La creatività scientifica

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Marcello Cesa-Bianchi - Carlo Cristini Edoardo Giusti



collana Psicoterapia & Counseling diretta da Edoardo Giusti PSICOTERAPIA

COUNSELING

77 Centro Europeo di Ricerche per lo Studio delle Psicoterapie Integrate e Comparate



Marcello Cesa-Bianchi - Carlo Cristini Edoardo Giusti

LA CREATIVITĂ€ SCIENTIFICA Il processo che cambia il mondo

OVERA EDIZIONI


Š 2009 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l. Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 ROMA www.soveraedizioni.it email: info@soveraedizioni.it I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale (compresi i microďƒžlm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.


Indice

Cap. 1. Descrizione di creatività e del processo creativo

13

Cap. 2. Longevità creativa e ultima creatività

89

Cap. 3. La creatività scientica e il processo creativo scientico 115 Cap. 4. La creatività scientica nella vita individuale

141

Cap. 5. La creatività scientica nella vita collettiva

193

Cap. 6. I creativi della scienza

211

Cap. 7. Gestalt e creatività

259

Postfazione

273

Questionario per misurare il potenziale creativo

275

Risolviamo qualche enigma…

278

Bibliograa

283


Ringraziamo Annalaura Pugliese Sestito per il suo contributo nell’organizzazione della parte editoriale del testo e per la correzione delle bozze deďƒžnitive.


Sommario

Presentazione di ASSUNTO QUADRIO Introduzione

I III

1. Descrizione di creatività e del processo creativo 1.1 Che cosa è la creatività 1.2 La creatività secondo la losoa e la storia

13 13 16 – Da Aristotele a Nietzsche, dalla ragione all’impulso creativo 16 – La creatività nella storia 21 1.3 La creatività e la scienza nell’antichità (Alessandro Porro) 25 – Premessa 25 – L’Antico Testamento 26 – La Grecia e Roma: loso, medici, matematici, creativi 32 – Tradizione e innovazione: Isidoro di Siviglia 36 – Conclusione 39 1.4 Il processo creativo 40 – Le fasi del processo creativo 44 – Il pensiero laterale 46

1.5 Neurosiologia della creatività. Cenni sul funzionamento 46 del cervello – Cervello e sistema nervoso centrale – Neuroscienze e creatività – L’attività corticale nella creatività

48 50 52

– – – – –

54 55 56 56 58 58

1.6 I diversi generi della creatività: arte, scienza e creatività quotidiana Creatività artistica Creatività letteraria Creatività scientica Creatività quotidiana Aree della creatività quotidiana


1.7 La rappresentazione della creatività (Paola Pizzingrilli e Alessandro Antonietti) – – – – – – –

60 Introduzione 60 Teorie implicite sulla creatività 62 La creatività: il punto di vista degli insegnanti 64 Teorie implicite e cultura 71 Fattori che inuiscono sullo sviluppo della creatività a scuola 76 Come misurare la creatività 81 Conclusioni 86

2. Longevità creativa e ultima creatività 2.1 Longevità creativa – Premessa – Arte e vecchiaia – Note conclusive

2.2 L’ultima creatività

– Introduzione – Verso il nire creando – Riessioni conclusive

3. La creatività scientica e il processo creativo scientico 3.1 Lo studio della creatività scientica 3.2 Il pensiero analogico 3.3 Problem solving – Problem solving: creatività all’occidentale

3.4 La scoperta scientica

– I tempi della scoperta – Distribuzione geograca della scoperta

3.5 Emisfero destro o emisfero sinistro? 3.6 Innovazione e conformismo scientico 3.7 Gli antidoti contro il conformismo scientico – – – –

La contaminazione fra le scienze Flessibilità Tolleranza dell’ambiguità Reattanza

3.8 Metodi di ricerca sulla creatività

89 89 89 91 98 100 100 101 109 115 115 117 119 120 121 123 125 127 128 132 132 133 134 134 135


4. La creatività scientica nella vita individuale 4.1 Intelligenza e creatività – – – – –

Quoziente di intelligenza e sua misurazione Problematiche legate al QI Rapporto fra quoziente di intelligenza e creatività L’intelligenza multidimensionale e la creatività Intelligenza Articiale

4.2 Pensiero, stili di pensiero e creatività – I “cappelli” per pensare

4.3 Capacità di apprendimento

– Istruzione scolastica – Dalla scuola al lavoro – L’apprendimento tra veglia e sonno

4.4 Personalità: i tratti caratteristici del creativo – – – – – –

Apertura mentale e disinibizione Autonomia e indipendenza Dedizione e perseveranza Anticonformismo e originalità Curiosità e attrazione per la complessità e il nuovo Capacità di sopportare la frustrazione

– – – – –

Causa o conseguenza? Gli studi sul rapporto fra psicosi e creatività Quando la malattia mentale attiva la creatività Quando la malattia mentale blocca la creatività Demenza e creatività

4.5 Creatività e disturbi psichici

5. La creatività scientica nella vita collettiva 5.1 Lo scienziato, la società, la famiglia – – – – –

Il lavoro d’équipe e il ruolo della comunità scientica Ambiente creativo La scoperta multipla e lo spirito dei tempi Lo scienziato e la famiglia Apprendistato

5.2 La creatività scientica e la legge

– La proprietà intellettuale e le sue problematiche – Brevetti

141 141 144 146 149 151 153 156 157 160 161 164 165 166 168 168 169 170 172 173 175 175 177 179 180 182 193 193 193 195 197 200 201 203 203 206


– Copyright – Marchio d’impresa

6. I creativi della scienza 6.1 Le caratteristiche del genio scientico – – – – – – –

Coltivare un hobby Produttività Coraggio di rischiare Mettere in atto strategie efcaci Ricorso a immagini e sensazioni Serendipità La motivazione

– – – –

Indole stravagante Servitore di molti padroni Lo scienziato Ingegnere, architetto, inventore

6.2 Leonardo da Vinci

6.3 Albert Einstein – – – –

I primi anni Gli studi universitari Il periodo bernese e l’annus mirabilis Le cattedre in Europa, la teoria della relatività generale e il Nobel – Scienziato, losofo, uomo del suo tempo

6.4 Charles Robert Darwin – – – – – – –

Infanzia e adolescenza Cambridge Il viaggio del Beagle I “Taccuini” Origine della specie I lavori successivi Darwin e la religione

6.5 Sigmund Freud 6.6 Galileo Galilei 6.7 Giovanni Battista Morgagni (Alessandro Porro e Valentina Gazzaniga)

207 208 211 211 212 212 213 213 214 215 217 218 218 221 223 226 229 230 232 233 234 235 237 237 239 240 242 243 244 245 246 250 254


7. Gestalt e creatività 7.1 Cenni storici

7.2 La creatività nella psicoterapia della Gestalt

259 259 259 262 264

7.3 L’evoluzione della psicoterapia della Gestalt

266 269 271

– Psicologia della Gestalt – Terapia della Gestalt

– L’adattamento creativo: l’organismo, le funzioni del Sé e il ciclo del contatto – Gestalt interrotte e disadattamento

Postfazione di CARLO CIPOLLI

273

Questionario per misurare il potenziale creativo

275

Risolviamo qualche enigma…

278

Bibliograa

283



Presentazione

Il volume intitolato “La creatività scientica” di Cesa-Bianchi, Cristini e Giusti, è particolarmente interessante non solo per il tema ma per il modo in cui lo affronta. Particolarmente interessante è la considerazione della creatività scientica non più, come tradizionalmente era intesa, una sorta di dono “eccezionale” degli individui geniali, ma come un prodotto ad un tempo individuale e sociale. Il sociale infatti non ha solo il compito di riconoscere la validità di un comportamento creativo, ma anche quello di stimolarlo e renderlo possibile. La creatività quindi viene descritta come l’effetto ultimo non solo di doti intellettuali ed affettive dell’individuo, ma anche di un’armonica convivenza dell’individuo con il suo contesto culturale. Nel volume non mancano riferimenti storici ai prodotti culturali e ai personaggi creativi del passato, né un puntuale aggiornamento sul contributo che le neuroscienze contemporanee possono dare allo studio della creatività. Il pregio del volume non sta solo nelle tematiche e nelle modalità di trattazione, ma anche nelle modalità espressive che appaiono chiare ed esaustive. In conclusione il mio parere è pienamente positivo. ASSUNTO QUADRIO Professore Emerito di Psicologia Sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

I



Introduzione

La storia della scienza si è articolata nei secoli attraverso una serie di atti creativi, emersi dall’intuizione di un singolo studioso o dalla collaborazione di un gruppo mono o multidisciplinare e ha designato l’evoluzione della cultura umana. La creatività, un’attitudine ritenuta in passato come prerogativa dell’infanzia e di personaggi eccezionali, è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi approfondimenti di cui il volume si propone di dare testimonianza. E poiché la psicologia è la disciplina che più di ogni altra si è impegnata nel comprendere l’essenza e il funzionamento della creatività, sono studiosi e docenti di psicologia gli autori di questo testo. In esso assume una particolare rilevanza l’analisi della creatività scientica, documentata anche dalle biograe di persone famose ed esaminata nei suoi presupposti neuropsicologici, sociali e culturali, nelle sue fasi, nella sua peculiarità a confronto con le altre forme ed espressioni di creatività. Il volume fornisce una serie di nozioni che consentono al lettore di comprendere il signicato e il valore della creatività scientica e i suoi vari settori di applicazione – educativo, lavorativo, clinico – e potrà stimolare in ogni persona, indipendentemente dall’età, la ricerca delle proprie potenzialità creative. Ne è derivato un racconto rigoroso, ma entusiasmante, dalla lettura del quale potrà scaturire una maggiore consapevolezza dell’appartenenza a una specie ricca di possibilità espresse da grandi personaggi, ma nobilitante l’intera umanità.

III



Capitolo 1

Descrizione di creatività e del processo creativo

1.1 Che cosa è la creatività Fino a non molto tempo fa era diffusa la convinzione che la creatività fosse una dote innata, caratteristica solo di alcuni individui, una sorta di dono della natura, impossibile da ritrovare in chi ne fosse naturalmente sprovvisto. L’innovazione era considerata il frutto di un’illuminazione improvvisa e imprevedibile che accadeva a individui eccezionali, i geni, naturalmente dotati di capacità straordinarie. Da qualche decennio le neuroscienze, le scienze cognitive e la psicologia, in tutte le sue molteplici diramazioni, stanno dedicando una sempre maggiore attenzione all’argomento, ridimensionando molto questa concezione di creatività come fatto che riguarda solo poche menti eccezionali e considerandola invece la caratteristica distintiva del pensiero umano. Oggi tutti gli studiosi di creatività, qualsiasi sia il loro settore di specializzazione, sono concordi nel ritenere che il processo creativo è tipico del cervello umano e che il cervello umano è naturalmente strutturato per pensare creativamente. Certo, non tutte le persone manifestano abilità creative, ma questo non dipende da differenze genetiche o innate, dall’avere o non avere un dono di natura, ma dalla concomitanza di fattori diversi. Secondo lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi (1996), uno dei maggiori esponenti dell’approccio interazionistico nello studio della creatività, la creazione è il prodotto dell’interdipendenza fra tre diversi fattori fondamentali: l’individuo, con il suo bagaglio di conoscenze e il suo metodo di lavoro; il campo culturale in cui l’individuo opera, 13


con i suoi modelli e le sue prescrizioni; l’ambiente sociale, che offre gli strumenti e le esperienze educative per impegnare le proprie capacità, e successivamente giudica i meriti di una persona e del suo operato. Vi è creatività quando un prodotto individuale o di gruppo, generato in un certo campo, è giudicato innovativo dai più insigni esponenti di quell’area e comincia prima o poi (spesso anche a distanza di moltissimi anni, purtroppo!) a esercitare un’inuenza autentica e rilevabile sulle opere successive in quel settore. La creatività, peraltro, oggi non è più vista solo come innovazione scientica, artistica o tecnologica, ma anche come una qualità umana fondamentale per la vita di tutti i giorni, espressione genuina e naturale dell’interiorità dell’individuo, che dà un senso alla propria vita e la trasforma in sintonia con se stesso. La creatività è un modo di guardare le cose, uno stile di vita che permette all’uomo di adattarsi, di improvvisare e di cercare nuove soluzioni ai problemi più svariati. Questa idea di creatività come capacità di miglioramento e di adattamento è sostenuta da parecchi studiosi, come Daniel Goleman (Goleman, Ray e Kaufman, 1999), che afferma: «Non importa chi siate: lo spirito creativo può comunque entrare nella vostra vita. Esso è alla portata di chiunque si senta spinto a provare a migliorare le cose, di chiunque voglia esplorare nuove possibilità». Anche Mark A. Runco, uno dei maggiori studiosi di creatività, condivide questa visione, individuando inoltre nella essibilità il più importante elemento della creatività (Runco e Thurston, 1999): essa dà modo di escogitare nuove soluzioni, vedere la stessa cosa da un più favorevole punto di vista, confrontarsi con i cambiamenti di tutti i giorni. Questo è ancor più vero se applicato alla creatività scientica o artistica. Per esempio, nella scienza la essibilità permette di praticare un pensiero “contaminato” e non autarchico: tanti progressi scientici, rileva Runco, sono il risultato della contaminazione fra scienze diverse. Inoltre, molte correnti di pensiero sostengono che la creatività può essere migliorata, aumentata, incrementata, e sono stati messi a punto strumenti specici per accrescerla. In effetti, una volta superata la teoria del “dono di natura”, gli studiosi hanno concentrato i loro sforzi nell’individuare le caratteristiche speciche del processo creativo, e nello stabilire tecniche e modalità per sviluppare la creatività dell’in14


dividuo e della collettività. In questo senso, particolare successo hanno avuto gli studi “aziendalisti” di Edward De Bono (1968, 1973, 1996), che ha applicato al mondo degli affari l’idea della creatività come facoltà generalizzabile che può essere rapidamente incrementata e dare positivi risultati nel quadro produttivo di un’azienda. La creatività, nel campo scientico, nelle arti o nelle attività quotidiane, può essere denita come la capacità di inventare idee o oggetti, scoprire nuove prospettive per interpretare la realtà, concepire soluzioni originali e innovative, o semplicemente trovare modi migliori di fare le cose. O ancora, è la capacità di connettere idee e piani di ragionamento diversi tra loro, collegare ciò che di solito è separato, o produrre nuovi punti di vista. Un contributo essenziale nello studio della creatività viene dalla psicoanalisi. Nella prospettiva psicoanalitica la creatività è il processo attraverso cui l’uomo realizza i suoi desideri inconsci. Con la creatività si può dare corpo alle proprie fantasie, alimentate da aggressività, sessualità, paura. O ricreare uno stato di benessere memorizzato dall’inconscio. Un po’ come nei sogni, la fantasia è un potente strumento della mente umana che proietta l’individuo in mondi inesistenti dove tutto è possibile, e spesso suggerisce come risolvere i problemi. Però, a differenza di quanto avviene nei sogni notturni, dove c’è un totale sconvolgimento dei nessi logici, i sogni ad occhi aperti vengono prodotti a mente consapevole e quindi sono più aderenti alla realtà. Solo questo permette l’avviarsi del processo creativo, inteso come capacità di trasformare la fantasia in realtà. In sostanza, per la psicoanalisi la creatività è espressione dell’inconscio: gli impulsi creativi rispondono alla necessità di farlo emergere, dando forma ai suoi traumi e ai suoi conitti, ma anche tentando di riprodurre stati di benessere. E anche qui il “dono di natura” è categoricamente escluso: l’individuo non creativo è semplicemente vittima di un blocco dell’inconscio, che può essere rimosso, ridando impulso alla creatività. È grazie alla creatività che l’essere umano può immaginare e costruire il suo futuro. Dai più piccoli dubbi quotidiani alle grandi questioni della scienza, l’uomo riesce a trovare soluzioni concrete grazie alla creatività, che ha un ruolo fondamentale nel guidare le scelte e le relazioni umane. La creatività è in denitiva uno strumento di adat15


tamento, senza il quale l’uomo non potrebbe concepire alternative al presente, pregurare scenari futuri o rileggere il passato. Viene da sé che la creatività ha anche un aspetto trasgressivo e deviante. L’atto creativo supera la realtà organizzata e può scardinare opinioni e convinzioni, cambiare stili di vita e modi di pensare, mettere la realtà in una nuova prospettiva, offrendone un’interpretazione inedita. Illuminante a riguardo la denizione di pensiero creativo come pensiero laterale, uno dei grandi meriti di De Bono, che sul pensiero laterale e i suoi meccanismi ha fondato tutta la sua teoria. Sinteticamente, il pensiero laterale è per De Bono la capacità di mutare d’abito, di cambiare cornice, di trovare una quantità di ingegnose soluzioni inaspettate a un dilemma. Ma già un secolo prima di De Bono, William James (1890) parlò di creatività in termini di “pensiero divergente”, volendo indicare il percorso del processo creativo che lascia il tracciato logico-razionale, convergente, quello della consuetudine e delle regole del pensiero abitudinario, sovvertendo il solito tran-tran mentale e dando vita a un’inedita combinazione di elementi. A De Bono va comunque il merito di aver creato un modello del pensiero laterale, che può essere insegnato e appreso.

1.2 La creatività secondo la losoa e la storia Da Aristotele a Nietzsche, dalla ragione all’impulso creativo L’idea di creatività come atteggiamento mentale proprio degli esseri umani nasce nel Novecento. L’atto del creare è stato a lungo percepito come attributo esclusivo della divinità e i grandi geni del passato non si sarebbero mai deniti come creativi. Propri dell’uomo erano l’inventiva, la genialità, il progresso e l’innovazione, l’arte, l’immaginazione; la parola “creatività” era riferita a qualcosa di trascendentale e divino. Nella losoa la riessione sulla creatività come caratteristica umana è assente no all’era contemporanea, mentre sono stati oggetto d’indagine losoca il genio artistico e l’inventiva umana. La riessione losoca sulla creatività dell’uomo, o meglio sulla sua capacità immaginativa, è caratterizzata da due atteggiamenti antitetici e contrapposti. Da una parte troviamo i loso, che hanno 16


attribuito scarsissimo valore alla fantasia e all’immaginazione, considerando il pensiero razionale come un tratto distintivo dell’uomo fra tutti gli esseri viventi, e relegando l’immaginazione alla sfera dell’irrazionale, denendola vacua, perversa, superstiziosa, o addirittura un malvagio inganno per la ragione. Sul fronte opposto troviamo quanti invece, attribuendo un alto valore agli istinti dell’uomo e alla sua irrazionalità, hanno interpretato la creatività e la fantasia come le più signicative caratteristiche dell’individuo, capaci di liberarlo da condizionamenti e regole, nonché dall’illusoria concezione di un mondo razionale e ordinato, facendole inne coincidere con la vera essenza della vita umana. Uno fra i primi a occuparsi dell’arte in modo circostanziato è stato Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.), che nella Poetica analizza tutte le forme d’arte del tempo, introducendo il concetto di mimesi. Partendo dall’idea che l’uomo è un animale razionale e che la ragione lo distingue dagli altri esseri viventi, Aristotele individua nell’imitazione, la mimesi appunto, il metodo di apprendimento umano, che è un istinto naturale e innato nell’uomo e che è il primo impulso alla creazione artistica. Un secondo impulso all’arte viene dal progressivo e razionale miglioramento delle forme espressive umane, con un conseguente perfezionamento delle opere d’arte che da rozze improvvisazioni si trasformano in perfette forme sempre più complesse e codicate. L’arte «fa le cose che la natura non sa fare oppure imita la natura», ed è per Aristotele frutto del pensiero razionale dell’uomo. O, meglio, il pensiero umano si esplica nitidamente nell’opera d’arte. Un altro concetto fondamentale introdotto da Aristotele è quello di catarsi, che è lo scopo ultimo dell’opera d’arte. Nella Politica il losofo parla della catarsi generata dalla musica, che induce alla meditazione e alla riessione liberando l’uomo dagli affanni quotidiani; nella Poetica invece descrive la catarsi come il liberatorio distacco dalle passioni tramite le forti vicende rappresentate sulla scena del dramma. L’opera d’arte ha lo scopo di puricare l’animo dello spettatore dalle passioni, permettendogli di riviverle intensamente e quindi di liberarsene. Nella visione aristotelica l’opera d’arte ha quindi una sua specica nalità ed è frutto della ragione; inoltre il losofo sostiene che verosimiglianza, credibilità e un certo ordine spazio-temporale sono i requisiti essenziali perché un’opera artistica sia denita tale, mentre 17


l’immaginazione sbrigliata, senza regole e non controllata dalla ragione non rientra nell’indagine di Aristotele e non è considerata come impulso all’arte. Anche Cartesio (1596 – 1650) ha una visione razionale dell’essere umano e della sua attività di pensiero, ed ha esteso a tutti i campi del sapere la concezione razionalistica della conoscenza e il metodo matematico-quantitativo. Egli fa una distinzione tra il concepire, attività propria dell’intelletto, e l’immaginare, che è sempre una facoltà della mente pensante, ma distinta dall’intelletto puro in quanto incapace di fornire prove della reale esistenza delle cose. Per Cartesio, infatti, soltanto l’intelletto può giungere alla verità attraverso l’intuizione e la deduzione, mentre l’immaginazione ha il compito di presentare all’intelletto gli oggetti sotto forma di gure. Essa è la facoltà che consente alla mente di dare forma agli oggetti della percezione, fornendone una rappresentazione mentale e persuadendoci della loro esistenza. Ma l’immaginazione, se non opportunamente controllata, può formare anche rappresentazioni di cose che non esistono, dando corpo a idee ttizie, quindi il fatto di avere una certa immagine mentale riferita a un corpo esterno alla mente non è di per sé una prova che quest’oggetto esista, e l’immaginazione diventa ingannatrice. Cartesio nelle Meditazioni metasiche afferma: «questa facoltà di immaginare che è in me non è in alcun modo necessaria all’essenza di me stesso, cioè all’essenza della mia mente, perché, se anche ne fossi privo, non vi è alcun dubbio che io rimarrei nondimeno quello stesso che sono ora». Una concezione molto sfavorevole dell’immaginazione, che si collega all’analisi della follia e del sogno, liquidati da Cartesio, sempre nelle Meditazioni, come stati in cui il cervello è «sconvolto dal persistente vapore di una nera bile». Immanuel Kant (1724 – 1804), uno dei più importanti esponenti dell’Illuminismo tedesco, è un altro importante losofo “schierato” sul fronte della ragione. Tutta la sua opera è un tentativo di conciliare la regola e la passione, la necessità e la libertà, la natura e l’intelletto, di operare cioè una sintesi degli opposti da sempre perseguita nel pensiero losoco. Kant afferma chiaramente di non approvare la fantasia quando è creatività pura, sregolatezza: «Noi giochiamo spesso e volentieri con l’immaginazione in quanto produce immagini senza volerlo; ma l’immaginazione, in quanto è fantasia, gioca altret18


