Shades of memories glinda izabel

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Shades of Memories Successe così, mentre me ne stavo con la testa posata su una lapide, a guardare le nuvole nel cielo. Logan pizzicava dolcemente le corde della chitarra che gli avevo regalato – ormai la portava sempre a tracolla nella sua custodia di pelle materializzata per l’occasione –, intonando "Candy" di Paolo Nutini. Mi aveva insegnato un sacco di canzoni nuove, da quando eravamo assieme. Diceva che già le conoscevo, ma che le avevo dimenticate ed ero certa che fosse proprio così. Non era facile pensare, persa nell'abisso dei miei ricordi sepolti, ma adoravo lo stesso crogiolarmi nella consapevolezza di avere avuto un passato. La sua voce mi cullava sempre verso lidi sconosciuti, in cui mi piaceva perdermi. Non ero certa che avesse idea dell’effetto che quella canzone avesse su di me, ma non lo guardai per controllare se stesse sfoggiando uno dei suoi sorrisetti compiaciuti. Mi limitai a godermi quell’incantevole attimo di pace nel cimitero di Bonaventure, posto che prima quasi temevo e che allora, invece, era diventato uno dei nostri rifugi preferiti. Il vento caldo di mezzogiorno mi scompigliava i capelli, l’erba mi solleticava la pelle nuda delle gambe, lasciate scoperte dal vestito scampanato anni cinquanta che avevo indosso, le vibrazioni della voce roca e sensuale di Logan mi tenevano in uno stato di placida beatitudine. Strinsi un ciuffo d’erba, sospirai e mi dissi che quel pomeriggio sarebbe potuto durare per anni e io non avrei mai desiderato di essere altrove o di fare altro. E poi, nel preciso istante in cui realizzai di essere nel posto giusto al momento giusto, accadde. Fui investita da un improvviso senso di nausea. Mi sentii strattonare violentemente, quasi che il mio stesso corpo si stesse rivoltando e tutto ciò che era dentro avesse improvvisamente deciso di venire fuori e viceversa. Nella mia testa esplose un colpo di cannone, o almeno così mi sembrò. Una forza sconosciuta mi chiamò a sé, verso un luogo che non era quello in cui avevo appena desiderato di passare l’eternità.


Qualcosa non andava. Stavo per avere un flashback, ma non era uno dei tanti. Quello sembrava più simile a una discesa libera sulle montagne russe, senza protezioni di sicurezza e da un’altezza spaventosa. Davanti ai miei occhi per un istante vidi il buio, nel mio petto sentii imperversare un tornado. Ero paralizzata. Morivo di paura. Adelaide! Urlai nella mia testa, quando mi accorsi di non poter usare le labbra per chiedere aiuto a Logan. Non fartela sotto adesso, ragazza morta. E goditi il mio regalo per voi. Furono le ultime parole che sentii prima di fare un tuffo nel vuoto. O nella terra, forse. Non sapevo dove stessi andando, ma sapevo che per arrivarci stavo attraversando qualcosa di profondo e solido, irto di spigoli e passaggi stretti. Fu come essere strizzata, ristretta, allungata, strappata e poi ricomposta in modo sbagliato. Durò solo un attimo, ma quell’attimo fu incredibilmente lungo e orribile, tanto da diventare indimenticabile. E poi tutto ebbe fine. La discesa terminò e il silenzio si fece strada fuori e dentro di me. Mi sembrava di essere immersa nel nulla assoluto, quasi fossi sul ciglio dell’universo, sola, nel nero più scuro. E non c’era nulla di peggio, per me che fino a un secondo prima ero a un centimetro dalla persona più importante della mia vita. Avrei voluto essere triste, arrabbiata, spaventata, ma riuscivo solo a essere confusa. Così confusa e smarrita da non ricordare neanche chi fossi, cosa stessi facendo, perché mi sembrava di essere seduta tra le stelle e i pianeti e poi… Qualcosa di caldo mi sfiorò la guancia, scendendo verso il collo. Le mie palpebre pesanti furono scosse da un fremito. Uno sbuffo di vento mi solleticò l’orecchio, una piuma mi accarezzò le labbra una, due, tre volte. Pensai che fosse una piuma davvero morbida e soffice e deliziosa. Buona come... «Svegliati. Non costringermi ad approfittarmi di te mentre dormi, Juniper Lee». Le labbra di Logan. Erano quelle che avevano sfiorato la mia bocca, erano loro ad aver bisbigliato al mio


