Tra scienza e fantascienza

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TRA SCIENZA E FANTASCIENZA

A CURA DI MARIO GOMBOLI - MODELLI TRIDIMENSIONALI DI FRANCO NODO - GRAFICA DI RAFFAELA BUSIA HANNO COLLABORATO: LORENZO ALTARIVA, ANDREA AGATI, PIERLUIGI CERVEGLIERI


TRA SCIENZA E FANTASCIENZA Ricordo che quando ancora ci si doveva alzare dalla poltrona per cambiare canale TV, Diabolik riusciva a muovere qualsiasi marchingegno a distanza, col telecomando. Si trattava di aggeggi enormi, della dimensione di una scatola da scarpe, sormontati da antennine paraboliche grosse come una tazza da caffelatte... ma funzionavano. In effetti l’immagine del Re del Terrore non è solo fatta di calzamaglia nera, pugnali saettanti (anzi: swissanti), occhi di ghiaccio, diamanti e compagna dallo chignon biondo… ma anche di tecnologia. Una tecnologia originalmente mediata da Fantômas (le maschere non sono che una evoluzione delle barbe posticce, comunque inventate molto prima dei trucchi cinematografici corrispondenti), da James Bond (Aston Martin e Jaguar sono nate nella stessa officina) e da Dick Tracy (il radiotelefono da polso di Diabolik è imparentato con il video-orologio del poliziotto americano, decurtato dell’inutile schermo) e attentamente filtrata dalla particolarissima cultura scientifica delle sorelle Giussani. L’uso del termine “particolarissima” non vuole assolutamente essere ironico. In realtà le due creatrici di Diabolik hanno sempre avuto un approccio decisamente femminile (qui un po’ d’ironia c’è, lo ammetto) con i marchingegni scientifici: ne hanno subito il fascino estetico rifiutandosi caparbiamente di approfondire la conoscenza dei dettagli costruttivi. Esattamente come i loro lettori.

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Se analizziamo le innumerevoli macchine usate per violare antifurto, aprire casseforti, bloccare l’auto inseguitrice di Ginko troveremo sempre risultati pirotecnici ottenuti con materiali e tecnologie semplici e comprensibili a chiunque: rotelline, ingranaggi, laser simili a comuni fiamme ossidriche, aghetti velenosi sputati da cerbottane infantili e acidi usati come seghetti da traforo. Tutto è chiaro, evidente, accettabile. Apparentemente ricostruibile in casa, da buoni bricoleurs. Non a caso, evidentemente. Se Diabolik potesse tutto (e in effetti la tecnologia attuale, quella vera, può molto più del Nostro) diventerebbe inumano, lontano dal pubblico, un supereroe come tanti. Invece lui continua a usare attrezzature un po’ passate di moda e perciò accettate da chiunque, stupefacenti più per la loro applicazione che per la sostanza. Il fatto che, in realtà, questi marchingegni siano pressoché irrealizzabili non è assolutamente significativo: sceneggiatura e disegni li rendono credibili e tanto basta. E solo i pignoli continuano a chiedersi quanto sia grande e attrezzato il laboratorio di Diabolik, dove si procuri attrezzature e materiali, quando e in quali innumerevoli università si sia laureato. E, soprattutto, dove vada a procurarsi, ancor oggi, tutte le Jaguar da truccare variamente. Mario Gomboli


Diabolik, ancora oggi, diffida dei computer. Ne fa un uso ridottissimo, anche quando gli semplificherebbero il lavoro… e forse proprio per questo gli toglierebbero il piacere dell’azione diretta. Ma in un memorabile episodio (Eva morirà tra sessanta secondi, il grande Diabolik del 1999) si è trovato costretto a indossare – letteralmente – i panni di un ipertecnologico giocatore di videogame.

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LE MASCHERE Diabolik usa, sin dal primo episodio, maschere “di plastica”, in grado di fargli assumere “le sembianze di chiunque”. Chiaramente si tratta di un’evoluzione dei posticci di Fantômas & C., che alla loro prima apparizione sembrarono fantascientifiche, incredibili, innovative. Nessun fumetto, nessun

Diabolik ha evidentemente (ma non dichiaratamente) applicato anche al cappuccio della sua calzamaglia nera la tecnologia delle sue maschere. I primissimi tempi, infatti, ­­ la stoffa copriva i suoi lineamenti mentre, a partire dal 1965, essa li riveste impeccabilmente, rilevando persino le rughe di espressione. Trappola infernale, n. 11 del 1963 (in alto). I fiori della morte, n. 22 del 1966 (in basso).

romanzo, nessun film ne aveva ipotizzato l’esistenza. Solo nel 1963 il cinema trovò il modo di sfruttare realisticamente l’idea (I cinque volti dell’assassino, di John Hudson) ma dobbiamo aspettare Mission Impossible (Brian De Palma, 1996) per vederne un’applicazione veramente... diabolika.

