Il Santo Rosario - appendice

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Appendice

Il santo Rosario fra storia e devozione

Il Rosario è «una modalità di orazione e di preghiera a Dio facile, alla portata di tutti e oltremodo pia, mediante la quale la beatissima Vergine viene venerata con il Saluto dell’Angelo ripetuto centocinquanta volte, secondo il numero dei Salmi di Davide, interponendo a ogni decina la Preghiera del Signore, con determinate meditazioni che illustrano tutta la vita del Signore nostro Gesù Cristo». Per giungere a tale definizione, che papa Pio V inserì nella Bolla Consueverunt romani Pontifices del 17 settembre 1569, sono stati necessari almeno quattro secoli, a partire da quando nel XII secolo si iniziò a codificare il Salterio dei Pater e il Salterio delle Ave. Queste due preghiere, che rispettivamente consistevano nella ripetizione di 150 Padre nostro e di 150 Ave Maria (senza la seconda parte della Santa Maria, che si aggiungerà soltanto nel XVI secolo), venivano utilizzate specialmente dai monaci illetterati, incapaci di leggere e di imparare a memoria i 150 Salmi in latino per la recita in coro. Ma in qualche modo, nella forma di preghiera ripetuta, gli inizi del Rosario affondano nell’esperienza dei primi secoli cristiani. Già i Padri del deserto utilizzavano infatti cordicelle con una serie di nodi, per contare le orazioni che pronunciavano in forma litanica. E a partire dal VI secolo, dopo che il Saluto dell’Angelo venne inserito nella liturgia della quarta domenica di Avvento, anche alcuni fedeli cominciarono a recitare in forma reiterata la prima parte dell’attuale Ave Maria. La lenta evoluzione, a opera di diversi autori, è scandita da alcuni momenti fondamentali: le Meditazioni sulle gioie della Santa Vergine, ripartite in tre blocchi di cinque riflessioni ciascuno, dell’abate cistercense Stefano Sallay di Easton (morto nel 1252); la suddivisione delle 150 Ave in quindici decine, ciascuna preceduta da un Pater, per iniziativa del priore certosino Enrico Eger di Kalcar (morto nel 1408 e al quale la tradizione attribuisce una diretta ispirazione della Madonna); l’aggiunta di 50 enunciazioni della vita di Gesù – 14 per i Misteri della vita nascosta, 6 per quelli della vita pubblica, 24 per la passione e 6 per la glorificazione – alla sequenza di 50 ripetizioni dell’Ave, a cura del monaco certosino Domenico Elion di Prussia (morto nel 1460). Il più importante codificatore del Rosario fu però il monaco domenicano Alano de la Roche (morto nel 1475), che si fece apostolo di tale devozione in diverse nazioni europee. Secondo quanto egli stesso narrò in diversi scritti, la Madonna gli apparve varie volte fra il 1463 e il 1468 e lo istruì con precisione, comandandogli di «predicare questo Salterio sotto la minaccia dell’inevitabile pericolo di morte e vendetta del castigo divino». La struttura di Alano prevedeva quindici decine di Ave Maria, con un Padre nostro all’inizio di ciascuna decina e la contemplazione di altrettanti Misteri della salvezza: rispettivamente, una cinquina caratterizzata dal gaudio dell’incarnazione, una dal dolore della passione e una dalla gloria successiva alla risurrezione. Mancava ancora la preghiera del Gloria al Padre, inserita all’inizio del XVII secolo. Per corroborare l’affermazione dell’origine divina del Rosario da lui promosso, Alano attribuì la fondazione della Confraternita del Psalterium Mariae Virginis – che egli stesso provvide a presentare e a diffondere – direttamente a un’apparizione della Madonna a san Domenico (il fondatore dei Frati Predicatori, morto nel 1221), il quale ne avrebbe scritti sotto dettatura gli statuti, che richiedevano agli associati la recita quotidiana del Salterio. In realtà, pur avendo probabilmente il santo predicato in qualche modo il Rosario, nessun documento ci è pervenuto quale testimonianza


I misteri della Luce

I passi essenziali della vita di Cristo Mediante la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, promulgata il 16 ottobre 2002, Giovanni Paolo II volle sottolineare maggiormente la fisionomia cristologica del Rosario e stabilì perciò l’aggiunta del nuovo ciclo dei misteri della Luce, che si recitano il giovedì. Quale ne è stata la motivazione? Proprio per evitare il “salto” dall’infanzia di Cristo alla sua agonia nel Getsemani, Giovanni Paolo II ha inserito i misteri della Luce, con i passi essenziali della vita terrena di Cristo: il battesimo nel Giordano (e qui dovremmo ricordare anche le tentazioni da parte del demonio); la rivelazione alle nozze di Cana, dove è essenziale la presenza di Maria, mediatrice di tutte le grazie; il compendio del tempo precedente la passione, compreso lo straordinario dono dell’Eucaristia. Questa esigenza era sentita da molti, perché la recita del Rosario ora ci permette davvero di rivivere con Maria santissima tutti i passi della redenzione, che non sono soltanto i due fondamentali dell’incarnazione e nascita e della passione e morte. C’è anche tutta la vita pubblica di Gesù e i misteri della Luce includono gran parte del Vangelo, che altrimenti era trascurata nel Rosario. A mio parere occorre anzi meditare i misteri della Luce in una prospettiva ancor più ampia, poiché è tutta la missione e la testimonianza di Gesù che vengono ripercorse in questa nuova dimensione. Lo dice la stessa denominazione: la fiamma, che era in qualche modo sotto il moggio nei tempi della vita nascosta di Gesù, ora viene posta sul candelabro, e quindi le tenebre del mondo vengono illuminate da una grande luce. Sono i misteri nei quali viene proclamato il regno di Dio ed è annunciato il Vangelo della salvezza.