orecchio di svegliarmi ed erano loro che ora mi stavano posando rapidi baci sulle tempie e sulle palpebre. Era stato tutto un sogno. Io che sedevo sul ciglio dell'universo, io che credevo di aver fatto un viaggio stellare. Tutto un incredibile sogno. «Mmm». Aprii gli occhi lentamente, girandomi sul fianco. Mi trovai di fronte a un sorriso languido e carico di malizia. Per un attimo lo ricambiai, incantata da quella visione, ma poi mi resi conto della situazione in cui mi trovavo. Il mio cuore prese a battere fortissimo, riportandomi di colpo alla realtà. Logan era nel mio letto. O meglio, nel letto in cui dormivo quando restavo da Adelaide. Mi aveva appena svegliato nel cuore della notte e le sue dita stavano accarezzando la pelle del mio braccio, che era nuda perché indossavo un pigiama striminzito. Oddio. «Che ci fai tu, qui?». La mia voce era impastata e ancora addormentata, ma io ero più sveglia e in allerta che mai. Feci un balzo all’indietro e un cuscino cadde per terra, trascinando con sé il libro che stavo leggendo prima di addormentarmi. Guardai terrorizzata verso il letto di Adelaide. Era vuoto. Probabilmente si era alzata per andare in bagno. Meno male, almeno non si sarebbe accorta di quello che il fratello stava combinando. Lo fulminai con lo sguardo. Lui sghignazzò a voce bassa, senza scomporsi nemmeno un po’. «Non dirmi che ti ho messo paura, perché non ti credo. Prima di aprire gli occhi non facevi che mugolare e sorridere…». Si era puntellato su un gomito, poggiando la testa sulla mano destra e mi guardava come se fossi uno spettacolo. In effetti probabilmente lo ero: spettinata, struccata e completamente in disordine. Avrò avuto l’aspetto di una sopravvissuta a un naufragio. «Non scherzare. Vai, ora. Prima che Adelaide torni e si faccia strane idee». Gli ordinai seppellendo il più possibile il corpo sotto le coperte.


Mi sentivo così esposta, ancora in bilico tra il sonno e la veglia, ancora impigliata in quegli strani sogni confusi e spettrali. Quasi non fossi del tutto me stessa, quasi non ricordassi bene chi fossi in realtà. «Non essere arrabbiata con me. Stavo impazzendo all’idea che ci dividesse solo un muro. Il fatto che dormissi a un palmo da me, ma che non potevo né vederti né toccarti era come un tarlo. Avevo cominciato a scavare un buco con il plettro! Sai che la mamma non mi avrebbe mai perdonato». Il suo respiro caldo mi fece formicolare le guance, mentre lo sguardo che aveva scatenò una serie di fremiti in tutto il mio corpo. «Scommetto, invece, che se ci trovasse avvinghiati nella stanza di tua sorella ci perdonerebbe. Non è così?». Lui rise piano e allungò una mano verso di me, iniziando a tracciare piccoli cerchi sulla mia spalla da sopra la coperta. «Vale la pena correre il rischio, credimi». Rispose, scostando la coperta per scoprire una porzione di pelle su cui posare un leggero bacio. Ebbi un brivido e non per il freddo. «Perciò, secondo te finiremo per avvinghiarci l’uno all’altra... interessante». La sua bocca ora si trovava a pochi millimetri dal mio orecchio, non abbastanza vicina da toccarlo, ma quel quasi contatto era sufficiente a scombussolarmi i pensieri. «Piantala subito!». Provai a scacciarlo con una spinta soffocando un sorriso, ma non si mosse di un centimetro. Ovviamente ero una mammoletta in confronto al campione di lacrosse della SCAD. Allora gli assestai una spinta più energica, usando braccia e gambe, ma la cosa non finì come desideravo. Logan incassò il colpo, spalancò gli occhi e mi respinse facendo leva sulle sue ginocchia e afferrandomi dai polsi. Non so bene come, ma un secondo dopo lui era a cavalcioni su di me con gli occhi che fiammeggiavano: il leone aveva catturato la sua preda. Si era appoggiato sui gomiti per tenermi le mani ancorate al materasso, il suo volto era così vicino da poterne sentire il calore. I capelli ricci mi solleticavano le guance. Sulla lingua


pregustai il sapore dolce della sua bocca e, dal modo in cui le sue pupille erano dilatate, anche lui doveva aver fatto un pensiero simile. Si abbassò di un altro centimetro e potei sentire la seta delle sue labbra carnose sfiorare appena le mie. Un tocco leggerissimo, che bastò a incasinarmi il cervello. Quando lui era vicino a me, tutte le emozioni mai provate si fondevano tra di loro tormentandomi senza sosta. Non ero più una ragazza, ero un groviglio di sensazioni di ogni tipo: amore, commozione, gioia, desiderio, tormento… sentivo tutto ed era bello da morire. «Vattene Logan, dico sul serio. Non voglio che Adelaide ci trovi così…». «Non verrà. Sta dormendo nel mio letto». Mi zittì, lasciandomi una mano per accarezzarmi la guancia. Io impiegati qualche secondo a elaborare la situazione, distratta dal suo tocco delicato e insinuante. «L’hai mandata via?». La mia voce era un sussurro, mi stupii di come riuscissi ancora a parlare ora che aveva tirato indietro i miei capelli per posarmi lievissimi baci sul collo. Avevo la mente annebbiata, le palpebre rese pesanti dal piacere. «Non l’avrei mai fatto. Lo sai». Mi lasciò anche l’altra mano e rotolò alla mia mia destra, nella stessa posizione in cui l’avevo trovato appena sveglia. Il mio corpo aderì al suo all’istante, come sempre lui era il mio magnete. Sentii la pelle nuda della spalla strusciare contro il suo petto, il mio fianco modellarsi contro il suo ventre, la mia coscia appiccicarsi alla sua. «E allora cosa è successo?». Chiesi sfacciata, cercando di non concentrarmi sull’idea che fossimo così tanto vicini e così poco vestiti. Era una cosa stupida andare in fibrillazione pensando a me e lui in pantaloncini e maglietta, quando avevamo trascorso intere estati a fare il bagno al lago assieme. Eppure in quelle occasioni non mi sentivo così ricettiva e consapevole di ogni maledetto centimetro di pelle che ricoprisse il mio corpo e quello di Logan.


