di vendite si da la situazione che la parte commerciale può perdere dei soldi, ed invece quella dell’after sales farne a palate. Non è una contraddizione, può succedere e succede. A questo punto ci sono due forme di agire: la prima, quella tradizionale del management che consiste a considerare quello che arriva dell’after sales come un acconto a fine bilancio, che arriva così, va bene perché aiuta ad equilibrare il bilancio; la seconda, che non esiste, è quella di verificare che quello che arriva sia il massimo possibile, di aiutare a farla crescere e considerarla come una fonte di risorse da poter reinvestire per aggredire il Mercato. Una passiva, un'altra attiva. E chiaro che una trasformazione così non è sufficiente con dirlo e basta. Ci vuole che l’azienda consideri l’after sales in tutte le sue azioni ed attuazioni, ci vuole che crei un team di managers qualificati con un profilo commerciale e sia così esigente come nelle altre aree. Managers non si improvvisano, ma si possono costruire con il tempo favorendo il passaggio trasversale fra le funzioni. Oggi c’è bisogno di un passaggio ulteriore al tradizionale Marketing & Commerciale o chiamato da MKTCOM, ci vuole la integrazione effettiva dell’after sales per definire il MKTCOM&AS. Ho vissuto in prima persona l’inizio di questa esperienza abortita posteriormente per un cambiamento nel Top Management. Questa esperienza voleva apportare all’after sales delle conoscenze di Marketing e Commerciale arrivate dalla esperienza suoi prodotti. Ben stimolata dal Top Management ha dovuto soffrire le reticenze delle altre due aree, specialmente quella Marketing. La affermazioni più


chiusa era quella di dire:”ma dove si è visto un Marketing nell’after sales!”. Infatti, questa era la gran innovazione, creare della strategia nell’after sales per far crescere questo business, integrandolo con le altre direzioni di marketing e commerciale. Far fruttare un business addormentato dall’inizio del business. Ma se questa affermazione veniva dalle aree più manageriale, i ripari lo erano anche da parte dai tecnici della propria after sales: “ma cosa è questo del Marketing, qua vendiamo ricambi e ripariamo macchine!”. Se in più cominciava a lavorare con agenzie ed arrivavano delle belle ragazze, come sappiamo tutti arrivano dalle agenzie, questo periodo è in primavera è vestono delle camicie bianche, vi lascio immaginare la commozione fra i tecnici che fino a quel momento solo lavoravano con dei meccanici!, beh, lo stesso effetto che un calendario Pirelli in Officina! Ci sono delle esperienze, ma tutte incentrate in se stesse, la novità di questa esperienza era di lavorare assieme con le altre aree per creare sinergie per sviluppare il business dell’after sales, ma facendo questo anche quello del prodotto nuovo attraverso la fiddelizzazione dei clienti o offrendo nuovi servizi che differenziassero un prodotto di quello dei concorrenti, alla fine aggiungere valore ad un prodotto. Come tutta esperienza innovatrice finì con la sparizioni di chi intentò introdurla. Ed invece è questa la strada, far lavorare tutti le aree che creano valore per crearne di più, spesso se 2+2 possono dare 3, 2+2+2 dovrebbe poter dare 10. Il Top Management spesso presta poca attenzione a quelle aree di business in risultati positivi o consolidati da tempo, per concentrasi su quelli che soffrono di più o che sono più visibili: il prodotto, le vendite, la comunicazione… Grosso errore, solo analizzando tutte le aree ed esprimendole al massimo si può ottenere del valore per l’azionista. Integrazione invece di disintegrazione, far lavorare in comune, situare dei Manager con delle esperienze


multidisciplinari in tutte le aree di una azienda, solo così ottenette delle aziende efficiente.

La funzione dei sindacati La tradizionale azione di un sindacato in una gran azienda deve evolvere. Non è più sufficiente che questo si limiti al suo lavoro tradizionale di proteggere le conquiste lavorative o reivindichi nuove migliore per i lavoratori. Questa azione può avere senso a livello nazionale, a livello politico, ma non più nell’ambito aziendale. Il sindacato deve essere integrato nel processo consultivo, decisionale mi sembra ancora una parola troppo forte, ma si almeno a livello consultivo nella definizione della strategia aziendale. Questa opportunità che deve offrire l’azienda, e dopo verremo il perché, deve essere controbilanciata per un compromesso di azione presso i lavoratori. Cosa intendo per azione presso i lavoratori, voglio dire migliorare in quelle cose che il lavoratore può migliorare, chiaramente se parliamo di una azienda industriale, deve essere nel processo produttivo. Vuol dire un impegno in fare le cose come si devono fare, vuol dire impegnarsi in migliorare i processi, vuol dire impegnarsi in aumentare la produttività, vuol dire fare più qualità. Oggi, il sindacato non fa niente di questo, si dedica solo a migliorare la qualità di vita nel lavoro, migliorare le rimunerazioni, migliorare le condizioni, salvare gli elementi marci che non contribuiscono a migliorare i processi e prodotti, difendere dei status quo, difendere quelli che si rifugiano su un statuto di deboli e che invece sfruttano solo le garanzie sociali.


Sono convinto che una azione attiva basata nel miglioramento dei processi produttivi, della conseguente miglioramento della produttività e sicuramente del miglioramento della qualità dei prodotti, senza rinunciare ai sacrosanti doveri generici di protezione sociale dei lavoratori impegnati, potrebbe aprire un spiraglio vincente in quella azienda. Male non ne potrebbe fare, bene tantissimo. Sono d’accordo che i sindacati non sono preparati, ma mai lo siamo per le novità. Perciò si tratta di iniziare, di iniziare a prendere delle responsabilità. La tradizionale separazione fra proprietà ed operaio e ogni volta più obsoleta come tavolo di confronto. Con la crescita economica, con la crescita anche patrimoniale con l’aumento del prezzo delle case, i operai cominciano ad avere dei risparmi che collocano in dei fondi, dei fondi che investono in borsa ed perciò in aziende, in proprietà. Con la liberalizzazione dei fondi di pensione come redito complementare alla pensione, questi investono in aziende e conseguentemente il reddito futuro in pensione dell’operaio dipenderà della ottima gestione del gestore del fondo di pensione che ha investito in proprietà, diventando in qualche forma anche essi proprietario. Non esiste più quella separazione per la quale uno nasceva e moriva operaio, ma oggi, per fortuna può nascere operaio, ma migliorare le sue condizioni perché partecipa con i suoi risparmi in fondi e conseguentemente è piccolo proprietario nella sua veste di risparmiatore e pensionato. Sono d’accordo che l’azienda non è pronta, che facilmente potrebbe derivare in una sola scusa per dire, io ti ho consultato, adesso tu fai il tuo lavoro verso gli operai, trapassando la responsabilità al sindacato, quando è l’azienda chi deve sempre averla. Ma avere dei Top Manager che dedichino parte del suo tempo a migliorare queste relazioni, ad essere capace di coinvolgere i sindacati nei processi strategici, non solo per illustrarli, ma per discuterli e migliorarli nei ambiti dove il sindacato può essere più efficace potranno aggiungere differenziazione rispetto ai concorrenti.


Oggi e molto difficile differenziarsi con i concorrenti a livello di prodotto, diciamo nell’outpout che produce una azienda. Invece si può trovare ancora della differenziazione nell’interno dell’azienda. Riuscire ad essere più produttivi, riuscire ad innovare costantemente nei processi, lavorare producendo prodotti qualitativamente migliori, sono dei aspetti sufficientemente differenzianti come per aumentare il valore per l’azionista. Questa politica propositiva, ne includente ne escludente, non rivendicativa, nel senso che in quel tavolo non si devono mischiare i perché uno è li, e che allo stesso momento sono aperti a chi vuole partecipare e non deve perché essere tutti li per obbligazione, ma che forma parte di un processo in più della definizione di una strategia come lo sono le riunioni dei Top Managers o dei diversi livelli aziendali può migliorare considerevolmente il prodotto outpout di quella azienda. Quello sarebbe già un grande passo che non mette in discussione niente fra le relazioni tradizionali sindacati e azienda, per intenderci quelle gestite della direzione di risorse umane. Infatti, non voglio parlare di appuntamenti istituzionalizzati, fissi, che devono per forza farsi due volte all’anno, informare quando c’è una assemblea generale o quello che sia. Parlo di stabilire punti di contatti per migliorare i prodotti, cavolo qualcosa potranno apportare quelli che le costruiscono! Oh no? In questa vecchia Europa dobbiamo fare questo salto, è imperativo se vogliamo sopravvivere in questo mondo attenaciati da due giganti: quello americano nel quale il sindacalismo all’europea non esiste e quello cinese nel quale non c’è nessun rispetto per i diritti dei lavoratori come li europei li intendiamo. E imperativo rendersi conto che solo proteggersi fa si che siamo più facilmente preda degli altri. Purtroppo non siamo soli, dobbiamo combattere con altri, ed è in rischio tutto il nostro sistema se non reagiamo. E li il sindacato non può mettersi da parte e limitarsi a dire quello non è la mia responsabilità, perciò ci sono gli azionisti, perciò c’è il Top


Management e cosi via. Quello è manca di visione in un Mondo che cambia, che non è lo stesso di dieci anni, di venti o trenta e che non sarà lo stesso fra dieci anni. Non so come di diverso, ma sicuro che lo sarà. Perciò insisto i sindacati a riflettere su quale deve essere la sua azione: passiva limitandosi a la sua azione tradizionale lasciatemi dire politica o anche, è sottolineo anche, proattiva centrata nell’attività strategica dell’azienda per farla progredire? Non ci vedo contraddizioni, ci vedo complementarietà in una lotta, perché sempre di lotte parliamo, una lotta per i diritti generali dei lavoratori ed un'altra lotta nella microeconomia per migliorare la produzione dell’azienda che è quello che fa progredire i propri lavoratori ed l’azienda in generale. Ho parlato poco del cambio di attitudine che c’è bisogno dal Top Management, ma mi sembra più facile di prodursi il cambiamento necessario in questa parte che non in quella sindacale soggetta ad un intorno politico sul quale devi muoversi. A un Top Manager non può che beneficiarli avere una forza produttiva migliore, più produttiva che fornisce idee, processi e prodotti di miglior qualità. Non ci vedo delle controindicazioni, non vedo il perché non utilizzare tutte le risorse disponibili, manageriale veramente tutto il processo, integrando una delle parti fondamentali in tutta azienda che è quella produttiva, perché se il prodotto non è competitivo, addio azienda e addio lavoratori.