1. Gesù viene battezzato nel Giordano Partiamo allora dal primo mistero, per comprendere quale senso abbia questo gesto, con cui il Vangelo ci ripresenta Gesù dopo un lungo periodo di silenzio. Un gesto di umiltà di qualunque penitente dell’epoca, che oggi rappresenta il momento dell’ingresso nella comunità cristiana. Questo Dio che si è fatto uomo si equipara a chiunque altro per chiedere a Giovanni Battista il battesimo. Ma subito dopo giunge dal cielo un segno che documenta la sua essenza divina. Non si può comprendere l’episodio di Gesù che si fa battezzare da Giovanni senza considerare il contesto in cui avviene. L’evangelista Luca ci propone un grande affresco storico, come già fece al momento della nascita di Gesù, per segnalare che questo evento è uno dei grandi passaggi che decidono della storia umana e della redenzione del mondo. Giovanni è uno dei giganti della storia cristiana, essendo il precursore del Redentore. E quello che mi colpisce è che, a quanto sembra, lui e Gesù non si conoscessero di persona, nonostante la forte unità delle loro famiglie d’origine. Il motivo è probabilmente il lungo tempo di preparazione trascorso da Giovanni nel deserto, che lo aveva portato a una separazione fisica dalla comunità. Lì, nel deserto, ha avuto la sua chiamata particolare di essere il più grande di tutti i profeti, poiché era colui che portava a


compimento tutte le profezie del passato, indicando la presenza del Messia. Poi dobbiamo metterci anche nei panni del popolo ebraico, che da almeno tre secoli non aveva più un profeta di una certa grandezza. Per cui la venuta del Battista aveva creato un movimento straordinario di popolo, con persone che si recavano da lui da ogni parte della Giudea e della Galilea. Il gesto che lui compiva, inoltre, non era una delle consuete abluzioni religiose che lasciavano il tempo che trovavano poiché non chiedevano la conversione della gente, ma un battesimo speciale, molto simile all’annuncio che proporrà Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo». Difatti le folle che accorrono sono chiamate a confessare i loro peccati e a ripudiare la vita peccaminosa che avevano condotto sino a quel momento, decidendo in favore di una vita trasformata. In nessun profeta precedente c’era questa profonda connessione, dovuta al fatto che il Battista lega l’invito alla conversione al fatto che il Messia sta per venire e che il giudizio di Dio è incombente. Nel momento in cui vede Gesù, Giovanni ha una rivelazione interiore che gli permette di riconoscere in lui il Salvatore, al punto da definirlo «colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (Luca 3,16). D’altra parte, quali peccati mai avrebbe dovuto confessare Gesù? Ciò nonostante, Gesù chiede di essere battezzato, poiché, come dice a Giovanni, «conviene che adempiamo ogni giustizia». Che cosa significano queste parole? Qui entriamo nel mistero del battesimo di Gesù, l’umiltà nel senso di quell’abbassamento che lui fa di se stesso. La sua immersione nell’acqua è la discesa negli inferi della condizione umana, nell’abisso di male provocato dai peccati degli uomini, li prende su di sé come agnello immolato, per compiere sino in fondo la giustizia, la volontà del Padre. E Giovanni comprende tutto questo, al punto da prorompere nell’esclamazione: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1,29). Quindi il battesimo di Gesù va inteso come l’immergersi nella cattiveria umana durante la passione e poi il riemergere nel momento della risurrezione. In questo modo sta a indicare il mistero pasquale: l’immersione è la morte, con la quale Gesù ha espiato i peccati del mondo, la resurrezione è l’uscita dall’acqua con la quale Gesù ha dato avvio alla vita nuova.

Dicevi nell’introduzione che, in questi misteri della Luce, sarebbe opportuno fare un cenno anche alle tentazioni di Cristo nel deserto. Ti proporrei di farlo a questo punto. C’è una frase di san Cirillo di Gerusalemme che ci aiuta a comprendere il legame fra il battesimo di Gesù e le tentazioni. Lui dice che Gesù, scendendo nell’acqua, si è immerso nell’impero del male, qui su questa terra, e ha legato «il forte», cioè il demonio (come ci fa comprendere anche l’undicesimo capitolo del Vangelo di Luca), portandogli via «il bottino», ossia le anime. È una profezia della lotta di Gesù contro satana, che è l’anima del Vangelo. Dopo la lotta nel deserto, tutti i tre anni del ministero pubblico di Gesù si mostrano come una continua battaglia contro satana e la stessa passione è l’epilogo di questo combattimento, è il tempo in cui satana cerca di ottenere la vittoria eliminando Gesù. Ma proprio durante questo tentativo, il suo potere viene distrutto e viene vinto. Questo va sottolineato anche a beneficio di tutti noi. Satana, benché sconfitto, ha il potere di operare un attacco contro la Chiesa sino alla fine dei tempi. Ma questo è permesso da Dio affinché, combattendo il demonio, con l’aiuto di Cristo possiamo anche noi vincere satana nel corso della storia. Noi pure saremo perseguitati e tentati, ma con Gesù abbiamo la forza e la grazia di vincere, cioè di salvare la nostra anima.