La prima “maschera di plastica” usata da Diabolik ricorda graficamente un travestimento carnevalizio. Va detto che all’epoca, 1962, non esisteva in commercio nulla di simile. Il Re del Terrore, n. 1 del 1962.

Oltre che a servire per assumere le più diverse identità, le maschere possono trasformarsi in strumento di morte, se usate da chi non ne ha l’autorizzazione. Il tesoro di King, n. 10 del 1998. 4


Diabolik si strappa per la prima volta la sua maschera di fronte (?) ai lettori: la rivisitazione di un momento storico datata 2001. Il re del terrore: Il Remake, il grande Diabolik 1/ 2001.

Le maschere di Diabolik si infilano e sfilano come un cappuccio elastico. La maschera dell’assassino, n. 15 del 1967.


FATTI PER UCCIDERE Diabolik è un assassino pragmatico: uccide quando serve e con gli strumenti più adatti alla bisogna. Usa abitualmente il pugnale o altre armi bianche e rifugge dalle armi da fuoco, troppo rumorose, banali e – forse – “volgari”.

In casi particolari, tuttavia, inventa strumenti di morte degni dei peggiori mercanti d’armi, talvolta assolutamente fantascientifici, in altri casi mediati da strumenti di morte realmente esistenti. Purtroppo.

L’accendino lancia-aghi, antesignano di mille armi da agente 007. L’impiccato, n. 10 del 1963.

Un riccio spara-spine avvelenate chiaramente ispirato alle bombe a frammentazione mimetiche. L’isola delle perle, n. 11 del 1979.

Il bastone-che-da-la-scossa: versione moderna dell’ottocentesco bastone animato. La morte di Ginko, n. 16 del 1965. 6


La saponetta avvelenata libera, a contatto con l’acqua, un gas soporifero che provoca lo svenimento e l’inevitabile annegamento – nella vasca da bagno – di chi la usa. La morte invisibile, n. 5 del 1965.

L’uccello meccanico è in grado di volare – telecomandato – sino a raggiungere la vittima e “sputarle” addosso un micidiale veleno. Un tesoro rosso sangue, il Grande Diabolik n. 1 del 1997.

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I RIFUGI: LE VIE DI FUGA Diabolik non ha un nascondiglio fisso, non ha l’equivalente della Bat-caverna o del covo fantascientifico della Spectre: lui predilige i rifugi “usa-e-getta”, pronti a essere sacrificati nel momento in cui polizia e nemici ne scoprono l’indirizzo. Ma, nel caso,

è fondamentale sia predisposta una via di fuga sicura, e allora ecco il genio all’opera per idearla. A prova di assedio, come i condotti sotterranei degli antichi castelli… ma molto più originali.

Mezza villetta su palafitte, costruita su un costone, scivola verso il basso per eludere l’assedio dei poliziotti. Legami di sangue, n. 12 del 2003.

La classica, diabolika via di fuga: un garage sotterraneo che si apre su un prato. Agguato mortale, n. 13 del 1965.

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L’intero rifugio si alza su martinetti idraulici spiazzando gli assedianti. Accusa infamante, n. 21 del 1970.

Un bungalow sulla costa predisposto per slittare in mare e liberare un motoscafo direttamente in acqua. Corsa all’oro, n. 9 del 1970.

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LA JAGUAR E I SUOI TRUCCHI 1 Diabolik è, da quasi sessant’anni, al volante di una nera Jaguar e-type coupé 1962, rigorosamente nera. Nel corso del tempo ne ha ovviamente rinnovato motore e sospensioni, ma soprattutto l’ha dotata dei più diversi

Per superare il guard-rail e invertire la marcia, la Jaguar si solleva da terra grazie a quattro potentissimi getti d’aria compressa. Agguato al rifugio, n. 16 del 1978.

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marchingegni atti a trasformarla in un attrezzo di lavoro, in un’arma, in uno strumento di fuga. Ancora oggi quella macchina è, a tutti gli effetti, un personaggio comprimario inevitabilmente complice delle sue avventure.