In quel momento mi sembrava che gli indumenti che ci separavano fossero sottili e fragili come ragnatele, per non parlare delle scosse elettriche che sentivo nei punti in cui le nostre gambe nude si sfioravano. Possibile che i nostri corpi fossero innamorati come i nostri cuori? Avrei giurato che la mia gamba stesse scivolando sulla sua, senza che io le avessi dato il permesso di farlo. Stupida gamba innamorata. «Si è svegliata quando ho aperto la porta, mi ha lanciato un cuscino imprecando come uno scaricatore di porto e poi se n’è andata quando ha capito che non avevo intenzione di levare il disturbo». Potevo sentire il divertimento nella sua voce, i suoi addominali che si contraevano mentre tentava di non ridere. I suoi sforzi ebbero come risultato quello di far scoppiare a ridere me, un po’ per il la scena che aveva descritto, un po’ per il solletico che mi provocavano i suoi polpastrelli che stavano disegnando spirali lungo la mia gamba. Riuscii a figurarmi perfettamente l’espressione disgustata con cui Adelaide doveva aver fulminato Logan non appena era sgusciato nella nostra camera. Da quando io e lui le avevamo rivelato la nostra relazione – cosa che non aveva preso bene come speravo –, aveva messo a punto una smorfia che riservava solo a noi due. Ogni qual volta io e il fratello ci concedessimo una qualunque effusione, Adelaide arricciava il naso come se avesse sentito l’odore più nauseante mai esistito, affilava lo sguardo neanche avesse appena visto il ragazzino che alle elementari le aveva decapitato il coniglietto di pezza e sollevava un angolo della bocca per dichiarare tutto il suo disprezzo. «Non posso credere che tu abbia scacciato tua sorella dalla sua stanza». «Non l’ho fatto. E’ andata via di sua spontanea volontà, per me la sua presenza era del tutto irrilevante, volevo solo stare un po’ con te». Il modo in cui lo disse, con quella sicurezza che non conosceva imbarazzo e gli occhi piantati nei miei, fu adorabile. Ma mi guardai bene dal dirglielo. «Sei insopportabile. Fossi in te non lascerei più lo spazzolino da denti in bagno, da domani. Hai idea di cosa potrebbe farci


quando nessuno può vederla?». Soffocai una risata, ricordando i racconti dei perfidi dispetti con cui Adelaide si vendicava sul fratello. Smise di accarezzarmi, assumendo una posizione rigida. «Aspetta, aspetta. Sai qualcosa che io non so? Dimmi che Mercoledì non ha mai pulito il bagno con il mio spazzolino». Mi ordinò lanciandomi uno sguardo intimidatorio che mi fece sghignazzare con più foga. Logan chiamava Adelaide Mercoledì dal primo giorno d’asilo, in cui sua madre l’aveva pettinata come la piccola della famiglia Adams. Usava quel soprannome solo quando era davvero infuriato con lei, o quando voleva provocarla. Se solo avesse avuto idea di quanto fosse andato vicino alla realtà con quella supposizione, avrebbe sicuramente ingaggiato una rappresaglia nei confronti della sorella. Strinsi le labbra per non ridere troppo forte, scossi la testa e non dissi nulla. Non avrei scucito alcuna informazione segreta. Nemmeno sotto tortura. Io e Adelaide avevamo promesso di portarci le nostre confessioni nella tomba. E le promesse non si infrangono nemmeno per amore. Logan mi guardò malissimo, facendomi capire che non avrebbe mollato il colpo tanto facilmente. Odiava i segreti, in particolare quelli che coinvolgevano lui. Per non tradire alcuna emozione, seppellii il viso nelle lenzuola abbassando la testa per incastrarla nell’incavo del suo mento. Aveva un odore meraviglioso, sapeva di mare. Non mi sarei mai saziata di quel profumo, nemmeno in un’altra vita. «Non sei sgusciato nel mio letto per parlare di quello che tua sorella ha fatto con il tuo spazzolino da denti, vero?». Lo blandii, sperando di distrarlo. Funzionò. Sentii i suoi muscoli rilassarsi contro di me e la sua mano tornò a posarsi sulla mia gamba, questa volta in modo più insistente, possessivo. Abbassò la testa per avvicinare le labbra al mio orecchio e inspirò il profumo dei miei capelli. «No, direi di no. Sono qui perché morivo dalla voglia di stringerti». Mi baciò la tempia con delicatezza, salendo con la mano verso la vita. La mia maglietta si sollevò un poco,


