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Moto italy

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SONO DISPONIBILI

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(Seconda puntata)

La splendida LinTo, prende il nome da Lino Tonti, il celebre progettista che ha operato con grande successo con Benelli nell’anteguerra, Mondial, Paton, Bianchi, Gilera, Guzzi dove frma il successo della V7.

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LinTo, nonostante il budget limitato, ottiene riultati incoraggianti nel 1968, anno del debutto, e vince il Gran Premio delle Nazioni 69, disputato tra mille polemiche a Imola, con Alberto Pagani, che nelle stagioni seguenti sale ancora tre volte sul podio, prima che arrivi lo stop. Tonti si trasferisce in casa Guzzi, dove tirò fuori dal cilindro la fenomenale V7.

Scatta il digiuno delle case italiane nella top class. Il mondiale se lo giocano Suzu i con il leggendario Barry Sheene e enny Roberts con La Yamaha. C’è comunque spazio per i piloti italiani. Virginio Ferrari con la Suzuki del team Gallina è autore

Paton

di una sfda epica con enny Roberts alfere della Yamaha e sfora il titolo, che invece agguanteranno Marco Lucchinelli e Franco Uncini nell’81-’82. Il “made in Italy” torna prepotentemente di moda nelle classi minori.

La Paton, frutto, della passione di Giuseppe Pattoni, affancato inizialmente dal solito Tonti, è storia ben più lunga che inizia con una 125 di scuola Mondial, da dove arrivano Pattoni e Tonti, che adottano lo schema bialbero. Segue una 250 bicilindrica, con il progetto portato avanti da Pattoni, dopo che Tonti è passato alla Bianchi. Alberto Pagani in sella alla bicilindrica bialbero di Cassinetta di Lugagnano è terzo nel Tourist Trophy 1964. Inevitabile il traguardo nella 500, che vince il titolo italiano nel 1967 con Angelo Bergamonti, mentre due anni dopo l’inglese Billie Nelson e per tre volte sul podio dei Gran Premi di Francia, Germania e Finlandia. Negli anni la “verdona” milanese alterna presenze nel mondiale e nel CIV con i vari Trabalzini, Torracca, Virginio Ferrari, sempre con la bicilindrica, mentre con la nuova quattro cilindri si mette in luce Vittorio Scatola. Dal 2016 la Paton fa parte deL gruppo SC Project.

La Carica Di Morbidelli

A suonare la carica è Giancarlo Morbidelli, un industriale pesarese che deve la sua fortuna alle macchine per il taglio del legno. Spinto da una passione genuina, un po’ come i Conti Agusta, inizia la sua scalata dalla 50 cm³ messa a punto da Franco Ringhini, pilota e tecnico sopraffno, in arrivo dalla Guazzoni, ma è la 125 bicilindrica a vincere la prima gara mondiale. Sul circuito stradale di Brno, Gilberto Parlotti e la Morbidelli si inseriscono nell’elite della categoria che comprende Derbi, Suzu i, awasa i, Yamaha ecc... La scena si ripete a Monza l’anno dopo. Parlotti è primo davanti ad Angel Nieto con la spagnola Derbi. Il pilota triestino e la moto pesarese partono sparati nel mondiale 125 del 1972. Gilberto è primo al Nurburgring e a Clermont Ferrand, e in entrambi i casi precede Charles Mortimer con la Yamaha uffciale, ansson con la Maico e Dave Simmonds con la awasa- ki. La reazione di Nieto, campione del mondo in carica non si fa attendere con un uno-due a Salisburgo e a Imola. Ma il pilota di Morbidelli, 2° per soli 0”4 in Austria e 3° in Romagna, si mantiene saldo in testa alla classifca alla vigilia del Tourist Trophy, la terribile Mountain ormai al centro di polemiche, prese di posizioni, e rinunce. Parlotti va come sempre, ma purtroppo non tornerà... Per la casa pesarese è un colpo durissimo, ci vorranno tre anni per tornare a vincere, nonostante l’ingaggio di Nieto per la stagione 73. L’arrivo decisivo è invece quello di org Moller. Il tecnico tedesco si integra bene con l’ambiente pesarese, e sforna una 125. È una bicilindrica due tempi in linea con pistoni Mahle, distribuzione a disco rotante, e alimentazione con carburatori Mikuni da 28 mm in grado di generare 38 CV a 14.000 giri/min, raffreddamento a liquido. Il telaio è a doppia culla, con tubi al cromo- molibdeno, il forcellone tubolare oscillante. Per le sospensioni, Moller punta su una forcella teleidraulica Marzocchi da 30 mm sull’anteriore, e sul doppio ammortizzatore pluriregolabile, sempre della Marzocchi, posteriormente, mentre i freni a disco sono da 220 mm, due davanti, uno dietro. La 125 pesarese, che sarà commercializzata dalla Morbidelli-Benelli Armi, società costituita specifcamente per vendere ai privati, è capace di vincere per tre anni consecutivi il titolo iridato, con Paolo Pilleri nel 1975 e Pier Paolo Bianchi nel 76-’77. Erano passati quindici anni dal titolo di Carlo Ubbiali, l’ultimo del “cinesino”, nel 1960 con la MV prima di ritrovare un pilota e una moto italiana al vertice della ottavo di litro. Il pilota umbro è sette volte 1° sulle dieci gare in programma, e per sei volte Bianchi arriva 2°, consentendo la doppietta. Un’ottava vittoria arriva nell’ultima gara per merito del tedesco

Dieter Braun. Del ricco bottino fanno parte sette pole position. Bianchi ha via libera nel 76, quando colleziona 7 primi posti, e nel 77, quando si trova di fronte Nieto con la Bultaco. Il dominio della casa pesarese è netto: nel Gran Premio d’Austria il 1 maggio 1977, vinto da Eugenio Lazzarini, l’intera top ten è Morbidelli Lo stesso Lazzarini è iridato la stagione seguente con la moto targata MBA (Morbidelli Benelli Armi).

È un periodo molto vivace per il “Made in Italy” anche nella “due e mezzo”, normalmente preda dei giapponesi, onda e Yamaha, un dominio interrotto solo nel 69 dalla Benelli con el Carruthers. Tra il 72 e il 73 accadono però fatti importanti. Renzo Pasolini con la nuova Aermacchi, fore all’occhiello della sezione due ruote dell’industria aerea di Varese, è il rivale più forte di Jarno Saarinen, il nuovo fenomeno che viene dal ghiaccio.

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