Enzo di Grazia Enzo di Grazia - Una vicenda anomala il collettivo Lineacontinua Terra Di Lavoro: Caserta 1975 - 1980
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UNA VICENDA ANOMALA IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO CASERTA 1975 - 1980
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Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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UNA VICENDA ANOMALA IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO CASERTA 1975 - 1980 CON INTERVENTI DI ENZO BATTARRA LUCIA FERRARA
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La linea continua
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“La Rivoluzione Siamo Noi” Joseph Beuys Io partirei dal nome: Lineacontinua. L’assonanza con Lotta Continua, il movimento della sinistra extraparlamentare di quegli anni, i formidabili anni del postSessantotto, è fin troppo palese, direi dichiarata. In realtà, Lineacontinua era un luogo dell’immaginazione al potere e il suo braccio “armato” movimentista, il Collettivo, era una cellula formata da un nucleo di “operatori visivi” storici e da “ospiti” che in occasione di singoli interventi fornivano il loro contributo ideativo e fattivo. E c’era un capo, un leader un po’ profetico, un po’ scanzonato: Enzo di Grazia. Era lui la guida spirituale, l’intellettuale del gruppo, il “professore” capace di coniugare arte e rivoluzione, poesia e realtà. A lui toccavano la direzione strategica e la consapevolezza di quello che si andava realizzando. Come tutti i leader carismatici aveva l’abilità di trasformare le sue decisioni in scelte condivise. In un panorama nazionale che sosteneva e alimentava i percorsi artistici nel sociale, culminati poi nelle due grandi edizioni di fine anni Settanta della Biennale di Venezia curate da Enrico Crispolti, il movimento casertano rappresentava un’identità forte e ben strutturata, un punto di riferimento non solo regionale, ma capace di avere una valenza attrattiva da Nord a Sud. Era questo il “caso Caserta”, una cittadina a ridosso di Napoli capace di diventare centro propulsore di un nuovo modo di fare arte, il tutto grazie a uno spazio espositivo e a un gruppo di operatori fortemente motivati e ben guidati. Il Collettivo Lineacontinua non abbandonò mai la dizione “Terra di Lavoro”, che era una caratterizzazione geografica ma finiva per essere anche una dichiarazione di intenti. Il gruppo faceva “public art” prima ancora che questo termine venisse coniato e la faceva non solo portando il lavoro artistico nei “luoghi non deputati”, ma realizzandolo grazie alla collaborazione delle forze sociali presenti nei singoli territori. Spesso l’evento si caratterizzava anche per una propria specificità politica e rivendicativa, trasgressiva rispetto alla macchina istituzionale, ma socializzata con i cittadini e calata nella realtà territoriale urbana. Ogni evento produceva materiali di valenza estetica e materiali documentativi. Per scelta ideologica le “tracce“ artistiche non hanno mai avuto un vero e proprio mercato. Spesso non venivano nemmeno conservate e si lasciavano consumare sul luogo, a volte disperdendole. La documentazione si avvaleva dei mezzi tecnologici di un’epoca che non aveva ancora conosciuto la rivoluzione digitale. Erano eventi che si consumavano in un tempo prestabilito e solo grazie all’eccezionale qualità di alcuni fotografi è oggi possibile rendersi pienamente conto dell’operato del Collettivo Lineacontinua. Ogni azione del gruppo non era una performance o un happening, ma era un vero e proprio evento per la portata sociale e la capacità di coinvolgimento territoriale. La mobilitazione era la prima regola. La mia fortuna è stata quella di riuscire a vivere, seppure giovanissimo, questa esperienza nella sua fase più matura e di averne seguito la conclusione, fino a dover-
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ne decretare e certificare a malincuore la fine, all’alba degli anni Ottanta E’ stata un’esperienza straordinaria sia sul piano soggettivo che oggettivo, un’esperienza perfettamente calata nella storia di quei tempi e conclusasi, non a caso, quando iniziava in Italia un nuovo percorso artistico, quello della Transavanguardia, fedele specchio di un mutamento sociale. L’attenzione che il Collettivo Lineacontinua oggi sta di nuovo ricevendo e l’interesse che molti giovani mostrano per le attività svolte, caratterizzate sempre da tematiche sociali, spesso anche di tipo ambientalista, fa ben sperare in un rinnovato corso della storia. Inoltre, si registra la nascita di nuove realtà di gruppo che, con il dovuto aggiornamento rispetto ai tempi, presentano istanze artistiche assimilabili, identificandosi in comunità territoriali e virtuali. La chiusura dell’artista nel proprio studio a partire dall’inizio degli anni Ottanta ha portato alla realizzazione di grandi opere, ma ha anche impedito lo sviluppo di un rapporto tra chi crea e chi fruisce. La società ha bisogno di un’arte che sappia scendere per strada e sappia anche sporcarsi le mani nei problemi di tutti i giorni. Gli artisti del Collettivo Lineacontinua con “mani sporche” e coscienze pulite sono stati una pacifica rivoluzione. Enzo Battarra
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La rinascita di un’arte che prende delle connotazioni precise attraverso anche un lavoro critico e che raggruppa esponenti destinati a diventare leggende nel mondo dell’arte contemporanea è protagonista in Italia all’inizio degli anni Settanta. Ma se in questo caso siamo davanti a personaggi che svolgono un lavoro isolato, anche se accomunati dalla stessa dialettica, ognuno attraverso i propri media, in questi stessi anni, a queste correnti si affiancano dei gruppi che impegnano la propria attività dentro il magma sociale che si muoveva. La scoperta dell’esperienza del Collettivo Lineacontinua è stata, per me, sotto molti punti di vista una novità assoluta. Primo fra tutti sapere che in un determinato territorio operava un gruppo di giovani che condivideva le stesse idee e gli stessi intenti, che si muoveva insieme per lasciare un segno importante e profondo nei contesti in cui interveniva. I cosiddetti “operatori estetici nel sociale”, denominazione di grande fascino con cui venivano identificati gli artisti del Collettivo -artisti di strada, si potrebbe azzardare-, venivano definiti tali proprio perché era attraverso i loro interventi pubblici che raccontavano la propria arte, utilizzandola ogni volta per una “causa” diversa. Ognuno di loro attraverso il linguaggio che gli era più consono, con un occhio puntato sempre alle correnti artistiche e agli altri gruppi italiani coevi, operava sul territorio campano per denunciare contraddizioni sociali e per avvicinare chiunque alla loro arte. Del resto già i Situazionisti, una ventina di anni prima, avevano aperto la strada a questo tipo di connessione tra arte e partecipazione sociale; un’arte del dialogo e dell’interazione. Sono quelli gli anni in cui si viene definendo il binomio arte-vita, che getta le basi delle neoavanguadie e che è sicuramente anche leit motiv del lavoro del Collettivo. L’opera d’arte nella sua fisicità più autentica è solo la fase finale, la chiusura di un intervento, un gesto. Ma l’arte è in tutti i loro movimenti, esprime un modo diverso della manifestazione politica e diventa strumento di denuncia e di aggregazione. Da qui è nata anche l’esigenza di raccontare la storia di questo gruppo, sempre rimasta nell’ombra, con una mostra documentaristica, svoltasi a gennaio 2011, dove, con un allestimento cronologico, erano esposti tutti i documenti e le fotografie che testimoniano il loro operato. Questo volume rappresenta fisiologicamente il passo successivo a tale mostra, un valido tentativo per preservare una memoria collettiva e territoriale. Nei vari capitoli, riprendendo anche lo schema allestitivo della mostra, viene raccontata una storia durata solo cinque anni, una vicenda definita dallo stesso autore “anomala”, che rompe con gli schemi accademici, dove la parola d’ordine è la creatività e non l’artisticità. Anomala e breve dunque. E soprattutto mai fino ad oggi presa in esame attraverso un accurato studio scientifico, forse proprio perché quel fare arte per strada, coinvolgendo la collettività, faceva pensare più a un gioco, ad una sorta di animazione ludica. Questo libro in definitiva non è solo il racconto di un’esperienza artistica di un gruppo di giovani che in quegli anni sperimentava nuove espressioni di arte e nuove forme di aggregazione, ma è anche la testimonianza di esperienze di lotta, di partecipazione alla vita politica di una comunità in movimento, di un mondo giovanile che sentiva l’impegno e la lotta come parte essenziale del proprio essere. Lucia Ferrara
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INEVITABILE PREMESSA “La grazia e il tedio a morte del vivere in provincia” è stato forse il centro propulsore della vita culturale in Italia nella seconda metà del Novecento. La causa prima è stata la funzione che le metropoli - in una civiltà che si avviava alla globalizzazione - hanno svolto, di spinta dell’hinterland verso approdi sempre più avanzati, in una realtà - quella provinciale per l’appunto - che tende per sua natura alla conservazione e all’equilibrio. Un territorio come quello casertano - da sempre, storicamente, vincolato alla vicina Napoli e, nel corso dei decenni del dopoguerra (complice l’Autosole), sempre più vicino a Roma e condizionato da essa - non poteva che rappresentare l’apice di un’evoluzione che ha assegnato alla provincia un ruolo determinante nel quale si fondevano (e spesso si confondevano) il tedio della distanza dal potere e la grazia di rielaborare in termini personali le innovazioni. La condizione atavica dell’”intellettuale di provincia” (straordinariamente rappresentata ne “I basilischi” di Lina Wertmuller) era quella dei giovani che dissertavano per ore, giorni, mesi e anni sui “massimi” sistemi limitandosi a percorrere a vuoto la città migliaia di volte. Nella nuova definizione, si creava una stratificazione di condizioni diversificate tra coloro che frequentavano le “metropoli” e ne ricavavano informazioni più o meno approfondite, più o meno attendibili; i “giovani volenterosi” che non si stancavano di ascoltarli e, spesso, assisterli o venerarli; ed infine gli “spiriti liberi” che continuavano a dissertare di “massimi sistemi” sfruttando le informazioni (approssimative) ricevute e rielaborandole talvolta in maniera (necessariamente) distorta. Non è strano, allora, che la “Proposta 66” elaborata a Napoli (su modelli stranieri che pochi conoscevano) si trasformasse nella “P 66 Terra di Lavoro” con una specificità che la spostava verso la militanza politica attiva. E ancora meno strano è che, sul modello napoletano, si aggregassero e si disgregassero gruppi (spesso male) organizzati per dare vita a Centri Culturali, Associazioni e Gallerie. La nascita di “Lineacontinua” si collocava esattamente in questa atmosfera ed era generata dalla volontà di emanciparsi dalla condizione di subalternità ad alcuni “protagonisti” (quelli che ad ogni spron battuto nominavano Benjamin e non ne avevano mai letto una riga; quelli che attribuivano titoli americani alle opere, sbagliandone la grafia; quelli che stavano sempre “’ncoppa ‘a mazza”; quelli che arrivavano da Napoli con le ultime novità e le distribuivano con degnazione; quelli che ti ricevevano nello studio trasformato in “centro di produzione” per il Partito ecc.). Ma nasceva anche con l’intenzione di dare continuità ad una ricerca che in qual-
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che modo si era avviata in tutta la Campania (ma soprattutto nella periferia della metropoli e in provincia) e dalla quale i casertani non intendevano restare fuori. In un articolo de “la Gazzetta di Caserta” del 3 aprile 1977 - ripreso per gran parte da un testo già inserito nel “libretto rosso” - così è riassunta la vicenda. “Niente nasce per caso: soprattutto un nome. Quando, infatti, nacque l’idea di uno spazio culturale a Caserta, che fosse centro di coagulo delle iniziative sparse ed individuali che si andavano svolgendo, l’obiettivo fondamentale che animò Armando Napoletano (che dell’idea era stato il promotore ed il sostenitore più acceso e che ne fu, poi, il realizzatore concreto) era in pratica quello di evitare che la disgregazione che andava caratterizzando sempre più marcatamente l’attività degli operatori visivi portasse, dalla fase di stallo che alla fine del ‘75 si registrava, ad una vera e propria morte culturale, o, quanto meno, ad un individualismo aristocratico sterile e pericoloso. L’intento era quello di fare in modo che gli spunti - avviati a livello di operazioni con la “Proposta ‘66 Terra di Lavoro” e i premi “Caserta Club” e trasferitisi poi nei centri artistici “Junk Culture”, “II Guizzo” e “Oggetto”, intorno ai quali erano cresciuti ed erano andati definendo la loro iniziativa i più qualificati operatori dell’avanguardia artistica a Caserta - trovassero una continuità ed una chiarezza di visione in una realtà che fosse al tempo stesso spazio operativo e centro di coagulo delle forze e delle attività. Di qui la decisione di realizzare un’associazione culturale per la ricerca visiva, alla quale aderivano alcuni dei protagonisti delle iniziative precedentemente realizzate ed esaurite; e, come spazio reale, un ambiente che fosse punto di riferimento per l’incontro ed il dibattito, luogo di operazioni e di manifestazioni. Nasceva con queste premesse Lineacontinua, non una galleria di stampo tradizionale, dove appendere oggetti, e neppure un centro culturale in cui ospitare manifestazioni ed operatori; ma momento autenticamente propulsivo della cultura di avanguardia a Caserta, capace di ospitare e sollecitare gli operatori, di consentire l’incontro e il dibattito, il lavoro e la realizzazione delle iniziative. Ma Lineacontinua fu anche e soprattutto il punto di riferimento per un gruppo di operatori che, nella ricerca (spesso affannosa e confusa) di una linea comune, finiva per riconoscersi su una impostazione che diede luogo al Collettivo, il quale non poteva prendere nome che dal centro.”
La data “ufficiale” dell’evento si colloca ai primi del 1976; ma molte iniziative erano già state condotte dagli operatori che avrebbero dato vita all’Associazione ma anche, e soprattutto, al “Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro”. Il nucleo operativo fu costituito da Armando Napoletano (che da tempo ormai si era appassionato all’arte contemporanea e aveva organizzato uno spazio espositivo nel suo negozio di rigattiere-antiquario in via Colombo, a Caserta), da Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino e Aldo Ribattezzato, ai quali successivamente si aggiunse Antonello Tagliafierro; i testi che accompagnavano gli interventi e quelli dei volumi editi nei primi anni furono stesi da me, Enzo di Grazia; successivamente,
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fu Enzo Battarra ad occuparsene; in due fondamentali occasioni (Pordenone e Firenze) ci fu anche un contributo sostanziale e, per qualche verso, determinante, di Enzo Perna. Ma il Collettivo era organizzato come struttura aperta alla quale tutti potevano portare contributi autonomi: per questo, in diverse occasioni, entrarono a farne parte molti degli operatori casertani (Crescenzo Del Vecchio, Gabriele Marino, Giovanni Tariello, Paolo Ventriglia, Pierino Gallo, Mattia Anziano, Alessandro Del Gaudio e altri) ma anche altri che gravitavano intorno a “Lineacontinua� pur risiedendo altrove (Haebel, Lucia Romualdi, Enzo Navarra, Giuseppe Onesti ecc.).
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Nel corso del 1975, alcuni operatori casertani - aderendo anche a sollecitazioni che venivano da altri Gruppi operanti in Campania e che si riconoscevano nel progetto culturale di “operare estetico nel sociale” propugnato da Enrico Crispolti - diedero vita ad interventi, performances ed happenings in giro per la regione, utilizzando personali segni che sarebbero entrati poi nel linguaggio del Collettivo come identificativi degli autori. La particolarità che distingueva il gruppo dei casertani era l’accentuato tasso politico dei gesti e delle opere, come bene avrebbe poi sottolineato lo stesso Crispolti in un articolo pubblicato sul quattordicinale di politica, economia, cultura e attualità “La voce della Campania” domenica 10 aprile 1977 I temi ricorrenti nel lavoro del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro mi sembrano poi proprio questi: critica dissacrante ai miti patrii (della “patria” capitalista alla quale si è estranei se non per caduta subalterna), ed esattamente il tema della speculazione fondiaria e della gestione economica di rapina, con il conseguente disastro ecologico, ecc. (Raffaele Bova, e la sua azione “CE(S2)O”, e il connesso tema della mistificante “difesa della lira”, momento di ulteriore sfruttamento subalterno (Bova e il suo ciclo sulla “lira, simbolo di “patrie” capitalistiche virtù); il tema della prevaricazione burocratica, atavico strumento di espropriazione e rapina nel mezzogiorno (opere e azioni di Livio Marino); il tema dei simboli del potere capitalistico (Aldo Ribattezzato sul motivo della realtà popolare subalterna di Caserta colonizzata dalla Reggia borbonica); e poi invece i temi non più soltanto di critica, non più soltanto derimenti, ma di sollecitazione ad un’autocoscienza culturale proletaria e soprattutto contadina (Giuseppe Ferraro e Pietro Gallo). Il Collettivo opera attraverso Operazione “CE S2 O” di Raffaele Bova costruzioni di oggetti emblema-
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Il “Pupazzo” di Peppe Ferraro
Un “Certificato” di Livio Marino tici e “animazioni di piazza”, e queste si configurano attraverso la stessa costruzione di oggetti. Il momento dell’’’animazione di piazza” (realizzate a Castelmorrone, a Marcianise, a Mercato San Severino, a Gaeta, in realtà sia rurali, sia urbane) è ritenuto comunque fondamentale per una sollecitazione partecipativa.
N e g l i interventi operati a Castelmorrone - CE (località Largisi), a Marcianise La “Finestra” di Aldo Ribattezzato - CE (cortile zi’ Mea) e a Mercato Sanseverino - SA (frazione Priscoli) Peppe Ferraro e Giovanni Tariello ripresero la tematica cara - e più volte assunta nella opere - della crisi del mondo contadino; Livio Marino utilizzò i certificati a cui lavorava da tempo, Aldo Ribattezzato ricorse alla sagoma della finestra del palazzo reale di Caserta per segnare spazi di potere; Pierino Gallo, Mattia Anziano, Paolo Ventriglia e Alessandro del Gaudio svariarono fra i recuperi del mondo 2 - 22 Ottobre 1976 Gaeta Interventi e mostra primigenio e i fantasmi di culture scomparse.
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Successivamente, a Gaeta - LT, l’attenzione fu incentrata alla crisi della pesca con il coinvolgimento degli abitanti, prime vittime del particolare momento sociale. In sostanza nasceva già chiaramente evidente l’impostazione che il Collettivo avrebbe poi fatta sua come cifra operativa, vale a dire un’analisi sociologica ed antropologica del territorio che si intendeva investire, un progetto che aveva elementi politici prima che estetici (non a caso, Crispolti nel testo citato indica i “compagni del Collettivo”) per evidente riconoscimento di un’appartenenza che era non solo di partito (alcuni, peraltro, non erano neppure comunisti) ma anche e soprattutto di classe. Di questa iniziativa non restano molte tracce, anche se viene continuamente indicata tra gli eventi che precedettero o avviarono concretamente il lavoro futuro del Collettivo. In realtà, si trattò dell’iniziativa di una Galleria di Gaeta che, sfiorata in qualche modo dalle tensioni di “operare estetico nel sociale” che si andavano configurando e affermando, organizzò una rassegna con gli operatori della confinante provincia di Caserta (che aveva una sua lunga e qualificata tradizione di Arte socialmente e politicamente impegnata) nel corso della quale fu presentato un po’ di tutto, dai film d’artista ai documenti, dagli interventi nel territorio ai dibattiti in galleria. Per i giovani casertani che andavano costituendo una propria personalità culturale, fu l’occasione per approfondire il discorso già avviato negli “esperimenti” di Mercato san Severino e Marcianise, per costruire una peculiare scelta di temi e di modi di espressione, per avviare un progetto di “lavoro comune” che si sarebbe ben definito dopo l’incontro con Crispolti e la nascita “ufficiale” dell’Associazione “Lineacontinua” e, con essa, del Collettivo.
