Alephactory - Arti Grafiche Boccia per la creatività urbana

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Arti Grafiche Boccia per la Creatività Urbana

CON LA PREFAZIONE DI ALESSANDRO LATERZA ED IL SAGGIO INTRODUTTIVO DI MAURO GIANCASPRO

Alephactory

ART A I GR BAN AFICH R U E BOCCIA P A CREATIVITÀ ER L




Indice

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IL CORAGGIO DI GUARDARE AL FUTURO Arti Grafiche Boccia è un’azienda aperta. Il segreto principale del successo è il senso di comunità fatta di rispetto di ruoli funzionali agli obiettivi che ci prefiggiamo. Alephactory racconta un po' il nostro modo di essere e la nostra attenzione all'arte. ࡡ di Orazio Boccia Presidente CdA di Arti Grafiche Boccia

08 VARIAZIONI SUL TEMA DELLA LETTERA "B" Imprevedibili le strane vicende di cui possono essere protagoniste le lettere! ࡡ di Mauro Giancaspro Direttore Biblioteca Nazionale di Napoli

QUANDO LA B DIVENTA SERIE A Prefazione ࡡ di Alessandro Laterza Presidente Commissione Cultura Confindustria

14 KALOKAGATHIA. IL BELLO, IL BUONO E LE ARTI GRAFICHE “Alephactory”, è l'unione tra “aleph”, prima lettera dei primi alfabeti originari, e “factory”, nell’accezione di laboratorio creativo, fucina artistica. Il significato è quello di uno studio espressivo sulle forme alfabetiche. ࡡ di Luca Borriello - Direttore INWARD - Osservatorio sulla Creatività Urbana

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INVISIBILE IN SUPERFICIE. LA CREATIVITÀ URBANA TRA PROGETTO, LOGISTICA E CANTIERE La nuova attenzione verso il progetto, la logistica e il cantiere rappresenta uno dei passaggi che la creatività urbana italiana sta vivendo nel suo processo di maturazione verso una più completa professionalità. ࡡ di Salvatore Pope Velotti - Segretario Generale INWARD - Osservatorio sulla Creatività Urbana


20 L’IMPRESA COMUNITÀ SI RACCONTA CON LA CREATIVITÀ URBANA Le nove B rendono omaggio ad un'azienda fortemente innovativa che opera nel solco della grande tradizione tipografica amalfitana. ࡡ di Roberto Race - Race Communication

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SI PARTE! Le idee iniziali prendono forma e diventano schizzi preparatori utili alla realizzazione del progetto.

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INIZIANO I LAVORI 8 giorni di lavoro; 420 metri quadri di superficie; 900 spray. Questi i numeri.

PASSA IL TRENO Sono migliaia le persone al giorno che in treno o in macchina ammirano questa imponente operazione di mecenatismo culturale. Un atto di generosità di un'azienda che porta colore al territorio.

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SI STAMPI! Il top della tecnologica e dell'innovazione tipografica ha dato alla luce le preziose litografie a tiratura limitata del progetto Alephactory.

BIOGRAFIE ARTISTI I protagonisti di questa importante operazione artistica si raccontano.


Il gruppo, ma anche l’amore per il nuovo, il coraggio di chi è giovane dentro e non solo anagraficamente, la creatività. Per noi sono tutti valori da sostenere: energia che rivivifica e rinsalda, ogni volta, il nostro progetto di impresa comunità. Alephactory, in tal senso, è stata un’esperienza pienamente integrata col nostro modo di essere e di porci verso le svariate espressioni della società. I bellissimi murales occhieggiano ai nostri visitatori e continuano a rallegrare i nostri sguardi, pur abituati alla loro presenza.

ᆝ Guardiamo avanti, al futuro, a quella lettera B; i caratteri, IL CORAGGIO DI i colori, l’armonia. Un motivo dominante del lavoro degli GUARDARE AL FUTURO artisti di Alephactory e un richiamo all'attività tipografica a nostra è un’azienda aperta. Chi vuole può darvi un contributo, purché non giochi da solista ma sia animato da spirito di squadra. Se si crede in un progetto, se si punta a un obiettivo e questo traguardo significa la realizzazione di un piccolo o grande sogno, si possono ottenere risultati straordinari. Si può perfino avviare una micro-tipografia con un vecchio tagliacarte a mano e farla diventare una delle aziende più importanti del settore in Italia e in Europa. Certo, ci sono voluti alcuni anni, le vicende di una vita. Ma credetemi, a voltarsi indietro, sembra di essere partiti ieri. Il segreto principale del successo di Arti Grafiche Boccia è il senso di una comunità basata sul rispetto dei ruoli, ma solo in una logica funzionale agli scopi che di volta in volta ci siamo prefissi e ci prefiggiamo. Con l’ingresso della seconda generazione e di un ottimo management poi, abbiamo allargato i nostri confini, fino a raggiungere un’elevata incidenza delle commesse dall’estero sul nostro fatturato. Ma non dimentichiamo mai da dove siamo partiti: dalla povertà di risorse, da un territorio che spesso appariva ostile, pronto ad avversare anziché favorire chi promuoveva impresa, sviluppo e occupazione. Non abbiamo mai rinunciato, tuttavia, a guardare alla terra, all'esterno. Continueremo a confrontarci col mondo al di fuori della fabbrica, convinti come siamo – utilizzando le parole di John Donne – che "nessun uomo è un’isola".

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Sono anche un segno dell’attenzione che Arti Grafiche Boccia pone al mondo dell’arte, alla cultura, a ciò che di innovativo e positivo si esprime nella società. Sono diventati un ‘pezzo’ di azienda e lo rivendichiamo con orgoglio. Pubblicazioni come questa vogliono essere la dimostrazione di quanto abbiamo investito emotivamente, oltre che come filosofia d’impresa, in questa piccola ulteriore avventura. Guardiamo avanti, al futuro, a quella lettera B; i caratteri, i colori, l’armonia. Un motivo dominante del lavoro degli artisti di Alephactory e un richiamo all’attività tipografica che, siamo sicuri, continuerà in futuro ad essere declinata in forme sempre più fantasiose. Senza mai perdere contatto con la materia viva, fatta di un misto di passione e sudore della fronte. Q ࡡ di Orazio Boccia - Presidente CdA di Arti Grafiche Boccia

MILANO SALERNO ROMA




ᆝ QUANDO LA B DIVENTA SERIE A onosco Enzo Boccia da molti anni, al pari dell'azienda fondata da suo padre Orazio, e, di fronte al progetto di Alephactory, sono in prima battuta piacevolmente sorpreso dall'intuizione e dall'intenzione progettuale; in parte, però, percepisco che un'iniziativa o, meglio, un'azione artistica di questa natura non poteva avere "luogo naturale" più appropriato delle pareti dei capannoni dove le Arti Grafiche Boccia vivono la loro straordinaria ordinarietà quotidiana. Il punto non è - per me - il gioco creativo sulla lettera iniziale del gentilizio aziendale. E nemmeno la bella catena che dal writing su una superficie esterna estesa porta a una tela e alla sua riproduzione litografica. Il cuore di questa iniziativa di cultura e di impresa sta nel ricordarci la dimensione specifica dell'azienda, della piccola e media impresa, come progetto di vita. Il tema - assai caro a Enzo Boccia, come persona e come vertice della Piccola Industria di Confindustria - è di enorme portata perché intreccia alla dimensione economica dello sforzo di decine di migliaia di piccoli produttori la dimensione esistenziale, personale e collettiva, di chi nel lavoro trova una remunerazione ben più consistente del meritato profitto per i rischi assunti. Fare impresa è anche una missione sociale, un impegno morale, un modo di contribuire all'interesse di molte persone, della comunità locale e della comunità nazionale.

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L'esperienza d'impresa viene tradotta in emozione visiva trasferita innanzi tutto ai collaboratori, fornitori, clienti delle Arti Grafiche Boccia, ma anche a chi attraversa l'area dell'insediamento industriale

Fare impresa deve produrre valore e profitto anche nella generazione di beni comuni non riportabili a una mera logica di bilancio. Ed ecco che Alephactory prende pieno significato, ai miei occhi. La promozione del marchio aziendale viene rovesciata in una sollecitazione creativa a un'ideale comunità di artisti. L'esperienza d'impresa viene tradotta in emozione visiva trasferita innanzi tutto ai collaboratori, fornitori, clienti delle Arti Grafiche Boccia, ma anche a chi attraversa l'area dell'insediamento industriale. Il racconto azienda viene, nel catalogo, incastonato nella narrazione del progetto artistico. Questo ci ricorda che per chi produce beni c'è sì una bellezza intrinseca all'apparato

produttivo, al sistema di fabbrica. Ma ci può essere anche l'idea di coltivare un germe di bellezza, un'apertura alle sfide di un'intelligenza che genera una produttività diversa. Di questo - credo - sia necessario rendere merito ai Boccia che, mettendo da canto le autocelebrazioni, hanno celebrato quel pezzo di Italia e quel pezzo di Sud di cui tutti andiamo fieri. Ed allora la B, la lettera dell'alfabeto sulla quale Alephactory ha lavorato, diventa davvero serie A. Q ࡡ di Alessandro Laterza - Presidente della Commissione Cultura di Confindustria