Accesso all’informazione Nei basics aziendali c’e un bisogno basico: quello dell’informazione. Quanto più grande e l’azienda, quanto più internazionale e l’azienda, quanto più prodotti o servizi offerti, tanto più bisogno d’informazione c’e. Senza informazione non si possono prendere decisione, o si, ma chi sa quale sara il risultato, solo frutto dell’azzardo. Con delle informazioni parziali si rischia si di prendere decisione coerenti con quanto offre la informazione, ma


completamente sbagliate perché la informazione della quale si dispone non e completa o sbagliata. Ci sono due scuole: la prima avere informazione su tutto, dal più piccolo particolare al più grande; la seconda per la quale non c’e bisogno dell’informazione perché il CEO lo sa tutto e lui a la verità, il resto d’informazione solo serve perché c’e ne bisogno ufficiale, la contabilità, gli informi per la borsa... Parlare della seconda scuola e molto veloce, normalmente frutto de la cultura del self-made man. Lui ha avuto la idea, lui ha fatto crescere l’azienda, lui sa cosa vuole, lui sa cosa vogliono i consumatori, non ha bisogno di niente, le sue idee e le sue intuizioni sono quelle che valgono. Questo e buono, e normalmente funziona, in tanto in quanto il fondatore coincide con il management esecutivo dell’azienda. Dal momento che un successore, sia familiare, sia professionale, lo succede e vuole applicare li stessi criteri e quando l’azienda se ne va a puttane. Quella e la differenza fra la genialità che hanno ben pochi, con la stupidaggine che hanno molti di più. Non vale la pena dedicare più tempo perché i casi sono ben pochi e i risultati evidenti. Parlare della prima e molto più complesso anche se la definizione e molto semplice: avere tutta la informazione. E da questa asseverazione che si possono differente domande: cosa vuol dire tutta la informazione? Come si mette a disposizione? Chi ha accesso alla informazione? Quale informazione? Abborderemo le informazioni per il business quotidiano con incidenza nella P&L e quelle informazioni più di carattere informativo permettetemi la ripetizione. Pero m’interessa specialmente la prima. Lasciatemi spiegarmi con un multinazionale decide di dotarsi di nel quale con un clic il CEO informazione commerciale ed

esempio. Una grande un strumento informatico può guardare tutta la economica dell’azienda


aggregandola o disgregandola a tutti i livelli: per mercato o per prodotto o per variabile economica. Ogni mattina da un clic può consultare come sta andando il business. A partire del CEO l’accesso all’informazione e segmentato a secondo il bisogno che he ha ogni uno. Spiegato in poche frase, ma immaginate la potenza di un strumento tale, nello schermo, consultando, avete tutti i dettagli commerciali (vendite, stock, canali di vendita, per prodotto, ordini distributori, ordini clienti, ordini in fabbrica, ordini in trasporto...tutto) e tutti i dettagli economici derivati (profitto per prodotto, fatturato, valore stock, costo prodotto, costo di marketing, altri costi...tutto); con tutto cio, potete fare delle simulazioni modificando quando e quanto ogni uno dei parametri, quasi quasi in tempo reale, a seconda del tempo per introdurre i dati commerciali e economici. Ripeto TUTTO. Una panacea! Ed invece... Ed invece succedono due cose che alla fine sono basilari in ogni processo di innovazione: la formazione e la comprensione. Mi direte che uno deriva dell’altro se la formazione e stata ben fatta, pero come la comprensione e subbiettiva, uno può far vedere che non capisce, anzi che non vuole capire. La gran difficoltà e stata questa la formazione su come usare i dati, e la provenienza dei dati. La formazione e stata fatta a quelli che devono inserire i dati, no ai seniors managers che hanno anche una tradizionale mancanza sul’utilizzo di strumenti informatici. Quello che ha successo e che quelli che inserivano i dati o dovevano controllarne la coerenza quando hanno visto che la quantità di lavoro necessaria era proporzionalmente inversa a quanto lo guardava il senior management hanno cominciato a meno attenderlo. Li ha cominciato a dubitare sulla affidabilità dello strumento, perché anche se tutto e possibile inserirlo, e chiaro che sempre c’e qualche piccola cosa che manca (un nuovo canale per esempio), da li si comincia a sembrare qualche dubbio e che non e il massimo... Non avendo la formazione in dettaglio il senior management si fida del middle che non ne e convinto per la quantità di lavoro e finisce poco a poco lasciato a volontà, o meglio, a


imposizione del CEO e non come strumento di pianificazione per i propri utenti, basicamente per quello che era nato, un strumento bottom up. Un strumento che partendo dei dati di prodotto e mercato, aggregandosi, si trasformavano nei dati dell’azienda. La chiave sta nella parola imposizione. Al divenire una imposizione, lo strumento perde il suo valore principale di pianificazione. Perdendo questo valore diventa un strumento solo per il CEO per poter guardare ogni mattina le performance di questo prodotto o di questo mercato. Al essere cosi, il senior management ed il midle management capiscono che quello che deve essere inserito non deve contrariare il CEO, normalmente questo significa che sara più volonteroso che quello che in realtà sono i numeri. Sendo più volonteroso i numeri inseriti non servono più per simulare perché sono lontani della realtà, cioè della verità. Passo successivo: come non rifletta la realtà, non serve a niente. Al essere una imposizione i non riflettere la realtà, come il CEO normalmente scemo non e, chiede più simulazioni, diventando un rolling permanente, più carica di lavoro, più bullshit e finisce con una gran “merd in merd out”. Questa situazione pazzesca, si potrebbe riprendere nel caso che il CEO intervenisse e facesse un pó d’ordine, come normalmente succede. Ma, se il CEO canvia? Come succede con tante cose, e come non ha il tempo di capire, ma solo quello di agire, li dicono che quello non serve a niente e lo strumento muore. La faccio corta, quello che inserisce i dati li dice al middle management che si perde il tempo, il middle al senior e il senior che non vuole che il suo lavoro sia controllato se non quando lui lo decide, in scalation si preoccupa per dire che non serve a niente. Finalmente lo strumento e spento. Questo esempio dice molto della informazione, del potere della informazione e del potere di chi la utilizza. Insegnamenti:


- In una azienda il bottom up raramente funziona. Solo se il bottom e interessato che funzione e lo sara solo se le cose vanno bene. Come non vano bene indefinitamente, il bottom non rifletterà mai tutta la verità, che per altro il CEO non vorrà a volte sapere. - La formazione, la comprensione di cosa e un strumento, di a cosa serve, di come funziona e fondamentale. Spiegare le lacune o le mancanze e quasi più importante che quello che realmente c’e dentro. - Se lo strumento esige un sacco di lavoro e dopo non e usato si perde. - Gli strumenti d’informazione e simulazione devono formar parte del cuore strategico dell’azienda, e perciò de la responsabilità del CEO in promuoverne l’uso. - Avere un strumento molto potente non vuol dire esprimerlo aldilà di per quello che e nato. Questo e stato l’esempio di un strumento commerciale e amministrativo, sempre valido sarebbe parlare di strumenti di pura informazione, senza conseguenze dirette nella P&L. La informazione deve essere disponibile a tutti, quanta più informazione più commitment aziendale ci sara. Sapere dove si va, come si sta andando non può che essere benefico, a condizione che la informazione sia veritiera e coerente. Questo e il rischio, informare si, pero essere coerente. Se oggi si racconta una cosa e domani un altra di diversa o se si racconta una cosa ma si agisce contrariamente, meglio spegnere le casse di risonanza. La informazione va distribuita ed spiegata. Senza spiegazioni e contraproducente perché ogni uno ne capirà una cosa che ne discuterà con un altro che alla fine non avranno capito niente. Perciò informazione si, ma attenti.


5. DIMENTICARSI DI COSA FA L’AZIENDA

Il prodotto la necessità Questo capitolo comincia e finirà con l' output. Preferisco parlare di output perché spesso il prodotto si assimila con qualcosa di fisico, quando l ' output e più generico e può essere qualsiasi prodotto o servizio. Stabilito questo, mi sembra che dire che per non mandare a puttane una azienda non e' e altro da fare che guidare l ' output. E cosi ovvio, che mi fa paura. Ed invece e cosi facile deviare 1'attenzione del prodotto! E quando questo avviene il mandare a puttane l' azienda e molto vicino. Detto questo il capitolo potrebbe essere chiuso, ci vuole solo rit1ettere un po' a se stiamo o no dimenticando l ' output per arrivare alla conclusione se la nostra azienda se ne andrà a puttane o non. Ma il mio lavoro e scrivere un po' di più, farvi rit1ettere si, ma anche darvi le evidenze.


Dimenticare l ' output vuol dire diminuire gli investimenti in tecnologia, in sviluppo per essere davanti o al passo dei concorrenti. Dimenticare l ' output vuol dire disperdere energie in altri investimenti che non siano "core" per lo sviluppo e promozione del prodotto. Dimenticare il prodotto vuol dire rilassare la pressione sul management. Dimenticare il prodotto vuol dire divertirsi a cambiare management o strutture in tutti i momenti che l ' output sembri non aumentare come dovrebbe, Dimenticare l ' output vuol dire non ascoltare il mercato, non ascoltare i consumatori e affidarsi solo al senso del CEO Dimenticare l'output vuol dire non dialogare con il management. Potete aggiungerne tante come volete. Senza l'output, non esistiamo. Facciamo tutto quanto ci sia possibile per togliere l ' attenzione dell'output e saremo a un passo del disastro.

Dimenticare la catena di distribuzione: I fornitori Nei anni 90 si e imposto la teoria del taglio dei costi di produzione come quella pi첫 efficace per divenire competitivo. Iniziata negli USA da un Top Manager spagnolo, questa teoria di taglio dei costi dei fornitori aiutandoli allo stesso tempo per lavorare in comune ed essere pi첫 efficienti fu velocemente adottata per tutte quelle aziende che si trovavano con la stessa struttura di costi, nella quale il fattore dei costi di produzione era importante. E chiaro che la idea di lavorare a monte della propria industria era nuova, come nuova era quella di coinvolgere delle aziende o dei manager che fino a quel momento erano considerati come un fattore di costo nel senso pi첫 peggiorativo della parola che include che erano loro che si


beneficiavano anche se la azienda era in crisi o i suoi prodotti non si vendevano come previsto. Come tutte le idee, dietro ci sono gli uomini che le applicano e di questa applicazione ne derivano dei risultati più o meno nefasti o più o meno migliori. Lavorare cosi, vuol dire lavorare conoscendo che ogni uno ne deve ottenere un risultato, non e possibile che solo si cerchi che uno dei due ne ottengano un risultato, perché cosi facendo in qualche parte si distruggerà valore. E chiaro che se la riduzione dei costi non viene per una miglior efficienza del processo in casa del fornitore ed anche nella azienda fornita, e considerando che le grande aziende lavorano efficientemente nel controllo dei prezzi delle forniture, ci possono essere due conseguenze: la prima nella qualità delle forniture, già sia per un utilizzo di materiali di inferiore qualità o per una maggiore flessibilità nel controllo di questa qualità. La seconda, se la pressione rimane e non si sono trovati le efficienze nei prodotti o nei processi sufficiente per compensare il mancato guadagno della riduzione dei prezzi o non si e seguito un aumento delle vendite e conseguentemente della produzione perché i volumi compensi le perdite unitarie, l’unica conseguenza e lo strangolamento economico del fornitore. Cosi da una situazione difficile passiamo a una situazione peggiore. Il fornitore, senza risorse rischia la sua sopravvivenza, per sopravvivere deve fare di tutto con dei rischi per la qualità dei prodotti finiti nel caso che le consegne siano di minor qualità, o ricevere delle compensazioni che potranno incidere su prodotti collegati, che a sua volta possono diventare più cari e diminuire il volume di vendita, generando un circolo vizioso destinato ad esplodere velocemente, se la domanda per quella azienda non si ricupera. Questo e un segnale evidente che porta a pensare che forse il problema non e a monte, ma nell’azienda. Sicuro che migliorare i processi o i prodotti forniti e sempre possibile e si deve continuare in questa strategia, ma dal momento che questo e fatto mettendo in dubbio la sopravvivenza di altre aziende, non fa che peggiorare la