lasciando via libera alle sue dita che arroventavano ogni lembo di pelle scoperta che toccassero. Sollevai la testa incontrando i suoi occhi. Eravamo in una posizione speculare, il mio petto premeva contro il suo, i nostri nasi si toccavano, respiravamo lo stesso respiro. Gli scostai un ricciolo dalla fronte, facendo scorrere le dita sul suo volto fino alla linea della mascella. Aveva un velo di barba incolta, il suo marchio di fabbrica. «Come potevo mancarti tanto? In fondo dovresti essere abituato a me che dormo nella stanza accanto, in pratica sono cresciuta in questa casa». Lui fece un sorrisetto sghembo e la fossetta che adoravo spuntò sulla sua guancia. «Ma nell’ultimo anno sei cresciuta davvero tanto. Diciamo che, dopo lo spring break, è stata una tortura averti sempre intorno e dover tenere a bada la voglia di starti sempre più vicino, ora voglio recuperare tutto il tempo perduto». Il mio stomaco fece due capriole. Adoravo quando diceva certe cose, perché mi facevano sentire come se i miei desideri si fossero avverati. Dopo gli anni trascorsi a fantasticare sul fratello della mia migliore amica, lui era finalmente riuscito a scorgere la ragazza che si celava dietro all’idea che si era fatto di me – ovvero l’amica rompiscatole di sua sorella minore – e, miracolo dei miracoli, gli ero piaciuta. Io, Juniper Lee McBride, ero diventata la ragazza di Logan Greenwood: campione di lacrosse, chitarrista eccezionale, volontario al rifugio per animali abbandonati di Savannah, ragazzo più desiderato del suo corso di studi alla SCAD. Tra tutte, lui aveva scelto me. Ero così felice, quando ci pensavo, da dover reprimere l’impulso di mettermi a saltellare. «Che c’entra lo spring break?». Chiesi quando mi accorsi di non sapere a cosa si riferisse di preciso. La fossetta sulla sua guancia si accentuò, mentre mi lanciava un’occhiata divertita. «Hai presente la sera della festa a casa di Annie?».


«Quella in cui tu e Annie avete dato spettacolo in piscina? Sì, ho presente». Misi il broncio al ricordo e mi tirai indietro. Era passato quasi un anno eppure se pensavo al modo in cui quei due ballavano sulle note di una pessima canzone dance, sentivo il bisogno di tirargli un pugno nello stomaco. Lui alzò gli occhi al cielo facendo schioccare la lingua sul palato, poi mi attirò a sé mormorando qualcosa di incomprensibile tra le risate. La mia gelosia lo divertiva. Che scemo. «Andiamo, non arrabbiarti. Ballavo con lei perché dovevo distrarmi da te. Quando ti ho vista arrivare con Luke, mano nella mano… cavolo, ho capito che ero completamente fregato». Lo guardai con sospetto e piena d’interesse. Ero uscita con Luke per un po’, ma ignoravo che Logan se ne fosse anche solo accorto. «Ma se nemmeno sapevi che esistessi!». «Oh, lo sapevo eccome. Lo sapevo al punto da desiderare di stare solo con te più di quanto fosse lecito, insomma eri la piccola insopportabile Juniper Lee, avevo tagliato i capelli alle tue bambole quando tu le avevi lasciate nel mio bagno». Lui cosa? Oh, no. Impossibile! Non potevo crederci. Avevo pianto per giorni perché la mia barbie sirena non aveva più i suoi lunghi capelli che cambiavano colore con l’acqua. Era stato davvero un orribile mostro! Gli sferrai un calcio negli stinchi con il chiaro intento di spezzargli una gamba, ma lui, invece di soffrire, rise senza ritegno. «Andiamo, sapevi che ero stato io». Lo disse con la sua voce da angioletto innocente. E aveva ragione. I miei sospetti erano andati a lui, ma una bambina può sempre sognare, no? Bene. Io avevo voluto credere che il perfetto ragazzo di cui ero invaghita, non avrebbe mai fatto niente di così perfido alle mie bambole preferite. Aveva fatto la cresta a tutte. «Ma ti ho sempre dato il beneficio del dubbio!». Urlai esasperata. Quando mi lanciò il suo sguardo più sfrontato, sentii che stavo già cedendo al suo fascino. Non riuscivo ad arrabbiarmi davvero con lui, non per cose così sciocche. Però avrei voluto dargli del filo da torcere, costringerlo a scusarsi e ammettere che era stato tremendo. Non


era facile costringerlo ad ammettere un suo errore e quando mi si presentava la possibilità volevo sfruttarla al massimo, quindi dovevo impedirgli di farmi ridere. «Ma certo che mi davi il beneficio del dubbio. Eri cotta di me già allora». Bene, se avesse continuato su quella china non avrei avuto voglia di ridere per un bel po’. Potevo farcela, potevo fargli sudare la mia resa. «Illuso». Dissi con fare inviperito e sicuro. Lui alzò un sopracciglio. «Bugiarda. Dimentichi che avevo letto il tuo diario. O dovrei dire, e cito testualmente, “Il diario della futura signora Greenwood?”». La su voce era impostata mentre tirava in ballo i ricordi più imbarazzanti della mia infanzia. Anche solo all’idea delle cose che avevo scritto su quel diario, come le poesie dedicate al ragazzo dei miei sogni, sentivo una risata isterica montarmi in gola. Ero così ingenua e impacciata. E assolutamente negata per la poesia. Maledissi mentalmente Logan e la sua capacità di rigirare la frittata. Era così bravo che stava usando i miei ricordi contro di me. Strinsi le labbra per impedirmi di sorridere, strinsi i pugni e dissi solo: «Ti odio». «Mi adori. Mi adori da sempre». Fu la sua risposta. Io dovetti girare un po’ la testa, perché non vedesse la scintilla di divertimento che mi accendeva lo sguardo. «Vattene via!». «No. Vieni qui e basta». Così dicendo mi prese il mento e schiantò le sue labbra sulle mie, strappandomi il respiro, la lucidità mentale e tutti i freni inibitori. Nemmeno provai a respingerlo, sarei andata contro me stessa. Al diavolo i pensieri infantili, le teste rasate delle mie bambole, il diario che avevo riempito di cuori. Logan era mio e mi baciava. Tutto quello che volevo fare era sentire la pressione di quelle labbra morbide sulle mie, incollarmi al suo corpo e lasciare che lui mi stringesse forte. E fu proprio ciò che feci. Gli