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VARIAZIONI SUL TEMA DELLA LETTERA “B” Imprevedibili le strane vicende di cui possono essere protagoniste le lettere! a cosa risale all’ormai lontanissimo 1939. Uno scrittore ucraino dimenticato, dal nome difficilissimo da scrivere e di pronuncia impossibile per un italiano, Sigizmund Kržižanovskij, che, ignoto alle più aggiornate enciclopedie, si gode la rivincita postuma in Google tra i suoi ammiratori, ci ha lasciato uno straordinario schizzo letterario: La carta perde la pazienza. Più che la carta, in verità, a perdere la pazienza sono le lettere, che, stanche della loro routine di portatrici di parole, abbandonano uno sbigottito foglio e si rintanano in una delle parti nascoste nella macchina tipografica. In questo ambiente, che a loro è assai familiare e congeniale, organizzano un consiglio plenario per manifestare il loro malcontento e per organizzare

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scrittore ucraino dimenticato, Sigizmund ᆝ Uno Kržižanovskij, che, ignoto alle più aggiornate enciclopedie, ci ha lasciato uno straordinario schizzo letterario: La carta perde la pazienza

una rivolta. L’insurrezione si concretizza in una clamorosa e strepitosa fuga in massa. “Le lettere – racconta lo scrittore dal nome impronunciabile – fuggivano; avevano tradito la grandiosa causa della cultura”. Ad arringare i plotoni alfabetici è stata una spavalda “A” che, a gambe saldamente divaricate e pugni nei fianchi, ha spinto tutte le lettere allo sciopero generale della scrittura per protestare contro “gli stupidi significati”, costrette da sempre a rappresentare. Abbandonano, così, le superfici cartacee dei libri, dei diari, dei testamenti, dei registri paga, di tutti i moduli di cui si compiace la burocrazia, delle banconote e scappano 08

via da biblioteche, librerie, case, uffici e banche.(1) La tragica defezione dura solo quattro giorni; ma sono giorni d’angoscia, di panico collettivo, di diffuso sbigottimento, di caos assoluto. La vita, insomma, si è fermata! Accade, però, il miracolo inaspettato; un imbianchino verga su un foglio, con il pennello intinto in una densa vernice, un appello ai “fratelli caratteri” perché tornino al loro utilissimo servizio, col patto, tuttavia, di mettersi tutti al servizio della sola verità. Le lettere accettano l’invito e tornano disciplinate nei loro abituali ranghi di servizievoli comunicatrici. Una fantasiosa storia a lieto fine, dunque, nella quale oggetti inanimati come i caratteri tipografici, le lettere, gli inchiostri, i fogli assumono anima e corpo: una fiaba nella quale serpeggia la paura ancestrale dell’uomo di perdere memoria e identità. Ma c’è anche, nel brevissimo racconto, la stravagante e un po’ folle convinzione, posta a metà strada tra paura e divertimento, che le lettere possono assumere, stanche d’essere obbedienti portatrici di pensieri, di idee, di sentimenti altrui, una loro pericolosa autonomia, una forza di rappresentazione e di comunicazione svincolata dal significato che l’uomo le ha costrette da sempre a trasportare con la parola nella quale le ha di volta in volta riunite. L’animarsi di cose inanimate, del resto, è uno dei motivi conduttori prevalenti della poetica di Sigizmund Kržižanovskij. Così il libro fa fatica, come un uomo, a

trasportare le parole; la scaletta a chiocciola di una biblioteca va personalmente, quasi annusando, a caccia di libri; il segnalibro vive con sofferenza il peso delle pagine che lo sovrastano quando il volume è chiuso. Noi, presi dalla suggestione della sua inventiva e dall’efficacia della sua prosa, finiamo davvero per credere che le lettere possano avere una precipua forza evocativa, conferita soltanto dalle fogge che ognuna può assumere, e ci mettiamo, così, istintivamente a percorrere a ritroso il processo evoluzionistico della scrittura e la lunghissima millenaria storia della sua forma : da quella alfabetica (quella della nostra attuale civiltà) a quella sillabica, dalla quella acrofonetica a quella ideografica. Un itinerario all’indietro fino ai grafemi incomprensibili di alfabeti e scritture oggi ancora sconosciuti come quelli, per esempio, Rongo dongo dell’Isola di Pasqua, o quelli appannaggio intellettivo solo di espertissimi del settore, come quelli della Lineare B della Creta Minoica. Una lettera, alla fine, è dunque anche segno, forma e disegno: può, anche sopravvivere da sola, svincolata dagli obblighi semantici a cui è destinata quando è riunita ad altre in una parola, al di là del suono che la caratterizza come labiale, dentale, labiodentale, liquida, esplosiva, fricativa, soprattutto quando la sua appartenenza ad un alfabeto ancora sconosciuto ne accentua il fascinoso mistero e il valore soltanto estetico. Del resto le grandi iniziali miniate dei manoscritti più preziosi, ma anche quelle degli


incunaboli decorate a mano per dare personalità al nuovo libro fatto in serie, non erano solo lettere, ma erano anche piccoli dipinti d’ouverture al testo; le linee e i volumi che le definivano divenivano spesso elementi portanti di architetture, di oggetti, di animali, di storie. I capilettera potevano perciò mimare la ruvidità di una superficie urticante, la spigolosa acrobazia di un’arcata, l’eleganza filiforme di una cornice, la piacevolezza tattile di una stoffa, la tagliente asperità di un’arma, la suggestione e il fascino di un oggetto votivo, lo slancio di un’ orazione, perfino l’illusione olfattiva suggerita da un fiore attorcigliato alle gambe di una “A”, alle bombature di una “B”, alle arcate di una “M”.

Futuristi di prima generazione riconobbero alle lettere ᆝ Iil loro potere d’aggressione extra – alfabetica. Nelle loro mani gli stanchi caratteri tipografici acquistarono forme e suoni modulabili e amplificabili in crescendo grafici, in esplosioni accecanti e in tonanti temporali che prevaricarono il limite alfabetico d’una lettera.

In gergo bibliologico, infatti, vengono definite parlanti le iniziali, manoscritte o a stampa, illustrate da un’immagine il cui nome inizi con la lettera dell’alfabeto che l’immagine stessa è destinata a ornare. Non è necessario, però, essere bibliotecari o paleografi per avvertire la bellezza e il fascino evocativo di antiche scritture al di là del loro significato; anzi, al contrario, verrebbe di azzardare che quanto meno si è esperti di scrittura, quanto meno si è capaci di decifrare e leggere caratteri antichi, tanto più si può avvertire la bellezza “astratta” di fittissime righe di disciplinatissima scrittura gotica, di eleganti e sinuose volute di un’ onciale, di imponenti e sontuose capitali monumentali. Anche i Futuristi di prima generazione riconobbero alle lettere il loro potere d’aggressione extra – alfabetica, disegnando con esse la sensazione assordante di un grido, il clamore spaventoso di un attacco militare, il fragoroso crepitare di una bomba, il deflagrare di una passione, lo schianto rumoroso di uno schiaffo, il metallico scalpitare sulle rotaie di una locomotiva dall’ampio petto. Nelle loro mani gli stanchi caratteri tipografici acquistarono forme e suoni modulabili e amplificabili in crescendo grafici, in esplosioni accecanti e in tonanti temporali che prevaricarono il limite alfabetico d’una lettera. Chissà, vien fatto di chiedersi, cosa mai sarebbero stati capaci di combinare oggi i Futuristi di prima generazione, se avessero avuto l’uso del computer, o quanti mai sono oggi gli

inconsapevoli epigoni di quel Futurismo che sfogano la loro eclatante creatività tormentando le scritture, schiacciandole, dilatandole, comprimendole o, come avrebbe detto Boccioni “sviluppandole nello spazio”, grazie al mouse e alla tastiera. Le grandi installazioni esterne di Marco Nereo Rotelli, che hanno fatto recentemente giganteggiare su monumenti e su palazzi di Milano i versi di poeti contemporanei, affascinano e incantano gli spettatori più per il loro svolgersi in disegno, che per il contenuto verbale dei versi che veicolano: contenuto che si fa sgranato e rarefatto proprio per i vertiginosi ingrandimenti dei caratteri e per la sopraffazione dall’insieme della visione. Pensiamo, a tale proposito, anche alle grandi scritture rampicanti e urlanti di Jenny Holzer delle esperienze fiorentine di qualche anno fa.(2) La lettera, allora, può assumere la forma e l’aspetto di una pianta, di un uomo, di un animale, di un mostro fiabesco, di una creatura mitologica, ma anche di una scultura, di una pittura, di una costruzione, di un palazzo, di una struttura architettonica. D’altro canto la volontà e lo sforzo di comunicare, di pubblicizzare, di influenzare e di far memorizzare – attraverso logo e sigle – nomi, persone e prodotti, hanno fatto sì che spesso una sola lettera – o un monogramma – abbia racchiuso e rappresentato un insieme complesso di comunicazioni concernenti la storia di un oggetto, di un’azienda, di un ciclo di produzione. Pensiamo, per esempio, alla indimenticabile “A” sontuosamente incorniciata della Alemagna, alla appariscente “M”