30 marzo 1976 Caserta Associazione Culturale Lineacontinua Incontro con Crispolti IMPEGNO E DECENTRAMENTO Il dato fondamentale della società italiana negli anni Settanta fu senza dubbio una fortissima tensione alla democrazia di base che si espresse principalmente con la costituzione delle Regioni a Statuto Ordinario. Ma anche nel quotidiano si affermò il bisogno di una democrazia diffusa, attraverso lo strumento dell’assemblea, che divenne Istituzione riconosciuta e fondamentale in tutti gli ambienti di vita, dal posto di lavoro alla scuola. Anche nella Cultura, il bisogno di un “decentramento” fu spinta propulsiva per moltissime iniziative, sulla scia anche delle convinzioni estetiche che proponevano uno stretto rapporto tra arte e società. Nelle arti visive finirono per affermarsi posizioni tendenti alla “società dell’estetica”, su cui insisteva Filiberto Menna, e all’”operare estetico nel sociale” propugnato da Enrico Crispolti che in questa direzione animò numerose iniziative in tutta Italia ed attivò gruppi di operatori che ai canoni del decentramento, dell’aggregazione e dell’intervento diretto nelle realtà sociali (soprattutto quelle più marginali ed “escluse”) si dedicavano con intensità. Proprio per queste caratteristiche - che ben si adattavano ai criteri ispiratori dei giovani artisti casertani - l’idea di un “Collettivo” (con evidente richiamo a quelli
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studenteschi ed operai) si affermò rapidamente; e a “sanzionarlo” in qualche modo fu chiamato il critico che meglio aveva saputo dare corpo alle idee comuni. Nacque di qui la proposta di incontrare Enrico Crispolti in una serata diventata in qualche modo “storica”, nel corso della quale certe linee furono definite. A quella data, quindi, si può far risalire la genesi prima del “Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro” che si sarebbe poi mosso sulla falsariga di quanto Crispolti sottolineò successivamente nel “libretto rosso”: ...”invenzione” di modi di sollecitazione e poi subito di gestione realmente partecipativa (invenzione che naturalmente è anche linguistica) alla strategia della sollecitazione, del coinvolgimento, della contrattazione e del controllo democratico delle istituzioni, a cominciare dagli enti locali. Questa nuova dimensione non interessa appunto soltanto il capoluogo, non soltanto gli operatori napoletani, ma il territorio, l’area regionale, e particolarmente in una situazione di conurbazione quale quella tipica della fascia che corre da Pozzuoli a Caserta, a Salerno. A Caserta appunto un momento di questa aggregazione su interessi di proiezione culturale operativa a livello territoriale è rappresentato da circa un anno dall’attività del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro, costituitosi per riassumere e tesaurizzare una tradizione locale di ricerche d’avanguardia che rimonta al 1966, ma indicando con chiarezza tale nuova prospettiva operativa. Da alcuni anni questa nuova realtà della ricerca culturale in Campania, già notevolmente affermata nel teatro (mezzo più diretto e partecipativo), si è tuttavia affermata anche nel dominio della cultura cosiddetta figurativa, nel costituirsi di situazioni operative, gruppi o anche singoli operatori, aperte ad un dialogo nuovo, interessate alla realtà sociale specifica non più soltanto come patrimonio culturale costituito, ma come realtà creativa a livello diffuso e persino latente. Una proiezione degli operatori sul territorio, e un’aggregazione fra consenzienti situazioni operative, in una connessione di esperienze che è già anch’essa un fatto nuovo di fronte al costume piuttosto personalistico della precedente tradizione d’avanguardia anche napoletana. Una proiezione che significa l’emergere di interessi nuovi, di volontà di dialogo reale, ricercato spesso accanitamente, sollecitato e condotto in modi trovati direi sul campo; che significa insomma la disponibilità ad una compartecipazione creativa ad un disporsi totale a dare ed avere insieme, e quindi anche all’ascolto e alla partecipazione ai valori di una cultura ancestrale del territorio campano: cultura agricola essenzialmente, trovatasi ora d’improvviso a fare i conti con l’urbanizzazione e sopratutto l’industrializzazione spes-
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17 so forzata, altrove decisa e altrove ripagante. Ma è certo che una tale proiezione - che connota quella dimensione nuova costituente l’attuale fervida e ricca situazione operativa, creativa, culturale campana anche nel settore, non più marginale, della comunicazione figurale - è venuta praticamente ad indicare la possibilità di un capovolgimento di certe tradizionali limitazioni di subalternità culturale, proprio perché sollecita all’individuazione di modi di riattivazione di uno smisurato patrimonio culturale specifico popolare, non esteriormente folcloristico, ma di realtà profonda di sedimentazioni ancestrali. Anche la recente attenzione di antropologia culturale scava nel medesimo terreno; ma, perché - come del resto nell’ambito dell’operatività estetica quest’attività risulti corretta e realmente sollecitante nel senso di una apertura di prospettive di partecipazione culturale orizzontale, occorre che sia sorretta da una visione politicamente consapevole in un senso democratico reale, cioè non nominale ma effettuale. E dunque superi il momento del rapporto isolato, dell’occasionale, per tendere a ricomporre nella sua capacità creativa un tessuto socio-culturale dilaniato ed emarginato, e che tuttavia può ricomporsi durevolmente attraverso momenti e luoghi organizzati e istituzionalizzati, politicamente difesi in una volontà di gestione e controllo democratico. L’ampiezza dello sforzo in atto, pur fra le tante necessità di chiarificazioni ancora necessarie e non sempre agevoli, fra sé come verso gli altri, è in relazione a questo compito, in un arco che va dalla corretta e realmente efficace «invenzione» di modi di sollecitazione e poi subito di gestione realmente partecipativa (invenzione che naturalmente è anche linguistica) alla strategia della sollecitazione, del coinvolgimento, della contrattazione e del controllo democratico delle istituzioni, a cominciare dagli enti locali.
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Napoli 1976 COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO catalogo riassuntivo delle attività del Collettivo fino al 1975 Bova Raffaele, Ferraro Peppe, Gallo Pietro, Marino Livio, Ribattezzato Aldo
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Il “libretto rosso” rappresentò la “fine degli inizi” e l’avvio di un’attività programmata e programmatica. Insieme alla “Ricognizione - verifica” segnò il punto di partenza di una sperimentazione che in cinque anni avrebbe portato a risultati prima impensabili. Il brano che segue è tratto dalle pagine introduttive e segna la linea di sviluppo delle azioni future. Il Collettivo si è costituito e cresce nella linea di quel decentramento culturale che impegna non solo e non tanto la crescita di iniziative e di strutture democratiche locali, ma anche e soprattutto la partecipazione diretta dell’intellettuale in genere e dell’operatore artistico in specie ai processi di modificazione della realtà sociale e politica ed alle lotte che i lavoratori conducono per la democrazia, per la partecipazione, per il progresso. Analizzare le realtà locali, evidenziandone i limiti, le carenze e i dati oggettivi, denunciare i guasti ed avanzare le proposte alternative, è il primo compito degli operatori; ma anche collegarsi alle strutture politiche di base (organizzazioni sindacali, partiti democratici) per l’esame delle proposte alternative politiche per la democrazia di base (funzionalità degli Enti Locali, decentramento amministrativo, consigli di quartiere ecc.) per l’organizzazione delle strutture sociali (piani urbanistici e strutture ad essi connesse) e per le attività sportive, ricreative e teatrali (sezioni locali dell’Arci-Uisp, dell’Eti, dell’Atisp, delle Acli ecc.) è l’altro grosso compito che spetta agli operatori culturali, per esprimere un ruolo che non sia sacralmente ed astrattamente sacerdotale, ma di reale impegno e partecipazione alla vita civile. Ed in questa direzione l’animazione di piazza è forse il mezzo più efficace per ottenere il più ampio coinvolgimento, la massima diffusione della comunicazione, la più intensa partecipazione ad attività solo apparentemente ludiche. E gli spazi utili non si limitano più al chiuso della galleria o del circolo (che pure esprimono ancora una loro essenziale funzione per la continuità di discorso possibile e realizzabile); ma si identificano in tutti gli spazi sociali (urbani ed extraurbani) che diventano, automaticamente, il centro di interesse ed
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il luogo di intervento, di analisi e di dibattito di tutte le forze democratiche per la più larga partecipazione alle scelte culturali (e politiche) per un progresso armonico e globale della società. Nel corso del ‘76, Lineacontinua è stata, per un verso, il punto di riferimento per una serie di presenze e di operazioni di alto livello culturale ed artistico, nella linea delle più avanzate proposte visive; ma è stata ed è soprattutto il punto di riferimento di un lavoro collettivo che ha coinvolto e coinvolge gli operatori della provincia (ma anche fuori della provincia) e che si va articolando, chiarendo e qualificando di giorno in giorno, intervento dopo intervento. E soprattutto, con cristallina trasparenza del nome, ha rappresentato e rappresenta la continuità coerente del lavoro che in provincia (in una provincia difficile ed ostile) gli operatori culturali, dalla « rivoluzione » del ‘66 in poi, hanno vissuto e vivono quotidianamente.
Ad alcuni “ipercritici molto puritani”, il “libretto roso” risultò quasi un ridicolo mezzuccio per diffondere un ulteriore catalogo (qualcuno addirittura tendeva a identificarlo con la “Verifica” che contemporaneamente si realizzava nella sede di “Lineacontinua” a Caserta). In realtà quella pubblicazione, anche a trent’anni e più di distanza, appare ancora (e molto chiaramente) un documento di base per un modo di intendere l’estetica che molti dei protagonisti non hanno mai più abbandonato, ad onta delle mode ricorrenti e dei facili “saltellamenti” che sono diventati fin troppo frequenti. Il testo di apertura di Crispolti conteneva una disamina delle avanguardie storiche in Campania come mai più sarebbe stata elaborata dagli storici dell’arte (veri o presunti) contemporanei e successivi: ed era un’analisi effettuata da uno che “sul campo” c’era e c’era stato con tutta la sua capacità di attenzione e di energia. Le ultime pagine, poi, apparvero per molto tempo (anche assai dopo) una sorta di documento estetico-politico dal quale sarebbero derivate iniziative profondamente diverse e tutte decisamente incisive, dall’”Umanesimo poetico-politico” di mostre realizzate in Italia e in Europa alle “Kermesse d’Arte” proposte in tutta Italia. Questi principi ispiratori ebbero forza e valore finché “tenne” una pressione culturale che volgeva il “privato” in “politico” e “metteva in piazza” i problemi per affrontarli tra la gente e con la gente. Quando questa tensione scemò, il Collettivo dovette prendere atto della caduta dei principi stessi a cui si ispirava e rinunciò ai suoi progetti; ma lo spirito che lo animava è rimasto, più o meno lucido, in tutta la cultura visiva contemporanea, anche quella apparentemente più distante.
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Febbraio 1978 “Enzo Navarra Il gioco dell’uovo” edizioni Concordia Sette Pordenone Volume di autori vari con commento dell’intervento Enzo Navarra era stato studente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, compagno di corso di Raffaele Bova con cui aveva mantenuto rapporti intensi anche dopo il suo trasferimento a Pordenone, dove si era sistemato ed aveva avviato un intenso lavoro di sollecitazione dell’ambiente dell’arte verso le nuove sperimentazioni che a Napoli avevano la punta più alta di incidenza e delle quali, quindi, era costantemente aggiornato. Insieme ad Enzo Perna - anche lui casertano ed anche lui trasferitosi come vice Provveditore a Pordenone - cercavano in ogni modo di inserire esperienze attuali nel lavoro che la neonata galleria “la roggia” andava sviluppando nella nuova provincia; e si incontravano facilmente ed utilmente con giovani artisti del territorio (Giuseppe Onesti, Luigi Sacilotto ecc.) nella proposta di iniziative che “svecchiassero l’ambiente”. Grazie per l’appunto a questa capacità di “resistenza”, Navarra riuscì a convincere il Preside Tavella, che dirigeva la Scuola in cui insegnava, ad avviare con gli studenti un ambizioso progetto di attività che faceva propri i principi stessi dell’”operare estetico nel sociale” e, adattandoli alla storia locale, producesse alla fine un’operazione di ampio respiro. La base di partenza fu “il gioco dell’uovo”, un’antica abitudine locale che vedeva i ragazzi cimentarsi, specialmente in prossimità delle feste pasquali, in una gara ad “infilare” con una moneta un uovo sodo posto ad una certa distanza, per impossessarsene e mangiarlo. Il gioco conteneva in sé tutti gli elementi di un’atavica civiltà contadina dove sacro e profano, ludico ed utilitaristico, mondo contadino e scommessa, fame e rispetto della sacralità si mescolavano in maniera intricata e ricca di fascinose suggestioni. Per un anno intero gli alunni di una scuola di Cordenons lavorarono al progetto, portandovi un impegno e una passione quasi imprevedibili. Per la didattica moderna, la sollecitazione al lavoro di gruppo, l’animazione come principio didattico, l’”interdisciplinarità (come poi si sarebbe cominciato a dire con enfasi) sono strumenti ordinari di qualunque insegnante di tutte le scuole, a partire da quella materna; ma, trent’anni fa, erano appannaggio solo degli artisti e della loro “giustificabile follia”. Alla fine, fu prodotto tanto materiale da realizzarne una mostra e convincere le autorità scolastiche e un editore acuto e sensibile a rendere il lavoro un volume al
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quale furono chiesti contributi critici di Enrico Crispolti - padre putativo della tensione alla socialità dell’arte - di Enzo Perna - che aveva costruito un’esperienza notevole nelle avanguardie artistiche - Enzo di Grazia che era la “voce” del Collettivo a cui Navarra faceva riferimento - e Sergio Molesi - che nel panorama della critica nel Nord-Est d’Italia, a quel tempo, rappresentava una credibilissima punta di diamante. Il volume ebbe un notevole successo e fu spesso inserito nei “documenti-base” per la ricerca sulle avanguardie artisti e sull’”operare estetico nel sociale” in particolare. In questa linea di impegno, Navarra partecipò poi all’intervento del Collettivo a San Giuseppe Vesuviano, dove ripropose (anche se in maniera anomala) il gioco dell’uovo; inoltre, convinse a seguirlo (e a partecipare) all’evento anche Giuseppe Onesti, che “giocò” in piazza a ritagliare nella plastica animali comunissimi ma già “mitici” in area urbana ed assolutamente in pericolo in quella contadina dove lui viveva, presso il Tagliamento. Enzo Navarra ed Enzo Perna si fecero poi parte attiva per procurare al Collettivo una mostra-scambio con un gruppo analogo operante a Vicenza, organizzarono a Pordenone una mostra nella galleria “la roggia” ed un intervento in un quartiere popolare, Borgo Casoni, oltre a sollecitare mostre a Udine e Trieste.
Gennaio - marzo 1978 Napoli LA LOGICA E’ LEGALE? LA LEGGE E’ LOGICA? Numero speciale della rivista “Tempo Nuovo” seconda serie anno XII n° 1 Sintesi del lavoro dell’attività estetico-politica del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro negli anni 1976-1978 Il volume che raccoglieva la sintesi degli anni più intensi di attività del Collettivo nacque quando stava per verificarsi una prima determinante svolta nei rapporti tra i vari protagonisti che tendevano ad assumere direzioni più individuali e slegate dal principio di “assemblearismo” che aveva caratterizzato la parte più vivace del lavoro: questo era però anche conseguenza di una mutata temperie della società, nella quale le strutture democratiche denunciavano immediatamente delle difficoltà e gli organismi rappresentativi - a partire dai Sindacati - avevano vita sempre più difficile nei rapporti con la base. Un antico rapporto di collaborazione con la rivista napoletana “Tempo Nuovo” - di dichiarato ascendente socialista ma sganciata anche dai vertici del Partito che si andavano caratterizzando per l’egemonia di Craxi - consentì di produrre un numero unico in cui venivano riassunti non solo gli avvenimenti che avevano caratterizzato la vita del Collettivo e le iniziative di maggiore impatto che in tre anni erano state svolte con successo; ma si approfondivano anche i temi fondanti del pensiero estetico che ad esse era sotteso, vale a dire il grande impegno nel sociale che gli artisti cercavano di esprimere e il senso del rapporto tra ludico-estetico e sociale-politico che ne caratterizzava la preparazione e l’esecuzione. Fu possibile raccogliere in una sola pubblicazione la maggior parte dei materiali - soprattutto di quelli cartacei - che nel corso dei diversi intereventi erano stati prodotti; ma si cercò anche di approfondire le tematiche che di volta in volta avevano
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sollecitato l’interesse e proposto le soluzioni che erano state adottate, dai temi del lavoro a quelli dell’ambiente dai problemi della scuola a quelli della casa, di volta in volta calandosi nella specificità del territorio per cogliere quei dati che più profondamente incidevano nella condizione sociale e nelle problematiche che venivano proposte. Infatti, di volta in volta, c’erano dei referenti con cui dialogare e con cui confrontarsi per non “calare dall’alto” i gesti estetici col rischio di farli “scivolare sulle cose” senza assumere responsabilità. Il racconto, alla fine, risultò molto organico e chiarificatore, fino a diventare quasi un modello di riferimento. Infatti, il volume ebbe un rapido successo, negli ambienti interessati: e non furono poche le occasioni in cui ho avuto personalmente modo di dover fare chiarezza con chi “vestiva le penne del pavone” attribuendosi meriti di partecipazione o, addirittura, diritti di primogenitura in certi metodi di lavoro. In sostanza, ancora oggi resta un pilastro in una narrazione degli avvenimenti di quegli anni che voglia analizzare un segmento - piccolo, in verità, almeno in termini di durata, ma non certamente di scarso interesse - come è stato quello della stagione delle attività estetiche finalizzate all’integrazione dell’intellettuale nella società.
Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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GLI INTERVENTI NEL TERRITORIO
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23 maggio 1976 Acerra (NA) Intervento primo Dell’iniziativa ad Acerra del “Collettivo Intervento T. L.” non esiste quasi nessuna documentazione se non il volantino che l’accompagnava: d’altronde, la stessa denominazione indica ancora una fase di incertezza che riporta questo primo spunto nell’ambito di quella volontà generica di aggregazione che aveva caratterizzato la fase degli esordi (Marcianise, Mercato San Severino, Castel Morrone, Gaeta) e che per qualche tempo impedì un’organizzazione chiara del lavoro. Ma si distingue già, immediatamente, il carattere fortemente politico che connotava gli interventi che avevano di mira quella “sollecitazione partecipativa” di cui avrebbe poi parlato Crispolti e che avrebbe segnato tutto il lavoro successivo. Sostanzialmente, però, il maggiore difetto nell’organizzazione dell’attività fu, per il Collettivo, l’assoluto disinteresse per la documentazione e per la testimonianza futura. In sostanza, ci si preoccupava moltissimo della scelta degli interventi e dei modi per far convergere in un solo happening linguaggi spesso molto diversi tra loro; si studiavano fino nei dettagli i territorio in cui si andava ad operare; si impegnavano infinite energie, tempo e fatica, per collegarsi alle strutture territoriali e dialogare con loro perché l’intervento fosse correttamente progettato, programmato e svolto. Non ci preoccupava, invece, molto (o non ci si curava affatto, talvolta) di farsi accompagnare da un amico munito di macchina fotografica o di cinepresa per fermare certi momenti e certe occasioni, in vista anche di quelle iniziative espositive che comunque poi si rea- lizzavano e che, ben documentate, avrebbero addirittura costituito un ulteriore e maggiore impulso al lavoro svolto. Basti pensare che della primissima iniziativa realizzata - molto tempo prima ed ancora fuori dagli schemi fin qui proposti - non è rimasta assolutamente nessuna traccia: l’evento si sviluppò quasi per caso, ad Aversa, nel settembre 75, con un’operazione su un rione popolare, che fu indirizzata verso il recupero del verde pubblico in un’area caratterizzata dall’abbandono criminale degli amministratori e da una pericolosa situazione di degradazione ambientale e sociale. Fu un fenomeno occasionale ed episodico, che raccolse operatori eterogenei e solo occasionalmente coacervati (Bova, De Filippis, Haebel e Rotella, perché docenti del Liceo Artistico di Aversa; Ferrara e Sparaco, perché impegnati nel lavoro politico presso la Federazione del P.C.I. di Caserta); ma, soprattutto, si trattò di un lavoro condotto all’interno della «Festa de L’Unità’» e quindi c’erano molte persone a fotografare e, alla fine, fu realizzato anche un lungo filmato con interviste agli arti-
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sti che avevano partecipato e a me che ero stato l’animatore. Di tutte le foto scattate e del filmato realizzato nessuno conserva traccia. Ma il discorso può valere per “La banda sbanda” di cui fu realizzato un filmato in super8 che nessuno riesce a capire dove sia finito. Il fatto era che la direzione di impegno di tutti gli operatori era soprattutto quella politica e, anzi, di un atteggiamento politico che considerava quasi blasfemo un impegno di lavoro finalizzato alla pubblicità. In uno degli interventi realizzati a Pordenone, “la festa dei maghi” proposi, alla fine, di fare un unico falò dei lavori che i ragazzi avevano realizzato per strada: fui preso quasi per pazzo, specialmente dai dirigenti politici (quelli di sinistra) che avevano accompagnato i figli e si affrettavano (forse anche giustamente!) a recuperarne gli elaborati. Sia come sia, di moltissimi interventi restano spesso solo tracce nella memoria qualche manifesto e qualche opera che - si dice - “sta da qualche parte” ben custodita.
4 gennaio 1977 Nocera Inferiore - Intervento R. Bova, P. Ferraro, P. Gallo, L. Marino, A. Napoletano, A. Ribattezzato L’intervento a Capocasale fu il “battesimo del fuoco” per gli intenti e i progetti del Collettivo; rese quindi necessaria un’organizzazione capillare e attenta per determinare i processi attraverso i quali si sarebbe, successivamente, intervenuti in altre realtà con diverse caratteristiche. Il presupposto fu un’analisi della realtà, con l’aiuto e la guida di organizzazioni sociali che operavano sul territorio. A questo proposito, è importante osservare quanta importanza abbiano avuto ed abbiano - in una realtà difficile e delicata come quella campana in genere e dell’area napoletana in specie - le organizzazioni giovanili che si preoccupano - attraverso la cultura - di porre sul tappeto i problemi più gravi, attuali ed urgenti del territorio. Il Collettivo si legò rapidamente (anche per la sua matrice culturale e politica) a queste Associazioni; e molto spesso organizzò i suoi interventi preparandoli prima con lunghe e proficue conversazioni appunto con i giovani dei Circoli Culturali e Sociali, con i Centri Cultuali ed anche con organizzazioni più vaste come i Sindacati, le Acli e insomma tutte le strutture associative presenti sul territorio.
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Con i giovani del Circolo Culturale di Nocera Inferiore fu esaminato accuratamente il territorio, furono studiati gli altri interventi già presentati e si passò quindi alla fase progettuale per definire i modi in cui ciascuno, autonomamente e liberamente, decideva di intervenire nello specifico; si stese un progetto di massima che fu riassunto in un volantino che sarebbe stato distribuito sul posto per rendere più semplice la lettura degli interventi. Alla fine, sul posto, ciascuno si dedicò all’intervento predefinito: Aldo Ribattezzato e Pierino Gallo si occuparono delle finestre e dei manichini per realizzare e distruggere il “palazzo”; Peppe Ferraro si preoccupò di riattare il forno e di cuocervi del pane preparato dalla gente del posto; Armando Napoletano si occupò delle interviste e dei dialoghi con la gente; Livio Marino andò in giro a “certificare” (con spirito fortemente satirico) la consistenza degli edifici e la condizione degli abitanti. La performance si sviluppò per tutta la mattinata e riscosse un non lieve interesse specialmente in quei gruppi che da anni si battevano per la soluzione dei problemi sul terreno politico. Nell’occasione fu distribuito un volantino: Intervento per una proposta poetico-politica del Collettivo Lineacontinua di Terra di Lavoro per il recupero e la rivitalizzazione del rione Capocasale di Nocera Inferiore MOMENTI LUDICI - Successione degli interventi. I) COSTRUZIONE DEL “PALAZZO” Nella piazza, sulle rovine delle case, con tre pareti-finestre (simbolo del potere) si realizza un ambiente (sovrastruttura edilizio-speculativa che sarà anche “ambiente” per interviste ad amministratori e responsabili cittadini eventualmente presenti. I) modificato RIFIUTO DELLA DEMAGOGIA Con un’altra parete-finestra si crea su un terrazzo balcone (comunque in posizione elevata) un baldacchino (palco, tribuna o altro) da cui si affaccia un manichino che, per mezzo di un amplificatore, pronuncia un discorso disarticolato (politica demagogica e parolaia sulla pelle e sulla miseria dei cittadini); viene interrotto il discorso e si abbattono manichino e finestra (rifiuto). II) PANIFICAZIONE Viene ripulito, sistemato e rimesso in funzione il forno (tradizionale centro di aggregazione sociale) mentre si “sistema” la piazza con le strutture primarie (rete idrica, fognante, elettrica e telefonica), si “tabellano” gli ambienti, si segnano gli spazi (sistemazione degli elementi urbani “recuperati’) con particolare riferimento alle strutture secondarie (asilo, farmacia,ambulatorio ecc.) alle attività artigianali e commerciali; interviste ai cittadini (in dialetto)ed invito alla collaborazione e alla panificazione.
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III) RIPOPOLAMENTO DEL LABIRINTO Tabellazione, sistemazione, “presenze vive” strutturazione primaria e secondaria, delimitazione degli elementi di recupero e di rivitalizzazione IV) PIANIFICAZIONE URBANA Elaborazione, su una mappa cittadina, dei piani generali e particolari di intervento. V) ABBATTIMENTO DEL PALAZZO Si apre il palazzo,trasferito al centro del labirinto,e compare “’a pummarola”. “MOMENTI LUDICI”- Senso politico Premessa: Rifiuto della politica speculativa demagogica,tesa ad espellere gli abitanti, per giungere all’abbattimento ed alla ricostruzione edilizio speculativa. Alternativa: A) Risanamento: pulizia, disinfezione e disinfestazione delle piazze, delle strade,delle case e degli ambienti abitabili; recupero e rifacimento delle strutture architettoniche di particolare interesse (frontoni, pozzi ecc.) nonché della tipologia edilizia propria del rione (balconi,scale esterne,angiporti ecc.) con la conservazione ed il sostegno degli elementi esistenti, anche se fatiscenti o pericolanti, il rifacimento di quelli perduti sul modello preesistente. B) Urbanizzazione: potenziamento e creazione della rete idrica,dì quella fognaria e di quella elettrica; creazione di ambulatori, asili, centri sociali, spazi di verde attrezzato. C) Socializzazione: recupero degli elementi sociali aggrumanti (forno,ad esempio) con il potenziamento delle attività artigianali e piccolo industriali, quelle commerciali e quelle produttive legate alla storia dell’attività e del costume locali; creazione e potenziamento della rete telefonica, delle strutture sociali (circoli, centri culturali ecc.) e delle attività culturali.
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29 maggio 1977 S. Giuseppe Vesuviano intervento interrotto Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Haebel, Livio Marino, Armando Napoletano, Enzo Navarra, Giuseppe Onesti, Aldo Ribattezzato La manifestazione proposta a San Giuseppe Vesuviano (NA) aveva una sua già consolidata tradizione ed era condotta da Associazione e Gruppi di giovani operanti nella cittadina su una posizione di deciso antagonismo al potere. Il Collettivo si presentò numeroso (oltre al nucleo tradizionale -Bova, Ferraro, L. Marino, Napoletano, Ribattezzato) aderirono anche G. Marino ed Haebel oltre a due autori nuovi - Enzo Navarra e Giuseppe Onesti - provenienti da Pordenone e che sarebbero stati compagni di viaggio in altre fondamentali iniziative. Il progetto di intervento fu accuratamente studiato e riassunto poi in un volantino da distribuire tra la gente - per una più agile comprensione dell’happening - come sarebbe stato poi sempre in futuro, quasi una cifra del Gruppo e del lavoro.
IV GIUGNO POPOLARE VESUVIANO - Arti visive Intervento del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro S. Giuseppe Vesuviano - Domenica 29 Maggio 1977 Piazza Garibaldi II Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro - aggregazione di operatori estetici nel sociale - propone, con il suo intervento sul territorio di San Giuseppe Vesuviano, un momento di sollecitazione e di dibattito intorno allo realtà attuali e storiche del paese, con specifico riferimento alle attività produttive, alle strutture sociali ed a quelle culturali proprie del territorio. L’azione prende l’avvio dalla costruzione di una gabbia (simbolo delle sovrapposizioni di potere sulla realtà originaria) realizzata al centro dei giardini pubblici di piazza Garibaldi. Tale gabbia viene rivestita di un panno (riferimento all’attività tessile come elemento portante dell’attività economica del paese) fino a creare una sorta di cubo completamente bianco, all’interno del quale vengono sistemati gli “oggetti” che, di volta in volta, saranno utilizzati nel corso delle operazioni: la gabbia sarà realizzata dall’operatore Haebel, che vi collocherà, tra le altre cose, un dipinto rappresentante un maiale (richiamo alla tradizionale attività del mercato del bestiame, caduto in abbandono).
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Successivamente, l’operatore Raffaele Bova, su un ampio telaio (anch’esso richiamantesi all’attività tessile) “ricucirà” su una tela apposita l’immagine della “lira” usando, per le scritte, lettere a somiglianza degli animali un tempo oggetto di mercato; al centro, sarà rappresentato un maiale. Gabriele Marino disegnerà sul terreno la tradizionale “settimana” (gioco di antiche origini e tradizioni, legato alla realtà propria dei paesi rurali dell’area vesuviana) ed inviterà tutti al gioco, componendo all’interno delle singole caselle i simboli del Collettivo. Armando Napoletano, analogicamente, inviterà al “gioco del chiodo” (tentativo di fissare con tre colpi un chiodo in un’asse, in cambio di simbolici premi) riproponendo, con Marino, il senso della creatività, dell’attività ludica e del recupero di forme tradizionali di tempo libero: intorno alla questione si solleciterà l’intervento e il dibattito dei cittadini. Aldo Ribattezzato recupererà la tela con cui è stato realizzato il cubo e vi segnerà innumerevoli finestre (simbolo del palazzo reale di Caserta, emblema del potere sovrapposto alla realtà e prevaricatore della civiltà originaria) e ritaglierà le singole sagome, che distribuirà tra la gente e sulle case a denunciare il processo di trasformazione forzata della realtà. Livio Marino, nel corso dall’operazione, “certificherà” varie situazioni in maniera ironica e provocatoria per sollecitare l’interesse intorno alla elefantiasi burocratica, ai ritardi dello decisioni politiche, all’immobilismo cittadino così attuale nella vita pubblica del paese. Peppe Ferraro costruirà uno spaventapasseri (richiamo alla tradizionale attività agricola) che coprirà successivamente con un foglio di plastica recante scritte provocatorie e polemiche, in riferimento alle distruzioni recenti verificatesi in agricoltura. Enzo Navarra estrarrà da un uovo gigantesco (anch’es-
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so simbolicamente riferito alle tradizioni agricole) confetti di materiale povero recuperando le due forme principali dì attività: I’agricoltura (in via di distruzione) e l’artigianato (sostituito dall’industria. Al Collettivo si è aggregato nell’operazione l’operatore del gruppo “La Roggia” di Pordenone Giuseppe Onesti, che ritaglierà sagome di animali (ristrutturazione della zootecnia) le quali saranno “certificate” da Livio Marino e regalate ai cittadini, IL COLLETTIVO LINEACONTINUA T.L.
Il taglio decisamente politico e i riferimenti espliciti e non casuali alla gestione della Cosa Pubblica - in un territorio che aveva come cifra dominante lo stravolgimento delle radici culturali e la speculazione più spietata e troppo spesso ai limiti (e oltre) della legalità - non poteva non provocare una reazione immediata e violenta. L’alibi ufficiale fu la mancata richiesta di autorizzazione - da parte dell’organizzazione - di una speciosa richiesta di licenza “per occupazione di suolo pubblico” (l’oggetto incriminato era la “gabbia” realizzata da Haebel): su questa base, i vigili urbani intervennero a bloccare ogni intervento (primo fra tutti, la distribuzione del volantino che era il vero oggetto della “contesa”). Ci furono reazioni vivaci, dei giovani dei Circoli che organizzavano e degli artisti che agivano; ma non ci fu niente altro da fare che interrompere l’intervento. Alla fine, coerentemente con il proprio modo di lavorare, il Collettivo emise un “certificato” (ovviamente, di Livio Marino) e realizzò una tela a molte mani per denunciare il sopruso: la tela fu poi esposta (e vi rimase a lungo) nella sede dell’organizzazione.
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7 giugno 1977 Terzigno – intervento Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino, Armando Napoletano, Aldo Ribattezzato La stessa organizzazione - che comprendeva Associazioni e Centri Giovanili di diversi Comuni della Zona Vesuviana - aveva previsto, per il Collettivo, un intervento ulteriore, la settimana seguente, in un Comune vicino, Terzigno, dove i problemi proposti erano di natura diversa. Anche in questo caso, l’analisi preventiva fu lunga e minuziosa, tesa a cogliere soprattutto le emergenze sociali che avrebbero potuto più utilmente essere affrontate dai singoli operatori del Collettivo, in questo caso presenti con il solo gruppo di base. La conclusione fu riassunta in un volantino ciclostilato che venne diffuso in piazza nel corso dell’intervento:
IV GIUGNO POPOLARE VESUVIANO- ARTI VISIVE Intervento del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro Terzigno - Martedì 7 Giugno 1977. Piazza Vitt. Emanuele III. Il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro - aggregazione di operatori estetici nel sociale - propone con il suo intervento sul territorio di Terzigno, un momento di sollecitazione e di dibattito intorno alle realtà attuali e storiche del paese, con specifico riferimento alle attività produttive, alle strutture sociali ed a quelle culturali proprie del territorio. L’azione prende l’avvio dalla costruzione di una gabbia (simbolo delle sovrapposizioni di potere sulla realtà originaria) realizzata al centro della piazza: all’interno di essa una sartina lavora un pezzo di stoffa (lavoro tessile a domicilio, mercato nero del lavoro)) un pezzo di stoffa lavorato viene portato fuori, timbrato con la scritta “Cooperativa Tossile” e appeso ad una delle porte terranee dell’ex Municipio disabitato prospiciente la piazza (ipotesi alternativa di strutturazione delle attività tessili). In un’altro angolo della piazza vengono sistemato bottiglie della cantina “Manzo” a suo tempo oggetto di indagine sanitaria (speculazione padronale sulla produzione vinicola) mentre da una damigiana, recante la scritta “cantina sociale”, viene distribuito, con bicchieri recanti la stessa scritta, vino ai cittadini (proposta alternativa di socializzazione dell’attività vinicola). Nell’arca della piazza,viene distribuito del terriccio in modo da realizzare sagome di finestre con la scritta “proprietà privata” (simbolo della sovrapposizione di potere all’agricoltura). Il terreno viene poi spianato, arato e segnato con la scritta “pro-
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prietà collettiva”; contemporaneamente, una grossa sagoma della moneta da 5 Lire viene ricoperta di terriccio tinto di verde; al centro, la scritta “alleanza contadina”; in .altro lato, viene realizzato uno spaventapasseri che viene rivestito di plastica con scritte denuncianti la struttura di potere oppressivo dell’agricoltura, mentre una tabella con la scritta “alleanza contadina” viene posta su un altro dei terranei dell’ex Municipio. Tutta l’azione mira a denunciare lo stato di privatizzazione dell’attività agricola e propone la strutturazione corporativistica e sociale di essa. Miniassegni ironici da Lire 5 a firma del “Potere” vengono distribuiti ai lavoratori (denuncia del sottosalario del lavoro nero). L’azione si conclude con la distribuzione, da parte del Collettivo, di secchi d’acqua alla popolazione portandola fin nelle case, per sollecitare l’interesse sul problema idrico ed igienico. IL COLLETTIVO LINEACONTINUA
La risposta, in questa occasione, fu decisamente migliore: soprattutto per effetto dello scandalo sul vino adulterato che di recente aveva colpito una nota Casa Vinicola, fece molto presa l’indicazione di tornare alla genuinità del prodotto ed all’agricoltura. Le altre performances - in qualche modo trainate da quella centrale - risultarono coinvolgenti e produttive, soprattutto per le organizzazioni giovanili che - dopo l’entusiasmo dell’happening - avrebbero comunque dovuto continuare ad affrontare quei problemi sul piano politico e sociale.