tanto spesso, e talvolta male a proposito, con noi», scrive nell’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Nella sua concezione la creatività è vincolata e inne sottomessa all’intelletto. Solo in campo estetico l’immaginazione acquista un valore essenziale. Infatti, l’immaginazione ha un ruolo importante nel sentimento del bello, che è alla base del fenomeno artistico e dei giudizi espressi in materia. Il sentimento del bello, scrive il losofo nella Critica del giudizio, lo sperimentiamo grazie al libero gioco tra intelletto e immaginazione produttiva; la bellezza nasce dall’armonia fra il nostro pensiero e la nostra immagine di un certo oggetto, nasce cioè quando l’immagine della nostra immaginazione produttiva ha piena corrispondenza con le aspettative della nostra mente. Il giudizio estetico è comunque vincolato all’uso dell’intelletto, e siamo pronti a considerare un’opera d’arte tale, solo se ci appare bella, cioè se si attua il libero gioco fra intelletto e immaginazione. Tuttavia il vincolo fra immaginazione e intelletto, fondamentale nel giudizio estetico, sembra dissolversi quando Kant parla del genio artistico. Aprendo di fatto e forse inconsapevolmente la strada al Romanticismo, il losofo descrive il genio come un uomo fuori del comune, capace di scatenare in noi con la sua opera il sentimento del bello. Il genio per Kant è il creatore di un mondo alternativo, pieno di bellezza, che solo l’uomo può cogliere e solo il genio può suggerire. La creazione artistica quindi è assolutamente originale ma anche esemplare, diventando canone e riferimento per ogni nuova esperienza artistica ed estetica. Nel genio l’immaginazione produttiva riesce quindi a svincolarsi dall’intelletto e dalle sue regole, con lo scopo di creare un mondo alternativo. Quindi la fantasia irrazionale, bandita da ogni altro campo perché non sottomessa all’intelletto e alle sue regole, in campo estetico diventa l’arma principale del genio e della produzione artistica. Il razionale e metodico Kant ha dato il via al volo della fantasia nell’arte, che cessa una volta per tutte di essere imitazione della natura, diventando vera e totale creazione. Il losofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860), riprendendo il pensiero di Kant e la sua distinzione fra fenomeno (la cosa come appare) e noumeno (la cosa in sé), rovescia la posizione privilegiata della ragione nel processo conoscitivo, a tutto vantaggio dell’irrazionalità e degli istinti. Secondo Schopenhauer, infatti, la ragione 19


esiste solo nel mondo fenomenico e, pur consentendo di raggiungere le alte vette delle astrazioni matematiche e siche, non ci permette tuttavia di andare al di là del mondo dell’apparenza dove è relegata; la ragione non può portare alla vera conoscenza. L’essenza dell’uomo, che la ragione non riesce a cogliere, è la volontà, un istinto che domina tutti gli esseri (dal sasso all’animale, all’uomo), un’invincibile forza interna, un impulso cieco e inconscio, una spinta irrazionale ad affermare se stesso, mera e pura “volontà di vivere” senza scopo alcuno oltre se stessa. I concetti e le parole, i linguaggi tradizionali della ragione sono i mezzi attraverso cui opera la volontà, perciò la ragione è esclusa dal processo conoscitivo oltre la sfera fenomenica. La vera conoscenza si può ottenere attraverso l’evasione dalla volontà, che si realizza non con l’intelletto, che è affermazione della volontà, ma con il rapimento estetico provocato dall’arte. L’arte per Schopenhauer, attraverso il linguaggio allegorico fatto di metafore e immagini, apre la strada alla vera conoscenza, rappresentando il mondo quale esso è realmente. Inoltre l’arte ha anche un valore catartico. Infatti, rappresentando la realtà del mondo, dominato cioè dalla volontà, riesce allo stesso tempo a sottrarre l’uomo ad essa e alla sofferenza che provoca. L’arte riproduce l’innito ciclo d’insoddisfazione e appagamento della volontà, però, essendo solo pura e distaccata rappresentazione, non è in grado di farci soffrire veramente e ci permette di essere, nel momento della contemplazione estetica, puro soggetto conoscente. Radicalmente avverso al razionalismo è stato il pensiero di Friedrich Nietzsche (1844 – 1900), che, ripudiando la «tirannide della ragione sugli uomini», ha sostenuto l’avvento di un nuovo tipo d’uomo, libero da pregiudizi e capace di farsi consapevole creatore di valori nuovi. Quest’uomo nuovo, l’Oltre-uomo, tracciato nel celebre Così parlò Zarathustra e poi ripreso in Al di là del bene e del male, comprende che ogni momento del tempo va vissuto in modo spontaneo e libero, oltre le categorie illusorie del bene e del male, oltre le regole, i condizionamenti e gli obblighi derivanti dalle credenze religiose o metasiche, affrontando la vita per quello che è, un caos irrazionale dove solo l’Oltre-uomo crea i suoi valori. Nietzsche critica Socrate, Platone, Cartesio, Kant e gli illuministi, i positivisti del suo tempo, e inne anche Schopenhauer, ammirato in gioventù e del quale ripren20


de il concetto di volontà irrazionale come vera sostanza del mondo, ma convertendone il pessimismo in ottimismo. Afferma che tutta la losoa occidentale ha preso in considerazione solo la conoscenza razionale e il conseguimento di virtù astratte, negando la vita nella sua espressione più genuina, libera, istintiva. In quest’ottica Nietzsche ha dato grande rilievo al mito, alla poesia e alla musica, attribuendo all’arte un importante valore di liberazione dell’uomo dall’oppressione della razionalità. L’arte permette all’individuo di esprimere la propria creatività e la propria irrazionalità in un mondo che tende a distruggerle. Fin dalla sua prima opera La nascita della tragedia, Nietzsche teorizza due concetti fondamentali in tutto il suo pensiero: lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco. Lo spirito apollineo è il tentativo di spiegare la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos proprio della realtà e non considerando l’essenziale dinamismo della vita. Questo spirito è la componente razionale e razionalizzante dell’individuo e si contrappone allo spirito dionisiaco, che corrisponde alla parte irrazionale dell’individuo e dell’esistenza. Esso è la vera parte dominante della vita vista come ebbrezza, sensualità, esaltazione ed entusiasmo; da Socrate in poi, lo spirito dionisiaco dell’uomo è stato negato per far posto esclusivamente alla parte razionale. Compito dell’Oltre-uomo è riaffermare lo spirito dionisiaco, la forza vitale, l’impulso creativo totalmente libero, che Nietzsche chiama volontà di potenza, una forza benevola e gioiosa capace di trascendere ogni formalizzazione, che rappresenta la vera essenza della vita umana. La creatività nella storia Come rileva Alessandro Antonietti, che ha studiato a fondo l’argomento – sviluppandolo con uno di noi in Creatività nella vita e nella scuola (2003) – la prima espressione occidentale della creatività è ravvisabile nella storia biblica della creazione descritta nella Genesi. Successivamente, il collegamento della creatività alla creazione persisterà nel mondo occidentale no al secolo II d.C. e continuerà poi consolidandosi nella cultura cristiana. Ma orientamenti diversi si manifestano nella cultura orientale taoista e buddista, che non considera l’idea di creazione dal nulla e intende la creazione come un processo di sviluppo, di scoperta, di avvici21


namento alla comprensione della natura dell’Universo. La creatività, in questo contesto, è caratterizzata da un movimento circolare inteso come successiva ricongurazione di una totalità iniziale, mentre nel pensiero occidentale la creatività implica un movimento lineare verso la novità (Lubart, 1999). Parallelamente alla visione giudaico-cristiana della creatività come creazione, in Occidente si afferma la visione platonica. Platone giudica poesia e pittura non come espressioni artistiche, ma frutto di un’ispirazione e di una forza dinamica, come avviene per l’attività del rapsodo e del vate. Sottolinea che la poesia, come la pittura, si rivolge alla parte irrazionale e peggiore dell’animo e corrompe gli uomini, anziché educarli. La poesia mette in rilievo le passioni dell’anima, non facendo per nulla richiamo alla ragione e agli aiuti che essa può fornire per lenire il dolore e per domare le passioni. Pertanto fa perdere il criterio della giusta distinzione fra ciò che è bene e ciò che non lo è (Albert e Runco, 1999). Rileva ancora Antonietti che queste posizioni non furono sistematicamente discusse per quasi 1200 anni. Nel Medioevo si afferma l’idea che uno speciale talento o abilità di un individuo (quasi sempre un maschio) sia espressione di uno spirito esterno che guida la persona. È soltanto con il Rinascimento che le attitudini dei grandi artisti sono riconosciute come loro proprie e non di origine divina. Il tema della creatività rimane comunque in secondo piano no alla presa di posizione al riguardo da parte di molti dei maggiori loso dell’Illuminismo. L’avvento della Rivoluzione scientica sottopone a un vaglio critico i paradigmi culturali e religiosi. Anche se le idee sulla creatività sono rimaste sostanzialmente immodicate fra i secoli XVI e XVIII, il problema si colloca all’interno di una nuova prospettiva. Nel secolo XVIII si opera la distinzione fra l’idea di creatività e di genio, originalità, talento: – il genio non consiste nel possesso di poteri soprannaturali; – il genio, per quanto eccezionale, è una potenzialità di ciascun individuo; – il genio – dote eccezionale e imprevedibile – è diverso dal talento (dote meno straordinaria, prevedibile e riscontrabile nella quotidianità); 22


– molte persone possono avere talento, che può essere sviluppato attraverso l’educazione, ma poche sono geniali (ossia manifestano una decisa originalità che non è il prodotto dell’educazione). In questo periodo si sostiene inoltre che né genio né talento possono svilupparsi in società repressive. Successivamente si sviluppano due modelli che coinvolgono la creatività. Il primo punta sul potere della scienza e sull’uso pratico della ricerca; la creatività acquista un valore ideologico in funzione della sua rilevanza nel denire la natura umana e le condizioni socio-politiche. Con Adam Smith, Rousseau e Malthus si sviluppa un’ideologia della creatività che analizza il signicato sociale e i potenziali pericoli dell’originalità e dell’individualismo nel contesto di rispetto dell’autorità e conservazione dell’ordine sociale. Con l’opera di Darwin e la sua teoria della selezione naturale numerose caratteristiche basilari della creatività sono messe in evidenza, e in particolare il suo valore nell’adattamento. Sulla linea di Darwin, Galton affronta il problema della misurazione delle differenze individuali. Uno dei suoi contributi è la concezione di un’ampia diversità evolutiva che si manifesta in speciche e misurabili differenze individuali. Alla ne del 1800, William James pose il problema del pensiero creativo. Sulla linea di Galton troviamo Terman, il primo americano a svolgere ricerche sul genio e autore dei cinque volumi di Genetic studies of genius, e la Cox, una studiosa che svilupperà un interessante tentativo di indagare la creatività nella prospettiva della psicologia dell’Io. Dopo la Seconda guerra mondiale la ricerca sulla creatività si concentra sulla personalità, i valori, i talenti e il quoziente di intelligenza di persone eccezionalmente creative. Le ricerche di Barron (1968 e 1969), Helson (1967 e 1971) e Mac Kinnon (1962) confermeranno che i fattori individuali più predittivi della creatività sono quelli di sviluppo e familiari e non il quoziente di intelligenza. Durante gli anni Cinquanta e Sessanta quello della personalità diviene uno dei temi caldi. Successivamente, gli interessi si allargano e gli studiosi considerano con la stessa attenzione le persone più o meno creative, senza privilegiare le prime. Ryhamar e Brolin (1999) rilevano che, rispetto ai decenni precedenti, negli anni Ottanta e Novanta c’è stato un crescente interesse 23


nel considerare le qualità umane capaci di produrre nuove e originali idee in un dato contesto sociale, con una particolare attenzione ai fattori ambientali. Ciò sarebbe avvenuto anche grazie all’introduzione di nuovi metodi di ricerca. A questo riguardo Gigerenzer (1994) ha coniato l’espressione “euristica dai metodi alle teorie” per sostenere che nuove teorie della mente sono state proposte dopo che gli psicologi hanno potuto disporre non di nuovi dati, ma di nuovi metodi per elaborare i dati. I nuovi metodi posso suscitare nuove metafore e concetti nell’ambito teorico. Un indirizzo promettente è quello che Sternberg e Lubart (1999) chiamano “delle teorie di conuenza”, in cui si utilizzano vari approcci multidisciplinari e si combinano alcuni degli elementi di, e derivati da, visioni monoprospettiche. Pertanto, la creatività è diventata specico tema di indagine psicologica soltanto in tempi recenti. Infatti, ancora negli anni Cinquanta quest’area di ricerca risultava scarsamente sviluppata (Guilford, 1950). La mancanza di precise conoscenze psicologiche riguardo alla creatività è stata determinata in un primo tempo dal fatto che nell’Ottocento e ancora agli inizi del Novecento la creatività veniva identicata con la genialità e quest’ultima era considerata una dote superiore posseduta da pochi individui. Conseguentemente, si era ritenuto che tale dote non potesse essere oggetto di studio, ma soltanto di trattazione letteraria. Inoltre, i rari lavori scientici compiuti al riguardo si erano concentrati soltanto su alcuni particolari personalità considerate geniali, presentando aspetti bizzarri o patologici della loro struttura psichica (vedi, per esempio, gli studi di Cesare Lombroso sul rapporto tra genio e follia). Nel 2001 Robert J. Sternberg, nell’introdurre un numero dell’«American Psychologist» dedicato a Creatività per il nuovo millennio, sottolinea come negli anni Cinquanta gli articoli di riviste relativi alla creatività erano passate progressivamente da una quota annuale di 16 a 56; nel 1999 la quota era salita a 328 ed erano comparse due riviste – il «Journal of Creative Behavior» e il «Creativity Research Journal» – centrate sul tema della creatività, mentre altre trattavano ampiamente l’argomento. Perché è avvenuto questo cambiamento? Secondo Antonietti, innanzi tutto un mutato clima socio-culturale ha indotto a considerare la creatività un potenziale intellettivo non limitato a un ristretto numero 24


di persone, ma posseduto da tutti. Oggi si ritiene che la creatività sia patrimonio di ogni individuo ad ogni età, ma si riconosce che essa è presente nelle varie persone in forme diverse, relative non solo alle attività artistiche o scientiche ma anche a quelle della vita quotidiana. In tempi recenti si è assistito all’estensione del numero dei campi in cui si pensa possa manifestarsi la creatività. Così, se nel passato arte e scienza erano i soli ambiti in cui potevano evidenziarsi capacità creative, oggi si ritiene che creativi possano essere deniti anche i modi in cui una bambina inventa il nome della propria bambola, in cui un insegnante trova un esempio per chiarire un concetto, in cui un meccanico riesce a sostituire un attrezzo di cui ha bisogno e di cui non può disporre, in cui una casalinga cucina una pietanza. Un ulteriore fattore che ha stimolato il recente interesse per la creatività è rappresentato dal fatto che mutate richieste provenienti dal mondo del lavoro hanno portato a valorizzare adeguatamente le risorse produttive offerte dagli individui capaci di svolgere i compiti loro afdati in modo originale. Conseguentemente, è stata sollecitata l’ideazione di strumenti atti a individuare tali abilità e di metodologie volte a svilupparle. Inne, la psicologia ha messo a punto strumenti concettuali e statistici tali da permettere un’indagine rigorosa e attendibile del pensiero creativo.

1.3 La creatività e la scienza nell’antichità (a cura di Alessandro Porro1)

Premessa Come riessione preliminare e a proposito dei termini che si vogliono sottolineare, creatività e scienza, non si intendono qui sviscerare, né velleitariamente comprendere e condensare in poche pagine, diatribe e dibattiti ultrasecolari (o millenari), ovvero affrontare compiutamente le dimensioni psicologica, losoca, epistemologica o metodologica. Tenendo conto della sensibilità delle donne e degli uomini d’oggi, si ricorderà la presenza nel mondo antico, e semplicativamente, di 1 Dipartimento di Specialità Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Medico Forensi. Sezione di Scienze Umane e Medico Forensi. Cattedra di Storia della Medicina. Università degli Studi di Brescia.

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taluni riferimenti (o se si preferisce, aspetti) comunemente accettati ed accettabili come indicatori di creatività e di scienza. Quanto al primo dei termini, la creatività, il punto di riferimento principale non potrà che pervenire dalle odierne discipline psicologiche, con una denizione e raccolta di concetti che riferiti alla capacità «di riconoscere tra pensieri ed oggetti nuove connessioni che portano a innovazioni e a cambiamenti» (Galimberti, 1999), così come alla riconoscibilità e accettazione da parte degli altri (intesa come delimitazione dalla patologia, o dall’arbitrarietà). Quanto alla scienza, giova ricordare che i nostri concetti quantitativi, oggettivi, di matrice galileiana, non dovrebbero essere usati (trattando dell’antichità), giacché alla dimensione qualitativa noi dobbiamo riferirci. Allora, e non certo sorprendentemente, sarà facile comprendere che creatività e scienza tenderanno a convergere, se non a identicarsi: in questi nostri tempi di parcellizzazione specialistica e di riduzionismo scientista, è forse utile proporre anche una visione maggiormente integrata di quantità e qualità. L’Antico Testamento Il primo spunto ci riporta alle radici della nostra cultura, al libro denito così per antonomasia. La stessa Bibbia potrebbe essere denita opera creativa ed innovativa di per sé, a riguardo delle culture e delle fedi religiose d’epoca e d’ogni epoca. Dove ritrovare la dimensione creativa? Dove il rapporto con la scienza? Fra i libri cosiddetti poetici (Giobbe, Salmi, Qoelet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide), alcuni possono proporci indicazioni utili, dalle quali partire. Si tratta, preliminarmente, di assumere la dimensione poetica, come indicatore della creatività. Il passo successivo sarà quello di identicare quando essa entri in contatto con la dimensione scientica, ovvero di vericare la presenza di contenuti scientici nei libri poetici dell’Antico Testamento2. 2

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Su un piano strettamente medico, si veda, ad esempio: Porro A., La forma


Che i temi e le gure della creatività e della scienza fossero strettamente congiunti, e non disgiunti, ce lo indica la chiosa del libro del Qoelet, laddove la gura dell’autore viene denita anche nei termini della divulgazione e della formazione scientica (e la forma scelta era proprio quella poetica): «9Oltre essere saggio, Qoelet insegnò anche la scienza al popolo; ascoltò, indagò e compose un gran numero di massime. 10Qoelet cercò di trovare pregevoli detti e scrisse con esattezza parole di verità. 11Le parole dei saggi sono come pungoli; come chiodi piantati, le raccolte di autori: esse sono date da un solo pastore» (Qoelet 12, 9-11). In questo brano, troviamo anche la chiave interpretativa della raccolta dei singoli testi, lungo una fase diacronica: lo stesso discorso potrà essere applicato, mutatis mutandis, anche al complesso delle opere di medicina costituenti il cosiddetto Corpus Hippocraticum. Nei brani poetici che saranno citati, noi possiamo inizialmente ed incidentalmente ricordare e ritrovare le tracce dell’osservazione naturalistica: dalla descrizione del mondo, nei suoi vari e multiformi aspetti, passeremo alla delineazione di alcune caratteristiche della creatività e della scienza. Si potrebbe, dunque, partire dalla descrizione della terra, negli aspetti negativi del danno idrogeologico: «18Ohimè! come un monte / nisce in una frana / e come una rupe si stacca dal suo posto, / 19e le acque consumano le pietre, / le alluvioni portano via il terreno» (Giobbe 14, 18-19). Possiamo anche riscontrare, all’opposto, quelli positivi della rinascita vegetale: «7Perché anche per l’albero c’è speranza: / se viene tagliato, ancora ributta / e i suoi germogli non cessano di crescere; / 8se sotto terra invecchia la sua radice / e al suolo muore il suo tronco, / 9al sentore dell’acqua rigermoglia / e mette rami come nuova pianta» (Giobbe 14, 7-9). È, tuttavia, la descrizione della mineralurgia e della metallurgia a darci informazioni precise sulla creatività e sulla scienza, che trovano un’applicazione delle adeguate tecnologie, allorché l’uomo muta l’ambiente, a suo vantaggio: «1Certo per l’argento / vi sono miniere poetica come veicolo di competence medica. In: Medicina e letteratura. A cura di Carlo Cristini e Alessandro Porro, Rudiano, GAM editrice, 2007, pp. 18-38.