gialla della Mac Donald, alla “N” bianca in campo azzurro della squadra di calcio del Napoli, alle due “R” sovrapposte della Rolls Royce, alle “F” gemelle l’un contro l’altra abbinate della Fendi, alla “V” della Valentino, alla “G” e alla “C” abbracciate della Gucci. Ma anche la storia della televisione italiana è legata a quella dell’evoluzione della forma delle lettere. Quando il 4 novembre 1961 nacque il secondo canale, ci abituammo immediatamente a memorizzare senza sforzo i due diversi monoscopi: quello del secondo che recava al centro un cubitale numero “2” e quello del primo, denominato pomposamente nazionale, contraddistinto da una grande “N”. Pensando alla forma delle lettere non si può far a meno di ricordare alcune spassose, stravaganti e irriverenti fantasie di Leo Longanesi. Ne ricordiamo qualcuna. La “D”: “vecchio generalone di artiglieria. Indossa estate e inverno un pesante cappotto a doppio petto con bottoni dorati”. La “H”: “i due I siamesi”. La “L”: “si è comprata un paio di stivaletti nuovi e tutto il santo giorno, seduta su un prato, non fa che guardarseli”. La “M”: “è la lettera serpente. Piega la schiena in due e facendo passare la testa attraverso le gambe raccoglie coi denti un fazzoletto bianco”. La “T”: “solleva 150 chili con un braccio solo” La “Y”: “nessuno la può soffrire; chissà da dove viene”.(3) Le lettere, al di là del significato della parola che esse compongono, possono assumere un valore e una valenza singolarissima 09


quando sono “gridate” dalle insegne. Ancora una volta ricordiamo Kržižanovskij: “Il compito puramente pratico dell’insegna che si espone con le sue linee e le sue lettere, è di impossessarsi in un modo o nell’altro della strada… È dunque per conquistare lo spazio – continua lo scrittore – che le lettere giganteggiano... e si rivestono di colori a volte tanto vividi da essere accecanti.” (4). La conquista dello spazio fisico e dello spazio mentale è compito dunque dell’insegna, per “fare in fretta ad entrare nelle coscienze, quasi penetrare nel cervello dei passanti prima che questi siano passati”. Velocità e immediatezza di ricezione e lettura ne sono gli strumenti di cui l’insegna si serve per questa sua conquista . Analogamente i murales e i graffiti contemporanei: composti d’immagini di lettere, cifre, linee e volumi ovvero di lettere e cifre che mimano o diventano immagini, hanno bisogno di immediatezza e fulmineità di ricezione da parte del destinatario che deve essere catturato quando sta camminando, quando è al volante dell’auto o quando, fermo, vede scorrere una scrittura impressa sulla fiancata di un treno. Scritture e immagini destinate, dunque, alla rapidità lampeggiante quelle dei murales: comunicazioni consapevoli del bisogno di conquistare spazio nella selva delle parole e dei messaggi che si affollano nel nostro mondo della comunicazione e che devono, perciò, assumere forme e colori aggressivi e sfacciati o dimensioni adatte a scavalcare il volume sonoro delle voci, dei 10

suoni e dei rumori che intasano e stordiscono l’odierna civiltà. Dal canto suo il cosmo della comunicazione dell’immagine tradizionalmente ed educatamente stampata sembra astutamente adeguarvisi, mettendo le scatole dei detersivi, il corpo di belle fanciulle e i sorridenti faccioni dei nostri politici a giganteggiare su intere facciate dei palazzi delle nostre città. Certo diffuso, perbenistico e scandalizzato approccio con fenomeni di arte contemporanea, di arte spontanea e di arte povera tende oggi a confondere il Muralismo con il Graffitismo, che, a causa della diffusione di espressioni deteriori, invasive e vandaliche, è assai più avvertito come esternazione di disagio sociale, di violenza grafica e di manifestazione di protesta, che non conosciuto e valutato come movimento estetico. Si dimentica così la rivoluzione pittorica degli anni venti dello scorso secolo deflagrata in Messico con Josè Clemente Orozco e, soprattutto, David Alfaro Siqueiros, che nella sua Autobiografia del 1945 rivendicò al Muralismo la prerogativa d’essere “pittura che non si può comprare, né vendere, che parla ad ogni passante…della stessa dignità della grande pittura religiosa d’altri tempi”. Si dimentica, anche, che nel 1933 Campigli, Carrà, Funi e Sironi firmarono il Manifesto della pittura murale. Si dimenticano la scuola newyorkese con i muri astratti di Jason Crum, le creazioni di Morellet a Parigi e di Hammersen ad Amsterdam. Del resto Orozco e Siqueiros erano stati in Francia e in Italia a studiare

la pittura del cinquecento e i grandi cicli pittorici dovuti al lavoro collettivo di bottega. I murales della Arti Grafiche Boccia nascono dal lavoro d’equipe di una vera e propria bottega d’arte che, all’uso di strumentazioni di avanguardia, ha impresso lo spirito di coesione che è caratteristico dell’operare in gruppo e dello stare insieme intorno ad un progetto comune, con una forte coesione complanare di risorse umane; coesione nella quale, tra la nascita del progetto e la sua realizzazione, non c’è segmentazione verticale di competenze e di compiti, ma evidente fusione di energie, di sforzi, di stimoli e, perfino, di emozioni. La ripresa fotografica delle varie e succedanee fasi della composizione dei murales del grande capannone rende visibile questa complanarità sinergica del lavoro di squadra, che impronta di sé anche lo spirito coesivo del quotidiano lavoro di produzione industriale. La Arti Grafiche Boccia ha incrociato i suoi interessi e i suoi obiettivi estetici con quelli della Inward, diretta da Luca Borriello che ha al suo attivo il suggestivo progetto della Histoire d’A. La Inward ha prodotto il progetto Alephactory, un vero e proprio laboratorio delle lettere, sostenuto con molta convinzione dalla Boccia. Nove artisti hanno tematizzato la lettera “B”, dandole vita e vitalità oltre il suo valore di iniziale e di alfiere di parole, declinandola in forme, corpi e volumetrie fantasiose ed evocative. Sui murales che coprono il prospetto dei capannoni della Arti Grafiche Boccia, nella zona industriale di Salerno, allora, il motivo conduttore figurativo potrebbe essere definito. Variazioni grafiche sul tema della lettera “B”. La “B” è un fiore avvolto di steli e di caulicoli; ma è anche un pezzo dei vecchi giochi di costruzione dei bambini degli anni cinquanta del secolo scorso; o, anche, è disegno di un mobile


contenitore da tipografia dal quale “esplodono” i suoi cassetti; o, ancora, un fabbricato di foggia moderna o, addirittura, un capannone industriale. Oppure lo si potrebbe dire, questo motivo conduttore, Variazioni mnemoniche sul tema della “B”. “B” come Boccia, naturalmente, ma anche “B” come biblioteca come istintivamente e assai poco congruamente penserebbe per deformazione professionale un bibliotecario. (“B” di book per un appassionato libraio inglese) Ma anche e ancora – perché no ? – assai più congruamente, “B” come Bauhaus, la grande scuola – laboratorio di Walter Gropius. Perché obiettivo di questa azienda, palesato, anzi gridato, dai grandi murales, è proprio quello di coniugare il funzionalismo, l’utilità, il tecnicismo di un prodotto con la sua bellezza e di fondere insieme l’attenzione, la fatica e la capacità di produrre con il piacere di farlo. L’indimenticabile effervescenza del Bauhaus nacque soprattutto proprio dalla riuscita volontà di produrre un grande gioco di squadra (che fu squadra, per la verità, di fuoriclasse) che appare linea portante della vita della Boccia. E allora, per concludere, così come s’è iniziato, col nostro scrittore ucraino, ci piace pensare che la funzione di queste grandi figurazioni pittoriche dei murales potrebbe anche essere quello che Sigizmund Kržižanovskij attribuiva alle insegne moscovite della metà degli anni venti: di “spingere dentro la porta cui l’insegna è appesa”; come dire “venite a trovarci”; ma anche, al di là delle suggestioni di lettura di piacevoli scrittori fantasiosi che una lettera sollecita, di riqualificare, di rendere più vivibili e belle le nostre città e le nostre periferie industriali, che di un po’ di bellezza sembrano avere davvero assai bisogno. Q ࡡ di Mauro Giancaspro - Direttore Biblioteca Nazionale di Napoli

Note 1) Sigizmund Kržižanovskij, La carta perde la pazienza. In: Il segnalibro. Roma, Biblioteca del Vascello, 2000, pagg. 49-51. 2) Leo Longanesi. L’Italiano. Cfr. Scrittori italiani di aforismi. Vol.2°, Il novecento. Milano, Mondadori, 1996, pag. 406 3) Mauro Giancaspro. Invasioni di luce. Marco Nereo Rotelli protagonista di oltre due mesi di una articolata serie di eventi. In Arte In, bimestrale di critica e di informazione delle arti visive. Agosto-settembre 2010, pagg.34-41 4) Sigizmund Kržižanovskij. Le insegne di Mosca. In: La tredicesima categoria della ragione. Roma, La Biblioteca del vascello, 1993, pag.69