propria attuazione. Questa dovrebbe essere un segnale di allarma importante. Per mandare a puttane una azienda non c’è niente più facile che far vedere che sia intervenuto su una riduzione di costi di un fornitore senza che questa abbia esistito. Non e difficile, si fa una bella riunione con tutti quelli che spendono su un determinato prodotto, per esempio prendiamo una delle voce di Marketing che possono essere gli stampati. Concordate con questi Manager che devono fornire tutte le spese alla direzione acquisti perché questa gli analizzi e con il fornitore contribuisca a ridurre di un x% le spese di acquisto per cosi poter essere più efficiente. Fino a cui tutto e logico. La logica si rompe quando la direzione acquisti ti chiede quali progetti chiuderai per arrivare a quella percentuale di riduzioni di costi! Ma non parlavamo di migliorare i costi di acquisti? Ma non dovremo poter fare le stesse cose, ma ad un minor costo perché c’è stato un miglioramento delle condizioni di acquisto? No, riduciamo la spesa, cosi faremo vedere che abbiamo diminuito i costi, tante volte c’è la confusione fra spesa in uscita e costo in entrata. Il problema di questa assurdità e che invece di aiutare ad essere più competitivi nelle nostre azioni, si frena l’azione per una mancata disponibilità di spesa. Non al contrario, cioè avere la possibilità di fare di più con uguali o meno costi in termini assoluti, cioè con la stessa quantità o minore di disponibilità di spesa. Questo tipo di decisioni che servono solo a pararsi il culo da una direzione o di un altra devono essere completamente eradicate in una azienda. Il Top Management di una azienda non può avere dei obbiettivi a corto termine. Anche se la situazione dell’azienda e di vita o morte, il Top Management non può agire solo ed esclusivamente in funzione di salvare il suo culo ed agire chiedendo delle impossibilita. Perché quante più impossibilita si chiedano, più il Management agirà coprendo i non risultati generando un espirale per il peggio. Per il peggio perché il Top Management sarà convito di aver ottenuto dei risultati, agirà con nuove azioni considerando questi falsi risultati, porterà a chiedere maggiori sforzi perché i precedenti sono stati raggiunti, mettendo ancora


più in difficoltà il Management, coprendo ancora più i risultati, aggiungendo falsità ai numeri e provocando il collasso del sistema. Il Top Management deve agire contundentemente, fortemente, ma considerando che l’azienda deve mantenersi, non può agire senza considerare quali saranno gli effetti nel medio termine. La scusa che le decisioni si adottano perché si e in vita o morte sono sempre nefaste i una sola scusa per mostrare, nel dubbio caso che ci siano, che qualche risultato si ha portato a casa, anche se questo risultato e solo di carta, niente di reale.

Dimenticare la catena di distribuzione: I distributori Senza conoscere i meccanismi della distribuzione non si può essere vincente. Per un manager conoscere come e la filiera dal momento che un prodotto e manufatto fino a che e venduto al consumatore e fondamentale. Se questa relazione e molto evidente nelle piccole o medie aziende, perché non si può fare a meno dal contatto fisico, quasi personale, nelle grandi aziende a volte e quasi inesistente. Agire come se uno e il produttore ed il venditore allo stesso tempo senza esserlo realmente conduce l’azienda al fracasso. Conduce al fracasso perché quello che uno pensa che deve essere fatto o come deve essere fatto, senza la condivisione in tanti casi, o il controllo della rete di distribuzioni in altri, fa si che la realtà si scosti profondamente dal pensiero. La capacità di interrelazionarsi di un Top Manager o solo un Manager con la rete di distribuzione e uno dei valori più importanti per essere efficiente davanti al consumatore, e allo stesso tempo e uno di quelli meno valutati. La interrelazione si lascia solo ai Manager commerciali, a volte quelli del Marketing, ma la maggior parte delle volte questa interrelazione e lontana, fatta di riunioni formali, qualche


visita, tante chiamate a fine mese per raggiungere gli obbiettivi e basta. Troppo spesso si gestisce dall’ufficio centrale, gli spostamenti sono minimi, la creazioni di opportunità di distesa evitate per cosi evitare le domande che non piacciono. Per me una organizzazione efficiente non e quella che si limita ad essere efficiente nel suo interno, ma e quella che e capace di estendere questa efficienza in tutta la sua catena di distribuzione e d’approvvigionamento. Li c’è la sottigliezza della capacita di un manager, perché chiaramente non si può fare nei stessi termini che essendo in interno con il principio della gerarchia, ma con quello del convincimento. Quello solo può essere favorito della informalità, della informalità vera, dal contatto fra Manager o fra Manager ed imprenditori. Voglio sottolineare la informalità, perché non mi riferisco a sostituire una riunione per una cena, ma veramente per entrare in un contatto di interscambio di idee ed esperienze che porti ad un miglioramento dell’insieme azienda e distributore o azienda e fornitore. Ho assistito a delle cene distributore e amministratore delegato, dove la paura generata fra i distributori da parte dell’amministratore delegato era tale che il dialogo era cosi rigido che non c’era un vero interscambio di idee perché le risposte dell’amministratore delegato erano secche e le domande o le risposte dei distributori erano in funzione di non farsi cazziare. Era più una cena di sopravvivenza che non di costruzione. Alla domanda, privata a qualcuno dei distributori, di come andava o come era andata la riunione? La risposta era: bufff! E tosto! Spero non aver detto niente inconveniente! Scontatamente i risultati erano nulli perché solo servivano ad ogni parte per raffermarsi nel loro convincimento: l’altra parte non capisce, non ci capisce. Cosi, nel caso di aziende che dipendano di una rete di distribuzione non propria, non possono andare avanti, sono destinate a soffrire e perdere. I risultati possono solo venire da una vera collaborazione in tutta la catena di


commercializzazione. Saldare questa congiunzione di vedute e di azione deve essere uno dei temi più importante nella gestione quotidiana di una azienda. Ci dovrebbe essere l’obbligo di partecipazione fisica alle attività del distributore da parte di tutto il management, sia per conoscerne come funziona, come sono le relazioni in entità piccole, sia per avere il contatto con il consumatore. Parlo del vero contatto, non quello tramite statistiche o visione più o meno accertate. Vedere fisicamente come si gestisce un cliente, gestirlo fisicamente, rispondendo a le sue domande e dovere dare delle spiegazioni care e non tortuose di elevato Marketing, sono queste le azioni che aiutano a crescere ad un Manager ed ad una organizzazione. La conoscenza, tramite la esperienza fisica, e il miglior metodo di crescere, dandoti la capacità di apprendere per dopo poter creare nuovi progetti o prodotti che siano molto più adatti alla loro distribuzione ed alla loro vendita. Come si può gestire senza contatto con chi distribuisce i tuoi prodotti o chi li acquista? Facile, si fa ed i risultati sono nefasti. Per un tempo potrebbero non esserlo perché c’è la fortuna, ma questa non e permanente, perciò l’unico risultato e che l’azienda va a puttane. Sembra che non sia possibile agire cosi, senza contatto o con solo contati sporadici in riunioni formali, ed invece e la quotidianità. Con la scusa che c’è tanto da fare, tante riunioni da preparare, tanta gestione interna, e essenzialmente, che noi sappiamo bene cosa conviene alla nostra distribuzione, si evita il contatto con la stessa. E meglio vivere protetti all’interno della nostra struttura che abbordare il corpo a corpo, il dover dare delle risposte concrete, semplici a questo o a quello. Le relazioni si delegano a del management che solo gestisce il dia a dia, provando di correggere le azioni equilibrando le forze fra l’azienda ed il distributore, la maggior parte delle volte guidato per il suo senso che non per una strategia derivata dall’azienda.


La qualità Cosi semplice da dire, cosi difficile da ottenere. Tutti concordiamo che i nostri prodotti e servizi devono avere la qualità. Che senza la qualità non possiamo vendere, i clienti rifiuteranno i nostri prodotti e questo porterà alla distruzione di valore per l’azionista. E cosi facile parlarne, i Top Manager ne parlano cosi facilmente che tante volte non si capisce se si parla di qualcosa di reale o qualcosa di fittizio. Vediamo due approcci diversi a questa famigerata qualità: Il primo corrisponde a una fabbrica, ne anche in un paese di quelli che tutti concordiamo come cuna della qualità. Anzi, facciamo all’inverso, prendiamo una mia conversazione con un Top Manager e il capo della DHR dopo le mie prime tre settimane d’incorporazione ad un'altra azienda provenendo di quella sulla quale ho cominciato il discorso. Davanti a loro due mi chiesero cosa mi aveva stupito di più di queste tre settimane. Le avevo detto senza tanti giri “parlate della qualità, che abbiamo un gran problema, che stiamo pero centrando tutti i nostri sforzi in migliorare la qualità… ma non vedo niente”. “Come?” mi interromperò. “Vedete, ho fatto il giro in fabbrica e da nessuna parte ho visto dei cartelli con il livello di qualità raggiunto e l’obbiettivo da ottenere, cioè con il numero di difetti in ogni sezione, l’unica cosa che ho visto subito all’entrata e il numero di prodotto accumulato fatto fino a quel momento!, cosi non si può migliorare la qualità!”. “Ma non!” dissero all’unisono. “Sicuro che ci sono i grafici della qualità nelle sessioni, in qualche pannello!” Li disse, “no, non e sufficiente in un panello nascosti in un foglio A4 che vai a sapere quante volte è aggiornato, tutti devono vere come stanno lavorando, cosa devono fare se non si raggiunge l’obbiettivo”. La discussione fini, con il solito pensiero, questo giovanotto è bravo, ma dovrà crescere, come può permettersi di mettere in discussione il nostro progetto, uno dei leader del settore!