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/ e per l’oro luoghi ove esso si rafna. / 2Il ferro si cava dal suolo / e la pietra fusa libera il rame. / 3L’uomo pone un termine alle tenebre / e fruga no all’estremo limite / le rocce nel buio più fondo. / 4Forano pozzi lungi dall’abitato / coloro che perdono l’uso dei piedi: / pendono sospesi lontano dalla gente / e vacillano. / 5Una terra, da cui si trae pane, / di sotto è sconvolta come dal fuoco. / 6Le sue pietre contengono zafri / e oro la sua polvere. / 7L’uccello rapace ne ignora il sentiero, / non lo scorge neppure l’occhio / dell’aquila, / 8non battuto da bestie feroci, / né mai attraversato dal leone. / 9Contro la selce l’uomo porta la mano, sconvolge le montagne: / 10nelle rocce scava gallerie / e su quanto è prezioso posa l’occhio: / 11scandaglia le sorgenti dei umi / e quel che vi è nascosto porta alla luce» (Giobbe 28, 1-11). La creatività si mostra anche nell’attività venatoria (e della guerra): l’allestimento delle trappole può essere indirizzato alla sopravvivenza pacica (per trarre alimento) o alla distruzione del nemico: «8poiché incapperà in una rete / con i suoi piedi / e sopra un tranello camminerà. / 9Un laccio l’afferrerà per il calcagno, / un nodo scorsoio lo stringerà. / 10Gli è nascosta per terra una fune / e gli è tesa una trappola sul sentiero» (Giobbe 18, 8-10). Trattando di attività collettive, come la caccia e la guerra, siamo indotti ad analizzare la creatività collettiva, e lo facciamo ricordando un altro episodio, che non ci perviene da un libro poetico, ma da quello dell’Esodo: è l’episodio della costruzione del vitello d’oro (Esodo 32, 1-6). «1Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: “Facci un Dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatto uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 2Aronne rispose loro: “Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre glie e portateli a me”. 3Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. 4Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!” 5Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: “Domani sarà festa in onore del Signore”. 6Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e 28


presentarono sacrici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento» (Esodo 32, 1-6). Questo celeberrimo episodio ci propone anche una riessione intorno al tema del rapporto dialettico fra la tradizione e l’innovazione, cruciale per l’evoluzione scientica (e che sarà ripreso in seguito). Altri episodi inerenti la creatività dei gruppi potrebbero essere citati: si vuole qui ricordare la costruzione del Santuario con la descrizione, dettagliatissima, che occupa l’ultima parte del libro (Esodo 35-40), con ben sei interi capitoli. Torniamo, però, alla realtà della singola esistenza umana, di un ciclo di vita unico ed immutabile, nei suoi estremi cronologici. Seppur venata di pessimismo, possiamo rinvenire una succinta descrizione dell’assistenza alla nascita ed al puerperio: «9Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, / speri la luce e non venga; / non veda schiudersi le palpebre dell’aurora, / 10poiché non mi ha chiuso il varco / del grembo materno, e non ha nascosto / l’affanno agli occhi miei! / 11E perché non sono morto / n dal seno di mia madre / e non spirai appena uscito dal grembo? / 12Perché due ginocchia mi hanno accolto, / due mammelle mi hanno allattato?» (Giobbe 3, 9-12) L’evento nascita è descritto in molti suoi aspetti, positivi e negativi. La centralità del ruolo della levatrice si dimostra in tutta evidenza, quando il parto assume caratteristiche drammatiche: «16Quindi levarono l’accampamento da Betel. Mancava ancora un tratto di cammino per arrivare ad Efrata, quando Rachele partorì ed ebbe un parto difcile. 17Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: “Non temere: anche questo è un glio!” 18Mentre esalava l’ultimo respiro, perché stava morendo, essa lo chiamò Ben-Oni, ma suo padre lo chiamò Beniamino. 19Così Rachele morì […]» (Genesi 35, 16-19) La creatività delle levatrici si esprime sia nell’ambito del singolo evento-nascita, sia nel caso della gestione dell’assistenza alla collettività. Nel primo caso, ci troviamo di fronte ad un parto gemellare: la prontezza della levatrice consente di risolvere il problema dell’identicazione del primo nato (il tema della primogenitura, come ben sappiamo, era ed è di grande importanza): «27Quand’essa fu giunta al momento di partorire, ecco aveva nel grembo due gemelli. 28Durante 29


il parto, uno di essi mise fuori una mano e la levatrice prese un lo scarlatto e lo legò attorno a quella mano, dicendo: “Questi è uscito per primo”. 29Ma, quando questi ritirò la mano, ecco uscì suo fratello. Allora essa disse: “Come ti sei aperta una breccia?” e lo si chiamò Perez. 30Poi uscì suo fratello, che aveva il lo scarlatto alla mano, e lo si chiamò Zerach» (Genesi 38, 27-30). Nel secondo caso, è l’atteggiamento tenuto dalle levatrici nei confronti del Faraone a salvare il popolo d’Israele: «15E il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: 16 “Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”. 17Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: “Perché avete fatto questo, e avete lasciato vivere i bambini?” 19Le levatrici risposero al Faraone: “Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno già partorito!” 20Dio benecò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia» (Esodo 1, 15-21). L’opposto polo è rappresentato dalle descrizioni della vecchiaia e della morte: esse possono essere racchiuse in pochi versi, ovvero in lunghi brani. Non vi è solo la classica descrizione della vecchiaia come dato patologico: «20Toglie la favella ai più veraci / e priva del senno i vegliardi» (Giobbe 12, 20). La vecchiaia può essere considerata anche assai positivamente: 12 « Nei canuti sta la saggezza / e nella lunga vita la prudenza» (Giobbe 12, 12). Fra i libri dell’Antico Testamento, quello poetico del Qoelet spicca per la rappresentazione della condizione del vecchio: «7Dolce è la luce / e agli occhi piace vedere il sole. 8Anche se vive l’uomo per molti anni / se li goda tutti / e pensi ai giorni tenebrosi, / che saranno molti: / tutto ciò che accade è vanità. / 9 Sta’ lieto, o giovane, nella tua giovinezza, / e si rallegri il tuo cuore / nei giorni della tua gioventù. / Segui pure le vie del tuo cuore / e i desideri dei tuoi occhi. / Sappi 30


però che su tutto questo / Dio ti convocherà in giudizio. / 10Caccia la malinconia dal tuo cuore, / allontana dal tuo corpo il dolore, / perché la giovinezza e i capelli neri / sono un sofo. / 12 / 1Ricordati del tuo creatore / nei giorni della tua giovinezza, / prima che vengano i giorni tristi / e giungano gli anni di cui dovrai dire: / “Non ci provo alcun gusto”, / 2prima che si oscuri il sole / la luce, la luna e le stelle / e ritornino le nubi dopo la pioggia; / 3quando tremeranno i custodi della casa / e si curveranno i gagliardi / e cesseranno di lavorare / le donne che macinano, / perché rimaste in poche, / e si offuscheranno / quelle che guardano dalle nestre / 4e si chiuderanno le porte sulla strada; / quando si abbasserà il rumore della mola / e si attenuerà il cinguettio degli uccelli / e si afevoliranno tutti i toni del canto; / 5quando si avrà paura delle alture / e degli spauracchi della strada; / quando orirà il mandorlo / e la locusta si trascinerà a stento / e il cappero non avrà più effetto, / perché l’uomo se ne va nella dimora eterna / e i piagnoni si aggirano per la strada; / 6prima che si rompa il cordone d’argento / e la lucerna d’oro si infranga / e si rompa l’anfora alla fonte / e la carrucola cada nel pozzo / 7e ritorni la polvere alla terra, / com’era prima / e lo spirito torni a Dio che lo ha dato. / 8Vanità delle vanità, dice Qoelet, e tutto è vanità» (Qoelet 11, 7 – 12, 8). La vita e il suo correre verso la morte sono descritti per metafore, nelle quali possiamo riconoscere le principali modicazioni indotte dalla vecchiaia, dalla sdentizione (e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste in poche) alla sordità (quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si afevoliranno tutti i toni del canto), dalle turbe dell’equilibrio (quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada) alla cataratta (prima che si oscuri il sole la luce, la luna e le stelle), dall’impotenza sessuale (e il cappero non avrà più effetto) alla depressione (e giungano gli anni di cui dovrai dire: “Non ci provo alcun gusto”), all’emarginazione sociale e, inne, alla morte. Esiste, tuttavia, un modello di creatività che si impone alla nostra attenzione, anche perché appare assolutamente ammaestrativo della possibilità di una vecchiaia serena, feconda, attiva: si tratta di Noè (e della storia della costruzione dell’arca). «14Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. 15Ecco come devi 31


farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. 16Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un alto metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore» (Genesi 6, 14-16). Anche cercando di attuare una correzione alla determinazione cronologica dell’età (i 600 anni non devono essere considerati alla lettera), Noè poteva già essere ascritto alla categoria degli anziani, all’epoca di costruzione dell’arca. Egli visse ancora molti anni (i testi citano la cifra di 350 anni): diminuendo la somma (950 anni) di un fattore 10, otterremmo un’età totale di 95 anni, compatibile con i nostri dati biologici e assai rilevante per la durata media della vita, in quel tempo. La Grecia e Roma: loso, medici, matematici, creativi Accenniamo ora ad un’altra fonte della nostra cultura, quella civiltà greca (intesa in senso ampio) nella quale la creatività contraddistingueva non solo matematici, scienziati, medici, loso, poeti, ma rappresentava un tratto distintivo dell’uomo. Lo faremo ricordando alcune gure emblematiche del mondo medico e di quello matematico. Il primo riferimento va alla gura di Ippocrate di Coo (460-ca. 360 a. C.), o meglio, a un complesso di opere a lui attribuite, con l’intitolazione di Corpus Hippocraticum3. Anche per la struttura del Corpus Hippocraticum vale la riessione sulle sue complessità, eterogeneità e diacronicità intrinseche, già proposta per i libri dell’Antico Testamento. L’oggetto di questa prima riessione sarà rappresentato dall’analisi del rapporto fra osservazione naturalistica e funzionamento del corpo umano. Volendo semplicare, si tratta di valutare i rapporti fra macrocosmo e microcosmo. Il macrocosmo, cioè il mondo che ci circonda, è caratterizzato dai quattro elementi, dotati di coppie di qualità antinomiche (di derivazione pitagorica). 3 Non perde d’interesse ed attualità il volume: Ippocrate, Opere. A cura di Mario Vegetti, Torino, UTET, 1976.

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Il microcosmo, cioè il nostro corpo, è caratterizzato dai quattro umori, anch’essi dotati di coppie di qualità antinomiche. La comparazione di due tabelle potrà facilitare la comprensione (Porro, 2007). Macrocosmo Punti cardinali

Est

Stagioni

Primavera

Età della vita

Infanzia

Elementi

Aria

Qualità

Sud

Ovest

Nord

Estate

Autunno

Inverno

Giovinezza

Età virile

Vecchiaia

Fuoco

Terra

Acqua

Umido e caldo

Secco e caldo

Secco e freddo

Umido e freddo

Qualità

Umido e caldo

Secco e caldo

Secco e freddo

Umido e freddo

Umori

Sangue

Bile gialla

Bile nera

Flegma o pituita

Microcosmo

Come si può facilmente notare, le qualità, comuni a elementi e umori, rappresentano uno dei ponti fra macrocosmo e microcosmo. Si possono, naturalmente e facilmente, operare altre associazioni e comparazioni (provenienti dalle altre espressioni della prima tabella). Ma come nasce questo sistema così solido, destinato a persistere per oltre due millenni? A Ippocrate si attribuisce il merito di un’acuta osservazione delle modicazioni degli stati del sangue, come spunto di partenza. Poi, è la creatività a giocare il ruolo principale. L’applicazione dei criteri interpretativi basati sulle qualità integra gli schemi propri della tradizione, e li rende nuovi. Anche questo rinnovamento è sottoposto a un’evoluzione (od una vita). Nell’affermazione compiuta dell’innovazione, nella sua canonizzazione, sta il germe del declino che, tuttavia, prepara altre innovazioni. 33


Le applicazioni pratiche delle teorie ippocratiche (grazie anche all’integrazione in termine siologico dovuta a Galeno di Pergamo Claudius Galenus, 129/130-199/201, nella Roma grecizzata, quanto a cultura, del primo Impero) saranno la base dell’esercizio medico per quasi due millenni. Quando la creatività supera il difcile crinale che introduce alla patologia? Le trattazioni classiche ci riportano a concetti che oggi deniamo nei termini (volutamente generali, se non generici) di disagio, disturbo, malinconia. Quest’ultimo fa esplicito riferimento alla melaine colè, la bile nera (o atrabile): le qualità e i relativi e correlabili rapporti con il macrocosmo ci devono mettere in luce non solo evidenti caratteristiche denotanti i pazienti con disturbo bipolare, ma anche una particolare sensibilità e qualità di memoria interpretabili in un senso non negativo. Tuttavia, sarebbe utile, per l’assunto presente, identicare un autore o un’opera nella quale anche la patologia non risultasse connata in osservazioni incidentali, ma fosse strettamente correlata con la creatività, in maniera di non essere vincolata e compressa nell’ambito del mero caso clinico. Un esempio potrebbe proporsi, attraverso l’ergobiograa di Publio Elio Aristide (117-ca. 180), retore di origine e cultura greca. I suoi Discorsi sacri (Elio Aristide, 1984)4 ci propongono, in forma autobiograca, uno dei quadri più completi dell’esperienza terapeutica propria dell’antichità greco-ellenistica-romana. Una lettura del testo aristideo, alla luce delle nostre sensibilità, ci permette di rintracciare le radici antiche di molte pratiche psicoterapiche (per usare un termine moderno). Ritorniamo così al problema già accennato del controllo e della tollerabilità sociale delle forme di estrema creatività. Parafrasando un concetto, proposto da Mazzini per l’evoluzione dell’anatomia, si dovrebbe considerare la possibilità dell’esistenza in medicina non solo [di] ricerca, ma anche [di] spettacolo [, soprattutto nel] passaggio dall’età ellenistica a quella romana (Mazzini, 1997). 4

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Si tratta della prima traduzione dell’opera in lingua italiana.


Sulla centralità del rapporto microcosmo/macrocosmo e della sua persistenza per secoli e secoli, potrebbero proporsi molti esempi: un non usuale punto di riferimento potrebbe essere rappresentato dall’interesse per la siologia e la patologia del regno minerale. Questo spunto di interesse è di remota origine, e si integrò perfettamente con la ricerca in campo patologico animale e vegetale. Si pensi, e semplicativamente e facendo un salto temporale che ci estrania dai limiti cronologici prescelti, all’opera del medico svedese Jacob Ludeen (Ludenius) (?-1712) inerente la genesi dei calcoli: la calcolosi viene dall’autore messa in relazione non solo con fenomeni interessanti tutti gli organismi viventi (e non solo l’uomo), ma anche con la geologia e la teologia, a riguardo della Creazione. Queste riessioni sulle cause prime e ultime della litogenesi non furono proprie solo di quell’autore e di quei tempi. Si pensi, per restare nel nostro ambito culturale, alle ricerche e riessioni di Paolo Gorini (1813-1881): è pur vero che esse restarono ai margini sia della geologia, sia della medicina (o della scienza tout court), ma inuirono sui due grandi campi d’indagine, anche in virtù della dimensione tecnica di modernità ad esse sottesa. Si tratta di una creatività che si sostanzia anche nell’evoluzione tecnica della strumentazione scientica. Tornando al periodo della classicità, e passando (usando un termine moderno) da quelle che potrebbero essere considerate le scienze della vita (si pensi, per analogia, all’innovazione prodotta dagli studi embriologici aristotelici) a una dimensione più teorica, il pensiero corre alle soluzioni di ardui problemi di geometria proposti da Archimede (Archimedes, ca. 287 a.C.-212 a.C.). La geometria della sfera può essere presa a paradigma della creatività di Archimede: il calcolo dell’area della sua supercie e del suo volume (egli dimostrò che in ogni sfera un cilindro che abbia per base un circolo massimo della sfera e l’altezza uguale al diametro della sfera, ha per volume i tre mezzi di quello della sfera e tutta la sua supercie è i tre mezzi di quella della sfera), così come la determinazione del valore del pi greco, restano quali monumenti della cultura universale. A proposito dell’interesse sempiterno per le riessioni archimedee, 35


si possono ricordare le edizioni cinquecentesche curate da Francesco Maurolico (1494-1575)5. L’edizione di riferimento è quella delle Admirandi Archimedis Syracusani Monumenta Omnia Mathematica Qvae Extant […] Ex Traditione Dcoctissimi Viri D. Francisci Mavrolyci […], Panormi, Apud D. Cyllenium Hesperium, Cum Licentia Superiorum, MDC.LXXXV. Sumpt. Antonini Giardinae, Bibliopolae Panorm. Si tratta di un volume in-folio di cc. 152, ed alle pp. 40-85 è riportato l’Archimedis Liber De Sphaera, Et Cylindro, Ex Traditione Evtocii Per Franciscum Mavrolycum Mamertinum […], datato Messanae 10. Septembris octauiae Indictionis 1534. A proposito del trattato archimedeo de sphaera et cylindro, i riferimenti a opere posteriori, anche quali fonti primarie per l’edizione mauroliciana, ci confermano che sulla tradizione testuale si innesta la creatività: il risultato è l’innovazione, sicché il matematico siciliano aggiunge nuove propositiones. Che dire, poi, delle applicazioni pratiche delle riessioni teoriche dell’antico losofo siracusano? Ad Archimede sono attribuite le elaborazioni della puleggia composta, della coclea per il sollevamento dell’acqua, per non parlare delle applicazioni all’arte militare (celeberrime sono le opere di difesa dagli attacchi marini, a Siracusa), o la determinazione del primo principio dell’idrostatica.

Tradizione e innovazione: Isidoro di Siviglia

Facciamo ancora un salto d’epoca, raggiungendo la realtà romana imperiale e tardoantica-altomedievale. Ciò ci consentirà di riprendere il tema, già accennato, del rapporto fra tradizione e innovazione, e di proporre alcune riessioni in ordine all’originalità del pensiero scientico. Una prima citazione può essere proposta restando all’interno della medicina e della chirurgia. Un aspetto interessante della medicina romana è certamente quello dell’enciclopedismo e della produzione di sillogi ed epitomi di testi medico-chirurgici. 5 Vedasi l’interessante Progetto Maurolico, diretto dal professor Pier Daniele Napolitani del Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa.

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Uno dei casi più signicativi è quello di Aulo Cornelio Celso (Aulus Cornelius Celsus, I sec. d. C.), i cui otto libri De Medicina sono non solo una delle fonti principali per la nostra conoscenza della medicina antica (e del metodo ippocratico, al quale egli si rifà), ma anche uno fra i testi di riferimento per la pratica medico-chirurgica per molti secoli a venire. Rifacendoci di nuovo al testo di Mazzini, il rapporto fra creatività e scienza (come produzione tecnologica) appare particolarmente evidente per quanto concerne l’ambito chirurgico. Nell’evoluzione della chirurgia pre- e post-celsiana possiamo riconoscere: maggiore ricchezza e specicità della strumentazione, arricchimento della casistica, afnamento o diversicazione delle tecniche operatorie, ampliamento delle condizioni di rischio, ulteriori dettagli sulla terapia post-operatoria (Mazzini, 1997). Volendo ampliare il tema a quello dell’enciclopedismo lato sensu, l’esempio che spicca è certamente quello delle opere di Isidoro, vescovo di Siviglia (Isidorus Hispalensis, 556/571-636). Ci stiamo già inoltrando nell’età medievale. Proponiamo una riessione avente ad oggetto le Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiae sive Origines, il testo di riferimento per comprendere la complessità altomedievale nella sua componente gnoseologico-pedagogica (Isidoro di Siviglia, 2006). L’enumerazione della struttura di questa ricostruzione dello scibile umano è sufciente a farci intravedere la sua maestosa grandiosità. Nella ricerca etimologica sta la radice di ogni conoscenza: noi possiamo con ducia afdarci ad un lungo cammino di ricerca, esteriore e interiore, che ha nei nomi il riesso di un’unitarietà prevedente ogni particolarità. L’opera di Isidoro è divisa in venti libri, uno dei quali ulteriormente diviso in ambiti disciplinari: Libro I: Della grammatica; Libro II: Della retorica e della dialettica; Libro III: Della matematica (a sua volta, così suddiviso: Dell’aritmetica; Della geometria; Della musica; Dell’astronomia); Libro IV: Della medicina; Libro V: Delle leggi e dei tempi; Libro VI: Dei libri e degli ufci ecclesiastici; Libro VII: Di Dio, degli angeli e dei Santi; Libro VIII: Della Chiesa e delle sette; Libro IX: Di lingue, popoli, regni, milizia, cittadini ed afnità; Libro 37


X: Dei vocaboli; Libro XI: Dell’essere umano e dei portenti; Libro XII: Degli animali; Libro XIII: Dell’universo e delle sue parti; Libro XIV: Della terra e delle sue parti; Libro XV: Degli edici e dei campi; Libro XVI: Delle pietre e dei metalli; Libro XVII: Dell’agricoltura; Libro XVIII: Della guerra e dei giochi; Libro XIX: Delle navi, degli edici e delle vesti; Libro XX: Delle provviste e degli strumenti domestici rustici. Isidoro impiega gli ultimi venti anni della sua vita nella compilazione delle Etymologiae: una compilazione enciclopedica di così lunga elaborazione parrebbe essere antipodica rispetto ai concetti di creatività. A tutta prima, non ci si discosta dalla classicazione delle sette arti liberali, nel Trivium e Quadrivium. La realtà, naturalmente, ci mostra qualcosa di totalmente consono, non solo ai concetti di creatività e di scienticità proposti all’inizio di questo contributo, ma anche a quelli di una creatività che assume le caratteristiche di segnale identicativo di tutta l’esistenza. Esulerebbe dai limiti destinati al presente contributo analizzare dettagliatamente ogni capitolo dell’opera isidoriana: qualche accenno a talune trattazioni può essere però proposto. Nel primo capitolo del Libro XI (I. Dell’essere umano e delle sue parti), noi potremmo ritrovare l’estesiologia, parte di concetti oggi denibili nell’ambito della psicologia generale e la terminologia anatomica (sempre per usare concetti e termini moderni) orientata classicamente dalla testa ai piedi (ancor oggi si mantiene questa topograa). Nel secondo capitolo (II. Delle età degli esseri umani) sono trattati temi di gerontologia, con una partizione, che vale la pena rammentare. La prima età è l’infanzia, che termina a sette anni; la seconda età è la fanciullezza, che termina a quattordici anni; segue l’adolescenza, no ai ventott’anni, mentre l’età della giovinezza termina ai cinquanta anni. La quinta età è quella della persona anziana, ossia la maturità: non è ancora vecchiaia, ma non è più gioventù, e va dal cinquantesimo al settantesimo anno. Tutta la vita successiva, qualunque sia la sua durata, appartiene alla sesta età, la vecchiaia. Si tratta di una partizione delle età della vita del tutto particolare, ed aderente alla realtà siologica e psicologica in misura maggiore, 38


rispetto a quelle che erano proposte dalla tradizione (con partizioni uniformi e rigide). Il Libro IV (Della medicina) rappresenta non solo un sunto completo delle conoscenze mediche, ma propone anche le conoscenze mediche quali una seconda losoa: la medicina e la losoa hanno infatti come oggetto l’uomo, e ne curano l’una il corpo e l’altra l’anima. Il medico, allora, deve conoscere la grammatica, la retorica, la dialettica, l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia. Siamo alle radici della formazione dotta (e in seguito, accademica), che sarà propria di ogni medico, no ai giorni nostri. Non si può ignorare che creatività, forma poetica e scienza saranno sempre strettamente collegate per tutto il Medioevo – si pensi all’opera di Dante Alighieri (1265-1321) e alla sua rappresentazione iconograca del Purgatorio, vera innovazione creativa, losoca, teologica e scientica – e si fonderanno in una nuova creatività culturale, propria dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Conclusione

Si possono ora proporre alcune riessioni conclusive. La prima, di ordine generale, è quella che perviene dalla faticosa ricerca delle nostre radici: la ricompensa, in termini di maturazione interiore e di conoscenza, è sempre innitamente superiore agli sforzi profusi. L’esempio della lettura del testo isidoriano è, a questo proposito, esemplicativa. La seconda riessione, di ordine particolare, ci dovrebbe far pensare al fatto che, oggi, il legame fra creatività e scienza non è solo quello legato alla serendipity o all’uomo di genio (per usare questo termine vecchio d’oltre un secolo): la creatività, come la valenza storica, appartiene anche alla nostra attività quotidiana (Porro, 2004), scientica e non scientica, ed ambedue possono (o dovrebbero, per meglio dire) accompagnarci lungo tutta la nostra esistenza.

