ANNO XXXVII (430) - N. 6 - GIUGNO 2020
EURO 6,00
I L M E N S I L E I TA L I A N O D I A U T O S T O R I C H E - T H E I TA L I A N C L A S S I C C A R M A G A Z I N E
AUSTIN HEALEY 3000
FORSE IL PIÙ SIGNIFICATIVO SPIDER INGLESE COSTRUITO A CAVALLO DEGLI ANNI ’50 E ’60. CON IL SUO GENEROSO SEI CILINDRI DIVENNE IL SIMBOLO DI SPORTIVITÀ E VINSE LE MAGGIORI COMPETIZIONI RALLISTICHE EUROPEE DEL SUO TEMPO.
CARROZZERIA MONVISO
8V SUPERSONIC
LA TRAGEDIA DI SUPERGA
LO STILE BONESCHI GIUSEPPE CAMPARI
- 4 Giugno 1942: la Battaglia di Midway - 10 Giugno 1940: l’Italia fascista entra in guerra - 22 Giugno 1941: Hitler invade la Russia - Camion Alfa Romeo 900 e 1000; Fiat 626 e 670 - Un rallista di nome Stirling - Arretrati 2000-2020
RI 7- N 11 V Ap I ril A e 20 TA 21 E N T R A N C E D I S CO U N T Twins 2 = 1
YEAR OF THE TWINS
Sharing is Caring #technoclassica #sharethepassion
Artist: Benjamin Freudenthal
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Foto: René Official Photographer
Auto d’Epoca – Giugno 2020
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SOMMARIO | Giugno 2020 COPERTINA Stile inglese, forme eleganti e cavalli in libertà. Questa è stata la Austin-Healey che, grazie anche ad un prezzo contenuto, ha saputo imporsi nell’affollato mercato degli anni ’60. Facendo innamorare di sé anche il difficile pubblico americano. IL BAULE 6 Recensioni - Bertone Masterpieces of Style - Alfa Romeo Dal 1910 ad oggi Edizione aggiornata - Ayrton Senna Il predestinato
MONOGRAFIE
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10 Carrozzeria Boneschi Un’azienda che ha saputo rimanere al passo con i tempi realizzando vetture raffinate nei primi anni e auto blindate negli ultimi periodi, 18 Fiat 1100 Monviso Stella Alpina Sono bastati dieci anni all’azienda torinese per lasciare il segno nel mondo delle automobili con modelli di grande qualità. 24 Fiat 8V Supersonic Una vettura fuori dal comune realizzata dagli specialisti della carrozzeria Ghia. E che a distanza di anni ha sempre un grande fascino.
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30 La Tragedia di Superga
Il 4 maggio 1949 se ne andava per sempre una delle più grandi squadre di calcio della storia, il Torino. Il dolore di un’intera nazione. 36 Austin-Healey 3000 La spider inglese che ha segnato gli anni ’60 grazie ad un’esuberante sei cilindri e ad una linea ricca di fascino. 48 Alfa Romeo 177 e 179 Le monoposto del ritorno del Biscione in Formula 1. La storia di un progetto che avrebbe meritato maggior fortuna. 54 Giuseppe Campari Un grande pilota capace di vincere due volte la 1000 Miglia con una grande passione, la musica lirica.
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LA GAZZETTA 61 Prima Pagina Techno Classica Essen, arrivederci al 2021 62 Primo Piano La battaglia delle Midway; 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra; 22 giugno 1941, attacco alla Russia.
86 Agende 94 Calendario 98 Cronache e anniversari 121 Compro-Vendo 130 Arretrati a colori 2000-2019
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Auto d’Epoca – Giugno 2020
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EDITORIALE | Giugno 2020
VACANZE ROMANE
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a nostra bella Italia è da sempre considerata uno dei più importanti paesi a vocazione turistica. Tra i tanti concorrenti che ci contendono il primato è forse quello con caratteristiche più articolate e un’offerta a trecentosessanta gradi che spazia dall’arte alla natura, dalla cultura alla buona tavola, dallo sport alle spiagge, il tutto condito da scenari da cartolina e da tanta simpatia e passione per l’accoglienza che gli italiani hanno nel sangue. Finita la Seconda guerra mondiale, l’Italia aveva subito dimostrato la capacità di rinascere dalle macerie diventando ben presto la capitale di un palcoscenico internazionale dove tutti volevano salire per respirare la magica atmosfera che ci contraddistingueva dagli altri. E il nostro Paese ha mantenuto il primato, nonostante l’agguerrita concorrenza, fino a oggi. Poi un bel giorno è arrivato il “virus” e tutto è cambiato. A causa anche di una visione strategica miope e maldestra dei nostri governanti si rischia di vanificare mezzo secolo di sacrifici con i quali i nostri nonni e i nostri padri hanno faticosamente conquistato quei risultati. È quasi mortificante assistere ai continui decreti indirizzati a tutti i settori commerciali, ma in particolar modo alle migliaia di albergatori, ristoratori e stabilimenti balneari che ancora oggi, con la stagione turistica alle porte, non sanno cosa fare e come comportarsi. Eppure non dovrebbe essere così complicato prendere decisioni rapide e sagge per salvare un’economia importante che produce miliardi di fatturato. I nostri politici
Auto d’Epoca. Il mensile italiano di autostoriche è un Logo e un Marchio Comunitario Registrato ® Direttore responsabile Maurizio Catozzi
ANNO XXXVII (430) - N. 6 - GIUGNO 2020
EURO 6,00
I L M E N S I L E I TA L I A N O D I A U T O S T O R I C H E - T H E I TA L I A N C L A S S I C C A R M A G A Z I N E
AUSTIN HEALEY 3000
FORSE IL PIÙ SIGNIFICATIVO SPIDER INGLESE COSTRUITO A CAVALLO DEGLI ANNI ’50 E ’60. CON IL SUO GENEROSO SEI CILINDRI DIVENNE IL SIMBOLO DI SPORTIVITÀ E VINSE LE MAGGIORI COMPETIZIONI RALLISTICHE EUROPEE DEL SUO TEMPO.
CARROZZERIA MONVISO
8V SUPERSONIC
LA TRAGEDIA DI SUPERGA
LO STILE BONESCHI GIUSEPPE CAMPARI
- 4 Giugno 1942: la Battaglia di Midway - 10 Giugno 1940: l’Italia fascista entra in guerra - 22 Giugno 1941: Hitler invade la Russia - Camion Alfa Romeo 900 e 1000; Fiat 626 e 670 - Un rallista di nome Stirling - Arretrati 2000-2020
si preoccupano invece di mandare in vacanza gli italiani che… non guadagnano da tre mesi, e hanno pensato di risolvere il problema inventando un “bonus vacanze” da 500€ che dovrà essere anticipato dall’albergatore ospitante il quale provvederà poi a farselo rimborsare dallo Stato! Siamo delusi e amareggiati. Nel frattempo i nostri vicini, più o meno europeisti (Croazia, Serbia, Slovenia) stanno preparando un corridoio preferenziale per catturare turisti tedeschi, austriaci, olandesi, quasi 5 milioni quelli previsti, per portarli sulle loro spiagge, evitando di farli arrivare in Italia. Facciamo tutti un grande sforzo, ancora una volta, per le prossime vacanze. Chi avrà la voglia e la possibilità economica di farle per cortesia non vada in Croazia, Serbia e Slovenia, ma resti a casa nostra, sulle nostre coste, nei nostri alberghi e nei nostri ristoranti. Aiuteremo così l’economia del nostro Paese che quest’anno, più che mai, ha bisogno di noi. Buone vacanze!
Maurizio Catozzi
Comitato editoriale e responsabile marketing Marcello Parise Valerio Moretti Sandro Burigotto Collaboratori Antonio Amadelli Francesco Arcieri Donatella Biffignandi Sergio Puttini Loris Rossato Angelo Seneci Giuseppe Thellung Raffaella Maguolo Claudia Malgrati Massimo Minerva Roberto Motta Gian Paolo Arborio Carla Aghito Gianni Margotti Michele Catozzi Sandro Munari Carlo Negri Renzo De Zottis
Fulvio Negrini Gaetano Pantano Wanda Castelnuovo Dario Converso Rudy Dalpozzo Franco Lombardi Federica Amelio Piero Tomassini Teresa Uccellini Aldo Zana Gabriele Fabbri Astrid Pellizzari Pino Palumbo Francesca Pasetti Riccardo Gazzoli Alberto Bergamaschi Claudio Mereu Efisio Matrorazio
Traduzioni Elena Conti Direzione, redazione e amministrazione Zeus S.r.l. via Giuseppe di Vittorio 38/40, 52037 Sansepolcro (AR) tel e fax: +39 0575 749625 e-mail: redazione@autodepocaonline.it amministrazione@autodepocaonline.it Concessionaria Pubblicitaria in esclusiva e Pubbliche Relazioni Teresa Uccellini tel e fax: +39 0575 749625 cell: +39 337 792333 e-mail: pubblicita@autodepocaonline.it Via G. Di Vittorio, 38/40 fraz. Gricignano 52037 Sansepolcro (AR) Impaginazione e progetto grafico S-EriPrint, Sansepolcro (AR) Fotolito e Stampa Elcograf S.P.A. Via Mondadori 15, 37131 Verona Prezzo di copertina euro 6.00 Arretrati vedi a pagina 144 Abbonamento annuo (10 numeri) Italia euro 50, per l’estero vedi tariffe a pagina 144 Sped. in A. P. - 70% - DCI - TV Distribuzione esclusiva per l’Italia Pieroni Distribuzione srl - via C. Cazzaniga 19 20132 Milano Autorizzazione del Tribunale di Treviso Nº 550 decreto del 20.6.1984 Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana
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IL MONDO DI BERTONE
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uanto ci manca la Carrozzeria Bertone. Per tanti decenni ci ha accompagnato nel nostro cammino nel mondo dell’automobile regalandoci dei veri e propri capolavori come, giusto per citare i primi che ci vengono in mente, la Lamborghini Miura oppure la Lancia Stratos. In quasi un secolo di storia l’azienda piemontese, in collaborazione con alcuni tra i più grandi costruttori mondiali, ha sfornato vetture davvero iconiche rimaste nella storia come, oltre alle già citate Miura e Stratos, le Lamborghini Marzal, Espada e Countach oppure l’Alfa Romeo Montreal. E con loro automobili più “umane” come ad esempio l’Alfa Romeo Giulietta Sprint. Ad aiutarci a vincere la malinconia ci aiuta il nuovo (e bel) volume pubblicato da Giorgio Nada Editore dal titolo “Bertone Masterpieces of style” che appartiene all’omonima collana Masterpieces of style a cui appartengono le opere dedicate a Pininfarina, Carrozzeria Touring, Vignale e Zagato. Il libro curato da un grande esperto del marchio Bertone quale è Luciano Greggio ci porta alla scoperta dell’azienda attraverso i modelli che negli anni sono stati creati ed attraverso le figure - oltre a Nuccio Bertone non vanno dimenticati designer del calibro di Marcello Gandini e Giorgetto Giugiaro - che hanno contribuito a esaltare il marchio. Un libro assolutamente da non perdere per gli amanti di Bertone e dello stile applicato all’auto in genere. Ed il fatto che i testi siano scritti in inglese è un ostacolo, se così lo vogliamo chiamare, facilmente superabile. Completano l’opera, racchiusa in 216 pagine, edita da Nada ben 225 fotografie in bianco e nero a cui se ne aggiungono 149 a colori.
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bAuLE | Recensioni
Luciano Greggio, Bertone Masterpieces of style, 2020. Euro 48
PER SEMPRE ALFA
Maurizio Tabucchi (agg. Leonardo Acerbi), Alfa Romeo dal 1910 ad oggi, 2020. Euro 40
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rima di andarsene prematuramente cinque anni or sono Maurizio Tabucchi ci ha regalato splendidi volumi dedicati all’Alfa Romeo, alla sua storia ed ai suoi modelli che sono stati delle vere e proprie pietre miliari. Nel 2010, in occasione del cento anni del Biscione, Tabucchi aveva proposto un volume in cui, divisa per decenni, si raccontava la storia della Casa milanese. La Giorgio Nada Editore ha deciso, in occasione dei 110 anni, di proporre una nuova edizione di “Alfa Romeo dal 1910 ad oggi” affidando l’aggiornamento (in particolare si è dedicato ai modelli presentati dal 2017 ad oggi) a Leonardo Acerbi, altro esperto autore di apprezzati e fondamentali volumi dedicati al mondo dell’auto. In oltre un secolo di vita Alfa Romeo è un nome divenuto sinonimo stesso di automobili dando vita a vetture entrate nella storia come la 1900, la Giulietta, la Giulia o l’Alfetta e, nello stesso tempo e scrivendo indimenticabili pagine nello sport del motore, dalla Mille Miglia a Le Mans, dalla Formula 1 al Mondiale Marche. A tal proposito, non manca un approfondimenti sul ritorno del marchio Alfa Romeo nella massima serie con la svizzera Sauber, a dimostrazione che il “cuore sportivo” non tramonta mai. Il volume, 360 pagine, è in vendita a 40 euro ed oltre ai testi in italiano (ma per chi volesse è disponibile anche la versione in inglese) di Tabucchi ed Acerbi presenta anche centinaia di immagini sia a colori che in bianco e nero.
Auto d’Epoca – Giugno 2020
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IL DESTINO DI SENNA
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iego Alverà è uno scrittore e storyteller che ama il mondo delle sport. Negli ultimi anni ha dedicato i suoi sforzi al mondo del calcio (in particolare alla squadra dell’Hellas Verona) ed ai campioni dell’automobilismo passando da Tazio Nuvolari a Ronnie Peterson. Adesso ci regala un altro imperdibile romanzo il cui titolo e l’intensa immagine scelta come copertina non lasciano dubbi sull’argomento scelto, “Ayrton Senna Il predestinato”. Pagina dopo pagina (in tutto sono 340 corredate da diverse fotografie sia in bianco e nero che a colori), Alverà ripercorre la storia e la carriera dell’indimenticabile campione brasiliano partendo dalla fine. Lo immagina concentrato e attento sulla griglia di partenza di quel Gran Premio di San Marino sulla pista di Imola il 1° maggio 1994 mentre, in attesa del via dentro l’abitacolo della sua Williams, pensa all’incidente di Rubens Barrichello il venerdì ed alla morte di Roland Ratzenberger il sabato. Da lì inizia, almeno così immagina l’autore, un viaggio a ritroso di Senna nella propria carriera e nella propria esistenza. Un libro, pubblicato da Giorgio Nada Editore, che quando lo apriremo ci “obbligherà” ad arrivare fino in fondo, avvincente ed affascinante. La storia di un mito conosciuta e letta mille volte ma che torna ad appassionarci grazie ai coinvolgenti testi di Alverà.
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bAuLE | Recensioni
Diego Alverà, Ayrton Senna Il predestinato, 2020. Euro 24
40a
EDIZIONE
2020
REGGIO EMILIA 3-4 OTTOBRE Sabato 8.00/18.30 - Domenica 8.00/17.00
1976
AUTO MOTO CICLI RICAMBI E ACCESSORI D’EPOCA
Auto d’Epoca – Giugno 2020
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MOnOgRAfIE | Carrozzeria Boneschi
LUSSO BLINDATO di Sergio Puttini
Nata più di cento anni fa, l’azienda milanese ha saputo trasformarsi passando da vetture raffinate e personalizzate a veicoli per il lavoro fino ad arrivare a mezzi protetti contro l’assalto dei malviventi. 1
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a storia dell’automobile in Italia è caratterizzata fin dalle sue origini dalla presenza di numerose Case costruttrici e di carrozzieri di piccole, medie e grandi dimensioni che nel corso degli anni hanno e continuano a dare un consistente contributo tecnico e stilistico a questo settore della industria che ha determinato tanto nel bene (sviluppo economico e sociale) quanto nel male (uso sovente improprio di questo fantastico mezzo di trasporto) una svolta negli usi e costumi della vita sociale dell’essere umano. Nel corso degli anni è stata significativa l’attività svolta dalla Carrozzeria Bone-
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L’Alfa Romeo 2600 Spieder studionove,
uno dei modelli elaborati dall’azienda milanese. 2
La Lancia Aprilia che Boneschi propose
nel 1946, subito dopo la fine della guerra. 3,4 Alcune delle immagine pubblicitarie dell’epoca. della carroxzeria lombarda. 5
Uno dei libri dedicati alla Carrozzeria
Boneschi, pubblicato qualche anno fa. 6
Lo stand, con alcuni dei modelli prodotti,
allestito per una delle edizioni del Salone dell’auto di Torino. 7
La Isotta Fraschini Monterosa presentata
nel 1947 alla rassegna torinese. 8
La Lancia Aprilia Sport realizzata nel 1939,
appena prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
schi, un’azienda che ha saputo affrontare, grazie alle sue capacità di sviluppare, nei diversi momenti che l’hanno vista protagonista, produzioni dove l’ingegno e la creatività hanno consentito di passare o di affiancare alle fuoriserie i veicoli utilitari consentendo all’azienda di arrivare quasi fino ai giorni nostri. Fondata subito dopo la fine della prima guerra mondiale, nel 1919, da Giovanni Boneschi (1888-1946) a Cambiago, alle porte di Milano, riuscì a conquistarsi fra i carrozzieri milanesi un suo spazio. La partecipazione, nel 1921, nell’ambito della Fiera di Milano, al 14° Salone dell’Automobile, consolidava la sua posizione. Una tappa importante è stata l’incontro con Enrico Minetti, agente di vendita Lancia per Milano, che lo invoglia a realizzare una serie di Lancia Lambda personalizzate per la sua clientela. Nel 1923, con la costituzione della Società Anonima Bone-
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MOnOgRAfIE | Carrozzeria Boneschi
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schi, ha ampliato la propria attività mentre la neonata S.A. Italiana Automobili Citroën affidava una commessa per l’assemblaggio in piccola serie di alcuni modelli. Le realizzazioni della Carrozzeria Boneschi, intanto, godevano di ampi consensi; il mutamento della forma delle carrozzerie delle automobili, da squadrate a aerodinamiche, vedevano l’azienda milanese nuovamente in grado di soddisfare le esigenze della clientela. Gli anni Trenta sono stati, infatti, per la Boneschi determinanti nel cimentarsi, con onore, nella realizzazione di autovetture secondo le nuove tendenze della forma curvilinea dettata e sviluppata secondo il concetto delle linee aerodinamiche. Fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale prevalse sempre la costruzione di carrozzerie per automobili prevalentemente su telai Lancia, in particolare su quelli della Astura e dell’Aprilia. Contemporaneamente l’intuizione imprenditoriale di Giovanni Boneschi indirizzava la produzione aziendale anche in un nuovo settore, quello delle autoambulanze, che fino ad allora era affrontato raramente da un esiguo numero di carrozzieri. Nel 1939, prima di convertire gli impianAuto d’Epoca – Giugno 2020
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L’immagine pubblicitaria della spider
realizzata sulla base della Lancia Flaminia GT. 10
L’Alfa Romeo 1900 Astral che si inserisce
perfettamente nell contesto del “Jet Age”. 11
Una vista frontale della Maserati 3500 Gti,
uno dei tanti modelli pensati da Boneschi. 12
L’inconfondibile linea dell’Alfa Romeo 1900
Gazzella apparsa nel 1953.