Sono passati sei anni, e c’è sempre il solito cartellone, non ci sono cartelloni aggiornati al secondo con il livello di qualità ed obbiettivo. Pero si c’è una grande differenza rispetto allora, adesso il ritmo di unità prodotte cambia più lentamente e addirittura qualche modello non si muove più!!! Non basta parlare, non e sufficiente implementare metodi giapponesi o tedeschi o semplicemente metodi. Il più importante e che quelli che sono responsabili della qualità, e qua parlo della forza produttiva, dei operai, non dei colletti bianchi che controllano, seno che passo la responsabilità ai operai, ai sindacati che normalmente si tirano fuori facendo solo una politica protezionista. Si gli operai devono essere coscienti che sono loro che determinano la qualità, e si sono loro che determinano la qualità, loro devono conoscere come stanno preformando secondo a secondo. Averli datti la miglior formazione possibile, i miglior metodi, i miglior strumenti, se non sanno se quello che in quel preciso momento e fatto bene o no, non si può migliorare la qualità. La mia prima esperienza al visitare una fabbrica alla tedesca, fu proprio questi cartelloni di led luminosi collocati in tutte le sezioni e per i quali scorreva in continuazione il livello di difetti in quel momento e l’obbiettivo. Quasi paranoico, ma in tutte le sezione, in tutti i angoli, visibili a tutti. Cosi si può fare qualità, a posteriori difficilmente si può fare niente. Senza vedere come uno sta attuando e come gli altri stanno attuando e impossibile migliorare. L’unica cosa che si può fare e sopravvivere, colpevolizzare l’altro invece del causante e continuare a fare prodotti scadenti perché dopo ci sarà qualcun altro al quale dare la colpa, ci sono cosi tanti tasselli, che è facile caricare la colpa su un altro. Conoscere per agire, questo è già un primo passo per il miglioramento della qualità. Voglio lasciare da parte le obbietta di migliorare la formazione, migliorare gli


strumenti, i processi, favorire la partecipazione dei operai nelle migliore dei processi e cosi via. Sono obbietta assolute da fare, ma mi voglio centrare più sulla parte strategica della qualità. Il secondo e essere sufficientemente forte per fermare il processo produttivo fino a che i prodotti non usciranno con i livelli richiesti. Cioè, lavorare per assicurare il futuro di un prodotto e non per il risultato immediato. Questo e ancora più difficile di raggiungere che il primo, sul quale alla fine non ci sono costi, ci vuole solo un piccolo investimento ed il coraggio di guadarsi sugli occhi. In questo secondo caso ci vuole proprio non solo guardarsi negli occhi, ma anche assumere le perdite o il mancato guadagno previsto in quel momento per preservare il futuro ritorno sull’investimento. In una situazione normale, lasciatemi dire che intendo per normale quando una azienda a un Top Management consolidato senza grandi turnover ed un azionista di riferimento forte che controlla da vicino o lontano questo Top Management, dicevo, in una situazione normale la decisione dovrebbe essere semplice provocando lo stop del lancio del prodotto, assumerne le perdite e mandare a casa il direttore della produzione se è in quella fase che la qualità si avvera come problema. Nelle situazioni anormali, non si ferma niente, si lancia il prodotto, le prime risposte dei giornalisti e dei distributori sono negative, non si fa niente, le risposte del pubblico sono negative, si vende bene perché ci è stato un fenomeno di attesa, ma una volta passato questo, le vendite cadono e il prodotto ha un ciclo di vita in caduta libera. La risposta che questi Top Manager anormali ti danno e che non si può, che la macchina e già lanciata e che le perdite di riportare un lancio sono troppo grandi e che dopo si sistemeranno i problemi di qualità, che un ciclo di vita e cosi lungo, che di tempo c’è tutto quello che uno vuole. Sinceramente, anche io ero di questo parere. Ma ho vissuto le due esperienze e mi tengo la prima.


Sempre con gli stessi esempi. Nel primo caso avevamo bisogno del prodotto più importante per noi. Il vecchio era troppo vecchio, la domanda per il nuovo era fortissima perché eravamo ancora con un certo vantaggio competitivo, gli investimenti per il lancio erano già compromessi e cosi massicci accordi con quella domanda. Arrivo il segnale di tutti fermi. Il lancio si pospone, ricordo le pressione che fecce dimostrando gli elevati costi di non lanciare, non solo per perdite di unità, ma anche di investimenti non ricuperabili. Volevamo lanciarlo a qualsiasi prezzi, ma non ostante tutti i Mercati facemmo la stessa pressione, l’ordine del Headquarter fu chiara, si pospone fino che il prodotto non raggiungerà i livelli desiderati. Quell’anno soffrimmo, in vendite perse, in investimenti in fumo, ma la lezione fu chiara: la immagine di quel prodotto e quella marca cresce nei anni successivi permettendoci di consolidarci ed aumentare il nostro fatturato. Il livello di qualità percepita dai clienti aumentò. Nel passaggio il direttore della fabbrica fu licenziato. Il segnale negativo dato all’inizio per posponere un lancio perché la qualità non era quella voluta, si trasformo in un segnale positivo per tutta la filiera: per il management che vedeva come chi non raggiunge gli obbiettivi e sanzionato, i distributori che vedono il commitment dell’azienda, il pubblico che percepisce prodotti migliori e riacquista, finalmente i operai che vedono che sono loro i responsabili dei destini dell’azienda perché se lavorano male, non si distribuisce la produzione, se non si distribuisce non si vende, se non si vende non si incassa… I risultati nell’altra azienda ve li lascio immaginare, non si migliora mai sufficientemente il prodotto quando e già in distribuzione, e la qualità continua ad essere scarsissima, perché questi valori, la qualità e un valore, non sono trasmessi a tutti i partecipanti nel ciclo produttivo. Lasciatemi chiamarla la sindrome della qualità zero. Perché? In un meeting internazionale per dare più valore ai sforzi che l’azienda stava facendo per migliorare comincio con una introduzione da parte del direttore della qualità. Quale fu la mia sorpresa, quando un Top Manager accanto


a me mi fecce notare: “hai visto il titolo della slide? Qualità zero” Infatti, lui parlava dei difetti zero, ma il titolo era evidente, li di qualità zero! Non di zero difetti!. Percepita vs reale, non importante.

Certifichiamo la qualità Si, certifichiamo la qualità e tutti felici! Perciò ci ho messo un bel segno di esclamazione. Facciamo una grande attenzione a questa moda arrivata dalla Germania eh certificare ISO tutti i processi con i suoi bel numeretti 9000, 9001... A metà dei 90 ci è stata questa corsa a certificarsi. Qualsiasi processo in azienda e l' azienda stessa doveva essere certificata perché in caso contrario il consumatore rifiuterebbe í nostri prodotti. Sono passati dieci anni e la certificazione per fortuna non ha influenzato i comportamenti di acquisto dei consumatore. Probabilmente di più le transazioni fra grandi multinazionali e fornitori, ma niente più spendono e generatore di perdita di tempo che questi processi di certificazione. La qualità o un processo non va certificato per un istituto indipendente. Un processo o la qualità 'viene certificato per il output, per il risultato, prodotto o servizio, di una azienda. Il resto perdere soldi, tempo e opportunità. Ho vissuto tre processi di certificazione di processi direttamente in due importatori e in un headquarter. Indirettamente ho vissuto il processo di certificazioni di reti commerciali, Nei primi tre casi delle barzellette, nel secondo più grave conseguenze economiche.


Mentre uno certifica una multinazionale non ha un pericolo per farlo. Alla fine avanzano persone e avanza tempo da perdere in compilare documenti, correggerli, fare riunioni di verifica, altre di mettere tutto... assieme, altre riunioni per una visione di congiunto, altri scambi di mail per modificare delle parole o dei numeretti perché tutto abbia una coerenza. Ah! Dimenticavo! C'è bisogno di scrivere i processi, di far belli diagrammi di flusso, di scrivere non importa che cosa perché niente di quello scritto corrisponderà ad un processo vero. La realta supera la rigidità dei processi scritti . Ah, Dimenticavo! E si uno è una gran multinazionale mettiamoci in messo qualche società di consulenza che aiuti a pulire i documenti, ad omogeneizzarli, a farli diventare belli. Ma cosa stiamo certificando un processo? O stiamo certificando la bellezza della espressione scritta del processo? La seconda senza dubbio. Ah! Dimenticavo! Dopo andate a trovare il book con tutti i processi o andate ad aggiornare i processi perché sono cambiate le funzioni di riferimento o i processi stessi. Ah 1 Dimenticavo! E dopo spiegatelo ai vostri collaboratori che lo conoscano per cuore e quando arriva uno nuovo cercate il book e fatteli imparare quei bel processi. Posso dire, cazzate! Ma, vi dicevo che non succede nulla in multinazionale, non ci sono effetti economici, più altro rottura di ciglioni a farli, a rifarli, a riunirsi, diciamo che e normale amministrazione. Invece in piccola azienda può essere veramente drammatico.

una che ma una

Il piccolo imprenditore tende a prendere moto seriamente questi aspetti ed esige dai collaboratori un impegno assoluto a ben riempire i documenti, a ben definire i processi, a ben imparare i processi per l ' esame. Il piccolo imprenditore sempre ci mette cuore in avere dei certificati, dei titoli che alzino il suo ego. Niente di male in teoria. Nella pratica diventa un


disastro. Diventa un disastro perché è una concentrazione di risorse durante settimane e a volte mesi in realizzare questo maledetto book. E mentre le poche risorse sono concentrate su questo, si dimenticava perché cosa ogni mattina si apre la serranda. Si apre per fare business. Non per riempire carta Precisamente perché uno si concentra su altro, il rischio è mettere in pericolo l ' azienda, mandarla a puttane. Non sono scherzi. In uno dei paesi abbiamo dovuto stoppare il processo di certificazione della rete di distribuzione, non ostante ci fosse una forte pressione del headquarter in senso di accelerare, perché avevamo costato che le aziende che si concentravano sulla certificazione, dopo un po' ottenevano risultati deludenti e in più di un caso depositavano il bilancio. Si, una azienda performante, dopo perdere tempo in scrivere le cose che doveva fare, se ne andava a puttane. Il FOCUS e fondamentale in azienda. L' output è l 'unica cosa importante. Fare bene l ' output e quello che differenza una azienda da un'altra, non aver scritto in un bel book con quei belli diagrammi dei processi che non saranno mai realizzati. La qualità sta nell'output, qualsiasi essi sia! Sicuro che ci vogliono dei processi per arrivare all'output e alla miglior qualità di questo output. E sicuro che bisognerà scriverli per tare questo output. Ma questo è molto lontano di scrivere tutta la vita quotidiana di una azienda per il mero piacere di avere un book dove tutto è spiegato. I puristi mi diranno che se le cose sono scritte servono allo stesso tempo per migliorare o modificare le cose che si stanno facendo. per condividere con gli altri cosa si sta facendo e capire meglio il business. Bla, Bla, Bla! Non e necessario mettere sotto sopra una azienda per certificarla con la scusa che questo porterà dei miglioramenti. E meglio farli! E meglio prendere le cose che non funzionano e


migliorarle, ma questo perchÊ ne ha bisogno l ' azienda per fare un miglior output, non perchÊ deve scrivere un maledetto libro. Migliorare l ' output ed i processi forma parte del business, perciò va fatto continuamente. Non e' e bisogno di un book o peggio di un titolo che dice che siamo molto bravi ad scrivere, quando forse l' output fa schifo o non ha niente che vedere con il processo descritto nel book della certificazione. Una azienda non ha altro che il suo output. Proteggiamolo!


