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La Pop Art di Roy Lichtenstein
from Grandi Mostre #33
by Artribune
Giulia Giaume
Tutto inizia da un punto. Segue una linea, un campo di colore, e poi le consistenze, le prospettive. Attraversare l’universo componibile di Roy Lichtenstein (New York, 1923-1997) è un po’ come ripercorrere la storia dell’arte, della scrittura e del gioco, imparando daccapo come si guarda. Una apparente ingenuità dalle sfumature densamente concettuali pervade la mostra parmense dedicata al genio della Pop Art nella sala ipogea di Palazzo Tarasconi – restaurato da Corrado Galloni e ora riaperto per una serie di dediche all’arte americana.
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Qui, con cinquanta opere, si delinea un percorso ambizioso, che abbraccia le molte spinte sottese al lavoro del celebre artista. Oltre gli Speech Painting, infatti, c’è un mondo di sperimentazioni che fa dei celebri punti Ben-Day e dei colori piatti gli elementi fondativi di un percorso artistico talmente metodico da diventare scientifico.
“Quella di Lichtenstein è un’arte della visione che mette al centro il rapporto sensoriale radicato nella percezione visiva, ossia il processo per cui noi riceviamo, organizziamo e diamo significato alle sensazioni che ci vengono dagli stimoli visivi. Lichtenstein mutua questa prospettiva dalla branca psicologica della Gestalt creando un’arte della forma, che qui diventa come prima cosa ‘arte dell’occhio’”, racconta Gianni Mercurio, curatore della mostra aperta fino al 18 giugno. “Dietro l’apparente semplicità dell’arte di Lichtenstein si nasconde una complessità enorme, tecnica e concettuale”.
GIOCARE CON L’ARTE
Attraverso pochi elementi riconoscibili –che va a raffinare con un labor limae maniacale –, Lichtenstein attua una scomposizione dell’arte facendo allo stesso tempo una sua “messa a terra”, una sua irriverente decostruzione. Compie una lucida analisi della propria formazione e del proprio ruolo, contestando un sistema che sceglie di elevare certi temi o premiare certi artisti preservandone il mito e creando riferimenti noti solo agli adepti. Lichtenstein, con le sue Ninfee, i suoi Covoni di grano e i suoi nudi privi di erotismo, ha il ruolo opposto di un gate-keeper, diventando gate-opener. Forse anche per questo non viene sempre capito: nel ‘64 Life chiede ai lettori se sia il peggior artista d’America. Ma Lichtenstein non se ne ha troppo a male, e continua con spirito lieve questo processo di smottamento di proporzioni epiche, che nella sua opera diventa gioco ed esperimento scientifico insieme, tra tecniche e materiali che spaziano dal gesso al tessile dall’acrilico fino alle plastiche Rowlux, lasciandosi influenzare dalla musica jazz e classica, ma anche dall’archeologia e dalle tecniche prospettiche rinascimentali. L’unica regola: non rompere il gioco. In questo, fino al 18 giugno 2023
ROY LICHTENSTEIN
VARIAZIONI POP a cura di Gianni Mercurio
Catalogo BesideBooks
PALAZZO TARASCONI
Strada Farini 37 – Parma palazzotarasconi.it
Lichtenstein manifesta un rigore inaspettato, totale. Per smontare i classici, dopotutto, devi conoscerli, e per comprendere un medium o un tema devi analizzarlo in serie, senza distrazioni. E così fa.
FRA IRONIA E PATRIOTTISMO
Dalla smitizzazione della pennellata in Brush Stroke fino alla reinterpretazione dell’Urlo di Munch con un bambino berciante, lo spirito ironico di Lichtenstein è una cifra nota della sua produzione. “Uno dei suoi principali intenti era quello di demistificare la figura dell’artista: i maestri del passato sono ‘usati’ alla stregua di oggetti pop, senza timore reverenziale”, spiega il curatore Gianni Mercurio. Allora come spiegare il tono epico, da ciclo cavalleresco medievale, della grande opera patriottica I love liberty? “Roy era una persona tranquilla, radicata in una vita a tutti gli effetti normale e lontana dalla ribellione mostrata dai contemporanei come Warhol, Basquiat, Haring. E, a differenza loro, credeva davvero nella grandezza degli Stati Uniti. Si parla sempre della sua ironia, ma quando riproduce la Statua della Libertà è serissimo. Era stato soldato nella Seconda Guerra Mondiale e aveva un forte senso della patria. È come se ponesse chiaramente un limite: ironia sì, ma su certe cose non si scherza”.
Arte E Paesaggio
In Senegal si trovano quasi tutti gli ambienti tipici del continente africano: dune, foreste di mangrovie, grandi alberi di Baobab, fiumi, paludi, spiagge oceaniche, riserve naturali, perfino giungle equatoriali. Gran parte della biodiversità di questo Paese è visibile nella capitale, Dakar.
In mezzo al traffico e al rumore delle strade appaiono macchie di verde. Sono i micro-jardin, ovvero gli orti urbani di Dakar, piccole oasi di pace a interrompere la frenetica vita della città. Si tratta di una soluzione ecologica introdotta dalla FAO per il recupero di spazi urbani in stato di abbandono e per favorire la produzione orticola. Il progetto ha uno sfondo sociale: rende possibile coltivare ortaggi e aromatiche in maniera economica e facilmente accessibile alle categorie più fragili.