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11 giugno 1977 Borgo Casoni - PN intervento Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino, Silvio Napoletano, Enzo Navarra, Giuseppe Onesti. L’incontro con Pordenone era avvenuto - come già si è accennato - per il tramite di Enzo Navarra, napoletano trapiantatosi a Pordenone dove svolgeva una valida attività di sollecitazione culturale. Navarra aveva mantenuti vivi i rapporti con Raffaele Bova, di cui era stato compagno di corso, ed era puntualmente aggiornato sulle vicende napoletane e su quelle del Collettivo in particolare. Per il suo tramite, si realizzò uno scambio di ospitalità tra un gruppo di operatori di Vicenza, che faceva capo al centro Culturale “Casa del Palladio”: i vicentini furono ospitati nella sede di Lineacontinua a Caserta e il Collettivo realizzò una mostra documentaria a Vicenza. Dopo una mostra personale organizzata per Bova nella galleria “la roggia” di Pordenone, preparò anche (con l’aiuto di Enzo Perna, critico d’arte casertano trasferitosi a Pordenone per il suo lavoro di vice-provveditore) una mostra documentaria nella stessa galleria e - con gli opportuni accordi con le Acli, con la “Cooplibri”, una Cooperativa Libraria, e con altre Associazioni del territorio - un intervento in un quartiere cittadino, Borgo Casoni, visibilmente disagiato rispetto al contesto. La preparazione dell’intervento fu ancora più accurata e minuziosa del solito - considerata anche la distanza e la profonda diversità di condizione del territorio - e richiese molte e lunghe conversazioni con gli operatori del posto, prima di giungere ad una sintesi finale che, come d’abitudine, fu riassunta in un documento ciclostilato distribuito come un volantino nel corso dell’intervento. Pordenone - Rione Torre (Borgo Casoni) 11.6.77 Intervento del Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro (Caserta) II Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro (Caserta) - aggregazione di operatori estetici nel sociale - propone, con il suo intervento nel territorio di Borgo Casoni, un momento di dibattito intorno ai problemi sociali e politici più urgenti ed attuali della realtà territoriale scelta. L’azione si serve della figurazione simbolica e della provocazione ironica come stru-
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39 mento per far emergere i dati più importanti della denuncia popolare relativa alle carenze strutturali di maggiore peso con la conseguente emarginazione sociali degli abitanti - e dei tentativi di stravolgimento speculativo del territorio, proponendo, al tempo stesso, ipotesi politiche alternativo intorno alle quali sollecitare l’impegno e l’attività delle forse sociali e politiche interessate. L’intervento parte della denuncia della separazione fisica del Borgo dalla realtà urbana, per la mancanza totale di collegamenti: essa viene sottolineata con l’ironica realizzazione del percorso di una ipotetica linea automobilistica 5 bis e la segnatura di ideali fermate in punti strategici indicati dagli abitanti. Per evidenziare ancor più marcatamente l’esigenza del collegamento, in relazione soprattutto ad alcune categorie sociali presenti a Borgo Casoni, vengono rilasciati “abbonamenti gratuiti” specialmente agli anziani ed ai pendolari che più specificatamente avvertono il disagio dell’emarginazione urbanistica. Il problema dell’utilizzazione del tempo libero (in particolare per i bambini) e della necessità di spazi permanenti adatti allo scopo viene segnalato con l’invito a giocare e ad appropriarsi simbolicamente degli spazi utili ed opportuni ad un campo-giochi; tra le altre indicazioni; i bambini vengono invitati ad esprimere graficamente la loro visione della realtà del rione: i lavori più significativi vengono riprodotti, in maggiori dimensioni, sul muro di cinta della centrale termica situata al centro della area delle case popolari dove ha luogo l’azione. La carenza di strutture urbanistiche secondarie essenziali (negozi, centri di aggregazione sociale, farmacia, posto telefonico ecc.) viene sottolineata con la disposizione di insigne fittizie e la realizzazione - con l’uso di materiale povero - di ambienti provvisori. Specifiche situazioni urbanistiche che rivelano tentativi di speculazione privatistica contro gli interessi collettivi e di massa vengono denunciati: 1 ) con la segnalazione di “proprietà privata” su un tratto di Via Stradelle di cui è stata chiesta la privatizzazione e quella di “proprietà pubblica” sul terreno adiacente, di proprietà dei richiedenti, ribaltando ironicamente il tentativo di appropriazione; 2) con “l’ingabbiamento” di alcune zone di territorio; 3) con la disposizione di spaventapasseri - ricoperti di buste di cellophane recanti la
40 scritta “vera stalla” - davanti a ville sorte in territorio previsto dal Piano Regolatore come “Zona Agricola”. L’intervento viene realizzato con la partecipazione attiva e diretta degli abitanti che vengono sollecitati al dibattito socio-politico intorno alle questioni specifiche. Contemporaneamente viene stimolato il senso della creatività con “l’invito al gioco”, proponendo il “gioco del chiodo”, quello delle “cassette” e quello del “puzzle”. Di tutte le azioni vengono effettuate riprese filmate, fotografiche e sonore. IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO (Caserta)
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L’iniziativa lasciò un segno molto profondo, tanto è vero che ebbe un seguito, alcuni anni dopo e, soprattutto, che incontrò il favore di alcuni giovani operatori del territorio che successivamente si sarebbero mossi sulla stessa linea di ricerca. All’intervento parteciparono, oltre al nucleo base del Collettivo, anche Enzo Navarra e Giuseppe Onesti che aveva già sperimentato questa collaborazione nel corso dell’’iniziativa “interrotta” a San Giuseppe Vesuviano.
27 agosto 1977 Muggia (TS) intervento sulla pesca Raffaele Bova, Enzo Navarra. L’idea di una “FESTA DELLA RIAPPROPRIAZIONE URBANA” era stata avanzata dal Gruppo di Promozione Artistica “ARTEQUATTRO” di Trieste, che faceva capo a Pierpaolo Bisleri, da tempo vicino agli operatori che, a Napoli, avevano costituito il Gruppo di operatori estetici nel sociale denominato “AMBULANTI”. La contiguità degli interessi aveva stimolato l’interesse di Enzo Navarra (che con Trieste aveva frequenti rapporti) che accettò l’invito e lo trasmise al Collettivo. La collocazione alla fine di agosto rese impossibile contattare tutti e farli partecipare. Vi aderirono concretamente, quindi, solo Raffaele Bova ed Enzo Navarra che organizzarono una performance sulla crisi della pesca; per altro percorso (ed autonomamente) da Napoli partecipò anche Annibale Oste che in quel periodo teneva buoni rapporti col Nord Est. Successivamente, si tenne anche una tavola rotonda sull’”operare estetico nel sociale” che fu animata e coordinata da Sergio Molesi, critico qualificato e vicino ai temi proposti.
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41 “FESTA DELLA RIAPPROPRIAZIONE URBANA” Muggia 27/28 agosto - 3 settembre 1977 INTERVENTO DEL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO Caserta Il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro - Caserta - è un’aggregazione di operatori che con la sua attività estetico-politica mira a sollecitare l’attenzione e l’interesse intorno ai problemi più urgenti ed emergenti d della realtà specifica del territorio in cui opera. Nel corso della “Festa della Riappropriazione Urbana” realizzata a Muggia, il Collettivo propone - attraverso il segno Indico/estetico di alcuni suoi operatori - un momento di verifica e di riproposizione dei problemi relativi alle strutture economiche tradizionali, per la rivitalizzazione e la riqualificazione sociale e produttiva. Una barca ed una rete poste al centro della piazza Marconi richiamano alle attività storicamente fondamenta della città - pesca e cantieri navali - sulle quali pesa gravemente un’ipotesi di depauperamento e di svilimento. La distribuzione, nella rete, di oggetti ritagliati nella carta - pesci, barche, alberi, ecc. - mira ad evidenziare il processo di impoverimento di queste attività e di quella agricola, anch’essa gravemente minacciata. L’invito ai cittadini a partecipare alle operazioni di disegno, di ritaglio, di colorazione e di distribuzione nella rete dei vari oggetti, ha la finalità del massimo coinvolgimento possibile, intorno alla specificità di questi problemi, della cittadinanza e delle organizzazioni sociali, culturali e politiche, interessate ai problemi e competenti per responsabilità.
4 dicembre 1977 Succivo (CE) Il palazzo imballato R. Bova Ferraro L. Marino A. Ribattezzato A. Tagliafierro L’intervento realizzato a Succivo (CE) nel mese di dicembre del 1977 fu senza dubbio il più articolato, il più complesso e il più completo fra quelli “messi in scena” dal Collettivo, per l’urgenza del problema in sé (ipotesi di abbattimento di un edificio al centro di un paese con una sua specifica connotazione storica e culturale), per la convinta collaborazione con un Circolo Culturale fortemente motivato (e fortemente connotato politicamente), per il coinvolgimento del vicino Liceo Artistico di Aversa, per la lunga e meditata preparazione, per il coinvolgimento generale di tute le forze del paese. Si partì da un’analisi generale del problema dei centri storici (forse, meglio, dei centri antichi) e della loro utilizzazione in armonia con le esigenze di sviluppo e ammodernamento. Il tutto, fu riassunto in un documento - volantino distribuito preventivamente in tutto il paese.
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42 II Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro contro i tentativi di speculazione a Succivo La tutela dei centri storici e la salvaguardia delle strutture urbanistiche, edilizie ed architettoniche caratteristiche di ciascuna zona non è solo un problema di natura culturale, fine a se stesso, ed astratto dalle realtà sociali che a quelle strutture urbanistiche si riferiscono. Ma è anche (e soprattutto) un problema di conservazione di un ambiente, di un modo di vita, di una realtà storica che corrispondono alle realtà sociali della zona nei quali gli abitanti si riconoscono. I tentativi di abbattimento degli edifici del centro storico, per un verso, sono l’espressione di una volontà di speculazione edilizia che è frutto della volontà capitalistica di sfruttamento privatistico del territorio; e, per altro verso, tentano di stravolgere la struttura storica dei paesi, col risultato di far perdere agli abitanti la loro fisionomia storica e la loro dignità civile. Il tentativo in atto a Succivo - di abbattere il palazzo Palumbo - è una chiara testimonianza di questa volontà e di questo pericolo: da un lato, sì tenta di aprire, per mezzo di questa prima operazione di abbattimento - per ricostruire sullo spazio circostante altri edifici speculativi - la strada verso una più ampi operazione di abbattimento e di ricostruzione che investe tutto il paese e rischia di stravolgerne l’aspetto; a questa prima operazione è facile capire che ne seguiranno altre, tese allo stesso scopo, che in breve tempo potrebbero cancellare le tracce della struttura storica del paese e assegnargli una nuova dimensione ed un nuovo aspetto, voluti dalla speculazione edilizia di marca capitalistica. Dall’altro lato, questa modificazione rischia di far perdere ai Succivesi i connotati della loro identità storica, proponendo l’abbandono della realtà in cui il paese è cresciuto e si é sviluppato, e - in alternativa - il volto alienante di una città-alveare, senza alcuna caratterizzazione sociale, ma corrispondente soltanto alla volontà capitalistica del massimo sfruttamento. Contro questi tentativi e contro questa volontà si pone tutta la moderna concezione dell’urbanistica, che vede nel recupero e nel riutilizzo degli edifici del centro storico la via per dare alle città e ai paesi una nuova dignità ed un più profondo legame tra gli abitanti e le strutture urbanistiche. Alle proposte di abbattimento e di ricostruzione bisogna contrapporre proposte concrete ed operative di ricostruzione, di rifacimento e di adattamento degli edifici storici, in una visione e con strutture adeguate alla realtà. In questo senso, il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro è al fianco del giovani del Circolo Culturale di Succivo, per la difesa e la tutela del palazzo Palumbo, per la sua sistemazione e per l’utilizzazione a fini socialmente più. validi e qualificanti. Mentre impegna, per il 4 dicembre, un primo momento estetico-sociale sul territorio, per denunciare il tentativo di speculazione; e, in tempi più lunghi, altri momenti di
43 intervento, per proporre ipotesi di utilizzazione alternativa del palazzo, il Collettivo. Lineacontinua Terra di Lavoro sollecita gli organi amministrativi ad intervenire per impedire l’operazione speculativa; le organizzazioni politiche, sociali e culturali democratiche ad esprimere la loro solidarietà all’azione dei giovani del Circolo Sociale, e le masse dei lavoratori a prendere coscienza del problema, a farsi protagoniste della lotta e a portare tutto il peso della loro forza per impedire che il paese perda a mano a mano - sotto la spinta della speculazione edilizia - la sua immagine vera, per ridursi a città alienata ed alienante, priva di umanità e di strutture sociali. IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO
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Successivamente si passò all’elaborazione degli interventi - singoli, in parte, ma soprattutto collettivi, visto il livello e la dimensione dell’iniziativa - e ciascuno intervenne con la propria specificità fino ad “organizzare” una sapiente performance che avrebbe visto coinvolti gli operatori visivi, i giovani del Centro Culturale ed infine tutta la cittadinanza. Anche di questo progetto si stese un documento voltantinato in città. Intervento del Collettivo “Lineacontinua” Terra di Lavoro sul palazzo Palumbo a Succivo 4 dicembre 1977 II Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro (R. Bova - Di Grazia - Ferraro - L. Marino - Ribattezzato - A. Tagliafierro) è un’aggregazione di operatori culturali che agisce sulle specifiche realtà territoriali con lo scopo fondamentale di suscitare l’interesse delle masse intorno ai problemi sociali,politici e culturali più urgenti ed impegnativi, al fine di sollecitare intorno ad essi non solo una denuncia di base delle deformazioni delle storture e delle carenze, ma anche le proposte alternative più idonee ed opportune. A tal fine, esso opera una sua specificità di segno, di simboli e di azioni, sulla base di una analisi complessiva elaborata con lo forze politiche e culturali disponibili sul posto e cercando di realizzare la più ampia aggregazione di massa. Per quello che riguarda la situazione del palazzo Palumbo di Succivo il Collettivo sta da tempo operando a fianco del circolo culturale al fine di attirare l’interesse e l’impegno della Cittadinanza tutta (oltre che delle forze democratiche organizzate, sia amministrative che politiche e culturali) nella direzione della denuncia del tentativo di speculazione che si sta realizzando o di una proposta alternativa che solleciti un uso diverso socialmente più qualificante del Palazzo, opportunamente riadattato e rivivificato. L’azione che il collettivo svolge a Succivo il 4 dicembre mira (in prima istanza ed in vista di più ampie realizzazioni) alla denuncia ed alla sollecitazione per avviare un primo contatto con la realtà cittadina o sollecitare l’interesse intorno al problema. La realizzazione della sagoma della 5 Lire con pala, piccone e la scritta Repubblica
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44 Italiana e le aggiunte “No all’abbattimento; si alla rivitalizzazione”, intende riassumere la direzione politica di lotta che il Circolo Culturale avanza ed il Collettivo sostiene,per proporlo alla cittadinanza come momento generale di impegno o di sollecitazione contro i tentativi di aggressione e di distruzione del territorio. Analogamente,il percorso ideale segnato con sagome di un bollo fittizio con un filo di spago e con un cerchio rosso recante la scritta “centro storico” intende proporre in termini visivi la contrapposizione tra la volontà privatistica di speculazione e la necessità di un impegno reale delle forze sociali affinché la tutela del centro storico non sia una astratta volontà frenata dagli impacci burocratici, ma divenga un momento di impegno attivo e di definizione concreta. Il lavoro che il Collettivo va svolgendo insieme ai giovani studenti del Liceo Artistico di Aversa è l’indicazione di una svolta culturale precisa che è necessario dare alla didattica ed alla partecipazione dei giovani, che devono essere protagonisti impegnati fin da adesso nella lotta per il rispetto delle realtà storiche delle strutture sociali da cui derivano ed in cui si riconoscono. E’ questo un primo momento di semplice denuncia al quale altri seguiranno con il contributo e l’impegno del circolo culturale e della cittadinanza per proporre una gestione diversa del Palazzo Palumbo che può e deve essere anziché l’oggetto della speculazione privatistica, un centro di promozione culturale vivace. IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO
Durante l’intervento in maniera particolare, ma anche prima e per lungo tempo, i giovani del Circolo Culturale elaborarono con il Collettivo i temi che l’iniziativa aveva toccato, anche all’interno del dibattito politico che in paese era molto acceso e scatenava spesso scontri dialettici molto acuti. I due gruppi insieme giunsero ad un documento unitario che ben raccontava la vicenda, con le motivazioni a monte e i significati propri dei gesti. Anche questo documento valse per diffondere fra la gente una corretta informazione ed una sollecitazione alla partecipazione attiva. Documento del Circolo Culturale di Succivo Succivo è uno dei paesi della zona aversana il cui carattere emergente è il processo in atto di stravolgimento sociale e territoriale per la collocazione topografica immediatamente a ridosso dell’area di sviluppo industriale della provincia di Caserta, e vittima quindi di quel processo di terziarizzazione e di sfruttamento capitalistico a cui sono destinate in genere le zone-dormitorio delle fasce limitrofe alle aree di sviluppo industriale. La dilagante speculazione edilizia non è che l’ aspetto più clamoroso di tale fenomeno, che evidenzia una lenta ma massiccia espulsione dalle attività agricole verso quelle industriali (per pochi), verso quelle terziarie(per molti) o verso la disoccupazione (per troppi). E lo stravolgimento del territorio investe non solo la fascia perimetrale, di nuovo sviluppo edilizio, ma anche lo stesso centro storico, in una situazione di vuoto assoluto di normativa e di potere; di faide locali per il massimo profitto, che incidono anche e soprattutto sulla vita politica del paese; di corsa sfrenata alla speculazione edilizia come via di facile arricchimento per pochi “furbi”.
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In questa ottica si colloca la vicenda del palazzo Palumbo, da anni sede del Circolo Culturale di Succivo che ha cercato di stimolare di continuo la vita civile e culturale del paese: una compra-vendita strumentale, l’atteggiamento di favoritismo di due personaggi (formalmente locatari per conto del Circolo) irretiti nel sistema di nepotistico favoritismo, una sentenza del tribunale che non riconosce validità di persona giuridica al Circolo e il vuoto di potere determinatosi per l’incriminazione dell’ex sindaco hanno dato il via ad un tentativo di speculazione attraverso l’abbattimento del palazzo per ricostruire nuovi edifici in pieno centro storico. Contro questo tentativo, si sono posti il Circolo Culturale (che ha anche tentato invano di adire le vie legali) e il COLLETTIVO TERRA DI LAVORO, attraverso una serie di interventi politici ed estetici che denunciassero la manovra e le possibili conseguenze, e proponessero l’impegno di massa per impedirla. In una prima fase, parallelamente, furono utilizzati manifesti e documenti pubblici per denunciare l’assurdo dell’ipotesi avanzata dal nuovo proprietario, di abbattere il palazzo per ricostruire altri edifici, sia nella visione specifica del paese, che avrebbe visto, con questa operazione, aperta la via ad una più larga e pericolosa speculazione, capace di stravolgere l’aspetto del paese e di far perdere ai suoi abitanti la loro dimensione storica e la dignità civile che nelle strutture architettoniche si esprime; sia nella più ampia visione della concezione urbanistica, che non può essere né stravolgente di tutta una realtà, né soprattutto gestita in maniera verticistica ed al servizio dello sfruttamento privatistico del territorio. Su questi elementi, si è realiz-
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46 zato poi, il 4 dicembre un intervento esteticopolitico del Collettivo Terra di Lavoro che, attraverso alcuni segni e simboli (la scritta REPUBBLICA ITALIANA con al centro la vanga e il piccone e lo slogan NO all’abbattimento, SI alla rivitalizzazione; un filo rosso segnato da bolli fittizi e culminante su una pianta topografica della città con segnato in rosso il centro storico) ha inteso indicare il pericoloso tentativo e proporre, in alternativa, il riutilizzo degli edifici, storici in una funzione socialmente più qualificata. Il 22 e il 23 dicembre, poi, gli stessi operatori del Collettivo (E. di Grazia, R. Bova, G. Ferraro, L. Marino) hanno condotto, con alcune classi del Liceo Artistico di Aversa, un nuovo intervento, che si è avvalso di scritte e disegni murali, di rilievi grafici e metrici dell’edificio, di registrazioni sonore e filmate delle impressioni della cittadinanza, per creare un momento didattico alternativo a giovani che, mentre seguono uno specifico tipo di studio per il quale la didattica ha bisogno di continui aggiornamenti e sollecitazioni, vivono anche una realtà sociale identica o simile a quella di Succivo e che un rapporto continuo tra realtà e scuola ricercano ormai da tempo. La decisione, però, del giudice - di non riconoscere come controparte nella vertenza il Circolo Culturale - e l’atteggiamento di favoritismo dei locatari (cointeressati in certo modo alla speculazione) che non hanno voluto avvalersi dei benefici della legge sui fitti, ha costretto il Circolo Culturale a lasciare il palazzo Palumbo: il 30 dicembre l’operazione è stata realizzata; ma, al momento di andar via, i soci hanno realizzato una nuova azione, di concerto con il Collettivo: il portone è stato “imballato” con la plastica, sigillato e affidato, con un documento ciclostilato e volantinato, alla cittadinanza ed all’Amministrazione perché ne faccia l’uso più corretto, invitando ancora le forze sociali, politiche e culturali a prendere posizione sulla questione. L’unica risposta è venuta dalla locale sezione del P.C.I., con un manifesto murale e con una lettera al Circolo, nei quali si legano insieme il motivo della crisi politica, quello dell’operazione contro il palazzo Palumbo e, più in generale, il problema dell’assetto territoriale, ricordando l’impegno del PCI su questo terreno, chiedendo (anche col ricorso ad una mozione popolare, se necessario) una specifica seduta del consiglio comunale per dare al paese un assetto territoriale corretto ed espressivo della volontà popolare, dichiarando il massimo sostegno al Circolo in questa occasione e la disponibilità ad un discorso sociale e culturale democratico e progressista, invitando le forze politiche democratiche a prendere chiara posizione nei confronti della mag-
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47 gioranza e delle manovre speculative. Il problema rimane quindi aperto e, come è sottolineato nelle dichiarazioni del PCI, investe non solo il paese o il territorio ma anche la realtà regionale; e l’invito alla vigilanza ed alla lotta, avanzato dal Circolo Culturale, fatto proprio dal PCI e. coinvolgente tutte le forze del paese darà certamente nuovi sviluppi al “caso”, visto anche che già una richiesta di abbattimento è stata presentata e regolarmente respinta e che le forze della speculazione torneranno certamente alla carica, in seguito al “cambio della guardia” nella gestione amministrativa del paese, con la prospettiva che i giochetti di potere possano stavolta aver la meglio ed aprire la strada verso quella privatizzazione di territorio che è l’obiettivo principale e, al tempo stesso, il pericolo più grosso da combattere. CIRCOLO CULTURALE DI SUCCIVO COLLETTIVO TERRA DI LAVORO
Va detto, per chiarezza ed onestà, che l’intervento non ebbe, nella realtà oggettiva dei fatti, nessuna conseguenza. Il palazzo Palumbo non esiste più da decenni e, al suo posto, fa bella mostra di sé un ignobile condominio anonimo, esattamente nel centro della piazza, di fronte al vecchio Municipio oggi sede di uffici distaccati del Comune. Ma sarebbe stato utopistico immaginarsi che un gesto estetico potesse incidere sul costume politico di u territorio dove la speculazione è l’arma vincente per tutte le forze (specialmente per quelle che operano ai limiti, ed oltre, della legalità); d’altronde, sin dalle stesse premesse di costituzione, gli operatori avevano coscienza - ed avevano espressamente scritto - che l’utopia non faceva parte del progetto e che la funzione determinante dell’arte era solo quella di incidere sulle coscienze. E - in questa direzione - molto si è ottenuto, soprattutto con quell’intervento; e molte coscienze sono state smosse, almeno per un momento.