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... l’insurrezione delle lettere si concretizza in una clamorosa e strepitosa fuga in massa. Organizzano lo sciopero generale della scrittura per protestare contro “gli stupidi significati”, costrette da sempre a rappresentare. Accade, però, il miracolo inaspettato; un imbianchino verga su un foglio, con il pennello intinto in una densa vernice, un appello ai “fratelli caratteri” perché tornino al loro utilissimo servizio, col patto, tuttavia, di mettersi tutti al servizio della sola verità. (Mauro Giancaspro - Direttore Biblioteca Nazionale di Napoli)

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KALOKAGATHIA. IL BELLO, IL BUONO E LE ARTI GRAFICHE Nel suo “Idoli della conoscenza”, il filosofo bolognese Carlo Sini racconta ed omaggia la cosiddetta semasiologia o semantica bisferica del decifratore eccellente Alfred Kallir, sottolineando quanto, ab sua origine, i segni espressivi umani fossero “simballici”, cioè contenenti un suono ed un’immagine come unità indivisibile: ossia il suono aveva la propria figura e la figura aveva il proprio suono. he vi sia corrispondenza tra nomi delle lettere e loro espressione fonetica, è un fatto pacifico, ma Kallir sostiene anche la corrispondenza tra le cose alle quali i nomi delle lettere si riferiscono ed i disegni dei segni alfabetici. Come la storia favolosa del bue che, lentamente, dalla sua intera e poi parziale figurazione paleolitica rupestre ai pittogrammi e ai geroglifici e infine ai grafemi, diviene lettera A. L’ufficiale di artiglieria di Sua Maestà Britannica Alfred Kallir, studioso austriaco anglicizzato, lavorò a servizio del controspionaggio inglese durante la seconda guerra mondiale, dedicando i suoi studi alla psicogenesi dell’alfabeto, propriamente tra segno e disegno. Fu poi il critico d’arte Gillo Dorfles a segnalare a Sini, a mezzo Corriere, l’incredibile ricerca di Kallir, accreditata da uno studioso della scrittura del peso di David Diringer, auspicandone l’edizione italiana. In “Psicogenesi dell’alfabeto”, la storia della forma delle lettere e della loro evoluzione vi si ripropone come affascinante epopea e come disvelamento di una stratificazione culturale millenaria celata in ogni singolo segno alfabetico adoperato

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usualmente. Il libro è suddiviso per lettere, principalmente A, B, C e poi tutte le altre. Sappiamo che la B negli scacchi indica l’alfiere, che è il Si, settimo grado nella scala di Do, che nel sistema di numerazione esadecimale corrisponde a undici e che in informatica è la tag HTML per il grassetto. A ritroso nell’antichità, tuttavia, Kallir ci illumina a giorno affermando che l’attuale B derivi dall’alfabeto sinaitico, a sua volta proveniente da un geroglifico il cui suono era rappresentato dalla forma di una casa. Nell’alfabeto fenicio fu in seguito detta “beth” per analogia con l’alfabeto ebraico ed assunse una conformazione che servì come base a tutti i successivi alfabeti che si sono evoluti, come l’alfabeto greco, quando fu chiamata “beta”, specchiata e raddoppiata nelle curve. La B è poi passata all’alfabeto latino, tramite l’etrusco, per fissarsi così come la conosciamo ed usiamo. La B è quindi una lettera di origine semitica dal significato essenziale di “casa” ed è caratterizzante acrofonica in molti termini egizi, indoeuropei, sanscriti, gotici, anglosassoni, inglesi, danesi, italiani, francesi, tedeschi che si riferiscono a case, dimore, costruzioni. In effetti, alcuni geroglifici e disegni ittiti e paleosinaitici – le più antiche rappresentazioni di una casa – essendo quadrangoli essenziali, sembrano anticipare la base della forma B. Versioni arrotondate, smussate, forse ancora più vicine alla lettera che conosciamo, si riscontrano in alcuni disegni talmudici, safaitici, etiopici antichi e fino alla “beth” ebraica quadrata, tutti raffiguranti una casa in pianta, le sue fondamenta, la sua base.

Si crede che il quadrangolo orizzontale egiziano della casa sia stato verticalizzato dai semiti, poi nelle scritture sudsemitiche sia stato semplificato allargandosi alla maniera dell’ebraica quadrata e infine abbia arricciato i due lati corti a formare semicerchi, le attuali curve della nostra B. Nel compitare la parola Beta, probabilmente il primo nome di senso compiuto che verrà in mente di esprimere sarà Betlemme, capitale cisgiordana del Governatorato omonimo dell’Autorità Nazionale Palestinese. In ebraico è la Casa del Pane, in arabo la Casa della Carne, ma secondo la tradizione cristiana si tratta della Casa, della Città e forse della Terra per eccellenza. Visto che il fonogramma geroglifico che rappresenta il suono B è la gamba, Kallir crede che gli espressi concetti di casa e di gamba siano connessi dalla comune designazione di “stabilità”, e diversi termini egizi, greci e latini potrebbero confermarlo, oltre i riferimenti che portano al concetto stesso di terra o di terreno, come piattaforma e fondo su cui poggiano le gambe o si edifica una casa. Se la terra è la base condivisa dalla casa e dalle gambe, c’è da precisare e affermare la stessa come archetipo femminile, e sia la casa sia la terra riferibili all’idea del grembo, afferma Kallir. Difatti, la lettera B come dimora o come territorio, a piena connotazione femminile, è la meno controversa interpretazione da parte di tutti gli studiosi della scrittura. È una B che cinge ed abbraccia protettivamente. Come l’antica espressione tedesca frauenzimmer sta per donna, ma vuol dire, alla


lettera, “stanza-donna”, così la suggestiva composizione del termine “metropoli”, dal greco antico metèr per madre e attualmente quel milione circa di persone che la rendono tale, è l’idea di una città estesa come Grande Madre, che cinge ed abbraccia la popolazione. Opposta alle forme urbane, ricordo negli anni degli studi giovanili la visione di una Beta orizzontale delle origini, che percepivo in uno scenario desertico come due rilievi o due capanne, cuore stesso della comunità nascente, con sotto il corso del fiume sacro. Appresi poi che un geroglifico afferente alla nascita della B è anche quello della montagna, con il profilo della doppia cima, la doppia duna, le rotondità della terra che ricordano le colline niloti. Un’immagine paesaggistica verticalizzata in B, come si crede che sia accaduto per la forma della A – da aleph semitica ad alfa greca – nell’ambito di un epocale rovesciamento dei concetti universali da teriomorfi ad antropomorfi, sigilla Kallir. Oltre la sua forma e anche perchè si tratta di una consonante occlusiva bilabiale sonora, la B viene comunemente assegnata a quanto sia di aspetto rotondo nei vari stadi della materia, come quando lo psicologo gestaltico Wolfgang Köhler sperimentò nel 1929 a Tenerife il test di fonoestesia Takete e Baluba (poi Maluma, dal 1947), chiedendo ad un campione di spagnoli, come è noto, di attribuire queste due parole a forme con linee rette e spigolose o forme con linee curve e morbide. Takete va con le prime e Maluma con le seconde. Nel 2001, il famoso neurologo psicofisico indiano Vilayanur Subramanian Ramachandran riprese il test con le parole

Kiki e Bouba, soprattutto con quest’ultima recuperando il suono della B determinante Baluba. La stessa B ha una forma malumica. Inteso che recepiamo ogni parola come un’immagine che poi si completa di un significato, è palese che pronunciare Takete o Kiki ci risulti spigoloso, rispetto alle più tondeggianti Maluma o Bouba: gli stessi grafemi componenti le due coppie di parole sono simili graficamente alle figure di Köhler

nella notazione vaticana dei canti gregoriani è la fluidità tipica del passaggio di voce da una sillaba alla seguente a mezzo di una consonante liquida sull’ultima nota di un gruppo. Ciò che scioglie i neumi, segni della notazione prepentagrammaticale che, secondo i benedettini di Solesmes, deriverebbero dagli accenti grammaticali che l’amanuense annotava in ordine ai gesti chironomici del maestro del coro, è un fiato che addolcisce, ingentilisce. Come la B di Baluba e di Bouba, in effetti; tondi come bulbi e bolle, teneri come bimbi e Bambi. Per gli Elleni, la Beta con l’apice destro rappresentava il numero due, con il pedice sinistro duemila e, sormontata da dieresi o piccola linea, ventimila; in seguito, intervenne la raffigurazione simbolica dei numeri indo-arabici evoluti da quelli brahminici e sviluppatisi nella ex al-Andalus e nel Maghreb.

e di Ramachandran. D’altronde, la T e la K anche minuscole misurano angoli retti ed acuti e la lingua le pronuncia battendo sui denti o schioccando sul palato, azioni decise; diversamente, M è dal fenicio Mem che è dal simbolo protosemitico ondulato dell’acqua e L è una laterale alveolare avente a che fare con i suoni liquidi. Non a caso, la liquescenza