avvolsi una gamba attorno al fianco mentre la sua mano si faceva strada sotto la mia maglietta e mi stupii di non provare panico, ma solo gioia. Sentivo il suo tocco sulla schiena nuda, i suoi addominali che premevano contro il mio stomaco, le nostre gambe che s’intrecciavano. Ed era bello, nuovo, giusto. Mi girava la testa all’idea che non fossimo stati mai tanto vicini. Mi dissi che avevamo davvero sprecato un sacco di tempo, in passato. Che quella vicinanza era perfetta. Eppure, proprio mentre pensavo che fosse favoloso potergli essere così vicina, già non mi sembrò più abbastanza. Potevamo fare di meglio, ne ero sicura. C’era ancora troppo spazio tra i nostri corpi e io quello spazio volevo annientarlo, cancellarlo per sempre. Dovette pensarlo anche Logan, perché con un’agilità degna di dell’atleta che era, si spostò su di me facendomi rotolare sulla schiena. La mia gamba era ancora allacciata alla sua vita e lo spazio tra noi era decisamente diminuito. E pensai che quello era tutto; era bellissimo, era, perfetto, era spaventoso, era troppo e non era mai abbastanza. Eravamo noi due fronte contro fronte, petto contro petto, sospiri contro sospiri. Era quello che avevo desiderato, ma mi colse comunque di sorpresa. Il mio cuore perse un battito quando fui consapevole di tutti i punti in cui il mio corpo incontrava il suo. Poi riprese la sua corsa forsennata. Lo baciai come se avessi voluto mangiarlo e pensai che il suo sapore era davvero buono. Così buono che, forse, sarei stata davvero capace di farlo. Di morderlo come un vampiro. Si muoveva su di me, mi stringeva le gambe con forza, mi baciava sul collo e mi faceva vedere le stelle, con carezze che non avevo mai nemmeno osato immaginare, prima. Non sapevo se stessi respirando, se avessi gli occhi aperti o chiusi, se il mio cuore stesse ancora pompando sangue nelle vene e i miei polmoni fossero in grado di distinguere l’anidride carbonica dall’ossigeno. Sapevo solo che ogni carezza di Logan accendeva un fuoco sulla mia pelle, un fuoco che divampava in ogni centimetro nel mio corpo.


E poi, proprio mentre pensavo che avrei voluto stringerlo ancora più forte contro di me, Logan rotolò su un fianco lasciandomi dolorosamente consapevole della sua lontananza. Come se fossi legata a lui da un filo invisibile, mi girai anch’io, piantando gli occhi nei suoi. Sentivo le labbra gonfie e calde, le guance in fiamme, il respiro rapido e corto. Con la sola luce dei bagliori lunari che entravano dalla finestra, Logan sembrava quasi un essere etereo. Era accigliato, la sua pelle rifletteva il chiarore delle stelle, gli occhi brillavano di pagliuzze argentate. Non sembrava affatto il tipico ragazzo abbronzato del Sud. La sua era una bellezza delicata, elegante, un po’ antica. Non mi stancava mai. Ma mi rendeva nervosa, bramosa di rubarne un pezzetto. Lo baciai di nuovo e lui emise un mugolio basso, che mi spinse ad aggrapparmi alla sua nuca per schiacciarlo forte contro di me. Perché non mi bastava, niente era abbastanza. Ma, ancora prima di potermi abituare a quel contatto, lui mi allontanò con fermezza. Allora anche io assunsi un’espressione accigliata. Perché mi respingeva? Ero convinta che stessimo condividendo il momento più intenso in assoluto, ma forse la cosa era valida solo per me. Lui prese ad accarezzarmi piano, dalla spalla al polso e poi dal polso alla spalla. «Sei così bella… Così maledettamente bella». Disse posandomi un bacio tra i capelli. Sospirai e gli diedi le spalle, perché non sopportavo che lui vedesse lo sguardo deluso che dovevo aver dipinto in faccia. Non ero abbastanza bella per impedirgli di rifiutarmi. Ecco quello che stava cercando di non dire. Ma non ebbi il tempo di farmi spezzare il cuore dalle mie insicurezze, perché lui non me lo diede. Seguì il mio movimento, posandomi una mano sul fianco e poggiando il suo petto alla mia schiena. Averlo così vicino calmò subito i miei sensi, troppo all’erta pronti a scattare. Restammo in silenzio per qualche secondo. Le mie labbra, ancora gonfie e pulsanti, soffrivano per la mancanza delle sue.


