Renato Mambor - Storytelling

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Renato Mambor

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STORYTELLING Edited by Gianluca Ranzi

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Renato Mambor STORYTELLING Italian Cultural Institute 39 Belgrave Square London SW1X 8NX

From 14 April to 15 May 2011

Director of the Italian Cultural Institute

Edited by Gianluca Ranzi

Carlo Presenti Figurative Art Expert

Critical Texts Gianluca Ranzi Achille Bonito Oliva

Rossana Pittelli Director Assistants

Organization Italian Cultural Institute, London Art Time srl, Brescia

Rita Verardi Paola Bottini

Graphics Coordination Marzia Spatafora Graphics Design Lisa Camporesi Critical Texts’ Translation Natalia Paparelli

We would like to thank Pino Pietrolucci With the patronage of:

Claudia Rittore Petra Verschuere Patrizia Speciale Elisa Berrettoni Francesco Boni

Translation editing Silvia Velardi

Mehran Zelli

Trasports Art Service, Verona

Gabriele Boni

Photo Research Bernardo Ricci

Miria Vicini Manfredi Nicolò Maretti Marisa Morello Carlo Ripa di Meana Marina Ripa di Meana

Quality Control Maria Paola Poponi Heartfelt thanks for granting the works of art

arteventiquattrore

Heartfelt thanks for the joint work

Fondazione Valerio Riva

Clotilde Arcelli Riva Giorgio Gambino


Renato Mambor


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Contents The Storyteller by Gianluca Ranzi

p.

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Sculpture objects and installations

p. 33

Borrowing from Infinity by Achille Bonito Oliva

p.

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Works first part

p.

77

Biography

p. 121

Works second part

p. 135

Exhibitions and theatre

p. 187


As the Italian Minister for Foreign Affairs, I notice wherever I go in the world, among all the people I meet, a great passion, curiosity and a genuine interest towards our culture and lifestyle. This way, an old conviction of mine is strengthened: Italy, in foreign affairs – thanks to its peculiarities and its cultural resources – can suggest new ways of dialogue, more effective and lasting strategies for peace stabilisation in areas at risk of war or already in conflict. That is because it is a prerogative of a culture to put together individuals, peoples, nations and at the same time to protect them, strengthening the awareness of their identities. As the Italian Minister for Foreign Affairs, among the several tasks, I particularly care of the overall image and the promotion of our country in the world, that is to say a mission that can only be accomplished through the care and promotion of our culture. To tell the truth, this is a challenge that Italians should feel whenever they get in touch with other cultures and different societies. Renato Mambor – an always brave and consistent artist throughout the decades – accepts this challenge, bringing to the Italian Cultural Institute an exhibition which speaks the language of the whole mankind: Storytelling. The stories rendered by his faceless shapes seem to me exactly the symbol of the contemporary person who has lost the individual identity and desperately tries to get it back through an analytical observation. Art, as Mambor suggests, makes us aware of our lost integrity and shows us the possibility of being once again in unison with nature and with the society we belong to: this is the unity that warrants a positive outcome of the huge future challenges, mainly delegated to the intellectual work, the innovation, the knowledge, the opportunities offered by our language and especially to the resources of creativity supported by the most recent technology. The great artists of the past, who have managed to unfold the human condition and turn it into beauty, have handed over to the new generations the hard task to gather that universal creativity that has made the Italian culture presence in history irreplaceable, and adjust it to the present day. These are just a few of the reasons why I cannot but encourage and support the initiatives of our Cultural Institutes around the world, which enable a balanced encounter between different cultures, offering a complex and perspective view of the vitality of the Italian culture in universal geographies. Franco Frattini Minister of Foreign Affairs

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Come Ministro degli Affari esteri italiano riscontro ovunque nel Mondo, tra le molte persone che incontro, una grande passione, una curiosità ed un interesse autentici nei confronti della nostra cultura e del nostro stile di vita. Così è nel tempo rafforzata una mia antica certezza: l’Italia, in politica estera - proprio ricorrendo alle sue peculiarità e alle sue risorse culturali - può suggerire nuove forme di dialogo, più efficaci e durature strategie di stabilizzazione della pace in territori a rischio o già teatri di conflitti. Perché è prerogativa della cultura quella di unire le persone, i popoli, le nazioni e nel contempo di proteggerle rafforzando la consapevolezza delle loro identità. Tra i tanti compiti del Ministro degli Affari esteri sento quindi in modo particolare la cura dell’immagine complessiva e della promozione del nostro Paese nel Mondo, una missione che non può essere svolta altrimenti se non attraverso la cura e la promozione appunto, della nostra cultura. Ed è una sfida che, ad onor del vero, dovrebbe sentire come propria ogni italiano che a vario titolo entra in contatto con altre culture e altre società. Renato Mambor - un artista da decenni sempre coraggioso e coerente - raccoglie questa sfida, proponendo all’Istituto di Cultura Italiano di Londra una mostra che parla il linguaggio dell’umanità intera: Storytelling. I racconti interpretati dalle sue sagome senza volto a me sembrano proprio il simbolo dell’uomo contemporaneo che ha perduto la sua identità individuale e che attraverso l’osservazione analitica cerca disperatamente di recuperarla. L’Arte, suggerisce Mambor, ci dà la consapevolezza dell’integrità smarrita e ci indica la possibilità di tornare ad essere un tutt’uno con la natura e con la società di cui siamo figli: questa è l’unità che garantisce una soluzione positiva alle grandi sfide future principalmente demandate al lavoro intellettuale, all’innovazione, alla conoscenza, alle opportunità offerte dalle nostra lingua e soprattutto alle risorse di una creatività incrementata dalle piú moderne tecnologie. I grandi artisti del passato che hanno saputo spiegare e trasformare in bellezza la condizione umana, hanno consegnato alle nuove leve il difficile compito di raccogliere e adeguare alla contemporaneità quella creatività universale che ha reso insostituibile la presenza culturale italiana nella storia. Questi non sono che alcuni dei motivi per cui non posso che spronare e sostenere le iniziative dei nostri Istituti di Cultura nel mondo, i quali permettono un equilibrato incontro tra culture diverse, offrendo una panoramica complessiva e prospettica della vitalità della Cultura italiana in geografie universali. Franco Frattini Ministro degli Affari Esteri

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The Italian Cultural Institute in London opens up the door for one of the most representative contemporary Italian artists: Renato Mambor. Coherent interpreter of an international pop language, from the quest for a language zeroing to the self-reference of his latest works. STORY TELLING asserts the dialoguing capacity between work of art and spectator, a visual performance constantly lit up by a balanced energy. Mambor’s painting is essential, minimal, universal. Choosing Mambor for this important exhibition in London, where Pop Art was born in 1958 - in America in 1960 and in Rome in 1964 - is the natural consequence of the acknowledgement of the centrality of contemporary Italian painting in the world. A collection of selected and refined works that illustrate the personality of the great Roman maestro: success is far-fetched; it originated in the Sixties, years of experimentation, freedom of thought and most essential painting gestures, later on enriched thanks to theatre and cinema experiences. Mambor experiments all the arts on the great stage of life, making his research more and more perfect. Of utmost importance is the anthological exhibition at Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome in 2006 and 2007 Venice Biennial Exhibition. With Mambor, the city of London recovers that guiding principle linking Italy, England and the rest of the world, where the artist mirrors the meaning of contemporary life, marked by balance super partes and conceptual and newly figurative art. Painting is a form of communication and Mambor’s work is that of those artists who decline life and little everyday gestures like simple, universal truths that belong to us, with the ability to observe, tell and ponder, the simplicity of being absolute protagonists of contemporary international art. Carlo Presenti Director of the Italian Cultural Institute in London

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L’Istituto di Cultura Italiana a Londra apre le porte a uno degli artisti italiani contemporanei più rappresentativi: Renato Mambor. Interprete coerente di un linguaggio pop internazionale, dalla ricerca di un azzeramento linguistico fino all’autoreferenzialità delle opere recenti. STORY TELLING conferma la capacità di dialogo tra l’opera e lo spettatore, una performance visiva illuminata costantemente da un’energia equilibrata. La pittura di Mambor è essenziale, minimalista, universale. La scelta di Renato Mambor per questa importante esposizione a Londra, dove la Pop Art nasce nel 1958 - in America nel 1960 e nel 1964 a Roma - è la naturale conseguenza del riconoscimento della pittura contemporanea italiana nel mondo. Una collezione di opere scelte e raffinate che illustrano la personalità del grande maestro romano: il successo nasce da lontano, da quegli anni Sessanta di sperimentazione, di libertà di pensiero e di una gestualità pittorica più scarna che si arricchisce negli anni seguenti con le esperienze del teatro e del cinema. Mambor sperimenta tutte le arti nel grande teatro della vita, perfezionando la sua ricerca. Importanti sono l’antologica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 2006 e la Biennale di Venezia nel 2007. Londra ritrova con Mambor quel filo conduttore tra Italia, Inghilterra e resto del mondo, di cui l’artefice stesso esprime come in uno specchio il senso della vita, una contemporaneità condita da un equilibrio super partes, concettualità e nuova figurazione. La pittura è comunicazione e l’opera di Mambor appartiene a quegli artisti che declinano la vita e i piccoli gesti come verità semplici e universali, che ci appartengono, con la capacità di osservare, di raccontare e di riflettere, la semplicità di essere grandi protagonisti della pittura contemporanea internazionale. Carlo Presenti Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Londra

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ÂŤ... In order to see better, he has stopped looking, and his blindfolded eyes have opened up an abyss of new, marvellous sense, poured in his paintingÂť.

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... Per vedere meglio egli ha smesso di guardare, e la benda che si è posto sugli occhi ha aperto una voragine di nuovo senso e di meraviglioso che egli oggi riversa a sua volta nella sua pittura.


Marzia Spatafora e Gianluca Ranzi 16


The storyteller by Gianluca Ranzi

Renato Mambor’s painting and sculpting, with continuity and coherence, in the past forty years, seems to have set an outbound listening area, which does not mirror the subjectivity of the author, but works as an amplifier of the multiplicity surrounding him. Mambor is one of the most significant voices of the Italian figurative experience of the second half of the XX century; grown up as an artist in Rome in the late Fifties, in close contact with a various and continuously expanding reality, striving to leave behind the linguistic problems and the difficulties in content of the declining season of Informal art. If in Informal art the ritual of the gesture was necessary to recover the organic and dynamic origin of life by the mediation and the reflection of the artist’s own existence, from the end of the Fifties on, a new vision of art is at work, and is leaving from the analysis on life of the single being, aiming at losing the search into the self, choosing to work on the world’s surface and, just like Mambor, on bi-dimensional character of his painting. His work, cleaned up from the artist’s Self, thus becomes Mambor’s searching area, cold because it reduces art to mere mind principle, yet it burns when choosing to speculate on an object, the human being and the perceptive modes of his relations, and gets started with the cycles of 1961 Segnali Stradali, 1962 Uomini Statistici and 1965 Ricalchi, that eminently anthropological space which finds in itself its own metaphysics and purpose, and lets the observer organise the relations between the no-dimension represented objects in the wide and free space of the canvas. From those years on Mambor makes the image pass through an emotion-neutralizing filter which re-establishes it back to its absolute value, not corrupted by subjective interpretation, and makes it turn into an eloquent and purest sign of communication, a shadow of reality handed over to the observer’s senses, so that he can charge it with meaning. Since then, bi-dimensional images defined by a clean and essential black trait, mental colours filling them are laid against the indefinite background, left up to industrial texture of rough canvas, the complex has neither tone nor volume, nor gradation, depth, perspective. This anti-hierarchy and multiple space replies, even now, to a mind pattern emerging from the very words of the artist, ‘In my painting the skin is rough canvas, wooden structure, where the images are not tattooed but stuck in continuous and diverse relations’. Thus the artist, deleting himself, backing down, lets the painting or the installation fix themselves, as if the artwork, out of magical and subsequent steps, generated itself in its otherness, or better,

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contacting the observer’s glance. The artist’s self is thrown away as arbitrary and intrusive, kept at a distance because of the presence of a trace of existence, not depending on his will. It is peculiar to notice to what extent this aesthetic stance owns a paradoxical meaning philosophically speaking, as if the entire intellectual building, the base of Mambor’s work, were founded on a paradoxical principle. In fact, as seen, if the starting point of the work lies in the neutralisation of the subjectartist, the entire operation will start from a clear “ignore thyself”, said to its own creator. Yet the next step, fixed on work and public, definitely gets under the aegis of “know thyself”, which is consequently integrated by “know thyself in relation to the multitude surrounding you”. The outcome of this process, according to the best and most desirable end, is the achieved goal of forsaking a stale and self-referred interiority and to go throughout the world differences. Starting with the above-quoted cycles of the early Sixties, derives an evident attitude to consider the relationship between work and user as a swinging dialogue, never ever fixed, a mobile visual exercise awarding criticism of consciousness upon the easy and passive looking by eyes. Mambor finds an antidote and a correcting medium to heal a world area crammed with images artificially produced to influence the social behaviour. The artist opposes, to the image inflation, now and then, the basis of a new listening area ‘moving towards the consciousness of a new lay plea’, which fixes and gets through the junctions between human beings, passage, transition, mutation, coexistence of opposites, coincidence of life and motion. ‘Lay plea’ well interprets the features of a voyage made by art and that art makes its globetrotter go on: an initiation journey which is not an itinerarium mentis in Deum, but which is a lay ordeal nevertheless crossing something sacred, because somehow its starting point is the very place of sacred, of continuity of opposites, of fluidity of consciousness. Renato Mambor’s works gather around an artistic will using painted images or installations, and eventually their relationship with objects or sets chosen by the artist and scattered in order to let dialogue bloom, as the most efficient and fast media to be defined as contents of mind. From this point of view the painted image becomes a concept made essential, visible with least expression and energy effort and consequently saving the idea. As Paul Klee wrote, art is thought, bildnerisches Denken, a thought to be questioned and detected. It is necessary to do that because in art figures something is conveyed, something which cannot be transmitted otherwise. Hence, if for the images appearing in Mambor’s works we can speak of mimesis, the same is not valid for the natural data and the physical characteristics defining this or that painting, this or that represented action, but concerns an ideal position shaping reality from the universe where it usually is, and offers it on a superior level zeroing differences, re-establishing relationships, making exchanges easy, favouring the awareness of feeling part of a whole.