6. DIMENTICARSI DEI CONSUMATORI

Non testare i clienti: prodotto, pubblicità... Il principio dell’onnipotenza, di saperlo tutto. Efficace e veloce per mandare l’azienda a puttane, in più e cosi pericoloso che si e esercitato dal Top Management facilmente si espande a macchia d’olio per il middle management ed ogni uno diviene un viceré. Dotiamoci della capacita di sapere tutto, quello che e buono per il cliente, quello che il cliente deve comprare, deve capire e deve conoscere, cosi la prima cosa che facciamo e proprio la prima che ti insegnano in una scuola di commercio o sicuramente in una classe di economia in terza media, cioè, non ascoltare cosa dicono i clienti, anzi per essere più efficaci cancelliamo qualsiasi ricerca, e se qualcuno si azzarda a farne lo mettiamo da parte. Il dipartimento di ricerca del consumatore in una azienda dovrebbe essere il cervello di un corpo, come avevamo detto che la parte commerciale e marketing erano le articolazioni . Senza sapere cosa vuole il cliente, come si evolvono i suoi desideri e impossibile darli quello che vuole,


un altra cosa e ogni tanto azzeccare, ma sicuramente per la legge delle probabilità questo non può divenire una norma di condotta. Cancellare i test clinic durante la creazione di un prodotto, cancellare i test dopo la creazione del prodotto sono azioni che possono portare solo ad insuccessi, a distruzione del valore. Si generano prodotti che sono adatti al gusto di un singolo o di vari, ma che sono completamente lontani di quegli che sono i desideri dei consumatori. Tante volte si confonde risultati passati con risultati futuri. Quanto più forte e la concorrenza e più numerosa, più importante e la conoscenza dei gusti dei clienti, quanto più corto e il portafoglio prodotti o sul numero di prodotti che si gioca il successo di una azienda tanto più importante e la conoscenza di quelli che devono acquistare i gli stessi prodotti o i nuovi. In una sola decisione o un insieme de decisioni o individuali che costituiscono la definizione di un prodotto c’è la sopravvivenza di una azienda. Sbagliatene uno e l’azienda comincerà a zoppare, sbagliatene due e annunciate la sua morte. Il tempo di morte e velocissimo tanti più elevati sono gli investimenti per il rinnovo o la creazione di un prodotto, in questione di uno o due anni il passaggio a la sala operatoria e fatto. Questa morte e derivata non solo nello sbaglio nel prodotto, ma nelle conseguenze a livello manageriale e de decisione che vanno annesse allo sbaglio nel prodotto. Facilmente s’installa nel Top Management il convincimento che i manager che devono eseguire le politiche di marketing e commerciali sono dei incapaci che non sanno vendere, si comincia a cambiarli e i nuovi tornano ad essere incapaci e cosi via. Ma non poteva essere diverso! Non esiste manager che sia capace di far acquistare ad un consumatore una cosa che lui non vuole! In azienda s’installa il convincimento che qualcosa non va, la demotivazione aumenta, i manager si domandano come e possibile non chiedere ai consumatori, devono affidarsi alla intuizione di un Top Manager.


Abbiamo parlato del prodotto che e l’anima dell’azienda, ma c’è anche la possibilità di contribuire alla morte lenta o accelerare la morte dell’azienda se la norma di non chiedere ai clienti per i prodotti la estendiamo ad altri ambiti importanti di una azienda come e la pubblicità. Quella stessa norma insegnata nella prima lezione: ascoltare il mercato, prendiamola e buttiamolo nel cestino. Facciamo la pubblicità che ci piace a noi o che piace a chi deve decidere. Non pretestiamo gli story board, perché tanto il cliente non può capire cosa vogliamo dirli, a che serve? Lui deve solo comprare e basta! Cosi non abbiamo la possibilità di scegliere fra diverse proposte a seconda quale il cliente considera più efficace per portarlo al acquisto del prodotto in caso sia quello lo scopo o a migliorare la immagine se e questo lo scopo o altro. In definitiva, mettere sempre in relazione scopo, mezzo (la pubblicità) e reazione del consumatore. Cosi usciranno delle pubblicità allontanate dai cliente nei migliori dei casi senza provocare delle vendite e nei peggiori contribuiranno a distruggere la immagine di un marchio. E veramente facile, lasciate più intervenienti sulla possibilità di comunicare con il pubblico, più messaggi diversi avrete e più capacita di distruzione riuscirete a creare. Ma la furbizia più importante, e di non protestare la pubblicità. Occhi che non vedono, cuore che non sente! Cosi, anche se non ci sono risultati, sarà facile dire che non e colpa della pubblicità, che si sa che la pubblicità e qualcosa di cosi etereo che non può essere la colpevole di non avere dei risultati, che si deve fare e basta. Cazzate! Cazzate! Cazzate! Tutto deve essere misurato in una azienda, non dico già da parte degli azionisti, ma dei consigli di amministrazioni. Oggi quello che analizzano sono i risultati di vendita, di fatturazione, di risultato operativo... ma difficilmente analizzano le tre o quattro norme per avere successo, cioè quali sono i processi messi in piedi per ottenere quelli


risultati. Non c’ e bisogno di farlo ogni volta, ma di assicurarsi che sono stati messi in pratica i tre o quattro processi di buon senso per assicurarsi che i risultati arriveranno. Il post test e un eccellente elemento che ti da la possibilità di correggere i messaggi, le immagini per poter essere più efficiente. Troppe volte viene sottovalutato. Le grandi aziende investono botte di 1 milione di euro in una campagna, senza la più minima conoscenza de cosa penserà il cliente. Per una decina di migliaia di euro si può stabilire un processo di pre e post test che può fare la differenza fra buttare milioni o guadagnare vendite. La "soberbia" (orgoglio più arroganza) e uno dei vizzi più stessi, sapere tutto di tutto e di tutti. Essere professionista vuol dire utilizzare al meglio i conoscimenti per poter ottenere i migliori risultati. In un altro capitolo ho parlato che la pubblicità e il gioco più importante che ha un amministratore delegato per il volume d’investimento che rappresenta e per la visibilità che li dà. Bene, dategli questo gioco e lasciatelo nelle sue mani senza che questo sia cosi professionale di pre testare e post testare le campagne di pubblicità, cosi darete una ulteriore spinta alla morte dell’azienda. Prodotto, pubblicità, ma anche soddisfazione dei clienti, risultati di immagine, soddisfazione dei nostri distributori e cosi via, non analizzate niente, o fattelo solo per avere dei dati senza dopo farne un seguito o non distribuite i risultati a tutti quegli interessati contribuiscono all’insuccesso. Infatti, all’opposto di questa situazione ci troviamo che le grandi aziende accumulo migliaia di dati che dopo difficilmente sono capaci di mettere a disposizione di una forma che servano per poter portare a dare risposte. Il più facile e prenderli e darli organizzati a tutti i dipartimenti interessati o inserirli in una Intranet a disposizione. Facendo cosi si lascia alla professionalità di tutto il management la capacita di andare a prenderli, analizzarli e portare delle risposte nel loro ambito. Questo e di Manuale,


il problema e che le realtà non funzionano cosi, la maggior parte delle volte si prendono, quando si prendono, si da un occhiata se va bene o male, e nessun piano segue dietro. Questo perché la quantità d’informazione e tale che diviene impossibile digerirla. Più complicato e quando questi analisi sono periodici, a quel punto la capacita di andare ogni volta a leggere i dati e inversamente proporzionale al tempo, ogni volta si va meno a vedere i dati, fino a che non si va più e c’è il rischio che qualcun altro decida di analizzare di nuovo la stessa cosa sulla quale si ha già della informazione. Il dipartimento di analisi dovrebbe essere non un appendice che spende in ricerche statistiche, ma che e la vera Voice of the customer, che propone li analisi da fare, che si assicura che la informazione c’è per metterla a disposizione dei decisori, che i processi ci sono e che fornisce un analisi di questi dati, non puramente i dati, perché a quel punto non c’è bisogno di un intermediario in più. Ci deve essere la consapevolezza che questo dipartimento fornisce i dati di una forma asettica, che legge le risposte e le interpreta di una forma asettica non parziale, non c’è peggio di un dipartimento di analisi sui quali ci può avere un dubbio di parzialità. Zoppare l’analisi e la miglior forma di far regnare la discrezionalità in azienda e tenerla fuori del Mercato. E la via veloce a mandare a puttane l’azienda.

Conoscenza del mercato (TV, Reyes)

To be done Conoscere e conoscere ed ancora conoscere il Mercato. Non c’è niente di più basilare. Diffidate dei geni che si guidano solo sul fiuto.


Consumatori allo stesso tempo E incredibile, ma questa cosa cosi semplice che consiste in pensare che noi stessi siamo dei consumatori dello steso prodotto che produciamo o di altri, è la cosa più difficile di istituire in una azienda. Questa cosa cosi semplice sarebbe quella che permetterebbe veramente fare un salto ad una azienda. Se in ogni decisioni, se in ogni azione, se in ogni modo di attuare, se ad ogni momento ci mettessimo nei pani di un consumatore invece di decidere come dei manager al di fuori della quotidianità si guadagnerebbe in efficienza ed efficacia. Se ci chiediamo come noi reagiremo ad un prodotto o ad una azione della nostra azienda prima di prendere una decisioni molti errori si eviterebbero. Mi sono impegnato moltissimo in questa forma di management, a far vedere ai miei colleghi o collaboratori ad ogni volta che si doveva prendere una decisione che affettasi ai nostri clienti, di chiedersi prima come affetterebbe a noi, cosa ne penseremo, cosa succederebbe. Ma questa affermazione non è bastata molte volte, si è voluto andare avanti come se noi sappiamo quello che conviene ai cliente e attuando come se quella azione o prodotto dovrebbe avere una risposta diversa da loro verso di noi. Una azione ingiusta su di loro non ha nessun effetto, la stessa azione ingiusta su di noi non ha nessun effetto. No quadra. Purtroppo non è cosi, se qualche azienda agisse della stessa forma su di noi, ci incazzeremo. A questo punto, perché non devono incazzarsi i clienti? E la stessa cosa che mi domando sempre e che domando sempre. Ed invece, una riflessione cosi semplice è impossibile di farla diventare automatica.