ti alle forniture militari, l’azienda realizzava una rivoluzionaria Lancia Aprilia Sport con carrozzeria in lega leggera; era una berlinetta aerodinamica con una linea riuscita per l’integrazione dei parafanghi nella fiancata della carrozzeria. Con l’entrata in guerra dell’Italia la produzione veniva totalmente dedicata alla costruzione di proiettori per la difesa antiaerea. L’attività proseguì fino all’agosto 1943 quando, durante un’incursione aerea sulla capitale lombarda, gli stabilimenti della Boneschi vennero rasi al suolo. Alla fine del conflitto furono avviate le opere 13
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di ricostruzione; alla scomparsa del fondatore l’azienda proseguì ugualmente con successo il suo cammino sotto la guida dell’Amministratore Unico Bruno Pezzaglia. Le esigenze di un immediato rinnovamento del parco circolante, consentì alle Case automobilistiche una rapida ripresa riproponendo, con modesti aggiornamenti, i modelli anteguerra ormai esteticamente superati; per i carrozzieri fu un’opportunità per anticipare le future forme che solo più avanti saranno fatte proprie anche dalla produzione di serie. Dai risorti stabilimenti Boneschi escono invece prestigiosi modelli. Nel 1950 il parco circolante italiano contava circa 500.000 veicoli e la produzione di serie, per la continua maggiore richiesta del mercato di vetture, abbandonava con rapidità i modelli con il tradizionale telaio a favore delle carrozzerie portanti più funzionali in catena di montaggio. Questa situazione ha determinato anche l’uscita di scena di carrozzieri prestigiosi che non passarono dalle tradizioni artigianali ai nuovi metodi industriali. La carrozzeria Boneschi sapientemente, anche in questa situazione, diversificò la produzione affiancando alle fuoriserie i primi veicoli pubblicitari appositamente prodotti per le aziende che dovevano essere reclamizzate, un fatto di costume legato ad un sempre più ampio potere di acquisto per tutte le fasce sociali. Il messaggio pubblicitario viaggiò su strada fino all’avvento di quello pubblicitario televisivo, come non ricordare “Carosello”! La realizzazione di alcuni veicoli pubblicitari ha dato inoltre origine al veicolo estensibile con le sue molteplici possibilità
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MOnOgRAfIE | Carrozzeria Boneschi
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d’uso. La realizzazione più celebre fa la vettura con il tubetto di dentifricio Binaca realizzato sulla base della Fiat 1100 “Musone”. Sempre attenta all’evolversi della vita sociale, la flessibilità aziendale della Carrozzeria Boneschi consentì di sviluppare un nuovo settore, quello dell’allestimento dei furgoni blindati e all’inizio degli anni Settanta anche delle autovetture blindate, per le quali il suo ufficio tecnico metteva a punto una nuova tecnologia per la curvatura dei cristalli blindati in modo da non modificare l’aspetto estetico. Nel settore delle automobili già nel 1960 venivano presentate le prime “a linee tese” che suscitavano, come tutte le realizzazioni di avanguardia, commenti sia positivi quanto negativi, ma che comunque si compensavano e portarono poi a nuove tendenze stilistiche. Nel 1965 entrava definitivamente in azienda Paolo Pezzaglia. Non bisogna dimenticare l’altra specializzazione della Boneschi, quella nel settore dei veicoli sanitari che consentì, nel 1968, la realizzazione del “Lifecar” un’ambulanza equipaggiata come centro mobile di rianimazione. Gli anni Settanta per il settore dell’industria automobilistica non si presentarono sotto una buona stella, dopo la contestazione e le difficoltà economiche di fine anni Sessanta arrivò, nel 1973, un altro duro colpo: la crisi petrolifera con le domeniche a piedi, in quanto la circolazione delle automobili in tale giorno era vietata. Tale situazione determinò un drastico ridimensionamento della civiltà dell’automobile, con ripensamenti e nuove strategie per il miglior uso del mezzo motorizzato. Dopo i periodi oscuri di questo decennio gli anni Ottanta fecero registrare un nuovo cambiamento nel panorama sociale e la richiesta di automobili riprende a crescere. La Carrozzeria Boneschi ha proseguito la sua attività in settori ben precisi: le carrozzerie blindate, i veicoli sanitari, le carrozzerie estensibili, lo stampaggio e costruzione
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13,14 Due dei figurini Boneschi, in questo
sulla base dela Ford Fairlane.
caso i soggietti sono la Lancia Aprilia
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e la Lancia Aurelia.
1900 berlina Gazzella.
Ancora un’immagine dell’Alfa Romeo
15,17 La Lancia Flaminia spider Amalfi,
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una cabriolet di lusso per l’epoca.
Carrozzeria Boneschi. In questo caso
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è la Fiat 1500 Bonetto.
Un prototipo studiato da Boneschi
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Un’altra spider proposta dalla
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di attrezzature, nello stesso tempo continuava però a proseguire nella sua tradizione nella realizzazione di nuove versioni automobilistiche proponendo modelli quali: la Lancia Thema Coupé, la Fiat Panda 4x4 African e la Fiat Doblone. La Carrozzeria Boneschi, assorbita nel 1995 dalla Carrozzeria Savio di Torino, è stata nella storia dell’automobile italiana una significativa protagonista sia per lo stile che nella versatilità di questo affascinante mezzo di trasporto, aperto a tutti i possibili impieghi di pubblica utilità, ma anche per il tempo libero. (Si ringraziano Paolo Pezzaglia e l’Archivio Boneschi)
orizzontale attraversato da barrette, i fari incorporati erano di forma circolare. La coda aveva un disegno tronco con gruppi ottici di forma circolare. La calandra ha avuto altre due diverse interpretazioni stilistiche; la prima con le barrette di dimensioni marcate e l’altra successiva, invece, si presentava con i gruppi ottici di forma squadrata e calandra con barrette sempre orizzontali più fitte. Le prese d’aria sul cofano del vano motore e tra
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O.S.C.A 1600 GT Boneschi Lo stile delle automobili italiane è da sempre caratterizzato da linee armoniose ma anche di forme spregiudicate nelle quali i designer hanno dato sfogo della loro fantasia proponendo delle autovetture che hanno fatto la storia dell’Italian style. La carrozzeria Boneschi, che è sempre stata attenta all’evoluzione dello stile e delle moda, ha proposto all’inizio degli anni Sessanta la forma “linee tese”; che si distingueva per gli spigoli vivi e la fiancata con la linea di cintura nettamente retta. La O.S.C.A. 1600 GT apparteneva a questo gruppo di automobili del carrozziere milanese con stile più ammorbidito. La sua fiancata conservava sempre la linea di cintura orizzontale ma con un andamento più curvilineo e con gli spigoli leggermente arrotondati, parafanghi lievemente accentuati. Il frontale rimaneva con lo sviluppo
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i passaruote e la portiera, sottolineavano le caratteristiche sportive della vettura, come del resto l’impostazione dell’abitacolo con il volante a tre razze. Significativo è il confronto con la Fiat 1600 S coupé di Pininfarina con la presa d’aria, non al centro del coperchio del vano motore, ma di lato. 21
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Il logo della Osca fondata dai fratelli
Maserati. 21, 25
realizzati dalla Carrozzeria Boneschi. 22
La splendida Lancia Astura “quarta serie”
cabriolet. 23
L’elegante linea della Osca 1600 GT SWIFT.
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Un curioso prototipo su base Ford studiato
dai tecnici della Boneschi. 26
Le linee squadrate della Maserati 3500
Gti Tight. 27
La versione station wagon sulla base della
Giulietta, denominata “Weekindina”. 28,29
Anche la Fiat 124 fu utilizzata
da Boneschi come base per una vettura ambulanza. 30
La bella linea della Osca 1600 GT
presentata nel 1961. 31,32
Due esempi dei marchi della
Carrozzeria Boneschi urilizzati negli anni. 33,34
L’azienda milanese ha saputo
specializzarsi nei veicoli commerciali e pubblicitari. 33
O.S.C.A.
I figurini Boneschi
Due esempi di veicoli blindati
La O.S.C.A. è stata fondata nel 1947 dai Fratelli Maserati per la costruzione di autovetture con spiccato carattere sportive. Nel 1948 veniva costruita la barchetta MT4 con motore di 1,1 litri, in seguito con cilindrate gradualmente aumentate sino a 1568 cc. Utilizzando l’autotelaio della 1600 GT vengono costruite significative vetture coupé carrozzate dai più famosi carrozzieri. Nel 1959 il motore bialbero in versione depotenziata è utilizzato per equipaggiare le autovetture Fiat 1500 S e in seguito le 1600 S. Alla fine del 1964 i Fratelli Maserati cedono alla MV Agusta l’attività. L’uscita di scena dal mondo delle Case automobilistiche italiane si ebbe con la presentazione, seguendo una moda in voga a quell’epoca, di una Fiat 600 elaborata nel motore e con l’aggiunta di vari fregi. Nel 1967 chiude i battenti ed il marchio O.S.C.A. esce definitivamente di scena.
I carrozzieri, come i famosi sarti, vestivano le automobili e presentavano ai propri clienti dei figurini per la scelta delle loro fuoriserie. Dal libro “Carrozzeria Boneschi” sono proposti due figurini per autovetture Lancia. Uno si riferisce all’Aprilia 539, dove è raffigurata la carrozzeria “Berlina 6 posti” che anticipava una nuova forma nella linea. L’altro all’Aurelia ed era, invece, una trasformazione fuoriserie con modesto accenno di pinne e i parafanghi più accentuati.
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MOnOgRAfIA | Fiat 1100 Monviso Stella Alpina Cabriolet
LE FUORISERIE DI MICHELOTTI di Efisio Mastrorazio
Il grande designer ha firmato numerosi modelli della carrozzeria torinese che in dieci anni di vita ha saputo sfornare vetture che all’epoca ebbero un buon successo.
L
o Stabilimento Monviso con sede a Torino in corso Unione Sovietica 75 era una carrozzeria fondata nel 1944 che dedicò la sua attività alla produzione di autovetture fuoriserie prevalentemente su autotelai Fiat. Tra le sue realizzazioni ha avuto un buon successo la “Stella Alpina”, una fuoriserie con meccanica della Fiat 1100 B/E proposta nelle versioni cabriolet e coupé; il modello cabriolet è stato quello preferito da buona parte della clientela. L’esemplare presentato in queste pagine è una seconda serie (il suo prezzo di listino all’epoca era di 1.350.000 Lire) che si differenzia da quello precedente particolarmente per i fari che sono incorporati nei parafanghi e segue l’evolversi stilistico della forma delle automobili. La sua immatricolazione risale agli inizi del 1950 ed è del tutto simile alla Stella Alpina che ha partecipato alla XVI Mille Miglia del 1949. La vettura monta il 4 cilindri in linea di 1089 cc (da qui il nome del modello di serie della Casa torinese) che nella versione di serie sviluppa 35 CV a 4400 giri accoppiato ad un cambio a quattro rapporti con gli ultimi due sincronizzati. All’anteriore la Fiat 1100 monta sospensioni a ruote indipendenti con bracci trasversali sovrapposti mentre posteriormente la vetture adotta l’assale rigido con balestre. Questo esemplare è stato oggetto di un lungo e meticoloso restauro, oggi si presenta in perfetta efficienza ed è, ancora una volta, una testimonianza della capacità creativa dei nostri artigiani dell’epoca, sapienti rea18
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lizzatori di automobili che, come nel caso di questa affascinante settantenne cabriolet, riescono tuttora a suscitare nuove e mai sopite emozioni, tanto forti da risultare “inossidabili” persino all’inesorabilità del tempo che fugge. La Carrozzeria Monviso, nel corso della sua breve vita (nel 1955 veniva assorbita dalla Ghia) ha costruito significativi modelli quali la Fiat 1400 denominata “Rondine”, una originale coupé, prodotta in pochissimi esemplari nel 1949, su meccanica Lancia Aprilia 1500 ispirata dall’americana Studebaker ”Champion” del 1947 e una originale Fiat 1100/103 TV “Stella Filante” nel 1954. La presentazione di questo esemplare di Fiat 1100 “Stella Alpina” è l’occasione per la breve carrellata storico/fotografica riguardante la produzione e la pubblicità di questa carrozzeria attiva nella capitale piemontese tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta.
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La Fiat 1100-103 TV Stella Filante,
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una delle ultime elaborazioni della Monviso dato che risale al 1954. 2
La cabriolet proposta dall’azienda
torinese sulla base della Fiat 1100. 3
La prima serie della Fiat 1100 Stella Alpina.
4,7 Un manifesto che reclamizza i modelli che venivano prodotti dalla Monviso, azienda che puntava molto sulla qualità. 5
La cabriolet della Monviso esposta
nell’ambito del Salone dell’auto di Torino 1951. 6
Non solo Fiat nella storia dell’azienda
subalpina. Nella foto un altro dei loro modelli,
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la Lancia Aprilia 1500. 8
La Rondine sulla base della Fiat 1400
fu uno dei modelli disegnati da Giovanni Michelotti.
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La Stella Alpina alla Mille Miglia
9-11 La Fiat 1100 Stella Alpina di Segre-
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Valenzano seppe distinguersi alla Mille Miglia del 1949. Nelle foto la locandina di quell’edizione, il disegno che celebra la vittoria di classe della vettura e l’arrivo al
Trionfale arrivo a Brescia di Luigi Segre e Gino Valenzano primi nella categoria Turismo 1100 alla XVI Mille Miglia (svoltasi il 23-24 aprile 1949 su un percorso di 1593 chilometri) su Fiat “1100 Stella Alpina” alla spettacolosa media di 96,138 km in 16.34’12’’ e la locandina della Mille Miglia. In seguito la vettura, con il numero 105 che aveva in gara sulle fiancate, venne riprodotta in una pubblicità della fuoriserie Fiat 1100 spider.
traguardo di Brescia. 12,13,17
La Fiat 1100 Cabriolet realizzata
dal reparto Carrozzerie Speciali dell’azienda torinese era praticamente identica al modello proposto dalla Monviso. 14
La cabriolet del 1949 realizzata sulla
base della Fiat 1100E. 15
La seconda serie della Fiat 1100
Stella Alpina. 16 La Stella Filante creata sulla base della Fiat 1100-103 TV esposta al Salone dell’auto di Torino.
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MOnOgRAfIA | Fiat 1100 Monviso Stella Alpina Cabriolet
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Carrozzerie speciali La Fiat 1100 entrava in produzione nel 1937, denominata 508 C, e veniva ufficialmente battezzata “Balilla 1100”. Diventò la capostipite di una lunga serie di modelli dalle berline ai veicoli commerciali, dalle versioni sportive alle eleganti fuoriserie caratterizzando per un lungo arco di tempo lo sviluppo della motorizzazione nel nostro Paese. La Balilla 1100 è stata anche una protagonista nell’evoluzione di usi e costumi degli italiani dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta: la ricostruzione, il miracolo economico e la contestazione. La versatilità e affidabilità di questo modello sono risultate molto apprezzate dai carrozzieri, in quelli anni molto attivi, consentendo loro la realizzazione di affascinanti ma anche avveniristici modelli. La stessa Fiat, per soddisfare le esigenze di una clientela sempre più vasta, ha proposto di volta in volta diverse versioni della 1100 e tra queste la sorella della “Stella Alpina” la 1100 Cabriolet costruita dal reparto “Carrozzerie Speciali” che, praticamente, aveva le medesime caratteristiche stilistiche e si riconosceva quasi esclusivamente per alcuni dettagli. (Si ringrazia Sergio Puttini per la cortese consulenza)
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Dieci anni spesi bene La Stabilimento Monviso è stata una carrozzeria automobilistica italiana attiva dal 1944 al 1955. Si inserì nel filone delle carrozzerie torinesi che sono nate nella prima metà del Novecento orbitando nella galassia Fiat. Artefice della nascita, la data esatta è quella dell’11 febbraio 1944, di tale carrozzeria fu il commendator Alessandro Casalis, che ne stabilì la sede in corso Unione Sovietica 75 a Torino, nei pressi di Piazza d’Armi su cui s’affaccia l’attuale Stadio Olimpico. Ci voleva coraggio a creare una nuova azienda in piena seconda guerra mondiale ma Casalis era ottimista: il suo scopo era quello di costruire vetture sportive ma a basso costo. Le cose non andarono subito come era nelle intenzioni del suo fondatore, tanto che poco dopo la fine del conflitto lo Stabilimento Monviso riconvertì in parte la sua attività producendo ambulanze e carri funebri continuando però a lavorare sulle automobili, in particolare realizzando fuoriserie su base Fiat.
Una figura di grande importanza nella storia della Monviso fu Angelo Crivello. Aveva iniziato al sua attività presso la martelleria Fratelli Fissore per poi passare alla Carrozzeria Mario Casaro mentre dal 1927 al 1933 (era nato nel 1912) frequentò la Scuola Allievi Fiat. Dopo la guerra fu impiegato presso la Carrozzeria Viotti prima di essere assunto nel 1949 dalla Monviso come impiegato tecnico. Sulla base delle esperienze delle aziende degli Stati Uniti, Crivello convinse Casalis a utilizzare la catena di montaggio anche in una realtà ben più piccola come quella della carrozzeria torinese. Il vantaggio era la notevole riduzione dei tempi necessari per assemblare una vettura rispetto ai sistemi tradizionali. Con questa modalità, sperimentata sulla Stella Alpina, la Monviso era in grado di consegnare al cliente una vettura fuoriserie in un arco temporale minimo: si andava dai 3 ai 9 giorni, a seconda della verniciatura che era richiesta dal committente. Ovvio che questo era possibile proponendo un numero limitato di varianti di carrozzeria e di modelli disponibili tra cui scegliere, ma che erano comunque di qualità costruttiva elevata.
La filosofia produttiva dell’azienda, infatti, era quella di avvicinare il più possibile queste fuoriserie ai veicoli prodotti in serie. Per fare questo la qualità delle finiture e la precisione dell’assemblaggio delle varie parti doveva essere similare a quelle delle azienda strutturate in maniera ben diversa. Per arrivare questo traguardo la carrozzeria torinese decise di utilizzare attrezzature e macchinari all’avanguardia. Buona parte della produzione Monviso era costituita da coupé, cabriolet e spider costruiti sulla base dei vari modelli Fiat 1100 e denominati Stella Alpina. La “firma” era di Giovanni Michelotti che da poco si era messo in proprio dopo gli inizi presso gli Stabilimenti Farina. Nella prima metà degli anni cinquanta, la Carrozzeria Monviso lanciò sul mercato anche delle proposte di elevata qualità realizzate su base Fiat 1400. È del 1950 l’allestimento “Rondine” sulla base della 1400 disponibile sia come coupé che cabriolet. Il telaio della 1100 E venne utilizzato nel 1951 per dare vita all’elegante “Rondinella” in versione coupé e cabriolet, anch’esse “firmate” da Michelotti. Una “Rondine” coupè venne co18
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MOnOgRAfIA | Fiat 1100 Monviso Stella Alpina Cabriolet
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Ancora una Stella Alpina prima
serie, perfettamente restaurata. 19,22
La Fiat 1100 Cabriolet, vettura
che all’epoca ebbe un buon successo. 20
La Stella Filante, ultimo modello
realizzato dalla Monviso prima di essere assorbita dalla Ghia. 21
La versione coupè della Fiat 1100
Stella Alpina. 23 21
Una 1100 Stella Alpina ai giorni nostri,
perfettamente restaurata.
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struita nel 1953 utilizzando la base della Fiat 1900, nello stesso anno dal telaio della Fiat 1100/103 nacquero una coupé a cui fecero seguito una versione spider e una berlinetta. Non mancarono, in quel periodo, neppure alcune fuoriserie sulla base della Fiat 600 (la 600 De Luxe Monviso presentava diverse cromature) e della Lancia Aurelia mentre verso il 1953 si diversificò la produzione realizzando compressori per motori su licenza della Mag, Motosacoche Anonyme Genève. Una delle ultime produzioni fu, su disegno di Michelotti, la Fiat 1100/103 TV “Stella Filante”. Tra i clienti dello Stabilimento Monviso c’era anche la carrozzeria Ghia che nel 1955 acquistò l’azienda che quindi terminò la sua storia. L’idea di Luigi Segre, proprietario della Ghia, in accordo con Casalis, era quella di creare con la Monviso un reparto, denominato Ghia Serie Speciali, dedicato a vetture particolarmente elaborate. Alessandro Casalis per alcuni tempi fu amministratore delegato di questa nuova società per poi lasciare dopo qualche anno. Una curiosità: il prototipo Fiat Turbina, che risale al 1954 e che attualmente è esposto al Museo dell’automobile di Torino, venne realizzato negli stabilimenti della Monviso.
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MOnOgRAfIA | Fiat 8V Supersonic by Ghia
UN CAPOLAVORO DELLA JET AGE Di Roberto Motta, foto di Darin Schnabel ©2019 Courtesy of RM Sotheby’s e archivio FCA Heritage
Al Salone dell’Auto di Parigi del 1953, Ghia presentò un’auto fuori da ogni schema comune che entrava di diritto nel periodo dei razzi a quattro ruote.
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1,3,6 Dante Giacosa, il geniale progettista che ebbe, tra le altre, cose l’intuizione di realizzare il motore a otto cilindri che dà il nome alla vettura. 2
Una linea che prendeva spunto dallo stile
delle auto da corsa dell’epoca, con .una linea di cintura che l’attraversava per l’intera lunghezza laterale e terminava con piccole pinne di coda. 4
La vista frontale ci mostra una vettura
dall’impronta “corsaiola”. 5
Prodotta in soli 114 esemplari la 8V venne
“vestita” dalle più grandi carrozzerie del suo tempo. L’immagine ci mostra una FIAT 8V Elaborata Zagato.