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When Mambor says that everyone is on the same level, he refers to the relational contiguity binding beings and matter together. This way he reacts to the illusion of separation, to vacuum and unconsciousness surrounding us besides to the silly conviction that a superior history or truth overwhelming the others does exist. The space set by art allows Mambor to find a visual metaphor illustrating this detecting position, which is like seeing from up above, just like a box which can contain all possible stories, under a perspective letting everyday reality be a part of the whole, and the feature as an extension of its communion with the universe. There can only be plural “philosophical positions”, borrowing one of the luckiest titles by the artist, echoed by the multiple positions of the painted human silhouettes, each of them well-oriented and pondering in a different pose, yet solid and lain upon the same surface. The struggle between positions does not open an abyss onto their differences, but shows the mutual intimacy between fighters. Such a contouring line, drawing en aplat figures and objects, attracts and never repels the contestants towards the origin of their own unity, because of their fusion within nature. This profile, contouring the single and relating it to the others, thus draws the fundamental traits of the illumination of the being: it does not let the opposites be torn by splitting, but inserts the contrast of measure and limit in only one line. As Mario Trevi says, when the scientist talks about man, he explains in order to understand, while the artist understands in order to, eventually, explain. Mambor knows that man loves tales, that he enjoys telling and listening to stories, making them our homes. We live inside and through stories. They evoke worlds, create connections, lead to meeting and confrontation, and inform our life. The artist’s work, thanks to his forty-year-coherence, shows to what extent we all live through stories, and are lived by them, by those of our ethnic, social, family, religious, political, etc., group. They give sense to our existence and path, let us be what we are, build up new worlds and light up hopes for the future. Mambor’s art starts from this extraordinary crossroads of experiences, always trying to create new dimensions of communication and confrontation, nourished by the will not to subside and suffer the presence of chaos, in the current meaning of confusion and devaluation. Melville wrote, ‘Truth uncompromisingly told will always have ragged edges’. That peculiar “knowledge by images”, which Leopardi set as corrective of pure reason, lets Mambor give shape to those very “ragged” edges, enclosing a physical space opening onto the metaphysics of thought, by a threshold no longer barrier and obstacle, but transitional space where, as Benjamin said, “mutation, passage, tides, meaning are in”. It would not be profitable to definitely name his symbols, since his images are not symbols and do not work in a shifted way in order to represent something which is not physically there. They have value by themselves and represent a new foundation of their being in the world. It is rather worth acknowledging the methodological aspect by which these images

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work on the spectator looking at them. On the threshold designed by the artist and marked off by its “sacred enclosure” where touchable and untouchable, animal and human, subject and object, love and death are not experienced as unyielding opposites but as fluid continuous becoming, it is possible to think over our own identity as a line, cancellable yet subject to change, facing the world and changing beings. The space of freedom that Mambor’s art discloses is immense: it goes beyond the issue of human self-determination, leaving it behind by presenting a painting where the subject is free because it is finally closer to those deep and super-individual modes of existence, to that “being fused (Verwobenheit) with the world of the senses” said by Karoly Kerényi about that highest value the myth refers to. Mambor thus reverses the perspective of a locked world and shows the opportunity of change and fluidity of positions, recalls the awakening of consciousness against the general anaesthesia, incites to inhabit the limit, boundary, a place other which becomes starting threshold for a journey along the unlimited paths converging and diverging from that extraordinary crossroads of existence. Even in Mambor thought and vision coincide, condensed and overlapped in artistic space, materialised in the “abstract” silhouettes of sculpture-objects, fixed in the frontal bi-dimensional painted faces. The mystery of these thought images lies in the fact that the artist-seer is capable of getting and conveying a repertory of shapes and connections grasping the far-fetched shimmering light from the territory of otherness, but is just so close in shapes in which the human being can catch himself in a situation where the individual existence is spread into a wider consciousness, enclosing every shape, fused with the world (Verwobenheit), prototype for a more consciously authentic future. The contemporary society of the spectacle has institutionalised a civilization of images and goods easily reduced to fleeting presence, inconsistent and mystifying a flat television image which has both vulgarised and corrupted certain aspects of the external world, such as politics and costume, and has flawed individual consciousness in terms of both moral anaesthesia and checkmate of the minimum of critical surveillance. In a generic landscape not only stimulating but also awarding a dull living, exclusively given over to triviality and daily affairs, the artist opposes a careful living, thinking and understanding, penetrating and catching the sense of things through its “being fused” with the history of culture and of the state of nature. If the assimilating and manipulating power of today’s society empties up the artistic dimension of its otherness, Mambor resuscitates the magical-spiritual power of art to oppose a denial to present, in order to start thinking about a possible future. His images, for this reason, have got antagonistic strength to refuse and confute the constituted order and induce that “estrangement effect” (Verfremdungseffekt) nurtured by

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Bertolt Brecht and wished by Herbert Marcuse. Poetry and art thus become the very holocaust of images forcefully proposed, in order to build up, with the rests of these ruins, other possible and more desirable worlds: this is their very reason, justification and duty. Thanks to this splitting from the trivial world we live in, and by his images devoid of sense, Mambor indicates how it could be recognised for what it is, by producing a short-circuit for which ‘the things of everyday life are lifted out of the realm of the self-evident’ (Brecht, On Theatre, 1957) in order to be thrown to sail the mare magnum of the depth of consciousness.

Alain Fletcher, Renato Mambor and Fabio Mauri in “Fermata d’Autobus”, exhibition edited by Achille Bonito Oliva

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Il narratore di Gianluca Ranzi

Il lavoro pittorico e scultoreo di Renato Mambor, con continuità e coerenza, sembra da quarant’anni dar luogo a uno spazio d’ascolto proiettato all’esterno, che non riflette la soggettività del loro autore, ma funziona come cassa di risonanza del molteplice che lo circonda. Mambor è una delle voci più significative della cultura figurativa italiana della seconda metà del XX Secolo, formatosi artisticamente a Roma alla fine degli anni Cinquanta, a contatto con una realtà multiforme e in continua crescita che cercava di lasciarsi alle spalle le pastoie linguistiche e le strettoie contenutistiche della stagione dell’Informale che volgeva ormai al termine. Se nell’Informale il rituale del gesto serviva per risalire all’origine organica e dinamica della vita attraverso la mediazione e il rispecchiamento del vissuto esistenziale dell’artista, dalla fine degli anni Cinquanta incomincia a prendere corpo una visione dell’arte che abdica dall’analisi nel vissuto esistenziale del singolo e punta sulla perdita di scavo nel soggettivo, scegliendo di agire sulla superficie del mondo e, come nel caso di Mambor, sulla bidimensionalità della pittura. L’opera depurata dall’Io dell’artista diviene per Mambor il campo d’azione di una ricerca oggettuale che se è fredda in quanto riduce l’arte a principio mentale, acquista calore nella scelta di indagine di un oggetto, l’essere umano e le modalità percettive del suo relazionarsi, che inaugura già con i cicli dei Segnali Stradali del 1961, degli Uomini Statistici del 1962 e dei Ricalchi del 1965, quello spazio eminentemente antropologico che trova in se stesso la sua metafisica e la sua giustificazione, lasciando all’osservatore il compito di organizzare le relazioni degli oggetti rappresentati senza volumetria nel campo libero e uniforme della tela. Fin da quegli anni Mambor fa passare l’immagine attraverso un filtro di neutralizzazione emotiva che la ristabilisce nel suo valore assoluto incorrotto dall’interpretazione soggettiva e la fa diventare in tal modo un segno eloquente e purissimo di comunicazione, un’indicazione di realtà che viene consegnata ai sensi dell’osservatore perché poi sia lui a caricarla di senso. Fin da quel momento sono immagini bidimensionali definite con un tratto pulito ed essenziale dal contorno nero, i colori che le definiscono sono mentali e stesi per campiture, lo sfondo indefinito è lasciato alla tessitura industriale della tela grezza, l’impianto complessivo risulta senza preoccupazione tonale o volumetrica, senza scansione di scala, di profondità o di prospettiva. Questo spazio anti-gerarchico e multi-combinatorio risponde, ancora oggi se non di più, a un disegno mentale che emerge dalle

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Photographed by Patrizia Speciale, Bolzano 24


parole dello stesso artista: “Nella mia pittura la pelle è tela grezza, supporto di legno, dove le immagini non sono tatuate ma appoggiate in continue e diverse relazioni”. In questo modo l’artista, cancellando se stesso, tirandosi indietro, fa sì che il quadro o l’installazione si compongano quasi per conto loro, come se l’opera, magicamente e per assecondamenti successivi, prenda corpo da sola nella sua alterità, o meglio, prenda corpo in empatia con lo sguardo dell’osservatore. La soggettività dell’artista è espunta come arbitraria e intrusiva, è tenuta a distanza a favore della presenza di una traccia di esistenza che non viene a ricadere sulla sua volontà. È curioso notare quanto questa posizione estetica abbia una ricaduta paradossale in termini filosofici, quasi che l’intera costruzione intellettiva che sta alla base dell’opera di Mambor si fondasse su un assunto paradossale. Se, infatti, come abbiamo visto, il punto di partenza dell’opera sta nella neutralizzazione del soggetto-artista, questo significa che l’intera operazione prende le mosse da un deciso “ignora te stesso” rivolto all’individualità del suo artefice. Eppure il passo successivo, che vede come comprimari l’opera e il suo pubblico, si staglia decisamente sotto l’egida del “conosci te stesso”, a cui si aggiunge di conseguenza il “conosci te stesso in rapporto alla moltitudine che ti circonda”. Il risultato finale di questo processo, secondo l’esito migliore e più auspicabile, è la meta raggiunta di abbandonare un’interiorità stantia ed ego-riferita per riversarsi nelle differenze del mondo. A partire da quei cicli pittorici degli inizi degli anni Sessanta sopra citati emerge quindi con evidenza un’attitudine a considerare il rapporto tra opera e fruitore come un dialogo in movimento, mai fissato una volta per tutte, un mobile esercizio visivo che premia il vedere critico della coscienza sul semplice e passivo guardare retinico dell’occhio. In questo modo Mambor trova un antidoto e un correttivo per risanare uno spazio del mondo che viene intasato di immagini prodotte artificialmente per influenzare il comportamento sociale. All’inflazione dell’immagine l’artista oppone, oggi come allora, la fondazione di un nuovo spazio d’ascolto che “arriva alla coscienza di una nuova preghiera laica”, che rinsalda e ripercorre le connessioni tra gli esseri umani, che è passaggio, transizione, mutamento, compresenza degli opposti, coincidenza di vita e movimento. “Preghiera laica” ben interpreta le caratteristiche di un viaggio che l’arte compie e fa compiere al suo globetrotter: un viaggio iniziatico che non è un itinerarium mentis in Deum, ma è un’iniziazione laica che, tuttavia, incrocia qualcosa del sacro, perché in qualche modo la soglia da cui muove è appunto il luogo del sacro, della continuità degli opposti, della fluidità della coscienza. I lavori di Renato Mambor si raccolgono così attorno a una volontà d’arte che usa l’immagine dipinta o l’installazione, ed eventualmente la loro relazione con gli oggetti o gli ambienti scelti dall’artista e disposti in modo da favorirne il dialogo, come il mezzo più rapido ed efficace per presentarsi come contenuti del pensiero. Da questo punto di vista l’immagine dipinta diviene

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pensiero essenzializzato, concetto reso visibile col minor spreco di mezzi espressivi e di energia, e conseguentemente col minor rischio di dispersione dell’idea. Come ha scritto Paul Klee l’arte è bildnerisches Denken, l’arte è cioè pensiero, un pensiero che va interrogato e indagato. È necessario farlo perché nelle figure dell’arte si consegna qualcosa che non è possibile trasmettere altrimenti. Da tutto questo deriva che se per le immagini che compaiono nelle opere di Mambor si può parlare di mimesi, essa non si applica tanto ai dati naturali e alle caratteristiche fisiche che definiscono questo o quell’oggetto dipinto, questa o quell’azione rappresentata, ma ha a che vedere con una posizione ideativa che ritaglia la realtà dal mondo in cui è abitualmente immersa e la offre su un piano superiore che annulla le differenze, ristabilisce i rapporti, facilita lo scambio e favorisce la presa di coscienza di sentirsi parte del tutto. Quando Mambor afferma che tutti sono sullo stesso piano, fa riferimento proprio alla contiguità relazionale che lega insieme esseri viventi e materia. In questo modo egli reagisce all’illusione della separazione, al vuoto e all’inconsapevolezza che ci circonda e alla sciocca pretesa che esista una storia o una verità tanto superiore alle altre da prenderne il sopravvento. Lo spazio inscenato dall’arte permette a Mambor di trovare una metafora visiva che illustra questa posizione speculativa, che è un poco come un vedersi dall’alto, come un contenitore che possa contenere tutte le storie possibili, secondo una prospettiva che consente di considerare la realtà quotidiana come parte del tutto, e il particolare come una propaggine del suo esser fuso col mondo. Le “posizioni filosofiche”, prendendo a prestito uno dei titoli più fortunati dell’artista, non possono quindi che esser tali al plurale, riecheggiate dalle molteplici posizioni che assumono le sagome umane dipinte, ognuna ben orientata e pensante in una posizione diversa, ma tutte ben salde e stagliate sullo stesso piano. La lotta tra le posizioni, non apre quindi un baratro sulle loro differenze, ma mostra l’intimità di un convenirsi reciproco dei lottanti. Un tale tratto di contorno che delinea en aplat figure e oggetti attrae, senza mai respingere, i contendenti verso l’origine della loro unità, in base al comune fondamento dell’esser fusi in natura. Questo profilo che delimita il singolo e al contempo lo rapporta agli altri disegna in tal modo i tratti fondamentali dell’illuminazione dell’ente: non permette che gli opposti si lacerino separandosi, ma inserisce la contrapposizione di misura e limite in un unico contorno. Come sostiene Mario Trevi, quando lo scienziato parla dell’uomo spiega per poter comprendere, mentre l’artista comprende per poter, eventualmente, spiegare. Mambor sa che l’uomo adora i racconti, che ha una spiccatissima tendenza a narrare ed ascoltare storie e a fare di queste storie le nostre abitazioni. Noi viviamo dentro e attraverso storie. Esse evocano mondi, creano connessioni, portano all’incontro e al confronto, informano la nostra vita. Il lavoro dell’artista, nella sua

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coerenza quarantennale, mostra quanto e fino a che punto noi tutti viviamo attraverso storie e siamo vissuti da esse, quelle del nostro gruppo etnico, sociale, familiare, religioso, politico, etc. Esse danno un senso alla nostra esistenza e al nostro cammino, fanno sì che noi siamo come siamo, costruiscono nuovi mondi e riaccendono le speranze sul futuro. Da questo straordinario crocevia di esperienze muove l’arte di Mambor, nel tentativo di creare sempre nuovi spazi di comunicazione e di confronto, nutrita dalla convinzione di non volersi rassegnare a subire l’esistenza del caos nell’accezione corrente di confusione e devalorizzazione. Melville ha scritto che “la verità espressa senza compromessi ha confini arruffati”. Quella particolare “conoscenza per immagini”, che già Leopardi poneva come correttivo della pura ragione, permette a Mambor di dar forma a quegli stessi confini “arruffati” inscenando uno spazio fisico che apre sulla metafisica del pensiero attraverso una soglia che non è più barriera e ostacolo, ma spazio transizionale in cui, come dice Benjamin, “sono compresi mutamento, passaggio, maree, significato”. Non sembra fruttuoso a questo punto cercare di assegnare un nome definitivo alle sue simbologie dal momento che le sue immagini non sono simboli e non lavorano quindi in modo traslato per rappresentare qualcosa che non si trova materialmente in quel luogo. Esse valgono quindi per se stesse e costituiscono anzi una nuova fondazione rappresentativa e valoriale del loro essere nel mondo. Vale piuttosto la pena rilevare l’aspetto metodologico con cui queste immagini lavorano sullo spettatore che rivolge a esse il proprio sguardo. Sulla soglia predisposta dall’artista e delimitata dal suo “recinto sacro” dove corporeo e incorporeo, animale e umano, soggetto e oggetto, amore e morte non sono vissuti come opposizioni irriducibili ma come fluido divenire continuo, è possibile poter pensare alla nostra identità come a un tratto non indelebile ma soggetto al mutamento, posto di fronte al mondo e agli esseri che mutano. Lo spazio di libertà che l’arte di Mambor ci spalanca di fronte è quindi immenso: esso va oltre il problema dell’autodeterminazione umana lasciandoselo alle spalle nella presentazione di un quadro dove il soggetto è libero perché finalmente più vicino alle modalità profonde, superindividuali, dell’esistenza, a quell’“esser fusi (Verwobenheit) con il mondo sensibile” di cui parla Karoly Kerényi a proposito del valore ultimo a cui rimanda il mito. Mambor rovescia così la prospettiva di un mondo bloccato e mostra la possibilità dello scambio e della fluidità delle posizioni, fa appello al ridestarsi della coscienza contro l’anestetizzazione generale, incita a diventare abitatori del limite, della frontiera, di un luogo altro che diviene soglia di partenza per un viaggio lungo le infinite strade che convergono e si dipartono da quello straordinario crocevia dell’esistenza. Anche per Mambor quindi pensiero e visione coincidono, condensati e sovrapposti nello spazio rappresentativo dell’arte, materializzati nelle sagome “astratte” degli oggetti-scultura, fissati nel-