«Non essere arrabbiata con me, Juniper Lee. Ce la sto mettendo tutta per fare il bravo…». La sua voce era un sussurro, ma non mi sfuggì la punta di frustrazione che provava a celare. Un brivido si fece strada lungo la mia spina dorsale. Ero confusa dal suo comportamento e facevo decisamente fatica a mantenere la lucidità. C’era un’immagine ben precisa di noi due, intenti a baciarci come se null’altro contasse al mondo, che continuava a farmi girare la testa. E poi c’era Logan che mi respingeva, mettendomi a disagio. Feci un sospiro mesto e le mie spalle si schiacciarono contro il suo torace. Mi sembrò di sentire il suo cuore pulsare forte contro il mio, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente. Aveva il respiro affannato, proprio come me. «Allora smettila di mettercela tutta». Mi voltai, incontrando l’abisso dei suoi occhi. Le pupille dilatate e l’intensità con cui mi scrutava, sembravano riflettere il mio stesso stato d’animo. Ma sul suo volto scorsi anche qualcos’altro. Una strana determinazione che non riuscivo a decifrare. Gli sfiorai il braccio con il dorso della mano e sorrisi quando mi accorsi che ovunque lo toccassi lasciavo una scia di pelle d’oca. Forse non mi stava rifiutando. Forse, mi dissi, era stato sopraffatto dall’intensità di quel momento, come lo ero stata io. «Vuoi rendermi davvero le cose difficili, non è così?». La sua voce era bassa, seria e risoluta. Le labbra carnose un po’ imbronciate. Pensai che avrei davvero voluto baciare quelle labbra, spazzare via il broncio adorabile che le faceva sporgere ancor più del solito. «In realtà, sto sfacciatamente provando a renderti tutto molto facile. Non farmi pentire della mia intraprendenza». Che impudente ero diventata. In effetti avrei detto e fatto qualunque cosa pur di tornare a sentire il suo corpo contro il mio. Logan era la mia cotta adolescenziale, era il ragazzo attorno al cui nome disegnavo cuoricini sul mio diario segreto, era quello giusto. L’unico capace di farmi impazzire con un semplice sorriso, l’unico in grado di leggermi dentro, di farmi ridere fino alle lacrime, di commuovermi con una canzone. L’unico di cui mi fossi davvero innamorata. Mi conosceva


come il palmo della sua mano, aveva giocato con me e sua sorella quando eravamo delle mocciose, si era preso cura di me e Adelaide durante il primo anno di liceo, accogliendoci nella cerchia dei ragazzi più popolari della scuola, avevamo trascorso assieme vacanze e compleanni, avevamo condiviso lacrime e gioie. Eravamo amici da sempre, anche se lui preferiva descrivere me e sua sorella come delle poppanti che gli rovinavano la piazza alle feste. Mi ero innamorata di lui senza neanche accorgermene. Ancor prima di capire che i ragazzi potessero essere interessanti, mi scoprii a sognare di trascorrere del tempo sola con Logan, a immaginare il momento in cui gli avrei confessato che per me era molto di più che un amico e che assolutamente non lo vedevo come un fratello maggiore. Quando ci eravamo baciati la prima volta, ero tornata a casa correndo e avevo saltato sul letto cantando a squarciagola per circa un’ora, prima di riuscire a scaricare tutta l’adrenalina che le sue labbra avevano acceso in me. In quel momento mi trovavo in un letto con lui con indosso abiti succinti, immersi nel buio di una stanza vuota, in una casa completamente addormentata. Non riuscivo a immaginare nemmeno un motivo valido perché lui dovesse essere così sostenuto. Se non la paura. Allora decisi che sarei stata io quella coraggiosa per tutti e due. Mi avvicinai, intrecciando le mie gambe alle sue. Lui mi scoccò un’occhiataccia, ma mi cinse la vita stringendomi forte a sé. Sentii il respiro venirmi meno e mi si annodò lo stomaco. Logan era caldo e forte e tutto il suo corpo premeva contro il mio. Adoravo poter azzerare la differenza d’altezza tra noi. Così, sdraiati l’uno affianco all’altra, le nostre labbra erano allo stesso livello e potevo baciarlo senza alzarmi sulle punte, senza aspettare che lui si abbassasse per incontrarmi a metà strada. Era una sensazione inebriante. Mi faceva emozionare e tremare, mi rendeva intraprendente. Tanto da spingermi ad assaggiare il suo labbro superiore senza chiedere alcun permesso. Lui gemette, un suono roco e delizioso


che riverberò nel mio petto, e io sorrisi contro la sua bocca fresca e zuccherina come un frutto maturo. «Stai sfacciatamente provando a mandarmi fuori di testa... e mettendo a dura prova il mio autocontrollo». Si scostò un po’, stringendomi in modo da bloccare le mie braccia con le sue. Mi aveva intrappolata, così da impedirmi di compiere alcun movimento. «Detesto il tuo autocontrollo, non sapevo nemmeno che ne possedessi uno. Se non hai voglia che io ti baci, allora potevi risparmiarti questa incursione notturna». Sbuffai, spazientita. Non capivo se il suo fosse un gioco o facesse sul serio. Di solito non perdeva occasione per dare spettacolo, anche in pubblico. E, mentre stavamo condividendo la situazione più intima in cui ci fossimo mai trovati, si comportava come se ci fossero dei limiti da rispettare? Ero io che rischiavo di perdere il senno! Nel completo silenzio della stanza, sentii il letto cigolare leggermente, mentre il materasso si muoveva come se ci fosse un leggerissimo terremoto. Logan stava ridendo sommessamente, cercando con tutto se stesso di non fare troppo rumore. Era scosso da singhiozzi che facevano tremare entrambi. Tutti i suoi muscoli erano contratti per lo sforzo di non lasciarmi andare e il fatto che io provassi infastidita a divincolarmi, sembrò peggiorare il suo attacco di ridarella. «Logan Greenwood, dì la verità: hai bevuto prima di venire a fare il pazzo nel mio letto?». Soffiai a un centimetro dalle sue labbra, scalciando. Lui rise più forte, facendo vibrare tutto il letto e aumentando la presa su di me. «Sta ferma, adesso. Domani sarò pieno di lividi per colpa tua». «Be’, meriteresti di peggio che qualche livido. Si può sapere che c’è che ti diverte tanto?». Mi guardò con disappunto, facendosi improvvisamente serio. Nei suoi occhi, però, brillava ancora una scintilla di maliziosa ironia. «Hai appena insinuato che io non desideri i tuoi baci».