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ell’immediato dopoguerra, mentre l’Italia cominciava a rialzarsi dalle macerie grazie agli aiuti del Piano Marshall, la dirigenza Fiat pensò di espandere la sua produzione guardando al mercato americano. Si trattava di un’iniziativa commerciale-politica concordata con il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, quale simbolico ringraziamento proprio per il promesso Piano Marshall. Dobbiamo tenere presente che in quel momento il modello più grande in produzione negli stabilimenti Fiat era la 1400, vettura che non era certamente adatta ad affrontare le voluminose e super accessoriate vetture americane. Era quindi opportuno dare il via al progetto di una vettura di nuova concezione, una berlina da turismo a sei posti, in stile americano, da proporre nel settore delle “compact”. Si tenga comunque presente che, le dimensioni che definivano “compact” una vettura destinata agli utenti americani, erano da con-
siderarsi decisamente sproporzionate rispetto ai canoni europei. Nella primavera del ‘48, Vittorio Giuseppe Valletta, presidente della Casa torinese, chiese al direttore tecnico Dante Giacosa di progettare un motore V6 e di dare forma a una berlina da proporre sul ricco mercato americano. I tecnici torinesi erano consapevoli di doversi impegnare nella costruzione di una vettura con caratteristiche tecnologiche diverse da quelle europee, in un momento in cui le strutture produttive, gravemente colpite dai bombardamenti, producevano modelli progettati vent’anni prima. Per cercare di ridurre lo sforzo tecnologico, Giacosa propose di realizzare un motore a otto cilindri, in modo da evitare le difficoltà di equilibratura di un motore a sei cilindri, e di riutilizzare o sperimentare componenti di questo propulsore in modelli di grande produzione. Nacquero così il motore Tipo 104 e il telaio a traliccio tubolare Tipo 106, meraviglie tecniche che avranno però una vita breve. La Fiat chiese alla Pinin-
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farina di realizzare una carrozzeria adeguata per la nuova vettura, ma il prototipo non piacque e, nel contempo, venne a mancare quella volontà politica che aveva dato il via al programma, così il progetto della berlina fu abbandonato, lasciando inutilizzato il motore 8V ormai completato. Nel ’50, mentre le poche forze tecniche dell’azienda erano impegnate su progetti di vetture per la grande serie, la dirigenza torinese decise di rafforzare l’immagine dinamica, sportiva e giovanile del marchio dando vita alla produzione di una berlinetta sportiva, la Fiat 8V, spesso definita anche “Otto Vù”. Il nome “8V” fu scelto perché al momento della sua fabbricazione la Ford aveva già depositato i diritti sulla denominazione ‘V8’. Per mantenere alta qualità della produzione della vettura, la Fiat fece realizzare il telaio alla Siata di Giorgio Ambrosini, i cui specialisti da tempo erano impiegati come
reparto esterno per le competizioni e personalizzazione delle vetture Fiat. Contemporaneamente, i tecnici Fiat rivisitarono il motore 8V modificandone l’albero a camme e, sfruttando l’esperienza precedentemente acquisita in uno studio per un modello di fuoristrada, migliorarono il telaio per inserire sospensioni a quattro ruote indipendenti. La carrozzeria fu disegnata dall’ingegnere Luigi Fabio Rapi, già artefice delle linee della Isotta Fraschini 8C Monterosa e, che anni dopo disegnerà, le linee dell’iconica Isetta prodotta dalla ISO. Per non intralciare la produzione di serie, la 8V fu costruita nella Sezione Carrozze-
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rie Speciali della Fiat al Lingotto. La nuova vettura fu presentata al Salone dell’Automobile di Parigi del ’52,e per la Fiat fu un vero trionfo. La 8V fu descritta dalla rivista Road & Track come “la più grande sorpresa dell’anno”. Nonostante che nel corso della sua storia la Fiat avesse costruito sia auto da competizione che vetture di lusso, dopo la seconda guerra mondiale, la società divenne nota per le sue automobili prodotte in serie per l’uomo comune, macchine come la piccola Topolino, o la 500, vetture che aiutarono la motorizzazione della nazione e che resero la società una delle più popolari in Europa. Quando la Fiat presentò, inaspettatamente, una potente auto sportiva con motore V8 in lega leggera a valvole in testa, e telaio con sospensioni indipendenti sulle quattro ruote, per il mondo automobilistico fu una vera sorpresa. La vettura, che era adatta a gareggiare con i piloti privati di tutto il mondo, era caratterizzata da una buona distribuzione dei pesi grazie al motore in posizione longitudinale anteriore ed alla trazione posteriore. Il motore, “Tipo 104.000” con i cilindri a V di 70°, aveva una cilindrata di 1996,666 cc (72 x 61,3 mm, cilindrata unitaria 249,583), ed era abbinato a un cambio manuale a quattro marce. La distribuzione era a due valvole in testa per cilindro, con valvole azionate da 25
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Il propulsore 8V, aveva una cilindrata di
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il tachimetro a sinistra e il contagiri, con linea
1996,666 cc. Alimentato con due carburatori
rossa a 6200 giri, sulla destra.
doppio corpo Weber 36 DCF3, erogava una
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potenza di 105 CV, e spingeva la vettura fino alla
oltre al faro, l’attacco della linea di cintura che
soglia dei 180 km orari.
percorre l’intera fiancata.
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Le luci posteriori destinate ad assomigliare
il frontale della vettura mette in evidenza,
Il simbolo che ancora oggi troneggia su
ai postbruciatori di un aereo a getto.
molte vetture, Ghia.
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La targhetta identificativa che certifica
la partecipazione al Salone dell’Auto
Ancora oggi la linea della 8V appare
affascinante ed avanzata.
di Parigi del 1953. 10
Il particolare cruscotto della vettura con
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MOnOgRAfIA | Fiat 8V Supersonic by Ghia
aste di spinta e bilancieri che ricevevano il moto da un albero a camme posto tra le bancate dei cilindri. Alimentato con due carburatori doppio corpo Weber 36 DCF3, e con un rapporto di compressione di 8.5:1, erogava una potenza di 105 CV, e spingeva la vettura fino alla soglia dei 180 km orari. La 8V fu la prima vettura prodotta dalla Fiat a sfruttare le sospensioni a ruote indipendenti, aveva una carrozzeria esteticamente appagante e il suo interno era ricco e spartano, come si addiceva a una vera spor-
tiva. Tuttavia, come aveva previsto Giacosa, non ebbe uno buon successo commerciale, anche perché il suo costo elevato faceva si che la ristretta clientela benestante cui era destinata, le preferisse vetture dal marchio più blasonato. Nel ’54 fu presentata una nuova serie della 8V con un telaio aggiornato, carrozzeria in vetroresina, del peso di soli 48 kg, e un motore, “Tipo 104.004” potenziato a 125-127CV, anche grazie a un’alimentazione con tre carburatori doppio corpo Weber 40DCA3. La vettura era in grado di raggiungere i 190 km orari. Pochi mesi dopo, dopo aver prodotto 114 telai e 104 propulsori, la direzione Fiat decise di interromperne definitivamente la produzione della vettura. Ma la sua storia non finì. Dato che la rigidità del telaio portante a traliccio, “Tipo 106”, consentiva qualunque tipo di trasformazione, e si prestava a essere vestito con carrozzerie personalizzate, la Fiat cedette i telai rimasti a “carrozzerie boutique” come Ghia, Vignale, Bertone, Balbo, Pinninfarina, e Zagato che li trasformarono in “concept car” per esposizioni o modelli esclusivi di piccolissima serie, in versioni coupé, barchetta, spider e berlinetta. Tra le versioni più note ricordiamo la Siata 208 Sport di Bertone, la Supersonic di Ghia disegnata da Savonuzzi, la Demon Rouge di Vignale disegnata da Michelotti e la Elaborata Zagato impostata sulla seconda serie della 8V. La 8V Elaborata Zagato ebbe un buon successo nelle competizioni
sportive europee e americane, conquistando cinque campionati nazionali di velocità consecutivi (‘54-‘58) per vetture 2000 GT. Memorabile fu la vittoria conseguita all’Avus, nel Gran Premio di Berlino del ‘55, dove pilotata da Elio Zagato, riuscì a battere la Porsche sulla pista di casa. Grazie al grande ritorno per l’immagine sportiva aziendale, la Fiat decise di farsi carico della manutenzione e efficienza delle vetture attraverso il proprio reparto corse. È forse l’unico caso di modello sportivo che iniziò ad avere successo nelle competizioni dopo essere uscito di produzione.
La Ghia Supersonic Di tutte le carrozzerie italiane, la Ghia fu quella che meglio vestì la “Otto Vù”. L’azienda torinese costruì 30-40 esemplari con carrozzerie che andavano dal formale, pulito, allo sgargiante ed espressivo. Tuttavia, la configurazione di maggior pregio fu quella della Supersonic, una coupé in stile aeronautico realizzata da Giovanni Savonuzzi. Il designer era noto per aver disegnato la Cisitalia 202, una delle poche auto riconosciute per il merito del design dal Museum of Modern Art di New York, e che disegnò la carrozzeria della concept car Gilda spinta da propulsore a turbina. In seguito Savonuzzi fu ingaggiato da Chrysler, dove contribuì alla progettazione
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della Chrysler Turbine car, vettura che fu prodotta in 50 esemplari come test-car. Durante la sua consulenza per Ghia nei primi mesi del ‘53, Savonuzzi chiese a Conrero di realizzare un’auto da corsa con motore Alfa Romeo 1900. Mentre Conrero preparò il motore e il telaio del 1900, Savonuzzi contribuì allo sviluppo di una nuova elegante coupé costruita a Torino con un lungo cofano anteriore, parabrezza inclinato, e una linea fastback posteriore. Una linea che prendeva spunto dallo stile delle auto da corsa dell’epoca, con .una linea di cintura che l’attraversava per l’intera lunghezza laterale e terminava con piccole pinne di coda che incorporavano le luci posteriori destinate ad assomigliare ai postbruciatori di un areo a getto. L’insieme evocava lo stile di un jet, tanto che la carrozzeria fu soprannominata Supersonic. Mentre l’esclusiva sportiva Conrero non riuscì a finire alla Mille Miglia del ‘53 per la quale era stata costruita (l’auto andò distrutta da un incendio), il design della carrozzeria ottenne un riscontro favorevole niente meno che dal designer Paul Farago, collaboratore creativo di Virgil Exner alla Chrysler,e collegamento ufficiale tra Ghia e Chrysler. Farago suggerì l’idea di montare la carrozzeria Supersonic su un telaio Fiat e, in seguito divenne il primo proprietario della Fiat 8V Supersonic. Le scelte tecnico-estetiche del prototipo furono poi incorporate su altri 15 esemplari, tutti con piccole differenze di dettaglio, ma che rimasero sostanzialmente fedeli al de-
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sign originale di Savonuzzi. Questi 15 esemplari sono considerate le 8V più ricercate e desiderate, in quanto vantano la migliore combinazione di design all’avanguardia del “Jet Age”. Ancora oggi sono incredibilmente moderne ed esteticamente teatrali, tanto da colpire il pubblico ovunque vadano. Da sottolineare che la Casa d’aste Bonhams, grazie a una documentazione prodotta dalla Ghia nel 1980, sostiene che la Casa torinese costruì 20 esemplari di Supersonic. I documenti includono la Conrero Special, tre auto costruite su telai Jaguar XK e un esemplare costruito su un telaio Aston Martin DB2/4. Le restanti quindici vetture,
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Le piccole pinne di coda incorporavano le
luci posteriori che simulavano ai postbruciatori di un aereo a getto. 15,16
Il lussuoso interno della vettura con
sedili e pannelli in pelle pregiata e il pavimento in moquette di lana. 17
Il logo della 8V sul bordo del cofano
anteriore. 18
La strumentazione analogica e gli
interruttori di servizio posti al centro della plancia. 19
La vettura montava cerchi a raggi prodotti
dall’azienda italiana Borrani. 20,21
L’insieme della vettura è ancora
attuale, ed evocava lo stile di un jet, tanto che la carrozzeria fu soprannominata Supersonic.
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come accennato, furono costruite tutte sul telaio “Otto Vù”, le cui dimensioni conferivano al design la sua forma più elegante.
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La Supersonic di Lauve 18
Il designer della General Motors, Henry de Segur Lauve, un concept artist che lavorò sul prototipo originale della Corvette e altre vetture di rilievo, assistette al debutto ufficiale della Supersonic al Salone dell’Auto di Parigi del ‘53. Lauve fu letteralmente rapito dalle linee della Supersonic tanto che ne ordinò una, con carrozzeria di colore bianco e interno blu, che fu spedita dai moli di Genova a bordo della SS Constitution. La vettura era caratterizzata dalla mas-
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MOnOgRAfIA | Fiat 8V Supersonic by Ghia
sima personalizzazione in ogni sua parte, compreso l’interno con un elaborato tachimetro in bianco ghiaccio posto dietro al volante con corona di legno, la selleria in pelle e il rivestimento del pavimento con una moquette in lana. Circa un anno dopo, Lauve contattò la Fiat, lamentandosi per alcuni problemi di motore riscontrati durante l’uso quotidiano. Ricevette una risposta che esprimeva la sorpresa del fatto che la vettura fosse utilizzata per piccoli spostamenti quotidiani, e chiarendo che la Supersonic non era certo nata per essere utilizzata come vettura da passeggio: il suo propulsore era stato concepito per l’uso in competizione nelle mani di ricchi gentlemen driver! Tuttavia, Fiat decise di fornire un nuovo motore, n°. 000188 e tutti suoi i componenti accessori, a condizione che Lauve restituisse il motore originale, n° 000039. È interessante notare che quel motore non fu mai restituito alla Fiat e successivamente fu montato su un’altra 8V Supersonic. Prima dell’installazione del nuovo motore 8V, Lauve fece montare sulla sua vettura un propulsore small-block V-8 Chevrolet da 283 cu.in. (4637 cc), come ricordato dal suo collega designer Robert Cumberford, che si godeva con lui memorabili corse ad alta velocità attraverso la periferia di Detroit. Durante questo periodo, la vettura ispirò i fianchi della la nuova Chevrolet del ‘58, a testimonianza dell’attenzione prestata da Lauve, e dai suoi collaboratori designer, verso i colleghi italiani. La 8V Supersonic, indipendentemente dal propulsore
montato, fu una delle vetture più amate da Lauve, e dalla sua famiglia, che ne rimase in possesso per molti anni. Nel ’91, periodo in cui la vettura era ancora di proprietà della famiglia Lauve, fu ridipinta in argento e, nel ’94, fu acquistata da Eric Nielsen, un collezionista californiano. L’auto fu quindi restaurata e ridipinta con la combinazione cromatica attuale, garnet-over-tan, e fu rimontato un corretto motore, Fiat 8V n°. 000060. Il lavoro di restauro fu magnificamente dettagliato, e l’attuale scelta cromatica accentua le forme delle curve elaborate del corpo carrozzeria, ed esalta alcuni particolari come le alette parasole in vetro fumé e le ruote a raggi cromate Borrani con gallettone knock-off di serraggio. Nel 2013, la vettura è entrata a far parte di un’importante collezione svizzera, dove è stata mantenuta in condizioni da concorso, fino a oggi. Questa Supersonic ha una storia tanto particolare e colorata, quanto affascinante. Conservata e mantenuta da uno dei
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più leggendari designer di Detroit, Henry de Segur Lauve, un uomo che ne apprezzò lo stile e la tecnica avanzata, e che se ne innamorò perdutamente quando la vide. Contraddistinta dal telaio 106.000041, dal propulsore 104.000 000060 e dal corpo carrozzeria 804, sarà proposta, senza riserva, alla prossima Rm Sotheby’s - “The Elkhart Collection”, Indiana, del 23-24 ottobre 2020. All’importante valore storico che la contraddistingue, la vettura aggiunge a un valore economico che si aggira attorno ai due milioni di euro.Ancora oggi, a quasi settanta anni dalla sua produzione, la Supersonic è “uno spettacolo”m ed esercita un forte fascino su chiunque la veda. Non sono molte le auto che possono vantare una simile attrazione.
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MOnOgRAfIA | La tragedia di Superga
UNA NAZIONE IN LUTTO di Gianni Margotti
Il 4 maggio 1949 si schiantava l’aereo che riportava a casa da Lisbona la squadra di calcio del Torino. Era la più forte, quella dei cinque scudetti consecutivi. Una tragedia che colpì profondamente un’Italia ancora ferita dalla guerra.
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ebbia. C’era nebbia quel pomeriggio di inizio maggio del 1949 attorno a Torino. Una giornata tranquilla che scorre fino a quando succede qualcosa che resterà nella mente e nel cuore di tutta Italia. Ancora oggi. «Ho sentito un rombo, paurosamente vicino, poi un colpo, un terremoto. Poi il silenzio. E una voce di fuori: È caduto un apparecchio!» dirà qualche giorno dopo don Tancredi Ricca, cappellano della Basilica di Superga che dal ‘700 sovrasta la città sabauda, fatta edificare da Vittorio Amedeo II come ringraziamento alla Vergine Maria dopo aver sconfitto le truppe francesi. Non era un terremoto, era un aereo che si era schiantato contro il muraglione di sostegno dei giardini che si trovano sul retro della basilica stessa. Per le trentuno persone
a bordo del trimotore Fiat G.212 non c’è stato scampo. In quel preciso istante la storia si fa leggenda perché su quell’aereo c’era la squadra del Torino, i calciatori che da qualche anno dominavano la scena italiana e che, se all’epoca ci fosse stata la Champions League o Coppa Campioni, avrebbero potuto tranquillamente vincerla o, comunque, lottare per farlo. Il Torino non c’è più. Non esiste più Valentino Mazzola, il capitano, non ci sono più gli altri formidabili campioni che insieme avevano dato vita a una della compagini più forti della storia. Dal portiere Valerio Bacigalupo al centravanti Guglielmo Gabetto, dal centrocampista Ezio Loik al perno della difesa Eusebio Castigliano difficile trovare un punto debole.
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La squadra che era diventata il simbolo dell’Italia che con forza e grinta voleva lasciarsi dietro le macerie della guerra si era dissolta in un attimo contro un muraglione sulla collina che sovrasta Torino. Tutti morti nel pieno della maturità sportiva. Una tragedia collettiva che fermò una nazione intera, non solo quella che tifava per i colori 30
e gli accompagnatori, l’equipaggio e tre noti giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore diTuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio) e Luigi Cavallero de La Stampa. Il trimotore Fiat G.212, sigla I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, prende il volo da Lisbona alle 9.40 di mercoledì 4 maggio 1949. Il Comandante è il tenente colonnello Gigi Meroni che alle 13 fa scalo all’aeroporto di Barcellona. Mentre avviene il rifornimento di carburante la squadra del Torino incontra a pranzo quella del Milan che deve andare a giocare una partita a Madrid. Alle 14.50 il G.212 riparte alla volta dell’aeroporto di To-
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granata. In tutta Italia ci furono episodi di isteria e di sconforto, ci fu anche chi in seguito a quanto successo decise di togliersi volontariamente la vita. Per giorni e giorni ci fu chi non volle credere che quella squadra non esisteva più, che quei campioni ammirati dal vivo o, più spesso, visti nelle immagini dei cinegiornali e ascoltati attraverso le onde radio non avrebbero più calciato un pallone, non avrebbero più gioito per un gol, non avrebbero più regalato un filo di speranza ad una nazione fiaccata e disillusa. Un sentimento che Indro Montanelli sintetizzò magnificamente il 7 maggio, il giorno dopo i funerali, sulle pagine del Corriere della Sera: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto “in trasferta”». Quel 4 maggio l’aereo stava riportando a casa la squadra granata da Lisbona, dove il giorno prima aveva giocato un incontro amichevole con il Benfica. Era un omaggio al capitano della squadra lusitana e della Nazionale portoghese Francisco Ferreira che aveva annunciato il ritiro dal calcio giocato e l’incasso della partita sarebbe stata la sua “buonuscita”. Altri tempi rispetto al calcio di oggi… Ferreira a febbraio, a Genova, aveva parlato con Mazzola in occasione dell’incontro tra Portogallo e Italia vinto dagli “azzurri” per 4-1 chiedendogli di partecipare con tutta la squadra del Torino alla sua partita d’addio. Il papà di Sandro convinse il presidente Ferruccio Novo a mandare la squadra in Portogallo: unica condizione era quella di ottenere, la domenica precedente, un risultato positivo a Milano con l’Inter in una partita decisiva in chiave scudetto. In terra lombarda finì 0-0 e i granata ebbero
l’ok a partire. Il 1º maggio 1949 il Torino arrivò a Lisbona per affrontare, due giorni dopo, il Benfica che vincerà la partita e la Coppa Olivetti messa in palio. Il 3 maggio, allo Stadio Nazionale, davanti a quarantamila spettatori il Torino scese in campo con Bacigalupo, Aldo Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. Entrarono a partita in corso Fadini al posto di Castigliano e Bongiorni per Gabetto. Primo gol di Ossola al 9’, poi due gol di Melao, pareggio di Bongiorni e rete di Arsenio prima della fine del primo tempo. Nella ripresa il 4-2 di Rogerio e, all’ultimo minuto, rigore trasformato da Menti per fallo su Mazzola: la partita finì 4-3 per i portoghesi. Nell’incidente, assieme all’intera squadra del Torino, vincitrice di cinque scudetti consecutivi dalla stagione 1942-1943 alla stagione 1948-1949 e di una Coppa Italia e che costituiva la quasi totalità della Nazionale italiana, persero la vita anche i dirigenti
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La prima pagina de “La Nuova Stampa”
del 5 maggio 1949 con la notizia dello schianto dell’aereo del Torino a Superga. 2
I resti del trimotore Fiat G.212 che è andato
ad impattare di muso contro il muraglione di sostegno dei giardini della Basilica di Superga. 3
La lapide eretta nel luogo dell’incidente,
ogni anno meta di tifosi e semplici appassionati che salgono sulla collina per rendere omaggio a una delle squadre più forti della storia. 4
Uno dei manifesti che vennero realizzati
per celebrare la squadra e i dirigenti periti nell’incidente. 5
La maglia granata con lo scudetto, la
squadra piemontese ne conquistò cinque consecutivi.