Il glifo arabo-occidentale (poi detto europeo) 2 ha forti somiglianze con gli equivalenti Devanagari e Tamil, quindi ampiamente indiani, nella sua caratteristica sinuosità. Ancora Kallir mette in relazione tale segno curvilineo (che implicita la forma della lettera B) con i riferimenti al femminile, alla donna e alla dolcezza. In sostanza sembra che, in ogni dove speculativo, si tenda ad avvertire attorno alla B il senso assoluto del bello e del buono. E nella sezione del suo volume dedicata interamente alla lettera B, Kallir festeggia il suo vero 15


trionfo intitolandovi un cruciale passaggio alla kalokagathia. L’espressione è dal greco kalòs kài agathòs, ossia bellezza e bontà, il bello ed il buono, nata come rappresentazione fisico-comportamentale virtuosa di matrice socialmente aristocratica nella Grecia omerica e in seguito revisionata da Platone come disposizione andragogica del singolo sostanziale alla convivenza sociale, è in ogni caso un modello etico-estetico trascorso da una fase “simballica” con il bello ed il buono saldati epicamente insieme ad una fase successiva in cui il buono chiama a sè il bello e viceversa. “La potenza del bene s’è rifugiata nella natura del bello”, affermava Platone, accolto dal pontefice Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli Artisti del 1999. “Senza dubbio il dono artistico e la bontà sono due cose distinte; un uomo buono non è per forza un pittore, e una visione da colorista non implica valore morale. Ma la grande arte attesta l’unione di questi due poteri: essa non è che l’espressione – grazie a un temperamento dotato – di un’anima pura. Se non c’è talento, non c’è arte, e, se non c’è anima retta, l’arte è inferiore, per quanto abile”. Così John Ruskin, prima luce dell’Estetismo, in una conferenza poi tradotta e divulgata da Marcel Proust. E di “estetismo” fu tacciata Anna Andreevna Achmatova, espulsa quindi dall’Unione degli Scrittori Sovietici, mentore di un giovane Josif Aleksandrovi Brodskij, il quale, in occasione del ritiro del Nobel per la Letteratura nel 1987, asserì con piglio: “Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo, giacché

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l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di buono e di cattivo sono in primo luogo e innanzitutto categorie estetiche, che precedono le categorie del bene e del male. In etica non tutto è permesso, proprio perché non tutto è permesso in estetica, visto che il numero dei colori nello spettro solare è limitato”. Un breve arcobaleno secolare da Ruskin a Brodskij è dunque sostenuto dai fan della kalokagathia, dal pensiero sintetista hegeliano dell’Et-Et, etica ed estetica, contro quello analista kierkegaardiano dell’Aut-Aut, etica o estetica, come scelta vitale. Fantastichiamo un’iride trapuntata di segni positivi. Etica ed estetica, norma e forma; la scienza della morale e il sentimento del bello, una squadra per angoli retti e l’impeto di portare dentro le cose. Nell’ottica delle relazioni millenarie tra uomini e tutto quanto sia universo sensibile, è estetica la percezione dei rapporti armonici tra le parti ed è etica la capacità di mantenerli tali, anche in relazione quotidiana con il proprio ambiente circostante. E non si creda casuale che la parola “anestesia”, mancanza o carenza della facoltà di esperire attraverso i sensi, sia stata coniata da Oliver Wendell Holmes Sr., medico e poeta. L’estetologa Elaine Scarry, ragionando sul termine inglese e tedesco fairness, e lo psicanalista junghiano James Hilmann, con i concetti di cittadino psicologico e giustizia estetica, sembrano poter calare nella città, sulle strade, nei quartieri, sui territori del centro e della periferia la tensione etica-estetica.

Da una parte esiste la comunione tra aspetto qualificato e comportamento decoroso; dall’altra la ferma convinzione che la nuova cittadinanza attiva si riaffermi con la concreta partecipazione alle politiche del gusto. Nella sua bustina del 25 febbraio 1999, preziosamente intitolata “Signor Raffaello, non le permetto. Un interessante dissidio tra Etica ed Estetica”, Umberto Eco si chiede se Michelangelo avesse mai potuto produrre la

decorazione sistina in una moschea o se fosse mai possibile dipingere le Stanze Vaticane in casa di chi invece preferisca nude le proprie pareti. Tra etica ed estetica, interdizione al figurativo e imposizione del colore, Eco discute di creatività urbana. L’intera storia dei graffiti, a suo avviso, dovrebbe essere considerata dal punto di vista di un’Etica del politicamente corretto; Enrico Baj e Paul Virilio sosterrebbero invece


un’Estetica dell’otticamente scorretto, per fugare la possibile sparizione dell’arte. Ciò che chiamano graffiti è nato più di quarant’anni fa, nei quartieri della città di New York, da gruppi di minoranze sottoposte a vario titolo a disintegrazione socioidentitaria: i segni dell’insorgenza furono centinaia di nomi sulle cose di una città dove se non sei visibile davvero non esisti. 1974, annus mirabilis. “The Faith of Graffiti” di un lungimirante Norman Mailer ne documenta l’estetica inedita a prescindere dall’etica, mentre una milionaria campagna di rimozione dai treni del neopresidente della MTA David L. Yunich li soggioga ad un’etica a prescindere dall’estetica. Il New York Times passa da pro a contro, viene inventato il Graffitismo. Tra vandalismo in città e creatività urbana, il fenomeno si diffonde in tutto il mondo, investendo le più disparate aree disciplinari e i più imprevedibili settori produttivi, interessando mercati, governi, culture, tendenze, opinioni. Dieci anni dopo la bustina di Eco, a sanare il dissidio tra etica ed estetica valorizzando il fenomeno come arte grafica credibilmente bella e buona, in Italia è istituito un network nazionale di cosiddette ACU, Associazioni per la Creatività Urbana, organizzazioni no-profit orientate al dialogo con gli enti pubblici e alla concordia sociale in fatto di riqualificazioni pittoriche urbane. Specie italiana unica, in un contesto di genere internazionale nutrito di processi educativi mirati a coinvolgere giovani verso cui promuovere la responsabilità civile attraverso le arti murali, punta a fidelizzare più coorti.

Avere a che fare con le ACU significa incentivare giovani creativi urbani distanti dal vandalismo, ed esiste addirittura un tavolo tecnico presso il CNEL animato dai presidenti delle ACU d’Italia. Aziende, enti, industrie, università, associazioni, comunità civili che, in ordine ai propri eventuali desideri di lavoro creativo a mezzo graffiti – riqualificazioni partecipate, produzioni commerciali, animazioni territoriali o comunicazioni visive – incarichino ACU allo scopo, così prediligendo un’estetica etica ed il buono del bello, è come se impiegassero creativi urbani con “certificazione di qualità”: opere vincolate alle sole superfici autorizzate, direttiva europea DPI per i respiratori di protezione, il PIMUS obbligatorio per le murate più grandi, il CER 150111 per lo smaltimento speciale delle bombolette esauste. Arti Grafiche Boccia Spa, azienda leader nel Sud Italia per impianti e servizi per la stampa, quartier generale a Salerno dai primi anni Settanta e distribuzione in dieci Paesi, incremento di fatturato del 325% dal 2000 al 2009, è tra le più grandi imprese che hanno deciso di investire sulle ACU d’Italia. In cinquant’anni di attività con l’imprinting virtuoso del compositore a mano nel capitano d’industria, Arti Grafiche Boccia ha inteso che la performance ottimale vibra tra quanto e come, che si produce estetica competendo in Europa nel quadro etico delle Certificazioni e che il bello dei 104 miliardi ad anno di pagine periodiche può e deve combinarsi con il buono del Bilancio Certificato, della Catena

di Custodia, della Responsabilità Sociale d’Impresa, dell’adesione al Global Compact delle Nazioni Unite. Arti Grafiche Boccia riassume la propria identità visiva in una lettera B. Il progetto Alephactory è stato sviluppato su un’ampia facciata dello stabilimento, come sul timpano di un tempio della stampa, quindicimila metri quadri di struttura. Nove creativi urbani per sei ACU di provenienza nazionale, tra i più abili conoscitori dei limiti espressivi delle forme alfabetiche, raccolti in un dinamico laboratorio delle lettere, hanno interpretato e riprodotto ognuno a modo proprio la B di Boccia, per un gigantesco manifesto a bande verticali di colore. Le contorsioni di un Bodoni nelle spire sagittali dei graffiti con retino di stampa; un incredibile mise en abyme in cui ci si vede vedere i lavori su muro; un impasto di caramella fiordifragola che diventa efficacemente leggibile; il tripudio a tre campi dell’arte della stampa antica tra amanuensi, caratteri e macchine; un flop di periferia da rilasciare con sveltezza e morbidezza tipici; l’impronta palmare come segno biometrico dell’azienda e come sigillo identitario e genetico; la forma fiorita di un tatuaggio su donna, pescando l’inchiostro da una piccola boccetta. Nove opere, nove tele, novecento stampe autenticate. Nove kalói kai agathói per il bello ed il buono delle Arti Grafiche Boccia. Q ࡡ di Luca Borriello Direttore INWARD - Osservatorio sulla Creatività Urbana

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INVISIBILE IN SUPERFICIE. LA CREATIVITÀ URBANA TRA PROGETTO, LOGISTICA E CANTIERE on ho mai conosciuto mio nonno paterno, dal quale ho ereditato il nome, essendo egli mancato poco tempo prima della mia nascita. Lavorava presso il più autorevole e diffuso quotidiano partenopeo, svolgendo l'attività di manutenzione delle linotype, la macchina tipografica per la composizione meccanica dell'impaginato. Si trattava di un lavoro tecnico, che non era immediatamente visibile nell'opera impaginata, e che in un certo senso precedeva e supportava il lavoro vero e proprio dei tipografi.