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1.4 Il processo creativo Il processo creativo ha permesso alla specie umana di evolvere. «La storia dell’evoluzione suggerisce che l’universo non abbia mai smesso di essere creativo», scriveva Karl Popper. L’essere umano e l’ambiente che lo circonda costituiscono un prodotto, una continuità e uno sviluppo creativo del mondo e della vita. La creatività è l’essenza dell’uomo, della sua origine e del suo futuro. La fantasia, le capacità immaginative, la forza creativa sono presenti in tutte le persone, di ogni condizione ed età (Cesa-Bianchi, 1998; Cesa-Bianchi e Sala, 2008; Andreis, Cesa-Bianchi et al., 2008; Callieri, 2008; Cesa-Bianchi e Cristini, 2009). Esistono indubbiamente i talenti artistici le cui doti spesso si intravedono già in età scolastica. L’abilità del tratto, la sfumatura poetica, la sensibilità al suono, l’originalità della sintesi aforano talvolta precocemente nelle espressioni dell’artista nascente, che attraverso l’esercizio svilupperà e afnerà le sue composizioni. Ma le capacità creative costituiscono una prerogativa di ogni essere umano, rappresentano il pensiero che si produce e rinnova, e l’uomo si denisce attraverso il suo pensiero. «È dunque il pensiero che fa l’essenza dell’uomo, senza il quale (pensiero) non lo possiamo immaginare (uomo)», annotava Blaise Pascal. La creatività richiede di essere rispettata, coltivata e talvolta sa conservare la propria energia vitale, nonostante prolungate inibizioni ambientali e culturali. La forza creatrice sa travalicare ogni forma di amnesia, di coercizione e occultamento educativo. Si teme a volte la creatività poiché fanno paura i cambiamenti, la nascita di nuovi pensieri e coscienze. La creatività nasce con l’essere umano, attribuisce senso alla sua natura e, attraverso la propria tendenza espressiva, traccia l’evoluzione del pensiero, a volte tra le indenite maglie della sofferenza, a volte come sua densa, singolare rappresentazione. Secondo Guilford (1959) le abilità creative sono determinate da un insieme eterogeneo di qualità del pensiero: a) uidità: capacità di produrre un elevato numero di idee partendo da uno stimolo senza considerare le sue caratteristiche oggettive; b) essibilità: capacità di modicare l’impostazione del pensiero superando l’egocentrismo per valutare lo stimolo da diversi punti di vista; c) elaborazione: capacità 40


di integrare fra loro informazioni e dati diversi sulla natura dello stimolo; d) valutazione: capacità di scegliere fra diverse alternative la più adatta. Secondo Piaget (1945) le variabili intellettuali che caratterizzano l’atto creativo si riferiscono alla capacità di associazione e di dissociazione. Alla base della creatività vi sarebbe una forma di pensiero “divergente”, meno vincolato a schemi rigidi ed in grado di produrre molteplici alternative. Quando si parla di creatività non si intende solo quella dell’artista o dell’uomo di genio, ma si considera anche la disposizione che potrebbe presentare qualsiasi persona per realizzare se stessa. «Il signicato di creatività si è smarrito disastrosamente nel convincimento che si tratti di qualcosa cui ricorriamo occasionalmente, soltanto nei giorni di festa. La premessa da cui dobbiamo partire per discernere il vero signicato di creatività è che in essa si esprime l’uomo normale nell’atto di realizzare se stesso, non come prodotto di uno stato morboso, bensì come rappresentazione del massimo grado di equilibrio emotivo […] che si ritrova nell’opera dello scienziato o dell’artista, del pensatore o dell’esteta […] o nel normale rapporto di una madre con il glio», afferma Rollo May (1959). Erich Fromm (1959) ha approfondito il rapporto tra creatività e sentimento di sicurezza. Egli considera l’essere umano coinvolto in una dicotomia di tendenze: da una parte riuta di abbandonare le condizioni infantili, fonte di sicurezza, dall’altra cerca di conseguire condizioni nuove che gli diano la possibilità di impiegare le forze in modo più completo. «L’uomo è tormentato dal desiderio di regredire no a rientrare nell’utero materno e dal desiderio di essere nato completamente […] ogni atto natale esige il coraggio di abbandonare qualcosa, di abbandonare l’utero, di abbandonare il seno, di abbandonare il grembo, di sciogliersi dalla madre che ci tiene, di abbandonare alla ne tutte le incertezze e di afdarsi a una cosa sola: ai propri poteri di essere consapevole e ducioso nella propria creatività […] essere creativi signica considerare tutto il processo vitale come un processo della nascita e non interpretare ogni fase della vita come una fase nale. Molti muoiono senza essere mai nati completamente. Creatività signica aver portato a termine la propria nascita prima di morire. […] Educare alla creatività signica educare alla vita». Se41


condo Fromm per essere creativi bisogna avere la volontà spontanea di essere nati, che consiste nel voler abbandonare le condizioni certe con coraggio e ducia nelle proprie capacità. Maslow (1959) ritiene che la creatività si basi in larga misura sulla possibilità di risolvere i dubbi, le incertezze, di affrontare i rischi e l’ignoto con sicurezza, ma sottolinea che queste situazioni debbono essere vissute come esperienze positive, stimolanti. I bambini sono dotati in particolare di creatività in quanto non hanno ancora assimilato stereotipi e luoghi comuni, sono meno inibiti, agiscono più spesso liberamente, senza voler assolutamente far rientrare il loro comportamento in schemi aprioristici o in programmi prestabiliti. Per questo il gioco del bambino e le sue attività espressive spontanee sono molto creative. Solo se un individuo riesce a liberarsi dagli schemi, dai preconcetti è in grado di essere inventivo. L’artista come il grande teorico riescono a raggiungere importanti realizzazioni quando mettono insieme dati ritenuti incompatibili. Relativamente al sentimento di sicurezza, considerato la premessa fondamentale per essere creativi, esaminando un gruppo di persone – che avevano dimostrato in vari contesti di possedere elevate capacità creative –, Maslow ha rilevato che la principale caratteristica comune al campione era la mancanza di timore. Queste persone dimostravano di non aver bisogno dell’approvazione degli altri, si sentivano meno dipendenti, timorosi e ostili nei confronti del prossimo. Ma soprattutto egli ha notato che non avevano paura di accettare se stessi, avevano meno timore dei loro impulsi, delle loro emozioni e dei loro pensieri, anche quando questi si presentavano come inadeguati o assurdi; non inibivano le emozioni, le idee, le azioni, non temevano il giudizio altrui; l’accettazione di se stessi e il non sentirsi minacciati li rendeva più sereni e li metteva in grado di percepire con maggior obiettività la realtà delle cose, di essere meno controllati e più spontanei nei loro comportamenti. Un ruolo fondamentale nella creatività è sostenuto dalla possibilità di integrazione dei vari aspetti della personalità. Tale integrazione, nelle persone esaminate da Maslow, risultava superiore alla norma. In queste persone era stata evidentemente risolta, secondo lo studioso, «la guerra interna che si combatte nell’individuo tra le forze della profondità interiore e le forze di difesa e di controllo […] essi sprecano meno tempo e meno energie per proteggersi contro se 42


stessi […] la conseguenza è che una parte maggiore del loro Io è disponibile per l’impegno, il godimento e gli scopi creativi». Rogers (1959) sostiene che esistono tre condizioni interiori alla base di un atto creativo. La prima viene a determinarsi con la disponibilità all’apertura e all’estensibilità dell’esperienza; si tratta del fenomeno opposto a quello della deformazione percettiva che può vericarsi come meccanismo di difesa quando un individuo si trova di fronte a una situazione frustrante. La seconda condizione si verica quando l’azione creativa viene percepita e valutata come espressione e realizzazione di una parte di se stessi; il consenso altrui può funzionare da stimolo, ma la miglior condizione per favorire la creatività è rappresentata dal sentimento di realizzazione personale. Il terzo punto viene descritto come la capacità di elaborare e manipolare funzioni e concetti ed è in stretto rapporto con le caratteristiche positive dell’esperienza; tale capacità implica l’immaginazione, il gusto dell’esplorazione del nuovo, la possibilità di formulare e scoprire nuove ipotesi e signicati. Possiamo considerare la creatività come la capacità di inventare, di sviluppare fantasia, di ampliare competenze ed esperienze. Il processo creativo esprime la capacità di costruire percorsi di crescita individuali, di scoprire il proprio volto interiore, di disporsi verso un avvenire che si riconosce nella storia personale, rappresenta lo strumento soggettivo che permette lo svolgimento del vivere e la realizzazione di sé. Essere creativi signica essere propositivi, predisposti alla ricerca ed all’interpretazione originale dell’esperienza e della vita. La creatività orienta alla conoscenza e allo sviluppo completo della propria biograa, media il passaggio tra natura e cultura. L’ispirazione creativa trova la sua elettiva espressione nella produzione artistica. Il pensiero immaginativo si sviluppa con l’esperienza, attraverso il mondo degli affetti e delle emozioni. La creatività rappresenta la più elevata capacità espressiva dell’uomo e sorge dalle percezioni più intime del suo modo di essere e di sentire. La vita è disposta verso l’evoluzione, la realizzazione di un’esperienza biograca. Ogni individuo cresce e sviluppa a modo suo, secondo un suo stile di pensiero e comportamento, le sue risorse creative, in rapporto al senso che ha e viene ad acquisire l’esistenza in un de43


terminato ambiente familiare, sociale, geograco, storico e culturale. Ogni essere umano è interprete di un’avventura unica, insostituibile. Ognuno costruisce e caratterizza la propria storia attraverso le capacità di inventare che possono fare dell’esperienza del vivere tutte le volte una novità, un sentimento, un pensiero, una parola innovativi. La storia personale è espressione e testimonianza di un processo creativo, di un’arte narrativa della vita. Le fasi del processo creativo Oggi gli studiosi concordano sostanzialmente su quali siano le fasi principali del processo creativo. Una delle teorie più accreditate, poi ampliata e rielaborata da altri studiosi, è quella di Graham Wallas, che, nel suo saggio The art of thought del 1926, ha individuato quattro tappe principali per arrivare alla creazione: preparazione, incubazione, illuminazione e verica. Anche se molti studiosi hanno rimaneggiato lo schema di Wallas, sottolineando che le fasi da lui individuate non si susseguono in modo uguale e lineare per tutti, questo rimane comunque uno schema efcace per analizzare il processo creativo. Durante la preparazione la mente esamina la questione o il progetto creativo in tutti i suoi aspetti; lo scienziato, per esempio, si pone domande e raccoglie dati in cerca di risposte. Più in generale, la preparazione è la fase in cui ci si specializza, cioè la mente accumula esperienze, storie, dati che forse un giorno torneranno utili. Fin dall’antichità artisti e loso, pur convinti che la creazione fosse frutto di un’illuminazione improvvisa nella mente di individui dalle capacità straordinarie, erano consapevoli del fatto che la mente dovesse essere preparata ad accogliere questa illuminazione. La preparazione è strettamente legata alla fase dell’incubazione, nella quale la mente si distoglie provvisoriamente dal problema, “covandolo”. Durante l’incubazione agiscono forze che stanno oltre la soglia della coscienza, come se il creativo, allentando l’attenzione, permettesse alle idee di maturare. Mentre la preparazione richiede un lavoro attivo, l’incubazione è passiva e gran parte di quello che accade avviene al di là della nostra consapevolezza. Goleman (1999) è particolarmente chiaro sulla denizione di questa fase: «L’inconscio è molto più predisposto all’intuizione creativa di quanto non lo sia la mente cosciente, perché in esso non esiste autocensura e le idee sono 44


libere di ricombinarsi fra loro secondo disegni diversi e associazioni imprevedibili, in quella che è una sorta di promiscua uidità». Preparazione e incubazione spesso si sovrappongono, formando un’unica lunga fase di ricerca e approfondimento, articolata in lavoro attivo e consapevole (studio, acquisizione di dati e strumenti indispensabili in un determinato settore, curiosità verso molteplici discipline), e attività inconsapevole (fantasia, libera associazione di idee), una fase necessaria per raggiungere una buona padronanza dell’argomento e caratterizzata da scarsi progressi apparenti, che può durare anni o decenni. La fase successiva è quella dell’illuminazione, la più appariscente dell’intero processo creativo. È in questa fase che emerge l’idea, sotto forma d’immagine, suono, parola, formula matematica. È il momento in cui la creatività è al culmine e tutti i pezzi sparsi del puzzle si ricompongono in un’immagine chiara. Può essere l’intuizione di un istante o l’ispirazione che sostiene l’artista per giorni, ma comunque si tratta di una fase particolarmente gioiosa che fa sentire l’individuo in una sorta di stato di grazia. La quarta e ultima fase del processo creativo è la verica, che riporta in azione la parte razionale della mente. Si tratta, infatti, di valutare criticamente, correggere o rinire quanto è stato fatto nella fase dell’illuminazione. Questo vaglio critico è molto impegnativo, ed è esercitato non solo dal soggetto creativo, ma anche dal pubblico e dagli esperti. Infatti, uno dei fattori importanti nella creatività è proprio l’ambiente sociale, che in ultima analisi giudica i meriti di una persona e del suo lavoro. La verica è una tappa fondamentale nel processo creativo, forse la più dura e faticosa, sicuramente quella più soggetta a frustrazioni e fallimenti. Si noti che, delle quattro fasi del processo creativo, ben due, la preparazione e la verica, sono molto lunghe e faticose e richiedono una dedizione e una disciplina fuori dal comune. È necessaria una certa dose di determinazione e molta costanza perché l’illuminazione di un momento possa diventare un’idea nuova e geniale. Un requisito indispensabile per la persona creativa è coltivare e sviluppare il proprio talento con anni d’intenso lavoro e studio; citando un celebre motto di Thomas Edison, «Il genio è all’1% ispirazione e al 99% traspirazione». 45


Il pensiero laterale Un modo per spiegare il processo creativo è quello appena visto di individuarne le fasi fondamentali, ma merita un breve cenno il modello, cui si accennava sopra, del “pensiero laterale” ideato da Edward De Bono (1968), che supera la visione del processo creativo distinto per fasi e individua un modello complessivo. Con il vantaggio di offrire una forma strutturata di creatività che può essere usata in modo sistematico e deliberato, e che aiuta a risolvere i problemi utilizzando metodi basati sui meccanismi di percezione. De Bono parte dalla distinzione fra sistemi informativi passivi, dove le informazioni sono organizzate dall’esterno (come nell’intelligenza articiale), e sistemi informativi attivi o auto-organizzati, dove le informazioni si organizzano dall’interno. Il sistema cognitivo umano è un sistema auto-organizzato. Le reti nervose del cervello, infatti, consentono alle informazioni in arrivo di organizzarsi in una sequenza, che con il passare del tempo diventa una specie di percorso o modello preferenziale. Sono questi modelli che ci consentono di riconoscere le cose. Il cervello inoltre ha una capacità straordinaria di formare e utilizzare sempre nuovi e molteplici modelli, in termini di percezioni. Da una parte permette alle informazioni in arrivo di organizzarsi in modelli, dall’altro usa questi modelli nel processo della percezione. Essi, secondo De Bono, non sono simmetrici: il modello è il tracciato principale, ma su tale tracciato può esserci una deviazione laterale, e il pensiero può percorre una strada alternativa. È questa deviazione che dà luogo alla creatività. Semplicando, la sequenza di informazioni determina i modelli della percezione, ma il pensiero laterale, cioè il pensiero creativo, altera questa sequenza e ricombina le informazioni in modo diverso.

1.5 Neurosiologia della creatività. Cenni sul funzionamento del cervello Nel descrivere il pensiero laterale di De Bono abbiamo visto come è importante, parlando di creatività, far riferimento al funzionamento del cervello, la sede in cui l’idea creativa nasce e si sviluppa. 46


L’approccio neurosiologico non vuole certo ridurre la creatività a mero processo funzionale, piuttosto cerca di comprendere come i processi cognitivi, motivazionali, di personalità e persino sociali si combinano nel cervello attivo per produrre scoperte. Una sintesi in questo senso ha il potenziale non solo di fornire un’immagine più completa della creatività, ma anche di istruire i futuri creativi. Puntando sul tema specico di questo libro – la creatività scientica –, si pensi all’importanza che la società odierna attribuisce alla scienza e al progresso scientico e tecnologico. È evidente che una spiegazione esatta dei processi cerebrali coinvolti nell’atto creativo potrebbe indicare la strada da seguire per educare i futuri scienziati e per incrementare le scoperte scientiche, oggi considerate essenziali per il benessere dell’individuo e della collettività. Abbiamo detto che il processo creativo è tipico del cervello umano, e il cervello umano è naturalmente strutturato per pensare creativamente. Infatti, nel corso dell’evoluzione, il cervello dei mammiferi, e in particolare dell’uomo, ha sviluppato sempre più la corteccia cerebrale, alla quale sono legate le capacità di apprendimento e associazione non stereotipate, quindi essibili e creative. La molla della creatività è la fantasia, che ha una base biologica nel cervello. Solo da pochi anni le neuroscienze si sono interessate allo studio della fantasia, ed esattamente da quando si è scoperto che alcune malattie rendono incapaci di fantasticare. L’essere umano conosce il mondo attraverso i cinque sensi (vista, udito, gusto, tatto, odorato) e, in conseguenza di questa esperienza sensoriale, nel cervello si formano immagini mentali che la psicologia cognitiva chiama primarie. Sono immagini correlate con il mondo esterno e depositate nel nostro cervello in modo da essere evocabili in qualsiasi momento. Esse ci permettono di riconoscere le cose e agire tempestivamente. Per formare un’immagine fantastica, il cervello duplica l’immagine primaria facendone una fotocopia, un’immagine di secondo ordine, sulla quale si possono introdurre tutti i cambiamenti che si desiderano. Questa fotocopia è necessaria per conservare intatta nel cervello l’immagine primaria corrispondente alla realtà sica, altrimenti non riusciremmo più a distinguere tale realtà (riconosciuta grazie alle immagini primarie) dalla fantasia (formata da immagini secondarie). Il cervello umano è quindi dotato della capacità di pensa47


re l’ipotetico, di cancellare cose che esistono o cambiarle e inventarne di nuove. La psicologia cognitiva ha chiamato questo procedimento capacità di meta-rappresentazione, ipotizzando che sia il nocciolo della creatività. È dalla capacità di meta-rappresentazione che dipende lo sviluppo dell’uomo e la sua sopravvivenza. L’immaginazione ha un ruolo essenziale nell’esistenza umana e una strettissima relazione con l’azione: l’immaginazione, infatti, permette all’individuo di sperimentarsi in una dimensione quasi reale prima di vivere gli eventi nella realtà, le immagini che creiamo esercitano un’azione su di noi e siamo noi stessi che possiamo tradurle o meno in realtà (Giusti, 2007). Cervello e sistema nervoso centrale Il sistema nervoso è un complesso di formazioni interconnesse atte a mettere in comunicazione fra loro le parti di un organismo e l’organismo stesso con l’ambiente che lo circonda. Il sistema nervoso consente la coordinazione funzionale e l’adattamento grazie a rapidi messaggi di tipo bio-elettrico. Sotto l’aspetto topograco è diviso in sistema nervoso centrale (SNC), cioè la parte contenuta nella scatola cranica (encefalo) e nel canale midollare della colona vertebrale (midollo spinale), e sistema nervoso periferico (SNP), cioè tutta la parte restante formata da fasci di nervi, da gangli e dagli organi di senso, le formazioni che raccolgono le informazioni dell’ambiente. Senza soffermarci su una descrizione dettagliata del cervello umano, in questa sede preme descrivere i due emisferi e le loro specializzazioni. L’emisfero destro e l’emisfero sinistro sono le due parti di cui si compone il telencefalo, che è il più voluminoso organo del SNC e occupa gran parte della scatola cranica. I due emisferi sono divisi da una profonda scissura e sono collegati fra loro dal sistema di bre trasversali denominato corpo calloso. Gli emisferi presentano una supercie irregolare per la presenza di rilievi e solcature, di cui le più marcate si chiamano scissure e suddividono gli emisferi in aree funzionalmente importanti, dette lobi. Gli emisferi sono rivestiti dalla corteccia cerebrale, anch’essa ripiegata in giri e circonvoluzioni separate da solchi. Anche per la corteccia, le differenze morfologiche corrispondono a differenze funzionali. 48


Il neurologo tedesco Korbinian Brodman nel 1909 localizzò sulla supercie corticale 52 aree, e tale mappa è tuttora in gran parte valida e utilizzata (Fig. 1). Le aree sono divise in tre grandi gruppi: aree motorie, connesse con il controllo del movimento, aree sensoriali, connesse con i diversi tipi di sensibilità, e aree associative, legate alle funzioni logiche, alla memoria associativa e all’attenzione visivo-spaziale. Più avanti vedremo come le aree associative siano fondamentali per il processo creativo e il pensiero analogico a esso associato.