In questo momento c’è anche un aspetto interessante a livello teologico, poiché viene mostrato in maniera percepibile dai sensi umani il mistero della Trinità: Dio Padre dice dal cielo che Cristo è


l’amatissimo figlio, e nel contempo appare la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Che cosa ci vuole dire tutto ciò? Io vedo un’analogia con l’annunciazione, dove per la prima volta questo mistero viene presentato, poiché a Maria si annuncia che il figlio di Dio si sarebbe fatto carne nel suo grembo per opera dello Spirito Santo. C’è un’espressione evangelica che mi ha sempre colpito molto, là dove Gesù dice: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Giovanni 1,51). Questo vuol dire che prima di Gesù il cielo era chiuso, mentre, dopo la sua venuta sulla terra, si sono aperte le porte del paradiso e resteranno così sino alla fine del mondo. Da quel momento è iniziato il tempo della misericordia e della redenzione e gli uomini sono chiamati a diventare figli di Dio.

Questo mistero ci chiede anche di comprendere meglio il gesto del battesimo, che spesso ci troviamo a celebrare con i nostri figli e con quelli degli amici. Ma non sempre lo viviamo adeguatamente, né ricordiamo opportunamente l’anniversario del nostro ingresso nella comunità cristiana. Noi sacerdoti e catechisti dobbiamo rendere sempre più consapevoli i genitori e i fedeli della profondità del sacramento del battesimo, che sottrae il neonato al potere delle tenebre e lo fa entrare nel potere della luce, lo rende figlio di Dio e tempio dello Spirito Santo. Una “fotografia” che mi ha sempre colpito è la descrizione del papà di Origene, il grande teologo alessandrino del III secolo, che baciava il petto del suo neonato perché diceva che, dopo il battesimo, era diventato il tempio della Santissima Trinità. Se avessimo la consapevolezza di cos’è il battesimo, credo che non esiteremmo a far sì che i nostri bambini venissero battezzati subito dopo la nascita, non commetteremmo l’errore di rimandare a un’età più grande, senza educarli alla fede, perché significa realmente privarli di un tesoro.

2. Gesù si rivela alle nozze di Cana Questo mistero ci fa meditare un episodio che è nel cuore di ogni cristiano, poiché rappresenta il momento in cui Gesù dà avvio al suo ministero pubblico. E qui abbiamo uno degli interventi più importanti di Maria, che si prende la responsabilità di indicare al figlio la necessità che si dia da fare in favore di quella coppia di sposi in difficoltà, poiché non hanno più il vino necessario alla festa. Come commenti l’iniziativa della Vergine, che qui si manifesta definitivamente come la madre di Dio? È importante mettere innanzitutto in luce che l’inizio del ministero di Gesù in questa circostanza ci viene raccontato dal Vangelo di Giovanni, poiché questo apostolo intende evidenziare che la Madonna gioca un ruolo fondamentale nella vita pubblica di Gesù, da Cana di Galilea, sino alla conclusione sul Golgota. Le nozze di Cana sono un episodio storico, di cui sul luogo si conserva ancora oggi la memoria, ma per Giovanni c’è anche un essenziale risvolto spirituale. L’inizio del ministero di Gesù avviene nel corso di una festa di matrimonio ed è il prolungamento dell’incarnazione, che è stato lo sposalizio fra la natura umana e la natura divina. La Madonna, la prima ad aver creduto, introduce qui anche gli apostoli nel cammino di fede, poiché non si deve dimenticare che, proprio nei giorni che precedettero questo matrimonio, Gesù aveva chiamato i primi discepoli, che continuavano a essere molto incerti su chi fosse realmente quell’uomo. Nel miracolo dell’acqua che diventa vino c’è un riferimento molto chiaro alla passione di Cristo,


cioè si ha qui l’annuncio che la redenzione si compirà mediante il versamento del sangue del Signore, e nel contempo viene prefigurato che la redenzione sarà una grande festa, nella quale si entra con la fede e con la fede di Maria. Consideriamo allora l’atteggiamento di Gesù, che agli inizi sembra quasi fare resistenza dinanzi alla sollecitazione della mamma. Ma poi accetta e mi piace pensare che dà a tutti noi un’indicazione chiara: l’avventura cristiana, seppur connotata anche di fatica e di sacrificio, è innanzitutto un’esperienza di gioia e di festa, che si manifesta anche nella lietezza esteriore. Effettivamente qui c’è un aspetto umano molto bello, a partire dal fatto che Maria – capace come tutte le donne di rendersi conto di ciò che sta accadendo – vede che manca il vino e comprende che occorre agire in fretta per evitare che i festeggiamenti siano rovinati. Ma nella sua espressione «non hanno più vino» c’è evidentemente qualcosa di molto più grande del semplice fatto materiale: la Madonna si rende conto che il vino dato sino a quel momento, cioè la fede dell’Antico Testamento, non è più sufficiente e Gesù è l’unico che può dare quel vino che non si esaurirà mai, il vino della redenzione. In sostanza, Maria ha la consapevolezza che il tempo è compiuto, è giunto il momento in cui deve essere data tutta la grazia della salvezza e della divina figliolanza. Ma chi può dare questo? Chi può far sì che la sete dell’umanità venga soddisfatta? Soltanto Gesù. Poi c’è la risposta di Gesù che deve essere meditata con attenzione: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Giovanni 2,5). Certamente non è una mancanza di rispetto di Gesù verso la mamma. L’espressione “donna” va letta in tutta la sua dimensione complessiva, in riferimento al «grande segno» di cui Giovanni parlerà nell’Apocalisse, cioè la «donna vestita di sole», ma anche pensando a quella donna che sotto la croce riceverà in dono la maternità dell’intera umanità. Il fatto che Gesù cerchi di resistere, affermando che non è ancora il momento, ma poi ceda a Maria documenta che la Madonna ha in un certo senso il potere di influire sull’avvio dell’opera della redenzione, cosicché si mostra come mediatrice e cooperatrice, poiché è la sua fede a consentire che avvenga questo primo miracolo di Gesù. E la determinazione con cui la Madonna si comporta manifesta la sua certezza che il figlio le obbedirà, al punto da ordinare ai servitori di fare ciò che Gesù dirà.

