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IL GIOCO SI FA SERIO

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SONO DISPONIBILI

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Le “macchinine”, come le chiamava chi era bambino o ragazzo negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, furono un trampolino di passione per intere generazioni, diventando il gioco preferito e avvicinando molti bimbi ai loro papà che nell’automobile vedevano il futuro, il piacere, il simbolo dell’afermazione sociale. Nacquero, i modellini, come accessorio dei plastici ferroviari degli anni Venti e Trenta, allora di generose dimensioni, in scala 00, che corrispondeva alla scala 1/43. Ma secondo alcuni storici, il primo modello pressofuso risale addirittura agli anni Dieci del secolo scorso, realizzato in scala 1/90, quindi molto piccolo.

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Alla fine degli anni Trenta venne introdotto uno scartamento ferroviario più accessibile nel prezzo, definito HO, che corrispondeva alla scala 1/86, così molte case di automodelli si adeguarono alle dimensioni più contenute. Ma la 1/43 restò la scala regina per gli automodelli, la preferita da collezionisti grandi e piccoli. Fu così che piano piano le “macchinine” iniziarono a conquistare una propria identità, non più costrette ad un ruolo ancillare nei confronti dei treni, come furono le prime Dinky Toys (Meccano) per i treni Hornby, a metà degli anni Trenta. Anche in Germania, nello stesso periodo, alcuni automodelli civili e militari in scala 1/43 della Marklin, iniziarono a staccarsi dai treni, reclamando un ruolo da protagonista che si afermò anche in Inghilterra con le Dinky Toys.

Nella Francia anni Trenta le miniature avevano perlopiù carattere promozionale perché erano legate alle case automobilistiche, come Jouets Citroën, Jouets Renault, JRD, CD, AR. Le Solido di quel periodo erano messe in vendita con scatole di montaggio che permettevano di ricavare diverse configurazioni.

Anche l’americana Tootsie Toys iniziò a produrre negli anni Trenta, epoca in cui il nostro paese ancora non aveva modelli in scala 1/43 che entreranno in scena solo dal Dopoguerra, con la torinese Mercury. I bambini potevano giocare con le autogiocattolo in latta della Ingap (acronimo di Industria nazionale giocattoli automatici Padova) o della Alemanni, due fra le marche più attive. Solo dal Dopoguerra iniziarono a difondersi le italiane Zax, Nigam, PM, (acronimo di Pressofusione Meccanica), le già citate Mercury e poi le APS, che poi diventò Politoys, la Icis, le Ediltoys, la Mebetoys. Sempre nel Dopoguerra nacquero l’inglese Corgi Toys, l’irlandese

Spot On, la spagnola Pilen, la portoghese Metosul, la danese Tekno. In Francia prosperarono la Solido, la Quiralu, la Norev (inizialmente solo in plastica), la CIJ, in Israele la Gamda, in Australia le Micro, in Giappone la Modelpet. Negli anni Settanta alcuni collezionisti torinesi (parte delle loro raccolte sono illustrate in queste pagine) iniziarono ad afollare le prime Borse-Scambio di automodelli che si difusero, dopo Torino, anche a Milano, Verona, Roma e Firenze, richiamando migliaia di appassionati e collezionisti alla ricerca del pezzo mancante. Perché la felicità, dicono con un sorriso da eterni ragazzi, è avere tutto meno uno.

La Storia Della Mercury In Un Libro

Per la generazione degli “anta” gli automodelli Mercury costituiscono una delle pietre miliari dell’infanzia ormai lontana. Come lo furono Carosello, Mago Zurlì, Lassie e Rin Tin Tin. Erano, le Mercury, le macchinine italiane per eccellenza, fabbricate a Torino dalla Sei (Società esercizio fonderie) di Attilio Clemente e Antonio Cravero. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’uscita di una novità di questa Casa era attesa come un grande evento dai ragazzini in pantaloni corti. Fabbricate in zamac (una lega a base di zinco), con livree molto diversificate per una certa ingenuità costruttiva, le Mercury riuscirono nel tempo ad imporsi sul mercato nazionale e straniero grazie anche ad importanti alleanze strette con la danese Tekno, la tedesca Marklin, la spagnola Nacoral, la Dinky France ed altre ancora. Nel piccolo e familiare mondo del modellismo degli anni Cinquanta la Mercury era un po’ come la Fiat, il modellino di casa nostra. Oggi sono in molti a cercare le Mercury d’annata, prodotte a Torino dal 1947 al 1978 e in molti hanno acquistato le più economiche repliche messe in vendita in edicola, ‘Made in China’, anche se più

Massimo Clemente, Gino Coen, Andrea Perego e Giorgio Pontoni, pagg.470, formato 28x28, (tel. 328-2331040 e 348-9233215) grossolane nel dettaglio e verniciate alla buona. Ma c’è chi ha fatto meglio e di più. Alcuni anni fa cinque amici torinesi, autentici ‘guru’ dell’automodellismo nazionale, hanno dedicato alla cara vecchia Mercury un’autentica opera omnia di 470 pagine, 17 capitoli, costata cinque anni di ricerche, finemente rilegata, con 500 foto a colori in grande formato di modelli noti e altre, rarissime, di versioni inedite. Gli autori del volume, diventato un ‘cult’ del settore, sono Roberto Bocco, Massimo Clemente, Gino Coen, Andrea Perego e Giorgio Pontoni. La loro memoria storica ha arricchito le pagine con molti aneddoti gustosi. Ma soprattutto con tanto sentimento. Come poteva fare solo chi, con le Mercury, non ha fatto solo collezione ma ha giocato quand’era bambino.

DC

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