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11 giugno 1978 NAPOLI A PIEDI Una tradizione ormai consolidata aveva fatto degli artisti napoletani una categoria particolare di intellettuali, pronti a cogliere le emergenze dell’attualità e a farle crescere in una visione particolare, legata alla storia ed alle abitudini territoriali. L’incidenza della lezione di Crispolti - che insegnava nella vicina Università di Salerno - aveva prodotto (quasi necessariamente) una larga fioritura di Gruppi ed Associazioni di artisti che all’”operare estetico nel sociale si dedicavano con convinzione. Per questo, anche una testata giornalistica del valore di “Paese Sera” non ebbe esitazioni ad avviare un progetto di interventi destinato a scuotere la realtà cittadina con “provocazioni” artistiche e culturali di grande livello e di ampio respiro. Il Collettivo colse al volo l’occasione, per proporre uno dei tempi più urgenti ed attuali nel territorio, quello della disoccupazione a tutti i livelli. E risolse l’intervento con altissima creatività dando vita ad un happening che segnò notevolmente la manifestazione e di cui lo stesso giornale riferì con commenti positivi. “NAPOLI A PIED I “ Vìa T. L. Caro - Spiaggia Gaiola Posillipo Domenica 11 Giugno ore 10,30 — organizzazione di “PAESE SERA” II Collettivo LINEACONTINUA T.L. -- R. Bova, G,Ferraro, L. Marino, A. Napoletano, E,Navarra, A. Tagliafierro - aggregazione di operatori estetici nel sociale, propone un intervento sul territorio napoletano intorno al problema dalla DISOCCUPAZIONE, operando con una metodologia delle ARTI VISIVE. L’intervento pone l’accento sul problema sempre più grave ed attuale della crisi in generale e, in particolare, nel modo in cui essa coinvolge ed esaspera in primo luogo il mondo del LAVORO. La DISOCCUPAZIONE, che a livello nazionale assume caratteri già rilevanti,nel Sud e specificamente nella nostra regione diventa sempre più drammatica.
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Precaria è anche la condizione del lavoratore occupato: licenziamento-cassa integrazione sono minacce giornaliere! La disoccupazione giovanile ha anche essa assunto proporzioni abnormi; resta però ancora del tutto irrisolto il problema delle liste speciali. In questo contesto si inserisce il nostro intervento estetico-socio-politico, che prende spunto dalle iniziative “NAPOLI A PIEDI” condotte dal quotidiano “PAESE SERA”. L’intervento si articola percorrendo via T.
L. Caro. Gli operatori indosseranno abiti simbolici quali sacchi recanti scritte che evidenziano i principali serbatoi di disoccupazione: SCUOLA, come area di parcheggio e di dequalificazione professionale; FABBRICHE come luogo di produzione, incapace di riconvertirsi nei metodi di produzione e quindi di assimilare nuova forza lavoro. A conclusione della passeggiata collettiva confluiranno alla spiaggia della Gaiola a Posillipo, dove si spoglieranno dei sacchi che saranno lavati e stesi al sole. “I disoccupati” a questo punto saliranno su una barca da dove verranno lanciati palloncini recanti la scritta: “UNITI PER LA OCCUPAZIONE” il collettivo lineacontinua «UNITI per I’occupazione» un cartello questa scritta è stato fatto volare attaccato ad un grappolo multicolore di palloncini sul cielo di Poslllipo dagli operatori del collettivo «Lineacontinua» che hanno concluso l’ultimo percorso di «Napoli a piedi», l’iniziativa di «Paese Sera» per la riscoperta della città, a bordo di una barca sul mare della Gaiola. I partecipanti alla passeggiata domenicale al sono praticamente inseriti nel flusso enorme di napoletani che da alcune domeniche ai riversano sempre più numerosi a
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mare e che in una certa misura interessa anche la Gaiola dove resistono gli ultimi metri di spiaggia libera del litorale di Posillipo. Al termine del viottolo gradonato che conduce dalla strada carrabile alla banchina ed alla spiaggia «Napoli a piedi» s’è completamente confusa con i bagnanti. L’invito del comitato collina-centro-mare, infatti, era quello di non dimenticare a casa il costume da bagno e molti lo hanno seguito. Alla spiaggia gli operatori di «Lineacontinua» sono arrivati in abiti simbolici ricavati da vecchi secchi, su cui a via Tito Lucrezio Caro avevano tracciato con vernice scritte sulla disoccupazione («scuoia, area di parcheggio e dequalificazione professionale», « fabbriche incapaci di assimilare nuova forza lavoro»). Alla Gaiola si sono spogliati dei sacchi, li hanno lavati a mare e il hanno messi ad asciugare al sole. A questo punto alcuni di loro sono saliti su una barca, si sono allontanati di alcune decine di metri dalla riva ed hanno quindi affidato ai palloncini II loro messaggio. (da «Paese Sera» di lunedì 12 giugno 1978)
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Agosto 1979 San Clemente (CE) LA BANDA SBANDA
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Dell’operazione “La banda sbanda” condotta dal Collettivo Lineacontinua nell’agosto del 1979 a San Clemente (frazione di Caserta) resta traccia solo in un volantino che accompagnava la rassegna foto-cine-video che annualmente l’Associazione Culturale Lineacontinua realizzava nella sua sede di via Colombo. Il filmato cui si fa riferimento è attualmente irreperibile. Scheda dei due film in Super 8 presentati dal Collettivo Lineacontinua T.d.L. La banda sbanda: di Raffaele Bova,Peppe Ferrare,Armando Napoletano e Antonello Tagliafierro; riprese di Giovanni Restino e Gianni Silenziario.Ha partecipato la Banda musicale di Marcianise. E’ il documento filmico di un intervento tenutosi nell’agosto ‘79 a S. Clemente di Caserta, ma, rielaborato in fase di missaggio e di sonorizzazione, il prodotto finito risulta essere oggi un vero e proprio film (non un filmato). Bova, Ferraro, Napoletano e Tagliafierro scelsero come sede elettiva per il loro intervento S. Clemente, in quanto i cittadini di tale frazione casertana vivono sulla loro pelle la speculazione industriale, intesa come espressione del massimo profitto privato a danno della collettività. Ed il danno che il cementificio in questione provoca (questo cementificio che giorno dopo giorno inesorabilmente “mangia” a pezzo a pezzo la montagna che sovrasta S. Clemente) sta nella polvere che gli abitanti devono respirare, e la silicosi diventa così d’obbligo. Proprio per evidenziare il dramma di questa frazione, localizzata a pochi passi da Caserta, è stato fatto l’intervento, che ha coinvolto il pubblico locale, grazie anche alla banda (che poi, appunto, ha sbandato, ha avuto una deviazione rispetto ai suoi compiti di routine, proponendosi come strumento di invito alla partecipazione), dietro alla quale procedevano i quattro operatori, recanti il proprio “segno”, seguiti da numerosi bambini e adulti, ai quali erano stati distribuiti i giocattoli sonori tipici delle feste popolari. Enzo Battarra
Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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AZIONI SIMBOLICHE O IDEOLOGICHE
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12 giugno 1977 Casarsa della Delizia (PN) Intervento Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino, Silvio Napoletano, Enzo Navarra, Giuseppe Onesti L’idea di un happening per ricordare Pier Paolo Pasolini derivò sicuramente dalla convergenza di molti elementi diversi e particolari. Innanzitutto, il fatto di essere così vicini ai luoghi pasoliniani era senz’altro uno stimolo prima difficilmente ignorabile; in secondo luogo, una presenza neppure tanto lunga sul posto mi aveva fatto conoscere i luoghi più significativi della “strana vicenda” di Pasolini in Friuli, comprese le diatribe politiche a colpi di manifesti manoscritti affissi sotto la loggia di san Giovanni; inoltre, l’aver conosciuto Bepi Susanna che di Pasolini era stato compagno di Partito e sodale, in quei tempi che si sarebbero rivelati non belli per il Poeta; più ancora, il fatto che Susanna mi avesse fatto fotocopiare gli originali dei manifesti; inoltre, la vicinanza del Cimitero dove P.P.P. era sepolto; e, ancora, il feeling che legava a Pasolini il lavoro di Onesti, che aveva realizzato alcune opere per ricordarlo. Fu quasi inevitabile, per certi aspetti, decidere di realizzare un intervento di puro valore letterario, solo per richiamare alcuni motivi centrali al pensiero del grande Poeta e riproporli in chiave di visualità contemporanea. Nacque allora il “palazzo” coi simboli del potere opportunamente sostituiti con quelli che connotavano gli operatori del Collettivo; e il suo utopistico abbattimento, alla fine, con strumenti allusivi alla lotta di classe. Si trattò di un gesto puramente simbolico, ma che conteneva implicite le valenze culturali ed estetiche del Collettivo. CASARSA DELLA DELIZIA 12/6/77 Azione del COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO (Caserta) II Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro (Caserta) - aggregazione di operatori estetici nel sociale - propone, con la sua azione a Casarsa della Delizia, un momento di definizione culturale della sua linea poetico-politica con un omaggio a Pier Paolo Pasolini, che un’azione marcatamente incisiva e anticipatrice delle linee su cui si muove il Collettivo realizzò nella sua permanenza friulana (1943/1949) L’azione parte dalla costruzione di una struttura che si richiama al “palazzo” nel quale Pasolini indicava la
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sintesi del potere padronale (sociale, politico ed economico): una gabbia di legno rivestita di tela viene costruita nella piazza di San Giovanni, davanti alla Loggia. Essa reca i simboli del potere sulle varie facce: il certificato (simbolo del potere burocratico), la moneta (simbolo del potere economico), la finestra (simbolo del potere politico) la bottiglia di vino e lo spaventapasseri (denuncia della distruzione dell’agricoltura) l’uovo (ipotesi di recupero delle realtà originarie). Con una falce ed un martello il palazzo viene distrutto ed abbattuto: sulle sue rovine vengono incrociati la falce ed il martello, come ipotesi di conquista del potere da parte della classe operaia contro le strutture borghesi; dalle rovine vengono estratti la fotocopia di un manifesto di quelli che Pasolini attaccava alla Loggia nel 19491; ed un manifesto del Collettivo per testimoniare la continuità dell’impegno di lotta nella battaglia politica del proletariato contro il potere padronale, di cui il Collettivo si fa con le sue azioni erede e continuatore. IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO (Caserta)
31 agosto 1977 Caserta (Festa de “L’Unità) Intervento sull’Apartheid Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino, Aldo Ribattezzato Le Feste de “L’Unità” sono state per anni il centro focale dell’attività di artisti che, nelle forme più diverse, si riferivano comunque dalla “socialità dell’arte” perché comunque, in quelle occasioni, era possibile intervenire con forza e con chiarezza sui problemi reali del Paese attraverso il segno o il gesto estetico. A Caserta, la tradizione degli “interventi nel sociale” aveva fatto presa sin dalla fine degli anni Sessanta (complice anche la “Proposta 66 Terra di Lavoro”) ed aveva ogni anno visto schierati gli autori più interessanti e significativi del territorio. Anche quelli che costituirono il “Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro” si erano proposti spesso, con gesti individuali, in questa sorta di “Kermesse dell’Arte” che sollecitava molte attenzioni. Quando, nel 1977 - all’apice quindi dell’attività collegiale - i singoli artisti ricevettero l’invito - fatto pervenire ai singoli operatori dalla Federazione del P.C.I. di Caserta - ad intervenire sul tema dell’”Apartheid” che era stato proclamato per quell’anno centrale alle iniziative, ci fu una delle riunioni che sempre precedevano gli interventi; e fu deciso di richiamare l’attenzione non solo sulla tematica internazionale (di cui si vedeva comunque la portata mondiale e l’interesse urgente) ma di sollecitare anche l’interesse su una forma di ”Apartheid” in qualche modo più “nostrano” ma comunque non meno importante ed urgente.
La soluzione fu la preparazione di tre pannelli simili che, su un fondo a tinta
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unita (il bianco, il rosso e il verde accostati a formare il tricolore) recavano in nero il profilo del Sud Africa e, a mo’ di appendice, tre regioni dell’Italia meridionale (Calabria, Campania e Basilicata, una per pannello) con un documento ripetuto su ciascuno di essi: I regimi fascisti di Vorster e di lan Smith - ultimi epigoni di un colonialismo antistorico, barbaro e contrario a tutte le norme del vivere civile - devono essere sconfitti e abbattuti dalla lotta delle forze democratiche della maggioranza negra. E a questa lotta devono dare il loro contributo - ideale, culturale e politico - tutti i democratici del mondo. Gli operatori campani - forti di una tradizione di sensibilità democratica che ha antiche radici - non restano inerti di fronte all’impegno di partecipazione che ad essi viene richiesto. Il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro - aggregazione di operatori estetici nel sociale e per questo perennemente attenti alle emergenze della realtà, organicamente legati alle lotte non solo di una classe (quella subalterna degli sfruttati di tutto il mondo) ma anche e soprattutto a quelle di una realtà nazionale, meridionale e regionale - nel mentre concretamente testimonia la sua partecipazione alla lotta politica per una realtà emergente a livello internazionale qual è quella della maggioranza negra del Sud-Africa, non può dimenticare la necessità di una forte spinta ideale e culturale che sottolinei l’emergenza di altre lotte - anch’esse aspre e quotidiane - che vanno ingaggiate e sostenute contro tutte le forme di repressione, di sfruttamento e di apartheid che creano un legame stretto e non trascurabile tra la maggioranza negra oppressa nel sud-Africa e la maggioranza « negra » oppressa dal sistema capitalistico nel nostro paese, nel meridione di esso e nella nostra regione (braccianti agricoli, operai, disoccupati, studenti, donne). E, mentre aderisce all’iniziativa, « Libertà del Sud Africa » sollecita le forze politiche e culturali ad un impegno più continuo, marcato ed incisivo, di dibattito, di partecipazione e di lotta, per la ripresa economica, per l’occupazione, per la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.
Di questo documento, purtroppo, non resta nessun originale, ma i suoi contenuti sono riportati nel volume “la logica e’ legale? la legge e’ logica?” a cui si è già fatto cenno: da lì è stato possibile recuperarne i contenuti. I tre pannelli erano rivestiti di carta da imballaggio con chiusure, sigilli e la scritta “Apartheid”: il quarto pannello recava invece, in una sorta di macabro teatro con i simboli dell’oppressione razzista, il documento unificante. Il rivestimento venne strappato - per la verità con gesti forse esasperatamente teatrali, quasi per dare maggiore forza al messaggio - al momento dell’inaugurazione; ma la pregnanza di significati e il taglio politico proposto dal Collettivo incontrarono
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il riconoscimento e la convergenza anche dei responsabili organizzatori, al punto che nella relazione introduttiva alla manifestazione per il Sud Africa l’impegno alla lotta, non solo sul terreno internazionalista e di classe ma anche su quello nazionale e meridionalistico, veniva ribadito dal segretario della Federazione con toni e termini assai vicini a quelli del documento del Collettivo. Anche i quattro pannelli dell’”Apartheid” sono andati purtroppo dispersi (e forse perduti) come è stato di quasi tutto il materiale prodotto, anche a livello individuale e con l’intenzione di realizzare opere valide di per sé, anche fuori delle finalità collettive per cui erano state preparate.