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Photografed Action, Increasing, 1969 28


la frontalità bidimensionale dei volti dipinti. Il mistero di queste immagini di pensiero sta nella scoperta che l’artista-veggente è in grado di cogliere e trasmetterci un repertorio di forme e di connessioni capaci di catturare quanto balugina lontanissimo dal territorio dell’alterità, ma è di fatto vicinissimo nelle forme in cui l’essere umano può afferrare se stesso in una situazione in cui l’esistenza individuale si estende in una consapevolezza più ampia, che abbraccia tutte le forme, fusa col mondo (Verwobenheit), prototipo per un futuro più consapevolmente autentico. La contemporanea società dello spettacolo ha istituzionalizzato una civiltà dell’immagine e della merce che si riduce volentieri alla presenza fuggevole, inconsistente e mistificatoria di una piatta immagine televisiva che ha sia volgarizzato e corrotto aspetti del mondo esterno quali la politica e il costume, sia intaccato la coscienza individuale in termini di anestetizzazione morale e di messa in scacco della soglia minima di vigilanza critica. In un panorama generalizzato che non solo sollecita ma persino premia un vivere ottuso, abbandonato esclusivamente al risaputo e ai piccoli affari quotidiani, l’artista oppone un vivere attento, pensante e comprendente, che si addentra ad afferrare il senso delle cose attraverso il suo “esser fuso” con la storia della cultura e lo stato di natura. Se il potere assimilante e manipolante della società d’oggi svuota la dimensione artistica del suo esser altra, Mambor resuscita quel potere magico-spirituale dell’arte di opporre una negazione al presente per poter di nuovo cominciare a pensare un futuro possibile. Le sue immagini per questo possiedono la forza antagonista di rifiutare e confutare l’ordine costituito e inducono quell’“effetto straniante” (Verfremdungseffekt) coltivato da Bertolt Brecht e auspicato da Herbert Marcuse. La poesia e l’arte diventano così davvero l’olocausto delle immagini che ci vengono proposte coattivamente, per costruire, coi materiali di queste rovine, altri mondi possibili e più desiderabili: in questo sta la loro ragione, la loro giustificazione e il loro compito. Grazie a questa dissociazione dal mondo banalizzato in cui viviamo e con le sue immagini svuotate di senso, Mambor indica quanto esso possa ancora essere riconosciuto per quello che è, producendo un cortocircuito per cui “le cose della vita quotidiana sono tolte dal regno dell’evidenza ovvia” (Brecht, Scritti teatrali, 1957) per essere rigettate a navigare nel mare magnum della profondità della coscienza.

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Mambor knows that man loves tales, that he enjoys telling and listening to stories, making them our homes. We live inside and through stories. They evoke worlds, create connections, lead to meeting and confrontation, and inform our life.

Gialunca Ranzi

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Mambor sa che l’uomo adora i racconti, che ha una spiccatissima tendenza a narrare ed ascoltare storie e a fare di queste storie le nostre abitazioni. Noi viviamo dentro e attraverso storie. Esse evocano mondi, creano connessioni, portano all’incontro e al confronto, informano la nostra vita.

Gialunca Ranzi


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Sculpture objects and installations


Native thoughts Pensieri nativi

Italian Culture Institute, London 2011, sculpture object, in 76.8x22x15.7 Istituto Italiano di Cultura, Londra 2011, oggetto scultoreo, cm 195x56x40

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Native thoughts Pensieri nativi

photographic action, in 27.6x39.4 azione fotografica, cm 70x100

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Observer and mandala with green rectangle Osservatore e mandala con rettangolo verde

Italian Culture Institute, London 2011, installation, sculpture object, in 69.3x19.7x9.8 Istituto Italiano di Cultura, Londra 2011, istallazione, oggetto scultoreo, cm 176x50x25

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Green mandala center Mandala verde centro

Italian Culture Institute, London 2011, installation, canvas acrylic, in 47.2x47.2 Istituto Italiano di Cultura, Londra 2011, istallazione, acrilico su tela, cm 120x120

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Closed men Uomini chiusi

2007, sculpture object in painted wood, in 68.5x20.3x17.1 2007, oggetto scultoreo in legno dipinto, cm 174x51,5x43,5

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Water Carrier Acquaiola

2006, sculpture object in painted wood, in 28.3x23.6x7.5 2006, oggetto scultoreo in legno dipinto, cm 72x60x19

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Everyone on the same surface Tutti sullo stesso piano

Italian Culture Institute, London 2011, installation, 12 sculpture objects in painted wood, in 17.1x5.1x2 Istituto Italiano di Cultura, Londra 2011, istallazione, suite di 12 sculture in legno colorato, cm 43,5x13x5

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When Mambor says that everyone is on the same level, he refers to the relational contiguity binding beings and matter together. This way he reacts to the illusion of separation, to vacuum and unconsciousness surrounding us besides to the silly conviction that a superior history or a truth overwhelming the others does exist.

Gianluca Ranzi

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Quando Mambor afferma che tutti sono sullo stesso piano, fa riferimento proprio alla contiguità relazionale che lega insieme esseri viventi e materia. In questo modo egli reagisce all’illusione della separazione, al vuoto e all’inconsapevolezza che ci circonda e alla sciocca pretesa che esista una storia o una verità tanto superiore alle altre da prenderne il sopravvento.

Gianluca Ranzi


Carefree Spensierato

2006, installation, sculpture objects in painted wood, in 76x26.4x17.3 2006, istallazione, oggetto scultoreo in legno dipinto, cm 193x67x44

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Six white observers Sei osservatori bianchi

1996, installation, 6 sculpture objects in painted wood, in 59.1x24.4 1996, istallazione, 6 oggetti scultorei in legno dipinto, cm 150x62

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Carriers 2008, installation, 4 sculpture objects in painted wood, in 78.7x27.6x14.2

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Portatori 2008, istallazione, 4 oggetti scultorei in legno dipinto, cm 200x70x36

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«Renato Mambor’s work is a delicate concentration camp for the glance, and also a place to salvage the life for those crossing his silhouettes. In Paris Marcel Duchamp silhouetted the entrance door of a gallery to make room for the spectator’s glance; Lucio Fontana cut the canvas to make room for the art continuum, and now Mambor silhouettes the side-scenes of a painting to seize the life’s fleeting moment».

Achille Bonito Oliva

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«L’opera di Renato Mambor è un delicato campo di concentrazione per lo sguardo e di salvaguardia per la vita di chi attraversa le sue sagome. Marcel Duchamp sagomò a Parigi la porta di una galleria per far spazio allo sguardo dello spettatore, Lucio Fontana tagliò la tela per far spazio al continuum dell’arte e ora Mambor sagoma le quinte della pittura per catturare l’attimo fuggente della vita».

Achille Bonito Oliva


Achille Bonito Oliva e Renato Mambor 60


Borrowing from infinity art, symmetry and order by Achille Bonito Oliva

“Sculpture should be the embodiment of places that, setting up an inclosing and excluding border, gather a scent of freedom which assures a sojourn for every object, and a living among things to mankind” (Martin Heidegger). Here is Renato Mambor’s philosophical emblem, which spots the opportunity of founding a place for art, not limited to traditional genres, not tied to the mere reference present in painting, sculpture, drawing and architecture. In this case, the work of art does not stem either from a straying or from a linguistic plot: it is the outcome of the creation of a different aesthetic space, where single language bits are not all important. A Wagnerian impulse has characterized all the creative experiences of historical avantgardes, and also some neo-avant-gardes of post-war times, concerning the capacity of an art that can enclose within itself a range of very different languages, yet spectacularly intertwined. A desire for almightiness characterizes artistic creative process from the last decades of the XIX century to XXI century experiences. Language becomes the proper means of proposing a comparison between art and life, seen as the field of complexity, where one can oppose another kind of complexity, that of the work of art, made up of the relation between different languages. Renato Mambor erects a sort of aesthetic barrier against the existent, or at least lifts an inner boundary, to be crossed in real space and real time. It is generally agreed that art founds metaphorical time and space, pointing to a periplus of sheer imagination. The construction of a place that is the concoction of different languages, allows real contemplation that substitutes, even if for a short span of time, the relation with everyday reality. Somehow, art becomes the possibility of pushing life towards the real impossibility of expanding itself as it really is. The work of art creates a circular boundary inside which real relations and real shifts occur. The shift involves the artist and the spectator’s psychological and sensorial experience, acting within a mobile field of relations, fostered by the complex sign system created by its maker. The laws of complexity become a component that accompanies the construction of Renato Mambor’s work, that does not defy reality on the battlefield of likelihood. Mambor tries to foster wonder and

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astonishment. Historical and most recent avant-gardes have yielded to that temptation, chosen it as possible attitude that introduces another theme, that of the structure of the work of art. Yet, in order to create a modern construction, the artist needs to introduce a relation with the technical apparatus. Technique has the duty of founding an artistic production, other than the one it normally realizes. In the work of art, technique is a means subdued to a contemplative aim, to the possible recording of a different relation with the world’s complexity. The principle of frontal communication with the work of art is thus overthrown, based as it was on a rational exchange: the new proposal has a commercial nature, and is capable of other implications. As a matter of fact, contemporary art reels around the question of time, seen as acceleration and speed, preventing the choice of a silent contemplation mode, fixed in the area of mental sight. Technique adaptation becomes the primary need of contemporary artist who, thanks to complexity, introduces a healthy de-concentration of elements that takes up the spectator onto different levels. The work of art becomes the source of stimuli that face the complex field of subconscious impulses. To represent the unutterable becomes a diktat for the artist - even for contemporary artists favoured by the evolution of contemporary art, that has loosened up moral issues, skipping to the plan of healthy moral combined with vital disinhibition, especially after the entering of transavant-gardes on the stage of international art. Mambor’s total position finds its possible explanation in a technical wholeness, in a work of art capable of reflecting the representation of the complex use of various genres. By this means only does contemporary art succeed in the staging of such a complexity. If Romanticism, Symbolism and Surrealism had promoted total art and the studied regression of image, nowadays total art is possible only by means of a shift towards an achievable complexity, which is not afraid of technology, rather, it uses it with a post-industrial yet archaic maturity. That is the reason why the contemporary artist, freed from inhibitions and conscious of non-linear artistic progress, adopts a method where complexity implies neither the integration of genres nor the foundation of a compact work of art, on the contrary, it tends towards a work of art finished in vibrant dissemination. Mambor’s method is the constant that accompanies different works of art, yet connected by the need for a multi-discipline straying, necessary for the creation of an aesthetic odyssey linked to a knowledge process. Ambient art of the Sixties had enlarged the passages of the experiences of historical avant-gardes; it had nevertheless tied them to the construction of spaces where one could find, if not the staging of the image processes, the pedant analysis of Northern-American matrix, married with an Eastern

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flavour, yearning for emptiness. Mambor fostered the knowledge tension thrusting towards the choice of implications that go beyond mere form, with a predilection for the representation of contents formally transfigured thanks to linguistic elaboration. The knowledge process created by the work of art does not only imply the status of technical complexity, but also interior needs and impulses belonging to a conception of life. These artists make up forms that unite diverse elements, freely associated. On the contrary, during the Sixties and Seventies, maturity coincided with the capacity of integrating, apparently in contrast with technological universe. Fitting the diverse elements seemed the only possible way of competing with a world where everything appeared adequately structured. On the contrary, these artists operate on a different wavelength, based on a structure that does not disguise diversity; this structure rather puts it on show in the issue-charged unity of the work of art, in its being a process of aggregation of diverse languages needing diverse handling. In this consists Renato Mambor‘s maturity, which calls for an extraordinary technical skilfulness, and at the same time asks for a mentality that does not believe in the integration between art and life, but in the opportunity of creating a work of art made of fluctuating spaces between the forms elaborated by art and those of life, already existing. Thus, the work of art becomes that Heideggerian place that cannot be frontally contemplated as an old sculpture; the work of art preserves a language capable of creating a sojourn where the spectator can breathe and fluctuate. According man a place to live, yet living amidst things means the capacity of not acting monolithically, it means being irregular, capable of moving along relative and impalpable coordinates, between datum points asymmetrically dislocated, in a happy spatial and temporal aphasia. Ambient art of the Sixties and Seventies had proposed places inhabited by a whole, homogeneous project, up to the utter integration of every detail or sign inside a cradle ruled by a principle of utopian absoluteness. This absoluteness corresponded to an emptying, to the deletion of whatever accidents, wiped away by a strong geometrical tension. The result was a space of mere apnoea. Renato Mambor’s works promote a possible “sojourn”, seen as a vast place of relation, a system open to various linguistic contributions, by mere juxtaposition. Juxtaposition leaves free passages, interstices where one can breathe a vital and not pure distance among the various languages. Spatial and temporal aphasia stems from the physical distancing of elements and of spectator’s subjective progress. The distance grows in direct proportion with the difference of linguistic and formal solutions, which do not respond to a homogeneous status, but which comply with a spurious status. Abstract and figurative languages, drawn and plastic solutions, everything sums up and

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limits itself in the perimeter of the architecture that hosts these inputs, crossed by voiced images, static as photography or kinetic like those of cinema. The disinhibition produced by trans-avant-gardes helps freeing space from excessively studied and geometrical knots. The pleasure of mere progress and the hedonism of nomad glance intertwine with the need to convey both abstract structures as music, and real as a hard message. “Modernity is what is transient, fleeting, contingent, modernity is one half of art, whereas the other half is what is eternal and immutable. There is a modernity for every ancient painter” (Baudelaire, Aesthetic Curiosity). In this sense, these works of art are modern, but ancient at the same time, in that the artist adopts the structural progress inhabited in both directions, the passage and the pause, the spectator experiences what is fleeting, in the time he needs to move from a spot to the next halt of the progress. Nonetheless, in a progress you need a starting point, a durable and revolving platform capable of reflecting both an overall view and the need for progress in the experience of nomad knowledge. Space and time inexorably intertwine, creating a dimension where impact and memory work together. Plans constantly interact, in a coercion to motion that determines a condition of real overcoming. The rebounds from one point to the other belong to the dynamics of the work of art, like in celestial mechanics, where the bodies move in compliance with parables drawn according to accelerations and decelerations determined by the fields of attraction and repulsion. Certainly this motion is determined by a rule, i.e. by a pre-ordered system; yet, in Mambor’s case, the rule is given by the laws of the artist’s imagination and by the consequent spectator’s reaction, who chooses the orbit consonant with his own sensitiveness. Behold! Human beings living in a underground den, which has a mouth open towards the light and reaching all along the den; here they have been from their childhood, and have their legs and necks chained so that they cannot move, and can only see before them, being prevented by the chains from turning round their heads. Above and behind them a fire is blazing at a distance, and between the fire and the prisoners there is a raised way; and you will see, if you look, a low wall built along the way, like the screen which marionette players have in front of them, over which they show the puppets. And do you see, I said, men passing along the wall carrying all sorts of vessels, and statues and figures of animals made of wood and stone and various materials, which appear over the wall? Some of them are talking, others silent. And do they see only their own shadows, or the shadows of one another, which the fire throws on the opposite wall of the cave? And of the objects which are being carried in like manner would they only see the shadows?