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Un trimotore Fiat G.212 identico a quello
della tragedia. Probabilmente l’incidente fu causato da un guasto all’altimetro. 7
La pagina de “La Nuova Stampa”
con la cronaca dei funerali che si sono svolti il 7 maggio. 8
I camion con i feretri transitano in una
Piazza Castello muta e commossa passando davanti a Palazzo Madama che venne trasformato in camera ardente in modo da permettere ai torinesi di rendere omaggio alle vittime. 9,10 Due immagini di quello che resta dell’aereo dopo l’impatto contro il muraglione della Basilica. Erano 31 le persone a bordo dell’aereo in arrivo da Lisbona. 11
Una delle formazioni del Grande Torino
a cui, per decisione della Federcalcio, venne assegnato d’ufficio lo scudetto 1948-49.
rino-Aeritalia che si trova a nord est della città a pochi chilometri da corso Marche dove, anni dopo, troverà sede l’Abarth. Il trimotore sorvola Tolone, Nizza, Albenga, Savona per poi virare verso nord, in direzione di Torino. Il tempo (e la visuale) sulla prima capitale d’Italia è pessimo. Alle 16.55, quando mancano pochi minuti all’atterraggio, l’aeroporto si mette in comunicazione con Meroni e con il suo “secondo” Cesare Bianciardi per spiegare la situazione meteo: nubi a pochi metri dal suolo, pioggia, raffiche di libeccio, visibilità di appena 40 metri. Alle 16.59 Meroni dall’aereo comunica che si trovano a quota 2.000 metri e di avere chiesto il QDM a Pino. All’epoca a Pino Torinese, località collinare tra Chieri e Torino, a sud est della città, c’era una stazione radio VDF (VHF direction finder) con radiogoniometro che su richiesta forniva il QDM, ovvero la rotta magnetica da seguire per raggiungere la stazione radio stessa. Sulla perpendicolare di Pino, impostando 290 gradi di prua ci si allinea con la pista dell’Aeritalia distante circa 9 chilometri di distanza a 305 metri d’altezza. Poco più a nord di Pino Torinese il colle di Superga dove si trova, a 669 metri d’altezza, la Basilica. Alle 17.03 l’aereo, eseguita la virata verso sinistra e allineato per prepararsi all’atterraggio, va a schiantarsi di muso contro il terrapieno posteriore della Basilica stessa che invece avrebbe dovuto trovarsi sulla destra del veivolo. Il pilota non ha il tempo per fare nulla: l’impatto è devastante, muoiono tutti sul colpo e rimane integra solo la parte posteriore dell’aereo. Si ipotizzò che il forte vento proveniente da sinistra avesse spostato l’aereo dal suo asse mandandolo contro la collina di Superga mentre qualche anno dopo si fece largo la possibilità che l’altimetro fosse rimasto bloccato su quota 2000 metri ingannando così i piloti che invece erano a soli 600 metri dal suolo. Alle 17.05 la torre di controllo di Tori9
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MOnOgRAfIA | La tragedia di Superga
no-Aeritalia chiama I-ELCE senza ottenere alcuna risposta. Nel frattempo il boato dell’impatto si è sentito in tutta la città: gli occhi dei torinesi si voltano verso Superga ma la nebbia impedisce di vedere. I primi soccorritori affrontano la ripida salita verso la Basilica e quando arrivano al muraglione la scena è terrificante. Rottami sparsi dappertutto, corpi irriconoscibili senza vita. Subito non si sa che è l’aereo del Torino 8
in arrivo da Lisbona ma quello che è rimasto integro e la notizia che nel pomeriggio sarebbe dovuta tornare la squadra dal Portogallo fanno intuire che si tratta proprio di I-ELCE. “L’è l’Turin!”, “È il Torino!” in dialetto le uniche parole, balbettanti, che riescono a dire. La notizia si sparge in un baleno in città e poi in tutta Italia, la gente è sgomenta, Torino sotto shock. Polizia e Carabinieri fermano ai piedi della collina, in corso Casale, coloro che vorrebbero salire al colle. Raccolti i poveri resti e portati in città, toccherà all’ex Commissario Tecnico della Nazionale (lo è stato fino all’agosto 1948) Vittorio Pozzo riconoscere “i suoi ragazzi”. Un particolare, una fede, un dettaglio aiuteranno il CT a identificarli uno ad uno. I dirigenti accompagnatori erano Agnisetta, Bonaiuti e Civalleri, con loro l’allenatore Leslie Lievesley, il Direttore tecnico Ernest Erbstein e il massaggiatore Osvaldo Cortina oltre ai tre giornalisti ed ai componenti dell’equipaggio. I bagagli si salvarono miracolosamente. Al Museo del Grande Torino curato dall’Associazione memoria storica Granata e che ha 10
sede in un’antica villa di Grugliasco, alle porte della città, se ne possono vedere alcuni come le valigie di Mazzola e Maroso o la valigetta in metallo del massaggiatore con le varie boccette in vetro integre e il contenitore dell’olio canforato ancora pieno che, se aperto, rilascia ad oltre settant’anni di distanza, il caratteristico odore. Della squadra si salvarono, per non aver preso parte alla trasferta, il difensore Sauro Tomà (infortunato) e il secondo portiere Renato Gandolfi che sarebbe poi diventato allenatore di pallanuoto ed i cui figli, saranno nazionali dello stesso sport. Infatti Aldo Ballarin convinse il presidente a portare in Portogallo, in una sorta di “gita premio” il fratello Dino che, come terzo portiere della squadra, aveva ben poche occasioni di mettersi in mostra. Cavallero de La Stampa sull’aereo prese il posto proprio di Vittorio Pozzo, inviato di punta del quotidiano torinese, che non era “gradito” alla società per via di alcune incomprensioni con il presidente Novo. Dovevano esserci anche a Nicolò Carosio, il celebre telecronista, che però aveva dovuto rinunciare per la cresima del figlio e Tommaso Maestrelli, il futuro allenatore della Lazio campione d’Italia, che all’epoca giocava nella Roma: invitato da Mazzola, non riuscì e rinnovare il passaporto in tempo per il viaggio mentre il presidente Vittorio Novo non partì perché influenzato. Dopo la camera ardente a Palazzo Madama, in piazza Castello, le esequie si tennero il 6 maggio nel Duomo di Torino con Giulio Andreotti in rappresentanza del governo. Il giorno dei funerali oltre mezzo milione di persone si ritrovò in piazza a Torino per dare l’ultimo saluto alla squadra con le bare che sul cassone dei camion fecero il giro di una città sotto choc, con tutti i negozi chiusi ed in cui non si registrò neppure un furto o una rapina, come se anche i malviventi avessero voluto rendere omaggio a quella squadra. La radiocronaca dell’evento fu affidata a Vittorio Veltroni, padre del futuro politico e giornalista Walter. Nelle ultime quattro partite di campionato, contro Genoa, Palermo, Sampdoria e Fiorentina, il Torino schierò la squadra giovanile contro i loro pari età anche se la Federazione presieduta da Ottorino Barassi aveva già dichiarato la squadra piemontese Campione d’Italia 1948-49. Un anno dopo, per i Mondiali di calcio in Brasile la Nazionale italiana scelse di muoversi in nave, due settimane la durata del viaggio, ai Mondiali in Brasile con un anziché affrontare una trasferta in aereo che sarebbe durata appena 35 ore.
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I morti e i luoghi di sepoltura Giocatori Valerio Bacigalupo Aldo Ballarin Dino Ballarin Émile “Milo” Bongiorni Eusebio Castigliano Rubens Fadini Guglielmo Gabetto Roger “Ruggero” Revelli Grava Giuseppe Grezar Ezio Loik Virgilio Romualdo Maroso Danilo Martelli Valentino Mazzola Romeo Menti Piero “Pierino” Operto Franco Ossola Mario Rigamonti Július “Giulio” Schubert
25 anni, portiere 27, difensore 23, portiere 28, attaccante 28, mediano 21, centrocampista 33, attaccante 27, centravanti 30, mediano 29, mezzala destra 23, terzino sinistro 25, mezzala 30, attaccante e capitano 29, attaccante 22, difensore 27, attaccante 26, difensore 26, mezzala
Bossarino, Vado Ligure (SV) Chioggia (VE) Chioggia (VE) Fontenay-sous-Bois (Francia) Carmagnola (TO); Arcore (MB) monumentale di Torino Parigi-Saint Ouen, Francia Sant’Anna, Trieste (TS) monumentale di Torino monumentale di Torino Castellucchio (MN) monumentale di Torino Antella di Bagno a Ripoli (FI) monumentale di Torino monumentale di Torino) Capriolo (BS) monumentale di Torino
55, Direttore Generale 66, Dirig. Accompagnatore 36, organizzatore trasferte
monumentale di Torino monumentale di Torino monumentale di Torino.
50, Direttore Tecnico 37, allenatore 52, massaggiatore
monumentale di Torino S. Michael di Rossington (UK) monumentale di Torino
58, Tuttosport 40, Gazzetta del Popolo 42, La Nuova Stampa
monumentale di Torino) monumentale di Torino monumentale di Torino
33, primo pilota 34, secondo pilota 44, motorista 42, radiotelegrafista
monumentale di Milano Misericordia di Livorno Sesto San Giovanni (MI) maggiore di Milano
DiriGenti Egidio “Arnaldo” Agnisetta Ippolito Civalleri Andrea Bonaiuti
allenatori Egri Erbstein Leslie Lievesley Ottavio Cortina
Giornalisti Renato Casalbore Renato Tosatti Luigi Cavallero
equipaGGio Pierluigi Meroni Cesare Bianciardi Celeste D’Incà Antonio Pangrazzi
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info@gmstampa.com
con il patrocinio del
Comune di San Pellegrino
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“90 anni di Pininfarina”
“90 anni di Guzzi sport 14”
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MOnOgRAfIA | Austin-Healey 3000
LIBERTÀ ANGLOSASSONE di Pino Palumbo
Una spider con tanta grinta che ha fatto subito innamorare di sé per la linea e le prestazioni. La britannica ha segnato gli anni ’60 ed ha anche saputo vincere nei rally.
L
a storia inglese dell’automobile è punteggiata dalla nascita (e dalla morte) di numerosi marchi che hanno avuto vita più o meno breve. Alcuni di questi sono poi ricomparsi sotto forme diverse ed in situazioni lontane da quelle originarie. La Austin Motor Company aveva visto la luce agli albori del XX secolo, nel 1905, per esaurire la sua parabola nel 1952 quando la Casa si fuse con la Nuffield Organisation (a cui faceva capo la Morris), dando così vita alla British Motor Corporation Ltd (meglio conosciuta con la sigla BMC). Nello stesso anno però nasce la Austin-Healey grazie all’accordo tra Leonard Lord, responsabile della divisione Austin Motor Company della British Motor Corporation e Donald Healey, pilota, progetti-
sta e designer. Una joint-venture che è andata avanti fino al 1972 dato che l’accordo aveva una durata ventennale. La prima vettura messa in commercio dalla Austin-Healey fu la 100 prodotta tra il 1953 ed il 1958 che inizialmente aveva un motore a quattro cilindri in linea di 2660 cc sostituito nel 1956 da un nuovo propulsore a sei cilindri in linea di 2639 cc. Però il frutto più importante e conosciuto di questo matrimonio “a tempo” è stata senza dubbio la Austin-Healey 3000, prodotta in tre serie dal 1959 fino al 1967, che prende il nome dalla cilindrata del motore piazzato sotto il cofano e che è di fatto l’erede della 100 di cui mantiene le forme.
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Una Austin Healey3000 Mark II tipo BN7,
ovvero con due posti secchi. Questa versione, con tre carburatori SU venne prodotta per pochi mesi prima del cambio di alimentazione. 2
Il simbolo dell’azienda, attiva dal
1952 al 1972. 3
Gli interni, pur denotando la sportività
della vettura, mantenevano la classe tipica delle spider inglesi. 4,6 L’elegante linea della Austin-Helaey era stata mutuata direttamente dalla 100-6, ultima versione dell’altrettanto fortunata spider della Casa inglese 5
Il “tre litri” che dà il nome al modello è
derivato direttamente da quello montato sulla Austin-Healey 100. 7
La vernice bicolore, disponibile come
optional, era una delle personalizzazioni più richieste dai possessori della
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Austin-Healey 3000.
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La Austin-Healey si inseriva, tra le spiede
inglesi, a metà tra la Jaguar XK150 e le Triumph TR3 e TR4 in termini di qualità e prestazioni. 9
Il motore della prima serie montava due
carburatori Su semi invertiti. 10
Sono stati meno di tremila gli esemplari di
Mark i BN7 costruiti fino al 1961. 11,16 Fin dalla sua apparizione la BT7, ovvero la versione 2+2, fu la preferita da parte della clientela. 12
La prima versione del motore della Austin-
Healey disponeva di una potenza di 124 CV che si riusciva ad utilizzare senza grossi problemi. 13-15
Sia all’anteriore che sul baule la
vettura riportava l’indicazione del modello e il simbolo della Casa.
La “3000”, apparsa sul mercato, come detto, nel 1959 (esattamente il 1° luglio dopo la presentazione avvenuta nel mese di marzo al New York Motor Show), subito viene equipaggiata con un sei cilindri in linea di 2912 cc alimentato con due carburatori SU semi invertiti che le permettono di arrivare a ben 124 CV. Si tratta di un propulsore derivato da quello che si trova sotto il cofano della 100-6 (è stato aumentato l’alesaggio da 79,4 a 83,36 mm mantenendo inalterata la corsa ed è stata incrementata la compressione), ovvero l’ultima versione commercializzata della 100. Alla pari di quest’ultima è una classica spider inglese (si può classificare, in una scala, come una via di mezzo tra le Triumph TR3 e TR4 e la Jaguar XK 150) e subito viene proposta in due versioni: quella siglata
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MOnOgRAfIA | Austin-Healey 3000
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BN7 è una due posti mentre la BT7 è una 2+2. In effetti a prima vista tra la 100-6 e la 3000 sono davvero minime anche perché la base è la stessa ed anche il passo. Il telaio è ancora a longheroni con traverse a “X”. All’anteriore la vettura adotta sospensioni a ruote indipendenti con bracci trasversali triangolari inferiori e barra stabilizzatrice mentre al posteriore monta un ponte rigido con balestre longitudinali e barra Panhard. La velocità massima registrata è 185 km/h con un consumo di poco superiore ai 13 litri di benzina per cento chilometri. Le scocche venivano realizzate presso gli stabilimenti della Jensen a West Bromwich per essere poi trasportate ad Abingdon, presso gli storici capannoni della MG, dove all’epoca veniva costruite le Austin. Per... coprirsi la testa in caso di maltempo era prevista una capote di plastica pieghevole stesa su un leggero telaio smontabile mentre nella parte superiore delle due porte venivano piazzati dei pannelli scorrevoli realizzati in perspex come finestrini. La vettura montava freni a disco sulle
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ruote anteriori della Girling e freni a tamburo posteriori mentre erano disponibili diversi optional che la rendevano una vettura di alta gamma: ruote a raggi, cambio con overdrive, riscaldamento, piantone dello sterzo regolabile, hard-top rimovibile oltre ad una affascinante verniciatura bicolore. Era un’auto veloce e potente che regalava piacere a piene mani a chi la guidava con i cavalli che si sentivano tutti quando si schiacciava il pedale dell’acceleratore grazie anche alla buona rapportatura del cambio a quattro velocità. Grazie a questo motore potente e nello stesso tempo gestibile e al conseguente piacere al volante, la Austin Healey diventa ben presto una delle vetture preferite dagli appassionati delle spider di impronta anglosassone. Eccellente il valore di coppia, 23 Kgm a circa 3000 giri. La meccanica è priva di particolari raffinatezze ma si presenta comunque robusta e con
qualità notevoli. La spider è sempre pronta a riprendersi senza batter ciglio grazie all’erogazione morbida e costante del sei cilindri nonostante un cambio i cui rapporti non assecondano come dovrebbero la potenza del motore. L’overdrive, acquistabile come optional, può ridurre la velocità del motore di circa 1000 giri. Per quanto riguarda gli interni, la “3000” offre un comfort superiore al livello medio dei
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La strumentazione della spider
hanno riguardato, pe rlo più, il propulsore.
inglese ha un’impostazione classica con la sua
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forma circolare.
scoperta la spider inglese mantiene inalterato
20,22
tutto il suo fascino.
Alle spalle dei due sedili si trovava
Sia con la capote rialzata che
il vano dove veniva piazzata la ruota di scorta
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nel suo contenitore in moquette intonato con i
mesi venen modificato montando solo due
Il motore della “3000” Mark II dopo i primi
colori dell’abitacolo mentre nella BT2 la ruota
carburatori contro i tre iniziali.
veniva posizionata nel bagagliaio.
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21,23,24 Dal punto di vista esterico la Austin-
optional ma praticamente nessun cliente
Healey ha subito ben pochi cambiamenti nel
voleva rinunciari.