Anche i servitori, a questo punto, entrano in gioco, scommettendo la propria fiducia su persone che non conoscevano affatto. Vorrei vedere se tu o io chiedessimo a un cameriere in un ristorante di comportarsi in un simile modo... Forse avranno avuto anch’essi un’illuminazione interiore, ma dal punto di vista umano hanno comunque compiuto un gesto folle, recandosi a riempire di acqua quelle giare. E mi viene da pensare alle volte in cui siamo chiamati a rischiare nella vita di fede: raramente siamo così capaci di abbandono. Quale insegnamento deriva per tutti noi? Effettivamente i servitori sono qui protagonisti molto più degli stessi apostoli, e di loro bisogna parlare in modo decisamente positivo sotto l’aspetto soprannaturale. Qui vediamo che i servitori si fidano di Maria e di Gesù e agiscono senza fiatare secondo le indicazioni ricevute. Pensiamo che ciascuna giara conteneva un centinaio di litri e che erano sei: un’enormità di lavoro, e anzi le riempiono «fino all’orlo» (Giovanni 2,7)... Il Vangelo mette in luce la prontezza dell’obbedienza, ma anche la generosità dell’impegno. Si vede proprio quanto la fede di Maria fosse trascinante e contagiosa, sia nei riguardi dei servitori, sia degli apostoli che «credettero in lui» (Giovanni 2,11). C’è comunque da sottolineare anche l’osservazione di chi coordinava il banchetto che, non sapendo cosa fosse accaduto, si rende conto che si tratta di un vino molto buono, migliore del precedente.


Ancora una volta, viene proposto il raffronto tra la preparazione alla redenzione, rappresentata dalla Legge e dai profeti, e la grazia della salvezza che è infinitamente più grande.

3. Gesù annuncia il regno di Dio L’enunciazione di questo mistero è forse la più complessiva di tutto il Rosario. Negli altri si meditano infatti singoli episodi della vita di Gesù, mentre qui è in qualche modo sintetizzata l’intera sua missione. Quale è il senso di questo mistero all’interno del percorso di riflessione del Rosario? Effettivamente in questo mistero viene riassunta tutta la vita pubblica di Gesù. Lo dice bene il Vangelo: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”» (Marco 1,14-15). Intanto vorrei sottolineare l’importante annotazione dell’evangelista riguardo all’arresto di Giovanni. Se consideriamo l’enunciazione della predicazione di Giovanni Battista e di Gesù notiamo una sostanziale identità, nel senso che ambedue annunciano la conversione. Però, il contesto è molto differente: Giovanni chiama al cambiamento di vita e al lavacro del battesimo affinché i cuori siano pronti ad accogliere la venuta del Redentore, mentre Gesù invita alla conversione perché il tempo è compiuto, cioè è finalmente giunto colui che era stato annunciato dai profeti. Quella di Gesù è un’impostazione che indica una presenza, già segnalata da Giovanni Battista quando afferma: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1,29). «Il tempo è compiuto» vuol dire che a questo punto è terminata tutta la lunga fase di preparazione alla venuta del figlio di Dio. Il Battista ha avuto il compito di preparare a questo momento e dunque, quando esce di scena, ecco che inizia la vita pubblica di Gesù. Vorrei sottolineare che questo avvio del ministero avviene in Galilea, non nella Giudea che era il cuore della fede ebraica. Come direbbe papa Francesco, Gesù ha cominciato la predicazione “in periferia” e soltanto dopo è andato a Gerusalemme. Ora non siamo più nell’ambito della Legge e dei profeti, ma nell’ambito del Vangelo di Dio, la “buona notizia” che è Gesù stesso. Ora è il momento in cui i cuori devono aprirsi e prendere la decisione di credere in lui. Inizia qui la fase nuova della storia dove colui che era stato promesso è finalmente presente in mezzo a noi. Questa presenza è segnalata con un’espressione particolare che dovremmo recuperare: «Il regno di Dio è vicino». Sappiamo bene che i Padri della Chiesa ci hanno tenuto a sottolineare che il regno di Dio è innanzitutto la persona di Gesù, colui nel quale è presente la pienezza di Dio. E si espande attraverso la predicazione del Vangelo e attraverso l’accoglienza della fede. All’annuncio segue l’esortazione: essendo il regno di Dio vicino, occorre convertirsi e credere al Vangelo. Dato che l’uomo si è allontanato da Dio e lo ha rifiutato, conversione significa ritornare a lui, cambiare vita, aprire il cuore. E la Chiesa, sino alla fine dei tempi, ha questo compito di annunciare la conversione. Anche la Regina della pace ha detto che quello della conversione è il messaggio più importante che lei dà a Medjugorje. Un messaggio che deve risuonare con forza in questi tempi di apostasia.