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And if they were able to converse with one another, would they not suppose that they were naming what was actually before them? And suppose further that the prison had an echo which came from the other side, would they not be sure to fancy when one of the passers-by spoke that the voice which they heard came from the passing shadow? “To them, I said, the truth would be literally nothing but the shadows of the images” (Plato, Republic, Book VII). Comparing them to Plato’s cave, Mambor’s work have the ease of Heideggerian house, where all the objects are not realized following the criterion of likelihood that hierarchically reflects the model of reality, but according to a self-sufficient model which corresponds to the very nature of language, the ultimate material that imbues the sojourn. The spectator has no legs and his neck is in chains, he has no duties, he is slave to nothing. Here every knot is undone, but not in the sense that it forgets and drowns in the panic sea of what is beyond. Here the spectator keeps his conditioned reflexes thanks to his own memory and sensitiveness, yet he adapts them to a different circumnavigation, suspended between drifts and stops that keep a healthy distance, so that they are free to move and return, like in an eccentric and non-daily living. The signs are not the shadow of a language, they descend and they are the flesh of that stuff art - always tending to the representation of exemplarity - is made of. In this case exemplarity is not controlled by a single point of view, through a unique artistic genre set on a specific language, in that it is the result of a yearning balance between transience and duration, between the moment of perception and the stasis of shape that resists to every glance. Mambor’s modernity lies in the condition of the work of art itself, which implies distraction and absence, as well as one can conceive “being” in existence, where diverse signs characterize experience in a vital presence. “Most writers - poets in especial - prefer having it understood that they compose by a species of fine frenzy - an ecstatic intuition - and would positively shudder at letting the public take a peep behind the scenes, at the elaborate and vacillating crudities of thought - at the true purposes seized only at the last moment - at the innumerable glimpses of idea that arrived not at the maturity of full view - at the fully matured fancies discarded in despair as unmanageable - at the cautious selections and rejections - at the painful erasures and interpolations - in a word, at the wheels and pinions - the tackle for scene-shifting - the step-ladders and demon-traps - the cock’s feathers, the red paint and the black patches, which, in ninety-nine cases out of the hundred, constitute the properties of the literary histrio” (The Philosophy of Composition, Edgar Allan Poe). The spectator normally shares the illusion that ecstatic intuition corresponds to ecstatic contemplation, that there is a perfection in fruition that is symmetrical to creative perfection. Erratic progress does

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Renato Mambor with the first panels of the ‘67 diary. Rome 1967 66


not necessarily bring to an erratic knowledge, to a process based on dislocation - dislocation is never instantaneous, because it does not correspond to the perfect stance of the hunter, fixed in the stasis of his one and only aim. Here the work of art is circular and the spectator, deprived of his legs and incapable of turning his neck, must make multiple circles around himself, going forward and backwards in compliance with the scanty artistic progress. The path of Mambor’s art is irregular, made of adventures back and forth in space and time. This mobility derives from the excellent motion of language that consolidates in shape, where past, present and future mingle. In this case the work of art is never outside history. “History is like an angel that has been moved away, into the future, from something he is fixedly contemplating. History is a mound of ruins and the angel would make whole what has been smashed in the past. But a storm is blowing from Paradise, and it propels him into the future. This storm is what we call progress� (Paul Klee, Angelus novus). Yet this progress is different from that of traditional avant-gardes. The reason is that Mambor has a metaphysical afflatus that makes him suspect the existence of an order and a symmetry that are above our life. Naples, Castel S. Elmo, 2009

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In prestito dall’infinito arte, simmetria e ordine di Achille Bonito Oliva

“La scultura, sarebbe il farsi-corpo di luoghi che, aprendo una contrada e custodendola, tengono raccolto intorno a sé un che di libero che accorda una dimora a tutte le cose e agli uomini un abitare in mezzo alle cose” (Martin Heidegger). Ecco l’emblema filosofico di Renato Mambor, che individua la possibilità di fondare un luogo dell’arte non circoscritto ai generi tradizionali, non ancorato al semplice riferimento della pittura, della scultura, del disegno e della pura architettura. In questo caso l’opera non è il frutto di uno sconfinamento o di un intreccio linguistico, bensì il risultato di una fondazione di un diverso spazio estetico, in cui non contano soltanto i singoli la-certi linguistici. Una pulsione wagneriana ha attraversato tutte le esperienze creative delle avanguardie storiche, e anche di alcune neoavanguardie del secondo dopoguerra, circa la possibilità di un’arte capace di totalizzare dentro di sé un ventaglio di linguaggi diversi tra loro e comunque intessuti in una interagenza spettacolare. Un desiderio di onnipotenza attraversa il processo creativo dell’arte dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino alle esperienze del nostro secolo. Il linguaggio diventa l’attrezzo adeguato per proporre un confronto tra arte e vita, intesa come campo della complessità cui è possibile contrapporre un’altra complessità, quella dell’opera appunto, fatta di relazione tra linguaggi diversi. Renato Mambor erge una sorta di diga estetica contro l’inerzia dell’esistente o perlomeno costruisce un confine interno, percorribile in uno spazio e un tempo reali. Se generalmente l’esperienza artistica fonda una temporalità e una spazialità metaforica, indicanti un periplo di pura fantasia, la costruzione di un luogo intrecciato intorno all’uso di vari linguaggi permette invece una possibilità di concretezza contemplativa che sostituisce il rapporto col quotidiano, seppure momentaneamente. In qualche modo l’arte diventa la possibilità di spingere la vita verso una concreta impossibilità di articolarsi così come è. L’opera fonda un confine circolare entro cui si compiono reali relazioni e spostamenti. Lo spostamento riguarda l’esperienza psicosensoriale dell’artista e dello spettatore che si muove dentro un campo mobile di relazioni, realizzato dal sistema complesso di segni creati dal suo artefice.

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Lo statuto della complessità diventa una componente che accompagna la costruzione dell’opera di Renato Mambor che non vuole sfidare la realtà sul versante della verosimiglianza, ma piuttosto della contrapposizione antagonista capace di creare stupefazione e meraviglia. Le avanguardie storiche e quelle più recenti del secondo dopoguerra hanno adottato tale tentazione, come attitudine possibile che introduce un ulteriore tema, quello della costruzione dell’opera. Ma per essere una costruzione moderna, è necessario per l’artista introdurre un rapporto con la tecnica ineludibile. La tecnica acquista il compito di fondare un’ulteriore produzione rispetto a quella che normalmente realizza. Nell’opera assume il ruolo di un mezzo piegato a un fine contemplativo e di possibile registrazione di un diverso rapporto con la complessità del mondo. Viene scardinato così il principio di una comunicazione frontale con l’opera, poggiante semplicemente su di uno scambio di tipo razionale, e proposto invece un commercio diverso capace di ben altre implicazioni. D’altronde esiste per l’arte contemporanea il problema del tempo, inteso come accelerazione e velocità, che impedisce l’assunzione di un impossibile silenzioso stato di contemplazione fissato semplicemente nella zona dello sguardo mentale. L’adeguamento della tecnica diventa in tal modo una necessità dell’artista contemporaneo che mediante la complessità introduce una sana deconcentrazione di elementi che impegna lo spettatore in diversi versanti. L’opera diventa una fonte di stimoli che affrontano in tal modo il complesso campo delle pulsioni inconsce. Rappresentare l’indicibile diventa l’imperativo dell’artista, anche di quello attuale, oltretutto favorito dall’evoluzione dell’arte contemporanea che ha decongestionato il moralismo dell’arte, spostandolo sul piano di una sana moralità adiacente con una vitale disinibizione, specialmente dopo l’ingresso sulla scena dell’arte internazionale della transavanguardia. La totalità della posizione di Mambor trova la sua possibile fondazione in una totalità tecnica, in un’opera capace di restituire la rappresentazione di un impiego complesso di più generi possibili. Soltanto in tal modo l’arte contemporanea riesce a realizzare lo scopo di mettere in scena una complessità adeguata. Se con il romanticismo, il simbolismo e il surrealismo l’arte totale trova la sua effettuazione mediante una voluta regressione dell’immagine, ora questo è possibile soltanto con uno spostamento verso una complessità futuribile, che non si lascia intimorire dall’uso della tecnologia, semmai l’adopera con una maturità postindustriale e, dunque, con arcaica maturità. Per questo l’artista odierno, totalmente disinibito e consapevole della progressione non lineare dell’arte, adotta un metodo in cui la complessità non significa integrazione dei generi, fondazione di un’opera compatta, invece tende verso un’opera risolta in un campo di vibrante disseminazione. Il metodo di Mambor diventa la costante che accompagna opere di diversa estrazione, eppure legate

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tra loro dal bisogno di uno sconfinamento interdisciplinare non puro e semplice, ma necessario per fondare una peripezia estetica legata a un processo di conoscenza. L’arte ambientale degli anni Sessanta aveva allargato i varchi delle esperienze delle avanguardie storiche, ma le aveva anche ancorate a una costruzione di spazi in cui non esisteva se non una messa in scena dei processi di formazione dell’immagine, una pedante analiticità di stampo nordamericano con una inflessione orientale rivolta verso un desiderio di vuoto. In Mambor invece esiste una tensione conoscitiva rivolta anche verso l’assunzione di risvolti che travalicano il semplice assunto formale, con una predilezione verso la rappresentazione di contenuti seppure trasfigurati formalmente attraverso l’elaborazione linguistica. Il processo di conoscenza elaborato dall’opera riguarda non soltanto lo stato di complessità tecnica ma anche pulsioni interne e bisogni ulteriori che appartengono a un’idea del mondo. La maturità di questi artisti consiste nell’elaborazione di forme che aggregano elementi disparati tra loro ma dati in pura associazione. Invece negli anni Sessanta e Settanta la maturità sembrava consistere nella capacità di integrazione, apparentemente competitiva con l’integrata complessità dell’universo tecnologico. Saldare i vari elementi sembrava l’unica maniera di competere con un mondo in cui tutto sembrava strutturato in maniera adeguata. Invece questi artisti operano su di una diversa lunghezza d’onda, fondata su una elaborazione che non tende a mascherare la diversità, semmai a esibirla nella problematica unità dell’opera, come processo di aggregazione di diversi linguaggi che necessitano di un diverso trattamento. In questo consiste la maturità di Renato Mambor, che richiede una perizia tecnica allargata, e nello stesso tempo una mentalità che non crede nell’integrazione tra arte e vita, ma semmai nella possibilità di creare un’opera fatta anche di interstizi fluttuanti tra le forme elaborate dall’arte e quelle preesistenti della vita. In tal modo l’opera diventa quel luogo heideggeriano che non si contempla frontalmente come una vecchia scultura, ma il campo di riserva di un linguaggio capace di creare una dimora effettiva in cui lo spettatore possa fluttuare e respirare. Accordare una dimora all’uomo e abitare in mezzo alle cose significa la capacità di non essere monolitici, al contrario irregolari fino al punto di muoversi lungo coordinate impalpabili e relative, tra punti di riferimento dislocati in maniera asimmetrica tra loro, con una felice afasia spaziale e temporale. L’arte ambientale degli anni Sessanta e Settanta ci aveva proposto spazi abitati da un progetto organico, di omogeneità, fino alla completa integrazione di ogni dettaglio o segno dentro un invaso retto da un principio di utopica assolutezza. Tale assolutezza corrispondeva a uno svuotamento,

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all’eliminazione di ogni accidentalità che veniva spazzata via da una forte tensione geometrica. Il risultato era uno spazio di pura apnea. Le opere di Renato Mambor fondano invece la possibilità della “dimora”, intesa come luogo ampio di relazione, sistema aperto a vari apporti linguistici per puro accostamento tra loro. L’accostamento lascia appunto varchi, interstizi dentro cui respira una vitale distanza spuria tra i vari linguaggi. L’afasia spaziale e temporale nasce proprio dal distanziamento fisico degli elementi e dal percorso soggettivo compiuto dallo spettatore. La distanza aumenta proporzionalmente alla differenza delle soluzioni linguistiche e formali, che non rispondono a uno stato di omogeneità ma a uno volutamente sporco. Linguaggi astratti e figurativi, soluzioni plastiche e disegnate, architetture di interno e di esterno si assommano tra loro e si costringono in un perimetro delimitato dall’architettura che ospita il tutto, attraversato a sua volta da immagini sonore, statiche come la fotografia o cinetiche come quelle del cinema. La disinibizione prodotta dalla transavanguardia funziona così a disingorgare lo spazio da nodi eccessivamente programmati e geometrici. II piacere del puro percorso e l’edonismo dello sguardo nomade si intrecciano col bisogno di comunicare strutture astratte come la musica e concrete come un duro messaggio. “La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, per cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile. Esiste una modernità per ogni pittore antico” (Baudelaire, Curiosità estetiche). In tal senso queste opere sono moderne, ma nello stesso tempo antiche, in quanto l’artista adotta l’itinerario strutturale del percorso abitato da entrambe le dimensioni, il transito e la sosta. Nel transito lo spettatore consuma il fuggevole, quel tempo necessario per spostarsi da un punto all’altro del percorso. Ma per lo spostamento è necessario un punto d’appoggio, di lancio nello spazio, una piattaforma durevole e nello stesso tempo girevole capace di procurare la visione d’insieme e il bisogno di avanzare nuovamente nell’esperienza di conoscenza nomade. Spazio e tempo così si intrecciano inesorabilmente, creando una dimensione in cui impatto e memoria funzionano in maniera integrata. I piani così interagiscono continuamente, in una coazione allo spostamento che determina una condizione di reale superamento. I rimbalzi da un punto all’altro rientrano nella dinamica dell’opera, come nella meccanica celeste in cui i corpi si muovono a partire da parabole disegnate secondo accelerazioni e rallentamenti determinati da campi di attrazione e repulsione. Certamente tale movimento è retto da una regola, dunque da un sistema preordinato, ma nel caso di Mambor, la regola è fondata dallo statuto della fantasia dell’artista e dalla successiva reazione dello spettatore che sceglie l’orbita più consona alla propria sensibilità. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto

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tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi siano dentro sin da fanciulli, incatenati gambe e collo, tanto da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa delle catene, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce di un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare, al di sopra di essi, i burattini. Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno in qualunque modo lavorate; e, come naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. Credi che i prigionieri della caverna possano vedere altro innanzitutto di se stessi e dei propri compagni, se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? Se questi prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? “Per tali persone, insomma, la verità non può essere altro che quella delle ombre artificiali degli oggetti” (Platone, Repubblica, Libro VII). Rispetto alla caverna platonica le opere di Mambor hanno l’agio della dimora heideggeriana, dove tutti gli arredi sono realizzati non col criterio della verosimiglianza che rimanda gerarchicamente al modello del reale, ma secondo un ordine autosuffìciente e corrispondente alla natura del linguaggio, il vero materiale su cui e di cui è costruita la dimora. Lo spettatore non ha gambe e collo incatenati, non ha obblighi di sorta, schiavitù a cui rispondere. Qui egli scioglie ogni nodo, ma non nel senso che dimentica e annega nel panico mare di un altrove. Qui lo spettatore conserva i riflessi condizionati dalla propria memoria e sensibilità, ma li adatta a un diverso circumnavigare tra slittamenti e intoppi che conservano comunque tra loro una salutare distanza, adatta a permettere ritorni e spostamenti come in un abitare seppure eccentrico e non quotidiano. I segni non sono ombra di un linguaggio, ma discendenza e carne di quella specifica sostanza di cui è fatta l’arte, tesa a rappresentare l’esemplarità. In questo caso l’esemplarità non è controllata da un sol punto di vista, attraverso un sol genere artistico fissato su un linguaggio specifico, in quanto frutto bilanciato in maniera struggente tra fuggevole e duraturo, tra attimo della percezione e stasi della forma che regge a ogni sguardo. La modernità della posizione di Mambor è dettata proprio dalla condizione dell’opera, che prevede anche la distrazione e l’assentarsi, proprio come è concepibile “l’esserci” nell’esistenza in cui

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Colour Proofs, photo by Patrizia Speciale 74


molteplici segnali attraversano l’esperienza secondo una vitale compresenza. “La maggior parte degli scrittori - poeti soprattutto - lascia intendere che essi compongono in una specie di splendida frenesia - d’estatica intuizione - e avrebbero certo rabbrividito di spavento all’idea di permettere al pubblico di dar un’occhiata dietro le scene”, di vedere “le cancellature e le interpolazioni così penose - in una parola, le ruote e gli ingranaggi - i paranchi per i cambiamenti di scena - le scale e i trabocchetti, le penne di gallo, il belletto e i nei che, novantanove casi su cento, costituiscono gli accessori dell’istrione letterario” (Edgar Allan Poe). Anche lo spettatore normalmente si illude che all’estatica intuizione corrisponda un’estatica contemplazione, una perfezione del momento fruitivo simmetrica alla perfezione creativa. II percorso erratico porta necessariamente a una conoscenza erratica, a un processo giocato sul dislocamento che non è mai istantaneo, perché non corrisponde alla posizione ottimale del cacciatore che si assesta nella stasi dell’unica mira. Qui l’opera è circolare e lo spettatore, non avendo le gambe e il collo impediti, deve compiere peripli molteplici su se stesso, avanzare e indietreggiare a seconda del percorso accidentato dell’opera. Il percorso dell’arte di Mambor è accidentato, dunque, fatto di peripezie in avanti e indietro nello spazio e nel tempo. Tale mobilità è il frutto del movimento eccellente del linguaggio che si consolida nella forma, in cui si condensano passato, presente e futuro. In questo l’opera non è mai fuori dalla storia. “La storia è un angelo che è stato soffiato indietro nel futuro. La storia è un gran cumulo d’immondizie e l’angelo vorrebbe sistemare le cose che sono accadute nel passato. Ma un vento forte che arriva dal Paradiso spinge l’angelo verso il futuro. Questo vento si chiama progresso” (Paul Klee, Angelus novus). Ma un progresso diverso da quello delle avanguardie tradizionali. Perché Mambor ha un afflato metafisico che gli lascia sospettare ordine e simmetria superiori al nostro vivere. Napoli, Castel S’Elmo, 2009

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Works first part


Everyday actions: washing I gesti quotidiani: lavare

1963, canvas oil, in 23.6x31.6 1963, olio su tela, cm 60x80

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Clips: commemoration of Sixties Mollette: rievocazione anni ’60

2006, canvas oil, in 27.6x19.7 2006, olio su tela, cm 70x50

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Stamps - population: commemoration of Sixties Timbri - popolazione: rievocazione anni ’60

2006, canvas oil, in 28.7x40.6 2006, olio su tela, cm 73x103

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Philosophical positions in red Posizioni filosofiche in rosso

2010, canvas acrilyc, in 59.1x31.6 2010, acrilico su tela, cm 150x100

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Philosophical positions in green Posizioni filosofiche in verde

2010, canvas acrilyc, in 59.1x31.6 2010, acrilico su tela, cm 150x100

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Philosophical positions in blue Posizioni filosofiche in blu

2010, canvas acrilyc, in 59.1x31.6 2010, acrilico su tela, cm 150x100

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Man’s routes band periwinkle diptych Itinerari dell’uomo banda pervinca dittico

2009, canvas acrylic, in 63x51.2 2009, acrilico su tela, cm 130x160

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Waiting room Sala d’attesa

2008, canvas acrylic, in 55.1x43.3 2008, acrilico su tela, cm 140x100

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Riding on the tongue of the earth A cavallo sulla lingua della terra

2006, canvas acrylic, in 59.1x47.2 2006, acrilico su tela, cm 150x120

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Kneeling on the ground In ginocchio sulla terra

2006, canvas acrylic, in 66.9x47.2 2006, acrilico su tela, cm 170x120

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Writing Scrittura

2010, canvas acrylic, in 63x47.2 2010, acrilico su tela, cm 160x120

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Man’s orange routes Itinerari dell’uomo arancione

2009, canvas acrylic, in 51.2x63 2009, acrilico su tela, cm 130x160

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Walking the ground Camminando sulla terra

2007, canvas acrylic, in 68.7x55.1 2007, acrilico su tela, cm 200x140

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Nude landscape Paesaggio nudo

2010, canvas acrylic, in 39.4x31.5 2010, acrilico su tela, cm 100x80

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Daphne Dafne

2010, canvas acrylic, in 39.4x31.5 2010, acrilico su tela, cm 100x80

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Light garden Orto ottico

1996, installation, in 98.4x78.7 1996, istallazione, cm 250x50

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Image of nature Immagine della natura

2009, canvas acrylic, in 39.4x55.1 2009, acrilico su tela, cm 100x140

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Place of the “bleu” soul I luoghi dell’anima “bleu”

2009, canvas acrylic, in 37.2x66.9 2009, acrilico su tela, cm 120x170

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By myself Picture Gallery Tra me e me quadreria

2008, 9 canvases, canvas acrylic, in 19.7x15.7 each 2008, 9 tele, acrilico su tela, cm 50x40 cad.

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Expected growth Attendere la crescita

2010, canvas acrylic, in 23.6x31.5 2010, acrilico su tela, cm 60x80

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The think tank Il pensatoio

2008, canvas acrylic, in 47.3x59.1 2008, acrilico su tela, cm 110x150

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Biography


122 photo by Paolo Gabrielli

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Renato Mambor

Renato Mambor was born in 1936 in Rome, where he lives and works. He has been one of the protagonists of the search in visual arts since the late Fifties. He has lived on his skin the cultural climate of experimentation and renewal of the Sixties and Seventies, fellow traveller of Pascali, Ceroli, Schifano, Festa, Kounellis, who joined him in the so-called Scuola di Piazza del Popolo. He is one of the first artists to experiment with other artistic languages such as photography, cinema, performances, installations, theatre. He starts his career with the invention of a cold and depersonalized figure-image, using statistical silhouettes, road signs, photographical tracings, stamp and roller stampings. Flat bi-dimensional silhouettes are devoid of physical traits, they lose every hint of depth or calligraphy. Between 1960 and 1965, his works are on show in Rome, in La Tartaruga Gallery owned by Plinio De Martiis. In 1966, on the occasion of his show “Pascali Mambor” in Guida Bookshop in Naples, Achille Bonito Oliva writes his very first critical commentary for Mambor. The same year, together with Ceroli and Tacchi, Mambor moves to America for a while, to live close to the explosion of Pop Art, with which he does not share colourful and garish images. He takes part in some group exhibitions and goes back to Italy with a desire for peace and study. It is the beginning of the praxis of linguistic deconstruction, through the serial use of panels, approaching a highly conceptual sort of work. Invited by Germano Celant to the exhibition “Arte povera-imspazio”, he moves to Genoa and shows his works in La Bertesca Gallery. Alan Solomon appreciates his work Diario 67, and chooses Mambor for the 1968 show “Young Italians” in Boston. In 1967, following a more analytical path, he conceives a work called Filtro, where the value of art itself is shifted to the very act of perception. The mind division of perception is split up into its elementary units - matter, shape, colour and time - and this analysis is pushed forward thanks to the photography medium, in such works as Il mare and L’albero, presented by Filiberto Menna. At the same time, Mambor develops another theme recurring in his work, i.e. “open works”, so as to stimulate and foster active participation of spectators or of other artists. After his Cubi mobili and Diario degli amici, come his Itinerari.

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He takes part in “Il Teatro delle Mostre”, conceived in 1968 by La Tartaruga Gallery in Rome, and then Achille Bonito Oliva, in 1970, invites him to the exhibition “Amore mio” in Montepulciano and to the show “Vitalità del negativo” in Rome, Palazzo delle Esposizioni. Between 1968 and 1970, he develops a strong interest in photography and happenings, with his Azioni fotografate. In 1971, he moves to Milan, where he devises his Evidenziatore, a mechanical device that clasps onto real objects and moves them to the art category. All his detection, the interpretations, the interviews, the photographical apparatus will be put together in the volume L’evidenziatore, Edizioni Multipla, presented by Henry Martin. The object and all the documents will be on show at 1993 Venice Biennial Exhibition. Since the Fifties, Mambor has shown an active passion for the theatrical and acting dimensions, attending seminaries by Fersen with Paola Pitagora, by Marco Guglielmi, De Fazio and others, and starring in a number of films. In the Sixties and Seventies Mambor attends Roman experimental theatre, a friend to Mario Ricci, Giancarlo Nanni and Pippo Di Marca, fascinated by the atmosphere of Teatro Alberico, a melting pot for different experiences, where he makes the acquaintance of extraordinary figures like Roberto Benigni, Daniele Formica, Lucia Poli, Bruno Mazzali and Leo De Bernardinis. In 1975, he realizes a primary metal sculpture called Trousse, inside of which he puts a character. As soon as a man is framed inside, the sculpture becomes a sort of theatre where the subject dwelling inside it experiences an inner voyage, a theatrical act of identity. He founds the GRUPPO TROUSSE, an acting company, together with Pino Pietrolucci, Rodolfo Roberti, Remo Remotti, Claudia Rittore, Lillo Monachesi, Claudio Previtera and Annalisa Foà. “I borrowed the name TROUSSE from the instrument case, so as to spot the features of this investigation from the inside of an individual, carried on in the context of choral assistance, by a group method. The TROUSSE turned from physical space into mind space, with fluid thresholds which foster the passage from individual interiority to external stage and vice versa”. After some performances, the Gruppo has its debut at Teatro Alberico with the shows Edicola Trousse and Esempi d’arredamento. In 1978, in a group of Gestalt-therapy he meets Patrizia Speciale, who becomes his partner and collaborator, enhancing a path aiming at a highly visual theatre, yet concentrated on psycho-dramatic stances. From 1978 to 1987, he conceives diverse shows and happenings: - shows where he is author, actor, director and scene-painter;

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- shows in collaboration with other authors, where he is director and scene-painter; - theatrical labs he conceives and directs; - painting and theatrical reviews where he collaborates with visual artists; - special projects with various artists, musicians, dancers, painters; - he produces the video La linea parallela del mare; - he realizes the animated video L’osservatore; - performances and installations (Allevamenti di campi da football) Around 1987 Mambor gets back to painting, following a never-quenched desire (he has always defined himself a “painter”) and also because of a heart surgery that forces him to reassert his real interests. In the years 1987-1989 theatre shows and new art exhibitions coexist. The theme of the Observer, born in theatre in 1983, is elaborated on a painting level, presenting the figure of the artist, his back facing the observer, looking at various cultivations of painting techniques, caught while pondering on the severance between observer and observed object and on the opportunity of a change of glance. In 1993 at Roman Palazzo delle Esposizioni, M.G. Tolomeo Speranza curates the show “L’Osservatore e le coltivazioni”, with a catalogue presented by Achille Bonito Oliva; in the same period Mambor conceives his show “Gli Osservatori”, presented by Nico Garrone. In 1996 in Rome, during the event-show “Fermata d’autobus”, presented by Achille Bonito Oliva, Mambor has the idea of presenting six real buses, as if they were toy-sculptures, surrounded by some of his works inspired by urban travels. Each vehicle, inside, shelters another artist. In 1996, in Rome, Maurizio Calvesi invites him to an anthological show - “Relazione” - at Museo Laboratorio of La Sapienza University. He presents Il Decreatore and scene-painting Fasce di pensiero. The catalogue contains writings by Maurizio Calvesi, Laura Cherubini and Anne Dagbert. In the summer of 1996, in Spoleto, on the exhibition “START-Arte in stazione”, he makes art materials interact with pre-existent architecture and interiors of the station in order to offer the occasional traveller “a complex work”. In 1998 the Roman Istituto Nazionale per la Grafica dedicates him an anthological show of works on paper - “Mambor opera di segni” - curated by Luigi Ficacci, with writings by Simonetta Lux and Pierre Restany. In 1999 in Modena Galleria Civica he shows a work on paper, Diario a tempo libero, curated by Claudia Zanfi. In Tivoli, at the show “Doppia coppia”, curated by Roberto Gramiccia, he builds a sort of motomandala using genuine ancient motorbikes.