Apparentemente bloccata da uno strapiombo, la Jaguar si lancia nel vuoto sorretta da un cavo d’acciaio in grado di frenarne la caduta. Ad ogni costo, n. 19 del 1968.


Sorretta da un nero minidirigibile, la nera Jaguar scompare nella notte. Eva morirĂ tra sessanta secondi, il Grande Diabolik n. 3 del 1999.

Dai cerchioni della Jaguar fuoriescono croci telescopiche in grado di farle risalire una ripida scalinata. Un colpo dopo l’altro, n. 26 del 1975.

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LA JAGUAR E I SUOI TRUCCHI 2 Diabolik non solo inventa e realizza meccanismi complicatissimi, ma riesce a farli entrare nella sua Jaguar mettendo a dura prova la capacità del piccolo abitacolo… nonché l’immaginazione dei suoi lettori. Tuttavia i

meccanismi appaiono sempre credibili, anche quando tali non sarebbero: di fronte a certe sequenze la sorpresa annulla ogni velleità critica, come davanti ai trucchi di un prestigiatore.

Una fila di auto incolonnate non rappresenta un ostacolo insuperabile per una Jaguar dotata di rotori da elicottero. Sempre vincente, n. 11 del 1982.

Una ganascia telescopica si aggancia a un palo, ed ecco la Jaguar compiere una folle giravolta e invertire la marcia in pochi metri. La vendetta dello spettro, n. 13 del 1970.

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Un posto di blocco al termine di una strada stretta, affiancata da alti muri: ecco che la Jaguar si solleva su un perno girevole e ruota su se stessa. Diabolici amanti, n. 1 del 2003.

Per non slittare su una pericolosa macchia d’olio, la Jaguar affianca ai pneumatici una dotazione di ruote dentate. Duello tra criminali, n. 17 del 1973.

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A PORTATA DI MANO Diabolik pianifica sempre pignolescamente i suoi colpi, e quindi può predisporre “sul terreno” trucchi e marchingegni utili alla sua fuga dalla polizia o da chiunque si metta alle sue calcagna. Così riesce a sfrut-

tare in modo imprevedibile oggetti comuni, arredi urbani, presenze “banali” in qualsiasi contesto cittadino e trasformarle in trappole mortali per chi ha il coraggio di inseguirlo.

Un cartello pubblicitario, opportunamente rinforzato e incernierato, si trasforma in ponte levatoio. Brivido di paura, n. 12 del 1971. Una barriera mobile è annegata nel manto stradale e mimetizzata con la linea spartitraffico: a comando è in grado di “emergere”, ruotare e bloccare la strada. Oltre la legge, n. 21 del 1973.

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Un ponte “double face�, in grado di ribaltarsi, agganciare la Jaguar e richiudersi nascondendola sottosopra. Lo scarabeo rosso, n. 23 del 1977.

La finta parete di roccia a molla scatta al passaggio dell’autopattuglia inseguitrice, scaraventandola fuori strada. Manette per Diabolik, n. 24 del 1975.

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GAS, ACIDI E DROGHE VARIE Diabolik, quando viveva nell’isola di King, ha imparato di tutto, dalla meccanica alla fisica, dalle lingue alle arti marziali. Ma soprattutto è stato discepolo di un grande chimico: il professor Wolf (che divenne poi suo acerrimo nemico, invidioso dell’invenzione delle famose maschere).

Superando il maestro, ha sintetizzato gas soporiferi a effetto istantaneo; veleni capaci di provocare una morte apparente; potentissimi acidi in grado di sciogliere qualsiasi metallo o pietra; efficienti variazioni del siero della verità e di droghe che annullano la volontà.

Utilizzando una droga che annulla la volontà, Diabolik riesce a condizionare il comportamento delle sue vittime grazie a comandi post-ipnotici. Omicidio alla polizia, n. 17 del 1966. Per colpire una inviolabile cassaforte “alle spalle”, Diabolik corrode il muro esterno con un acido potentissimo. L’ombra del giustiziere, il grande Diabolik 2/2004.

Il gas soporifero è spesso contenuto in microbombole a forma di sfera. Diabolik e Eva si tutelano dai suoi effetti utilizzando invisibili “filtri nasali”. L’isola degli uomini perduti, n. 4 del 2005. 16


Diabolik ha scoperto che l’estratto di “una radice indiana” ha il potere di “fermare il cuore”, inducendo una morte apparente per trentasei ore. Dopodiché “la vita ritorna” (sic). La userà per sfuggire alla ghigliottina. Sepolto vivo!, n. 8 del 1963.