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Dicembre 1979 Aversa (CE) Monumento all’operaio calzaturiero
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POLITTICO - POLITICO 1979 Aversa (CE) Anno del Bambino
Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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INTERVENTI NELLA SCUOLA
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11 gennaio 1977 San Leucio (CE) Istituto d’Arte azione con gli studenti Raffaele Bova, Livio Marino, Aldo Ribattezzato Considerato che quasi tutti i componenti del Collettivo svolgevano anche attività didattica, fu inevitabile che ai problemi della Scuola si dedicasse ampio spazio e continuo interesse, cercando tutti i modi e le forme per essere sensibilmente presente nei fermenti che l’agitavano; intervenendo direttamente in alcune specifiche occasioni con azioni di denuncia, essendo impossibile - in questo campo - avanzare una proposta alternativa politicamente valida e realizzabile; operando all’interno di essa verso un’impostazione della didattica più correttamente correlata alle realtà sociali e partecipando direttamente alle battaglie per la realizzazione delle strutture democratiche. Una prima presenza espressa dal Collettivo fu quella realizzata l’11 gennaio 1977 nell’Istituto Statale d’Arte di San Leucio di Caserta (sede di insegnamento di Aldo Ribattezzato) con azioni di Bova, Marino e Ribattezzato, che invitarono gli studenti ad un uso alternativo degli strumenti di apprendimento e di lavoro, prendendo di mira alcuni aspetti fondamentali della disinformazione che si realizzava in genere nelle scuole. Riferendosi alla specificità dell’insegnamento dell’arte tessile, furono usati i materiali didattici - fibre e lane - per tentare una sorta di « ricucitura » dell’Italia, usando come telaio una struttura imitante le monete di uso corrente (Bova); la ragnatela della burocrazia elefantiaca fu visivamente materializzata con fili tesi attraverso l’aula, ai quali furono appesi timbri fittizi di ogni forma, dimensione e colore (Marino); la sovrapposizione della cultura di potere a quella materna fu denunciata con la sovrapposizione di finestre-potere ad ogni angolo e ad ogni lavoro (Ribattezzato). La sbrigliata fantasia creativa degli studenti provvedeva ad arricchire e ad articolare diversamente il discorso, con una fitta ragnatela tessile che abbracciava tutti gli elementi, con la “sacralizzazione” di individui per “investitura burocratica”, con la polemica politica attraverso l’impiccagione di personaggi del potere ai fili della tessitura, alle finestre, ai timbri, alle monete, ecc.
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4 febbraio 1977 Aversa - Manifesto per la scuola Raffaele Bova, Pietro Gallo, Livio Marino, Aldo Ribattezzato Dalla convinzione - direttamente vissuta e realizzata - di una crisi strutturale della scuola che solo i giochetti burocratici del potere tentavano di scaricare sugli studenti, nasceva anche il manifesto prodotto il 4 febbraio, che, su un foglio imitante la carta bollata e recante i simboli dei singoli operatori (la lira, per Bova; il timbro, per Marino; la finestra, per Ribattezzato; la sagoma umana, per Gallo) conteneva l’espressione della solidarietà del Collettivo al Movimento Studentesco nel momento in cui, ad Aversa, due studenti erano stati fermati per aver animato lo sciopero di protesta dell’I.T.C. contro lo sfratto subito da un vecchio convento adattato a scuola (dopo lunghe e penose peregrinazioni in varie sedi d’emergenza) in seguito all’accertata inagibilità dei locali vecchi e mal tenuti. Pronunciandosi a favore del Movimento contro i tentativi di repressione, per la soluzione dei problemi dell’edilizia scolastica e per il rinnovamento dei contenuti didattici, il Collettivo avviò un intenso rapporto con i Collettivi studenteschi (che si occuparono di affiggere il documento, riprodotto in fotocopie, per tutta la città) e in particolare con quello del locale Liceo Artistico Statale, sede di insegnamento di tre componenti del Collettivo.
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2 maggio 1977 Aversa - Liceo Artistico Foto di gruppo Raffaele Bova, Pietro Gallo, Haebel, Livio Marino, Aldo Ribattezzato
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II 2 maggio 1977 al Liceo Artistico Statale di Aversa si effettuò un primo tentativo di operazione con interventi di Bova, Ferraro, Haebel, Marino L., Ribattezzato. L’azione era stata programmata all’interno dell’Istituto; e in tal senso era stato presentato al Direttore del Liceo un progetto di intervento del Collettivo: Il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro è un’aggregazione di operatori culturali che agisce sulla realtà specifica del territorio allo scopo di sollecitare, con interventi, il dibattito e l’interesse cui turale intorno ai problemi più urgenti e peculiari delle situazioni proprie di ciascun aspetto della società. Nei confronti dell’istituzione scolastica, il Collettivo si propone di aprire un discorso diretto con gli studenti e con il personale della Scuola - docente e non - che mira a denunciare la crisi di contenuti e di struttura che la Scuola attualmente vive per difficoltà oggettive (carenze strutturali, mancanza di linee programmatiche ecc.) e per colpe soggettive (fuga dalle responsabilità, rinuncia al ruolo di produttori di cultura ecc.) e la condizione di aberrante oppressione in cui i giovani sono costretti nella struttura scolastica stantia ripetitrice di schemi superati ed anacronistici, slegata dalla realtà concreta. A questo scopo, gli operatori del Collettivo propongono un intervento diretto nella realtà del Liceo Artistico di Aversa - scelto non a caso ma privilegiato appunto come luogo ideale di incontro e di scontro delle problematiche di un nuovo segno estetico con quelle sociali proprie di tutte le altre scuole - che abbia come protagonisti studenti e docenti ed abbia la seguente articolazione: 1) Certificato di disoccupazione intellettuale (Marino L.) Gli alunni di una classe vengono bollati con un timbro fittizio e con un altro recante la scritta: «Probabile disoccupato intellettuale » per denunciare la difficoltà di inserimento del giovane, dopo il conseguimento del diploma, in un’attività produttiva qualificante ed adeguata. 2) Incoronazione (Bova) Ciascuno studente, così bollato, viene «incoronato» con un’aureola recante la scritta «Repubblica Italiana» - recuperata dalle monete di uso corrente - per denunciare la natura della crisi stessa, che non è né occasionale né limitata, ma istituzionalizzata ormai a livello nazionale. 3) Vestizione (Ribattezzato)
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66 Gli stessi studenti saranno ricoperti da una tunica recante il segno della finestra del palazzo reale di Caserta, per simboleggiare il senso di oppressione del potere storico e contemporaneo sulla realtà individuale di ciascuno, fino allo stravolgimento totale della matrice prima della cultura individuale. 4) Imposizione dell’angelo del Potere (Haebel) Ciascuno studente così bardato sarà posto in «posa» sotto un grande angelo con quattro mani, nelle quali reca: uno scettro, simbolo del potere; una spada, a testimonianza del rapporto di terrorismo psicologico ancora vigente in alcune strutture scolastiche; una bilancia, denuncia di una forma di «giustizia» scolastica ancora basata sulla meritocrazia e non sulle reali possibilità di formazione individuale; un libro, testimonianza di una. cultura stereotipata, stanzia e largamente superata nei contenuti. 5) Proiezione (Gallo) Il profilo degli studenti così vestiti sarà segnato su una parete, quasi a significare il progressivo annullamento di qualunque realtà, concreta dell’individuo nella pastoia degli schemi denunciati dagli altri intervenenti; la segnatura dei profili sarà fatta sui manifesti che coprono i muri dell’istituto, per indicare la sopravvivenza di una possibilità di recupero di una dimensione alternativa. Ad ultimare l’operazione sarà Vincenzo Navarra, col suo grosso uovo portamessaggi, da spedire. Dell’intera operazione saranno effettuate riprese filmate e fotografiche; dei commenti, dei dibattiti e delle interviste che saranno realizzate nel corso dell’operazione si effettuerà registrazione sonora. Aversa, li 2-5 77. Il Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro
Dopo un lungo temporeggiamento, il Direttore rifiutò di prendere in esame la richiesta; di qui, la decisione di tenere l’azione davanti al portone dell’Istituto, all’ora di uscita degli studenti. Quivi fu collocato un angelo di grandi dimensioni come annunciato. Davanti all’angelo furono “messi in posa” alcuni alunni, acconciati come era stato indicato; il volto di ciascuno degli alunni fu poi segnato con la rigatura dei fogli da bollo; in fronte furono segnati con un timbro fittizio; e sulla guancia con un altro timbro recante la scritta “probabile disoccupato intellettuale”; anche gli operatoridocenti dell’Istituto furono bollati, ma con la scritta “Esente da bollo”. Dopo la “vestizione”, a tutti i presenti sono stati distribuiti foglietti a forma di uovo con l’invito a scrivere qualunque commento.
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10 maggio 1977 Salerno - Università Incontro con gli studenti Raffaele Bova, Haebel, Livio Marino, Silvio Napoletano. Fallito il tentativo di “intervento istituzionale” ad Aversa, l’operazione si svolse però martedì 10 maggio 1977 in un’aula dell’Istituto di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere dell’Università di Salerno, dove la possibilità di intervento fu offerta dalla responsabilità e dalla presenza di Enrico Crispolti, docente di Storia dell’Arte e animatore di incontri tra i gruppi di base di operatori campani con gli studenti della facoltà stessa. All’azione parteciparono Bova, Haebel, Marino L. e Silvio Napoletano. Nel corridoio dell’Istituto fu disposto l’angelo; agli studenti richiamati dal fatto furono distribuite “patenti di guida sull’autostrada della disoccupazione intellettuale” realizzate a perfetta imitazione di quelle di guida automobilistica con la variante del timbro, che era quello del collettivo; della foto, che era costituita da un ritaglio di stagnola tale da consentire a chiunque di specchiarsi e di riconoscersi; della normativa, che si riduceva ad un solo articolo minacciante la sottoccupazione ai trasgressori; e l’ironica firma del “perfetto”, anziché del prefetto. Alcuni studenti accettarono di farsi “bollare” come era avvenuto ad Aversa: solo, la scritta stavolta era “Disoccupato intellettuale”. L’azione richiamò un numero nutrito di studenti che furono riuniti in un’aula, dove l’angelo fu posto sulla cattedra, un operatore fu «vestito» come ad Aversa ed un altro presentò prima il senso dell’intervento e le sue motivazioni poetico-politiche e sollecitò poi il dibattito con gli studenti universitari sulla duplice forma di condizionamento che, nello specifico della facoltà, i giovani subivano, da un lato come studenti ancora soggetti alle leggi ricattatorie dell’Università; dall’altro, come futuri docenti destinati ad essere prima emarginati tra i disoccupati intellettuali e poi, nella migliore delle ipotesi, fagocitati da un sistema burocratizzato e burocratizzante,
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trasmettitori inerti di una conoscenza stantia ed acritica. Il dibattito fu vivace, soprattutto per la particolare condizione di privilegio che veniva realizzata, in quella sede, dal metodo alternativo di insegnamento di Crispolti, testimoniato appunto dallo stesso intervento; e per la matura coscienza di alcuni studenti, aperti ai problemi sulla didattica e sulla funzione sociale della scuola. Emblematicamente, negli interventi sulla Scuola, furono privilegiati due tipi di Strutture: un Istituto d’Arte ed un Liceo Artistico, scelti per la specificità dell’insegnamento impartitovi che ne fa la sede più idonea per una proposta estetica; e una aula di una facoltà di Lettere dell’Università, centro focale di una duplice funzione, quella cioè dell’apprendimento di una poetica ancora legata a schemi classici e superati; e, al tempo stesso, quello della formazione di una nuova classe docente.
27 giugno 1977 S. Maria Le Grotte – CS intervento con la scuola Nella sua sede di servizio scolastico - l’Istituto Statale d’Arte di Luzzi (CS) - Peppe Ferraro stava orientando l’azione didattica con gli studenti dell’ultimo anno verso nuovi modi di operare ricavati direttamente dalle esperienze fatte nel Collettivo, con il preciso intento di coinvolgere, nell’interpretazione avanzata dall’attività estetica, anche la funzione docente e cercare, intorno alle azioni, il massimo coinvolgimento possibile anche degli altri docenti e discenti dell’Istituto. In particolare, l’interesse era stato rivolto alla situazione anomala di un paesetto dell’entroterra cosentino, S. Maria Le Grotte frazione di S. Martino di Finita, il cui parroco - docente anch’egli dell’Istituto di Luzzi - aveva dato vita, unitamente agli abitanti ed alle forze democratiche, ad una grossa battaglia a favore degli oltre cinquanta studenti medi del paese. Questi infatti - essendo il paese situa-
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to in posizione di difficile raggiungimento, all’interno dei monti dell’Aspromonte, ed a sei chilometri dalla sede della scuola media - erano costretti ad affrontare quotidianamente - anche in condizioni climatiche molto avverse - un lungo e difficile percorso (su un vecchio e traballante autobus o, spesso, anche a piedi) per raggiungere la scuola: la richiesta più volte avanzata, sia al Consiglio di Istituto che agli organi provinciali e regionali competenti, di una sede locale di scuola media, era stata puntualmente ignorata, con gravi conseguenze sull’evasione dall’obbligo scolastico, con la persistenza dei gravi disagi per gli alunni, a cui si aggiungeva anche la difficoltà derivante dalla diversa origine degli abitanti di S. Martino di Finita, in prevalenza italo-albanesi, che non agevolava certamente il rapporto didattico. Dopo vari ed inutili tentativi di dialogo con il Consiglio di Istituto - resi sterili anche dall’atteggiamento degli insegnanti che preferivano scaricare sugli alunni il disagio del raggiungimento di sede piuttosto che affrontarlo personalmente - si giunse a formali deliberazioni della locale amministrazione comunale, che reperì locali da destinare a scuola, emise le regolari delibere ed ottenne le necessarie autorizzazioni; ma, appellandosi fiscalmente alle norme vigenti, ancora il Consiglio di Istituto respinse la richiesta di una sede staccata, non solo, ma neanche prese in considerazione l’ipotesi, prevista dalla legge, di una sede succursale. La reazione della cittadinanza fu il ritiro in blocco - nei termini previsti dalla legge - degli alunni di S. Maria, e l’avvio di un corso privato di preparazione, organizzato dal parroco e realizzato da docenti volontari, con il contributo e l’impegno della cittadinanza, allo scopo di consentire agli alunni di affrontare gli esami, di idoneità o di licenza, in altre scuole vicine. Ma anche qui si incontrarono difficoltà, perché solo pochi presidi avevano dimostrato sensibilità e disponibilità, accettando le domande di esame: per altri, si erano dovuti fare sforzi enormi e ricorrere alle leggi. A questo punto, si era avuta una vivace reazione degli alunni “rifiutati” che, in una serie di disegni, avevano espresso la loro protesta e le loro denunce. La pregnanza di significati e di motivazioni della situazione era stata quindi dal parroco segnalata ai docenti dell’Istituto d’Arte di Luzzi e, su sollecitazione di Ferraro e del Collettivo, si giunse alla determinazione di dare alla protesta un senso, una forma ed una portata più ampi, sia attraverso la denuncia e la sensibilizzazione di massa, sia attraverso la riproposizione delle formule espressive grafiche, spontaneamente realizzate dagli alunni, in una dimensione più ampia ed eclatante. Fu quindi fatto distribuire in tutti i comuni limitrofi un volantino a cura della cittadinanza tutta:
70 Intervento sociale per un impegno comune a Santa Maria Le Grotte per l’istituzione di una sezione staccata di scuola media E’ in atto nella frazione S. Maria Le Grotte di S. Martino di Finita l’esecuzione di un « murales », espressione di impegno sociale collettivo, diretto da un gruppo composto da professori e alunni dell’Istituto Statale d’Arte di Luzzi, in collaborazione con tutti gli abitanti della Frazione, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul grave problema della carente istruzione obbligatoria dei ragazzi del luogo. Si annuncia un pubblico dibattito per Giovedì 2 Giugno p.v. alle ore 18.30 nei locali parrocchiali sul tema: «Istituzione sezione staccata di scuola media a S. Maria Le Grotte».
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Inoltre, un lungo comunicato alla stampa locale denunciava la situazione in ogni suo aspetto e in tutta la sua gravita. GRAVE SITUAZIQNE LA SCOLASTICA NELLA FRAZIONE S. MARIA LE GROTTE DI S. MARTINO DI FINITA Delicata e particolare la battaglia ingaggiata e sostenuta dagli abitanti di S. Maria Le Grotte, Frazione di S. Martino di Finita, in provincia di Cosenza, orientati e sostenuti dal Parroco del paese Ermanno Raimondo. Tema del dibattito polemico, che contrappone gli abitanti della frazione al Consiglio di Istituto della Scuola Media di S. Martino di Finita e,indirettamente, alle autorità scolastiche provinciali e regionali, è la richiesta a suo tempo avanzata, dai cittadini, di una sede locale di Scuola Media, per evitare agli oltre cinquanta ragazzi frequentanti la Scuola dell’obbligo e residenti nella Frazione S. Maria Le Grotte, il disagio di un lungo e difficile viaggio quotidiano per raggiungere la sede della scuola nel paese di S. Martino di Finita, distante sei chilometri dalla Frazione. Da anni le difficoltà del collegamento, il disagio che ne derivava ai ragazzi e alle famiglie, il conseguente diffondersi dell’evasione dall’obbligo scolastico e, marginalmente, anche la difficile relazione tra i ragazzi santamariani e quelli di S. Martino - prevalentemente di origine albanese - erano stati segnalati al Preside della Scuola e al Consiglio dì Istituto, finché quest’anno si è giunti alla formale richiesta al Consiglio di Istituto di una sede staccata della Scuola, da sistemare nella frazione S. Maria Le Grotte, in locali preventivamente scelti e per i quali l’Amministrazione Comunale aveva adottato regolari delibere, ottenendo anche le necessarie autorizzazioni delle competenti autorità scolastiche sanitarie. Ma il Consiglio di Istituto aveva respinto la richiesta trincerandosi dietro la motivazione formale della incompatibilità della richiesta con la normativa vigente che non consente la istituzione di sede staccala in frazione o Comune vicino alla sede principale al di qua di una certo numero di chilometri. Non aveva però il Consiglio di Istituto neppure preso in considerazione la possibilità di una soluzione alternativa, vale .a dire quella della succursale consentita dalla legge e deliberabile dal Consiglio stesso: colpa forse della componente insegnanti, che avrebbe visto la necessità, per alcuni, di spostarsi dalla sede .principale alla succursale, con un personale disagio, considerato evidentemente insopportabile ai docenti, mentre era imposto agli alunni. La protesta dei cittadini si è materializzata nel ritiro in blocco dei ragazzi dalla Scuo-
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71 la, nei termini prescritti dalla legge, per provvedere privatamente alla preparazione, di cui si sono fatti carico lo stesso parroco ed alcuni volenterosi docenti, per consentire ai ragazzi di affrontare gli esami, di idoneità o di licenza, in altre scuole vicine. Anche qui, però, si sono incontrate difficoltà, perché solo pochi presidi si sono dimostrati sensibili e disponibili, mentre per altri è stato necessario ricorrere alle preghiere prolungate e alle norme vigenti. Intanto l’azione si é spostata dal piano della polemica municipale a quello più ampio della situazione culturale, quando gli alunni “rifiutati” hanno deciso di esprimere la loro protesta in disegni realizzati a scuola. Per intervento, infatti, di alcuni docenti e alunni dell’Istituto Statale d’Arte di Luzzi, le indicazioni iconografiche dei ragazzi di S. Maria Le Grotte sono state trasportate su un ampio murale, realizzato all’esterno della canonica, per coinvolgere più direttamente la popolazione e le forze sociali e culturali; intanto, una nuova richiesta circostanziata è stata inviata al Consiglio di Istituto e resa di dominio pubblico, per ottenere la sezione staccata di scuola media. L’ avvenimento, come è evidente, coinvolge situazioni, E persone e strutture a, tutti .i livelli, toccando sia il campo dell’educazione che quello della funzione sociale e culturale (non meramente burocratico) dei consigli eletti come organi collegiali della scuola, sia quello della fuga dalla Scuola dell’obbligo. Ed è auspicabile che l’azione dei cittadini di S. Maria Le Grotte incontri la sensibilità e il favore delle forze democratiche e culturali del paese, perché la richiesta venga accolta e abbia finalmente termine una situazione anacronistica ed emarginativa. In questa situazione si sono mossi l’Istituto Statale d’Arte di Luzzi e il collettivo di operatori estetici Lineacontinua, in attesa che il problema divenga di dominio pubblico e, con l’interessamento delle forze sociali più democratiche avanzate, trovi presto una soluzione né utopistica né difficile, che solo un piccolissimo atto di volontà e di impegno può rendere in tempi rapidissimi concretamente operativa. Infine, per iniziativa del Collettivo e con il contributo degli insegnanti e degli studenti dell’Istituto d’Arte di Luzzi, fu realizzato sulla facciata della canonica un murale di circa venti metri che riproponeva in dimensioni proporzionali i disegni degli alunni, tra i quali spiccavano quello rappresentante un autobus stracarico di ragazzi appesi finanche alle ruote, e quello raffigurante un corteo con striscioni e scritte che reclamano la scuola. Mentre l’opera murale veniva realizzata, tutti i ragazzi del paese partecipavano all’azione, trasferendo le scritte e le immagini su tutte le superfici disponibili e finanche sull’asfalto del manto stradale.