Le ruote a raggi erano dispnibili come
corso della sua storia decennale. Le modifiche 25
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roadster inglesi, ad eccezione delle Jaguar. Dietro l’imponente e sottile volante a tre razze, troviamo un cruscotto completo con il tachimetro posto sulla sinistra ed il contagiri sulla destra. La spider inglese ebbe subito un grande successo (anche sul mercato americano che tanto interessava alla BMC) grazie alle linee eleganti e sportive nello stesso tempo ed al prezzo inferiore a quello della concorrenza. In tutto furono costruiti fino al 1961 13.650 esemplari, 2.875 erano BN7 con due posti secchi ed i restanti erano BT7. Nel marzo 1961 arriva sul mercato la Mark II della Austin-Healey 3000, quella che noi chiameremmo seconda serie. Sono ancora due le versioni disponibili: la BN7 Mark II a due posti e la BT7 Mark II che è sempre una 2+2 e che appare subito la preferita della clientela. Al di là di qualche modifica estetica la novità più importante si ritrova sotto il cofa-
no. La Mark II adotta tre carburatori SU HS4 a cui s’aggiungono nuovi alberi a camme riprofilati che permettono alla potenza di arrivare a quota 132 CV SAE. Dopo i primi mesi di utilizzo della vettura si comprese che i tri-
pli carburatori erano di difficile regolazione e quindi i tecnici inglesi optarono per montare sulla vettura due carburatori SU HS6 a partire dal gennaio 1962. Il modello rinnovato venne nominato BJ7 ed era disponibile solo nella versione 2+2. Dal punto di vista estetico la Mark II si differenziava dalla prima serie per i vetri discendenti che prendevano il posto dei pannelli in plastica scorrevoli, per una nuova griglia anteriore a barre verticali ed un parabrezza dalla forma più avvolgente che aiuta ad incrementare di qualche chilometro la velocità massima. In più viene modificata la capote, adesso più leggera e che può essere ripiegata anche da una persona sola. Gli optional disponibili per la clientela erano sostanzialmente gli stessi previsti per la Mark I a cui, nell’estate del 1961, si
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aggiunse il servofreno. La carriera della BJ7 si esaurì nell’autunno del 1963 dopo 11.564 vetture prodotte: nello specifico furono appena 355 le BN7 Mark II, 5.096 le BT7 Mark II e 6.113 le BJ7. L’uscita di scena della Mark II coincide con l’arrivo sul mercato della MkIII che, costruita fino al 1967, fu anche l’ultima delle Austin-Healey 3000. Gli amanti della spider britannica possono scegliere tra due versioni: la BJ7 che dispone di un motore da 131 CV e la BJ8 che unisce una maggiore raffinatezza degli interni ad un incremento di potenza, i cavalli in questo caso sono ben 148. I tecnici inglesi raggiunsero questa quota grazie a un nuovo design sia dell’albero a camme sia delle molle valvole, all’utilizzo di due carburatori SU HD8 e ad un diverso disegno dello scarico. Sulla Mark III il servofreno diven-
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ta di serie. Tra gli optional entra a far parte il rivestimento in pelle dei sedili. Per quanto riguarda gli interni il cruscotto di lamiera verniciata lascia il posto ad uno di legno pregiato e finalmente fa la sua apparizione un vero vano portaoggetti. Per tutta la sua carriera che, come detto, finì nel 1967 dopo 17.712 esemplari prodotti, la Mark III rimase praticamente invariata: le uniche modifiche di rilievo furono, nel maggio del 1964, una maggiore altezza da terra grazie ad un diverso telaietto posteriore (in questo caso la vettura assunse la denominazione “Phase II”) con due tiranti longitudinali che andavano a sostituire la barra Panhard e l’adozione di diversi indicatori di direzione un anno dopo. Va specificato che i cavalli della spider sono calcolati con il metodo dell’americana Society of Automotive Engineers, ovvero Sae, che corrispondono a circa il 10% in più dei cavalli misurati con il sistema Din. In estrema sintesi con il primo i cavalli vengono misurati al banco motore, con il secondo su strada. Ma la scelta ha una sua logica se si pensa che quasi il 90% della produzione delle Austin-Healey 3000 attraversò l’Atlantico per essere venduta negli Stati Uniti. Quando la produzione della modello si stava esaurendo, Donald Healey pensò ad una possibile erede: la sua idea era quella di montare sul telaio di una MkIII allargata un motore 4 litri di origine Rolls-Royce accoppiato ad cambio automatico Borg-Warner. Era una soluzione costosa da realizzare
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e poco adatta al mercato americano alla luce delle nuove norme di sicurezza introdotte da poco tempo e quindi venne ben presto accantonata. L’addio anticipato di Donald Healey all’azienda fece il resto. Con la “3000” si chiuse la storia del marchio Austin-Healey. Sul mercato il posto della grintosa spider venne preso dalla MG C, una derivata della più piccola MG B dotata del motore a sei cilindri della Austin-Healey.
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Anche nella vista posteriore la vettura
britannica presenta una linea per nulla appesantita. 30-32 La Mark II BN7 presentata nel 1961 non seppe riscuotere lo stesso successo della versione 2+2 e dopo poco tempo smise di essere costruita. 33
Il Metallic Ice Blue era uno dei preferiti
da parte di coloro che volevano unire il piacere di un’auto sportiva ad un pizzico di “understatement” 34
Il retrotreno piuttosto basso è sempre
stato l’handicap, specialmente per gli esemplari utilizzati nei rally, della vettura inglese a cui si cercò di porre rimedio adottando un nuovo telaietto..
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La Mark III fu la massima evoluzione
della vettura che a seconda delle versioni poteva disporre di 131 o 148 CV. Quella più potente presentava anche un allestimento maggiormente rifinito. 39
Il British Racing Green era uno dei colori
più richiesti tra gli acquirenti della spider anglosassone. 40,41
Le vetture ufficiali allestite per le
corse presentavano una carrozzeria di colore rosso abbinata ad un tettuccio bianco. La Austin-Healy seppe vincere per due volte la Marathon de Route, nel 1960 con Pat Moss sul percorso Liegi-Roma-Liegi e quattro anni più tardi con Rauno Aaltonen, in questo caso il percorso era Spa-Sofia-Liegi. 36
Vedette dei rally La “3000” venne utilizzata dalla BMC nelle competizioni, sia in pista che nei rally, fino all’avvento della Mini Cooper S che che segnerà un’epoca. Come quest’ultima le vetture ufficiali erano di colore rosso con l’hard top bianco. Importanti i risultati ottenuti, specialmente con il finlandese Rauno Aaltonen, con i gemelli Erle e Don Morley e con Pat Moss, sorella di Stirling e moglie del rallista svedese Erik Carlsson. Tra le vittorie più importanti da ricordare la Liegi-Roma-Liegi proprio con Pat Moss e Ann Wisdom nel 1960, la Coppa delle Alpi dell’anno dopo con i gemelli Morley che si ripeterono nel 1962 e la Spa-Sofia-Liegi 1964 con Rauno Aaltonen e Tony Ambrose a cui s’aggiungo-
no diversi piazzamenti di valore. Ovviamente la BMC pubblicizzò al massimo i successi della vettura: “Competizioni? La 3000 è nata per questo. È l’unica vettura sport britannica ad aver vinto il rally Liegi-Roma-Liegi, che è probabilmente la prova più devastante di tutte. È anche l’unica auto sportiva britannica ad averla mai vinta due volte!” si legge in un messaggio pubblicitario. Meno fortunate le partecipazioni alla 24 Ore di Le Mans che si sono sempre concluse con un ritiro a causa del surriscaldamento del motore. Il telaio e la scocca non erano un pezzo unico ma per gli esemplari destinati alle corse venivano saldati insieme per ottenere una maggiore robustezza ed una migliore rigidità complessiva. Per risparmiare peso portiere e cofani erano realizzati in alluminio. I freni a disco erano piazzati anche sulle ruote
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posteriori. Altra modifica i rapporti ravvicinati del cambio. Il difetto maggiore della vettura fu sempre la ridotta altezza da terra anche se nel 1961 venne introdotta la modifica al telaietto posteriore che poi, sulle vetture denominate “Phase 2”, fu adottata anche per le vetture di serie. Inizialmente le Austin-Healey 3000 “Works” montavano lo stesso motore della vettura di serie, successivamente fu modificato lo scarico, a partire dal 1962 venne adottata la testata in alluminio ed i carburatori SU lasciarono il posto a quelli prodotti dalla Weber. Con queste specifiche la potenza arrivò a 210 CV.
I colori All’inizio la vettura era disponibile nei colori Old English White/Ivory, Florida Green, Colorado Red, Pacific Green, Primrose e Metallic Ice Blue. A partire dal 1960 c’è qualche cambiamento: entrano il Black ed il British Racing Green ed escono Primrose e Pacific Green. La gamma di colori rimarrà invariata fino alla fine della produzione del modello.
Listino prezzi La vettura base, quando fu presentata, costava 915 sterline più le tasse per un totale di 1.106 sterline. Per fare un raffronto il salario medio inglese nel 1959 ammontava a 13,15 sterline alla settimana, grosso modo 53 sterline al mese ed al cambio una sterlina valeva 220 lire.
AUSTIN-HEALEY 3000 MKIII (1963) CORPO VETTURA TELAIO
a longheroni con traverse a “X”, spider, 2 porte
MOTORE TIPO ALESSAGGIO E CORSA CILINDRATA RAPP. DI COMPRESSIONE POTENZA MASSIMA COPPIA MASSIMA DISTRIBUZIONE ALIMENTAZIONE RAFFREDDAMENTO LUBRIFICAZIONE
Anteriore in posizione longitudinale, 6 cilindri in linea 83,4 x 88,9 mm 2912 cc 9:1 148 CV a 5250 giri 23,9 Kgm a 3500 giri albero a camme laterale, due valvole per cilindro due carburatori SU HD8 ad aria a circolazione forzata forzata
TRASMISSIONE TRAZIONE
posteriore
FRIZIONE
monodisco a secco
CAMBIO
a 4 rapporti + RM
SOSPENSIONI TIPOLOGIA
anteriori a ruote indipendenti, bracci trasversali triangolari inferiori e barra stabilizzatrice; posteriori a ponte rigido, balestre longitudinali e barra Panhard
FRENI TIPOLOGIA
anteriori a disco Girling ventilati e posteriori a tamburo
PNEUMATICI MISURA
5.90x15”
CARROZZERIA PASSO
2320 mm
LUNGHEZZA
4000 mm
LARGHEZZA CARREGGIATA ALTEZZA PESO IN ORD. DI MARCIA
4000 mm 1238 mm (anteriore), 1269 mm (posteriore) 1230 mm 080 kg
PRESTAZIONI CAPACITÀ SERBATOIO CONSUMO MEDIO VELOCITÀ MASSIMA
55 lt. 14,2 lt/100 km 195 km/h
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Auto d’Epoca – Giugno 2020
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MOnOgRAfIA | Alfa Romeo 177 e 179
CAVALLI DI RITORNO Di Roberto Motta, fotografie Centro Documentazione Alfa Romeo, Luc Mozzoli, RM Auctions e Roberto Motta
Le due monoposto della Casa milanese furono vetture importanti nella storia della F1, entrambe vittime inconsapevoli dei tempi che cambiano. La prima debuttò già obsoleta, la seconda, nata come wing car, fu mortificata dal cambio regolamentare.
A
lla fine del 1951, nonostante la vittoria del primo Campionato del Mondo di F1 con la 158 di Nino Farina, e il successivo campionato con la 159 di Fangio, l’IRI, ente proprietario dell’azienda, decise di non continuare a sostenere l’avventura della Casa del Portello, pertanto l’Alfa Romeo annunciò il ritiro dal Campionato a partire dal 1952. Il ritiro dalle competizioni riservate alla Formula 1 avvenne principalmente per tre motivi: i costi di gestione erano sempre più elevati, lo sviluppo della 159 era ormai arrivato al termine, l’azienda aveva deciso di indirizzare tutti i suoi sforzi sulla realizzazione e sulla produzione della Giulietta,
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concepita e progettata dagli stessi tecnici che si erano dedicati alla progettazione delle auto da corsa Alfa Romeo. Tuttavia il desiderio di competere nella massima formula rimase latente nel DNA della Casa del Portello. Dopo aver reso disponibili per De Tomaso, LDS e Cooper il motore 4 cilindri in linea bialbero della Giulietta, e successivamente a McLaren e March il V8 derivato dal propulsore utilizzato sulla Tipo 33, la Casa sospese il suo progetto. Alla fine del 1975, la Casa milanese raggiunse un accordo con la Brabham che vedeva nei motori Alfa Romeo 12 cilindri vincitori del Mondiale Sport Prototipi con la 33TT12, l’unica pos-
sibilità per competere ad armi pari con la Ferrari. Il rapporto con la Casa inglese non fu mai idilliaco. Mentre per l’Alfa Romeo il ruolo di fornitore di motori divenne sempre più stretto, aumentava la voglia di tornare ufficialmente in gara con una propria F1. I rapporti con la Brabham si deteriorarono e le pressioni di Carlo Chiti sulla dirigenza Alfa Romeo furono sempre più forti, tanto che nel ’77 prese il via la progettazione di una Alfa-Alfa con cui tornare in gara in Formula 1. Il progetto nacque in un momento di profonda transizione, in un periodo in cui la Lotus aveva introdotto nuove scelte tecniche e aerodinamiche che cambiarono la storia della F1, e portarono alla realizzazione di vetture in grado di sfruttare l’effetto suolo. Quando fu progettata, la 177 era certamente una monoposto di concezione molto avanzata, ma l’unico telaio costruito non fu pronto prima del maggio ’78. La migliore qualità della “177-
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001” era il suo cuore a 12 cilindri boxer che consentiva di beneficiare di un baricentro molto basso a vantaggio della stabilità, ma le sue dimensioni strutturali non consentivano di realizzare una vettura wing-car e lo rendevano inadatto alle nuove scelte aerodinamiche in voga in F1.
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Vittorio Brambilla, dopo la morte di Patrick
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Depailler a Hockenhein, tornò a guidare la 179 nel Gran Premio d’Olanda a Zandvoort. 2
Bruno Giacomelli al volante della 177 che
portò all’esordio in Balgio e che guidò anche in Francia nel corso del 1979. 3
Il propulsore boxer dell’Alfa nella sua
ultima versione erogava 520 cavalli a 12000 giri.
La 177
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Bruno Giacomelli si affida alle cure dei
meccanici durante i test con la 179 a Monza. 4
Responsabile tecnico per lo sviluppo della Tipo 177 era Carlo Chiti, uno dei più geniali progettisti della storia dell’automobilismo mondiale. Cuore meccanico della vettura era il motore boxer a dodici cilindri Tipo115-12, caratterizzato da misure di alesaggio e corsa di 77,0 e 53,6 mm (2995 cc) che, nella sua ultima versione erogava 520 cavalli a 12000 giri. Il telaio sfruttava una monoscocca in alluminio al quale era vincolato il motore in configurazione semi portante. La sospensione anteriore era composta da quadrilateri sovrapposti e bracci d’equilibrio collegati ai gruppi molla-ammortizzatore, posti in posizione verticale all’interno del corpo vettura. La sospensione posteriore era costituita da quadrilateri sovrapposti con puntoni di reazione longitudinali e gruppi molle-ammortizzatore, posti in posizione inclinata esterna. Anteriormente e posteriormente le Auto d’Epoca – Giugno 2020
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sospensioni erano completate da barre antirollio registrabili. L’impianto frenante sfruttava freni a disco autoventilanti, con pompe a doppio pistoncino. I dischi anteriori erano montati alle ruote, mentre quelli posteriori erano posti in posizione interna vicino al differenziale. La 177 poggiava su cerchi in magnesio con misure anteriori di 10x13” e posteriori di 19”x13”, che calzavano anteriormente “scarpette” da 9.25/23/13” e posteriormente da 15.0/28.0/x13”. La vettura denunciava un peso a secco di 600 kg, interasse di 2740 mm, carreggiata anteriore di 1660 mm e posteriore di 1610 mm. Infine, utilizzava due serbatoi di carburante della capacità complessiva di 200 litri, montati in posizione laterale. La sua storia vide ufficialmente la luce il 30 maggio 1978 quando, condotta da Vittorio
Brambilla, percorse i primi giri di pista sul circuito del Balocco. I collaudi proseguirono in agosto e, in previsione di un eventuale debutto a Monza nel GP d’Italia del 10 settembre, la 177 fu testata da Vittorio Brambilla e Niki Lauda al Paul Ricard. La voglia di portare al debutto la nuova monoposto suscitò discussioni e polemiche di carattere sportivo. In tali polemiche erano impegnati Ecclestone della Brabham, il quale aveva gestito l‘uso dei motori Alfa Romeo in F1; Lauda, che ormai sembrava non avere più fiducia nella potenza e nella robustezza del boxer milanese e gli uomini dell‘Alfa, che erano mortificati nel loro lavoro per alcune soluzioni costruttive adottate dagli inglesi. In particolare, Lauda rilasciò dichiarazioni non lusinghiere sulla vettura e si oppose al debutto di una Alfa-Alfa temendo che la fornitura di motori alla Brabham ne risentis-
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se negativamente. Tutto ciò, oltre a problemi politici interni, convinse l’Autodelta a posticipare il debutto della nuova monoposto. Lo stesso anno, a Monza, Brambilla e la sua Surtees TS20 furono coinvolti nell’incidente che costò la vita a Ronnie Peterson. Il pilota lombardo riportò diverse lesioni che lo costrinsero a rimanere lontano dalle piste per quasi un anno.
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MOnOgRAfIA | Alfa Romeo 177 e 179
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I meccanici dell’Autodelta e l’ingegner
Carlo Chiti al lavoro su una delle monoposto. 6
Il propulsore “Tipo 1260” montato sulla
179-003 nel corso della stagione 1980. 7
La 179 ferma ia box durante una sessione
di test sul circuito francese del Paul Ricard. 8
Il granitico propulsore “Tipo 1260” nella
sua ultima versione erogava una potenza di 540 CV. 9
Bruno Giacomelli a Monza nel GP d’Italia
1979 quando ha portato all’esordio la 179. 10
La 179, condotta da Giacomelli,
all’ingresso della curva Parabolica nel corso delle GP d’Italia 1979, quello che consegnò a Jody Schckter il titolo mondiale. 11
Test a Monza in vista del GP d’Italia 1979:
Vittorio Brambilla al volante dela 177 con il musetto modificato rispetto all’esordio. 12
Monza-9 settembre 1979, Brambilla e la 177
alla variante Ascari che immette sul rettilineo opposto a quello principale.
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Il propulsore Tipo 1260 Come già accennato, i problemi di ingombro del propulsore boxer influirono anche sui risultati della Brabham-Alfa-Romeo che ovviamente non poteva sfruttare nel migliore dei modi l’effetto suolo. Per tale ragione, nella tarda primavera del 1978 l’ingegner Chiti iniziò la progettazione di un nuovo propulsore denominato Tipo 1260, ossia 12 cilindri a V di 60°, che avrebbe permesso di sfruttare i tunnel laterali in cui trovava posto una struttura ad ala rovesciata che consentiva lo sfruttamento dell’effetto suolo. Costruito in poco più di quattro mesi, fin dalle prime prove effettuate da Lauda, il propulsore si dimostrò uno dei migliori motori del suo periodo. Aveva misure di alesaggio e corsa di 77,0 e 53,60 mm (2995 cc), e sfruttava tutte le esperienze del precedente boxer di cui manteneva alcuni particolari come l’albero a gomiti, le bielle, i pistoni e le testate. Dall’aspetto granitico, la sua struttura era caratterizzata dalle bancate dei cilindri strette e alte, che gli conferivano un senso di solidità e grande potenza. Ogni gruppo di tre cilindri era posto uno accanto all’altro con un identico intervallo d’accensione. I collettori di scarico separati si univano con un sistema del tipo tre in uno per sfociare in un unico scarico.
Auto d’Epoca – Giugno 2020
Al momento del suo debutto in pista, avvenuto sulla BT48 di Lauda nel dicembre ‘78, aveva una potenza di 525 CV a 12.200 giri. Nel corso degli anni conservò un elevato standard di affidabilità e potenza, arrivando a erogare, nelle sue ultime versioni, 540 cavalli a 12300 giri e una coppia superiore ai 35 Kgm a 9000-9500 giri. Così, mentre il tempo trascorreva, l’Alfa Romeo continuò a fornire i motori al team Brabham-Parmalat passando dal Tipo 115-12 al V12 Tipo 1260 che equipaggiava la BT48.
La 179 debutta in F1 Durante la stagione invernale, l’Alfa Romeo intensificò i test di sviluppo della 177 affidandola prima a Giorgio Francia poi al giovane Bruno Giacomelli, pilota che si era già messo in luce in F3 e F2. L’Alfa Romeo 177 debuttò il 13 maggio ’79 quando, affidata a Bruno Giacomelli, prese parte alla sesta gara di campionato, sul circuito belga di Zolder. Partita con il 14° tempo in prova, fu costretta al ritiro, a causa di un incidente con la Shadow di Elio De Angelis il quale tamponò la vettura milanese. Pur avendo un esordio positivo, la 177 si dimostrò tecnicamente sorpassata. Nata ben due anni prima, era stata concepita per l’utilizzo di gomme Pirelli, poi sostituite da
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Monza-9 settembre ’79, Brambilla e la 179
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all’ingesso della curva parabolica. 14
Nel 1980 Vittorio Brambilla con la 179
in occasione del suo ultimo GP nel GP d’Italia a Imola. 15
Settembre ’79- Bruno Giacomelli posa
con la 179 nei giorni antecedent il GP d’Italia. 16
Agosto ’79- Giacomelli e la 179 al Paul Ricard.
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Monza, settembre ’79, Brambilla con la 179.
pneumatici Good Year; inoltre, non poteva sfruttare l’effetto suolo, pesava oltre 600 kg, e si stava battendo contro wing-cars del peso di poco superiore ai 500 kg. Proprio per questo motivo, mentre la 177 continuava a essere aggiornata e a partecipare ad alcune gare di campionato, prese il via la progettazione della 179 dotata del nuovo 12 cilindri a V di 60°, il Tipo 1260.