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Year 2002 starts with great solo exhibitions: in Palermo Francesco Gallo curates “Mambor Osservatore - Anni Novanta”; in Montecarlo “A tempo libero” is presented by Alberto Dambruoso of Maretti Arte; in Rome, at Il Mascherino Gallery “Progetto per un’antologica I, II, III” is presented by Barbara Martusciello. Among the diverse group exhibitions it is worth remembering his participation at the show by Achille Bonito Oliva “Le opere e i giorni” at Certosa di S. Lorenzo in Padula. In 2006, with the solo exhibition “Gente che conta” at Brescia Art Time Gallery, Mambor pushes forward the collaboration with directors Marzia Spatafora and Francesco Boni, thanks to whom many exhibitions in Italy and abroad will be realized; he starts creating sculptures in the shape of iron or wooden cut-out silhouettes, flat, standing out of bi-dimensional paintings, thus maintaining the execution praxis of his beginnings. In the same year two more exhibitions: in Nice and in Faenza, at GAM. In 2007 a new work, a big installation is on show in Rome Galleria Nazionale d’Arte Moderna: “Separé”, curated by Marina Gargiulo and Angelandreina Rorro. In the introduction Achille Bonito Oliva writes: “Renato Mambor’s work is a delicate concentration camp for the glance, and also a place to salvage the life of those crossing his silhouettes. In Paris Marcel Duchamp silhouetted the entrance door of a gallery to make room for the spectator’s glance; Lucio Fontana cut the canvas to make room for the art continuum, and now Mambor silhouettes the side-scenes of a painting to seize the life’s fleeting moment”. In the same year, in Milan, Achille Bonito Oliva also curates the exhibition in Fondazione Mudima, collaborating with Art Time Gallery, where the volume L’arte: far quadrato intorno alla vita is presented, containing writings by Gino di Maggio and Gianluca Ranzi, with whom he intensifies a fruitful cultural exchange. In the same year he is in Venice, at the 52nd Biennial Exhibition, with the installation Ombre immutabili, presented by Duccio Trombadori. In Antwerp (Belgium) in 2009 Ranzi curates the exhibition “Renato Mambor. La superficie e le storie infinite”; in the catalogue, he thus presents his work: “Anticipating the times of the media grande bouffe in which we are all immersed, since the late Fifties Mambor has understood, even surpassing Pop Art, that the images were vanishing […] In order to see better, he has stopped looking, and his blindfolded eyes have opened up an abyss of new, marvellous sense, poured in his painting”. In 2009 a great anthological exhibition - “In prestito dall’infinito” - shows new works in Naples, Castel Sant’Elmo, presented by Achille Bonito Oliva and with the collaboration of Art Time Gallery. In autumn, in Rome, Auditorium Arte, Gianluca Ranzi presents “Mai note burrose”. From the text

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by Anna Cestelli: “[…] experimentation which, despite the apparent casualness of a path of art and life that leads the artist to the long parenthesis of avant-garde theatre, remains driven/pervaded by a conceptual and formal coherence which links, like a bow bended backwards in time, his latest and his very first works: in this exhibition, conceived by Mambor with a rigorous time circularity, it is almost possible to read the past inside the future”. In 2010, in Milan, in Piazza Cordusio Palazzo delle Poste a show is organised, where some works by Mambor are placed in the spaces open to post-office-goers, in occasion of the presentation of the poster drawn by Mambor to celebrate the Theatre World Day, for which Poste Italiane made ready a particular philatelic postmark. The presentation is by Gianluca Ranzi, with a writing by Claudia Rittore. In 2011, in Rome, in Limen Gallery, Massimo Riposati juxtaposes some sculptures by Mambor to some masterpieces of African art, at the exhibition “Due ma non due. Guardiani e portatori”.

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RENATO MAMBOR

in his work, i.e. “open works”, so as to stimulate and foster active participation of spectators or of other artists. After his

Was born in 1936 in Rome, where he lives and works.

Cubi mobili and Diario degli amici, come his Itinerari.

He has been one of the protagonists of the search in visual

He takes part in “Il Teatro delle Mostre”, conceived in 1968

arts since the late Fifties. He has lived on his skin the cultural

by La Tartaruga Gallery in Rome, and then Achille Bonito

climate of experimentation and renewal of the Sixties and

Oliva, in 1970, invites him to the exhibition “Amore mio”

Seventies, fellow traveller of Pascali, Ceroli, Schifano, Festa,

in Montepulciano and to the show “Vitalità del negativo” in

Kounellis, who joined him in the so-called Scuola di Piazza

Rome, Palazzo delle Esposizioni.

del Popolo.

Between 1968 and 1970, he develops a strong interest in

He is one of the first artists to experiment with other artistic

photography and happenings, with his Azioni fotografate.

languages such as photography, cinema, performances, in-

In 1971, he moves to Milan, where he devises his Evidenzia-

stallations, theatre.

tore, a mechanical device that clasps onto real objects and

He starts his career with the invention of a cold and de-

moves them to the art category. All his detection, the inter-

personalized figure-image, using statistical silhouettes, road

pretations, the interviews, the photographical apparatus will

signs, photographical tracings, stamp and roller stampings.

be put together in the volume L’evidenziatore, Edizioni Multi-

Flat bi-dimensional silhouettes are devoid of physical traits,

pla, presented by Henry Martin. The object and all the docu-

they lose every hint of depth or calligraphy.

ments will be on show at 1993 Venice Biennial Exhibition.

Between 1960 and 1965, his works are on show in Rome, in

Since the Fifties, Mambor has shown an active passion for

La Tartaruga Gallery owned by Plinio De Martiis.

the theatrical and acting dimensions, attending seminaries

In 1966, on the occasion of his show “Pascali Mambor” in

by Fersen with Paola Pitagora, by Marco Guglielmi, De Fazio

Guida Bookshop in Naples, Achille Bonito Oliva writes his

and others, and starring in a number of films.

very first critical commentary for Mambor. The same year,

In the Sixties and Seventies Mambor attends Roman exper-

together with Ceroli and Tacchi, Mambor moves to America

imental theatre, a friend to Mario Ricci, Giancarlo Nanni

for a while, to live close to the explosion of Pop Art, with

and Pippo Di Marca, fascinated by the atmosphere of Teatro

which he does not share colourful and garish images. He

Alberico, a melting pot for different experiences, where he

takes part in some group exhibitions and goes back to Italy

makes the acquaintance of extraordinary figures like Rob-

with a desire for peace and study. It is the beginning of the

erto Benigni, Daniele Formica, Lucia Poli, Bruno Mazzali and

praxis of linguistic deconstruction, through the serial use of

Leo De Bernardinis.

panels, approaching a highly conceptual sort of work.

In 1975, he realizes a primary metal sculpture called Trousse,

Invited by Germano Celant to the exhibition “Arte povera-

inside of which he puts a character. As soon as a man is

imspazio”, he moves to Genoa and shows his works in La

framed inside, the sculpture becomes a sort of theatre where

Bertesca Gallery. Alan Solomon appreciates his work Diario

the subject dwelling inside it experiences an inner voyage, a

67, and chooses Mambor for the 1968 show “Young Italians”

theatrical act of identity.

in Boston.

He founds the GRUPPO TROUSSE, an acting company, to-

In 1967, following a more analytical path, he conceives a

gether with Pino Pietrolucci, Rodolfo Roberti, Remo Remotti,

work called Filtro, where the value of art itself is shifted to

Claudia Rittore, Lillo Monachesi, Claudio Previtera and An-

the very act of perception. The mind division of perception

nalisa Foà.

is split up into its elementary units - matter, shape, colour

“I borrowed the name TROUSSE from the instrument case, so

and time - and this analysis is pushed forward thanks to the

as to spot the features of this investigation from the inside

photography medium, in such works as Il mare and L’albero,

of an individual, carried on in the context of choral assist-

presented by Filiberto Menna.

ance, by a group method. The TROUSSE turned from physi-

At the same time, Mambor develops another theme recurring

cal space into mind space, with fluid thresholds which foster

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Renato Mambor

Renato Mambor nato nel 1936 a Roma, dove vive e lavora. È uno dei protagonisti della ricerca nelle arti visive fin dalla fine degli anni Cinquanta. Ha vissuto in prima persona il clima culturale di sperimentazione e rinnovamento degli anni Sessanta e Settanta, compagno di strada di Pascali, Ceroli, Schifano, Festa, Kounellis, con cui ha fatto parte di quella che storicamente è stata definita Scuola di Piazza del Popolo. È uno dei primi artisti a sconfinare dalla pittura in altri linguaggi quali la fotografia, il cinema, la performance, le installazioni, il teatro. Mambor inizia la sua attività con l’invenzione di un’immagine figurale fredda e spersonalizzata attraverso l’uso di sagome statistiche, segnali stradali, ricalchi fotografici, stampigliatura di timbri e rulli. Le sagome piatte bidimensionali escludono i tratti somatici, ogni segno di profondità o di calligrafia. Tra il 1960 e il 1965 espone a Roma alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis. Nel 1966 per la mostra “Pascali Mambor”, alla Libreria Guida di Napoli, scrive la sua prima presentazione critica Achille Bonito Oliva. Nello stesso anno, assieme a Ceroli e Tacchi Mambor si trasferisce per un periodo in America per vivere da vicino l’esplosione della Pop Art di cui non condivide le immagini colorate e chiassose. Partecipa ad alcune mostre collettive e torna in Italia con un desiderio di silenzio e di approfondimento. Inizia il periodo delle decostruzioni linguistiche attraverso l’uso seriale di pannelli, dedicandosi ad un lavoro più concettuale. Invitato da Germano Celant per la mostra “Arte povera-imspazio” si trasferisce a Genova e espone per alcuni anni alla Galleria La Bertesca. L’opera Diario 67 è apprezzata anche da Alan Solomon, che lo sceglie per la mostra “Young Italians” a Boston nel 1968. Nel 1967, seguendo una linea analitica, realizza un’opera chiamata Filtro, in cui sposta il valore dell’arte nell’atto stesso della percezione. La suddivisione mentale della percezione viene scissa nelle unità elementari - materia, forma, colore e tempo - e tale analisi viene ripresa anche attraverso il mezzo fotografico, in opere quali Il mare e L’albero, che sono presentate da Filiberto Menna. In parallelo Mambor sviluppa un’altra tematica ricorrente nel suo lavoro con opere “aperte” per

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stimolare la partecipazione attiva del pubblico o di altri artisti. Dopo Cubi mobili e Diario degli amici, anche Itinerari. Mambor partecipa al “Il Teatro delle Mostre” organizzato nel 1968 dalla Galleria La Tartaruga a Roma, e poi è invitato da Achille Bonito Oliva nel 1970 a Montepulciano per la mostra “Amore mio” e per “Vitalità del negativo” a Roma, Palazzo delle Esposizioni. Tra il 1968 e il 1970 estende il suo interesse alla fotografia e all’happening, con le Azioni fotografate. Nel 1971 si trasferisce a Milano, dove giunge all’invenzione dell’Evidenziatore, un aggeggio meccanico che si aggancia alle cose della realtà spostandole nella categoria dell’arte. Tutta l’indagine, le interpretazioni, le interviste, l’apparato fotografico verranno riuniti nel volume L’evidenziatore, Edizioni Multipla, con la presentazione di Henry Martin. L’oggetto e tutta la documentazione saranno esposti alla Biennale di Venezia nel 1993. Parallelamente, fin dagli anni Cinquanta, Mambor ha sviluppato un interesse attivo per la dimensione teatrale e attoriale, partecipando a seminari di Fersen con Paola Pitagora, a quelli di Marco Guglielmi, di De Fazio, e ricoprendo ruoli in alcuni film. Negli anni Sessanta e Settanta ha frequentato i teatri di sperimentazione a Roma, amico di Mario Ricci, Giancarlo Nanni, Pippo Di Marca, affascinato dall’atmosfera del Teatro Alberico, in cui convivevano esperienze diverse e conoscendo alcuni protagonisti quali Roberto Benigni, Daniele Formica, Lucia Poli, Bruno Mazzali, Leo De Bernardinis. Nel 1975 costruisce una scultura primaria di metallo, denominata Trousse, all’interno della quale introduce un personaggio. Nel momento in cui venne incorniciato un uomo, l’opera scultorea diventa un teatrino in cui il soggetto che lo abita vive un viaggio interno, un atto teatrale di identità. Fonda il GRUPPO TROUSSE, una compagnia teatrale, assieme a Pino Pietrolucci, Rodolfo Roberti, Remo Remotti, Claudia Rittore, Lillo Monachesi, Claudio Previtera e Annalisa Foà. “Il nome TROUSSE l’ho preso dall’astuccio degli strumenti, proprio per indicare la caratteristica di quest’indagine all’interno di un individuo, attuata nel contesto di un’assistenza corale, attraverso una metodologia collettiva. La TROUSSE da spazio fisico è diventata spazio mentale con soglie fluide per il passaggio dall’interno dell’individuo all’esterno del palcoscenico e viceversa”. Dopo alcune performance il Gruppo debutta al Teatro Alberico con gli spettacoli Edicola Trousse e Esempi d’arredamento. Nel 1978, in un gruppo di terapia gestaltica incontra Patrizia Speciale, che diventa la sua compagna e collaboratrice, rafforzando una linea di ricerca di un teatro fortemente visivo ma attento alle dinamiche psicodrammatiche.

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Dal 1978 al 1987 realizza spettacoli e manifestazioni diverse: - spettacoli d’autore, vere e proprie opere in cui è autore, attore, regista, scenografo; - spettacoli in collaborazione con altri autori, in cui è regista e scenografo; - laboratori teatrali che dirige e in cui realizza spettacolazioni; - rassegne di teatro pittura in cui coinvolge artisti visivi; - progetti speciali con artisti di diverse discipline: musicisti, danzatori, pittori; - produce il filmato “La linea parallela del mare”; - il filmato d’animazione “L’osservatore”; - performance e installazioni (“Allevamenti di campi da football”). Intorno al 1987 Mambor torna alla pittura, per un desiderio mai cessato (si è sempre presentato come “pittore”) e per un’operazione al cuore che lo costringe a riaffermare ciò che più gli interessa. Negli anni 1987-1989 affianca ad alcuni spettacoli le prime nuove mostre. Il tema de “L’OSSERVATORE”, nato in teatro nel 1983, viene elaborato nel linguaggio pittorico presentando la figura dell’artista di spalle che osserva diverse coltivazioni di tecniche pittoriche, in una riflessione sulla separazione tra osservatore e cosa osservata e sulla possibilità del cambiamento di sguardo. Nel 1993 al Palazzo delle Esposizioni di Roma M. G. Tolomeo Speranza cura la mostra “L’Osservatore e le coltivazioni” con il contributo in catalogo di Achille Bonito Oliva, e contemporaneamente Mambor realizza lo spettacolo “Gli Osservatori”, presentato da Nico Garrone. Nel 1996 a Roma, nella mostra-evento “Fermata d’autobus”, presentata da Achille Bonito Oliva, Mambor ha l’idea di mostrare sei autobus reali come fossero sculture-giocattolo, circondati da sue opere ispirate al viaggio urbano. Ciascun veicolo all’interno, svuotato, ospita un altro artista. Sempre nel 1996 a Roma è invitato da Maurizio Calvesi alla mostra antologica “Relazione” del Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza, dove presenta Il Decreatore e il quadro scenico Fasce di pensiero. Il catalogo ha scritti di Maurizio Calvesi, Laura Cherubini e Anne Dagbert. Ancora nel 1996 in estate, a Spoleto, nella mostra “START-Arte in stazione”, fa interagire i materiali d’arte creati per l’occasione con l’architettura e gli arredi preesistenti della stazione per presentare al viaggiatore occasionale “un’opera complessa”. Nel 1998 l’Istituto Nazionale per la Grafica a Roma gli dedica una mostra antologica di opere su carta - “Mambor opera di segni” - curata da Luigi Ficacci, con scritti di Simonetta Lux e Pierre Restany. Nel 1999 presenta a Modena alla Galleria Civica il lavoro su carta Diario a tempo libero, a cura di Claudia Zanfi. A Tivoli, nella mostra “Doppia coppia”, curata da Roberto Gramiccia, costruisce un motomandala, usando vere moto d’epoca.