In questo annuncio del regno entra, come protagonista della parabola più nota e significativa, la figura del seminatore. Anche questa vale la pena di meditarla, poiché in effetti tutti i momenti in cui Gesù propone qualcosa di importante sono legati a precise immagini della vita quotidiana che possiamo trattenere nella memoria. Dunque Gesù si propone come seminatore, ma ancor più sollecita ciascuno di noi a trasformarci in seminatori della Parola.


del suo operato. Secondo quanto narra la tradizione, durante la visione Alano avrebbe ricevuto dalla Vergine quindici promesse, valide per tutti i devoti del Rosario: 1. A tutti coloro che reciteranno devotamente il mio Rosario prometto la mia speciale protezione. 2. Chi persevererà nella recita del mio Rosario riceverà grazie potentissime. 3. Il Rosario è un’arma potente contro l’inferno: esso distruggerà i vizi, libererà dal peccato e abbatterà le eresie. 4. Il Rosario farà rifiorire le virtù e le buone opere, e otterrà alle anime la più abbondante misericordia di Dio. 5. Chi confiderà in me recitando il Rosario non sarà oppresso dalle avversità. 6. Chi reciterà il Rosario meditandone i Misteri non sarà punito dalla giustizia di Dio: si convertirà se peccatore, crescerà nella grazia se giusto e sarà fatto degno della vita eterna. 7. I devoti del mio Rosario, nell’ora della morte, non moriranno senza sacramenti. 8. Coloro che recitano il mio Rosario troveranno, durante la vita e nell’ora della morte, la luce di Dio e la pienezza delle sue grazie, e parteciperanno ai meriti dei beati in paradiso. 9. Ogni giorno libererò dal purgatorio le anime devote del mio Rosario. 10. I veri figli del mio Rosario godranno di una grande gloria in cielo. 11. Tutto quello che verrà chiesto mediante il Rosario sarà ottenuto. 12. Quelli che propagheranno il mio Rosario verranno da me soccorsi in ogni loro necessità. 13. Ho ottenuto da mio Figlio che tutti i devoti del Rosario abbiano come fratelli nella vita e nell’ora della morte i santi del cielo. 14. Coloro che reciteranno il mio Rosario fedelmente saranno tutti figli miei amatissimi, fratelli e sorelle di Gesù. 15. La devozione al mio Rosario è un grande segno di predestinazione. Poco tempo dopo la Bolla Consueverunt, Pio V chiese a tutta la cristianità un coinvolgimento spirituale da attuarsi mediante la recita del Rosario, per affiancare la mobilitazione bellica di una flotta comune europea che intendeva smantellare il predominio della marina turca nel Mediterraneo. La straordinaria vittoria della minoritaria flotta cristiana sulla preponderante islamica, ottenuta nel golfo di Lepanto il 7 ottobre 1571 (prima domenica del mese), fu attribuita proprio all’intercessione della Madonna, tanto che il Papa pensò di istituire in segno di gratitudine la festa della Vergine del Rosario. L’idea venne portata a compimento da Gregorio XIII nel 1573, ma la festa era limitata alle chiese nelle quali era presente una Confraternita del Rosario. Per l’estensione alla Chiesa universale fu necessario attendere Clemente XI, nel 1716, ancora una volta in ringraziamento di una vittoria ottenuta dalla cristianità contro i turchi. Infine Leone XIII, con l’Enciclica Supremi apostolatus del 1883, consacrò e dedicò l’intero mese di ottobre alla Vergine del Rosario, convinto com’era che «il Rosario costituisce la più eccellente forma di preghiera privata e il mezzo più efficace per conseguire la vita eterna». Con il riordino del Calendario romano, durante il pontificato di Pio X, si unirono nella data del 7 ottobre la festa del Rosario (in precedenza nella prima domenica di ottobre) e la memoria della beata Vergine della Vittoria. Dopo la Riforma liturgica postconciliare il titolo della festa è stato modificato da santissimo Rosario della beata Vergine a beata Vergine Maria del Rosario. Anche il magistero dei Pontefici del Novecento ha più volte sottolineato l’importanza di questa devozione. Anzi, un’evoluzione importante è stata il superamento dell’«aspetto battagliero» del quale si era caricato il Rosario, per collocarlo invece in un contesto di pace. Come ha specificato il più noto mariologo italiano, padre Stefano De Fiores, «il Salterio di Maria non è un’arma contro