Una vera wing-car La 179 fu concepita seguendo i dettami tecnici che imperavano nel periodo. Era una vera wing-car: all’interno della carrozzeria nascondeva profili alari rovesciati e camini d’aria laterali a sezione variabile che, con l’aiuto delle minigonne che permettevano una tenuta stagna sotto il fondo della vettura, consentivano all’aria in transito sotto la vettura di creare una forte depressione che si trasformava in un forte aumento della deportanza e quindi in una tenuta di strada in curva enormemente superiore a quella delle monoposto tradizionali. Disegnata dal tecnico francese Robert Choulet, la linea della vettura appariva come un insieme di forme tondeggianti spezzate dalle nette linee delle fiancate. La 179, più di ogni altra F1, era figlia dell‘aerodinamica poiché persino il motore a 12 cilindri a V stretto era stato progettato per ottenere il miglior rendimento aerodinamico possibile. Era sicuramente la prima volta nella storia delle auto da corsa che un moto50
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MOnOgRAfIA | Alfa Romeo 177 e 179
re veniva costruito solo per questi motivi. La sua struttura a V di 60° consentiva di inserire ali interne deportanti con ben 40 centimetri di larghezza in più di quelli consentiti dal motore boxer permettendo un carico aerodinamico dovuto all’effetto Venturi di circa 700 kg (a 260 km/h). La vettura sfruttava una scocca molto stretta realizzata in pannelli di alluminio e titanio, dalla forma pulita, che partiva dal muso sino al motore che aveva funzione portante. Dietro le spalle del pilota trovava posto il serbatoio carburante da 200 litri. Le sospensioni sfruttavano le soluzioni adottate per la 177: anteriormente utilizzavano triangoli sovrapposti a base larga e barra antirollio mentre posteriormente erano composte da triangoli inferiore e da un braccetto superiore, ed erano dotate di una barra antirollio regolabile dal pilota. La monoposto, caratterizzata da una linea tondeggiante che contrastava con le forme tese delle fiancate, era nata dalle lunghe prove nella galleria del vento ed era distinta dai profili alari studiati dall’Autodelta. Grazie alla notevole deportanza della sua carrozzeria, era priva dello spoiler anteriore e appariva come una delle F1 più belle. Vennero poi sperimentati, e adottati, anche piccoli spoilers deportami anteriori e un alettone a tutta larghezza. La 179 pesava a secco 595 kg, aveva un passo di 2,74 m, carreggiate di 1,72 m e 1,57
m, una lunghezza di 4,34 m, una larghezza di 2,14 m e un’altezza di 0,9 m. Fatto non indifferente, per la prima volta dai tempi della 158 “Alfetta”, la vettura sfruttava un propulsore concepito esclusivamente per le competizioni in F1 poiché il propulsore V8 e il successivo boxer 12 cilindri erano propulsori derivati da un motore utilizzato sulle vetture Sport. La 179 aveva quindi le carte in regola per riportare l’Alfa Romeo alla vittoria.
A Monza Nell’agosto del ‘79, la 177 fu sottoposta a un collaudo sulla velocissima pista di Hockeneheim dove, condotta da Vittorio Brambilla, ottenne tempi interessanti sul giro. La dirigenza Alfa Romeo decise, tuttavia, di non partecipare alla gara in programma sul tracciato tedesca e di concentrare i suoi sforzi per la preparazione delle vetture destinate al successivo GP d’Italia, gara in cui la 179 avrebbe debuttato. Il 16 e 17 agosto il team Alfa Romeo si trasferì sul circuito di Monza dove, alla presenza dell’allora presidente Massacesi, fu testata da Giacomelli e Brambilla. Il 9 settembre 1979, in occasione del GP d’Italia, furono schierate dalla Autodelta la 177-001 affidata a Vittorio Brambilla e la 179-001 per Giacomelli. Fu una giornata indimenticabile per il calore con cui gli appassionati accolsero
il team. Brambilla aveva 42 anni e ritornava sulla stessa pista, al volante di una vettura italiana, dove proprio un anno prima era stato protagonista di un grave incidente che lo aveva allontanato dalle competizioni, e dove Ronnie Peterson aveva perso la vita. Nel corso delle prove, la 179 ottenne il 18° tempo nello schieramento di partenza mentre la 177 ottenne la 22a posizione. Al termine della gara, che vide la vittoria del mondiale della Ferrari di Scheckter, la 177 concluse in 12a posizione, mentre la 179 fu costretta al ritiro nel corso del 29° giro per uscita di strada. Particolare interessante, prima del ritiro la 179 aveva raggiunto la Brabaham di Lauda e si preparava a superarla quando una banale uscita di strada alla variante Ascari arrestò la sua clamorosa azione di forza. Il 16 settembre, in un GP non di campionato, che si disputò a Imola, la 177 fece la sua ultima apparizione. La vettura affidata a Brambilla, partì con il 6° tempo e terminò la gara al 9° posto, a un giro dal vincitore Lauda. La 179, partita con l’11° tempo, fu costretta al ritiro. A differenza della brevissima carriera agonistica della 177, la 179 ebbe una lunga carriera e fu realizzata in realizzata in diverse versioni (179B, 179C, 179D, 179F). Probabilmente, la più bella fu proprio quella del suo primo anno, in cui era distinta da una livrea rossa, il colore prescelto per le vetture da corsa italiane, ed era priva di spoiler anteriori. Con questa configurazio17
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ne affrontò le ultime gare del campionato, a Montreal e a Watkins Glen. La 179-001 rimase a disposizione di Giacomelli, mentre la 179-002 fu affidata a Brambilla. Dopo l’impegnativo debutto nella breve stagione 1979, nell’80 la vettura migliorò con la rinnovata scuderia Marlboro-Alfa Romeo. Nel corso della stagione Giacomelli ottenne due quinti posti, un tredicesimo posto, e la pole position in Canada. L’1 agosto, la stagione fu funestata dalla perdita Patrick Depailler, tragicamente scomparso durante una sessione privata di test in Germania. Il suo posto fu temporaneamente ripreso da Brambilla il quale prese parte con la 179B004 al Dutch Grand Prix a Zandwoort e al GP d’Italia a Imola. Fu la sua ultima gara in F1 perché poi venne sostituito definitivamente da Andrea De Cesaris che debuttò in Formula 1 al GP del Canada. Nel frattempo, la Tipo 179 si dimostrò sempre più veloce tanto che la 179B-006 consentì a Giacomelli di conquistare la pole position a Watkins Glen dove condusse la gara con largo margine e solo all’ultimo fu tradito dalla fusione della bobina, che gli strappò una vittoria ormai certa. La stagione 1981 fu caratterizzata dall’abolizione delle minigonne. La 179, voluta e nata come una wing-cars, non riuscì più a rendere al meglio pur subendo alcune modifiche.
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Nel 1980 Giacomelli fu affiancato da
Depailler. L’immagine lo mostra nel corso delle prove al Paul Ricard. 19
L’abitacolo della 179-003 del 1980.
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Giacomelli e la 179 in prova sul circuito
del Balocco. 21
La squadra Alfa Romeo, con la 177, nel ’79.
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Conclusioni La 177 e la 179 sono state vetture importanti nella storia della F1. La prima debuttò già obsoleta, ma concluse al meglio il lavoro per cui era nata ossia riportare l’Alfa Romeo in F1, dimostrandosi affidabile pur senza raggiungere le velocità di punta delle altre vetture, a causa del suo peso. La seconda, nata come wing car per sfruttare al meglio le norme tecniche, fu mortificata dal cambio 52
regolamentare e, pur non essendo riuscita ad avere i risultati sperati, fece sognare gli alfisti anche per aver portato in gara giovani piloti italiani. Ci viene naturale pensare come la sua storia si sarebbe evoluta se ci fossero state meno contraddizioni all’interno della squadra, e se la vettura fosse stata condotta da piloti più esperti, i migliori del suo tempo, come ad esempio Villeneuve, Scheckter, Jones, Lauda, Prost, Piquet, Mansell… Sappiamo però che la storia non si scrive con i “se”.
MOnOgRAfIA | Alfa Romeo 177 e 179
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MOnOgRAfIA | Giuseppe Campari
IL CANTO DEI MOTORI di Gianni Cattaneo
Appassionato di opera lirica e di automobili, il lombardo è stato uno dei migliori piloti tra le due guerre. All’attivo anche due edizioni della 1000 Miglia.
G
iuseppe Campari. Un pilota che seppe accendere l’entusiasmo del pubblico degli anni d’oro dell’automobilismo sportivo. Una carriera durata vent’anni e costellata di vittorie con due 1000 Miglia, due Gran Premi di Francia, un Gran Premio d’Italia e due titoli di Campione assoluto italiano, oltre a decine di altre affermazioni in pista e in corse su strada. Con grande disponibilità ed impegno, come meccanico e collaudatore-pilota. E quel colorito scuro (fango, polvere e schizzi d’olio accompagnavano il procedere delle auto) che gli portò il soprannome di “el negher”. Di Lodi, ovviamente. Infatti, Giuseppe Campari era nato a Graffignana, a ridosso delle colline di San Colombano al Lambro in provincia di Lodi, l’8 giugno 1892, in una casa di via dell’Osteria 110 dove si trovavano i genitori Pietro e Vitalina, abitualmente domiciliati a Milano. I motori e le corse non erano la sua unica passione. Campari amava anche esibirsi come baritono, attività alla quale pensava di dedicarsi alla conclusione della carriera di pilota. Un giovanissimo Campari iniziò a lavorare, poco più che dodicenne, presso la Bianchi e, grande appassionato di meccanica, aprì in seguito un’officina prima di essere assunto all’Alfa Romeo. “Beppon” - come veniva chiamato in quegli anni - era robusto, ma agile e forte grazie alla pratica di podismo, canottaggio e ciclismo. Il debutto in gara è del 1911, quando, diciannovenne, partecipa come meccanico di bordo al Concorso di Regola-
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Campari legge il commento al Gran
Premio d’Italia a Monza che ha concluso al secondo posto alle spalle di Gastone Brilli Peri. 2,3 “El negher” è stato uno dei piloti più famosi e vincenti del periodo. La sua prestanza fisica lo espose anche a caricature come quella a fianco che era accompagnata dalla battuta: Varzi, Ghersi e Nuvolari, ma el maester l’è Campari 4
Campari con Giovanni Canestrini, il
più importante giornalista degli anni d’oro dell’automobilismo sportivo che fu, tra l’altro, uno degli ideatori della 1000 Miglia. 2
rità di Modena. Il pilota era Nino Franchini. Il debutto al volante è del 14 maggio 1911 alla Targa Florio, Circuito delle Madonie: un giro alla guida - il primo, concluso in seconda posizione assoluta - per lui iscritto come meccanico dell’Alfa 24 Hp Corsa di Franchini. Al terzo giro, incidente e ritiro. La seconda occasione per mettersi alla guida di un’auto da corsa arriva due anni più tardi. Questa volta un’occasione ufficiale, ancora con un’Alfa 24 Hp Corsa, alla Parma-Poggio di Berceto: quinto posto assoluto e secondo in classe libera. Nel 1914, partecipa in maggio al Giro di Sicilia su Alfa 40-60 Corsa e si ritira durante la seconda tappa quando è sedicesimo. Va meglio una settimana più tardi, quarto posto assoluto alla Targa Florio. Il 25 giugno è protagonista della Parma-Poggio di Berceto (secondo posto). Sfortunata la ripresa dell’attività dopo la pausa bellica. Solo due ritiri nel 1919: alla Parma-Poggio di Berceto e alla Targa Florio, conclusa anzitempo al terzo giro per lo scoppio simultaneo di tre pneumatici. La stagione successiva arriva la prima vittoria. È il 30 maggio 1920 e Campari non ha rivali sui 53 km della Parma-Poggio di Berceto, percorsi in 38’25”4, media di 79.639 km/h. Ancora una vittoria il 14 giugno sul Circuito del Mugello in una corsa di 390 km conclusa
alla media di 60,800 km/h. Una settimana più tardi è sul podio, terzo posto, alla Coppa della Consuma, gara in salita da Pontassieve al Passo della Consuma. In ottobre il ritorno alla Targa Florio, ma si ritira per problemi al magnete. La stagione va in archivio con il primo posto di categoria al Chilometro lanciato di Gallarate. Anche la stagione 1921 inizia con la Parma-Poggio di Berceto, conclusa al secondo posto, prima della Targa Florio che porta un buon terzo posto. Per la prima vittoria dell’anno bisogna arrivare al 24 luglio al Mugello. Una corsa durissima di oltre sei ore alla media di 62,565 km/h. In agosto si ritira alla Coppa delle Alpi, affrontata con l’Alfa Romeo 20-30 ES Sport; analogo risultato in settembre al GP Gentlemen di Montichiari quando è in prima posizione. La trasferta bresciana porta solo il quinto posto al Chilometro lanciato di Brescia. Meno brillante la stagione seguente che parte con la Targa Florio, alla quale partecipa con la 40-60 che porta all’11° posto assoluto, terzo di categoria. Gli impegni si susseguono sulla falsariga delle stagioni precedenti e portano soltanto piazzamenti: sesto posto alla Parma-Poggio di Berceto, terzo alla Aosta-Gran San Bernardo e due ritiri al Mugello e alla Coppa d’Autunno a Monza. Nello stesso anno - 1922 - il matrimonio con la cantante lirica Lina Cavalleri. “El negher” è pronto per il grande salto e nel 1923 entra nella squadra corse ufficiale Alfa Romeo. Suoi compagni sono Antonio Ascari, Ugo Sivocci e, più tardi, Enzo Ferrari. Ma è un anno con scarsa fortuna e
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due ritiri: alla Targa Florio con l’Alfa Romeo RLS e a Monza nel Gran Premio Turismo con la RL. L’8 settembre a Monza è in programma la corsa più importante della stagione, il Gran Premio d’Italia e Campari è iscritto con la P1, l’auto progettata da Giuseppe Merosi. La morte del compagno di scuderia Ugo Sivocci, sull’unica auto priva dello scaramantico quadrifoglio verde su quadrato bianco che campeggiava su tutte le auto. La P1 di Sivocci, iscritta con il numero 17, sulla pista bagnata, per problema tecnico o errore del pilota, si schiantò contro un albero. In segno di lutto, l’Alfa Romeo decise di ritirarsi dalle competizioni per quella stagione e di abbandonare lo sviluppo della P1. Merosi venne sostituito da Vittorio Jano. L’avvio della stagione 1924 è alla Targa Florio che chiude al quarto posto, primo di categoria, con la RLS, mentre dal giro aggiuntivo valido per la Coppa Florio arriva il
terzo posto. In giugno è primo di categoria al Chilometro lanciato di Cremona, ma si ritira nella prova in circuito. Come alla Coppa Acerbo, a Pescara, quando è in testa al terzo giro. Il 3 agosto 1924 è il giorno del trionfo. In coppia con il meccanico lodigiano Attilio Marinoni sulla P2, vince il X Gran Premio di Francia, sui 35 giri del Circuito di Lione, 808 km percorsi in 7h05’34”8, alla media di 114.208 km/h. Una stagione straordinaria che vede anche il terzo posto a Monza nel Gran Premio d’Italia. Il 28 giugno 1925 Campari è secondo assoluto con la P2 nel Gran Premio del Belgio sul circuito di Spa-Francorchamps; il 26 luglio nel Gran Premio di Francia si ritira per la morte di Antonio Ascari quando è in testa al 23° giro. Il 6 settembre al Gran Premio d’Italia a Monza conquista un altro secondo posto. Nel 1926 cambiano i regolamenti e l’Alfa Romeo decide di sospendere l’attività ago-
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MOnOgRAfIA | Giuseppe Campari
nistica e di ritirarsi temporaneamente dalle corse. Campari partecipa comunque alla quarta edizione della Coppa Acerbo che vince segnando anche il giro più veloce. La stagione seguente prende il via da Pescara in luglio. “El negher” porta l’Alfa 6C 1500 al quarto posto nella Coppa Acerbo. La conclusione è a Monza con un buon secondo posto con la P2 nel Gran Premio Milano. Il 1928 è l’anno del trionfo alla seconda edizione della 1000 Miglia, in coppia con Giulio Ramponi su Alfa Romeo 6C 1500 SSC Zagato in 19h14’05”, media record di 84,128 km/h. Dalla maratona bresciana al Circuito delle Madonie dove è secondo assoluto e primo di categoria nella Targa Florio-Coppa Florio. Al Mugello, mese di giugno, è suo il giro più veloce della Targa Masetti prima del ritiro, come nella 200 miglia di Cremona dove però si scatena ed è il più veloce nei 10 chilometri lanciati alla media record di 217,654 km/h. In luglio, primo posto alla Vittorio Veneto-Cansiglio e alla Susa-Moncenisio, sempre con tempi record. Segue, in agosto, la vittoria alla Coppa Acerbo su P2 e 7
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il terzo posto alla Coppa Ciano sul Circuito del Montenero con l’Alfa 6C 1700 prototipo. Al Gran Premio d’Italia a Monza è secondo in coppia con Varzi su P2. Campari è Campione assoluto d’Italia per il 1928. Il 13 e 14 aprile 1929 Campari, sempre in coppia con Ramponi, concede il bis nella 1000 Miglia, alla media record di 89,688 km/h. Seguono il quarto posto alla Targa Florio e il sesto al Mugello. In luglio è terzo nella Coppa Ciano e secondo al Tourist Trophy sul circuito di Ards, a Belfast, su una 1500 6C SS della scuderia Campari & Sorniotti. L’auto era stata preparata nella carrozzeria che “el negher”, all’apice del successo come pilota, aveva aperto con Sorniotti, artigiano milanese, specializzandosi nella produzione di scocche superleggere da corsa e nell’allestimento di auto sportive fuori serie. In occasione del 1° Salone Internazionale dell’automobile, a Milano nel 1928, la Campari & Sorniotti aveva presentato un modello tipo corsa su telaio Fiat 509 S, abbassato e con radiatore “scivolato” simile a quello delle Talbot della Scuderia Materassi, in auge in quel periodo.
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Alla Mille Miglia del 1930 è in coppia con Attilio Marinoni, suo coetaneo e con lo stesso percorso di meccanico-pilota-collaudatore al Portello, e si piazza terzo assoluto. Poi è quarto alla Targa Florio (per Campari dieci partecipazioni alla classica siciliana tra il 1914 e il 1930), terzo al Circuito di Caserta e quinto al Gran Premio Reale di Roma. Alla Cuneo-Colle della Maddalena è terzo di categoria, poi al Gran Premio d’Irlanda, sul Circuito di Phoenix Park a Dublino, si piazza al posto d’onore. Altri due secondi posti in agosto alla Coppa Ciano e al Tourist Trophy. Al Gran Premio di Monza si ritira dopo il secondo posto in batteria e ritorna al successo in ottobre alla Coppa del Cimino. Stagione 1931. La quinta 1000 Miglia di Campari, di nuovo con Marinoni su Alfa Romeo 6C 1750 GS, si chiude al secondo posto assoluto, primo di categoria. Dopo il quarto posto alla Targa Florio, arriva la vittoria al Gran Premio d’Italia, a Monza sulla 8C 2300 Monza, in coppia con Nuvolari. Con la Mase-
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Immagini della stagione 1925 con il treno
della Squadra Alfa romeo in partenza dalla Stazione Centrale di Milano e una cartolina che ricorda la buona prestazione in Francia. In basso, Campari al secondo posto con l’Alfa Romeo P2 sulla pista di Spa nel Gran Premio del Belgio concluso appunto in seconda posizione alle spalle di Antonio Ascari. 8-11 Alcuni documenti dall’Archivio del pilota e, 12
Un’immagine del Gran Premio d’Italia
del 1931 con Tazio Nuvolari che fa rifornimento all’Alfa 8C 2300 Monza che condivide con Campari e con cui ha vinto la corsa. 13
Targa Florio del 1922 alla quale Campari
ha partecipato con una ALfa Romeo 40-60 hp, concludendo all’11° posto, terzo di categoria.
rati corre il GP d’Irlanda che gli vale il secondo posto e ritorna sull’Alfa in Francia sul circuito di Linas-Montlhéry con un’altra piazza d’onore in coppia con Borzacchini. Dopo il quinto posto alla Susa-Moncenisio con la Tipo A, il ritiro per un principio di incendio 13
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al Gran Premio del Belgio e il quarto posto alla Coppa Ciano, Campari torna al successo in agosto nella Coppa Acerbo. Chiusura con il sesto posto al Tourist Trophy e il ritiro a Monza. È di nuovo campione italiano assoluto e secondo nell’Europeo. Alla 1000 Miglia del 1932 l’ultima partecipazione di Campari alla maratona bresciana conclusa con il ritiro quando è lanciato verso la terza vittoria. Ad Ancona, Carlo Sozzi passa alla guida e finisce contro un muro. Campari è furibondo e, narrano le cronache dell’epoca, lo insegue nei campi brandendo un martello. Al Gran Premio di Monaco è decimo, nulla di fatto a Reims e Adenau, poi torna sul podio alla Coppa Ciano (terzo posto). In settembre al Gran Premio di Monza punta in alto, vince la batteria, ma salta la finale perché i pezzi della sua auto vengono utilizzati per riparare quella di Nuvolari. “El negher” di Lodi pensa sempre più ad abbandonare le corse per dedicarsi alla lirica. Siamo ai titoli di coda di una carriera straordinaria. Tra l’altro, è già stato buon protagonista di spettacoli lirici nei teatri di Milano, Bergamo, Genova e Lodi. L’epilogo è fitto di impegni e di soddisfazioni, anche se inizia con un imprevisto, il ritiro al Gran Premio di Tripoli quando è in testa. Alla Parma-Poggio di Berceto conquista ancora una volta la piazza d’onore nonostante una foratura. L’11 giugno è sulla Maserati 8C 3000 e vince il Gran Premio di Francia a Linas-Montlhèry. Con la Maserati è terzo alla Coppa Ciano, mentre a Reims, Gran Premio della Marna, è costretto all’abbandono per un sasso nell’occhio, dopo aver ottenuto il giro più veloce. Problemi tecnici lo relegano nelle retrovie a Nizza, torna su un’Alfa P3 della Scuderia Ferrari alla Coppa Acerbo (15 agosto) ma si ritira per una uscita di strada che lascia qualche contusione.