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Il 2002 inizia con grandi mostre personali: a Palermo Francesco Gallo cura “Mambor OsservatoreAnni Novanta”; a Montecarlo “A tempo libero” è presentata da Alberto Dambruoso dalla Maretti Arte e a Roma, alla Galleria Il Mascherino “Progetto per un’antologica I, II, III” è presentato da Barbara Martusciello. Tra le molte collettive è importante la partecipazione alla mostra di Achille Bonito Oliva “Le opere e i giorni” alla Certosa di S. Lorenzo a Padula. Nel 2006, con la mostra personale “Gente che conta”, presso la Galleria Art Time di Brescia, Mambor rafforza la collaborazione con i direttori Marzia Spatafora e Francesco Boni, attraverso cui il lavoro si amplierà con mostre in Italia e all’estero, e inizia a realizzare sculture come sagome ritagliate, in ferro e in legno, piatte, fuoriuscite dalla bidimensionalità del quadro mantenendo i presupposti esecutivi dei primi anni. Nello stesso anno altre due mostre: a Nizza e a Faenza alla GAM. Nel 2007 un nuovo lavoro, una grande installazione, viene esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma: “Separé”, a cura di Marina Gargiulo e Angelandreina Rorro. Nella presentazione Achille Bonito Oliva scrive: “L’opera di Renato Mambor è un delicato campo di concentrazione per lo sguardo e di salvaguardia per la vita di chi attraversa le sue sagome. Marcel Duchamp sagomò a Parigi la porta di una galleria per far spazio allo sguardo dello spettatore, Lucio Fontana tagliò la tela per far spazio al continuum dell’arte e ora Mambor sagoma le quinte della pittura per catturare l’attimo fuggente della vita”. Nello stesso anno a Milano Achille Bonito Oliva cura anche la mostra alla Fondazione Mudima, con la collaborazione di Art Time, in cui viene presentato il volume L’arte: far quadrato intorno alla vita, con scritti anche di Gino di Maggio e Gianluca Ranzi, con cui prosegue un proficuo scambio culturale. Nello stesso anno è presente a Venezia alla 52° Biennale, con l’installazione Ombre immutabili, con la presentazione di Duccio Trombadori. Ad Anversa nel 2009 sarà Ranzi a curare la mostra “Renato Mambor. La superficie e le storie infinite” e nel catalogo così presenta il lavoro: “Precorrendo i tempi della grande bouffe mediatica in cui oggi tutti siamo immersi, egli già dalla fine degli anni Cinquanta ha compreso in anticipo, persino sulla Pop Art, che le immagini si stavano vaporizzando […] Per vedere meglio egli ha smesso di guardare, e la benda che si è posto sugli occhi ha aperto una voragine di nuovo senso e di meraviglioso che egli oggi riversa a sua volta nella sua pittura”. Nel 2009 la grande antologica “In prestito dall’infinito” mostra anche nuovi lavori a Napoli, a Castel Sant’Elmo, con la presentazione di Achille Bonito Oliva e la collaborazione di Art Time.

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In autunno a Roma, all’Auditorium Arte, Gianluca Ranzi presenta “Mai note burrose”. Dal testo di Anna Cestelli: “[…] sperimentazione che, nonostante l’apparente casualità di un percorso di arte e vita che porta l’artista alla lunga parentesi del teatro d’avanguardia, rimane tuttavia guidata/ pervasa da una coerenza concettuale e formale che unisce, come un arco teso a ritroso nel tempo, le ultime alla sue primissime opere: così in questa mostra, pensata da Mambor con una rigorosa circolarità temporale, dove diviene quasi possibile leggere il passato nel futuro”. Nel 2010 a Milano nel Palazzo delle Poste a Piazza Cordusio viene allestita una mostra in cui alcune opere di Mambor si collocano negli spazi aperti al pubblico delle poste, in occasione della presentazione del manifesto disegnato da Mambor per la Giornata Mondiale del Teatro, per cui le Poste Italiane approntano un annullo filatelico. La presentazione è di Gianluca Ranzi, con uno scritto di Claudia Rittore. A Roma nel 2011 alla Galleria Limen Massimo Riposati accosta alcune opere scultoree di Mambor a capolavori dell’arte africana nella mostra “Due ma non due. Guardiani e portatori”.

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Works second part


Figures in red Figure in rosso

2010, canvas acrylic, in 23.6x31.5 2010, acrilico su tela, cm 60x80

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Before the image Prima dell’immagine

2010, canvas acrylic, in 31.5x39.4 2010, acrilico su tela, cm 80x100

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Emerging from abstract Emergendo dall’astratto

2009, canvas acrylic, in 44.2x63 2009, acrilico su tela, cm 120x160

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Reflector and painted object Riflettore e oggetto dipinto

2005, canvas acrylic, in 39.4x59.1 2005, acrilico su tela, cm 100x150

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The blade force depends on who wields it La forza della lama dipende da chi la impugna

2010, canvas acrylic, in 39.4x47.2 2010, acrilico su tela, cm 100x120

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Observer and crops 2010, canvas acrylic, in 66.9x47.2

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Osservatore e coltivazioni 2010, acrilico su tela, cm 170x120


Observer and crops 2010, canvas acrylic, in 66.9x47.2

Osservatore e coltivazioni 2010, acrilico su tela, cm 170x120

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Black light reflector Riflettore luce nera

2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1 2010, acrilico su tela, cm 100x150

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Youth section Sezione giovanile

2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1 2010, acrilico su tela, cm 100x150

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One mounts the moon Uno monta la luna

2010, canvas acrylic, in 59.1x39.4 2010, acrilico su tela, cm 150x100

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On a yellow surface 2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1

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Sul piano giallo 2010, acrilico su tela, cm 100x150


On a blue surface 2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1

Sul piano azzurro 2010, acrilico su tela, cm 100x150

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Observer and writing Osservatore e scrittura

2010, canvas acrylic, in 66.9x47.2 2010, acrilico su tela, cm 170x120

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Men camouflage Uomini mimetici

2010, canvas acrylic, in 39.4x47.2 2010, acrilico su tela, cm 100x120

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Observer and crops Osservatore e coltivazioni

2010, canvas acrylic, in 66.9x47.2 2010, acrilico su tela, cm 170x120

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Red passenger Passeggero rosso

2010, canvas acrylic, in 31.5x39.4 2010, acrilico su tela, cm 80x100

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The studio Sala di posa

2009, canvas acrylic, in 39.4x60.2 2009, acrilico su tela, cm 100x153

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Hinged Incernierato

2008, canvas acrylic, in 39.4x59.1 2008, acrilico su tela, cm 100x150

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5-hands vertical farming: Arianna Sammassimo Elisa Berrettoni Marcello Plebani Alessandra Taborra Linda Marinucci Coltivazioni verticali a 5 mani

2010, canvas acrylic, in 47.2x63 2010, acrilico su tela, cm 120x160

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Renato and the village 2007, canvas acrylic, in 39.4x59.1 private collection Roccasecca, Frosinone

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Renato e il villaggio 2007, acrilico su tela, cm 100x150 collezione privata Roccasecca, Frosinone


The reflector and the abacus 2006, double panel canvas acrylic, in 43.3x59.1 Diego Dalle Carbonare collection

Il riflettore e il pallottoliere 2006, acrilico su tela tamburata, cm 110x150 collezione Diego Dalle Carbonare

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Station 2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1

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Stazione 2010, acrilico su tela, cm 100x150


Decorum of a lady’s portrait 2010, canvas acrylic, in 39.4x59.1

Decoro e ritratto di dama 2010, acrilico su tela, cm 100x150

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The narrator violet rectangle Il narratore rettangolo viola

2007, raw canvas oil and enamel, in 47.2x27.6 2007, olio e smalto su tela grezza, cm 120x70

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When young, I worked as a filling station attendant

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Quando da ragazzo facevo il benzinaio

2006, double panel canvas oil and ename, in 39.4x59.1

2006, olio e smalto su tela tamburata, cm 100x150

Franco Negri collection

collezione Franco Negri


Skin change Maria-Laura 2004, canvas acrylic, in 27.6x43.3 Ennio Santi collection

Cambiar pelle Maria-Laura 2004, acrilico su tela, cm 70x110 collezione Ennio Santi

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Cut landscapes Paesaggi tagliati

2004, canvas acrylic, in 47.2x27.6 private collection Castenaso, Bologna

2004, acrilico su tela, cm 120x170 collezione privata Castenaso, Bologna

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Lotus triangle

Loto triangolo

2008, double raw panel canvas oil and enamel, in 47.2x27.6

2008, olio e smalto su tela grezza tamburata, cm 120x170

private collection Miano

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collezione privata Milano


Mutation

Mutazione

2006, double raw panel canvas oil and enamel, in 27.6x39.4

2006, olio e smalto su tela grezza tamburata, cm 70x100

private collection Bellusco

collezione privata Bellusco

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Waiting for 2008, double raw panel canvas oil and enamel, in 47.2x66.9 Diego Dalle Carbonare Collection

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Aspettando 2008, olio e smalto su tela grezza tamburata, cm 120x170 collezione Diego Dalle Carbonare


Philosophical positions 2006, canvas acrylic, in 15.7x23.6 Private collection Rossi, Genova

Posizioni filosofiche 2006, acrilico su tela, cm 40x60 Collezione privata Rossi, Genova

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Nude andscape: tree and gold 2001, canvas acrylic, in 23.6x39.4 Private collection Marisa Morello

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Paesaggio nudo: albero e oro 2001, acrilico su tela, cm 60x100 Collezione privata Marisa Morello


Cultural vehicle: green car 2001, canvas acrylic, in 23.6x39.4 Private collection Marisa Morello

Veicolo culturale: auto verde 2001, acrilico su tela, cm 60x100 Collezione privata Marisa Morello

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Ex hi bi t i ons and theatre


Solo exhibitions

1965

- Renato Mambor, La Tartaruga Art Gallery, Rome

1966

- Renato Mambor Pino Pascali, edited by Achille Bonito Oliva, Libreria Guida/Art Gallery, Naples

1968

- Works of art by Renato Mambor from 1965 and from 1967, Duemila Art Gallery, Bologna, in cooperation with La Bertesca Art Gallery, Genoa - ’68 itineraries, Ariete Art Gallery, Milan - Wonderful signals (11 light blue sweepers), action and photographic action, via Roma, Genoa - Delible itineraries, action with Paolo Icaro, Genoa - Delible itineraries, action with Emilio Prini, Genoa - Study on the sunset, La Bertesca Art Gallery, Genoa

1969

- Renato Mambor, La Bertesca Art Gallery, Genoa

1970

- Dog, proved action, Clinica Mangiagalli, Milan - Drawings 1960/70, Ariete Art Gallery, Milan - The ’67 journal: the friends’ panels, Mana Art Market Gallery, Rome - Two decades of artistic events in Italy: 1950-70, Palazzo Pretorio, Prato - Collective exhibition, Mana Art Market Gallery, Rome

1971

- Renato Mambor, Breton Art Gallery, Milan - Survey on the highlighter, Il Punto Art Gallery, Calice Ligure - A pickup freight with ... has come, LP 220 Art Gallery, Calice Ligure - Renato Mambor, Stefanoni Art Gallery, Lecco

1972

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- How would you name it?, LP 220 Art Gallery, Calice Ligure


- Renato Mambor, Pourquoi pas Art Gallery, Genoa - The highlighter, art international meetings, Palazzo Taverna, Rome - Renato Mambor, Il Naviglio Art Gallery, Milan 1973

- Renato Mambor, Il Punto Art Gallery, Calice Ligure

1975

- Renato Mambor, Lo Spazio Art Gallery, Rome - The highlighter, Multhipla Art Gallery, Piazzale Martini, Milan

1976

- The Filter - Works of art from ‘67, Etruscoludens Art Gallery, Rome - Mambor, Studio Cavalieri, Bologna

1977

- Trousse, art international meetings, Palazzo Taverna, Rome - Delible itineraries, Palazzo Mazzancolli, Terni - Trousse, Studio Cavalieri, Bologna

1978

- Private code, Studio Cavalieri, Bologna

1979

- Football pitches’ farming, Parco Centrale di via Sabotino, Rome

1980

- White art, performance for the Evento-Pittura exhibition, via Sabotino, Rome

1982

- Travelling itineraries: tracks on Viale dell’Uccelliera, performance, Villa Borghese, Rome

1983

- Intersubject itineraries, Palazzo Rivaldi/Convento Occupato, Rome

1984

- Paintings in an interior, Atelier Kanalis, Rome

1987

- Renato Mambor. The Rollers (1968 - 1972), Lascala c/o Il Desiderio preso per la coda, Rome

1990

- Renato Mambor, University of Salerno, Salerno - Mambor & Mambor, Mara Coccia Art Gallery, Rome - Renato Mambor, Drawing and Work of art’s Plan 1960- 90, A.A.M. Art Gallery, Rome

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1991

- The Observer and the crops, (event-dibate), Mudima Foundation, Milan - Renato Mambor. Sixties’ career, Fontanella Borghese, Rome

1993

- Mambor in the Sixtiex, Cinquetti Art Gallery, Verona - Renato Mambor. The Observer and the crops, Exhibitions’ Palace, Rome - Renato Mambor. The Reflector, Sprovieri Art Gallery, Rome - Out-circuit art, Caffe Latino, Rome

1995

- Bus stop, Spazio Flaminio/Atac, Rome

1996

- Relationship, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Sapienza University, Rome - Mambor, Romberg Art Gallery, Latina - Start.Arte at the Station, The Traveller, Spoleto - Mambor in Pietrarsa, Museo Nazionale Ferroviario, Pietrarsa

1998

- Mambor. Work of signs. From 1960 to date, Istituto Nazionale per la Grafica, Rome

1999

- Free time journal, City Art GalleryModena - Verticalia, Archeological Museum, Palestrina

2000

- Renato Mambor, Centre Culturel Français de Milan, Milan - Mambor: works of art from 1960 to 2000, Granelli Art Gallery, Livorno - Ricalcare. Renato Mambor, Studio Soligo, Rome

2001

- Renato Mambor. The idea of the roller, Soligo Art Project, Rome - Correspondence (with Marilù Eustachio), A.A.M. Art Gallery, Rome

2002

- Renato Mambor. The Nineties’ Observer, Loggiato di San Bartolomeo, Palermo - Renato Mambor, Maretti Arte Monaco, Montecarlo - Renato Mambor. Project for a collection I, 1957 - 2002, Galleria Mascherino, Rome

2003

190

- Renato Mambor, Studio d’Arte Fedele, Monopoli


2004

- Project for a collection II: from the Statistical Man to Renato d’Egitto, Mascherino Art Gallery, Rome

2005

- Renato Mambor. Project for a collection III: Spectator-Observer, Mascherino Art Gallery, Rome - Renato Mambor, Galleria Maretti Arte e Galleria Alain Couturier, Nice - Renato Mambor. Cut passages, GAM, Faenza

2006

- Renato Mambor – The golds, Show Room Telemarket, Bologna - People who count, Galleria Art Time, Brescia

2007

- Connections, Mudima Foundation, Milan - Private room, Modern Art National Gallery, Rome

2008

- An unbearable double, Art Aldobrandini Stables, Frascati - Renato Mambor, MUDIMAdrie, Anvers - Belgium.