Figura 1

Una peculiarità del nostro cervello è rappresentata dalla equivalenza motoria e sensoriale delle quali ciascun emisfero controlla la metà corporea controlaterale e dalla diversità funzionale tra i due emisferi: infatti, mentre nell’emisfero sinistro si trovano i centri del linguaggio e, più in generale, le capacità logiche e matematiche, l’emisfero destro è sede dell’astrazione e delle capacità artistiche e musicali. Con una certa approssimazione si tende a credere che l’emisfero destro sia quello in cui risiede la creatività. Ricordiamo tuttavia che la creatività è un processo complesso, che richiede l’utilizzo congiunto di capacità logico-razionali (quindi emisfero sinistro) e capacità di astrazione e fantasia (emisfero destro). Inoltre, con il progredire degli studi sul cervello, si è visto che esso possiede una forma di plasticità che gli permette di riorganizzare e ridistribuire le funzioni corticali e può capitare che una funzione generalmente svolta da un emisfero passi all’altro emisfero. 49


Gli emisferi cerebrali, per quanto uguali dal punto di vista anatomico e anche strutturale, dirigono preferenzialmente alcune attività. È la dominanza degli emisferi. Ma anche qui occorre sottolineare comunque che i due emisferi lavorano in modo congiunto, essendo anatomicamente e funzionalmente collegati. In genere la conoscenza delle differenze funzionali dei due emisferi viene dallo studio delle conseguenze di lesioni della corteccia. Tuttavia uno studio approfondito degli emisferi e delle loro speciche attività è stato possibile grazie alla callosotomia, ossia il taglio del corpo calloso per dividere il cervello, effettuata in passato nei casi di epilessia medicalmente non trattabile per fermare la diffusione dell’attività convulsiva da un emisfero all’altro. I pazienti che hanno subito questa operazione, superato il trauma operatorio, presentano alcune caratteristiche interessanti: normalità sociale, ossia in situazioni sociali normali sono indistinguibili dalle persone non operate e il loro decit è rilevabile solo con specici test; acquisizione progressiva di strategie compensative per eludere il decit di trasferimento emisferico. Il risultato più importante ottenuto studiando gli individui con cervello diviso è la scoperta che i due emisferi possono funzionare indipendentemente e simultaneamente, in parallelo. Questo è il punto fondamentale su cui si basa la teoria di Joseph Bogen e Glenda Bogen (1999), che hanno immaginato un grado signicativo di indipendenza emisferica anche in cervelli non divisi, tale da rendere lo scambio emisferico incompleto per gran parte del tempo. Questa parziale indipendenza degli emisferi ha ricadute anche nello studio della creatività. Infatti i Bogen evidenziano l’importanza del ruolo del corpo calloso nel processo creativo: certo non tutta la creatività è riconducibile all’attività del corpo calloso, ma i loro studi dimostrano come l’individuo, per trovare una soluzione creativa, debba mettere in correlazione i due emisferi. In pratica, concludono i Bogen, perché ci sia un pensiero creativo è necessaria un’indipendenza emisferica parziale e reversibile: è il corpo calloso che promuove le più alte ed elaborate attività del cervello, prima fra tutte la creatività. Neuroscienze e creatività Il cervello non è un organo statico, destinato all’involuzione e alla perdita, ma è una struttura plastica, dinamica, mutevole, in continua 50


modulazione. Ogni neurone può avere no a 15.000 contatti sinaptici, equivalenti ad altrettante possibilità di interazione e comunicazione con gli altri neuroni. Il cervello è in costante elaborazione, si modica in funzione dell’esperienza individuale, contiene le matrici della creatività in quanto si adatta attivamente alle richieste dell’ambiente. Rappresenta la memoria creativa della specie e quella di ogni singolo individuo; ognuno ha il suo cervello in rapporto alle caratteristiche personali, alle esperienze vissute, alla creatività esercitata e sviluppata. Gli studi neuroscientici hanno dimostrato che il cervello compensa le proprie perdite, possiede una capacità di rigenerazione anche in età avanzata, “fabbrica” i suoi neuroni, riattiva e “guarisce” le sue cellule nervose malate, in difcoltà. È un messaggio di ducia e speranza per la ricerca e per il futuro di molti malati e di chi li assiste. Scrive James Hillman (1999): «È vero che stiamo perdendo le cellule cerebrali, come un albero le foglie d’autunno; ma è vero anche che in questo modo si apre una radura, lasciando più spazio agli uccelli che vogliono venire a visitarci». In sintesi le capacità di adattamento creativo del cervello comprendono: – plasticità: proprietà delle cellule nervose, indipendentemente dall’età, di modularsi in rapporto alle variazioni e sollecitazioni dell’ambiente; il cervello è un organo dinamico, plastico, in continuo riadattamento; – ridondanza: il cervello può attivare vie nervose mai utilizzate o riattivarne altre, rimaste silenti anche per lungo tempo; – sprouting (arborizzazione): le cellule nervose possono ricostruire, se opportunamente stimolate, i loro prolungamenti (assoni e dendriti), le loro vie di interconnessione, di comunicazione; – sinaptogenesi: i neuroni, se stimolati, sono in grado di ripristinare, riformare le sinapsi perdute, offrire nuovi punti di contatto alle terminazioni nervose – anche attraverso l’incremento pre-sinaptico e l’ipersensibilità post-sinaptica –, come se fossero rifornite altre possibilità di linguaggio ai circuiti cerebrali (Le Doux, 2002); – fattore nervoso di crescita (nerve growth factor): è una proteina, scoperta da Rita Levi Montalcini, responsabile della cresci51


ta e dello sviluppo del sistema nervoso centrale, attiva anche in età avanzata; – proteine rigeneratrici (esempio: MAP 2): sono mediatori della formazione di nuove vie nervose; – circuiti rientranti: vie neurali implicate nella realizzazione della coscienza primaria e nell’organizzazione della memoria (Edelman, 2004); – neurogenesi: si intende la nascita di nuove cellule cerebrali in risposta a stimoli ambientali (Gross, 2000; Abrous, Koehl e Le Moal, 2005; Greenberg e Jin, 2006). Con questa scoperta cade il dogma denito delle tre enne (N.N.N. nessun nuovo neurone) e si confermano le intuizioni di Leonardo da Vinci: «Sì come il ferro si arruginisce sanza uso e l’acqua nel freddo si addiaccia, così lo ‘ngegno sanza esercizio si guasta» e ribadite da Elkhonon Goldberg: «Use it or lose it»; – neuroni specchio: specici sistemi o reti neurali che si attivano nell’osservare e comprendere comportamenti ed emozioni di altri individui della stessa specie (Gallese, Keysers e Rizzolatti, 2004; Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). I neuroni specchio starebbero alla base, oltre che dell’apprendimento, anche dei fenomeni sociali, dell’altruismo e della compassione. L’ambiente di cura – familiare o in una struttura residenziale – viene a rappresentare uno strumento determinante per il mantenimento e il recupero funzionale del cervello, attraverso la stimolazione creativa, la qualità della relazione. Il cervello si perde sempre di più se l’ambiente lo dimentica. L’attività corticale nella creatività La corteccia del cervello umano presenta diversi livelli di attività, o meglio di vigilanza. Nel sonno per esempio c’è un basso livello di vigilanza, mentre livelli di attivazione massima si hanno in corrispondenza di emozioni forti come rabbia o paura. L’elettroencefalogramma ci fornisce il tracciato dell’attività elettrica del cervello, che è lenta e regolare quando si è in uno stato di rilassamento, rapida quando si è emozionati o si sta risolvendo un compito. Tuttavia non tutti i compiti possono essere svolti ai massimi livelli di attivazione: le osservazioni dimostrano che compiti semplici 52


possono essere svolti a livelli di attivazione alta, mentre compiti più complessi richiedono un’attivazione minore. Quando si passa dalla veglia al sonno, l’attivazione diminuisce e le onde si fanno più lente e regolari. Le onde elettriche dell’attività cerebrale (Fig. 2) si distinguono in onde beta, tipiche dello stato di veglia e attenzione, che hanno una frequenza compresa fra i 13 e i 30 Hertz; onde alpha, tipiche dello stato di rilassatezza, con una frequenza fra gli 8 e i 13 Hertz; onde theta, che sono le onde della sonnolenza e della fantasia, con una frequenza compresa fra i 4 e gli 8 Hertz.

Figura 2. Le variazioni dell’attività elettrica cerebrale6

La creatività si sviluppa soprattutto a bassi livelli di attività corticale, cioè con un’attività di tipo theta. I creativi, in effetti, presentano un basso livello di attenzione soprattutto nella corteccia frontale, che quando è attiva blocca i comportamenti irrilevanti e non proiettati a un ne specico: la corteccia frontale entra in funzione nella risoluzione di problemi specici e scarta le associazioni mentali considerate inutili allo scopo. Quindi la minore attivazione di questa zona favorisce le associazioni creative. Ben lo sapeva Thomas Edison che, per farsi venire una buona idea, si metteva a riposare in poltrona con le braccia rilassate e nelle mani due oggetti metallici, in modo che, appena si appisolava, le dita si rilassavano facendo cadere gli oggetti metallici su due vassoi precedentemente posizionati a terra. Svegliato 6

Figura tratta da Oliverio A. (2006), Come nasce un’idea, Rizzoli, Milano.

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all’improvviso dal rumore, lo scienziato prendeva nota di ogni idea che gli spuntasse in quello stato tra sonno e veglia tipico del risveglio. Lo stato appunto dell’attività di tipo theta. Alcuni studiosi hanno anche tentato di valutare gli effetti prodotti sulla creatività dalla stimolazione magnetica transcranica, con cui si può ridurre l’attivazione di intere aree del cervello. Grazie a questi esperimenti si è scoperto che, se s’inibisce l’attività della corteccia frontale, le associazioni sono facilitate e meno banali. La creatività generalmente dipende dalla capacità di mettere a tacere la corteccia frontale in modo che emergano con uidità associazioni e analogie. L’uso della Rmf (risonanza magnetica funzionale) permette di individuare le aree cerebrali più attive in un determinato comportamento. La Rmf, applicata nello studio della creatività, ha evidenziato che l’emergere di un’idea è collegata all’attivazione dell’emisfero destro e alla disattivazione di numerose altre aree corticali. È capitato a molti di trovare la soluzione a un problema dopo un buon sonno o dopo un periodo (ore o giorni) di rilassamento in cui al problema non si pensa più. Sul piano siologico, l’idea creativa richiede un’attività bilanciata fra stato di vigilanza e attenzione, che consente al cervello di individuare il problema e concentrarsi per affrontarlo, e stato di rilassamento, in cui ci si distoglie dal problema, si dà spazio alla fantasia e si producono, spesso a livello inconscio, associazioni creative.

1.6 I diversi generi della creatività: arte, scienza e creatività quotidiana Quando si parla di creatività ci si riferisce in realtà a un complesso insieme di diversi generi di attività. In effetti, anche se alcune caratteristiche fondamentali del pensiero creativo sono sempre le stesse, la creatività si manifesta in un’innità di modi diversi, che spesso sono il risultato di fattori individuali, culturali e ambientali più o meno sviluppati. Nello studio della creatività si rende quindi necessario far riferimento a dei sottogeneri, se non altro per individuare le speciche 54


caratteristiche di ogni singolo genere, caratteristiche che siano studiabili, vericabili e, ovviamente, trasmissibili. Senza tuttavia dimenticare che ogni tipo di creatività è sorretta dallo stesso tipo di processo creativo, e che l’attività del cervello sostanzialmente non muta. Quello che cambia è il campo di applicazione e, come si è detto, alcuni fattori culturali e ambientali, che formano e indirizzano l’individuo che poi sviluppa la sua creatività in un determinato settore. Howard Gardner (2007), famoso per aver teorizzato le intelligenze multiple, ha rilevato che l’abilità in un settore non comporta necessariamente la stessa abilità in un altro. Non bisogna, infatti, dare per scontato che un personaggio che ha espresso la propria creatività in un certo campo avrebbe potuto indifferentemente manifestare doti creative in un’altra area, perché la creatività non è unica e universale, ma multiforme e variegata. Creatività artistica Si tratta del tipo di creatività più facilmente riconoscibile, perché per individuare una produzione creativa nel settore interessato non sempre serve una specica competenza o una piena padronanza nel campo di quella professione artistica. Certo, se si è competenti di pittura, si coglieranno molto più rapidamente le innovazioni di un dipinto, ma anche l’uomo comune può “intuire” un’opera d’arte, perché essa va oltre le conoscenze tecniche, attivando sentimenti ed emozioni universali. Mentre è molto difcile per un non matematico comprendere la portata innovativa di una formula matematica. Questo perché l’arte è un linguaggio, una forma di comunicazione, e l’opera d’arte è un’esperienza estetica possibile a chiunque. Generalmente si pensa alla creatività artistica come maggiormente collegata all’attività dell’emisfero destro, quello dell’immaginazione, ma abbiamo visto che, quando si parla di creatività, entrambi gli emisferi giocano la loro parte. È comunque vero che l’artista, rispetto allo scienziato, deve sottostare a un più ristretto numero di regole, e che le regole dell’arte in genere sono più essibili rispetto a quelle della scienza. In linea di massima l’artista può dare maggiore spazio alla fantasia e all’immaginazione, le specialità dell’emisfero destro, 55


appunto. Ma, come per tutti i tipi di creatività, anche nell’arte sono importanti la fase di preparazione, dove la mente si “allena” all’atto creativo, e la fase di verica, dove la parte razionale della mente valuta criticamente, corregge o rinisce quanto è stato stabilito nella fase dell’illuminazione. L’idea che l’artista sia un individuo assolutamente libero, svincolato dalle regole e che obbedisca solo alla sua ispirazione, è tanto diffusa quanto errata. La fantasia nella creatività artistica ha un ruolo preponderante, ma non governa l’intero processo creativo. In effetti, lo ripetiamo, l’arte è soprattutto una forma di espressione e di comunicazione e pertanto, perché essa non manchi l’obiettivo, è necessario che si attenga a un sistema di regole e di convenzioni, sempre alla base di ogni forma di comunicazione. Creatività letteraria Un posto a sé, nelle arti, spetta alla creatività letteraria, che per le sue caratteristiche si pone a metà strada fra quella scientica e quella artistica. A seconda del genere letterario di cui si occupa, il genio delle lettere può presentare caratteristiche più simili a quelle dell’artista (poesia) o a quelle dello scienziato (narrativa). In genere, la dinamica del pensiero nella produzione letteraria si dimostra come un’attività mista ed equilibrata, in cui si combinano il processo logico-razionale e realista (emisfero sinistro) e i contributi della fantasia (emisfero destro). La letteratura è una forma artistica dura ed esigente per il fatto che richiede un perfetto controllo di se stessi nell’incessante viaggio tra la realtà e la fantasia. In effetti, il narratore compie un viaggio nella profondità della propria psiche con il doppio bagaglio della luce della ragione e della potenza irrazionale della fantasia. A differenza del pittore o del poeta, il narratore ha il difcile compito di dover combinare le immagini fantastiche e irrazionali con i postulati della ragione, senza la quale non sarebbe possibile strutturare un racconto che, per quanto fantasioso, deve sempre rispondere a una propria logica. Creatività scientica Esiste una fondamentale differenza fra la creatività scientica e tutte le altre forme di creatività: essa ha lo scopo di estendere, o tal56


volta soppiantare, una vasta conoscenza teorica, tecnica e sperimentale. L’obiettivo primo della creatività scientica è cambiare, in parte o in tutto, le conoscenze acquisite. Se nella produzione artistica e letteraria è prioritaria una funzione estetico-espressiva, nella produzione scientica essa è annullata dal bisogno di innovare e progredire. Una signicativa differenza fra la creazione artistica, che si presenta duratura o talora immortale, e la creazione scientica è il carattere efmero di quest’ultima, poiché ogni nuova scoperta scientica sarà prima o poi soppiantata dalle successive. Chi coltiva il pensiero scientico è consapevole che ogni opinione può essere ribaltata, in modo graduale o repentino, alla luce di una nuova radicale scoperta o di una nuova teoria. Forse è anche per questo motivo che i creativi che si dedicano alle scienze hanno una personalità generalmente più equilibrata e meglio organizzata intorno a un progetto, e soprattutto hanno un’attitudine di modestia, a differenza degli artisti che hanno spesso una tendenza all’egocentrismo. Una denizione interessante per la creatività scientica è che essa «è l’arte del risolvibile» (Medawar, 1985). In effetti, non pochi studiosi, come vedremo più avanti, hanno trattato la creatività, e in particolare quella scientica, in termini di abilità nella soluzione di problemi: la ricerca scientica è nalizzata al miglioramento, alla correzione di errori e al raggiungimento di un risultato positivo. Un’altra caratteristica della creatività scientica è che in essa è prevalente il ruolo della logica e della razionalità, attività dell’emisfero sinistro. Ciò non vuol dire che lo scienziato non usi la fantasia, che anzi è la molla della creatività, ma il ricorso alla fantasia è più contenuto rispetto ad altre forme di creatività, e inoltre i contributi dell’immaginazione, nel processo creativo scientico, sono passati al vaglio critico con molta più frequenza e rigidità, perché, come dicevamo, scopo della ricerca scientica è estendere o soppiantare un insieme molto rigido e strutturato di conoscenze. Inoltre il creativo delle scienze nella maggior parte dei casi impegna la sua creatività nell’elaborazione di teorie. È una forma di creatività ad alto livello, giacché implica la connessione originale e insolita di concetti esistenti, che vengono riorganizzati in modo nuovo.

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Creatività quotidiana Alcuni studiosi (Goleman, 1999; Gardner, 2007) distinguono fra due tipi di creatività, quella con la C maiuscola e quella con la c minuscola. La prima è quella distintiva dei grandi artisti e dei geni della scienza, la seconda è quella implicata in una vasta gamma di piccole opere quotidiane, destinate per lo più all’anonimato. La creatività con la C ha una sua dimensione sociale fondamentale: l’opera creativa è destinata a inuenzare la collettività, ed è l’ambiente sociale che in ultima analisi giudica e convalida l’operato dell’individuo creativo. D’altro canto, in tutto il mondo gran parte della creatività si esprime in momenti privati, solo per il puro piacere di usare i propri talenti in modo efcace o per produrre qualcosa di bello. E in effetti, se si parla di creatività, l’inuenza dell’ambiente sociale (tanto importante nella Creatività) tende a svanire, e il ruolo di giudice e critico della propria creazione spetta spesso unicamente all’individuo. Nella creatività non c’è pubblico. Ma quest’assenza di pubblico, e quindi di giudici, non deve trarre in inganno, perché la vita quotidiana è un grande banco di prova per l’innovazione e la risoluzione dei problemi, a tutti gli effetti è il più vasto regno dello spirito creativo, anche se il meno riconosciuto. Quando tentiamo un nuovo approccio per affrontare una situazione, e quel nuovo approccio funziona, allora stiamo usando la nostra creatività. Se poi nello spingerci oltre le soluzioni tradizionali riscuotiamo un successo che inuenza anche gli altri, allora la nostra creatività assume una fondamentale dimensione sociale. Aree della creatività quotidiana Un fattore che facilita l’adattamento è indubbiamente rappresentato dalla creatività (Cesa-Bianchi, 1994). Essere creativi signica essere propositivi, innovativi, curiosi di conoscere, predisposti alla ricerca di sé, disponibili a mettersi in discussione, a modicare le prospettive della propria vita; s’intende anche ricorrere all’intuizione per realizzare nuove scoperte, avere il coraggio di abbandonare percorsi conosciuti per intraprendere nuovi itinerari in modo da esprimere liberamente se stessi e le proprie potenzialità. Ogni individuo, anche chi è meno fortunato, ha la possibilità di diventare creativo, purché trovi condizioni ambientali favorevoli. 58


Molte persone per mancanza di stimoli e di opportunità hanno mantenuto inconsapevolmente inespresse le loro abilità creative. In alcuni individui, le situazioni di inibizione prolungata hanno impedito manifestazioni creative. Generalmente chi non ha esercitato questa funzione cognitiva non ne comprende pienamente il signicato e ignora come si possa migliorare la qualità della vita attraverso la ricerca e l’applicazione della creatività. La consuetudine ad abitudini e comportamenti quotidiani tende a conferire, a molti, una certa sicurezza e stabilità, ma non li aiuta a superare le difcoltà connesse al cambiamento; essi appaiono timorosi e riluttanti ad abbandonare percorsi seguiti da tempo per intraprendere nuove attività ed esperienze, altri itinerari del pensiero e del sentimento. Molti non se la sentono di rimettersi in gioco, ristrutturando la loro realtà secondo prospettive diverse. In peculiari condizioni – nei campeggi di vacanza, nei collegi, nelle case di riposo – l’animazione, le attività di intrattenimento e svago costituiscono certamente una componente basilare e importante delle attività creative; si esprimono con molteplici iniziative e perseguono gli obiettivi primari di vivacizzare la quotidianità o di riempire o contenere i vuoti esistenziali. Come ogni altro intervento o proposta, anche l’animazione deve essere il più possibile personalizzata, commisurata alle esigenze di un individuo. Esistono persone che manifestano un immediato interesse per le attività creative e di animazione; altre che richiedono un graduale percorso di sensibilizzazione, di comprensione dell’utilizzo e dei vantaggi delle iniziative proposte; altre che avvertono la necessità di essere meno coinvolte, di partecipare prevalentemente o esclusivamente da spettatori alle attività offerte; per alcune deve essere rispettato e compreso il riserbo della solitudine. La creatività può esprimersi in diverse aree (Cesa-Bianchi, 2002): – scrittura: poesie, racconti, diari, articoli, aneddoti (Cotroneo, 2008); – pittura: matite, pastelli, acquerelli, tempera, olio, guazzi e collage; – scultura: cartapesta, plastica, legno, pietra, composizioni di diversi oggetti; 59


– musica: suonare uno strumento, da soli o in gruppo, cantare da solisti o in coro, comporre canzoni, brani musicali; – artigianato: cucito, tessitura, ricamo, cura dei ori, coltivazione dell’orto, découpage, bricolage, decorazione del vetro, della ceramica e del legno, manipolazione di creta, terracotta, carta, cuoio, cera; recupero materiale di scarto; – organizzazione: riunioni e circoli di discussione e approfondimento di vari argomenti, cineforum, spettacoli, visite, viaggi turistici anche per partecipare ad avvenimenti sociali, culturali, sportivi; – attività sico-sportive: invenzioni di esercizi motori, studio e ricerca di nuovi percorsi ginnici; – fotograa, videoregistrazione, cucina, giardinaggio, attività teatrali e di animazione, invenzione di giochi, accudimento di animali domestici; – comunicazione: con amici e coetanei, con i più giovani o i più anziani, con gli e genitori, con nonni e nipoti. Sono attività, alle quali possono esserne aggiunte molte altre, che stanno a dimostrare come siano ampie le opportunità per esprimere qualcosa di sé, oltre che occupare in modo positivo e costruttivo il tempo liberato da impegni lavorativi e familiari.