Lo disse come se fosse una delle peggiori assurdità mai pronunciate dall’alba dei tempi. L’accento del Sud più marcato del solito, la voce ferma e bassa. «Non l’ho insinuato, l’ho constatato. Non so cosa ti prenda, ma sembra quasi che tu non voglia stare con me». Non era difficile dirgli la verità, non lo era mai stato. Era così, tra noi. Ci dicevamo tutto quello che ci passava per la testa, anche le cose più imbarazzanti o compromettenti. Sinceri fino al midollo, per evitare qualunque incomprensione. Lo vidi arrossire un po'. «Non osare ridere ancora, se non vuoi che mi metta a urlare per la frustrazione». Lo avvertii, minacciosa. Logan piantò i suoi occhi nei miei e mi assalì con un bacio famelico. La sua bocca morbida premette contro la mia con determinazione e poi si schiuse per succhiarmi il labbro inferiore. Mi liberò le braccia, facendo scorrere le mani sulla mia schiena che si inarcava a ogni tocco. Io lo afferrai per la nuca, affondando le dita nei suoi riccioli morbidi, confusa e rapita dalla sua impulsività. Finalmente sembrava volersi saziare del mio sapore. La sua lingua accarezzava ogni angolo della mia bocca, i suoi denti mordicchiavano le mie labbra, le sue mani mi stringevano forte alla base della schiena, premendomi contro di lui. Il mio cuore batteva più forte, ora che i nostri bacini si sfioravano. Ero inebriata dal suo sapore: sapeva di buono, di mare e di sole, di tè alla pesca e di desiderio. Un desiderio che mi si faceva strada sotto la pelle, che mi infiammava in sangue nelle vene, che mi annodava lo stomaco e mi annebbiava i pensieri. «Questo», bisbigliò a un centimetro dalla mia bocca. «Era per farti capire quanto io stia morendo dalla voglia di stare con te, Juniper Lee. Quanto desideri baciarti e toccarti e vedere lo sguardo che fai quando vuoi che mi spinga oltre». A quelle parole mi sentii avvampare, ma quando provai a baciarlo di nuovo, lui mi mise un dito sulle labbra, come per zittire il bacio che stavo per dargli.


«Ti voglio più di ogni altra cosa, più di quanto tu creda di volermi. Non passa ora che io non pensi alle tue labbra su di me, alle mie mani su di te, al tuo corpo contro il mio. Ma non è così che deve accadere. Non nella stanza di mia sorella, mentre lei dorme dall’altra parte della parete». Mi guardava come se volesse infondere in me tutto ciò che stava provando e ci riuscii. Potevo sentire tutto il suo desiderio, che si mescolava al mio. Stavo ribollendo e avevo le guance in fiamme, mi ci sarebbe voluta una doccia gelata, per poter tornare in me. «Perciò, piccola, dobbiamo fermarci adesso. Prima che io perda il controllo. D’accordo?». La devozione che lessi nei suoi occhi, mi disse che avrebbe dato qualunque cosa pur di rendermi felice, che desiderava che tra di noi tutto fosse perfetto, che non potessimo pentirci di nulla. Ecco perché voleva che ci andassimo piano: voleva aspettare il momento giusto. Deglutii forte, poi lo baciai dolcemente. Fu un bacio casto, delicato, pieno d’amore. Perché, anche se non avevamo ancora avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, io e Logan ci amavamo come le piante amano i raggi del sole. Ci amavamo di un amore bello, intenso, assoluto. Non c’era bisogno di dirselo a parole, erano i nostri cuori a parlare per noi. «D’accordo. Ma rimarresti con me fino all’alba? Per dormire e basta». Sussurrai sulle sue labbra. Sentii la sua bocca incurvarsi in un sorriso. «Solo se prometti che farai la brava e non di importunarmi». Eccolo, il mio aguzzino personale. «Logan…». Ridacchiai imbarazzata. «Juniper?». Mi stuzzicò. «Non vorrai davvero che io…». Mi interruppe guardandomi con esagerata serietà. «Sì. Lo voglio. Promettilo». «Okay, okay, lo prometto». Sbuffai alzando gli occhi al cielo. «Prometti cosa?»