Su un angolo del murale, infine, furono riassunti simbolicamente i « segni » del Collettivo (lira, timbro, spaventapasseri) a testimonianza dell’impegno e della partecipazione all’iniziativa.
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1 aprile 1978 Aversa - Liceo Artistico Pesce d’aprile L’impegno del Collettivo a lavorare nella direziona dell’interrelazione tra attività didattica ed operatività estetico-politica era diventato anche più marcato, al punto che gli operatori-docenti cercavano di ottenere il massimo coinvolgimento possibile degli aggregati-discenti, elaborando con loro in aula gli interventi, guidandoli nell’analisi del territorio e sollecitandoli all’azione estetica nel sociale. Parallelamente - nella convinzione della necessità di un impegno più totale ed incisivo nella scuola - gli operatori svolgevano la loro attività politico-sindacale anche all’interno delle strutture scolastiche, facendosi parte attiva delle esperienze e delle iniziative di democratica partecipazione alla gestione della vita scolastica, sia nei grandi momenti di battaglia politica e ideale (elezioni degli organi collegiali, ad esempio) sia nella quotidianità dell’impegno didattico. In occasione del 1° aprile, nel Liceo Artistico di Aversa era stata proposta un’altra animazione con gli studenti, con la realizzazione di grossi pesci, in plastica o in ferro, recanti scritte polemiche che presentavano come “pesce d’aprile” fatti come la “Questione Meridionale”, la “Riforma Sanitaria” ecc.; altri pesci ritagliati nella carta, facevano riferimento a tanti altri “pesci d’aprile” affissi dovunque. L’operazione era stata presentata nel volantino: OPERAZIONE PESCE D’APRILE AD AVERSA!! GLI STUDENTI DEL LICEO ARTISTICO DI AVERSA IN COLLABORAZIONE CON IL COLLETTIVO LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO, ED ALTRI DOCENTI DELLO ISTITUTO, HANNO PREPARATO, IN OCCASIONE DEL 1° APRILE, UN’OPERAZIONE DIDATTICA - ALLEGORICA - SOCIALE, CHE SI REALIZZA CON UN’ ANIMAZIONE GESTUALE A PARTIRE DALL’ISTITUTO E CHE PROSEGUIRÀ1 ANCHE FUORI DI ESSO. CON QUESTO TIPO DI ANIMAZIONE SI INTENDE SENSIBILIZZARE L’INTERA STRUTTURA SCOLASTICA E LA CITTADINANZA SU IPOTESI DI ISTRUZIONE ALTERNATIVA, CHE VUOLE ESSERE SEMPRE COLLEGATA ALLA NOSTRA REALTA’ E AI NOSTRI PROBLEMI,
73 c.i.p. AVERSA lì 1° Aprile 1978
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L’intento era di coinvolgere la città nell’operazione; ma agli alunni fu impedito di uscire dall’Istituto e la protesta fu espressa in un volantino di cui si è perso traccia: Ancora repressiva la Scuola ad Aversa Nel Liceo Artistico di Aversa era stata programmata (per suggerimento del Collettivo Lineacontinua-Terra di Lavoro, su iniziativa della maggior parte degli alunni e con l’adesione di molti docenti) una iniziativa didattico-allegorico-sociale da realizzare il 1° aprile per agganciarsi in maniera alternativa alla tradizione popolare della celebrazione, stimolando il senso di creatività degli alunni e cercando un rapporto concreto ed incisivo con la realtà sociale esterna, sulla linea di una corretta e moderna interpretazione della didattica artistica. La manifestazione è stata prima boicottata e poi impedita dall’atteggiamento apertamente reazionario in primo luogo del direttore dell’Istituto che ancora una volta ha dato prova della sua gretta chiusura in schemi superati, anacronistici e repressivi. Questo episodio dimostra chiaramente che non esiste - in alcune ben individuate forze - nessuna volontà di fare della didattica un momento di corretto rapporto con la realtà, di dare all’insegnamento contenuti vivi e partecipati: espone la scuola ad un ulteriore momento di pericolo, chiudendola a qualunque funzione sociale e cercando di riportare una funzione importante (come quella che si esprime in un Liceo d’Arte che dovrebbe stimolare la creatività e l’attività ludico-sociale) nei termini del burocratismo, del dogmatismo, della repressione, dei contenuti sterili e stantii. Contro questi tentativi si è levata la protesta degli alunni che hanno comunque dato vita all’iniziativa per la quale avevano a lungo e seriamente lavorato; e devono essere coinvolti il Consiglio di Istituto e le forze democratiche che in esso sono rappresentate ed espresse. 1° aprile 1978 II gruppo promotore
Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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LE MOSTRE
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13 - 21 Novembre 1976 Caserta Associazione Culturale Lineacontinua RICOGNIZIONE - VERIFICA ’76 Mattia Anziano, Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Pietro Gallo, Livio Marino, Aldo Ribattezzato, Lucia Romualdi, Giovanni Tariello, Paolo Ventriglia. Se la serata con Enrico Crispolti su “Impegno e decentramento” rappresentò, per molti versi, la presentazione ufficiale del progetto complessivo (Associazione Culturale, Galleria e Collettivo); la Mostra realizzata in galleria dal 13 al 21 novembre del 1976 rappresentò, invece, una sorta di “chiamata a raccolta” di tutti i protagonisti possibili e disponibili che, per di più, proposero immediatamente degli interventi che davano il segno di quella che intendeva essere la linea di sviluppo successivo. Nel depliant che illustrava la rassegna sono documentate, sinteticamente, le “azioni” che in galleria furono sviluppate e che, in definitiva, davano il segno esatto di quelle che sarebbero state le individuali chiavi di lettura della realtà: plutocrazia (funerale della lira, di Raffaele Bova); burocrazia (autocertificazione di morte, di Livio Marino); prevaricazione (la finestre della Reggia, di Aldo Ribattezzato). A questi si aggiunsero, per l’occasione, i fantasmi del passato (le figure evanescenti di Pierino Gallo), il mondo contadino (Giovanni Tariello) e gli interventi di Mattia Anziano, Lucia Romualdi e Paolo Ventriglia. Ma nella pubblicazione sono anche in qualche modo indicate queste linee di sviluppo che avrebbero segnato il percorso del collettivo: Il superamento degli spazi classici della fruizione estetica (gallerie, centri d’arte ecc.) del rapporto (del non-rapporto} tra operatori e fruitori, tra realtà estetica e realtà sociale sono, oggi, due tra i nodi centrali dell’attività degli operatori visivi; e il tema «Impegno e decentramento» definito come linea programmatica, a Caserta, dal «Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro», alla fine del ‘75, si proponeva come asse di sviluppo appunto questi rapporti, accanto ad altri
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78 più specifici, legati per ovvii motivi alla matrice sociale e culturale. A Castel Morrone (località Largisi) ed a Marcianise (cortile Zi’ Mea) le prime ipotesi di lavoro abbozzato (rapporto tra mondo agricolo originario con le sovrapposizioni borghesi storicamente stratificate o legate alle sovrastrutture burocratiche e consumistiche) trovarono una linea di svolgimento chiara, aperta e disponibile, sulla quale era ed è possibile una vasta articolazione di interventi senza preclusioni né limiti di espressione, di stile, di personalità, di spazio. In località Priscoli, a Mercato San Severino, l’impatto diretto ed immediato con il territorio, il coinvolgimento con le masse, la presenza dell’operatore e le sue relazioni con essi (territorio e masse) hanno registrato il tiro e assegnato le caratteristiche, in quel processo dì svolgimento che può essere il solo corretto per chi faccia oggi operazioni visive. L’occupazione del cuore di Gaeta (piazza Commestibili e piazzetta del Leone) con interventi autonomi, ma convergenti, che hanno impegnato tutti gli spazi utili, da quello tradizionale della galleria a quelli di più recente «scoperta» da parte degli operatori; con il coinvolgimento totale dei cittadini, con la verifica della realtà sociale locale con le sue realtà, i suoi interessi, i suoi problemi, le sue pulsioni - ha rappresentato il momento-culmine del processo di evoluzione da una fase di ricerca ad una articolazione compiuta e matura, che riassumesse, nel tempo di un’operazione e nello spazio di una realtà sociale, il ruolo nuovo e diverso dell’operatore estetico nella dimensione che oggi esso assume e svolge. La Ricognizione di Caserta non è che un banco di prova, una pietra di paragone, un riesame globale del processo di svolgimento e delle linee che da esso sono emerse. Ed è soprattutto un momento di verifica - in un ambiente fisicamente localizzato, ma strutturalmente predisposto, per sua natura, all’analisi, alla critica è, se necessario, all’autocritica - del lavoro svolto, per un ulteriore momento di svolgimento e di evoluzione di un’operazione che non è né statica né esaustiva, ma che dall’apertura, dalla disponibilità, dalla dialetticità delle riprove ricava la sua inesauribile capacità di farsi continuamente rinnovandosi e adeguandosi, la sua funzione di spinta, di incisività, di validità.
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Aprile 1979 Caserta Spazio praticabile mostra di documenti A Caserta, a “Lineacontinua”, non si era mai interrotta la tradizione delle ricognizioni periodiche dei gruppi di operatori nel sociale; nell’aprile ‘79 la manifestazione si chiamò “Spazio praticabile” e vide rappresentate molte esperienze, oltre ad interventi diretti. In particolare, fu anticipata l’iniziativa “La croce del Sud” che sarebbe stata centrale alla partecipazione a Firenze alla 2^ Rassegna dei Gruppi Autogestiti; ma fu documentata anche l’iniziativa con la Scuola denominata “Pesce d’aprile” e i singoli autori realizzarono performances estemporanee, tra cui quella dedicata alla canapa.
7 maggio 1977 Vicenza La Casa del Palladio - Mostra Come si è già accennato, il rapporto stabilitosi con Enzo Navarra ed Enzo Perna (campani trapiantati a Pordenone) ebbe un impatto quasi decisivo con il lavoro del Collettivo, soprattutto per gli spazi di collaborazione che aprì tra la realtà casertana e quell’area geografica così lontana. Una delle prime e più importanti conseguenze fu la definizione di un rapporto di scambio di esperienze espositive tra il Collettivo e un gruppo di artisti che si riuniva, a Vicenza, intorno ad una Associazione denominata “Casa del Palladio” (dalla sede in cui era ospitata). Il gruppo di artisti vicentini fu ospitato a Caserta, nella sede di “Lineacontinua” ed incontrò una buona possibilità di dibattito e di scambio con gli artisti casertani (peraltro avvezzi a questo tipo di esperienze) che alla fine lasciò segni non superficiali. In cambio, dal 7 maggio 1976, a Vicenza, un’ampia documentazione delle attività svolte nel ‘76 e degli interventi realizzati a Capocasale e a S. Leucio - con l’inserimento di alcuni documenti dell’operazione condotta da Navarra a Cordenons e di un manifesto di G. Marino - fu esposta nella sala della “Casa del Palladio”, con la proiezione di una serie di diapositive largamente commentate nel dibattito tenutosi
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con gli estimatori che frequentavano lo spazio e con un gruppo di operatori facente capo alla stessa galleria. La vicenda non ebbe comunque seguito, in parte per quella forma di distrazione (o di disinteresse) che già si è detto essere stata una caratteristica connotativa del Collettivo; in parte perché la grande distanza e l’incalzare delle vicende successive impedì di dare risalto all’incontro.
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11 giugno 1977 Galleria “La Roggia” Pordenone - mostra La mostra di documenti che, da Vicenza, passò subito dopo a Pordenone fu, in certo senso, la radice di tutti gli interventi che il Collettivo in quegli anni realizzò nel Nord Est d’Italia. L’ipotesi iniziale era solo di un intervento nel territorio, sull’onda del successo dell’iniziativa di Navarra a Cordenons. Ma in breve si trasformò in un progetto molto più vasto che impegnò mostre a Pordenone, Udine e Trieste, oltre agli interventi a Pordenone, a Casarsa e a Muggia. La fase preparatoria coincise con l’allestimento della mostra di Vicenza: in quella occasione si stabilirono i contatti con la Cooplibri, le Acli e le altre Associazioni che avrebbero collaborato all’intervento a Borgo Casoni; ma soprattutto si studiò la conformazione della galleria che per struttura e collocazione richiedeva una particolare elaborazione. L’allestimento comunque risultò particolarmente felice e, soprattutto, provocatorio - in un territorio che vantava solo artisti di impostazione assai classica - ed alla fine il dibattito che si accese fu piuttosto vivace ed andò ben oltre la serata inaugurale, prolungandosi negli interventi che furono realizzati nel territorio e le polemiche giornalistiche che, anche molto tempo dopo, agitarono alcuni operatori locali.
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3 luglio 1977 Montefiore Conca partecipazione alla rassegna La diffusa attenzione che si andava determinando intorno al progetto di “Decentramento Culturale” spinse molte organizzazioni giovanili a muoversi in quella direzione, organizzando e allestendo varie manifestazioni - spesso interdisciplinari e multimediali - per creare interesse intorno alle attività culturali e spesso - perché no - per sollecitare anche un certo interesse turistico per certe realtà meno note o più marginali del territorio. In questa direzione, la presenza più stimolante del Collettivo fu quella realizzata a Montefiore Conca (Forlì) nell’ambito della manifestazione “Montefiore ‘77” che la locale amministrazione comunale realizzò dal 15 luglio al 15 ottobre come momento di incontro, di dibattito e di scambio di esperienze tra innumerevoli operatori di tutto il paese e di tutte le espressioni più avanzate delle arti visive. Le sale della Rocca malatestiana, che domina il paese e tutta la valle da San Marino al mare, erano state predisposte per ospitare operatori e gruppi: una di esse era stata riservata al Collettivo che, nell’occasione, aveva aggregato il gruppo “Donne/ Immagine /Creatività”. Attraverso una lunga serie di reperti fotografici e di oggetti recuperati dai vari interventi, furono presentate tutte le operazioni condotte fino a quel momento, sia dal nucleo del Collettivo (Bova, Ferraro, Gallo, Marino L., Napoletano, Ribattezzato) sia dai vari aggregati (Haebel, Marino G., Navarra) riassumendo il senso ed il modo dell’attività poetico-politica. Ma il momento di maggiore pregnanza ed incidenza risultò quello del dibattito che coinvolse gran parte degli operatori invitati. L’incontro dei primi di luglio e l’allestimento delle sale espositive era - nelle intenzioni di alcuni gruppi come il Collettivo - la premessa per interventi diretti nel territorio con il contributo delle Associazioni e dell’amministrazione del posto. In realtà, la manifestazione era state prevista e si svolse semplicemente come momento espositivo, dal quale i protagonisti alla fine risultavano escluso e a cui si accedeva previo pagamento di un biglietto d’ingresso. Molto polemicamente (forse troppo, alla luce del presente), il Collettivo elaborò un documento di protesta - letto da una radio locale - per chiedere almeno la libertà e la gratuità di accesso nonché l’impegno a realizzare interventi dal vivo. Non se ne fece niente e alla fine, “Montefiore ‘77” rimase una delle tante belle e dimenticate mostre d’Arte in estate.
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Udine Galleria “Plurima” - mostra - 17 - 24 settembre 1977 Udine Galleria “Plurima” - mostra - 2 febbraio 1978 Ad onor del vero, non è facile spiegarsi come e perché una galleria di tendenza dichiarata e convinta come “Plurima” di Udine (una provincia per sua stessa natura poco permeabile alle novità) accettasse di ospitare - a brevissima distanza di tempo - ben due mostre di un gruppo dell’impostazione del Collettivo. Avrà probabilmente giocato la non estraneità di Valentino Turchetto (proprietario e direttore) ai fenomeni dell’arte contemporanea in Italia (Crispolti e la sua “socialità dell’arte” dominavano nella Biennale del ‘76); sarà stata l’insistenza quasi fastidiosa con cui Navarra chiedeva almeno un piccolo spazio per questa esperienza. Non è facile intuire i motivi; sta di fatto che la mostra fu in tempi rapidissimi decisa, trasportata e allestita nell’indifferenza generale. La “Plurima” si occupava prevalentemente (se non unicamente) di arte geometrica e programmatica; e proponeva gli autori più importanti del momento. Non è strano, quindi, che la mostra di foto ed oggetti del collettivo incontrasse molta resistenza e fosse quindi praticamente deserta dal pubblico. Il secondo tentativo effettuato a Udine, ancora alla galleria “Plurima” ebbe un risultato meno disastroso del primo, anche perché certi eventi regionali e certi protagonisti emersi favorivano la ricezione della mostra da parte del pubblico, soprattutto degli “addetti ai lavori”. Rimase comunque un episodio sterile e, dal punto di vista dell’”arte sociale” non è stato possibile creare in quella provincia un nucleo operativo valido. Pure, in qualche modo, lo scossone ci fu: e da quel momento il metro di giudizio sull’arte cambiò anche a Udine.
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26 settembre 1977 Trieste Galleria “Tommaseo” mostra Di gran lunga diversa era la situazione a Trieste, quando si organizzò la stesa mostra presentata a Vicenza, Pordenone ed Udine. Innanzitutto, la data scelta cadeva a ridosso immediato del Convegno che si era tenuto a Muggia dopo gli interventi nel territorio; in secondo luogo, “stazionava” intorno alla Galleria “Tommaseo” un nutrito gruppo di operatori culturali, che si era formato all’Accademia di Napoli con la denominazione di “Ambulanti” e si era trasferito a Trieste - di dove molti erano originari - e stavano facendo i primi passi con un’esperienza che avrebbe avuto in seguito un enorme successo; in terzo luogo, il vicino Istituto d’Arte era diretto a quel tempo da un artista di origini campane, Remo Stasi, che stava dando vita ad un interessante esperimento didattico in collaborazione con un’insegnante, Maria Campitelli, che sarebbe diventata presto una protagonista nel mondo della critica contemporanea. Questi presupposti fecero sì che la mostra fosse vissuta con grande interesse; e forse fu anche un elemento ulteriore per sostenere l’impegno di quelli che si stavano dando da fare per svecchiare l’ambiente delle arti visive a Trieste e in Friuli.