1.7 La rappresentazione della creatività

(a cura di Paola Pizzingrilli7, Alessandro Antonietti8) Introduzione Nonostante i numerosi tentativi da parte dei ricercatori di individuare una denizione univoca della creatività, oggi è opinione consolidata che essa sia un costrutto multidimensionale, poiché interessa molti aspetti della vita mentale umana e si collega a numerose dimensioni psicologiche, quali ad esempio il pensiero, la motivazione e la personalità. Come per altri concetti psicologici che condividono 7 Paola

Pizzingrilli, dottoranda di ricerca in Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 8 Alessandro Antonietti, Professore di Psicologia Generale e Direttore del Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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questa caratteristica, è allora opportuno considerare non soltanto ciò che gli esperti sostengono circa la creatività, ma anche le opinioni che sviluppano al riguardo le persone comuni. Che cosa è la creatività per la gente? Il crescente interesse per il tema della creatività è testimoniato dall’aumento di articoli pubblicati su riviste scientiche negli ultimi 50 anni, come sottolineato da Sternberg (2001). Ciononostante sono ancora poche le ricerche focalizzate sul modo in cui le persone si rappresentano la creatività. Da un’attenta analisi degli studi che si sono orientati in questa direzione è possibile rintracciare gli elementi che caratterizzano la creatività stessa e che un tempo denivano l’oggetto d’indagine dei ricercatori: le persone spesso si riferiscono alla creatività come a un prodotto con determinate caratteristiche (novità, originalità, ecc.); a volte emerge, nell’idea che la gente ha della creatività, l’aspetto processuale, ovvero le caratteristiche dell’atto creativo; altre volte il modo con cui le persone concepiscono la creatività riguarda i tratti che caratterizzano la personalità creativa; inne le idee circa la creatività riguardano anche l’ambiente che può inuire sul suo sviluppo. Rileviamo che, da un lato, la ricerca ha privilegiato l’analisi della rappresentazione della creatività allo scopo di delineare maggiormente i processi che si attivano nel momento in cui le persone svolgono un compito in modo insolito con l’intento di produrre qualcosa di “innovativo” e “originale”, creativo appunto. Dall’altro, l’abbandono di una concezione limitativa della creatività (che la vedeva come un dono posseduto da pochi e ristretto al campo dell’arte) ha alimentato l’interesse verso i fattori, come quelli ambientali, che favoriscono lo sviluppo del potenziale creativo, il quale, nella sua più ampia accezione, include non soltanto il luogo sico, ma anche le interazioni che si sviluppano tra le persone, entro i gruppi, all’interno della società. L’attenzione della ricerca, quindi, ha messo in rilievo l’importanza di insegnare non solamente in che modo è possibile attivare determinate strategie creative, ma anche dove applicarle, individuando così nella scuola e nei suoi protagonisti il luogo privilegiato di osservazione e di intervento. In questo paragrafo viene compiuta una rassegna di contributi italiani e internazionali sul tema delle concezioni ingenue sulla creati61


vità. Una serie di interventi si sono focalizzati sulle teorie implicite della creatività in persone diverse (soprattutto in relazione alla professione esercitata). Altri lavori si sono invece concentrati maggiormente sulla gura dell’insegnante, considerando il suo punto di vista circa la creatività e il modo per promuovere l’atteggiamento creativo in classe. Il discorso si sviluppa poi con attenzione all’elemento culturale, considerando differenze tra cultura occidentale e orientale in merito al modo di vedere la creatività e le persone creative. Una panoramica è dedicata agli strumenti attualmente impiegati per rilevare le concezioni ingenue della creatività. La trattazione si conclude con alcuni spunti di riessione sugli elementi che caratterizzano la creatività e il modo di rappresentarla, che lasciano aperti ancora numerose opportunità di approfondimento. Teorie implicite sulla creatività La scarsità di ricerche in merito alle rappresentazioni della creatività è connessa all’evoluzione dello studio della creatività stessa, la quale è diventata solo recentemente uno specico tema d’indagine psicologica (Antonietti e Cesa-Bianchi, 2003). Ciò ha portato a considerare per lungo tempo la creatività come prerogativa di pochi individui eccezionali – di qui l’uso del termine genialità – e legata a campi specici, come quello artistico. Inoltre, per lungo tempo questo termine ha richiamato una serie di caratteristiche che connotavano la persona creativa, talvolta con accezione negativa: anticonformista, ribelle, amante del rischio, sregolata. Una volta esauritasi questa prima fase che ha relegato la creatività in certi ambiti e le ha assegnato determinati signicati, la domanda che la ricerca si è posta è la seguente: quanto di questa concezione sorpassata e riduttiva della creatività è ancora riscontrabile nell’atteggiamento delle persone? E soprattutto, cosa intende la gente per “creatività”? Per rispondere a questi quesiti, occorre innanzitutto richiamare un concetto chiave per comprendere che cosa pensano le persone di un dato fenomeno e, più specicatamente, cosa pensano della creatività. L’insieme delle credenze, delle opinioni e degli atteggiamenti che gli individui sviluppano riguardo a un certo fenomeno e sulla cui base essi forniscono delle spiegazioni prende il nome di teoria implicita. Le teorie implicite, che riettono il modo con cui una persona si rap62


presenta il fenomeno, riguardano anche la creatività. Le teorie implicite della creatività sono quindi costellazioni di pensieri e idee circa la creatività possedute ed impiegate dalle persone (Runco e Johnson, 2002, p. 427). All’opposto, le teorie esplicite della creatività si riferiscono alle opinioni degli esperti, in genere sostenute da dati di ricerca e sistematizzate in coerenti quadri concettuali. Secondo Sternberg (1993) è importante studiare le teorie implicite per numerosi motivi: in primo luogo, ci aiutano a formulare le teorie esplicite in quanto ne costituiscono la base; in secondo luogo, ci consentono di individuare gli stereotipi che le persone si formano nei confronti di un dato fenomeno. Nel 1985 Sternberg ha esplorato alcune teorie implicite di fenomeni psicologici con un campione di esperti (insegnanti e studenti di discipline speciche) e di gente comune allo scopo di comprendere la natura delle concezioni di intelligenza, creatività e saggezza. Ha trovato che le persone erano capaci di distinguere la creatività dagli altri due costrutti e che la relazione tra intelligenza e creatività si colloca in una posizione intermedia tra intelligenza e saggezza da un lato (stretta relazione) e creatività e saggezza dall’altro (scarsa relazione). In generale, i dati di questa ricerca indicano che le persone connotano positivamente i tre costrutti psicologici oggetto di analisi. Vi sono però alcuni attributi – ad esempio, il gusto estetico e l’immaginazione – che vengono riferiti in maniera esclusiva alla creatività. Le teorie implicite del gruppo di esperti e della gente comune si sovrappongono in alcuni campi, anche se sono presenti delle differenze. Gli insegnanti di arte, per esempio, enfatizzano l’elemento dell’immaginazione e dell’originalità; quelli di materie nanziarie sottolineano la capacità di individuare idee nuove ed esplorarle; quelli di losoa indicano la capacità di sistematizzare la conoscenza in modo non convenzionale. Volendo sintetizzare le posizioni assunte dai sottogruppi di esperti, è possibile affermare che le teorie implicite delle persone comuni riguardo alla creatività racchiudono al loro interno anche i punti di vista dei gruppi di esperti a proposito della creatività. Anche Runco e Bahleda (1987, cit. in Rudowicz, 2003, p. 278) hanno studiato le teorie implicite della creatività di diverse categorie professionali (artisti, scienziati e gente comune) ed hanno riscontrato delle differenze che delineano nelle persone l’idea di una creatività 63


di tipo scientico, una di tipo artistico ed una legata alla vita di tutti i giorni. Parole come “logica”, “sperimentale”, “profonda” e “paziente” caratterizzano il primo tipo; “emozionale”, “percettiva” ed “espressiva” deniscono il secondo tipo; inne, alla creatività quotidiana vengono attribuiti caratteri di “utilità”, il fatto di essere “attiva” e piena di “giudizio”. Nonostante emergessero da questo studio dei pareri particolarmente interessanti all’interno del gruppo degli artisti, gli stessi ricercatori sostengono che non è possibile compiere delle generalizzazioni: piuttosto, si consolida l’idea che gruppi sociali diversi abbiano teorie implicite diverse. Questo aspetto anticipa quanto verrà detto a proposito dei fattori che inuiscono sullo sviluppo del pensiero creativo: le ricerche esposte brevemente in questo paragrafo sottolineano il ruolo delle esperienze professionali e personali rispetto alla formazione di determinate opinioni sulla creatività, che fa sì che alcune categorie di persone – come gli artisti – tendano a formulare un giudizio specico e denito, in quanto utilizzano quotidianamente la creatività, e le richieste da parte dei committenti spesso rendono necessario uno stile di pensiero originale e innovativo. La creatività: il punto di vista degli insegnanti Numerosi studiosi si sono focalizzati sul pensiero degli insegnanti a proposito della creatività da diverse prospettive e attraverso l’impiego di metodologie diverse. Nel corso delle proprie ricerche Runco si è avvalso delle tecniche di validazione sociale per predisporre delle speciche rilevazioni delle rappresentazioni della creatività di insegnanti e genitori. La caratteristica principale di questa metodologia è che gli strumenti derivano dalle teorie implicite della gente comune: il punto di partenza è solitamente la raccolta – attraverso un questionario a risposta aperta – di opinioni in un piccolo gruppo di persone riguardo a un tema di cui hanno esperienza; in seguito, sulla base dei risultati, viene predisposta una checklist allo scopo di raccogliere dati quantitativi su un campione più ampio. In questo modo Runco (1984) ha messo a punto due liste per due categorie di individui che interagiscono in modo signicativo con i bambini – gli insegnanti e i genitori – e ha deciso di confrontare le due posizioni a proposito della creatività dei bambini. I primi risultati hanno mostrato basse correlazioni tra i giudizi forniti 64


dagli insegnanti e quelli dei genitori, verosimilmente a motivo delle esperienze diverse che le due tipologie di adulti hanno con i bambini, sia di altri fattori, come il tipo di campione (i genitori erano tutti iscritti a corsi sull’educazione infantile). Allo scopo di vericare gli aspetti emersi nelle precedenti ricerche, Runco e collaboratori (1993) hanno condotto due studi sulle teorie implicite di insegnanti e genitori a proposito della creatività, avvalendosi appunto delle tecniche di validazione sociale. Gli obiettivi del primo studio riguardavano il confronto tra due gruppi di adulti attraverso l’impiego della stessa metodologia d’indagine e l’analisi della creatività nei suoi aspetti più o meno rappresentativi. Gli strumenti impiegati sono stati l’Adjective Check List (ACL: Gough e Heilbrun, 1980, cit. in Runco et al., 1993) e un questionario: nell’ACL i soggetti dovevano indicare in una sezione gli aggettivi che secondo loro descrivono il bambino creativo e, nell’altra sezione, gli aggettivi che connotano invece il bambino non creativo. Il questionario era costituito da una serie di domande aperte riguardanti le esperienze con il bambino, informazioni generali e una serie di dati demograci. I risultati di questo primo studio hanno mostrato che circa la metà del campione di insegnanti e genitori avevano utilizzato gli stessi aggettivi per descrivere il bambino creativo, il quale era ritenuto “avventuroso”, “entusiasta”, “artistico”, “fantasioso” e “curioso”. Inoltre, mentre gli insegnanti avevano riportato alcune caratteristiche temperamentali e sociali (“allegro”, “amichevole”, “tranquillo”), i genitori avevano indicato caratteristiche intrapersonali del bambino (“impulsivo”, “ha ducia in se stesso”, “intraprendente”, “industrioso”). Per quanto riguardava le convinzioni circa il bambino non creativo, i dati hanno permesso di concludere che insegnanti e genitori tendono a identicare positivamente le caratteristiche della personalità creativa e negativamente quelle della personalità non creativa. Il secondo studio si è focalizzato invece sulle differenze intrafamiliari riguardo alla creatività infantile. A tal proposito, Runco e i suoi collaboratori (1993) hanno sperimentato una nuova versione del Parental Evaluation of Children’s Creativity (PECC-R: Runco, Johnson & Bear, 1993), strumento costituito da due liste di aggettivi attraverso le quali padre e madre dovevano tracciare individualmente il prolo del bambino creativo e non creativo. Al ne di esaminare le 65


correlazioni tra opinioni dei genitori e creatività dei bambini è stato impiegato lo Student Self-Evaluation of Creativity (SSEC: Miller & Sawyers, 1989, cit. in Casas, 2003), una scala di aggettivi attraverso i quali i bambini valutano se stessi scegliendo un punteggio da 1 a 7 per ogni item. I dati ottenuti suggeriscono che madri e padri concordano riguardo alla creatività dei loro bambini ed è presente anche un buon livello di concordanza tra giudizi dei genitori e autovalutazione dei gli. Tuttavia, come sottolineano gli stessi autori, sono necessari ulteriori approfondimenti: ad esempio sarebbe opportuno l’inserimento di altri aggettivi nelle scale degli adulti e occorrerebbe vericare la validità predittiva della scala impiegata per i bambini che, in questo studio, sembra confermare l’idea che i bambini giudichino in modo adeguato se stessi. In conclusione, i dati emersi da quest’ultimo studio avvalorano l’idea che le differenze tra convinzioni dei genitori e degli insegnanti non sono così ampie come ci si aspetterebbe e come si è riscontrato in altri studi. Inoltre – come evidenziato nel primo studio – la tipologia del campione potrebbe essere un fattore inuente, poiché nel caso specico si trattava di insegnanti della scuola dell’infanzia. A tal proposito, sarebbe interessante valutare come le differenti esperienze con bambini di età diverse possono inuire sulle opinioni degli insegnanti riguardo alla creatività dei propri alunni, come pure vedere come insegnanti a diversi livelli di esperienza abbiano punti di vista simili o diversi sulla creatività degli alunni. A tale proposito, Diakidoy e Kanari (1999) hanno somministrato un questionario ad un gruppo di studenti universitari al termine del loro percorso di formazione e avviamento all’insegnamento. Questo strumento era costituito da due parti: nella prima veniva richiesto di denire la creatività, la sua relazione con altri fattori (come l’intelligenza) ed il grado di conoscenza, i campi in cui è presente e come è possibile facilitarla in classe; nella seconda parte le domande vertevano sul grado in cui la creatività si manifesta, la specicità di dominio, la novità e appropriatezza dal punto di vista del prodotto ed inne i fattori ambientali e personali ad essa correlati. I risultati confermano parzialmente quanto emerso nelle precedenti ricerche: la maggioranza degli studenti concepiscono la creatività come una prerogativa di tutti gli individui e variabile da persona a persona; tuttavia essi la deni66


scono in termini di risultati originali, richiamando gli assunti degli approcci tradizionali. Tuttavia, i soggetti non ritengono che le differenze individuali siano notevoli o che la creatività si manifesti raramente, rigettando il concetto di eccezionalità del fenomeno. Per questi futuri insegnanti le differenze maggiori sono da individuare non tanto nei tratti di personalità, quanto nei fattori ambientali, come il setting ed il tipo di compito: inoltre, è possibile promuovere la creatività in ogni studente e questo compito dipende dalla capacità dell’insegnante di agire nell’ambiente scolastico. In Italia, un contributo allo studio della rappresentazione della creatività degli insegnanti è quello di Antonietti e Cerioli (1990). La ricerca compiuta su questo tema fa parte di un più ampio progetto di formazione rivolto agli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, il cui punto di partenza è proprio costituito dal conoscere gli atteggiamenti dei docenti, che è basilare al ne di delineare un processo formativo. L’obiettivo dello studio è appunto quello di rilevare i punti di vista ricorrenti sul tema della creatività negli insegnanti prima di coinvolgerli in un processo formativo specico sul pensiero creativo. A tal proposito, sono stati predisposti due strumenti: il primo, un questionario, è costituito da due parti, una focalizzata sugli atteggiamenti generali e l’altra sugli aspetti educativi della creatività; il secondo strumento, un differenziale semantico (Osgood, Suci e Tannenbaum, 1957), mette in luce le connotazioni implicite del concetto. Il campione di soggetti che hanno partecipato alla prima indagine era costituito da 91 insegnanti della scuola materna che insegnavano in Basilicata. Alcuni dei risultati ottenuti confermano quanto già indicato nello studio di Diakidoy e Kanari (1999): oltre la metà degli insegnanti vedono la creatività come un’abilità generale potenzialmente educabile in tutti i bambini, soprattutto tra la prima e la seconda infanzia. La quasi totalità del campione, inoltre, opta per una posizione intermedia tra l’innatismo (secondo il quale la creatività è geneticamente determinata) e l’ambientalismo (la creatività è indotta dall’ambiente in cui l’individuo vive). Anche per quanto riguarda i fattori che determinano la creatività (genetici, familiari, scolastici, intellettivi, relativi alla personalità), gli insegnanti non esprimono una posizione precisa. Nel complesso, si rafgurano la persona creativa come positiva, piena di idee, che tende a risolvere i problemi in modo 67


originale, versatile e abbastanza integrata socialmente, anche se è ancora presente lo stereotipo che vede la creatività svilupparsi in determinate aree educative – come ad esempio quella ludica e artistica – e non in altre – ad esempio quella scientica – che implicano abilità di pensiero più strutturate. Per quanto riguarda lo sviluppo della creatività, gli insegnanti vedono la scuola come un luogo all’interno del quale è possibile stimolare il pensiero creativo attraverso degli interventi indiretti e non necessariamente specici e tenendo conto di fattori educativi facilitanti quali il clima relazionale, l’interazione insegnante-allievo e l’organizzazione strutturale del setting. In una seconda indagine gli stessi autori (Cerioli e Antonietti, 1991) hanno somministrato i medesimi strumenti a un campione di insegnanti della Lombardia. Nel complesso, i risultati non evidenziano differenze signicative dovute alla provenienza geograca due campioni. Tutti gli insegnanti sono concordi nel favorire lo sviluppo della creatività a scuola e hanno un’immagine positiva dell’alunno creativo, anche se gli insegnanti lucani sembrano avere una visione più ottimistica dei colleghi lombardi. Recentemente Sironi (2005) ha sottolineato l’importanza di rilevare periodicamente le concezioni degli insegnanti sulla creatività, dato che le conoscenze e le convinzioni sociali su questo tema si evolvono nel corso del tempo. Per questo motivo, è stato somministrato a un gruppo di insegnanti della scuola primaria una versione ridotta del questionario di Antonietti e Cerioli (1990) sugli atteggiamenti degli insegnanti: anche in questo caso il questionario faceva parte di un più ampio progetto di ricerca e formazione. I risultati sottolineano l’idea degli insegnanti di una creatività a più dimensioni. I fattori che contribuiscono maggiormente allo sviluppo della creatività sono riconducibili alla struttura della personalità, mentre in ambito scolastico incidono maggiormente il clima relazionale, ovvero la qualità delle relazioni insegnante-allievo, gli elementi del setting ed il tipo di attività didattica. In riferimento a quest’ultima emerge, come negli studi precedenti, la tendenza degli insegnanti a considerare le attività espressive quale campo in cui la creatività si manifesta maggiormente. Nel 2001 Limone, pur adottando un differente approccio, ha cercato di individuare le linee principali attorno alle quali si sviluppa il 68


pensiero creativo nella scuola. Anche egli assume che gli insegnanti possiedano una sorta di “sapere non espresso” che è indipendente dalla letteratura scientica e deriva dall’esperienza e dal contatto con i colleghi. Inoltre, Limone attribuisce alla rappresentazione il ruolo di principio organizzatore della conoscenza la cui funzione è principalmente sociale. Attraverso una metodologia qualitativa, costituita da una serie di focus group e di interviste individuali, Limone ha raccolto le testimonianze di alcune insegnanti della scuola primaria riguardo alle rappresentazioni sulla creatività e i comportamenti creativi che i bambini adottano in classe. L’intervista non strutturata ha permesso di raccogliere un notevole materiale, che è così sintetizzabile. Alla domanda «Chi è per lei un bambino creativo?», numerose intervistate hanno utilizzato metafore, paragoni o aneddoti che hanno evidenziato non soltanto una molteplicità di opinioni, ma anche il persistere di pregiudizi, stereotipi e ambivalenze. Molte denizioni si rifanno al concetto di “creazione”, “idea” e “invenzione”; la creatività assume il signicato non solamente di un processo cognitivo, ma di un’abilità che – come le doti artistiche – ha la funzione di formare individui sensibili. A quest’ultima affermazione si ricollegano degli stereotipi, come l’uso del termine “sensibilità” come sinonimo di creatività, e le metafore “luce” e “genio”. Altri elementi rilevabili negli studi precedenti sono innanzitutto l’atteggiamento positivo nei confronti della creatività che è inuenzato dal clima intellettuale e dall’interesse per il proprio lavoro e, in secondo luogo, l’importanza delle determinanti genetiche, familiari e personali nel favorire il pensiero creativo. Tuttavia, la percezione che la creatività non sia sempre utile e che spesso sia stimolata in modo ripetitivo per necessità didattiche solleva importanti questioni di ordine formativo che spesso vengono trascurate dall’istituzione scolastica. I risultati di queste ricerche mostrano che gli insegnanti, che quotidianamente si confrontano con i comportamenti dei bambini, si costruiscono delle rappresentazioni suscettibili di modicazioni, che sono fortemente inuenzate dal contesto. Verso la creatività inoltre, essi assumono un atteggiamento generale positivo che contrasta con i dati riportati da un lone importante di ricerche, secondo le quali gli insegnanti connotano negativamente lo studente che mostra i tratti della personalità creativa (Lim e Plucker, 2001). In sintesi, se da un 69