2009

- Borrowing from the infinite, Castel Sant’Elmo, Naples - Never buttery notes, Auditorium arte, Rome

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Collective exhibitions

1956

- Silver Paintbrush Award, Circolo Culturale delle Vittorie, Rome - Small figurative arts’ exhibition, Valico di Montebove, Roccacerro

1957

- 1st Exhibition of Painting and Sculpture, Regina Margherita Art Gallery, Rome

1958

- Via Margutta Exhibition, Rome - Cinecittà Award. Paiting exhibition, Tuscolana’s Communist Party division, Rome

1959

- Mambor Schifano Tacchi, Appia Antica Art Gallery, Rome

1960

- Encouragement prizes by the National Modern and Contemporary Arts’ Gallery, Rome, National Modern Art

1961 1963

- San Fedele Award, Milan - 13 painters in Rome, La Tartaruga Art Gallery, Rome - Lombardo Mambor Tacchi, La Tartaruga Art Gallery, Rome

1964

- Franco Angeli, Umberto Bignardi, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Cesare Tacchi, La Tartaruga Art Gallery, Rome - Lombardo Mambor Tacchi - Ferro di Cavallo Art Gallery, Rome - Exhibition market, La Salita Gallery, Rome - Encouragement prize, National Museum of Arts and Lore, Rome - La Tartaruga Award, La Tartaruga Art Gallery, Rome

1965

192

- Nettuno Award, Castello Sangallo and Torre Astura, Nettuno; La Salita Art Gallery, Rome - Reality of the image, Libreria Feltrinelli, Rome - Ceroli Mambor Tacchi, La Fornarina Art Gallery, Rome - Rome and Lazio Figurative arts’ 5th exhibition, Exhibitions’ Palace, Rome - Mambor, Twombly, Baruchello, Ceroli, Festa, Fioroni, Kounellis, Lombardo, Mauri, Pascali, Tacchi, La Tartaruga Art Gallery, Rome


1966

- Rome 1966: reality of the image, La Tartaruga Art Gallery, Rome - 1st Annual Yugoslavia Show, Porec - 17th Avezzano Award, Palazzo del Liceo, Avezzano

1967

- 11 Italian artists of the Sixties, Palazzo Ancaiani, Spoleto - Trento Award, Trento - Contemporary Art in Emilia Romagna, City Museum, Bologna - Poor Art - Collage 1, University of Genoa, Genoa - Situation 67, La Bertesca Art Gallery, Genoa - Poor Art – Imspazio, La Bertesca Art Gallery, Genoa - Young Italians, Institute of Contemporary Art, Boston - San Fedele Award, San Fedele Art Gallery, Milan

1968

- Exhibition’s theatre, performance-exhibition, La Tartaruga Art Gallery, Rome - Icaro Mambor Prini, La Bertesca Art Gallery, Genoa - 6th Rome Biennial Exhibition. Rome and Lazio Figurative arts’ exhibition, Exhibitions’ Palace, Rome

1970

- Neue Italienische Kunst, Rolandseck, Saalen des Bahnhofs, Germany - My Love, Palazzo Ricci, Montepulciano - Liveliness of the negative in the Italian art 1960-70, Exhibitions’ Palace, Rome

1971

- Today’s image in Italy, Villa Manzoni, Lecco - Dumping, Carlo Quartucci’s truck project, travelling action, Rome, Turin, Genoa

1972

- 10th Art quadrennial, Exhibitions’ Palace, Rome - Meetings, 1972, Palazzo Taverna, Rome - Pollution, Santo Stefano Square, Rome - In Calice the sea is missing, LP 220 Art Gallery, Calice Ligure - Highlighter, TV Out 1, travelling video event, in conjunction with the Biennial Exhibition in Venice

1975

- Inco Art 75, Industry and Trade of Art, International exhibition market, Rome - 8th Biennial Exhibition for the Metal, Gubbio

1976

- The resemblance, Unimedia Art Gallery, Genoa

193


1977

- Art in Italy 1960/77, City Modern Art Gallery, Turin - An Italian Trend 1962/77, De Foscherari, Bologna

1980

- Twenty years of Theatre research in Italy 60/80, Exhibitions’ Palace, Rome

1981

- Line of the artistic research 60/80, Exhibitions’ Palace, Rome - Pop Art and objects’ research in Italy in the Sixties, Rocca Roverasca, Senigallia - Samples 60/80, Palazzo della Gran Guardia, Verona

1983

- Pop art and Italy, Castello Visconteo, Pavia - Trans metro-image in Rome, Museum of Work and Culture, Rome

1984 1985

- Pop Art’s sides in Italy, Lecce - Italian Art of the Sixties in the collections of the Modern Art City Gallery, Castello di Rivoli, Rivoli

1986 1987

- Italian Dream. Franchetti collection in Rome, Castello Colonna, Genazzano - Rome Punto Uno, Mara Coccia Art Gallery, Rome - Pianofortissimo, Mudima Foundation, Milan

1988

- Talking about a 1963 exhibition in Piazza del Popolo: Lombardo, Mambor, Tacchi, Il Segno Tridente Art Gallery, Rome - Scena transition, Studio E, Rome

1989

- Work in progress, Il Campo Art Gallery, Rome - Rome Punto Uno, Edinburgh; Aberdeen; Belfast: Ayr - Artoon, Museum of Work and Culture, Rome

1990

- Marche Award, Ancona - Poor Art and surroundings, Atrium, Biella - Rome in the Sixties: beyond the paiting, Exhibitions’ Palace, Rome - The holy door, Il Cortile Art Gallery, Rome

1991

- Angeli, Festa, Mambor, Chisel Art Gallery, Milan - 60/90 Thirty years of, Roman avant-gard, Palazzo dei Congressi, Rome

194


- Simbolica, Fontanella Borghese Art Gallery, Rome - Angeli, Mambor, Ducale Art Gallery, Modena - 1960 - 1966, Il Segno Art Gallery, Rome 1992

- Simbolica, Cinquetti Art Gallery, Rome - Cocart, Bianca Pilat Art Gallery, Milan - Measure and measuring. The other: art’s eye, Villa Campolieto, Napoli

1993

- Do all roads lead to Rome?, Exhibitions’ Palace, Rome - The trident, art and theatre, Il Cortile Art Gallery, Rome - Transits, migrations, ways, RAM, Rome - 45th Biennial International Art Exhibition in Venice. The quick sound of things, Venice - Interiors. Love objects. Artist collections’ walls, A.A.M. Art Gallery, Rome - Breaking-up/Aggregating, Palazzo Racani-Arroni, Spoleto - The place for the heavy bodies: tribut to Masaccio, La Salerniana, Erice - ArtEnergie. Minimun prominencies. Matter, memory, idea, Passage de Retz, Paris

1995

- ArteFestval, Italian still life paintings compared: ‘600, ‘700 and contemporary art, Villa Manzoni, Lecco - Rimamari, exhibition with Cloti Ricciardi, Exhibitions’ Palace, Rome - Works of art for conference hall, Exhibitions’ Palace, Rome - The myth and the classic, Fortezza Firmafede, Sarzana - Under siege, Torretta Valadier di Ponte Milvio, Rome - Magic spells, old town, Bomarzo - Border observatory, Palazzo della Cornia, Città della Pieve

1996

- First celebration of another world, Villa Scheibler, Quarto Oggiaro, Milan - Angels over Rome, Palazzo Rondanini, Diagonale Art Gallery, Rome - Art for all, San Salvatore in Lauro, Rome - Artists for opening, American Academy, Rome - Nancy Marotta’s Mana, ES Architetture, Rome - By the rule book, Museum of Contemporary Arts, University of Tuscia, Viterbo - Spotting towers, Associazione Culturale Arte in Comune, Tarquinia - Renovatio Urbis, S. Salvatore in Lauro, Rome

1997

- And still the ship is not in sight, harbour area, Salonika

195


- Freehand drawings, Opera Paese, Rome - Heteronomus. De-composition, San Michele a Ripa, Rome - Unique gestures, Sala 1, Rome - Signo, Palazzolo Acreide 1998

- Long life, Italy, Bianca Pilat Art Gallery, Milan - Permanent Collection, Pecci Museum, Prato - Mitoferrari, Maranello, Bianca Pilat Art Gallery, Milan - Mitovelocità, Contemporary and Modern Art Gallery, San Marino - Oraziana, Palazzo Orsini, Licenza - Virgiliana, Forte Sangallo, Nettuno - For the happy mood of the Sixties, Castelluccio di Pienza, Pienza - Call a spade a spade, Palazzo di Ariccia, Ariccia - Voices 1958 Rome 1968, Studio Sotis, Roma - Vanishing point/fairy tale, Castello Colonna, Genazzano - Traspaencies and contrasts, Exhibition “Angels over Rome”, S. Rita Church, Rome - People disfavour, Ex Mattatoio, Rome

1999

- Quadruplet, Annunziata historical walls, Tivoli - Work in progress, Modern and Contemporary Art Gallery, Rome - The Pop art in Italy, Niccoli Art Gallery, Parma - Lucrezia’s home, Palazzo Durini, Bolognano

2000

- DNArt, Palazzo Durini, Milano - Mito Ferrari, Aldobrandini Stables, Frascati, Rome - Commitment Image-Image Commitment, Ex Mattatoio, Rome - Great Sixties, San Giovanni, Catanzaro - Twentieth century. Art and history in Italy, Quirinal Stables and Market exhibitions of Traiano, Rome - Pop Art. Why Rome, ex city hall, Trissino

2001

- Art and Architecture, Foro Italico, Rome - ABO: the critique arts, San Benedetto del Tronto/Castel Sant’Angelo, Rome - The Twentieth century on the table, Palazzo Ruspoli, Nemi - Style practices, Palazzina delle Arti, La Spezia - The heart of a collection, Palazzo Ducale Contemporary Art Gallery, Pavullo nel Frignano

196


- Biennial exhibition of arts and Mediterranean sciences, Convento di San Francesco, Giffoni - Brandi Rubiu Collection, National Modern Art Gallery, Rome 2001

- Picasso in the mirror, Treviso

2003

- Piazza del Popolo ‘60 - ‘70. Fotographs by Plinio de Martiis, various venues, Rome - Premio Michetti, Pescara - Indelible marks, MACRO, Rome - Collective exhibition, Canale Cardello, Viterbo (makes an outdoors Mandala) - Contemporary (temporary) art collection, Palazzo della Farnesina, Rome - Marinettiana, Il Gabbiano, La Spezia - The collections, Istituto Nazionale per la Grafica, Rome

2004

- Rome London Paris, Il Ponte Art Gallery, Florence - Troubled signals, Peccolo Art Gallery, Florence - From Balla to the Trans-avant-garde, Triennale di Milano, Milan - Across Genoa, Villa Croce Museum, Genoa - Roads, Mascherino Art Gallery, Rome - Vineart 2004, Bolzano Exhibition, Bolzano - OutArt 2004, Appia Antica Park, Casa Sgaravatti, Rome - Reflexes in the art, Mole Vanvitelliana, Ancona - Art and artist movie theatre – The School of Piazza del Popolo, La Nuvola Art Gallery, Rome - The Works and the Days - Tre, Certosa di San Lorenzo, Padula (SA)

2005 - Italy Pop Art 1958 - 1968, Modern Art City Gallery, Palazzo S. Margherita, Faenza - Vasto 2005 Award, Palazzo d’Avalos Museums, Vasto, Chieti - 1950 - 2005 Piazza del Popolo and surroundings, Fondazione Crocetti Museum, Rome - Italian interiors, Convento del Carmine, Marsala - Things hardly seen, Luigi di Sarro Centre, Rome - Notes for a collection, 911 Art Gallery, La Spezia - Great family ties, Palazzo del Mutilato, Ravenna - The art of working, the work of art, Modern and Contemporary Art Centre, La Spezia 2006

- Artist Debut, Modern Art National Gallery, Rome

2007

- 52nd International Art Exhibition, Biennial of Venice, Venice

197


Theatre

1975

- Founder and director of Trousse Group - Furnishing examples, Teatro Alberico, Rome

1977

- Edicola Trousse, Teatro Alberico, Rome

1979

- Nato Re Magio, Born one of Re Magi, by and with Renato Mambor and Patrizia Speciale, Teatro in Trastevere, Rome - I Remotti Sposi, by and with Remo Remotti, Teatro Alberico, Rome

1980

- Zio Mario, Uncle Mario, by Mario Prosperi, Festival Teatrale, New York - L’Albero Inutile, The Useless Tree, Teatro Abaco, Rome; Le Zitelle, Venice; Centrootto, Rome - Iole Rosa, by Mario Prosperi, Modern Art National Gallery, Rome - Casa Tolstoj, Tolstoj House, by Dacia Maraini, Teatro dell’Orologio, Rome

1981

- Scarti e Avanzi, The Scraps, drama workshop with “spettacolazione”, Ex-Convento Buon Pastore, Ancona

1982

- La linea parallela del mare, The Parallel Line of the Sea, Metateatro, Rome with homonymous film segment

1983

- L’Osservatore, The Observer, animated film - Gli Osservatori, The Observers, Metateatro, Rome; Centro Sociale Colli Albani, Rome - L’albero di diverso technicolor, The Different Technicolor Tree, drama workshop, Monterotondo

1984

- Il lupo della steppa, The Steppe’s Wolf, directed by Renato Mambor and Patrizia Speciale, Teatro Politecnico, Rome

198


- Sono finalmente diventato un aggeggio, I’ve Finally Turned Into a Gadget, performance for the “Teatro ad Olio” season, edited by Renato Mambor 1986

- Lo spirito della morte, The Spirit of the Death, by Rosso di San Secondo, Politecnico, Rome

1987

- Teatro magico, Magic Theatre, drama workshop with “spettacolazione”, Monterotondo

1989

- Radiovisione, spettacolo, laboratorio e rassegna teatrale, Radiovision, Play, Drama workshop and Season, Teatro dei Servi, Rome; Teatro Argot, Rome; Teatro dell’Orologio, Rome

1993

- Gli Osservatori, The Observers, Exhibitions’ Palace, Rome

1996

- Il Viaggiatore, The Traveller, virtual scenography for Il Viaggiatore, Rai 3, directed by S. Morales

1998

- Pensieri nativi, Native Thoughts, Ferentino - Mantra della quotidianità, Mantra for Everyday Life, Church of S. Rita, Rome

199


MARETTI EDITORE © www.marettieditore.com info@marettieditore.com All rights reserved. No reproduction and mechanically or electronically transmission of the present book is allowed in any parts, except with the permission of the editor’s copyright. Printing closed on march 2011 Copyright © 2011 Maretti Editore ISBN 978-88-89477-23-6



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