22 marzo - 5 aprile 1978 Napoli Mostra operatori arti visive Tra gli effetti che la nuova temperie culturale produsse il quegli anni, ci fu senza dubbio anche l’esperimento di far nascere un Sindacato degli artisti all’interno della CGIL. Il tentativo sarebbe risultato fallimentare (anzi forse addirittura improponibile) non esistendo una vera categoria di “lavoratori dell’arte” ed essendo invece gli artisti, per la stragrande maggioranza, già impegnati in altre attività e quindi inquadrati sindacalmente con esse. Sta di fatto che si tenne persino un convegno nazionale della Federazione Nazionale Lavoratori delle Arti Visive (FNLAV-CGIL) e che un po’ dovunque si cercò di organizzare delle strutture provinciali o locali. In occasione del ventennale della morte
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di Giuseppe Di Vittorio, la sezione napoletana del Sindacato - d’intesa con l’Arci - organizzò una rassegna sperimentale sul tema delle Lotte del Sud nel linguaggio dell’arte. Il Collettivo partecipò con un suo interevento sul territorio di Miano e, con documenti ed opere, alla mostra che si tenne a Napoli. Ma l’esperimento - come si è detto - non fruttò i risultati sperati e non ebbe quindi seguito alcuno.
28 Maggio 1980 - NAPOLI LIBRERIA INTERNAZIONALE MINERVA ARTE, CITTA’ NAPOLI/80 NAPOLICITTA’ARTE,80 Una rassegna di artisti campani realizzata a Napoli, nel maggio 1980, presso la Libreria “Minerva” interessa solo marginalmente l’attività del Collettivo, nel quale ormai erano chiari i segnali di sfaldamento; va comunque osservato che alcuni degli operatori, sia del nucleo fondamentale che aggregati, parteciparono alla manifestazione.
Settembre 1979 - Rassegna dei Gruppi Autogestiti in Italia - Salerno Il centro propulsivo dell’attività di Enrico Crispolti era Salerno, dove teneva all’Università la cattedra di arte Contemporanea e dove era sorto il primo Gruppo di operatori estetici nel sociale. Fu quindi naturale che proprio da Salerno che partì l’idea di una prima ricognizione dei gruppi operanti nel territorio, con particolare riguardo all’area campana che in quella direzione aveva sviluppato l’attività più intensa con i risultati più significativi. All’interno del Festival Provinciale de “l’Unità” (quasi una collocazione storica per queste iniziati-
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ve) fu realizzato “79/1 Ricerche di base” che mirava ad essere il punto di riferimento per documentare, con una rivista, le attività sparse nel territorio. Il Collettivo propose in quella sede la documentazione degli ultimi interventi con particolare attenzione all’iniziativa “Napoli a piedi”.
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Firenze - Il Moro 31 marzo - 23 aprile 1979 Firenze - Il Moro ottobre 1979 Ricerche di Base - La Croce del Sud Raffaele Bova, Peppe Ferraro, Livio Marino, Armando Napoletano, Antonello Tagliafierro Firenze - Il Moro settembre 1980 Rassegna dei Gruppi Autogestiti in Italia Le condizioni storico-culturali che avevano determinato la nascita, a Caserta, di Lineacontinua (Associazione Culturale, Galleria e Collettivo) avevano parimenti fatto sviluppare situazioni analoghe in tutta Italia e soprattutto nei grandi centri storicamente centri culturali di massimo interesse. A Firenze l’iniziativa era stata presa da un gruppo di artisti che si raccoglieva presso il Centro “Il Moro” dove - come era avvenuto a Caserta - finivano per convergere tutte le esperienze che si andavano realizzando in Italia. Fu quindi abbastanza naturale che il Collettivo prendesse contatto con il Centro fiorentino e vi portasse più volte le esperienze più recentemente fatte nel territorio. In una prima occasione - nel marzo del 1979 -, si trattò di una semplice mostra di documenti, con particolare interesse alle ultime vicende
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come il “Napoli a piedi” da poco realizzato. Nel mese di ottobre successivo, però, “Il Moro” ospitò parzialmente l’iniziativa realizzata a Salerno e la etichettò come “Ricerche di base 2”: in quell’occasione il Collettivo realizzò un’opera molto elaborata, dal titolo “LA CROCE DEL SUD” (peraltro, già proposta a Caserta) Infine, l’anno seguente (ottobre 1980) “Il Moro” diede vita ad una ricognizione dei gruppi dal titolo “1^ RASSEGNA DEI GRUPPI AUTOGESTITI IN ITALIA”, che fu severamente e lucidamente recensita da Giuse Benignetti, a quel tempo una delle figure più autorevoli nella critica d’Arte a Firenze.
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LA MORTE DEL COLLETTIVO
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Quella dell’”operare estetico nel sociale” fu, a ben guardare, una breve stagione della cultura che si radicava nella diffusa convinzione di una “società dell’estetica” dilagante nel quotidiano e, dall’altro lato, derivava da una convinta fiducia nel decentramento, nella democrazia di base, nell’assemblearismo. Questo sollecitò la creazione di molti gruppi di operatori che si attivarono in tutta Italia, concentrandosi in alcune zone a particolare vocazione operaistica, proletaria o semplicemente disagiata. La tensione durò poco ma ebbe effetti notevoli, fino a condizionare almeno un paio di Biennali. A mano a mano che la tensione sociale e politica sui andava raffreddando, anche i “gruppi” cominciarono a perdere mordente, fino a dissolversi quasi naturalmente nel’individualismo più classicamente connaturato alla funzione artistica. Ciò avvenne, necessariamente, anche per il “Collettivo Lineacontinua Terra di Lavoro” che vide rapidamente scemare moltissimi dei motivi che avevano tenuto insieme i quattro operatori e quelli che di volta in volta si erano aggregati in maniera più o meno convinta. La Rassegna dei Gruppi autogestiti di Firenze rappresentò l’ultima occasione, per il Collettivo, di proporsi collegialmente in una iniziativa, che era, al tempo stesso, di esposizione e di intervento. In sostanza, alla fine del 1980, ci si rese conto che le motivazioni che avevano sostenuto il Collettivo erano venute vennero meno , anche per effetto di una diaspora (fisica e culturale) che disperse il gruppo: una lettera inviata al Collettivo del “Moro” da Livio Marino e Antonello Tagliafierro “certifica” in qualche modo la fine dell’esperienza. Pertanto, alla fine del 1980, ciascuno dei protagonisti aveva intrapreso una propria via, spesso facendo tesoro delle esperienze acquisite e utilizzandole in altri lavori. Armando Napoletano morì poco tempo dopo. Peppe Ferraro tornò alla sua vena naturale, che è quella di pittore: per qualche tempo, continuò a scegliere come tema preferito la civiltà primigenia coi suoi “muri” e i suoi improbabili “insetti”; poi si è diretto progressivamente ad una visione più lirico-fantastica della realtà. Livio Marino e Antonello Tagliafierro tentarono ancora alcune forme di aggregazione; ma, sostanzialmente, ritornarono nell’individualità dell’agire spostando il segno in altre direzioni,
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anche se non persero mai la matrice ironica e polemica che li aveva caratterizzati. A trent’anni de quel “dissolvimento” un Ministro della Repubblica sembra aver colto (finalmente!) un tema che Livio Marino aveva per anni sollecitato provocatoriamente: ma lo snellimento della burocrazia resta ancora tutto da studiare e, forse, da realizzare. Aldo Ribattezzato scelse la via della didattica, rinunciando quasi totalmente all’operare estetica: in compenso, tentò di portare nella gestione dell’Istituto - di cui divenne Direttore - quell’aria di novità che spesso era stato propugnata dal Collettivo ma che, alla fine, non solo non si è realizzata ma, dagli ultimi eventi, sembra essere arretrata su posizioni vecchie e che sembravano superate (ma non lo sono, purtroppo!). Raffaele Bova ha continuato a “fare il suo mestiere” che è quello di dipingere in maniera provocatoria. Il tema più caro era stato per lui quello dei rifiuti: gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che l’indicazione era più che giusta; ma ancora il problema resta lì, nascosto sotto il tappeto e tutto da risolvere. Successivamente, ha spostato l’attenzione sull’annullamento dell’individualità nei “codici di identificazione”: ed anche in questo caso si ha la sensazione di una “vox clamantis in deserto” per dire agli altri quello che gli altri fanno finta di non sentire. Alcuni dei componenti del Collettivo si ritrovarono occasionalmente o diedero addirittura vita ad altre formazioni che comunque si muovevano nella logica della libertà individuale all’interno di un progetto unificante. Fu il caso, ad esempio, di Livio Marino e Antonello Tagliafierro che diedero vita ad una anomala S.R.L. con cui agirono in varie occasioni.
Enzo di Grazia R I C E R C A V I S I VA
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LE “RINASCITE” DEL COLLETTTIVO
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14 maggio 1978 Festa dei maghi Palse (PN) Ancor prima che la fine del collettivo fosse decretata, Enzo di Grazia si era trasferito a Pordenone, dove aprì un nuovo percorso di lavoro che avrebbe portato “la roggia” ad essere protagonista in campo nazionale della sperimentazione nelle arti visive. A Pordenone l’” operare estetico nel sociale” aveva già prodotto notevoli risultati con il volume “Il gioco dell’uovo” e con gli interventi realizzati a Borgo Casoni, a Casarsa e a Muggia. Non fu difficile, quindi, aggregare alcuni giovani artisti intorno a progetti di intervento e nacquero così alcune iniziative, di cui almeno due avevano tutti i connotati dell’”operare estetico nel sociale”. Il 14 maggio 1978 a Palse (PN) si celebrò la Festa dei maghi per iniziativa di un locale Circolo “1° maggio” che riprese il tema del recupero degli usi e delle feste paesane per avviare un percorso di animazione con l’infanzia che assumesse una valenza il più possibile sociale. Al Circolo si aggregò una estemporanea formazione di artisti che assunse la denominazione di “COLLETTIVO ANIMAZIONE” ed insieme i due gruppi lavorarono a lungo nell’oratorio parrocchiale per preparare con i bambini del paese la festa che si sarebbe tenuta il 14 maggio. Convergevano, nella scelta, elementi locali (di ascendente misto tra la celebrazione pagana dei campi e la loro benedizione cristiana), riferimenti più generali alle feste cinesi del drago; ma soprattutto si puntava sull’animazione come prerogativa dell’operare artistico, in una fase in cui la didattica ancora non se ne occupava. Il giorno stabilito, un lungo corteo di improbabili “dragoni” (fatti in casa con mezzi poveri forniti dal circolo e dalla parrocchia) attraversò
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le vie del paese nell’entusiasmo generale mentre sul sagrato una notevole massa di bambini e adulti continuava a dipingere e preparare “dragoni”. Alla fine della serata, tutto il materiale utilizzato fu raccolto davanti alla chiesa e ne fu realizzato un enorme falò (con qualche “quadretto” a cui si è già fatto riferimento).
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30 agosto 1978 Festa all’ars(enico) Azzano X (PN) Una situazione parallela si verificò subito dopo in un’altra cittadina della provincia di Pordenone, Azzano X, dove un’Associazione di giovani da molti anni svolgeva un’intensa attività culturali, con risultati alterni e con interessi vari, che andavano dall’organizzazione delle mostre ai cineforum fino alla realizzazione di sagre. L’idea di dedicarsi all’animazione infantile piacque molto ad alcune associate, che svolgevano attività didattica nella locale scuola materna ed elementare; fu meno gradita a molti dei soci ma ricevette il sostegno dell’Amministrazione pubblica. L’Associazione aveva assunto la denominazione “ARS”: di qui fu facile il titolo - vagamente dadaista - di “FESTA ALL’ARS(ENICO) che connotò il pomeriggio di fine agosto nel corso del quale i bambini del quartiere scatenarono la propria fantasia in disegni e colorazioni libere. I due interventi, per la verità, avevano ben poco dello spirito dell’”operare estetico nel sociale” e si riducevano a mere esercitazioni di attività animativa fuori dell’orario scolastico. Inoltre, la partecipazione (casuale e confusa) di alcuni artisti locali non consentiva di aggregare un autentico gruppo su temi unificanti, mentre nella galleria “la roggia” era già avviato un processo di “aggiornamento” che aveva consentito di spostare l’interesse nella sede espositiva e in città (con le “LIBER/AZIONI” che poco tempo prima avevano sollevato un certo scalpore). Per questo, l’esperienza non ebbe seguito e morì rapidamente.
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Serra San Quirico (AN) 1 - 31 agosto 1992 KERMESSE Il virus della socialità dell’arte continuava comunque ad agire in maniera più o meno evidente: in molte occasioni si tentò di riproporne i modelli nelle sede in cui era possibile organizzare manifestazioni convincenti. Tra il 1991 e il 1993, a Serra San Quirico, in provincia di Ancona, furono realizzate tre iniziative che possono serenamente essere qualificate come “operare estetico nel sociale” dal momento che di quello riprendevano apertamente i modi - anche in conseguenza del fatto che ad organizzarle ero io che comunque mi portavo dietro una profonda convinzione di quel modo di operare - e che furono denominate “Kermesse”, per la chiara intenzione di farne una sorta di “festa popolare dell’arte. Alle tre edizioni parteciparono complessivamente non meno di duecento artisti che realizzarono gli interventi più diversi e straordinari, dalle semplici esposizioni alle affissioni, dagli happenings alle performances più bizzarre. Il catalogo della II edizione, che si svolse dal 1 al 31 agosto del 1992, fu dedicato espressamente alla memoria di Armando Napoletano, che era scomparso. Ad essa partecipò un gruppo di giovani artisti - “guidati” da Peppe Ferraro, da Livio Marino e da Paolo Ventriglia - che in qualche modo riproposero i sistemi del vecchio Collettivo e diedero vita ad una sconvolgente azione scenica per la quale fu ingombrata la piazza con un camion di terra fatta appositamente affluire, dalla quale emerse (come un bruco in campagna) un giovane ballerino (Antonio Iorio), con magistrali musiche suonate al sassofono da Franco Basile, mentre in un angolo “fumava” una sagoma di Vesuvio, quasi a creare un legame indissolubile tra i contadini di tutte le regioni.
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SECONDA UNIVERSITÀ DI NAPOLI Facoltà di Architettura “L. Vanvitelli” Aversa (CE) Chiostro di San Lorenzo 23 luglio 2010 Dalla matrice al codice il quadro è fatto.it. Come già detto, dopo la fine del Collettivo Raffaele Bova ha continuato a “fare il suo mestiere” che è quello di dipingere in maniera provocatoria. Agli inizi, il tema più caro era stato per lui quello dei rifiuti che aveva utilizzato come soggetto nelle primissime mostre realizzate e per lungo tempo ancora, fino alla paradossalità di inserirli in un’opera di grande dimensione composta per una “chietta” di Battenti per la Madonna dell’Arco, vale a dire in un’opera di soggetto sacro. Solo dopo trent’anni, gli eventi degli ultimi mesi hanno dimostrato che la scelta era stata giusta e che l’indicazione era opportuna; ma ancora il problema resta lì, nascosto sotto il tappeto e tutto da risolvere. Successivamente, ha spostato l’attenzione sull’annullamento dell’individualità nei “codici di identificazione”: ed anche in questo caso si ha la sensazione di una “vox clamantis in deserto” per dire agli altri quello che gli altri fanno finta di non sentire. Trent’anni dopo, con lo stesso spirito (che in fondo non aveva mai abbandonato) Raffaele Bova è ritornato all’attività di animazione, sollecitato anche da un gruppo di giovani operatori di Aversa e dalla facoltà di Architettura che intanto in questa città è sorta. Assumendo stavolta una posizione separata, quasi da suggeritore, ha preparato dieci tele di medio formato sulle quali aveva tracciato la scritta “.it” che dava l’abbrivio alla manifestazione. Sulle tele sono stati invitati a segnare la propria matricola, il codice fiscale o l’indirizzi internet tutti gli studenti e i docenti della facoltà, a cominciare dal direttore; fedele a certe tradizioni, Bova ha fatto diffondere un volantino illustrativo della manifestazione:
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97 Nel corso degli anni Settanta, uno dei modi attraverso i quali gli artisti entravano in contatto con la realtà era certamente quello dell’”operare estetico nel sociale” che proponeva una funzione decisamente politica dell’arte ed una capacità dell’artista (anzi, dell’”operatore estetico”) di proporsi come testimone non marginale né passivo degli eventi rispetto ai quali proponeva modelli, forme e strategie di intervento. Nel corso degli anni, queste competenze sono via via passate a strutture meno specifiche o creative, come possono essere quelle dell’arte; e sono invece diventate patrimonio più diffuso della società e delle sue strutture, a cominciare da quelle scolastiche. Difatti, gli happenings, le performances, le invenzioni estemporanee e creative sono diventate appannaggio (sempre più spesso) dei gruppi politici che le hanno largamente utilizzate nei cortei, nelle manifestazioni di protesta, insomma nelle attività pubbliche. Addirittura, negli stadi la creatività si è espressa attraverso tutti i linguaggi possibili e praticabili, da quelli vocali a quelli scritti, dal disegno alla riproduzione fotografica. Nelle scuole, poi, la sollecitazione didattica della creatività ha dato luogo a manifestazioni fondamentali che una volta apparivano “follie da artista”. Il compito degli artisti - almeno di quelli che dalle esperienze dell’operare estetico nel sociale hanno preso le radici e i modi di esprimersi - è diventato allora quello di desumere dalla realtà le sollecitazioni e trasformarle in gesto estetico, con un percorso all’apparenza opposto a quello precedente ma in realtà con esiti altrettanto significativi. Tra gli artisti che, in Terra di Lavoro, si sono distinti in questo genere di attività, Raffaele Bova ha avuto un ruolo sicuramente di primissima importanza, considerata la connotazione di denuncia politica che i suoi interventi hanno posseduto in maniera esplicita sin dalle primissime iniziative: per tutte, basterebbe l’insistenza quasi ossessiva sui rifiuti come base della società e dell’attività artistica (fino a celebrarla in un’opera di ispirazione religiosa) e la quasi maniacale utilizzazione della lira (la moneta-fantasma di quegli anni) per denunciare una condizione di asservimento al mercato e alla plutocrazia. La ”scoperta” dei codici a barre come sistema di cancellazione della personalità, dell’individualità, dell’unicità degli individui è, in qualche modo, una conseguenza logica del percorso. Nasce dalla realtà, anche stavolta; ed anche in questo caso vale come indicazione estetica nel sociale. Ma stavolta fa leva e si avvale del lavoro didattico per dare forza al discorso, per cui non è più l’artista a proporre l’indicazione, ma sono soprattutto gli altri (la scuola, la società) a vivere con lui la denuncia che l’attività esprime.
98 E forse è il passo avanti più importante per un linguaggio che, dopo trent’anni, potrebbe apparire obsoleto o ripetitivo; ma che, a ben guardare, risulta sempre (tragicamente) vero ed attuale. Perché i problemi esistono e premono sull’uomo.
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Alla fine, ha provveduto a scoprire le scritte - che erano state coperte con nastro adesivo colorato col bianco del fondo - e le opere così costruite sono state raccolte per una mostra da fare quando se ne presenterà l’occasione
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IL COLLETTIVO “LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO” 30 ANNI DOPO, IN PIZZERIA
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IL COLLETTIVO “LINEACONTINUA TERRA DI LAVORO” 30 ANNI DOPO, IN PIZZERIA
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9 - 10 GENNAIO 2011 AVERSA (CE) EX MACELLO MOSTRA E CONFERENZA DI PRESENTAZIONE
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la roggia In collaborazione con: associazione culturale “la roggia” Pordenone
Edito da: Libreria “Quarto Stato” Aversa (CE) Progetto Grafico e Impaginazione: Arturo di Grazia Finito di stampare nel mese di Aprile 2011