Nelle prime avventure il Re del Terrore ipnotizzava le sue vittime grazie al “potere degli occhi diabolici”, ma ben presto abbandonò queste tecniche da illusionista a favore di strumenti più scientifici. Lo sguardo che uccide, n. 17 del 1964.

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IN VOLO Diabolik “deve”, per tradizione, colpire in modo imprevedibile. Ovvio, quindi, nel momento in cui ci si aspetta che agisca “da terra” (con passo felpato piuttosto che in Jaguar) che trovi il modo di arrivare “dal cielo”. Così ha cominciato a usare ali di le-

onardesca memoria per poi passare a minielicotteri, deltaplani a motore, aeroplanini gonfiabili e altre tecnologie più o meno disponibili sul mercato. Aggiungendo però sempre qualche invenzione “made in Diabolik”. Forse oggi un minielicottero può apparire banale… ma quarant’anni fa, quando Diabolik lo usò per la prima volta, suscitò stupore e incredulità. Angoscia, n. 9 del 1966.

Le ali leonardesche non hanno notoriamente mai permesso a nessuno di sollevarsi da terra. Ma con l’ausilio del motore di un’automobile… Paura, n. 5 del 1967.

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Il gommone/deltaplano diventa uno strumento per fuggire sul mare come in cielo. Mistero sotto il mare, n. 2 del 1992.

L’aereo gonfiabile è dichiaratamente ispirato a veri modelli sperimentati dall’esercito americano. Duello tra criminali, n. 17 del 1973. La piattaforma volante telecomandata (da Eva Kant) levita grazie a un non meglio specificato “motore magnetico”. Troppi per un tesoro, n. 5 del 1976.

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MANICHINI, AUTOMI E ROBOT Diabolik sembra alla costante ricerca del rischio, della sfida estrema, e non ha mai paura di esporsi personalmente ai pericoli, anzi. Ma in certi casi gli è indispensabile delegare a una macchina azioni elusive o intrusive, e al-

Un gatto-automa è l’ideale per distrarre una muta di feroci cani da guardia. La corte dei miracoli, n. 3 del 2000.

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lora la sua fantasia si scatena, di volta in volta influenzata dalla letteratura poliziesca oppure fantascientifica, da immagini cinematografiche o – persino – dai fumetti disneyani. Ma il risultato è sempre e comunque “diaboliko”.


Nascosto nel vaso di un abete natalizio, un piccolo robot multifunzione si introduce nella casa della vittima e porta a termine un complicatissimo colpo, impossibile per un essere umano. Violenza carnale, n. 9 del 1994. Il ragno meccanico è una microspia capace di raggiungere i piani alti di un edificio passando per i canali di gronda. Un’eredità misteriosa, n. 3 del 2006. Per sfuggire all’assedio della polizia, Diabolik crea un diversivo utilizzando un manichino gonfiabile con le sue sembianze. La morte di Ginko, n. 16 del 1965.

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RAZZI, MISSILI ET SIMILIA Diabolik nasce – come fumetto – un anno dopo l’impresa di John Glenn, il primo astronauta americano. Il fascino dei “razzi” (allora non venivano ancora chiamati “missili”) contamina inevitabilmente chi scrive le avven-

Dal muso della Jaguar partono due dardi a razzo NON esplosivi (a differenza di quelli in uso a James Bond) ma capaci di tappare i tubi di scappamento dell’auto inseguita e provocare lo scoppio della marmitta. La vendetta dello spettro, n. 13 del 1970.

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ture, e allora ecco apparire trucchi coerenti: razzetti telecomandati che portano lontano il bottino; capsule similspaziali che permettono la fuga dei due Nostri; minimissili che si dipartono dalla Jaguar per garantirne la fuga.

Un razzetto prensile telecomandato si introduce in una villa, aggancia un prezioso diadema e lo porta direttamente nelle mani di Diabolik. Intrigo internazionale, n. 12 del 1995.


Mediati dalla tecnica aeronautica, due sedili eiettabili portano Diabolik e Eva lontano dalla Jaguar bloccata dalla polizia. Presi in un agguato, n. 6 del 1987.

Dalla torretta di un diabolico rifugio fuoriesce una rampa di lancio telescopica che invierĂ lontano (ma non nello spazio!) Diabolik e Eva, chiusi in una capsula molto simile alla Mercury. Vite bruciate, n. 11 del 1976.


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