La corsa fatale 10 settembre 1933. Il Gran Premio di Monza è una gara di contorno del Gran Premio d’Italia. All’Autodromo c’è il pubblico delle grandi occasioni, una folla di spettato-
ri richiamata da un cartellone prestigioso. In 14 programma, alle 9,45, il Gran Premio d’Italia sul tracciato completo dell’autodromo: 10 chilometri da percorrere 50 volte per coprire la distanza minima stabilita dalla Commissione sportiva per i Gran Premi di quell’anno. La pista è scivolosa per la pioggia caduta nella notte. Al segnale di partenza è subito duello tra Tazio Nuvolari con la Maserati e Luigi Fagioli con l’Alfa Romeo. Dopo 500 chilometri, che vedono Nuvolari e Fagioli alternarsi al comando con Taruffi e Chiron, è Fagioli a transitare per primo sul traguardo. Tazio, tradito dallo scoppio di una gomma a due giri dalla conclusione mentre è in testa, riesce a conquistare la piazza d’onore con un ritardo di meno di un minuto. Quasi tre ore di corsa a una media di oltre 174 chilometri orari. Un record.
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MOnOgRAfIA | Giuseppe Campari
Il Gran Premio di Monza si disputa nel pomeriggio. Tre batterie e finale sulla pista di alta velocità, l’anello di 4.500 metri. L’attesa del pubblico non è inferiore a quella per il Gran Premio d’Italia. Soprattutto per un duello annunciato, la rivincita fra Giuseppe Campari e Baconin Borzacchini dopo le vicende del Gran Premio di Tripoli del 7 maggio sulla pista della Mellaha. La cosiddetta “corsa dei milioni” per l’abbinamento con la lotteria. Organizzata dall’Automobile Club locale, fu una gara dall’esito combinato. Campari non aveva gradito. Si era preparato meticolosamente sicuro che lungo i 13 chilometri e cento metri del tracciato nord africano avrebbe trionfato lo sport e, ovviamente, la sua Maserati. Fu costretto invece al ritiro dopo un inizio sfolgorante. E a trarre vantaggio dalla “corsa dei milioni” era stato anche chi a Tripoli non aveva fatto nulla di rilevante in pista ma si era però accordato prima della corsa per dividere i premi. Come Borzacchini. Adesso si sarebbero trovati di fronte nella seconda batteria di qualificazione. Intanto la prima batteria si conclude con la vittoria di Czaykowski su Bugatti davanti a Moll su Alfa Romeo. Protagonista sfortunato Carlo Felice Trossi con la Duesenberg, in prima posizione fino alla rottura di un pistone che lascia una chiazza d’olio alla curva sud, un pericoloso contrattempo. Gli addetti spargono sabbia. I minuti che precedono la partenza della seconda batteria sono carichi di tensione. Campari scambia qualche parola con Giovanni Lurani. Ricorda i giorni di Monthlery e la straordinaria vittoria con la Maserati 3 litri nel Gran Premio dell’Automobile Club di Francia. Anche Giovanni Canestrini si avvicina al “Negher” che sembra non sentire le raccomandazioni alla prudenza rivolte dal giornalista. Campari corre con l’Alfa Romeo P3, Borzacchini con la Maserati vittoriosa nel Gran Premio di Francia. Il pilota lodigiano sembra nervoso. Un sorriso e un cenno di saluto per la folla che
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Campari si preparava con attenzione
alle corse che, in quegli anni erano particolarmente impegnative per il fisico. Oltre alla bicicletta, praticava corsa e canottaggio sul lago di Como. Il pilota da Milano raggiungeva spesso Como (era socio dell’Automobile Club locale) in bicicletta per poi dedicarsi alla disciplina sull’acqua.
lo chiama. Mancano ancora pochi minuti alla partenza. Il Gran Premio di Monza sarà l’ultima corsa di una carriera che dura da vent’anni. Finalmente Campari ha preso la grande decisione di abbandonare il mondo dei motori per dedicarsi all’altra grande passione della sua vita: la lirica. Nelle vesti di baritono si è già esibito a Bergamo e a Milano. Ha partecipato anche a una tournèe. Altre volte aveva manifestato l’intenzione di lasciare le piste per i palcoscenici dei teatri ma il richiamo dei motori aveva sempre avuto il sopravvento. Questa, però, sarebbe stata l’ultima corsa. Giovanni Canestrini descrive così la partenza: «Entrambi avevano smontato i freni anteriori che non sarebbero serviti sul percorso della sola pista anulare. Al segnale di partenza, era stato Borzacchini a scattare per primo e ad assumere il comando, abbordando la grande curva nord. Sull’autodromo era sceso un silenzio impressionante, tutti s’era con l’animo sospeso, con gli occhi piantati all’uscita della curva sud. I secondi, scanditi dai cronometri, sembravano eterni e s’ebbe subito la sensazione che qualcosa non andava. Perché tardavano tanto a passare? Finalmente - prosegue Canestrini - si vede spuntare una macchina sul bordo rialzato della grande curva, ma si notò subito che non era né l’Alfa Romeo di Campari, né la Maserati di Borzacchini. Era la vettura di Balestrero seguita da lontano da quelle di Pellegrini e della guidatrice Helle Nice. Cos’era accaduto a Campari, a Borzacchini, a Castelbarco e a Barbieri? La folla aveva intuito immediatamente che qualcosa di grave doveva essere accaduto e aspettava con ansia notizie che non arrivavano». Campari attacca l’avversario sul rettilineo opposto alle tribune e riesce a superarlo. Una manciata di metri separano le auto lanciate verso la curva sud. Campari è una furia. L’Alfa Romeo un fulmine che le braccia possenti governano in un’azione rapidissima. Ancora Canestrini: «Campari… aveva certamente abbordato la grande curva sud ai limiti dell’aderenza, con l’avversario a una cinquantina di metri. Poco dopo la metà della curva, mentre la sua Alfa Romeo procede-
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Campari alla 1000 Miglia del 1929
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Campari a Monza nel 1925 con
Di Paolo e Brilli Peri. 17
In gara alla 1000 Miglia del 1932, conclusa
con il ritiro quando era in prima posizione lanciato verso il terzo successo personale. 18
Gran premio di Francia 1924
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Al Circuito di Cremona del 1924 costretto
a spingere la sua auto in panne 20
Sosta durante la Targa Florio
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va a circa 200 all’ora, con le ruote esterne sul filo del bordo esterno, presumibilmente sotto l’effetto della forza centrifuga, aveva lievemente sbandato ed era volata oltre il bordo, nel prato sottostante, andando a finire contro la rete metallica di protezione e, dopo aver abbattuto un muretto ed un semaforo di segnalazione, s’era fermata contro un albero con le ruote in aria e nel senso opposto a quello di marcia. Borzacchini non aveva potuto fare nessuna manovra di difesa ed era stato come risucchiato nella scia della P3 di Campari. La sua Maserati, proiettata anch’essa oltre il bordo della curva, si era afflosciata sulle quattro ruote, mentre Carlo Castelbarco trascinato nello stesso tragico volo poteva cavarsela con poche ferite… Campari era morto sul colpo, Borzacchini moriva venti minuti dopo essere stato ricoverato all’ospedale di Monza». Più tardi, durante la disputa della finale del Gran Premio di Monza, un altro tragico incidente in cui perde la vita Czaykowski. La sua Bugatti si rovescia e prende fuoco. Ancora alla curva sud.Tazio Nuvolari, che con Campari aveva trionfato all’autodromo di Monza nel Gran Premio d’Italia del 1931, ricorda un episodio accaduto in Francia sul circuito di Monthlery. Campari ha appena
tagliato da vincitore il traguardo con la Maserati e viene portato davanti a un microfono per le dichiarazioni di rito. Il pilota, però, non trova le parole per raccontare l’impresa vittoriosa. Non conosce il francese. Ma se la cava alla grande mettendosi a cantare “0 sole mio”. L’imbarazzo degli spettatori di fronte all’inatteso show si trasforma presto in un fragoroso applauso. Giuseppe Campari, “el negher” di Lodi, ha 41 anni.
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Foto di gruppo ai box dell’Autodromo
di Monza nel 1931, durante una sessione di prove dell’Alfa Romeo 12 cilindri Tipo A, la prima monoposto costruita dalla casa del Biscione. Da sinistra, Tazio Nuvolari, Giuseppe Campari, Ferdinando Minoja, Baconin Borzacchini e Enzo Ferrari. 22
Campari, Ascari e Merosi di corsa
sulla pista dell’Autodromo di Monza 21
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GIUGNO 2020 Anno XXXVII - numero 300 Supplemento ad Auto d’Epoca n. 6/2020 Direttore responsabile Maurizio Catozzi Direzione, redazione e amministrazione Auto d’Epoca Via G. di Vittorio 38/40 52037 Sansepolcro (AR) Tel. e Fax 0575 749625 e-mail: redazione@autodepocaonline.it amministrazione@autodepocaonline.it
Impaginazione S-EriPrint Stampa Elcograf - Verona Autorizzazione: Tribunale di Treviso N. 550 decreto 20/6/1984 Periodico associato all’USPI
Nº300
La
Gazzetta di
Essen passa ad aprile 2021 Techno-Classica getta la spugna e annulla l’edizione di quest’anno, prevista nel mese di giugno. La rassegna tedesca ha già definito le nuove date: dal 7 all’11 aprile 2021
N
iente da fare. La situazione di emergenza causata dalla pandemia ha fatto un’altra “vittima”. La necessità di tenere d'occhio la salute di espositori, visitatori e dipendenti alla luce del divieto delle autorità di organizzare eventi importanti fino alla fine di agosto ha convinto gli organizzatori della Techno-Classica Essen ad annullare l’edizione 2020 che era prevista in un primo tempo nel tradizionale periodo di aprile e poi spostata a giugno. Ma Siha, in qualità di organizzatore, insieme a Messe Essen GmbH ed a tutti i partner ha già fissato le date della
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Calendario
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prossima edizione: la più importante rassegna di auto storiche si svolgerà il prossimo anno, come da programma, tra i 7 e l’11 aprile 2021. Nata nel 1989, la rassegna tedesca ogni anno richiama circa 1250 espositori provenienti da 30 nazioni compresi circa duecento club di marca e modello. Gli appassionati che lo scorso anno sono entrati nell’area espositiva della città tedesca (venti i padiglioni occupati) sono stati oltre 188.000 provenienti da quaranta nazioni. Tradizionalmente, ogni anno viene organizzato un Concours d'Elégance in cui una giuria internazionale di
esperti e giornalisti specializzati elegge i rivenditori più belli, più eleganti e più attraenti. Inoltre, c'è un "Grand Prix del club" che assegna premi agli stand più interessanti dei club. Siha ha anche annunciato un’altra iniziativa: insieme a diversi espositori, collezionisti, appassionati e esponenti del settore, ha pensato di dare un nuovo format all’Essen Motor Show 2020 che si svolgerà dal 28 novembre al 6. dicembre e che avrà come slogan "Techno-Classica Essen incontra Essen Motor Show 2020". Per informazioni: www.siha.de
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Primo Piano
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4 giugno 1942: la battaglia delle Midway vendica Pearl Harbor È considerata ancora dopo 65 anni la battaglia da manuale. Gli americani che avevano criptato il codice segreto di comunicazione giapponese, riuscirono a prevenire tutte le manovre dell’ammiraglio Naguno, affondando in poche ore ben 4 portaerei nipponiche. Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu. Le indecisioni dell’ammiraglio Naguno pesarono drammaticamente sul risultato e la convinzione di essere superiori determinò la catastrofe. Gli americani persero la portaerei Yorktown e 130 aeroplani,contro i 270 caccia e aerosiluranti nipponici. Era iniziata la fine del dominio sul Pacifico della Flotta Imperiale Giapponese Il piano di Yamamoto “L’isola di Midway è l’avamposto delle Hawaii”: in questi termini si era espresso l’ammiraglio Nagumo, comandante delle portaerei d’attacco giapponesi. La preposizione risultava esatta tanto che gli americani, nel 1940, avevano cominciato a trasformare quella località in una base aerea che sarebbe dovuta essere seconda solo a Pearl Harbor. Nell’estate 1941 erano entrati in funzione la stazione aeronavale, un porto artificiale, infrastrutture, un aeroporto con una pista di oltre 1 600 m, il tutto presidiato da un battaglione di marines. Secondo l’ammiraglio Yamamoto, l’occupazione di Midway avrebbe contribuito a eliminare o a ridurre l’eventualità di nuove incursioni delle task forces americane contro le basi nipponiche e il territorio metropolitano. Inoltre l’occasione sarebbe stata propizia per incontrare in combattimento la flotta americana e cercare di distruggerla. Era questo uno dei punti fermi della dottrina dell’ammiraglio Yamamoto il quale, ben conoscendo la forza delle risorse americane, era convinto che più il tempo trascorreva e più sarebbe stato molto difficile per il suo paese poter raggiungere gli obiettivi che si era prefisso con l’entrata in guerra. Trattando della battaglia del Mar dei Coralli si era visto come il piano strategico giapponese del 1942 doveva iniziare con l’occupazione di Port Moresby e terminare con quella delle isole Samoa, Noumea e Fiji, in modo da creare quel cordone di
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sicurezza che, passando attraverso Kiska-Midway-Wake-Marshall-Gilbert-Guadalcanal-PortMoresby, avrebbe impedito alle task forces americane incursioni all’interno del sistema difensivo giapponese. Inoltre sarebbe stato allontanato il pericolo dei sommergibili americani che, per operare sulle rotte nipponiche, dovevano far rifornimento a Midway. Il piano dell’ammiraglio Yamamoto fu presentato al quartier generale imperiale e fu approvato il 5 maggio 1942 con questo ordine d’operazione: “Il comandante in capo della Flotta Combinata, in cooperazione con l’Esercito, provvederà a sbarcare ed occupare punti strategici nelle Aleutine occidentali e nell’isola Midway”.Il piano operativo di Yamamoto era articolato su tre punti: occupare le Aleutine occidentali, occupare Midway e costringere la flotta avversaria al combattimento. Il comandante in capo suddivise le sue forze in 5 reparti: la 1a Flotta o Forza Principale o Squadra da battaglia al suo comando, la squadra operante nelle acque settentrionali delle Aleutine, la squadra delle portaerei d’attacco, la forza di occupazione di Midway, un gruppo avanzato esplorante di sommergibili. Secondo il piano, la squadra destinata al sostegno delle operazioni d’attacco alle Aleutine doveva iniziare il bombardamento aereo della base di Dutch Harbor il 3 giugno e successivamente coprire le operazioni di sbarco. La squadra delle portaerei doveva attaccare Midway e, se veniva a contatto con la flotta americana, impegnarla sino all’arrivo della squadra da battaglia di Yamomoto per lo scontro finale. Nella notte del 5 giugno i contingenti da sbarco dovevano occupare Midway, riattandola al più pre-
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sto come base aerea. La 1a flotta si sarebbe mantenuta tra le Aleutine e Midway per intervenire contro qualsiasi movimento navale americano. La dispersione delle forze navali rappresentava certamente il punto debole del piano giapponese. Yamamoto aveva fatto probabilmente un apprezzamento errato della situazione, o solo troppo ottimistico, ritenendo di non incontrare opposizione allo sbarco a Midway. D’altra parte sapeva che la Pacific Fleet non disponeva di corazzate e che le portaerei pronte non dovevano essere più di una o due, tanto più che a Tokio si continuava a credere di averne affondate 2 nel Mar dei Coralli. Yamamoto contava infine sul fattore della sorpresa e sull’idea che gli americani non avrebbero potuto raggiungere Midway da Pearl Harbor prime del 7 o 8 giugno, nel qual caso le portaerei dell’ammiraglio Nagumo, sarebbero state pronte per attaccarli duramente, mentre lui stesso, con la sua squadra, sarebbe accorso per serrare da vicino la forza navale nemica, inferiore in corazzate e incrociatori, e distruggerla completamente. Yamamoto tenne conto anche di un’altra ipotesi: Nimitz avrebbe rinunciato a difendere Midway e quindi a far uscire la Pacific Fleet, proponendosi di riconquistare la base un paio di mesi dopo, con maggior dovizia di forze. In questo caso il comandante in capo giapponese avrebbe potuto scagliarsi contro la Flotta Combinata, tenuta pronta nelle acque delle Marshall. Le contromisure americane L’ammiraglio Nimitz, da cui dipendevano tutte le forze armate americane poste al
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di fuori del settore di cui era responsabile il generale MacArthur, ricevette, intorno al 10 maggio, un’informazione da parte dei servizi segreti, relativa alla preparazione di una nuova operazione giapponese. Il 14 maggio, Nimitiz mise in allarme la flotta “per contrasto sbarco”, e da ulteriori informazioni ricevute dall’intelligence il giorno dopo, apprezzo, con l’ammiraglio King che si trovava a Washington, che l’azione giapponese doveva essere volta all’occupazione di Midway partendo da Guam. La valutazione NimitzKing non fu subito accettata dagli stati maggiori di Honolulu e di Washington, in quanto questi ritenevano che l’operazione giapponese fosse volta a un nuovo attacco a Pearl Harbor o addirittura sulle coste californiane. A Nimitz giunsero intanto altre informazioni che comunque non gli dettero la conoscenza dell’esatta consistenza delle forze giapponesi. Fra il 23 e il 24 maggio, Nimitz ebbe finalmente la sicurezza che l’obiettivo nemico era Midway. La situazione navale americana era critica, specie per le portaerei dopo la perdita della Lexington: la Yorktown, danneggiata al Mar dei Coralli, necessitava di circa tre mesi di lavori, l’arsenale di Pearl Harbor l’immise nel bacino nel pomeriggio del 27 maggio e il 29, riparati i danni più gravi, fu rimessa in servizio e, imbarcati gli aerei e i rifornimenti, prese il mare la mattina del 30 maggio. La Saratoga si trovava a San Diego per addestrare il suo gruppo aereo e sarebbe potuta salpare per Pearl Harbor solo il 1° giugno. Erano pronte la Enterprise e la Hornet della task force dell’ammiraglio Halsey, che non avevano preso parte alla battaglia del Mar dei Coralli. Halsey do-