«Oh, andiamo! La pianti?». Feci in tono lamentoso. Lui scosse la testa, incitandomi con lo sguardo. «Al diavolo! Prometto di fare la brava e non importunarti. Ti va bene, ragazzo odioso?». «Se la metti così, credo di poterti accontentare». Detto questo mi stampò un bacio sulle labbra, poi uno sulla fronte e si mise in posizione supina, attirando la mia testa sul suo petto. Era fantastico. Potevo ascoltare il suo corpo, annusare il suo profumo fresco, sentire il suo cuore battere contro il mio orecchio, l’aria che gonfiava i suoi polmoni, la vita fluire in lui. Mi concentrai sul ritmo cadenzato del suo respiro, lasciando che un inebriante senso di beatitudine sostituisse il desiderio bruciante che mi aveva infiammato il corpo fino a quel momento. Logan mi accarezzava dolcemente i capelli con una mano, mentre con l’altra mi teneva stretta a lui, quasi temesse che me ne andassi. Mi accoccolai contro il suo fianco, augurandomi che capisse che non mi sarei allontanata neanche se fossi stata costretta. Non so bene quando accadde, ma scivolammo assieme nel sonno. Sentii gli arti farsi pesanti e le palpebre chiudersi e ricordo che il mio ultimo pensiero fu che ero veramente felice. Poi, di colpo, mi sentii strattonare verso il basso. Come se un amo si fosse piantato nel mio petto e mi stesse tirando verso una sponda oscura, che non riuscivo a scorgere. Provai a divincolarmi dalla morsa che mi aveva improvvisamente incatenata, ma non riuscii a muovermi. Il mio spirito si dimenava, mentre il mio corpo dormiva appoggiato a quello di Logan. Conoscevo quella sensazione, la conoscevo troppo bene. Fu un lampo, un’illuminazione improvvisa e tornai alla realtà, comprendendo tutto. Seppi chi ero davvero, o meglio cosa ero davvero: un fantasma. Tutto quello che era successo non era reale. Non nel presente, almeno. Avevo appena sperimentato il più sconvolgente dei flashback che avessi mai provato. Ancora più intenso


di quello in cui, tempo prima, avevo capito che io e Logan eravamo stati legati in vita. Questo non era stato uno dei soliti salti nel passato a cui ormai ero abituata, no. Era stato come tuffarsi nel ricordo, cucirsi alla Juniper dei miei pensieri, rivivere ogni attimo, sperimentando ogni sensazione sul mio corpo, nella mia testa, nel mio cuore. Quasi fossi nuovamente in vita. Quasi come se mi fosse stata data una nuova possibilità. Avevo vissuto un momento del passato. Avevo sentito il sangue, sangue vero, vivo, caldo, scorrermi nelle vene. Avevo persino dimenticato cosa fossi in verità. Mi ero immersa nel mio corpo mortale, ero stata me stessa a tutti gli effetti. Anche in quel momento, mentre il mio spirito si staccava dalla ragazza vera che ero stata un tempo, potevo percepire la vita pulsare debole nel mio petto, scorrere come acqua verso gli arti, gocciolare stille preziose di energia che si disperdevano attorno a me. Stavo tornando in me, a casa. Nel mondo in cui non ero più capace di ricordare il mio passato, di sentire la gravità premere sulle mie spalle, in cui non avevo più paura della morte, perché ormai la morte era parte di me. Ma, mentre tornavo nel cimitero di Bonaventure, sapevo che qualcosa era cambiato. Un preziosissimo ricordo, il più chiaro e nitido che avessi mai avuto, si era insinuato nella mia mente e l’aveva posseduta. C’erano tante nuove fiammelle di memoria accese nell’antro buio dei miei pensieri, il velo che custodiva le mie memorie si era fatto meno spesso. Non sapevo come fosse successo, ma sapevo che era fantastico. Aprii gli occhi e il sole mi colpì in pieno, spingendomi a proteggermi con la mano. La mia mano incorporea che non era viva, ma che era capace di toccare e sentire. In modo diverso da quello che avevo appena sperimentato nel mio ricordo, in modo speciale, come speciale era la mia esistenza e quella di Logan. Lo guardai, incontrando i suoi occhi blu e scintillanti. Sembrava smarrito, sulla sua fronte c’era una ruga di preoccupazione, le sue labbra formavano una piccola “o”. Balzò verso di me, facendo cadere di lato la chitarra, mi prese le mani e mi tirò sulle sue ginocchia.


«Damigella, mi è successa una cosa incredibile!» Disse baciandomi con entusiasmo e lasciandomi interdetta per un secondo. Era elettrizzato, come se avesse ricevuto un regalo meraviglioso, come se… «C’eri anche tu, nel ricordo…?». Farfugliai in modo sconnesso. Ma certo che c’era anche lui! Non era quello che volevo dire. Non sapevo cosa dire né come dirlo, sapevo solo che ero emozionata come non mai e sperai che Logan capisse la mia domanda. «Sì. E’ stato straordinario. Così vero. Io e te eravamo così follemente…». «Vivi?» Finii la frase per lui. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa e sorrise in modo sfacciato. «Sei sempre la solita, non è così? Niente poesia per la mia ragazza fantasma». Mi ammonì divertito. «Stavo per dire che eravamo follemente innamorati». Ciò detto mi baciò come se il mondo stesse per finire e quello fosse il nostro ultimo bacio. L’energia fluiva da lui a me, unendoci come due magneti che si incontrano. Eravamo più legati che mai. Avevamo vissuto assieme quel momento, ci eravamo riappropriati di un pezzo della nostra vita, un importante tassello nel mosaico del nostro passato. Stavamo ritornando a essere noi stessi, ed era straordinario. Non ringraziarmi, ragazza morta. La voce di Adelaide si fece strada nella mia testa, sprizzava gioia e allegria. E’ opera tua? Ma come…? Non sperare che ti riveli i miei segreti. Limitati a essermi grata in eterno. Rise e si dileguò. Ormai tornava a farmi visita sempre meno spesso, ma sapevo che vegliava su di noi e quello che era successo oggi ne era la prova lampante. In quel momento sembrava che tutto avesse un senso. Il mio angelo si prendeva cura di me, il mio ragazzo mi stava baciando e il mio passato non era più oscuro come un tempo. D’improvviso il presente mi sembrò un luogo pieno di possibilità e io non vedevo l’ora di coglierle.



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