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Anche mio padre ha poi lavorato presso lo stesso quotidiano, dapprima in tipografia, quando ancora si lavorava “a caldo”, successivamente presso l'archivio fotografico, proprio nel periodo di passaggio dall'analogico al digitale, per poi andare, a fine carriera, a ricoprire il ruolo di impaginatore grafico quando oramai si lavorava esclusivamente “a freddo”. Mi sono chiesto molte volte quanto tutto ciò abbia avuto un riflesso sulla mia persona. Quanto questi continui contatti coi caratteri tipografici, le impaginazioni, gli archivi di immagini, i pica, le crenature, cui per decine di anni sono stati sottoposti mio nonno e mio padre, hanno influenzato la mia scelta di diventare writer? Quanto hanno contribuito a fare in modo che fossi interessato, sin dall'inizio della mia carriera di creativo urbano, agli aspetti tecnici e organizzativi, tanto da dedicarmici oramai quasi a tempo

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pieno tralasciando sempre più la parte “artistica”? L'attenzione di tutti nei confronti delle opere di creatività urbana è giustamente posta sull'opera finita, ma il tema dell'organizzazione di grandi opere collettive costituisce un interesse di primo piano nell'attuale scena della creatività urbana nazionale. Un writer, nella visione comune e più diffusa, viene visto nella sua espressione primordiale e spontanea di aggresore illegale dell'arredo urbano e, solo occasionalmente, come un creativo vicino ad un artista oppure come una sorta di eccentrico font designer. In nessuno dei casi sembra mai di intravedere le capacità organizzative e logistiche necessarie; eppure la maturità raggiunta dalla creatività urbana negli ultimi anni dovrebbe porre l'attenzione degli studiosi del fenomeno proprio su tale aspetto. All'inverso, le grandi commesse pubbliche e private in questo settore, che sempre più spesso si stanno susseguendo in

Europa e in Italia, dovrebbero spingere i creativi urbani verso nuove esigenze organizzative e gestionali. Le commesse di grandi dimensioni, perché raggiungano risultati di qualità elevata, devono infatti essere affrontate con l'organizzazione propria di un cantiere creativo. Alephactory rappresenta, nel settore privato, uno dei più interessanti esempi in tal senso, essendo noto il prestigio internazionale della Arti Grafiche Boccia cui è seguito il naturale coinvolgimento di creativi urbani provenienti da tutta la penisola e noti a livello europeo, ingaggiando nove creativi provenienti da sei ACU – Associazioni per la Creatività Urbana e specificamente: Alessandro ETNIK Battisti dell'ACU Artefacto (Toscana), Francesco ZENTWO Palladino dell'ACU Forme Urbane (Campania), Antonello MACS Piccinino dell'ACU Friends (Abruzzo), Vincenzo CAKTUS Mastroiorio e MARIA Teresa Checchia dell'ACU Kaleidos (Puglia), Alberto MADE Capozzi dell'ACU Ologram (Veneto), Domenico PENCIL Acampora, Gianluca ZEUS40 Caputo e Aldo OPIUM Oliviero dell'ACU Thinks (Campania).


La selezione garantiva quindi un equilibrio tra coloro che sono più dediti all'elaborazione di lettere e quelli invece maggiormente dediti a realizzazioni figurative. Questi 9 creativi urbani sono stati chiamati a realizzare in 8 giorni di lavoro una grande opera collettiva di 420 metri quadri su una parete metallica di uno stabilimento del committente avente come tema l'interpretazione della lettera B, iniziale di Boccia, poi dettagliata su una tela che è entrata a far

parte della collezione aziendale. Dalle nove tele si sono poi ricavate delle stampe nel numero di 100 per ogni tela per un totale di 900, poi autografate ed autenticate. La descrizione estremamente sintetica di Alephactory appena fatta, anche per via dei numeri e per nulla o quasi descrivendo la qualità grafica dell'opera, dovrebbe già rendere conto della complessità organizzativa che sottende l'intero progetto e della necessità

di organizzare per fasi la sua esecuzione. Tale lavoro, infatti, è divenuto possibile soprattutto curando l'aspetto della logistica di progetto. La fase iniziale è stata gestita necessariamente da remoto, coordinando il lavoro di preparazione che i singoli creativi coinvolti portavano avanti speditamente ma individualmente, processando i vari aggiornamenti e rendendoli alla committenza, arrivando così alla definizione di una bozza grafica. Nel frattempo si coordinavano le esigenze dei creativi urbani coinvolti relativamente alla fornitura di materiali e attrezzature, sempre in dialogo con i responsabili di progetto interni alla committenza, per giungere infine all'allestimento del cantiere creativo che rispondesse alle esigenze di efficienza del lavoro, di durata dell'opera e di sicurezza degli autori. Sono state pertanto analizzate le schede tecniche di vari produttori di bombolette di vernice spray per giungere alla scelta di quelle che garantissero una estesa gamma cromatica e la maggiore durabilità delle vernici rispettando le normative sulla sicurezza. Si sono quindi suddivisi i creativi urbani in due gruppi per poter meglio gestire il lavoro dei singoli e le rispettive esigenze. Una volta sul campo, essi sono stati forniti di tutti sistemi di sicurezza incluse delle tute di lavoro personalizzate sul dorso con la tag (il nome d'arte) di ciascuno. Riguardando le foto qui pubblicate e ripensando alle immagini in foto o video che solitamente costituiscono ricerche, documentari o reportage su writing, street art e quant'altro possa rientrare nella definizione di creatività

urbana, appaiono immediatamente evidenti alcune differenze: i caschetti da cantiere, le scarpe antinfortunistica, le maschere protettive, i pantaloni da lavoro, tutti quegli elementi che insomma garantiscono la realizzazione di opere in completa sicurezza al tempo stesso marcano la vera differenza della creatività urbana agita nella legalità da qualsiasi altra azione perpetrata nell'illegalità. Probabilmente la nuova attenzione verso temi fondamentali e imprescindibili, come certamente sono la logistica di progetto e la sicurezza degli esecutori, rappresenta uno degli ulteriori passaggi che la creatività urbana italiana sta vivendo nel suo processo di maturazione verso una più completa professionalità, lontana dalle incertezze dell'improvvisazione e dell'approssimazione proprie del dilettantismo. Q ࡡ di Salvatore Pope Velotti Segretario Generale INWARD Osservatorio sulla Creatività Urbana

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L’IMPRESA COMUNITÀ SI RACCONTA CON LA CREATIVITÀ URBANA e nove B dipinte da alcuni tra i più importanti creativi urbani italiani sulla facciata esterna dello stabilimento della Arti Grafiche Boccia e la stampa delle preziose litografie a tiratura limitata rendono omaggio ad un’azienda che sa essere fortemente innovativa pur operando nel solco di una grande tradizione tipografica. Per questa antica arte, infatti, la provincia di Salerno è un punto di riferimento a livello internazionale, fin dal 1200, grazie alla preziosa carta di Amalfi. E Arti Grafiche Boccia dimostra da decenni come la migliore arma per conservare i valori del passato sia proiettarli nel presente ed ancora di più nel futuro, mettendo in atto investimenti importanti che hanno già consentito all’azienda di porsi all’avanguardia sui mercati di riferimento. Oggi Arti Grafiche Boccia, con un’integrazione verticale di tutte le fasi di lavorazione e con impianti di prima installazione in Europa e un’elevata vocazione al mercato del vecchio continente e Mediterraneo, è presente nei segmenti della stampa di quotidiani, riviste specializzate, cataloghi, stampati per la grande distribuzione organizzata ed etichette per i comparti dell’agroalimentare, del beverage e del pet food. Arti Grafiche Boccia ha deciso di raccontare questa storia di successo. Lo fa a modo suo, descrivendo i traguardi raggiunti da una realtà passata da azienda di famiglia ad impresa comunità che scommette costantemente su se stessa, attraverso

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la forma di arte contemporanea più innovativa, apprezzata e fatta propria anche dalle più importanti multinazionali. Con questo progetto, infatti, Arti Grafiche Boccia entra nel "club" delle realtà che hanno puntato sulla creatività urbana, come: Adidas, Nike, Atari, Ecko, Volkswagen, TIM, Volvo, Calvin Klein, Figurine Panini, Seven, Fiat, MTV, Kuwait Petroleum Italia, Eagle Pictures, Intesa San Paolo, Walt Disney. Quest’ultima pochi mesi fa, con il progetto BLOC28, ha scelto persino di far diventare un creativo urbano il suo personaggio di punta, Topolino. E da avanguardista del mercato, Arti Grafiche Boccia ha recepito la proposta progettuale di Alephactory da INWARD, l’Osservatorio Nazionale sulla Creatività Urbana, coordinatore e promotore insieme al Ministro della Gioventù del primo Tavolo tecnico sul tema, attivo presso il CNEL, realtà unica al mondo nel suo genere, animata dai presidenti di tutte le Associazioni per la Creatività Urbana d'Italia, alcuni dei quali direttamente coinvolti in questa produzione artistica. Una scelta strategica, quella di rivolgersi alle più alte professionalità creative attive nel campo, in linea con uno stile aziendale che fa della ricerca della qualità e dell’eccellenza il suo credo quotidiano. Q ࡡ di Roberto Race - Race Communication



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á†? Il writing è come una competizione, dove non puoi far altro

che dare il meglio di te per guadagnarti il meritato rispetto. Una sfida con noi stessi che ci porta incessantemente a sperimentare e migliorarci

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e tecnologia per guardare al futuro. Da vicino. ᆝ Macchine AGB è efficienza e affidabilità, ma anche voglia di guardare avanti, alla ricerca di nuove potenzialità e nuovi traguardi. Per questo cerchiamo macchine che ci consentano di spingerci sempre più in là, dove il presente assomiglia al futuro.