Questa mancanza di automatismo non è una esclusiva del Top Management, è diffusa da per tutto. Quante decisioni sbagliate si eviterebbero solo con questa semplice attitudine: “quello che stiamo facendo per i clienti, se io fossi cliente, mi andrebbe bene?” O per essere più precisi per i puristi del Marketing, “quello che stiamo facendo per questo target, se io fossi target, mi andrebbe bene?” Domande facili che hanno risposte immediate, la maggior parte delle volte di senso comune. Per esempio se dobbiamo decidere su avere un call center che risponde al telefono in caso di guasto del nostro prodotto che ci ha costato diversi mesi di stipendio e che ci impedisce usarlo o un disco che ci comincia a dare diverse possibilità e che ci permette risparmiare qualche euro come azienda. La decisione automatica è quella di mettere il disco, risparmiamo, è il cliente che si sbaglia si sbaglia numero di opzione, lo fa tutto lui… Invece, se automaticamente pensiamo, se io mi trovo in mezzo del nulla e ho bisogno di aiuto, se chiamo il numero e comincio a sentire una voce di benvenuto, che dopo mi dici prema 1 o 2 o 3, e dopo che ancora devo premere altri tasti e dopo un po ho una persona al telefono, credo che sarei molto arrabbiato come per essere cortese e ripetere l’acquisto di quella marca, non perché il prodotto mi ha lasciato, ma perché non ho trovato un inseguimento “personale” al mio acquisto. Per questo motivo, la relazione soddisfazione versus risparmio può fare che la bilancia vada per la soddisfazione. Sono le piccolezze quelle che costruiscono la relazione con i clienti, sono le piccolezze quelle che aiutano a costruire un prodotto e/o servizio. Sono queste stesse piccolezze quelle che possono far perdere valore all’azienda.

Dei clienti vano persi L’affermazione è forte, ma è cosi. Non serve a niente voler mantenere ad ogni prezzo tutti i clienti. Per, lasciatemi dire,


legge di vita si nasce, si vive e si muore. Con i clienti è la stessa cosa, si trovano dei clienti, sono fedeli e dopo si disincantano. Ho voluto evitare sempre la sindrome Malussène quando ho dovuto gestire il customer care di una grande azienda. Malussène è un personaggio di finzione di Daniel Pennac, scrittore francese che ha avuto successo con una serie di romanzi nei quali è protagonista il signor Malussène e tutta la sua particolare famiglia abitante del quartiere di Barbez di Parigi. L’occupazione del signor Malussène è quella di essere il “capro espiratorio” del customer care in un grande magazzino. Quando un cliente si lamenta, chiamano il signor Malussène che subisce tutti gli improperi dei clienti per cosi questi si sentano ascoltati e possano rimanere clienti. Così a la voglia di intrattenere tutti i clienti la chiamai la sindrome Malussène. E completamente inefficiente dal punto di vista economico. Un cliente insoddisfatto costerà molto caro in termini di compensazioni, costerà molto caro mantenere una struttura che possa dedicarsi a conservare tutti i clienti, già sia interna o in outsourcing, costerà molto caro in motivazione delle persone che lavorano in queste strutture di customer care, può portare a prendere delle decisioni sbagliate nel Top Management ed a una minor responsabilizzazione della rete di distribuzione. Vediamole un po’. La prima cosa da dire è che non ostante le aziende nei ultimi anni abbiano fatto dei sforzi enormi in CRM (Customer Relationship Management) e in una parte di questo che è quella relativa al customer care, non è possibili, o si lo è, la informazione disponibile non è sufficientemente trattata per prendere delle decisioni concrete per un cliente concreto. Il sogno sarebbe poter fare una valutazione one to one di quel cliente insoddisfatto per statisticamente valutare se dovutamente compensato e/o soddisfatto sarà un cliente fedele. Se non costerà caro, perché non ci sono studi sufficienti che indichino che un cliente insoddisfatto che posteriormente è


stato compensato ritornerà ad acquistare i nostri prodotti. Mantenere un cliente insoddisfatto ci costerà caro nel tempo, perché ad ogni problema la sua richiesta sarà superiore o il nostro costo in garanzie sarà mostruoso. Ci costerà caro perché ci dovremo dedicare una struttura importante a trattare un numero limitato di casi, perché vano documentati, vanno richiamati, vano seguiti, vanno controllati… un sacco di persone per pochi casi. Ci costerà caro in termini di motivazione di quel personale che gestisce direttamente i casi o quelli che intervengono nella pratica, in quelli che sono messi in discussione per una loro decisione. I primi perché devono sempre colloquiare facendo buon sorriso a delle persone talvolta esageratamente scortesi e questo giorno si e giorno No. I secondi perché si mette in dubbio la sua professionalità, per carità di Dio, si può sbagliare sempre, ma a quel punto non staremo parlando di un cliente perso, ma di un cliente recuperabile. Non solo, ma la continua pressione in chiudere i casi, in risolverli in fretta fa modificare i piani e i processi del normale lavoro. Ci costerà caro in termini di decisioni sbagliate del Top Management, perché nessuno vuole vedersi scrivere e meno se una risposta è stata negativa. Questo porta a una pressione per il follow up, talvolta più per una volontà di una segretaria preoccupata per chiudere le pratiche che non del Top Manager che lo vede come una formalità. Ma non solo, la informazione derivata dei reports del customer care può portare ad errori senno confrontati con i volumi di clienti in portafoglio. Tante volte si vedono x casi di clienti, ma non si è cosciente della infinitesima parte che loro rappresentano nell’insieme. Portando a pensare che abbiamo un problema più grande di quello che è. Finalmente, un rilassamento nei nostri distributori. Se loro sano che c’è sempre una ulteriore istanza che soluzioni i casi può agire di due forme: la prima rimandando al mittente, cioè provocando la azione del customer care del produttore; la seconda per difetto, agendo più leggermente


sapendo che si c’è qualche problema sempre potrà contare con il produttore che lo risolverà. In entrambi casi si perde la responsabilità di chi deve agire perché tutti processi funzionino e si sia efficiente. So che un cliente insoddisfatto parlerà male ai suoi amici o alla stampa e che questo genererà una ulteriore perdita, ma come in battaglia, purtroppo di perdite ce ne sono e si devono assumere. Quello che si deve fare è che queste perdite siano accettabili. Perché siano accettabili c’è bisogno che ci sia una politica chiara di customer care, definita nei suoi processi e nelle sue decisioni, solo così si potrà essere efficiente. Processi e decisioni che devono essere conosciute da tutti gli attori che hanno da fare con i clienti, per così poter ridare a loro la responsabilità della gestione del cliente e non nascondersi o per omissione non gestire i clienti. In definitiva, per non mandare a puttane una azienda, anche se questo suona a contraddittorio, dei clienti vano persi.

Ignorare la curva del prodotto Ho voluto dedicare un capitolo alla curva del prodotto per la semplicità dell’argomento e perché e uno dei fattori più importanti per mandare a puttane una azienda. Alla fine le aziende si sostentano su quello che vendono che e il prodotto. E di primo corso di carriera, ma anche di senso comune fra tutte le persone, che un prodotto nasce come una novità e per tanto tutti vogliono tenerlo, che dopo il prodotto invecchia per se o perché altri concorrenti offrono dei prodotti superiori e per tanto le vendite diminuiscono e che finalmente il prodotto diventa obsoleto, si vende di meno,


fino a sparire. Questo succede con tutti i prodotti ed e quello che si chiama curva del prodotto, con delle industrie o prodotti con delle curve più o meno ampie nel tempo, ma in definitiva, crescita esponenziale, riduzione graduale e morte. E vero che all’interno della curva il prodotto viene modificato leggermente per ricuperare delle vendite, ma comunque e una fase intermedia che non pregiudica la fine irrimediabile del prodotto. Non vorrei andare troppo in questo dettaglio perché la cosa importante e il concetto proprio di curva. Se queste tre fasi sono vere e lo sono, perché continuiamo a fare dei piani “flat”? Cioè dei piani sui quali il nostro prodotto non e soggetto, o quasi mai solo leggermente, a questa inesorabile legge cosi forte come quella della gravita! Questa si e una forma veloce di mandare a puttane l’azienda. Pensare che il nostro prodotto rimarrà stabile succeda quello che succeda nel mercato, pensare che con maggiori promozioni, con restylings intermedi o con più pubblicità il nostro prodotto si venderà sempre ugualmente. Costruiamo dei budgets con queste premesse e riusciremo a far morire il nostro prodotto ancor prima della naturale morte della curva del prodotto. Come? E semplice, consideriamo dei introiti sul prodotto che mai arriveranno, quando non arrivano i introiti si deve ridurre gli investimenti in pubblicità ed il prodotto esce della shopping list del consumatore, all’uscire dobbiamo ricuperare con quei pochi consumatori che si avvicinano e dobbiamo darli più vantaggi commerciali, dando più vantaggi commerciali la redditività diminuisce ancora di più fino che non so può sostenere al di sotto del costo e il prodotto comincia marcire, a vendersi di meno e la curva esponenzialmente si inverte. La tendenza dei junior manager e a pensare che queste cose solo succedono in teoria, che c’è sempre tempo per ricuperare un prodotto e che la caduta non e mai cosi


veloce come da pensare che non si può reagire. Ed invece ci sono curve di prodotto che durano due anni quando la vita del prodotto e almeno di 7. Crescita veloce, stancamento e caduta veloce. A questo punto abbiamo già sacrificato un prodotto. E alla fine uno potrebbe dire che va be, e solo un prodotto. Ma cosa succede con il prodotto che lo sostituirà? Li ci sono le due teorie: la possibilista del CEO che deve dare risultati e quella che succede in realtà frutto della storia. La possibilista, parte della idea che il nuovo prodotto si venderà ai stessi livelli del lancio del primo, che avremo imparato dei errori, normalmente fatti da un predecessore, e che con quanto imparato riusciremo ad avere una curva quasi piatta per i prossimi anni di vita del prodotto. Troppe assumptions! Troppo semplice! Se fosse cosi ci sarebbero solo prodotti di successo nel Mercato, e questo sarebbe infinito. Invece cosa succede? Primo, il nuovo prodotto partirà da una conoscenza inferiore dell’anteriore prodotto che l’ha ha perduta nel tempo. Secondo, la immagine del prodotto che avrà sostituito sarà inferiore perché questo avrà goduto di sconti incredibili per tal de venderlo e la base dei consumatori che lo acquistano finalmente saranno cosi pochi che il resto di consumatori potenziali penserà che il prodotto e scadente. Terzo, essendo questa base cosi povera, il potenziale di rinnovo del prodotto fra i consumatori che hanno già acquistato il precedente diminuisce, dovendo procedere a conquistare altri consumatori che hanno altri prodotti. Quarto, il valore per questi consumatori che hanno acquistato il prodotto precedente sarà cosi poco dovuto ai sconti di finale di vita, che non saranno capaci di acquistare il nuovo e rimarranno scontenti passando ad altri prodotti. Quinto, non c’è campagna pubblicitaria capace di in un mese o due stravolgere le coscienze dei consumatori se parliamo di un mercato dove ci siano multipli prodotti, solo nel caso che ci troviamo davanti ad un prodotto che e una novità tecnologica nel Mercato, ma una novità stravolgente. Sesto,


non ci possono generare abbastanza mezzi economici per sostenere un lancio capace di ricuperare l’awareness perso durante quattro, cinque o sei anni. Dove ci porta tutto ciò? Ci porta a che se il CEO si e impegnato ad avere una curva piatta o stai con lui o te ne vai o ti manda via. Per l’azienda quello che succede e che il mercato e le regole del mercato sono state sempre li. Se sei stato fortunato ed ci e stata una crescita globale del mercato, anche tu avrai cresciuto almeno in termini di volumi e riuscirai a campare per un po’ fino alla prossima fase di mercato. Se non sei stato fortunato ed il mercato e rimasto stabile, avrai aiutato fortemente a bruciare cash, a spendere di più di quello che avevi pianificato e mandare a puttane la P&L. Se questa e già debole, a quel punto mandi a puttane l’azienda. Pianificare e importante, ma pianificare bene ricavi ed spese lo e ancora di più. Sono ovvietà, ma c’è ne sempre uno di più “saggio” che crede che può con le ovvietà. Le curve di prodotto sono una regola economica, come lo e la elasticità dei prezzi. Sono regole che vanno interpretate e come meglio le interpretiamo miglior valore genereremo e più opportunità di successo avremo. E cosi facile mettere i numeri in un excel, che a volte pensiamo che non hanno nessuna implicazione, che dopo basta con solo modificarli e che affetta solo al excel, che non affetta alla realtà, ed invece le conseguenze sono ben reali.