SPAZI VERDI A DAKAR
Nel centro di Dakar alcuni edifici storici sono contornati da rigogliosi giardini aperti al pubblico, come il Palazzo presidenziale, architettura in stile coloniale di inizio Novecento, e l’Institut Français, che all’interno del suo giardino ospita un enorme esemplare di Baobab, in grado di contenere fino a 120mila litri d’acqua per resistere alle dure condizioni di siccità. Lungo la Corniche, arteria principale che costeggiando l’oceano corre fino alla punta della città, sono stati recentemente inaugurati i nuovi Giardini pubblici. Da qui si possono osservare meravigliosi tramonti e arrivare allo storico faro (secondo in tutta l’Africa) sulla collina di Mamelles. Di recente realizzazione questi giardini lineari sono spazi ricreativi molto frequentati e tra la vegetazione accolgono playground per famiglie, alternati a spazi per sport all’aperto.
Giardini speciali sono quelli realizzati sul tetto di Trames, agenzia per la promozione di arte, musica, cultura, sede principale della Biennale di Dakar. Situata in un ex deposito nei pressi del porto, la terrazza accoglie ogni settimana concerti live, presentazioni, mostre.
Le Isole Ngor E Gor E
Ma i giardini più affascinanti crescono sulle due isole che affiancano Dakar. L’Isola di Ngor, raggiungibile in barca in cinque minuti, è senza elettricità e senza automobili. Qui si trovano un villaggio di pescatori e una serie di vecchi edifici trasformati in atelier d’artisti con ampi giardini tropicali. Tra questi l’aula didattica e officina d’arte del pittore Abdoulaye Diallo E la Maison du Bonheur, scuola d’arte e alloggio per ragazzi di strada, che offre corsi, seminari e ospitalità a coloro che desiderano avvicinarsi alla filosofia dell’Abbé Pierre. L’Isola di Gorée, Patrimonio Unesco, situata a mezz’ora di battello da Dakar, è un luogo tranquillo e fuori dal tempo, con stradine sterrate dove non circolano automobili. Le case coloniali con balconi in ferro battuto sono ricoperte da vegetazione e bouganville, circondate da giardini con alberi di mango, rose del deserto, oleandri, acacie e cespugli di aloe.
Aste E Mercato
Cinquanta mostre per un cinquantenario. È più o meno questo l’ordine di grandezza del fittissimo calendario di eventi espositivi dedicati nel 2023 a Pablo Picasso, in coincidenza con i cinquant’anni dalla data della morte del grande artista scomparso l’8 aprile 1973. E naturalmente in prima fila a celebrarlo ci sarà il suo Paese natale, la Spagna, insieme all’Europa e al Nord America.
PICASSO ALL’ASTA
Dal canto suo anche il mercato dell’arte parteciperà all’omaggio: le grandi case d’asta globali come Sotheby’s e Christie’s saranno impegnate in iniziative e vendite collegate alla ricorrenza. Già a quest’ultima sessione londinese non si sono fatte scappare l’occasione di ricordare Picasso, che è stato a lungo l’artista del XX secolo più costoso mai aggiudicato in asta. A scalzare il record del suo Les Femmes d’Alger (Version O), capolavoro del 1955 venduto per 179,4 milioni di dollari nel 2015 da Christie’s a New York, è infatti arrivata solo nel maggio 2022 la Shot Sage Blue Marilyn di Andy Warhol, che, sempre da Christie’s a New York, è diventata l’opera d’arte più cara al mondo a quota 195 milioni di dollari, passando dalla munifica collezione Amman alla proprietà di Larry Gagosian.
E così, anche se il sentiment del collezionismo nei confronti delle opere di Picasso che riescono ad arrivare in asta non è in forma smagliante in questo momento, la sua presenza nei cataloghi delle sessioni di Londra di fine febbraio e inizio marzo è stata frequente, con almeno quattro lotti selezionati da Sotheby’s e cinque da Christie’s, dove l’artista è diventato anche il top lot dell’intera vendita
I RISULTATI
Quasi a celebrare intenzionalmente la sua opera e la sua eredità artistica a cinquant’anni tondi dalla morte, alla 20th/21st Century: London Evening Sale di Christie’s a Londra l’opera Femme dans un rocking-chair (Jacqueline) del 1956 è diventata il lotto più costoso aggiudicato durante la serata del 28 febbraio, con la cifra di martello di 14,5 milioni di sterline – quasi 17 milioni con le commissioni –, poco sotto la stima minima di 15 milioni di sterline, a un’unica offerta arrivata a Giovanna Bertazzoni, specialista del Dipartimento Impressionist and Modern di Christie’s, molto probabilmente da una garanzia di terza parte. Un risultato anche migliore è stato ottenuto da Sotheby’s il giorno dopo per un’opera meno recente, Fillette au bateau, Maya, del 1938, aggiudicata a 18 milioni di sterline. Il dipinto, che ritrae la figlia Maya –scomparsa lo scorso dicembre 2022 e che nel 1938 aveva poco più di due anni –, arrivava da un’importante collezione europea, dopo essere appartenuto a Thomas Ammann e Gianni Versace. Carica di energia e colori sgargianti, l’opera fu realizzata a poca distanza da Guernica e il cambio di tavolozza sembra incarnare la dose di gioia che quella fillette, avuta da Picasso e Marie-Thérèse Walter, fu in grado di portare nella vita dell’artista.
Cristina Masturzo