lato la letteratura sottolinea l’accezione negativa di certi tratti della personalità creativa – odiosa, impulsiva, scortese –, dall’altro i risultati delle inchieste condotte con gli insegnanti sottolineano l’elemento valutativo e di promozione della creatività in classe. Westby e Dawson (1995) hanno cercato di individuare le ragioni di questo conitto. Il punto di partenza del loro lavoro è stata la necessaria identicazione delle effettive preferenze degli insegnanti anziché un modello poco credibile di studente: per questa ragione, gli studiosi hanno predisposto un prototipo creativo (una lista delle caratteristiche più e meno salienti rilevabili dalla letteratura sulla creatività) allo scopo di individuare dei punti comuni con le percezioni che l’insegnante ha dei propri alunni. Sono state rilevate delle alte correlazioni tra le caratteristiche creative del prototipo e il prolo – tracciato dagli insegnanti – dello studente poco apprezzato, a conferma della predilezione per i comportamenti non creativi a scuola. Successivamente, lo studio si è focalizzato sull’analisi della discrepanza tra gli atteggiamenti che secondo gli insegnanti favoriscono la creatività e i risultati ottenuti precedentemente. È stato chiesto agli insegnanti di individuare i tratti che per loro sono indicativi di un bambino creativo. Dal confronto con il prototipo di creativo non risulta alcuna correlazione, mentre c’è correlazione tra il prolo poco apprezzato dello studente rilevato in precedenza e quello tracciato in questa seconda fase dagli insegnanti a proposito del bambino creativo. In sintesi, nonostante la scuola riconosca l’importanza della creatività come obiettivo educativo, non c’è apprezzamento per quegli studenti che adottano comportamenti creativi. La spiegazione più accreditata secondo gli autori è che le concezioni degli insegnanti a proposito della creatività sono diverse da quelle che la ricerca tradizionalmente ha indicato come caratteristiche della creatività. Per questo motivo, Dawson e collaboratori (1999) hanno riettuto circa l’utilità delle concezioni tradizionali di creatività rispetto alle concezioni denite dagli insegnanti nel predire la prestazione creativa dello studente in compiti creativi di tipo verbale e non verbale. In questa ricerca sono stati coinvolti tre gruppi di soggetti: un campione di alunni tra gli 8 e i 10 anni, un campione di insegnanti e un gruppo di esperti di abilità artistiche e di scrittura. Le prove erano così strutturate: è stata predisposta una checklist di 20 item per la valutazione 70


delle caratteristiche della personalità creativa dello studente da parte degli insegnanti. Gli alunni, durante le ore di lezione, dovevano svolgere due compiti distinti: uno di creatività non verbale, costituito dalla realizzazione di un collage; l’altro di creatività verbale, consisteva nella composizione di una breve storia. Inne, agli esperti spettava il compito di valutare le prove. Le analisi mostrano che le caratteristiche della personalità creativa delineate dalla ricerca – come pure quelle che deniscono l’alunno creativo secondo gli insegnanti – predicono la creatività non verbale ma non quella verbale. Per quanto riguarda il prolo dell’alunno creativo delineato dagli insegnanti, esso è caratterizzato da elementi della tradizione di ricerca (“è individualista”) e da tratti legati più alla gura del bravo cittadino che a quella del creativo (“è di buon cuore”). Inne, gli autori sottolineano due aspetti importanti: primo, l’importanza di delineare l’intelligenza come un costrutto diverso dalla creatività (poiché i risultati lasciano pensare ad una sensibilità degli insegnanti verso l’intelligenza più che verso la creatività); secondo, pur riconoscendo il legame tra questi due costrutti, la ricerca futura dovrebbe analizzare a quale livello le teorie implicite degli insegnanti sulla creatività e sull’intelligenza si sovrappongono. Il dato più importante di questa ricerca è sicuramente il fatto che gli insegnanti non sono incapaci di riconoscere i tratti creativi dei loro alunni. Le considerazioni riportate in questo paragrafo e nel precedente a proposito delle concezioni delle persone sulla creatività sottolineano un aspetto fondamentale e strettamente connesso a questa tematica: il fatto che lo sviluppo della creatività nei bambini è in buona parte inuenzato dall’ambiente in cui vivono. In particolare, gli elementi ambientali che entrano maggiormente in gioco nel processo di sviluppo del pensiero creativo sono: l’adulto che interagisce col bambino e la cultura all’interno della quale ha luogo l’interazione. Nel prossimo paragrafo saranno analizzati altri contributi relativi al fattore culturale e alla sua inuenza sulla formazione delle teorie implicite sulla creatività. Teorie implicite e cultura Se lo studio delle rappresentazioni della creatività è incominciato a partire dagli anni ’80, l’interesse a livello interculturale è ancor più 71


recente. Nonostante alcuni autori abbiano sottolineato che i punti di vista soggettivi sulla creatività possono variare, oltre che da un periodo all’altro, anche da cultura a cultura (Sternberg, 1985b), sono ancora pochi i lavori che si sono focalizzati sulle teorie implicite delle culture non-occidentali relativamente alla creatività. Uno studio di Rudowicz e Yue (2000, cit. in Ramos, 2005) ha messo a confronto le concezioni della creatività di studenti universitari di Pechino, Hong Kong e Taipei. I risultati mostrano che tutti i gruppi di studenti condividono le caratteristiche fondamentali della creatività: “originalità”, “spirito innovativo”, “abilità di pensiero e di osservazione”, “voglia di provare”, “essibilità”, “immaginazione” e “ducia in se stessi”. Le maggiori differenze che gli autori hanno riscontrato riguardano il fatto che gli studenti pechinesi – a differenza degli altri – considerano caratteristiche delle persone creative la “saggezza” e l’“essere egoisti”. Inoltre, mentre i ragazzi pechinesi vedono nell’“essere indipendente” un tratto distintivo del comportamento creativo, per gli studenti di Taipei è il “godersi la vita” l’aspetto che meglio lo caratterizza. Un altro dato interessante è che gli aspetti tipici della creatività hanno ricevuto valutazioni piuttosto basse in una scala di desiderabilità sociale. Ciò che emerge è che i soggetti non percepiscono i tratti della personalità creativa come delle caratteristiche che un cinese dovrebbe possedere: inoltre, rispetto alla popolazione occidentale, è sorprendente la mancanza dell’aggettivo “artistico” tra gli attributi che gli studenti orientali riferiscono alla persona creativa, mentre sono presenti qualità quali “ispirato”, “fornisce un contributo al progresso della società” e “apprezzato dagli altri”. I risultati ottenuti si ricollegano a quelli di un’altra ricerca condotta dagli stessi autori due anni dopo (Rudowicz e Yue, 2002, cit. in Ramos, 2005): alla richiesta di fornire degli esempi di professioni caratterizzate da creatività, la maggioranza dei soggetti hanno indicato i politici, seguiti dagli scienziati e dagli inventori; pochissimi di loro hanno menzionato gli artisti e i musicisti. Questi ultimi dati inducono a pensare che la persona creativa assuma una funzione “utilitaristica” per la cultura cinese, in quanto le azioni che svolge contribuiscono a promuovere il benessere dell’intera comunità. L’importanza dell’elemento sociale è riscontrabile anche in uno studio condotto in India da Kapur, Subramanyam and Shah (cit. in 72


Kaufman e Sternberg, 2006, p. 439): dalle risposte fornite da un campione di scienziati indiani è emerso che la creatività contribuisce a creare qualcosa di nuovo, attraverso le abilità di sintesi ed integrazione, doti che distinguono gli scienziati creativi da quelli non creativi. Inoltre la creatività scientica, pur richiedendo più regole e logica rispetto alla creatività artistica, ha un impatto maggiore a livello sociale. Nel descrivere la personalità creativa, il campione indiano ha individuato le stesse caratteristiche rilevate dal corrispondente campione occidentale: il creativo è dotato di “curiosità”, “motivazione”, “apertura mentale” e “disposizione al rischio”. Tuttavia, gli indiani si vedono meno creativi degli occidentali per motivi quali l’osservanza di norme sociali che richiedono il rispetto delle diverse relazioni gerarchiche e lo sviluppo della collettività piuttosto che del singolo. Il quadro che si delinea risulta da questo punto di vista in linea con la visione collettivistica della cultura indiana, che pone il benessere e l’integrità della famiglia al di sopra dei bisogni individuali e dell’identità del sé. Sul versante coreano, un noto lavoro è quello realizzato da Lim e Plucker (2001): in un primo studio, condotto su un gruppo eterogeneo di soggetti, sono stati identicati una serie di comportamenti tipici delle persone creative, molti dei quali riportati in altri studi svolti in America (Runco, 1984). In un secondo studio, attraverso l’analisi fattoriale sono stati identicati 4 fattori che raggruppano tutti i comportamenti indicati dai soggetti: personalità e creatività generale; perseveranza; indipendenza e devianza; cognizione e motivazione. I coreani identicano la persona creativa con caratteristiche comuni a quelle indicate dalla popolazione americana a livello di personalità, perseveranza, indipendenza e motivazione. Tuttavia, alcuni di questi fattori assumono per la loro cultura una connotazione negativa (ad esempio il concetto di “indipendenza”): inoltre, la gura dell’inventore viene vista come una persona solitaria, con poca responsabilità sociale e, di conseguenza, poco desiderabile. La scarsa desiderabilità sociale delle persone creative da parte della cultura orientale era stata rilevata qualche anno prima da Chan e Chan (1999), i quali avevano condotto uno studio su un campione di insegnanti di scuola primaria e secondaria di Hong Kong. Attraverso la somministrazione di un questionario a risposta aperta, i due ricercatori volevano, in primo luogo, individuare le caratteristiche dello studente creativo e quelle del non 73


creativo secondo gli insegnanti (e rilevare eventuali differenze di genere e tra insegnanti di diverso livello scolastico); in secondo luogo, essi intendevano confrontare le risposte con quelle rilevate in altri studi condotti sugli insegnanti americani. I risultati più signicativi dello studio rivelano che: – il genere e il grado di scuola in cui si insegna non inuenzano in modo signicativo le risposte fornite dagli insegnanti; – molte delle caratteristiche attribuite all’alunno creativo sono le stesse indicate dai campioni statunitensi coinvolti in altri studi; – alcuni dei tratti comuni ai campioni americano e orientale (“velocità nel rispondere”, “abilità intellettive”, “bravo osservatore”, “ragionamento”) sono maggiormente associati all’intelligenza piuttosto che alla creatività; – alcune caratteristiche attribuite alla persona creativa sono considerate socialmente indesiderabili dagli insegnanti orientali e non sono elencate da quelli americani (“ribelle”, “centrato su se stesso”, “ostinato”). In sostanza, gli insegnanti orientali sembrano rispecchiare la cultura e lo stile di vita in cui vivono, privilegiando le prestazioni accademiche degli studenti e apprezzando poco aspetti individualistici come l’anticonformismo, la ricerca di attenzione e la non osservanza delle regole. Choe (cit. in Kaufman e Sternberg, 2006 pp. 397-400) ha condotto una ricerca su come i bambini coreani si rappresentano la creatività. Il vantaggio di impiegare un campione di giovani è riconducibile, secondo Choe, al fatto che questi sono più liberi di esprimersi, non avendo ancora un’idea denita di creatività come prodotto; inoltre, sono meno sensibili al contesto socioculturale e religioso, che incoraggia l’obbedienza e il rispetto delle norme sociali. Attraverso uno studio preliminare sono state messe a punto due liste, una contenente aggettivi che caratterizzano le persone creative e l’altra contenente aggettivi che non le caratterizzano. I risultati mostrano che i bambini coreani condividono la stessa opinione degli occidentali sulle persone creative e anche le stesse caratteristiche. Inoltre, nonostante il mito dell’inventore solitario sia molto forte all’interno della loro cultura, per i bambini coreani il creativo viene identicato come persona di successo, alla stessa stregua degli occidentali. 74


È possibile presumere che la scarsa esposizione alle inuenze socioculturali e all’importanza della performance scolastica inducano i giovani orientali ad avere un atteggiamento più positivo nel giudicare le doti della persona creativa; tuttavia, risulta ancora difcile individuare dei punti comuni, vista la scarsità di ricerche ed il fatto che alcuni studi condotti in Corea sulle teorie implicite sono stati pubblicati solo in lingua coreana. Nel 2002 Runco e Johnson, dopo aver riscontrato i vantaggi della metodologia di validazione sociale applicata all’analisi delle concezioni di insegnanti e genitori a proposito della creatività, hanno voluto replicare il precedente studio in un’ottica interculturale. A tal proposito sono stati selezionati due campioni di insegnanti e genitori americani e indiani ai quali sono state somministrate due liste di aggettivi tratte dall’ACL e in parte modicate. Gli insegnanti e i genitori avevano il compito di indicare i tratti che caratterizzano il bambino creativo e quelli che non lo caratterizzano; inoltre, per ogni aggettivo, i soggetti dovevano indicare il grado di desiderabilità (per entrambe le risposte venne impiegata una scala Likert a 5 punti). I risultati ottenuti possono essere così sintetizzati: – i dati confermano in buona parte quanto era già emerso nel 1993: i descrittori del bambino creativo ottengono un giudizio medio più alto rispetto a quelli del bambino non creativo e non ci sono differenze signicative tra insegnanti e genitori (ciò è riscontrabile sia nel campione americano che in quello indiano); – rispetto al precedente studio, in cui gli insegnanti avevano indicato più qualità sociali come caratteristiche del bambino creativo rispetto a quelle individualistiche evidenziate dai genitori, qui le teorie implicite dei due sottogruppi sembrano essere più simili; – i tratti indicativi della creatività sono maggiormente desiderabili rispetto ai tratti che non sono indicativi, che al contrario sono poco desiderabili. Alcuni termini che non sono indicativi – come il “conformismo” e la “cautela” – e altri indicativi – come l’“impulsività” e l’“esser sognatore” – vengono considerati rispettivamente molto e poco desiderabili in un bambino. Questo andamento è meno evidente nel campione indiano, soprattutto 75


nel gruppo dei genitori: tuttavia, si sottolinea un aspetto fondamentale, ovvero che la creatività e la desiderabilità sociale sono due costrutti diversi anche se connessi tra loro; – una differenza culturale signicativa è riscontrabile a proposito dei cluster che suddividono gli attributi creativi in attitudinali, intellettuali e motivazionali. Il campione americano ha fornito una valutazione media dei cluster attitudinali e intellettuali sensibilmente più alta rispetto al campione orientale. Le differenze culturali evidenziate in questa ricerca rafforzano l’idea che il clima sociale inuenza fortemente l’attribuzione di connotazioni creative e di desiderabilità di certi comportamenti. In una società come quella indiana che predilige l’obbedienza e la conformità è naturale che l’essere cauti sia una dote attribuita ai bambini creativi e allo stesso tempo ugualmente desiderabile. Ne consegue che anche le categorizzazioni di certi tratti che sono condivisi dalla cultura occidentale non trovano corrispondenza in quella orientale. Fattori che inuiscono sullo sviluppo della creatività a scuola Un’altra area di ricerca si è focalizzata sullo studio della creatività nel contesto educativo, in particolare sulle percezione dei fattori che stimolano e che ostacolano lo sviluppo del potenziale creativo in classe. De Souza Fleith (2000) si è interessato al clima in classe e per la sua ricerca ha adottato un approccio qualitativo che permettesse di individuare i fattori che regolano lo sviluppo della creatività a scuola. I soggetti coinvolti nell’indagine erano insegnanti e allievi della scuola primaria; è stato coinvolto anche un gruppo di esperti – ricercatori e insegnanti esperti – allo scopo di fornire un quadro teorico di riferimento. Gli strumenti consistevano in interviste semistrutturate individuali e focus group. Le domande che venivano rivolte erano incentrate su argomenti connessi al concetto di creatività: la descrizione della classe, le attività svolte, la denizione di creatività e i criteri di valutazione. I risultati delineano un prolo specico del modo di percepire la creatività negli insegnanti e negli studenti. Questi sono così sintetizzati: – le percezioni che gli insegnanti hanno delle caratteristiche della classe sono basate essenzialmente sulle attitudini: ciò che di76


stingue le considerazioni degli insegnanti da quelle degli esperti è il tipo di attività che favorirebbe il pensiero creativo in classe, probabilmente a causa della scarsa formazione dei primi. Pur riconoscendo l’importanza di favorire lo sviluppo del potenziale creativo negli alunni, gli insegnanti non considerano due elementi, il premio e l’autovalutazione: nel primo caso, essi lodano un buon lavoro indipendentemente dal fatto che sia stato svolto in modo creativo. Per quanto riguarda l’autovalutazione, questa non viene vista dagli insegnanti come uno strumento alternativo per giudicare il rendimento degli studenti, bensì come una perdita del controllo e un conseguente passaggio di potere alla classe; – in generale gli studenti mostrano un atteggiamento positivo nei confronti della scuola e della creatività: il fatto di non saper identicare situazioni che inibiscono lo sviluppo del pensiero creativo è da imputare alla giovane età del campione. Inoltre, la concezione che la creatività si esprima soprattutto nelle discipline artistiche è molto forte. Il modo in cui gli insegnanti giudicano la creatività nei loro alunni solleva un’importante questione: i motivi per cui questi incontrano delle difcoltà potrebbero risiedere nell’incapacità di valutare; oppure è l’organizzazione interna della scuola stessa che, con i voti e le competizioni, mina lo sviluppo della creatività? Inne, come hanno sottolineato le ricerche descritte sopra, il problema sta nelle caratteristiche dell’insegnante, che di fronte a certi comportamenti creativi assume un atteggiamento “conservatore” e punitivo. Hoff e Carlsson (2008) hanno cercato di spiegare i motivi per cui molti insegnanti non riescono a promuovere l’atteggiamento creativo a scuola attraverso una ricerca che ha coinvolto 8 insegnanti e gli alunni di 3 diverse scuole svedesi. Gli scopi della ricerca sono così sintetizzati: – individuare quali sono le variabili più inuenti nella formazione dei giudizi che l’insegnante formula circa la creatività dei propri alunni; – vericare il tipo di relazione tra le valutazioni che l’insegnante dà e alcune variabili, come il livello del rendimento; – confrontare le valutazioni che insegnanti e alunni danno in me77


rito ad alcune materie scolastiche con le descrizioni dell’immagine di sé; – identicare eventuali differenze di genere tra i giudizi degli insegnanti. Per la valutazione della creatività sono stati impiegati tre test oggettivi: l’Activity Questionnaire, che misura il coinvolgimento in attività e passatempi creativi nei bambini; il Creative Functioning Test (CFT: Smith & Carlsson, 1990/2001, cit. in Hoff e Carlsson, 2008), che misura la capacità di spostare il pensiero in modo essibile dall’immaginativo al razionale; l’Alternate Uses Test (AUT: Guilford, 1967, cit. in Hoff e Carlsson, 2008), che misura la uidità ideativa. Per la descrizione dell’immagine di sé sono state impiegate 3 sottoscale dell’How I think I am Inventory (Ouviner & Bigerstam, 1985/1999, cit. in Hoff e Carlsson, 2008): livello di rendimento, benessere mentale e relazione con i pari. Da queste sono stati selezionati alcuni item da confrontare con le valutazioni degli insegnanti riguardanti abilità artistiche, linguistiche, matematiche e creative. Inne, agli insegnanti è stata somministrata una scala di valutazione costituita da due liste di item che descrivono i tratti tipici e atipici di una persona creativa. Alcuni dei risultati confermano quanto delineato dalle ricerche precedenti: le valutazioni degli insegnanti a proposito della creatività correlano con un solo test oggettivo e con entrambe le liste dei tratti tipici e atipici, a suggerire una scarsa accortezza nel giudicare la creatività infantile. Inoltre, gli insegnanti, nel considerare la creatività dei loro alunni, sono fortemente inuenzati dal loro rendimento scolastico, dalle abilità di cooperazione e dalla ducia in se stessi. Il grado di accordo tra le valutazioni che gli alunni danno di se stessi, le valutazioni degli insegnanti in alcune materie scolastiche e le abilità mostra che gli insegnanti sono capaci di giudicare gli alunni per ciò che riguarda le loro capacità in generale. Le sole difcoltà dell’insegnante risiedono, in buona sostanza, nel giudicare il potenziale creativo dei propri alunni: quest’ultima affermazione si ricollega al problema di denire la creatività e alla tendenza a cercare una denizione univoca della creatività. Gli studi presentati nora non hanno approfondito quello che è il percorso dell’insegnante, gli elementi che hanno inuenzato la sua 78