categorie di persone o nemici d’ogni genere, ma una preghiera per ottenere il grande dono della pace tra tutti i popoli». Pio XII ha descritto il Rosario come «sintesi di tutto il Vangelo, meditazione dei Misteri del Signore, sacrificio vespertino, corona di rose, inno di lode, preghiera della famiglia, compendio di vita cristiana, pegno sicuro del favore celeste, presidio per l’attesa salvezza». Per Giovanni XXIII la recita quotidiana del Rosario fu uno specifico impegno assunto dopo l’elezione al pontificato, in quanto questa preghiera «ha come effetto di metterci in comunione intima di pensiero e di sentimento con la dottrina e con la vita di Gesù, Figlio di Dio e di Maria, venuto sulla terra a istruire, a redimere, a santificare». Un altro grande patrocinatore fu Paolo VI, che nell’Esortazione apostolica Marialis cultus del 1974 offrì numerose indicazioni per una ripresa vigorosa e più consapevole della recita del santo Rosario», preghiera «evangelica, incentrata nel mistero dell’incarnazione redentrice», orazione «semplice e profonda che ci educa a fare di Cristo il principio e il termine, non solo della devozione mariana, ma di tutta la nostra vita spirituale». In particolare papa Montini volle ribadire «accanto al valore dell’elemento della lode e dell’implorazione, l’importanza di un altro elemento essenziale del Rosario: la contemplazione. Senza di essa il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule». Durante il pontificato di Paolo VI venne anche promulgato il Direttorio Ecclesiae imago per il ministero pastorale dei vescovi, nel quale si sottolineava che «tra i pii esercizi da conservare gelosamente e da diffondere nelle famiglie e comunità cristiane, eccelle il santo Rosario mariano, che i romani Pontefici non cessano di raccomandare come una specie di compendio del Vangelo e perciò come una forma di pietà propria della Chiesa, e cui l’uso dei santi rende una splendida testimonianza di approvazione». E anche Giovanni Paolo II ha soggiunto che «nella recita del santo Rosario non si tratta tanto di ripetere delle formule, quanto piuttosto di entrare in colloquio confidenziale con Maria, di parlarle, di manifestarle le speranze, di confidarle le pene, di aprirle il cuore, di dichiararle la propria disponibilità nell’accettare i disegni di Dio, di prometterle fedeltà in ogni circostanza, soprattutto in quelle più difficili e dolorose, sicuri della sua protezione e convinti che ella ci otterrà dal suo Figlio tutte le grazie necessarie alla nostra salvezza». In particolare papa Wojtyla, nell’occasione dell’Anno mariano 1987-88, offrì tre suggerimenti pastorali molto significativi: «la recita del Rosario, in alcune occasioni, soprattutto quando essa sia preghiera comunitaria, assuma carattere celebrativo» (per esempio, proclamando i passi biblici relativi a ciascun Mistero o eseguendone in canto alcune parti); «sia approfondita nel suo sostrato liturgico, più che rigidamente applicata, l’indicazione che assegna a determinati giorni della settimana i vari Misteri» (per esempio, recitando il 31 maggio, festa della Visitazione, i Misteri gaudiosi; oppure recitando, nella cinquantina pasquale, prevalentemente i Misteri gloriosi; o ancora recitando il 6 gennaio, solennità dell’epifania, i Misteri gaudiosi e sostituendo al quinto Mistero l’adorazione dei magi); «nell’illustrare ai fedeli il valore e la bellezza della corona del Rosario si evitino espressioni che pongano in ombra altre eccellenti forme di preghiera o non tengano sufficiente conto dell’esistenza di altre corone mariane, esse pure approvate dalla Chiesa» (come la Corona septem gaudiorum beatae Mariae virginis propria della Famiglia francescana, o la Corona septem dolorum beatae Mariae virginis in uso presso l’Ordine dei Servi di Maria). Dal punto di vista della devozione popolare, varie iniziative hanno contribuito nel corso dei secoli a incrementare la dimensione comunitaria di questa preghiera. Innanzitutto, intorno al 1630, il domenicano fiorentino Timoteo Ricci ideò il «Rosario perpetuo», fondato sull’impegno da parte di 8.760 devoti di pregare in una precisa ora tutti i quindici Misteri, in modo da garantire la costante copertura dell’intero anno. Il successo fu immediato e molte altre diocesi vi aderirono: a Roma, non appena ne venne a conoscenza, persino Urbano VIII volle aderire e nell’estrazione a sorte gli toccò il 22 maggio alle ore 23. In seguito si aggiunsero anche tre intenzioni apostoliche: la conversione dei peccatori (Misteri gaudiosi), la salvezza eterna dei moribondi (Misteri dolorosi) e la liberazione delle anime del purgatorio (Misteri gloriosi). Dopo qualche tempo d’oblio, l’associazione è stata