7. VIVERE DELL’INTORNO

Politica ed industria Niente potrebbe indicare che una relazione fra la politica e la industria sia negativo per il bene di un paese e per il bene della industria stessa. Usiamo il termine politica per riferirci all’azione dello stato a traverso il suo governo. Anticipo che non parleremo cui delle possibili relazioni deviate che si possano produrre fra politica ed industria come finanziamento illegale dei partiti o acquisto di favori. Sono relazioni che si sono negative, ma vorrei parlare più delle condizioni che una, la politica, può creare sull’altra, la industria. Le industrie creano ricchezza, creano posti di lavoro, creano produzione, aiutano ad strutturare il territorio, contribuiscono al benessere comunitario. Una azione della politica che favorisca queste condizione non potrebbe che essere profittevole. Uso il condizionale perché alla fine quello che si produce è l’effetto contrario a quello desiderato.


L’intervento del governo per creare le condizioni di sviluppo di una industria possono essere di due tipi: completamente liberali o regolatore in alcun modo. Completamente liberali vuol dire che il governo attua di semplici spettatore, si limita a creare un marco normativo che serve a qualsiasi industria e che stabilisce le regole del gioco uguali per tutte le industrie e tutti i territori. Non c’è un favoreggiamento di nessun tipo, nessun tipo di discriminazione fra industrie, fra territori. Regolatore vuol dire qualsiasi intervento del governo per minimo che sia sulle condizioni generali, le eccezioni alle regole per capirci. Quando stabilisce condizioni di vantaggio economico per stabilimento in un territorio, quando stabilisce condizioni di vantaggio fiscale per assunzioni di lavoratori, quando stabilisce condizioni economiche per il prodotto, quando stabilisce determinati aiuti alla formazione o alla ricerca per una determinata industria, quando stabilisce barriere doganali, etc. Uno potrebbe dire che queste seconde possono essere fatte con tutta la buona intenzione di proteggere l’impiego, di favorire la crescita produttiva del paese, di migliorare delle zone non industrializzate del paese e cosi via. Si, è vero. Assumiamo anche che dietro queste regolazioni non ci siano interessi partisan di quel partito o quel altro nel governo. Assumiamo che i governi sono dei Leiviatan. Ma è tanto vero che questi aiuti nel medio e lungo periodo non faranno altro che impoverire la industria e mandarla a puttane. Perché? L’aiuto, la regolamentazione del governo non sarà sempre la stessa ed indefinita, un giorno o un altro cambieranno le priorità, i budget si avranno asciugato, la pressione esterna avrà favorito la riduzione di queste regolamentazioni, la concorrenza avrà trovato altre forme di competere, gli interessi dei elettori avranno cambiato e cosi via. Perché questa regolamentazione sia effettiva dovrebbe essere indefinita ed adattativa alle nuove condizione per continuare a supportare quella industria. Purtroppo la prima conclusione è che di indefinito non c’è niente, probabilmente solo la morte.


Infatti la morte ci collega perfettamente all’argomento, perché è cosi che finisce la industria. Perché la industria diviene come un ragazzino sempre coccolato, alla fine cresce viziato e debole. Perché la industria diviene come un infermo che non può fare a meno della sua sonda. Senza volerlo la industria diviene meno competitiva, la industria si addormenta lentamente, la industria intraprende dei nuovi investimenti sapendo che è coperta, la industria non investe più in se stessa ma si allarga, la industria non destina più risorse all’innovazione, la industria costruisce delle fabbriche dove è inefficiente, la industria assume dei operai dove non c’è la formazione e le condizioni territoriali competitive, la industria crede di fare dei profitti dove solo a avuto dei aiuti, la industria crede di essere efficiente dove solo è stata coperta di aiuti, la industria crede di avere un management di primo livello ed efficiente quando questo è stato per lo più aiutato delle regolamentazioni create, la industria crede di avere dei prodotti concorrenziali quando questi sono stimolati per l’offerta e non per una domanda spontanea. Tutto quello che sembrava benefico all’inizio si trasforma in un malsano alla fine perché non si perde solo quello che si e protetto, ma si perde tutta la industria.

Impatti dei cicli economici ed la strategia Tutti i capitoli sono stati dedicati all’interno di una azienda, alla sua essenza, al suo management, alla sua forma di organizzarsi, e nessuno e forse uno dei più determinante a quello del esterno. In termini accademici abbiamo parlato dei fattori endogeni, ma non di quelli esogeni. Una azienda può avere un gran management, una gran organizzazione, un gran prodotto, ma se il ciclo economico non l’aiuta, non avrà il successo che poteva avere. Invece


una azienda che abbia un management scarso, una organizzazione disorganizzata e un prodotto medio, ma con un ciclo economico favorevole può avere un successo che non è frutto della sua azione, ma dell’azione del ciclo economico. Perciò la importanza di sottolineare questo aspetto. La fortuna, che io preferisco chiamare in questo caso ciclo economico favorevole è basilare nel successo di una azienda. Ma ai fini di provare ad analizzare come una azienda deve organizzarsi ed agire, questo è un fattore da estrapolare perché senno ci porterebbe a conclusioni sbagliate. Per portare un simile e come parlare di prezzi correnti o di prezzi deflazionati. Se non togliamo questo effetto esogeno possiamo concludere che quel manager o quel altro sono brillantissimo o che quella azienda o quell’altra sono una macchina perfetta quando forse è tutto il contrario. Cuidadito! Come direbbe un spagnolo. In settori maturi con una forte concorrenza questo è ancora più vero, basta avere il rinnovamento dei prodotti nei momenti che la economia cresce o quel mercato o quel altro crescono per avere successo. I mal pensanti potranno dirmi che il ciclo si deve cercare, purtroppo in mercati maturi, ma oggi nell’economia globale il ciclo economico e difficilmente condizionato per una gran innovazione. Purtroppo la globalizzazione fa si che subiamo o ci dobbiamo adattare che non essere una azienda stessa o un settore dell’economia trainante unico della crescita del ciclo. Le crisi economiche o le discese di ciclo economico vengono più per fattore esogeni all’economia che non per un stancamento di questa. Si può avere un management smart, una struttura semplice, un prodotto adatto, dei nuovi mercati in via di sviluppo, ma se il ciclo economico inverte la tendenza e deraglia, l’azienda se ne può andare a puttane non ostante tutto sia stato ben fatto. Quando in questo manualetto parlo di come mandare a puttane una azienda non mi riferisco a questo tipo di management, anzi, questo


capitolo, unico e forse corto, è un forte grido a saper discernere fra i fattori esogeni ed endogeni. Si può avere un management incapace, o anche capace, con una struttura complessa che deve solo semplificare, con una serie di prodotti in forno che solo deve semplificare, con una serie di non sinergie nella parte dei costi, con una presenza che solo deve semplificare ed avere un ciclo economico favorevole per essere esaltato come il miglior manager o il miglior caso di scuola. Attenzione! Cuidadito! Estrapoliamo il ciclo è vediamo che cosa ne resta. Tutto per concludere che il fattore necessario è fare le cose che si devono fare, agire, semplificare, condurre, tutto quello che abbiamo visto che non si deve fare, possiamo creare le condizioni ed impedire ai mediocri che prosperino. Ma questo non è purtroppo sufficiente per avere successo, manca il fattore ciclo economico favorevole. In ogni caso agire come si deve agire anche in momenti di ciclo economico sfavorevole contribuirà a mantenere l’azienda viva, in caso contrario solo sarà un fattore acceleratore per mandare a puttane l’azienda.

"SOBERBIA" NAZIONALE (orgoglio più arroganza) To be done In questo capitolo non parlerò della soberbia nazionale nell’azienda, ma della soberbia nazionale del paese che influisce sopramanera nei manager dell’azienda. L’intorno nazionalista (appartenente a una nazione ed una cultura)


condiziona ai manager.

Vivere dei aiuti In una economia di Mercato e questo ultimo chi deve regolare le attività. Nel momento che lo Stato interviene in sostegno per effetto o per difetto in un settore condanna questo stesso settore. Vivere protetto, a parte di essere più facile sopravvivere, genera una falsa sensazione di successo. Il problema e che questo non e frutto delle forze dell’azienda ma di un intorno favorevole creato artificialmente e destinato a finire un giorno o l’altro. Non c’è bisogno che sia un aiuto diretto ad una azienda in particolare, basta che sia un settore perché l’azienda leader nazionale alla quale si vuole proteggere possa sopravvivere. Attuando cosi, lo Stato, l’unico che fa e posporne la morte. Ne pospone la morte, perché durante questo tempo l’azienda non intraprende le modifiche strutturali che dovrebbe realizzare, perché qualcosa dovrà cambiare se l’azienda e in crisi e si ha dovuto aiutare il settore. Questo intervento invece di aver lasciato che le condizioni di Mercato avessero lasciato accelerare i cambiamenti, provoca questa falsa illusione che tutto adesso andrà meglio ed andrà meglio per sempre con la stessa struttura e la stessa strategia. Niente più lontano, forse quello che farà e approfondire ed accelerare la morte dal momento che questi aiuti finiscano. Accelererà la morte non solo perché l’azienda continuerà ad essere inadatta alle nuove condizioni di Mercato, ma perché il management si sarà addormentato, avrà lavorato per ottenere il meglio durante questo periodo di protezione, avrà continuato con la sua strategia perdente e non sarà più dinamico, fast thinking