formazione professionale e le sue opinioni a proposito della creatività a scuola in rapporto ad una specica disciplina. Per questo motivo è opportuno citare il contributo di Odena, che si è occupato dello studio delle percezioni della creatività da parte degli insegnanti di musica. Il punto di partenza dell’autore è il problema di denire la creatività alla luce delle recenti modiche apportate al sistema scolastico inglese a proposito dell’insegnamento della musica. L’ultima versione del National Curriculum for Music evidenzia – accanto all’importanza dell’improvvisazione e della composizione – il ruolo del pensiero creativo da un punto di vista più generale: «La creatività assume il valore di stile di pensiero desiderabile». In tal senso «la musica deve fornire delle opportunità di promuovere le abilità di pensiero, attraverso l’analisi e la valutazione della musica, adottando e sviluppando idee musicali e lavorando in modo creativo, riessivo e spontaneo». Nello specico, la creatività «include attività come l’improvvisazione e la composizione. Agli studenti va insegnato: come improvvisare, attraverso l’esplorazione e lo sviluppo di idee musicali nel momento in cui eseguono; come produrre, sviluppare ed ampliare idee musicali, attraverso la selezione e la combinazione di risorse all’interno di strutture e determinati generi musicali, stili e tradizioni» (DFEE and QCA, 1999). In pratica, se da un lato il sistema educativo e la ricerca hanno richiamato l’attenzione su alcuni elementi dell’insegnamento musicale strettamente connessi alla creatività, dall’altro hanno nito con il denire la creatività in modo piuttosto generico e ambiguo, senza tenere conto del ruolo e del punto di vista dell’insegnante. Dalle ricerche che si sono occupate della creatività e della sua rappresentazione, Odena (2001a; 2001b) rileva altri limiti: innanzitutto alcuni studi hanno privilegiato il punto di vista degli insegnanti e degli alunni e trascurato l’aspetto del che cosa è creativo, ovvero del prodotto; in secondo luogo, è evidente la tendenza a occuparsi più di teorie esplicite che del pensiero degli insegnanti, rischiando così di imporre i costrutti teorici ai punti di vista delle persone. Sulla base di queste osservazioni, Odena ha scelto di adottare una differente metodologia per indagare le opinioni degli insegnanti sulla creatività: anziché domandare in modo diretto la spiegazione di un costrutto, ha optato per la presentazione di registrazioni delle loro lezioni di musica: 79


durante la visione delle parti correlate al tema della creatività, veniva richiesto agli insegnanti di commentare o esprimere dei pareri. Il metodo impiegato per quest’indagine è la conversazione “mirata”: attraverso gli stimoli-video e le domande dell’intervistatore l’insegnante si sente libero di esprimere le proprie idee e pensieri, arrivando a riessioni profonde. Durante le interviste, i commenti dei partecipanti ponevano l’accento su concetti ricavati dalla letteratura a proposito della creatività: “valutazione dei prodotti creativi degli studenti”, “ambiente emotivo”, “processi di composizione” e “studenti creativi”. Dalle spiegazioni degli insegnanti è facile cogliere la presenza dei quattro aspetti che caratterizzano la dimensione creativa e sui quali si è concentrata la ricerca in oggetto (il processo, il prodotto, l’ambiente e la personalità); inoltre, come già sottolineato da Fryer e Collings (1991), gli insegnanti di discipline artistiche tendono a interpretare la creatività e il modo di insegnarla in termini molto personali. Per questo motivo, la seconda parte della ricerca di Odena si è focalizzata su una domanda precisa: in che modo le esperienze professionali e musicali degli insegnanti inuenzano le loro concezioni sulla creatività? Gli insegnanti coinvolti erano gli stessi che avevano partecipato all’indagine qualitativa descritta in precedenza: nello specico, si trattava di insegnanti di musica della scuola secondaria; alcune ore delle loro lezioni erano state registrate, in particolare durante le attività di composizione ed improvvisazione. Alcune parti selezionate erano state poi impiegate nel corso dell’intervista libera; inoltre, gli insegnanti avevano compilato il Musical-Career-Path response sheet, in cui veniva chiesto di parlare delle loro esperienze passate con particolare riferimento a quelle che hanno inuenzato la loro formazione musicale ed il loro iter professionale. In generale, è emerso che le esperienze passate inuenzano le rappresentazioni che i soggetti si formano sulla creatività. Dalle analisi dei dati è emerso che i background degli insegnanti presentavano elementi che sono stati raggruppati nel seguente modo: – componente musicale: esperienze musicali passate e presenti; – componente formativa (riferita all’insegnamento): commenti riguardo i corsi scolastici che hanno seguito per poter insegnare; 80


– componente professionale: esperienze passate e attuali d’insegnamento nelle scuole. Le aree della creatività che sono state esplorate sono quelle indicate dalla letteratura, ovvero: – le percezioni degli insegnanti riguardo agli alunni creativi; – le idee degli insegnanti sull’ambiente adatto per la promozione della creatività; – le percezioni degli insegnanti circa il processo creativo; – le rappresentazioni che gli insegnanti hanno dei prodotti creativi. I risultati mostrano che l’elemento più presente nei diversi background degli insegnanti è quello musicale, il quale è anche quello che inuisce maggiormente sul modo in cui questi si rappresentano la creatività. Nello specico, l’aver avuto esperienza di composizione e il possedere una solida conoscenza dei diversi stili musicali favoriscono una descrizione più articolata degli ambienti che facilitano la creatività e un’adeguata valutazione del lavoro degli studenti. Queste considerazioni confermano quanto emerso nelle ricerche precedenti, cioè il fatto che una solida esperienza nella composizione musicale è utile non solo per giudicare il prodotto nale, ma anche nel momento che precede il prodotto stesso (la composizione), in cui insegnante e allievo sono coinvolti nella fase generativa. Come misurare la creatività La necessità di studiare e analizzare la creatività e il modo di rappresentarla si accompagnano all’esigenza di disporre di una serie di strumenti di valutazione del potenziale creativo delle persone: d’altro canto, la ricerca in questo campo è molto recente e, di conseguenza, gli strumenti disponibili sono pochi, se paragonati a quelli che misurano costrutti come l’intelligenza o la motivazione. Il reattivo più conosciuto e impiegato è il Torrance Test of Creative Thinking (TTCT: Torrance, 1974), che misura il pensiero divergente e le abilità di problem solving attraverso delle prove che valutano aspetti quali: la uidità (misurabile attraverso il numero di idee rilevanti, signicative ed esplicative prodotte a seguito di un dato stimolo), la essibilità (il numero di categorie di risposte rilevanti), l’originalità (produzione di risposte adeguate e statisticamente infrequenti) e l’elaborazione (il numero di dettagli all’interno di ogni risposta). 81


Un altro test abbastanza diffuso è il reattivo di Wallach e Kogan (1965, cit. in Antonietti, 1990) che, pur riprendendo alcuni materiali messi a punto da Guilford, mira a superare i limiti legati alla somministrazione, che tende ad alimentare un clima di tensione da esame, in favore di un clima di familiarità e non valutativo. In Italia, sono disponibili alcuni adattamenti di test stranieri, come il test di Torrance o la scala di Williams (TDC: Williams, 1994). D’altro canto, gli strumenti interamente ideati nel nostro paese sono pochissimi. Fino a qualche decennio fa, l’unico test italiano disponibile era il test Espressioni di Calvi (1966, cit. in Antonietti, 1990), costituito da una serie di prove verbali e grache ispirate a quelle impiegate da Guilford. Questo strumento non ha avuto ampia diffusione probabilmente a causa dell’inuenza delle variabili di genere, di età e culturali. Uno strumento di recente ideazione è il Test di Creatività Infantile (TCI: Antonietti, 1992). È un test che misura le potenzialità creative dei bambini: nello specico, alcune prove valutano la uidità, la essibilità e l’originalità in compiti di produzione spontanea a partire da stimoli visivi o uditivi. Altre prove invece valutano abilità intellettive di tipo creativo in compiti più complessi. È composto da due versioni identiche costituite, ognuna delle quali consta di 6 prove: – Esempi (3 items): il bambino ha il compito di numerare il maggior numero possibile di realtà aventi una data proprietà; – Disegni (3 items): al bambino viene chiesto di elencare i possibili signicati di un modello graco; – Usi (3 items): al bambino viene chiesto di elencare il maggior numero possibile di usi di un dato oggetto; – Conseguenze (2 items): al bambino viene chiesto di elencare le possibili conseguenze di eventi bizzarri e fantastici; – Storie (2 items): si sollecita il bambino a inventare un racconto a partire da un’illustrazione graca; – Problemi (2 items): viene descritto un semplice problema di tipo pratico e il bambino deve proporre possibili soluzioni. Come dimostrano i dati di ricerca (Antonietti e Cerioli, 1992), questo test, proposto secondo una modalità ludica, risulta di facile somministrazione in quanto non presenta limiti di tempo ed è piuttosto breve dopo la riduzione del numero di items della prima versione. 82


Oltre agli strumenti psicometrici nora descritti, esistono una serie di questionari, scale e check list che la ricerca italiana e internazionale ha prodotto e che sono già stati citati in questo capitolo. Alcuni di questi strumenti sono stati costruiti ad hoc per determinate categorie di soggetti: è il caso, ad esempio, della scala di valutazione della creatività infantile ideato da Runco per i genitori (PECC-R). Altri sono più articolati e comprendono subscale che valutano un aspetto della creatività, come la Adjective Check List, uno dei primi strumenti a far uso di liste di aggettivi per descrivere la personalità degli individui. Altri ancora – è il caso del differenziale semantico impiegato da Antonietti e Cerioli nelle loro ricerche – partono da tecniche e strumenti esistenti al ne di valutare i signicati impliciti più sottili che un individuo difcilmente descrive in modo spontaneo. Tali signicati sono dati da un prolo di valutazione basato su differenti scale di aggettivi bipolari. Inne, gran parte dei questionari sono caratterizzati da una serie di semplici domande che valutano gli aspetti generali della creatività, i fattori che possono favorirla e ostacolarla e gli ambiti di applicazione. A conclusione di questa rassegna di contributi sulle rappresentazioni della creatività, sembra interessante segnalare due studi italiani sulla rappresentazione della creatività molto recenti che si focalizzano su aspetti diversi e con modalità diverse. Un primo studio (Colombo et al., 2008) si pone l’obiettivo di esplorare le concezioni ingenue delle persone sulla creatività attraverso l’impiego di un questionario costituito da sezioni diverse: – la prima parte indaga il concetto di creatività e la sua relazione con l’intelligenza («Che cosa signica essere creativo per te?»; «Disegna una persona creativa»); – la seconda parte, di tipo verbale, si focalizza sui tratti della personalità tipici della persona creativa (Per esempio, si chiede: «Scegli due lavori che ritieni essere più creativi rispetto ad altri»); – la terza e quarta parte hanno lo scopo di indagare il diverso modo di considerare un prodotto creativo in relazione alla musica e all’arte. Alcuni brani musicali e rafgurazioni pittoriche sono stati selezionati sulla base dell’analisi dei tratti creativi – uidità, essibilità e originalità – che sono riconducibili alla struttura interna di ogni item. 83


Il questionario è stato somministrato ad un campione di 51 soggetti. I risultati mostrano che le persone considerano la creatività come un processo cognitivo, un’abilità innata posseduta da tutti, distinta dall’intelligenza e che viene inuenzata da fattori sociali ed educativi. La professione considerata come la più creativa dalla maggioranza è quella del musicista; questo dato è molto signicativo in quanto differenzia due modi di percepire la personalità creativa: da un lato, coloro che hanno scelto questa professione hanno un atteggiamento più pratico, in quanto vedono la persona creativa come “normale”, facente parte cioè della quotidianità; dall’altro, coloro che hanno effettuato altre scelte riguardo alla professione eminentemente creativa considerano il creativo come un tipo dalla forte personalità, che non manifesta abilità cognitive speciche. Il secondo studio (Antonietti e Pizzingrilli, 2008) parte dalla concezione secondo la quale la ristrutturazione è la fase centrale del processo creativo: essa rappresenta il momento in cui una persona cambia interpretazione di una determinata situazione, in modo che quella situazione assume un signicato del tutto nuovo e originale. Ad esempio (Fig. 3), di fronte all’immagine di un ore incompleto, pensiamo che, aggiungendo un dettaglio come la venatura di una foglia, l’immagine nale che otterremo sarà quella di un ore completo. Se invece aggiungiamo un dettaglio diverso, come delle mani lungo i petali e un faccino con un turbante, non vedremo più un ore, ma un sultano. Una serie di studi pilota condotti su gruppi di studenti universitari ha permesso non solo di testare i materiali messi a punto per la valutazione del processo creativo (diverse serie di disegni creativi e non creativi come quelli riportati in Fig. 4), ma anche di vericare che i soggetti effettivamente cogliessero il cambiamento di signicato e che non confondessero il giudizio di creatività con quello di bellezza. Successivamente, si è cercato di valutare il processo di ristrutturazione negli studenti di diverse fasce di età. Sono stati coinvolti circa 200 studenti di età compresa tra i 5 e i 15 anni: ogni soggetto ascoltava una breve storia che narra di due bambini che si alternano nelle tre fasi di realizzazione di un disegno. La storia è accompagnata da immagini che illustrano le fasi del racconto. Ogni studente riceveva 84


Figura 3

un set di disegni, che poteva essere di tipo creativo o non creativo. Venivano inoltre poste delle domande relative al racconto e ai disegni presentati: «Quanto è bello questo disegno? Quanto è originale?»; «Un bambino secondo te, partendo dall’immagine di un ore stilizzato, potrebbe disegnare un sultano?». I risultati mostrano che gli studenti sono in grado di identicare il cambiamento di prospettiva che effettivamente differenzia un prodotto creativo da uno non creativo; l’elemento creativo non inuenza i loro giudizi estetici, che tendono ad essere più alti per la rappresentazione di oggetti “comuni” anziché “insoliti”. Inoltre, gli studenti sanno cogliere il ruolo dei diversi autori nella realizzazione dello stesso prodotto, ma evidenziando nalità e ragioni diverse. Ad esempio, nel caso in cui il disegno sia stato modicato dall’intervento di un certo bambino, a questo viene riconosciuto il merito di averlo modicato. I più piccoli hanno evidentemente maggiori difcoltà nel giudicare il contributo apportato dal bambino più creativo, probabilmente perché questa capacità implica un livello più profondo di ragionamento che ancora non possiedono. 85


Anche questi ultimi contributi confermano un dato emerso in precedenza: in particolare, la prima ricerca sottolinea il fatto che le competenze e le conoscenze che la gente comune possiede in un determinato ambito inuiscono sul modo di concepire la creatività, sia dal punto di vista del prodotto sia delle caratteristiche personali; a conferma di ciò, i soggetti che avevano identicato la categoria dei musicisti come la più rappresentativa delle professioni creative sono risultati abili a cogliere elementi musicali più tecnici rispetto agli altri. L’aspetto fondamentale che emerge dai dati del secondo contributo riguarda il fatto che le abilità nel cogliere le fasi del processo creativo e nel formare giudizi sulle persone creative seguono due linee di sviluppo diverse. Tale discrepanza può dipendere dal fatto che queste due abilità attivano processi mentali distinti: nel caso delle rappresentazioni, la capacità maggiormente coinvolta è l’attribuzione di intenzioni, idee e stati d’animo alla persona autrice del cambiamento del disegno in senso creativo. Conclusioni Il quadro che si è delineato in questo paragrafo a proposito della creatività e del modo in cui le persone la rappresentano ci spinge a fare alcune considerazioni. In primo luogo, la parola “creatività” sottende una molteplicità di signicati e di denizioni, e questa sua caratteristica emerge in ogni ambito: dagli approcci teorici tradizionali alla ricerca moderna, no alla realtà della vita quotidiana delle persone, esperti nel settore e profani concordano sul fatto che è difcile fornire una denizione univoca che comprenda tutte le sfaccettature di questo fenomeno così complesso e che allo stesso tempo suscita tanto interesse. Tale difcoltà è chiaramente espressa dai dati di uno studio condotto in Africa (Mpofu, 2006, cit. in Kaufman e Sternberg, 2006, pp. 462-473), il quale rivela che solo una popolazione delle 28 rappresentate utilizza un termine unico per denire la creatività (ibda). Ciononostante, tutte le altre subculture utilizzano diversi termini per riferirsi a una molteplicità di aspetti (innovazione, non conformismo, immaginazione ecc.). In pratica, le persone utilizzano tanti aggettivi per tanti modi di intendere la creatività: e la ricerca dovrebbe tener conto del fatto che la creatività è denita dalle prospettive dei partecipanti, più che dai criteri oggettivi (Mpofu, 2006, cit. in Kaufman e Sternberg, 2006, p. 463). 86


Un secondo aspetto oggetto di discussione da parte di molti studiosi è legato all’importanza delle teorie implicite. La ricerca si è spesso focalizzata sulla necessità di partire dalle teorie esplicite per spiegare l’atteggiamento della gente verso il fenomeno creativo, trascurando in tal modo il ruolo centrale delle teorie implicite: esse ci permettono di denire la creatività a partire dal mondo sociale. Le teorie implicite rappresentano le credenze condivise dalla gente a proposito della creatività e sono per questo caratterizzate da una certa variabilità, non solo dal punto di vista dei diversi gruppi sociali, ma anche in rapporto alle differenti culture all’interno delle quali prendono forma. Per questi motivi, la ricerca dovrebbe focalizzarsi sullo studio delle concezioni della creatività insieme con l’osservazione dei comportamenti che le persone mettono in atto: questa modalità permetterebbe, come sostiene Runco (2002), di valutare il modo in cui le tradizioni sociali e le aspettative inuenzano l’idea diffusa in certe culture sull’accettabilità del comportamento creativo dei bambini. Il terzo punto che vale la pena sottolineare riguarda la centralità della gura dell’insegnante nello sviluppo del potenziale creativo degli studenti. Il docente inuenza il comportamento creativo del discente attraverso canali comunicativi differenti: le sue teorie implicite, gli atteggiamenti che assume in classe, gli strumenti che impiega. Come spiegato da Westby e Dawson (1995), un atteggiamento poco accogliente rischia di allontanare il bambino dall’istruzione formale e, più specicatamente, di inibire il comportamento creativo. D’altro canto, esistono dei limiti legati al sistema scolastico, che mettono l’insegnante nella posizione di “mediatore” tra le costrizioni della scuola e le idee creative degli studenti. Una realtà fatta di programmi scolastici, scadenze, prove di valutazione lascia poco spazio alla libera espressione. Per questo motivo, gli insegnanti considerano desiderabili certi tratti che sono lontani dall’immagine dell’alunno creativo: una personalità docile e ubbidiente ben si adatta a una gestione adeguata della classe. Molti contributi che si sono occupati della creatività a scuola hanno evidenziato la duplice necessità di chiarire il ruolo della creatività in relazione agli obiettivi di apprendimento stabiliti dai programmi scolastici e di fornire un’adeguata formazione ai docenti in modo da favorire la cultura della creatività a scuola. 87


I diversi strumenti adottati per misurare le concezioni sulla creatività – come i test oggettivi, i questionari e i self-report compilati da insegnanti – forniscono dei risultati che spesso sembrano contrastare con quanto indicato dalla letteratura. Questo apparente “paradosso” rappresenta non solo un’ulteriore conferma della pluralità di signicati che il concetto di “creatività” assume, ma permette di affermare l’esistenza di più personalità creative che non sono riconducibili ad un unico prolo. A titolo esemplicativo, citiamo le tre personalità creative che sono state identicate da Hoff e Carsslon (2008): ribelle e anticonformista (creativo non verbale); caratterizzato da un alto rendimento, apprezzato dagli insegnanti e che non viene percepito come una minaccia (creativo verbale); caratterizzato da un rendimento piuttosto scarso e poco apprezzato. Inne, il problema della scarsità di ricerche sulle rappresentazioni della creatività – sollevato più volte nel corso della trattazione – si riette nei limiti metodologici di molti studi che sono stati presentati: la scarsa numerosità dei campioni, i diversi approcci proposti e i diversi strumenti impiegati. La situazione che si è così delineata ha spesso portato i ricercatori a confrontare risultati di studi diversi dal punto di vista dei soggetti e delle procedure impiegati. Il superamento di questi limiti dovrebbe costituire l’obiettivo delle ricerche future. Inoltre, lo studio della creatività deve essere rivolto alla realtà all’interno della quale prende vita il fenomeno creativo, anziché concentrarsi esclusivamente su problemi denitori. D’altro canto, come testimoniano anche due ricerche condotte in Italia da Eurisko (2004) e Ipsos (2008), le concezioni ingenue che vedono la creatività come talento e dote innata sono fortemente radicate nella maggioranza della popolazione (Testa, 2008): per sradicare queste idee, è opportuno lavorare sulla promozione del pensiero creativo nelle scuole e negli ambienti di lavoro.

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Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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Nella stessa collana Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling, 2003, pp. 160 Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violente d’ira, collera e furia, 2003, pp. 224 Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224 Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224 Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448 Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160 Giusti E. - Lazzari A., Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione del Sé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160 Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320 Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160 Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutive dei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396 Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia, 2005, pp. 368 Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per profughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192 Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficacia ed efficienza, 2005, pp. 320 Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie collettive integrate, 2004, pp. 304 Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione, 1999, pp. 144 Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionale del libero professionista, 1993, pp. 128 Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicologico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192 Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004, pp. 240 Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione delle risorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208 Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112 Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari e psicosociali, 1999, pp. 184 Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176 Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicoterapeutica, 2005, pp. 176 Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei trattamenti psicologici, 2005, pp. 160 Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico complementare per le demenze, 2004, pp. 144 Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

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Videodidattica per le psicoterapie scientifiche dell’American Psychological Association • Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapia breve integrata di J. Preston € 120,00 • Video Psicoterapia Cognitiva-Affettiva Comportamentale Prof. M.R. Goldfried + Libro Dalla Terapia cognitivo-comportamentale all’Integrazione delle Psicoterapie € 120,00 • Video Psicoterapia Processuale Esperienziale L.S. Greenberg + Libro Manuale di Psicoterapia Esperienziale Integrata € 132,00 • Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centrata sulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

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EDIZIONE SOVERA STRUMENTI Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapia focalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per il cambiamento, in corso di stampa, pp. 368 Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione transitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia pluralistica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580 Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, diagnosi e cura, 2006, pp. 240 Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base: dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256 Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicoterapie innovative, 2007, pp. 400 Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224 Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza. Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’evidenza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464 Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480 Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007, pp. 304

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