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ᆝ Scrivere – sulle pareti come sulla carta – significa lasciare il proprio segno. La passione, l’impegno, la padronanza della tecnica e l’utilizzo ragionato delle lettere e dei colori permettono a un semplice foglio di carta di prendere vita


ᆝ È questo che ci spinge a restare in piedi la notte per preparare ciò che dovrà attirare l’attenzione dei tuoi occhi, domani ᆞ



ᆝ Sporcarci le mani non ci fa paura,

visto che è l’unico modo per far prendere il volo ai colori, alle lettere, alle parole scritte




� Cerchiamo incessantemente intorno a noi nuove soluzioni, nuovi materiali, nuove tecnologie per generare qualcosa che non abbia precedenti

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e tecnica, intelligenza e strumenti adeguati. � Sensibilità Un imprescindibile binomio tra uomo e macchina: ecco la strada che porta ai migliori risultati

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giorno realizziamo il nostro sogno: ᆝ Ogni trasformare la carta in opera d’arte ᆞ


ᆝ Rapidità e precisione, due caratteristiche della creatività urbana che ritroviamo nella offset Komori 8 colori



ᆝ B come Arti Grafiche Boccia, sinergia tra persone

di talento e macchinari all’avanguardia, per lasciare sempre “un’impronta differente”



ᆝ Dalla parete di un capannone a una tela, fino a un foglio di carta stampata. L’emozione illimitata di un’edizione limitata ᆞ





䚉 Francesco ZENTWO Palladino Titolo opera: “suBurban” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray e marker su tela Anno di produzione: 2010

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ZENTWO

FRANCESCO PALLADINO ato nel 1978, designer, da sempre appassionato d’arte, ha coltivato i propri interessi compiendo studi artistici e perfezionandosi in quello che è il tema centrale del suo percorso: la comunicazione. All’età di 14 anni si avvicina alla creatività urbana attraverso la realizzazione di characters. Contestualmente si dedica all’analisi e all’esecuzione del lettering per evolvere successivamente nel wildstyle, ora punto focale del suo percorso artistico. Ispirato prevalentemente dalle correnti europee, il suo lavoro si basa sulla ricerca della sintesi grafica e comunicativa (less is more), con lo scopo di ottenere un equilibrio visuale e concettuale attraverso la giustapposizione dei segni. Il writing caratterizzato da un impulso istintivo ed il lavoro più calcolato della grafica si fondono oggi nella sua professione di graphic designer. Il suo intento è quello di voler tracciare un nuovo codice di comunicazione, autonomo da ogni metodo e dotato di valenza esplicita e capacità evocatrice. Vanta una serie di pubblicazioni nazionali in ambito grafico/ comunicativo e di design, collaborazioni con rinomati studi di progettazione, inviti a manifestazioni a carattere nazionale e internazionale e presso trasmissioni radiofoniche e televisive, oltre a varie collaborazioni con diversi media (internet e carta stampata). Nel 2010 fonda l’Associazione per la Creatività Urbana Forme Urbane di cui è presidente.

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䚉 Francesco Zentwo Palladino mentre firma la propria tela

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ETNIK

ALESSANDRO BATTISTI a sua caratteristica principale è dipingere e organizzare graficamente grandi opere di creatività urbana con concept elaborati, aggiungendo ai “pezzi” di writing dei background a tema fatti per comunicare un’idea, sulla linea delle grandi produzioni tedesche in questo campo. Dopo quasi un ventennio di attività, le sue esperienze si sono allargate verso la scultura, il toys design, lo street wear e le installazioni, pur mantenendo una linea coerente con la sua produzione pittorica. La serie ‘’architetture prospettiche’’ è una rappresentazione fantastica di paesaggi urbani – dove la cultura underground nasce e si sviluppa – che come in un gioco di specchi sono riportati a loro volta su muro o su tela. Collabora con enti pubblici e privati per progetti artistici di creatività urbana ed eventi espositivi, come il progetto “Q#ART” per le stazioni della metropolitana di Roma, “Can !t” ad Anversa, “Segni d’Europa”, “Picturin” e “Paratissima” a Torino, “Stroke 02” a Monaco, “Materia n.5” a Pisa, “Meeting of Style” in Germania, Italia e Grecia ed esposizioni in molte gallerie italiane. Sue opere sono presenti in varie pubblicazioni tra cui Graffiti wriiting. Origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia (Mondadori, 2008) e Graffiti world. Street art dai cinque continenti (L’Ippocampo, 2006), oltre a numerose riviste di settore. È socio dell’Associazione per la Creatività Urbana Artefacto.

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䚉 Alessandro Etnik Battisti mentre completa la propria tela


䚉 Alessandro ETNIK Battisti

Titolo opera: “Blu” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray e marker su tela Anno di produzione: 2010


䚉 Alberto MADE Capozzi

Titolo opera: “Candy Been” Dimension: 70 x 100 cm Tecnica: mista Anno di produzione: 2010


MADE

ALBERTO CAPOZZI ive e lavora a Padova, artista autodidatta, comincia la sua carriera artistica nel mondo dei graffiti nei primi anni Novanta per entrare in poco tempo a far parte della locale crew EAD. Dipinge sulle pareti di moltissime città italiane ed estere partecipando a convention e a manifestazioni internazionali prestigiose, tra cui “Meeting of Styles” nelle edizioni di Zagreb, Wiesbaden, Eindhoven, Varna, Pori, New york, Los Angeles, Chicago e Città del Messico, realizzando in un ventennio di attività una ampissima produzione di opere che trovano spazio in pubblicazioni e riviste di settore di molti Paesi. Parallelamente all’attività nell’ambito della creatività urbana, porta avanti un percorso artistico legato alla pittura in nome della sperimentazione di materiali e tecniche, riportando l’esperienza del writing su supporti più convenzionali e dando vita ad una vasta produzione di opere in esposizione in varie vetrine internazionali. I suoi lavori sono caratterizzati da forme morbide e molto dinamiche, linee affilate e macchie emozionali, dove le lettere si scompongono per ricomporsi successivamente con il mondo figurativo in momenti senza tempo. Tra le sue fonti d’ispirazione, la calligrafia e lo studio delle lettere, la cultura orientale per le sue atmosfere, la musica di Philip Glass, i contrasti estremi e tutto l’immaginario psichedelico. Promotore della cultura del writing nelle sue varie forme, è co-fondatore dell’Associazione per la Creatività Urbana Ologram, di cui è coordinatore artistico.

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䚉 Alberto Made Capozzi mentre firma le litografie della propria tela

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PENCIL

DOMENICO ACAMPORA asce a Torre del Greco nel 1984 e si avvicina all’arte sin da piccolo, costantemente seguito da suo zio pittore e incisore, il quale gli tramanda la passione e le basi per il disegno e la pittura figurativa. Continua la sua formazione facendo studi artistici e sulle lavorazioni locali dell’incisione di pietre dure e cammei. Dopo qualche anno all’Accademia di Belle Arti di Napoli, con l’intento di allargare il proprio orizzonte creativo anche verso la grafica multimediale, passa al corso di laurea in Disegno Industriale presso la Facoltà di Architettura della Seconda Università di Napoli dove attualmente è laureando. Si avvicina al mondo dell’Aerosol Art nel 1998, prendendone parte attivamente con la partecipazione ad eventi nazionali ed internazionali. Nel 2009 è socio fondatore dell’Associazione per la Creatività Urbana “Thinks” con cui realizza progetti per conto di enti pubblici e privati. Dal 2001 partecipa alla festa tradizionale locale di Torre del Greco, realizzando opere a tema sacro eseguite in segatura colorata all’interno di chiese in occasione della storica “Festa dei Quattro Altari”, celebrata annualmente. Tutto il suo bagaglio di esperienze in continua evoluzione, dopo un apprendistato di quattro anni presso uno dei più importanti artisti nel campo del tatuaggio, converge nella sua attuale professione di tattoo-artist che svolge nel proprio studio personale nel Centro Antico di Napoli.