per cambiare marcia e trovare altre strategie in queste nuove condizioni. Questi aiuti normalmente sono indirizzati a mantenere la struttura, a mantenere i posti di lavoro, per questo stesso motivo il Governo non può autorizzare da una parte che stia dando aiuti e dell’altra che si proceda a riorganizzazioni che comportino delle riduzioni di personale. Ma inevitabilmente deve essere cosi. Perciò invece di spostare nel tempo la crisi aziendale e meglio affrontarla presto per essere più preparati nel futuro. La economia e fatta da cicli, ogni uno più alto del precedente, perciò in qualche forma ammortizzatore del precedente. Se ammettiamo questo principio dobbiamo dare la flessibilità necessaria perché le aziende possano adattarsi a questi cicli accompagnandogli, non sprofondandoli. Non intraprende questi adattamenti nel momento che una azienda si confronta a difficoltà di Mercato e condannarla a medio termine. Non poter farlo perché c’è un intervento dello Stato e ancora peggio. Che lo Stato pressione per mantenere in piede una organizzazione impedendo la sua ristrutturazione non può fare altro che favorire la morte dell’azienda. Tenerla sempre sotto respirazione assistita non e possibile, sia per i costi che genera al resto del Sistema, sia perché alla fine i Governi hanno mandati di quattro o cinque anni. Questo assistenzialismo genera due altri effetti perversi: il primo, non potendo aiutare una azienda ma un settore, non e detto che sia l’azienda leader quella che ne beneficia di più, può darsi che lo intero settore cresca ed invece in termini di quota l’azienda presumibilmente aiutata si mantenga o addirittura ne perda. Si questo succede, e chiaro che la situazione non e tanto derivata dal Mercato come di una mancata adeguatezza dell’azienda alla nuova situazione. Il secondo effetto perverso, meno visibile e meno percepibili, e la diminuzione d’immagine dell’azienda aiutata in quel settore. Non e un effetto immediato, ma si


questi aiuti sono prorogati nel tempo ed in qualche forma qualcuno li deve stare pagando, e non può essere altro che la comunità di cittadini, si semina un rifiuto per questa azienda e le sue Marche. Questo rifiuto che non e stato generato volutamente, ma al contrario, quello che si pretendeva era proteggere i posti di lavoro e l’effetto collaterale più dannino. Il più dannino perché la solidità di una azienda si bassa nella sua immagine e in quella dei suoi prodotti. Si prevale questo sentimento che l’unica cosa che si fa e aiutare a una azienda invece che alla collettività e nefasto per la continuità di quella azienda. Avendo perso l’immagine o avendo incorporato alla sua immagine un tratto negativo come quello che e stata aiutata ed aiutata grazie a tutti, ma che non ne abbiamo ottenuto un risultato per tutti, accresce l’avversione ai prodotti e chiaramente favorisce la discesa di quote di Mercato. In più si producono altri due fattori: il primo, che come e cosi impercettibile e difficile d’affiorare nelle indagine, quello che si fa e centrarsi in altri aspetti dell’immagine e non si agisce sulla radice, che e questo allontanamento fra quella azienda ed i consumatori. Il secondo fattore e che generando questo rifiuto e grazie ai aiuti al settore, questi consumatori hanno più facile accesso ad altri prodotti di altri concorrenti nel Mercato, favorendo l’aumento della domanda, ma di quella lasciatemi dire non desiderata. Cliente perso in tanti casi definitivamente, produzione nel paese persa per sempre. Perché cosi facendo si e anche rafforzata la presenza di questi competitors che in situazione possibilmente migliore all’azienda aiutata si saranno rafforzato in quel Mercato senza bisogno di destinare grossi sforzi perché e lo Stato chi li sta supportando per tutti, ma migliorando anche la loro competitività in altri Mercati perché quelle risorse inizialmente destinate a quel Mercato possono essere destinate ad altri Mercati sui quali migliorare le loro posizioni a discapito della stessa azienda aiutata. Non c’è miglior regolatore che il Mercato, sia nel caso di aiuti ad un settore perché si vuole aiutare un’azienda particolare o semplicemente si voglia aiutare un solo


settore. Abbiamo analizzato gli effetti nel primo caso che sono nefasti per l’azienda a chi si voleva aiutare. Nel secondo caso e tutto un settore che si immobilizza, non innova, non ristruttura, non si adatta ai cambiamenti e finisce finalmente per trascinare tutti nel momento che gli aiuti sono finiti. Vivere permanentemente sotto qualsiasi forma di respirazione assistita non può essere buono, fa solo che l’azienda non affronti i cambiamenti che deve fare e agire sulle aree identificate come quelle che l’hanno portato a quella situazione critica. E duro dirlo cosi, ma non c’è altra forma conosciuta di agire. Tante volte sentiamo l’argomento quando dobbiamo aiutare a qualcuno o qualche paese in fame che non dobbiamo darli i soldi per mangiare o direttamente del mangiare, che quello che dobbiamo fare e insegnarli a pescare, a coltivare a produrre, insegnarli per cosi dopo poter essere indipendenti e crescere con le loro proprie risorse. Questo che e detto da Governi di ogni simbolo politico, nel momento che si tratta dall’economia nazionale, di un settore in crisi o di una azienda in crisi si dimentica. Quello che devono fare i Governi e creare le condizioni di crescita generale di un paese, dove li ogni cittadino incontri le possibilità di prosperare, sia già individualmente sia già in forma di azienda. Il Governo deve creare il marco dove poter svolgere una attività individuale, deve creare il miglior insegnamento adattato ad un Mondo cambiante, le miglior strutture sanitarie per prevenire e curare i suo cittadini, assicurare un marco legale, assicurare delle condizioni di cittadinanza e di sicurezza, creare le infrastrutture che permettano lo sviluppo del commercio, della mobilita delle persone, una struttura impositiva giusta che non freni lo sviluppo, etc, etc. Ma in nessun caso deve intervenire sull’evolversi dell’economia, deve lasciare che le aziende nascano, producano, muoiano, rinascano in forme diverse, si trasformino... quello sarebbe il camino virtuoso per il quale si può creare ricchezza.


Arrivati cui uno si può demandare che cosa ha che fare questo capitolo più di politica generale nel Manualetto per mandare a puttane una azienda. Lo avete capito, muoversi in condizioni di protezionismo fa si che il Management sia offuscato per quei risultati immediati e non intraprenda le trasformazioni o cambiamenti necessari per adattarsi al dopo aiuti. Peggio e quando questi aiuti sono istituzionalizzati nel tempo. Il Management sapendo che può contare sempre su di loro può agire in due forme: prima, non facendo niente e lasciare che la morte arrivi lentamente avendo almeno vissuto pazzamente durante quel periodo più o meno lungo; seconda, deviare quel profitto generato per altre attività non incentrate nei veri problemi e/o errori fatti in azienda e provocarne la morte più veloce, anche con la stessa batteria d’aiuti. Mi viene a volte nel pensiero che una possibilità sarebbe quella che lo Stato, il Governo, aiuta il settore ma obbliga alla ristrutturazione dello stesso. A parte della difficoltà di inserirsi in una azienda per decidere quale sono o non sono le riforme, cambiamenti o scelte da fare. A parte il problema di dover raddoppiare le persone per farlo, le proprie conoscenze delle persone per poter agire. A parte la impossibilita di agire su tutto il settore anche perché le aziende interveniente non sono solo quelle nazionali. Introdurrebbe solo un altro fattore regolatore ed uguagliatore che non potrebbe fare altro che impoverire il sistema. Infatti il sistema liberale e basato nella differenziazione, nelle opportunità generate per questa differenziazione. Non dimenticate mai che il pane per oggi può essere la fame per il domani. Nei casi di settori in crisi, di meccanismi di aiuto più o meno permanente, fatte attenzione a creare le basi per una nuova strategia.


Nuove tecnologie Parlare di fattori esogeni e non parlare delle nuove tecnologie sarebbe dimenticare il fattore che ha influito di più nella produttività dei manager. Non parleremo in questa ultima parte dell’effetto delle nuove tecnologie come acquisto de hardware o software da parte delle aziende o delle lotte fra i dipartimenti di II con il resto dell'azienda, delle diverse visioni fra dipartimenti con quelli commerciale che vogliono tutto e subito e quelli di II che lo vogliono ma step by step. E vera che questo e sempre fonte di discussioni e di disincontri. E vero che questi investimenti sono molto forti e che possono rimettere in pericolo la sostenibilità delle aziende. E vero che hanno effetto su come i manager agiranno in fronte alla informazione. E tutto vero, ma mi sono proposto di fare lU1 po’ di umore in tutto il Manualetto e vorrei finire con questo . Vorrei finire con un esempio dell'assurdità che rappresenta non conoscere le nuove tecnologie al suo livello più basico da parte dei primi livelli di management. Non inventerò, non drammatizzare, semplicemente riporterò una vivenza diretta e recente. Il più grave è che è recente, non all'inizio d' internet, Prendiamo una situazione riproducibile in qualsiasi grande azienda che tra i suoi obbiettivi a: lavorare con il minimo di risorse perciò condivisione di segretaria quando una e assente; utilizzo dell'email come fonte de colloquio e decisione aziendale perciò l'uso di outlook o lotus notes o qualsiasi altro mezzo di posta elettronica; per non parlare di intranet come fonte d' informazione. Prendiamo una segretaria che assiste il suo capo, un primo livello, e allo stesso tempo la segretaria del suo superiore, un President, perché la propria segretaria quel giorno è in ferie. "Normal business". I due capi non lavoro con outlook. I due capi sono di eta intermedia 4555. I due capi si fanno stampare tutta la posta. I due capi una volta stampata o scrivono delle note per rispondere o dettano delle note alla segretaria per rispondere. "Normal business". Gli uffici anche vicini sono separati. "Normal business". I computer sono diversi, e chiaramente su uno


non si può leggere la posta dell'altro. "Normal business". Tutto troppo normale, il piÚ bello e la scena. Direttore che chiama la sua segretaria, li chiede di mandare una email al President chiedendo una risposta. La segretaria che dal suo ufficio, che dal suo computer con la posta del capo scrive la email. Segretaria che va dal computer del President in un altro ufficio e che stampa la email del Direttore. Email che da al President e che questo risponde al Direttore. Segretaria che scrive la risposta nella email del computer del President. Segretaria che corre all'altro ufficio, apre la posta e stampa risposta del President al suo Direttore! E cosi via... per non parlare dei commenti a voce o dei umori del 'uno o l ' altro. Assurdo? Vero! E cosi che si mandano a puttane le aziende. Non fattelo!

Schiena all'innovazione To be done In epoca di cambiamenti, per un Top Manager, è piÚ facile cancellare un programma che voler capirlo.


8. 10 CAZZATE D’EVITARE PER AVERE PIÚ TEMPO

La domanda è più tempo per cosa? Ma li lo lascio ad ogni uno, anche se io penso che e più tempo per muovere il culo e creare più valore per l’azionista. Di cazzate c’è ne sono tante da eliminare ed ogni uno può fare il suo elenco, veramente semplici, pararsi un momento a pensare e provare ad eliminare, definitivamente, 10 cazzate che ogni uno sa che fa e che li impediscono di muovere il culo dalla sedia. Ho detto definitivamente, perché tante volte eliminiamo le cazzate, ma dopo ritornano. 1.2.3.4.5.6.7.8.9.10.-


Piccoli passi, ma decisioni che ci porteranno a migliorare il nostro management, aver creato valore per l’azienda, e riuscito a mandare meno a puttane l’azienda eliminando le nostre cazzate.


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