rifondata in diverse nazioni, fra cui in Italia nell’ottobre del 1900 dal domenicano Costanzo Becchi. Un’altra iniziativa è stata l’opera del «Rosario vivente», avviata da Paolina Jaricot nel 1826 a Lione e sostenuta dall’Ordine domenicano a partire dal 1835. Era basata su piccole associazioni di quindici devoti, ciascuno dei quali si impegna a recitare ogni giorno un prestabilito Mistero, in modo che l’intero Rosario sia quotidianamente recitato dal gruppo. E anche i Gesuiti, nei decenni fra Ottocento e Novecento, hanno propagandato la pratica del Rosario individuale e collettivo tramite l’opera dell’Apostolato della preghiera, diffondendo milioni di foglietti illustranti i singoli Misteri del Rosario. Più recente è la costituzione dei Gruppi di preghiera di Padre Pio da Pietrelcina, all’interno dei quali il Rosario è la preghiera privilegiata. Un grande cantore di questa devozione è stato, nel Settecento, san Luigi Maria Grignion de Montfort, il quale, nel suo testo di meditazioni Il segreto ammirabile del santo Rosario, si è soffermato anche sul modo di recitare bene la preghiera: «Prima di iniziare la decina, fermati qualche attimo, più o meno a seconda del tempo disponibile, a configurare il Mistero che stai per considerare e chiedi sempre, per tale Mistero e per l’intercessione della Vergine santa, una delle virtù che più risaltano nel Mistero e della quale hai maggior bisogno. Vigila soprattutto su due difetti, comuni a quasi tutti coloro che recitano il Rosario: il primo è di non formulare nessuna intenzione prima di iniziarlo; se tu chiedi loro perché lo recitano, non sanno che rispondere. Perciò abbi sempre di mira qualche grazia da chiedere, una virtù da imitare o una colpa da evitare. Il secondo difetto, ancor più frequente, è di pensare, all’inizio della preghiera, solo a terminarla al più presto. Ciò avviene perché si considera il Rosario come una pratica onerosa che grava enormemente finché non si è recitato, soprattutto se ce ne siamo fatti un obbligo di coscienza o ci è stato imposto come penitenza, nostro malgrado». A corroborare la devozione al Rosario hanno poi certamente contribuito le apparizioni mariane del 1858 a Lourdes, dove Bernadette Soubirous descrisse la Madonna come «una Signora vestita di bianco, con una cintura azzurra e una rosa gialla su ciascun piede, come la catena del suo Rosario», del 1917 a Fatima, dove Lucia dos Santos raccontò che dalle mani della Vergine «congiunte all’altezza del petto pendeva un grazioso rosario terminante in una croce d’oro», e più recentemente a Medjugorje, dove la Regina della Pace ha chiesto la recita quotidiana di tutti i Misteri. D’altra parte, ambedue i termini «corona» e «rosario» fanno riferimento a un’immagine floreale: il primo, in relazione al fascio o corona di fiori che la consuetudine medievale offriva alla Madonna; il secondo, derivato dalla rosa, indicava nel Medioevo una raccolta di argomenti consimili, sinonimo di «florilegio», che per estensione è stato poi attribuito alle ripetizioni dell’Ave Maria. La veggente suor Lucia, in una lettera del 16 settembre 1970 ha spiegato che «il Rosario è, dopo la sacra liturgia eucaristica, l’orazione che più ci riporta allo spirito i misteri della fede, della speranza e della carità. Anche per quelle anime che pregano senza meditare, il semplice atto di prendere la corona per pregare è già un ricordo di Dio, del soprannaturale. Il semplice ricordo dei Misteri a ogni decade è un altro raggio di luce che sostiene nelle anime il lucignolo ancora fumigante». Al termine di un lungo processo di elaborazione, la struttura del Rosario si definì, poco dopo il 1500, intorno a tre nuclei principali della fede cattolica: l’annunciazione a Maria e l’infanzia di Gesù (Misteri Gaudiosi), la passione e la morte di Cristo (Misteri Dolorosi), la risurrezione di Gesù e l’assunzione di Maria (Misteri Gloriosi). La suddivisione dei tre Misteri si ritrova negli statuti della Compagnia del Rosario di Firenze, risalenti al 1481, mentre le specifiche quindici enunciazioni furono precisate dal domenicano Alberto da Castello in un volume del 1521. A qualche decennio prima risalgono invece i primi esempi pittorici: una xilografia dello spagnolo Francesco Domenech del 1488 e un quadro di anonimo tedesco del 1490. Con la Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, emanata il 16 ottobre 2002, Giovanni Paolo II ha voluto rimarcare la fisionomia cristologica del Rosario, aggiungendo il nuovo ciclo dei Misteri della Luce, incentrati sul tempo della vita pubblica di Gesù: una integrazione «destinata a far vivere questa preghiera con rinnovato interesse nella spiritualità cristiana, quale vera introduzione alla profondità del Cuore di Cristo, abisso di gioia e di luce, di dolore e di gloria». In linea con le


indicazioni del Concilio Vaticano II, papa Wojtyla ha sottolineato che «se la liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare: l’immergersi infatti, di Mistero in Mistero, nella vita del Redentore fa sì che quanto egli ha operato e la liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l’esistenza». È da notare che, come ben sintetizzò Pio X, «il Rosario costituisce l’orazione per eccellenza, tra quelle non liturgiche». Proprio per questo motivo i Misteri non sono ufficialmente codificati e quindi la loro formulazione può anche essere leggermente diversa da quella qui proposta, pur restando immutata la sostanza dell’evento ricordato. I Misteri della Gioia si meditano il lunedì e il sabato: I. L’annunciazione a Maria. II. La visita di Maria a Elisabetta. III. La nascita di Gesù a Betlemme. IV. La presentazione di Gesù al Tempio. V. Il ritrovamento di Gesù a Gerusalemme. I Misteri della Luce si meditano il giovedì: I. Gesù viene battezzato nel Giordano. II. Gesù si rivela alle nozze di Cana. III. Gesù annuncia il regno di Dio. IV. Gesù si trasfigura sul monte Tabor. V. Gesù istituisce l’eucaristia. I Misteri del Dolore si meditano il martedì e il venerdì: I. L’agonia di Gesù nel Getsemani. II. La flagellazione di Gesù. III. La coronazione di spine di Gesù. IV. La salita di Gesù al Calvario carico della croce. V. La morte di Gesù in croce. I Misteri della Gloria si meditano il mercoledì e la domenica: I. La risurrezione di Gesù. II. L’ascensione di Gesù al cielo. III. La discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli apostoli. IV. L’assunzione di Maria al cielo. V. L’incoronazione di Maria regina del cielo e della terra. Dopo ogni enunciazione si recitano un Padre nostro, dieci Ave Maria e un Gloria al Padre, mentre è facoltativa l’invocazione che il 13 luglio 1917 la Madonna di Fatima chiese di pronunciare al termine di ogni Mistero: Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno e porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia. A conclusione di ogni cinquina di Misteri è poi facoltativa la recita di un Padre nostro, Ave Maria e Gloria al Padre secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, e della Salve regina, la più celebre delle antifone mariane, che secondo la tradizione fu composta nella seconda metà dell’XI secolo da Ademaro di Monteil, il vescovo di Le Puy-en-Velay, oppure da Bernardo di Chiaravalle (che più probabilmente vi ha aggiunto soltanto l’ultima strofa). Nell’abbazia di Cluny questa orazione fu introdotta intorno al 1135 e nel secolo XIV fu inserita nell’Ufficio divino della Chiesa: Salve regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te