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䚉 Domenico Pencil Acampora mentre firma le litografie della propria tela


䚉 Domenico PENCIL Acampora

Titolo opera: “B move” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray su tela Anno di produzione: 2010


䚉 Aldo OPIUM Oliviero

Titolo opera: “Policolor” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray e acrilico su tela Anno di produzione: 2010


OPIUM ALDO OLIVIERO

asce a Napoli nel 1978. La sua passione per i graffiti si manifesta nel 1995, dopo aver visto il film “Beat Street”; rapito da questa cultura, malgrado la scarsa conoscenza del fenomeno, inizia a scrivere sui muri. Dopo una pausa durata dal 1998 al 2004, riprende a disegnare dopo aver conosciuto gli attuali membri della sua crew. Il suo stile prende nuova forma, riallacciandosi alle radici dell’old school americana ma caratterizzandosi sempre più nel tempo. Dal 2004 ad oggi ha partecipato ad importanti meetings di creatività urbana in Italia, Spagna, Germania, Inghilterra e Francia. Gran parte dei suoi lavori sono stati pubblicati su libri, riviste e importanti siti web di settore. Nel 2009 è socio fondatore dell’Associazione per la Creatività Urbana Thinks, con la quale realizza riqualificazioni pittoriche urbane per conto di enti pubblici e privati, oltre a tenere corsi e laboratori sul tema presso scuole e istituti campani.

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䚉 Aldo Opium Oliviero mentre firma le litografie della propria tela

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ZEUS40 GIANLUCA CAPUTO

ato a Napoli nel 1980, il suo primo contatto con il writing avviene nel 2000, quando resta affascinato dalle opere presenti nella periferia est della sua città. Inizia così a dipingere seguendo le orme di predecessori illustri, pure ispirandosi ai grandi wildstylers italiani e stranieri. Dopo aver attinto a piene mani dallo stile di origine newyorkese, uno studio costante ed approfondito delle lettere contribuisce ad allontanarlo dagli standard classici alla ricerca di uno stile innovativo e personale. Durante i suoi dieci anni di attività è stato ospite dei più importanti eventi di creatività urbana nazionali ed esteri (Francia, Svizzera, Germania, Spagna, Grecia e Inghilterra), ha esposto in diverse collettive internazionali ed i suoi lavori sono stati pubblicati da alcune delle più importanti riviste europee di settore. Una sua opera è attualmente installata all’interno dell’edificio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, negli uffici del Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. È presidente dell’Associazione per la Creatività Urbana Thinks che ha partecipato a fondare nel 2009 e che oggi vanta numerosi soci.

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䚉 Gianluca Zeus40 Caputo mentre firma le litografie della propria tela

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䚉 Gianluca ZEUS40 Caputo

Titolo opera: ”B_Rain” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray su tela Anno di produzione: 2010


䚉 Antonello MACS Piccinino

Titolo opera: “Urban Brand” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray su tela Anno di produzione: 2010


MACS

ANTONELLO PICCININO ealizza il suo primo graffito nel 1993 firmandolo con il nome “Macs”, lo pseudonimo che tutt’ora è il suo nome d’arte. Graffiti artist, graphic designer ed illustratore, è uno dei più noti e rappresentativi realizzatori di characters in Italia e all’estero producendo, nel corso degli anni, svariate opere murali, partecipando a numerose mostre e rassegne nazionali ed internazionali, tra le quali: “L. A. Goldrush” (Los Angeles), “Artshow” (Riccione), “Love My DC” (Torino, Rimini, Roma, Bologna, Napoli, Milano), “Meeting Of Styles” (Salonicco), “Can !t” (Anversa), “Stroke” (Monaco), “Outline Colour Festival” (Lodz). Socio fondatore e presidente dell’Associazione per la Creatività Urbana Friends, con la quale realizza diversi progetti ed eventi con enti pubblici abruzzesi. Numerosi gli speciali dedicati alle sue opere da parte di riviste internazionali di settore come Aelle, Innercity, Graffti All Stars, Blazing, Stone magazine e Subliminalart. Macs ha il grande dono di possedere una cifra stilistica ben riconoscibile, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, che spazia dalla matita, all’acrilico, fino allo spray; il suo segno declinato nel fumetto, nello studio del lettering e nel fotorealismo, grazie ad un innato senso pittorico, lancia messaggi chiari dai muri della città così come dalle tele in galleria.

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䚉 Antonello Macs Piccinino mentre firma le litografie della propria tela

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CAKTUS

VINCENZO MASTROIORIO ato a Foggia nel 1980, il suo percorso formativo è stato interamente dedicato allo studio della figurazione e all’esplorazione del segno. A partire dalla metà degli anni Novanta, inizia ad immergersi nel mondo dell’aerosol art, partecipando attivamente alla crescita del movimento dei graffiti nel suo territorio. È ospite di numerose rassegne internazionali di writing come: “Meeting of Styles” (Padova 2005-06; Anversa 2006; Eindhoven 2006, Wiesbaden 2007), “Art de Mar” (Barcellona 2007), “Colour Outline Festival” (Lodz 2009), “Can !t” (Anversa 2009) e “Seixal Graffiti” (Lisbona 2010). In occasione della BJCEM (Bari 2008) partecipa all’iniziativa di live painting intitolata “Kaleidos”, genesi dell’atto costitutivo dell’Associazione per la Creatività Urbana Kaleidos. Espone al “Le Nuvole di De Andrè”, evento realizzato in occasione del decennale della scomparsa del cantautore genovese, a cura di Vincenzo Mollica (Catalogo Grifo Cult, Cosenza 2009). Sinopia Onlus e l’ACU Kaleidos con la partecipazione al bando “Giovani Energie in Comune” sono seconde in graduatoria nazionale nella sezione intitolata alla “Valorizzazione della street art e del writing urbano”. A partire dalla primavera del 2011 cura la direzione artistica di “Urban Tales Project”, un ampio progetto di rigenerazione urbana per l’attivazione di festival tematici, workshop nelle scuole, eventi espositivi e azioni performative (Foggia e San Nicandro Garganico 2011).

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䚉 Vincenzo Caktus Mastroiorio mentre firma le litografie della propria tela


䚉 Vincenzo CAKTUS Mastroiorio Titolo opera: “Imprinting” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray su tela Anno di produzione: 2010


䚉 MARIA Checchia

Titolo opera: “I love ink” Dimensioni: 70 x 100 cm Tecnica / materiali: vernice spray su tela Anno di produzione: 2010


MARIA CHECCHIA

ata a Foggia nel 1971, gran parte delle sue suggestioni figurative hanno uno stretto legame con i temi e le contaminazioni musicali, con una predilezione particolare per la musica di grandi cantautori come Paolo Conte, Vinicio Capossela, Giorgio Gaber, Leonard Cohen e Tom Waits. A partire dal 1999 approfondisce il suo percorso creativo attraverso l’Aerosol Art ed ispirata da questo movimento realizza innumerevoli lavori in tutta la penisola, partecipando a molte tra le più prestigiose convention di creatività urbana, mantenendo sempre la sua forte impronta figurativa. È ospite di numerose rassegne internazionali come: “Meeting of Styles” (Padova 2005 e 2006, Anversa 2006, Eindhoven 2006, Wiesbaden 2007), “Art de Mar” (Barcellona 2007), “Colour Outline Festival” (Lodz 2009), “Can !t” (Anversa 2009) e “Seixal Graffiti” (Lisbona 2010). È vincitrice, nel settore illustratori, della terza edizione del Concorso Nazionale “Lanciano nel Fumetto”, premiata da Tanino Liberatore (Lanciano 2006). Pubblica Jacko (Editori del Grifo, 2009), un fumetto/fiaba con testi di Luca Scornaienchi e introduzione di Vincenzo Mollica, presentato in anteprima a “Lucca Comics and Games” del 2009. Insieme al proprio partner Vincenzo CAKTUS Mastroiorio è, nell’anno 2009/2010, docente dei progetti di specializzazione dell’Istituto Professionale “Einaudi” di Foggia, dedicando due moduli alla creatività urbana e al potenziamento estetico dei graffiti nelle aree periferiche della città. Dal 2008 è socia dell’Associazione per la Creatività Urbana Kaleidos.

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䚉 Maria Checchia mentre visiona le prove di stampa delle proprie litografie

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Ideazione e direzione artistica del progetto: INWARD - Osservatorio sulla Creatività Urbana Coordinamento tecnico di produzione del catalogo: Monica Vitiello Coordinamento dei testi: Roberto Race Foto di: Carlo Carino, Salvatore Velotti, Arianna Giagoni Progetto grafico: Arianna Giagoni Copywriter: Paolo Martinelli Si ringrazia Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli per la disponibilità scientifica ed il supporto sui temi dell’analisi storica degli alfabeti; Luca Borriello per la direzione strategica e Salvatore Velotti per la direzione operativa; il personale tecnico della Arti Grafiche Boccia per la pazienza e l’efficienza dimostrata durante le giornate di lavorazione.




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