ricorriamo, esuli figli di Eva; a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi e mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. C’è infine la possibilità di recitare le Litanie lauretane, che papa Leone XIII, a fine Ottocento, stabilì che venissero utilizzate in particolare nel mese di ottobre. In seguito a tale prescrizione, si creò presso i fedeli – e dura tuttora – l’errata persuasione che tali litanie fossero semplicemente una sorta di appendice della preghiera mariana. In realtà la litania, che ha il significato di «preghiera di implorazione», è una vera e propria orazione, inizialmente dedicata ai santi e, a partire dal XII secolo, incentrata anche sui titoli della Madonna. Il Papa marchigiano Sisto V, devoto sin da bambino della santa Casa di Loreto, arricchì nel 1587 la recita delle Litanie lauretane con un’indulgenza di 200 giorni, prescrivendo che la preghiera avvenisse «secondo il costume e la consuetudine praticati nella Curia romana e nella Casa della beata Vergine». Le «lauretane» si imposero su quelle «veneziane» (in uso nella basilica di San Marco e originarie di Aquileia) e su quelle «deprecatorie» (ossia di supplica, originarie della Germania) a partire dal 1601, quando Clemente VIII emise il Decreto Quoniam multi nel quale quelle in uso nel santuario di Loreto venivano indicate come le uniche permesse nella preghiera pubblica, con la sola eccezione delle litanie dei santi. Bisognò attendere la fine dell’Ottocento affinché tale severità venisse meno, con la concessione delle tre litanie di Cristo (Nome di Gesù, Sacro Cuore di Gesù e Preziosissimo Sangue). Nella Nuova dichiarazione della Santa Casa di Loreto, stampata a Firenze nel 1572, sono contenute 43 invocazioni, cui se ne sono aggiunte nel corso dei secoli altre 8. L’ultima è stata disposta da Giovanni Paolo II il 31 dicembre 1995: «Regina della famiglia», come memoria delle celebrazioni per il settimo centenario della Santa Casa. Le Litanie lauretane furono inserite per la prima volta nel Rituale romano, in appendice, nell’edizione del 1874. L’edizione tipica in latino oggi in vigore è stata promulgata il 25 marzo 1981, mentre la traduzione ufficiale in italiano risale al 15 agosto 1982. Le attuali 51 invocazioni delle Litanie lauretane – alla recita di ciascuna delle quali, nella preghiera, si risponde «prega per noi» – si possono considerare divise in cinque blocchi, di cui quello iniziale è composto di tre titoli: Santa Maria. Santa Madre di Dio. Santa Vergine delle vergini. Segue il blocco dedicato alla maternità di Maria: Madre di Cristo. Madre della Chiesa. Madre della divina grazia. Madre purissima. Madre castissima. Madre sempre Vergine. Madre immacolata. Madre degna d’amore. Madre ammirabile. Madre del buon consiglio. Madre del Creatore. Madre del Salvatore. Quindi il blocco dedicato alla sua verginità: Vergine prudente. Vergine degna di onore. Vergine degna di lode. Vergine potente. Vergine clemente. Vergine fedele. Il quarto blocco contiene invocazioni ispirate a simboli biblici e patristici: Specchio di perfezione. Sede della Sapienza. Fonte della nostra gioia. Tempio dello Spirito Santo. Tabernacolo dell’eterna gloria. Dimora consacrata di Dio. Rosa mistica. Torre della santa città di Davide. Fortezza inespugnabile. Santuario della divina presenza. Arca dell’alleanza. Porta del cielo. Stella del mattino. Salute degli infermi. Rifugio dei peccatori. Consolatrice degli afflitti. Aiuto dei cristiani. L’ultimo è invece dedicato alla regalità di Maria:


Regina degli angeli. Regina dei patriarchi. Regina dei profeti. Regina degli apostoli. Regina dei martiri. Regina dei confessori della fede. Regina delle vergini. Regina di tutti i santi. Regina concepita senza peccato. Regina assunta in cielo. Regina del sacratissimo Rosario. Regina della famiglia. Regina della pace. Nella Rosarium Virginis Mariae, Giovanni Paolo II si è anche efficacemente soffermato sulla corona, lo strumento tradizionale per la recita del Rosario, con una riflessione che vale la pena di meditare: «Nella pratica più superficiale, essa finisce per essere spesso un semplice strumento di conteggio per registrare il succedersi delle Ave Maria. Ma essa si presta anche a esprimere un simbolismo, che può dare ulteriore spessore alla contemplazione. A tal proposito, la prima cosa da notare è come la corona converga verso il Crocifisso, che apre così e chiude il cammino stesso dell’orazione. [...] In quanto strumento di conteggio, che scandisce l’avanzare della preghiera, la corona evoca l’incessante cammino della contemplazione e della perfezione cristiana. [...] Bello è anche estendere il significato simbolico della corona al nostro rapporto reciproco, ricordando con essa il vincolo di comunione e di fraternità che tutti ci lega in Cristo». A chi, confessato e comunicato, recita comunitariamente, in chiesa o in famiglia, almeno una quarta parte del Rosario e ne medita i Misteri, o a chi si unisce alla recita fatta dal Sommo Pontefice (anche per radio o per televisione), è concessa l’indulgenza plenaria. Nelle altre circostanze l’indulgenza è invece parziale.


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