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La convinzione errata dell’ammiraglio Nagumo, a bordo della portaerei giapponese Akagi, con 63 aerei disponibili e pronti al decollo, fu quella di rilanciare un secondo attacco di 108 bombardieri per neutralizzare l’aeroporto di Midway, non distrutto come si pensava dopo il primo attacco. Ordinò di sostituire i siluri degli aerei con bombe, ma fu avvisato durante l’operazione della presenza della portaerei americana Enterprise a 300 km di distanza e riordinò immediatamente l’installazione di siluri per lanciare un attacco alle portaerei americane. Si persero quasi due preziose ore per riarmare gli aerosiluranti costringendo gli aerei sul ponte di volo delle portaerei giapponesi. vette però sbarcare perché ammalato e Nimitz lo sostituì con l’ammiraglio Raymond A. Sprunace, che sino a quel momento aveva comandato gli incrociatori della task force di Halsey. Fu una scelta felice perché Spruance si rivelò un ottimo comandante di task force. La Wasp era invece in Atlantico di ritorno da una missione in Mediterraneo a sostegno di Malta. Per la carenza di portaerei nel Pacifico, Washington chiese all’ammiraglio britannico di mettere a disposizione della Pacific Fleet una delle sue 3 portaerei dislocate nell’Oceano Indiano. Il 19 maggio la Royal Navy rifiutò col pretesto che il suo servizio informazioni non era a conoscenza di alcuna operazione giapponese contro basi americane nel Pacifico. Privo anche di navi da battaglia, Nimitz si trovò quindi nelle condizioni di fare affidamento sugli incrociatori per proteggere le portaerei e affrontare eventualmente le forze di superficie avversarie. Altro dilemma che si pose al comandante in capo americano fu quello se concentrare tutte le forze disponibili per respingere l’attacco a Midway, tralasciando la difesa delle Aleutine, oppure se provvedere anche a questa. Prevalse quest’ultimo piano e Nimitz costituì la squadra del Nord Pacifico con 2 incrociatori pesanti, 3 leggeri e 10 caccia agli ordini del contrammiraglio Thoebald. Nimitz infine affidò il comando in mare all’ammiraglio Fletcher, più anziano di Spruance, tenendo per sé il comando supremo e rimanendo a Pearl Harbor. Il CIN-CPAC, ossia il comandante in capo del pacifico, sapeva che la Pacific Fleet si sarebbe trovata in minoranza. Unico punto che riteneva a suo vantaggio era di poter disporre degli aerei basati a Midway che avrebbero rafforzato i gruppi aerei delle task forces, e di aver avuto il
tempo di inviare a Midway rinforzi di marines, aerei e motosiluranti. I movimenti navali I movimenti delle forze giapponesi iniziarono nell’ultima settimana di maggio: i primi a lasciare le basi furono i sommergibili, seguiti poi dalle unità destinate alle Aleutine. La squadra portaerei dell’ammiraglio Nagumo uscì dal Mare Interno del Giappone la sera del 26 maggio; il giorno dopo salparono da Saipan le navi trasporto e contemporaneamente da Guam gli incrociatori e i caccia del gruppo di sostegno dell’ammiraglio Kurita. Yamamoto, a bordo della Yamato, la nuova grande supercorazzata, con la squadra da battaglia lasciò le acque giapponesi il 28 maggio. In questi stessi giorni, mentre le navi di Fletcher e di Spruance stavano per raggiungere la zona di Midway, gli aerei di base nell’isola cominciarono un attivo pattugliamento in una zona a 700 miglia da Midway da sud-sud-ovest a nord-nordest, da dove era probabile che le portaerei giapponesi avrebbero lanciato gli aerei. Oltre a ciò ogni giorno, bombardieri B.17 Flying Fortresses dell’USAAF si alzavano in ricognizione offensiva. Sino al 3 giugno nulla fu avvistato, sebbene i velivoli americani avessero sorvolato più volte le navi di Nagumo, senza avvistarle a causa di bassi banchi di nuvole. Inoltre, per intensificare la sorveglianza aerea, il comando del Pacifico aveva anche provveduto a disporre una ventina di zone d’agguato di sommergibili dislocati nella vasta area compresa tra le Hawaii, Midway e le Aleutine. Il 28 maggio la Task Force 16 di Spruance, con la Enterprise e la Hornet, lasciò Pearl Harbor, mentre Fletcher salpò con la Yorktown e la Task Force 17
alle ore 9.00 del 30. Il 31 maggio la Task Force 16 si rifornì dalle cisterne Cimarron e Platte, e il 1° giugno fu la volta della Task Force 17. L’incontro tra i due reparti era stato fissato per le ore 16.00 del 2 giugno a 32°N lat. E 173°W long. Circa a 325 miglia a nord-est di Midway. Il 1° giugno le portaerei incominciarono a lanciare apparecchi in ricognizione, ma senza alcun esito. Alle ore 9.00 del 3 giugno, a 700 miglia da Midway, un ricognitore PBY Catalina di Midway avvistò, attraverso la nuvolaglia, delle unità navali nemiche, che riuscì a seguire per diverse ore mantenendosi a una distanza di circa 30 miglia; alle 11.00 il ricognitore fu in grado di trasmettere che la forza avvistata era costituita da 11 unità, con rotta est a 19 nodi; era solo una parte della forza d’occupazione di Midway, e cioè il gruppo delle navi trasporto idro dell’ammiraglio Fujita. Ricevuto il segnale di scoperta, 9 quadrimotori B.17 decollarono da Midway: avvistarono la formazione Tanaka-Fujita alle 16.24 a 570 miglia dall’isola, ma il loro bombardamento in quota non dette alcun risultato. Nella nottata si alzarono 4 Catalina armati di siluri: alle 1.15 del 4 giugno furono a contatto radar con le navi giapponesi, alle 1.43, aiutati dalla luce lunare, lanciarono da bassa quota i siluri, colpendo la cisterna Akebono Maru, che dovette rallentare per breve tempo, riuscendo poi a riunirsi al gruppo. La battaglia di Midway era iniziata: il futuro della guerra nel pacifico dipendeva dallo sviluppo che avrebbero avuto gli avvenimenti nei giorni seguenti. La battaglia di Midway Mentre nel pomeriggio del 3 era in corso l’attacco dei B.17 contro la formazione
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Alle 10.20 del 4 giugno un idrovolante Consolidated PAY5 Catalina in pattugliamento al largo delle Midway scorgeva senza essere visto l’incrociatore da battaglia giapponese Mikuma, che si sarebbe agganciato alla squadra di portaerei d’attacco. L’allarme giunse alla 6a e 8a squadriglia caccia che intercettò la divisione di corazzate giapponesi. Mentre sul ponte di volo della Kaga, Akagi e Soryu fermevano i preparativi (90 minuti) per cambiare le bombe con i siluri, i caccia non potevano decollare e lasciarono indifese le tre portaerei giapponesi. Gli Avenger e i Downtless colpirono a più riprese il fiore all’occhiello della Marina Imperiale sganciando sui ponti di volo sei colpi precisi che incendiarono le tre portaerei. da sbarco nipponica, le portaerei americane si trovavano a più di 300 miglia estnord-est di Midway e a 400 miglia a est dal punto su cui stavano dirigendo le portaerei di Nagumo a 25 nodi. Ricebuta la comunicazione di scoperta della formazione nipponica, Fletcher apprezzò giustamente che non si doveva trattare della forza principale, ma di un gruppo di navi trasporto con la sua scorta, tanto più che era sicuro delle informazioni che davano le portaerei giapponesi in avvicinamento a Midway da nord-ovest per lanciare l’attacco aereo all’alba del 4 giugno. Sicuro di ciò, Fletcher cambiò rotta alle 19.50 del 3, dirigendo per 210° a sud-ovest per arrivare all’alba a 200 miglia a nord di Midway. La mattina del 4 giugno il vento era assai debole, cosa che mise le portaerei nelle condizioni di aumentare la velocità per raggiungere le condizioni necessarie per il decollo e l’appontaggio degli aerei. Alle 4.30, 10 Dauntless SBD decollarono dalla Yorktown in ricognizione offensiva, ma senza alcun successo; Nello stesso momento Nagumo, che si trovava a 215 miglia a ovest di Midway, lanciò la prima ondata di aerei contro l’isola. Circa un’ora dopo, dalla Enterprise furono intercettato tre messaggi lanciati da un PBY alla base di Midway: Nagumo era stato scoperto! Infatti: ore 5.34: “Portaerei nemiche!”. Ore 5.45: “molti aerei nemici dirigono su Midway rilevamento 320° distanza 150”. Ore 6.30:
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“Due portaerei e navi da battaglia rilevamento 320° distanza 180 rotta 135° velocità 25”. La posizione della formazione giapponese era a circa 200 miglia a ovest-sud-ovest della Task Force 16, i messaggi di scoperta erano errati di circa 40 miglia e davano presenti solo 2 portaerei invece di 4.Fletcher e Spruance sapevano ormai all’incirca dove si trovava la forza d’attacco avversaria. Alle 6.07, quattro minuti dopo l’ultimo messaggio della ricognizione, Fletcher ordinò a Sprunance di fare rotta versi sud-ovest con l’Enterprise e la Hornet e di attaccare le portaerei nipponiche. La Yorktown lo avrebbe seguito non appena fossero rientrati i 10
SBD che erano stati lanciati in ricognizione. Mentre le task forces americane dirigevano per incontrare i giapponesi, i velivoli di questi, decollati dalle 4 portaerei alle 4.30, avevano raggiunto Midway. I 108 aerei giapponesi furono localizzati alle 5.53 dai radar di Midway a 93 miglia a nord-ovest dell’isola. Alle 6.00 tutti gli apparecchi da caccia americani erano in volo: alle 6.13, a 30 miglia dall’isola, i 20 Buffaloes e i 6 Wildcats della Marine Corps, inferiori di numero e di prestazioni agli Zero giapponesi, furono impegnati in un duro scontro e non poterono giungere a tiro dei bombardieri nipponici che alle 6.30 iniziarono il bombardamento di
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Qui a destra: la portaerei YorkTown in bacino a Pearl Harbor il 28 maggio 1942. La riparazione dei danni riportati al Mar dei Coralli, avrebbe richiesto tre mesi di lavoro. La notizia dei movimenti giapponesi obbligò a rimettere in mare l’unità dopo soli tre giorni di riparazione. Sotto: la portaerei Akagi, nave bandiera dell’ammiraglio Chuichi Nagumo in navigazione in fase di recupero velivoli. Nell’altra pagina, in alto: l’incrociatore Atlanta scorta la portaerei Hornet e un incrociatore pesante nella fase di avvicinamento nella parte nord delle Midway. In fondo: la portaerei Enterprise che fu il simbolo della battaglia vittoriosa delle Midway. Midway, distruggendo e danneggiando buona parte delle installazioni. Il primo attacco terminò alle 6.50, ma fu anche l’ultimo dei tanti che aveva predisposto Yamamoto, poiché l’evolversi della battaglia tolse ai nipponici la possibilità di portare nuove offese su Midway. Le perdite di aerei, in quel primo confronto, furono elevate per entrambe le parti. Tuttavia l’inizio dell’operazione era andata
a netto vantaggio dei giapponesi che avevano arrecato gravi danni agli apprestamenti di Midway e sensibilmente ridotto quello che era il potenziale aereo americano basato sull’isola. Due minuti dopo che era iniziato lo scontro aereo, cioè alle 6.15, si alzarono da Midway 6 nuovi aerosiluranti TBF Avengers della U.S. Navy e 4 bimotori B.26 Marauders dell’U.S. Army Air Force, anch’essi armati di siluri, per attaccare le portaerei di Nagumo. Alle 7.10 raggiunsero la squadra nemica, ma prima di poter attaccare furono intercettati dalla caccia nemica che abbattè 5 aerei, mentre altri 3 furono distrutti dalla contraerea: tornarono a Midway un Avenger e due B.26 danneggiati. Dopo aver lanciato i 108 aerei, Nagumo aveva tenuto pronti sulle portaerei altri 93 apparecchi tra aerosiluranti e bombardieri per poter attaccare, al primo avvistamento, qualsiasi formazione navale americana. A tale scopo si dalle 4.35 aveva fatto catapultare dagli incrociatori 7 idrovolanti. Alle 7.00 non era ancora giunto alcun segnale di avvistamento, mentre il comandante del gruppo, che aveva attaccato Midway, chiedeva a Nagumo di lanciare subito una se-
conda ondata contro l’isola. Alle 7.15 Nagumo prese una grave decisione che gli sarà fatale nelle fasi successive: ordinò che i 93 aerei tenuti pronti per attaccare la flotta americana cambiassero i siluri con bombe e appena pronti decollassero per attaccare Midway. Mentre questo ordine diventava esecutivo, alle 7.28 il ricognitore dell’incrociatore Tone comunicò: “Dieci unità nemiche rilevamento 10° distanza 240 miglia da Midway rotta 150° velocità oltre 20 miglia”. Alla notizia dell’avvistamento, Nagumo non ritenne di dover cambiare ordine, tanto più che non era stata segnalata alcuna portaerei e, comunque, dopo il secondo attacco a Midway avrebbe sempre avuto modo e tempo di lanciare i suoi aerei contro le unità americane. Questa convinzione durò sino alle 7.45; a quell’ora Nagumo fece un ulteriore apprezzamento della situazione e decise di attaccare le navi nemiche coi pochi aerei armati di siluri, in quanto la maggior parte aveva già cambiato armamento dopo il suo ordine delle 7.15. Alle 8.09 la ricognizione precisò l’avvistamento di 5 incrociatori e 5 caccia, alle 8.20 di una portaerei. Nagumo seppe così di avere
di fronte una forza aeronavale americana e si rese conto di aver perso molto, tempo nel modificare il piano di impiego degli aerei sulla base di un apprezzamento affrettato della situazione. Durante questi avvenimenti, tra le 7.55 e me 8.30 bombardieri in picchiata del Marine Corps e quadrimotori B.17 dell’USAAF portarono il loro attacco sulle portaerei, cercando di colpire la Hiryu e la nave da battaglia Haruna, ma senza alcun esito, mentre diversi aerei furono abbattuti dalla caccia e dalla contraerea giapponesi. Intanto il sommergibile Nautilus era riuscito a infiltrarsi nella formazione e a lanciare un siluro contro un’unità – identificata come una corazzata – mancandola. Dovette poi allontanarsi alla svelta per sfuggire alla violenta reazione. In realtà il battello aveva lanciato, senza esito, contro il caccia Arashi. Un rogo di portaerei Alle 6.07 Spruance, con la sua Task Force 16, aveva fatto rotta per sud-ovest alla velocità di 25 nodi. Il suo piano era di lanciare gli aerei alle 9.00, apprezzando che a quell’ora la sua distanza da Nagu-
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mo si sarebbe aggirata sulle 100 miglia. La notizia che Midway era sotto bombardamento, portò Spruance alla decisione di lanciare i suoi aerei 2 ore prima del previsto, ben sapendo che la distanza era molta e che il raggio d’azione dei suoi velivoli non avrebbe permesso a molti di tornare a bordo e che ciò avrebbe significato perdere un gran numero di aerei e di piloti. Ma Spruance ritenne che bisognava correre quel rischio, poiché lanciando per le 7.00 me sue squadriglie, esse avrebbero sorpreso, con tutta probabilità, le portaerei di Nagumo, nel momento più critico in cui queste si sarebbero potute trovare: cioè al rientro degli aerei da Midway, oppure mentre questi, già rientrati, si stavano rifornendo per decollare per un nuovo attacco. Alle 7.02 gli aerei americani cominciarono a levarsi dai ponti dell’Enterprise e della Hornet. Spruance aveva preso anche un’altra importante decisione: mandare all’attacco la quasi totalità dei suoi aerei. Alle 7.02 erano in volo verso Nagumo 67 bombardieri Dauntless, 29 aerosiluranti Devastators, 20 caccia Wildcats, mentre sul cielo della Task Firce 16 erano rimasti 18 Wildcats e altrettanti di rimpiazzo sulle portaerei. Terminati i decolli, Spruance fece rotta per 240° a 25 nodi. L’ammiraglio Fletcher, con la Task Force 17, seguì la stessa rotta e velocità di Spruance, ritardando il lancio dei suoi aerei di 2 ore, nel caso venissero avvistate altre portaerei giapponesi. Non giungendo alcuna altra segnalazione di avvistamento, alle 8.38 ordinò il decollo: alle 9.06 erano in volo della Yorktown 17 Dauntless,
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12 Devastators e 6 Wildcats: sul ponte erano pronti i rimanenti aerei. La squadra delle portaerei giapponesi era sempre in rota per Midway: Nagumo non aveva cambiato direzione, pur sapendo della presenza di una task force americana. Alle 8.37 la Kaga, l’Akagi, la Soryu e la Hiryu cominciarono a ricevere gli aerei di ritorno dall’incursione su Midway. Intanto furono segnalati aerei americani in arrivo da portaerei. Alle 9.05 l’ammiraglio Nagumo non attese oltre: ordinò di accostare per 90° per est-nord-est per incontrare le forze americane. Alle 9.17 la formazione giapponese aveva assunto la nuova rotta; gli aerei dell’Enterprise e della Hornet erano vicini alle portaerei giapponesi avevano tutti gli aerei a bordo sotto febbrile rifornimento. I primi a giungere sui giapponesi furono 35 bombardieri della Hornet che però non avvistarono le unità di Nagumo e mancarono quindi l’attacco: una parte riuscì poi a raggiungere Midway. Fu quindi la volta degli aerosiluranti il cui sacrificio fu completo. L’ 8a Squadriglia siluranti della Hornet avvistò i giapponesi alle 9.25, fu intercettata dagli Zero nipponici e incontrò poi un violento fuoco contraereo. La maggior parte dei Devastators fu abbattuta prima di poter attaccare, i superstiti lanciarono i siluri e successivamente furono distrutti.Nessun bersaglio fu colpito. De 15 aerei dell’ 8a tutti andarono perduti tranne il guardiamarina Gay. Poco dopo le 9.30 attaccarono i 14 aerosiluranti della Enterprise (6a Squadriglia) che si gettarono
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sulla Soryu: 7 caddero in fiamme prima di poter lanciare i siluri, 3 furono abbattuti durante la fase di lancio. Per gli aerosiluranti era stato un autentico macello: su 41 aerei decollati ne tornarono solo 6 e non un solo siluro era stato messo a segno. In base ciò dipese dal tipo antiquato di aereo impiegato che si trovò contrastato dal miglior tipo di caccia giapponese. Intanto i giapponesi si preparavano a lanciare i loro aerei contro le navi americane; era da poco terminato l’attacco degli aerosiluranti che apparvero i bombardieri a tuffo dell’Enterprise e della Yorktown. Alle 10.00 e qualche minuto questi avvistarono le 4 portaerei di Nagumo: la Hiryu di prora e distanziata da tutte; Akagi, Kaga e Soryu disposte a triangolo rovesciato, la prima a sinistra, la terza a dritta, la seconda di poppa rispetto all’Akagi e alla Soryu. La Kaga e l’Akagi furono attaccate da 37 bombardieri dell’Enterprise: alle 10.26, picchiando di 70°, contrastati debolmente dalla contraerea e dai caccia giapponesi non ancora riorganizzatisi dopo lo scontro con gli aerosiluranti, i Dauntless sganciarono le loro bombe. L’Akagi fu colpita in pieno: aveva 40 aerei sotto rifornimento sul ponte di volo e una bomba vi scoppiò in mezzo, una seconda nell’hangar, una terza nel deposito siluri dove avvenne una grande esplosione seguita da un violento incendio. L’Akagi era ormai perduta e alle 10.47 l’ammiraglio Nagumo, costretto dagli ufficiali del suo stato maggiore, lasciò la portaerei trasferendosi sull’incrociatore leg-
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MITSUBISHI A6M8 REISEN Forse il migliore caccia giapponese in servizio dal 1942. Montava un motore da 1.560 cavalli e raggiungeva i 580 km/h con un’autonomia di 2.000 km. L’armamento era composto da due cannoni da 20 mm e da 500 kg di bombe.
gero Nagara. La portaerei galleggiò in fiamme sino al pomeriggio, perduta ogni speranza di poterla salvare, alle 19.15 fu ordinato l’abbandono della nave. All’alba del 5 giugno un caccia giapponese la silurò per affrettarne la fine, facendola così scomparire sotto le onde. Nello stesso momento in cui l’Akagi veniva colpita, anche la Kaga riceveva la sua dose di bombe: i colpi fatali furono quello che colpirono l’ammasso di aerei sul ponte e quello che provocò l’esplosione di un deposito di carburante avio e di munizioni. A pochi minuti dall’inizio dell’attacco, la Kaga era in fiamme: la grande portaerei rimase
GIUGNO 2020 scomparve. Gli aerei americani stavano intanto cercando di rientrare sulle loro navi: fu una lenta agonia, molti erano al limite dell’autonomia, il carburante non permetteva di raggiungere le portaerei, alcuni dovettero ammarare e andarono perduti, altri raggiunsero le portaerei e per accele-
rare l’appontaggio fu ordinato ai piloti di posarsi su qualsiasi delle 3 unità senza attendere il turno sulla portaerei di appartenenza, evitando così che altri velivoli finissero in mare per esaurimento di carburante. La vittoria era stata grande: 3 portaerei giapponesi stavano affondando, mentre le task forces americane erano intatte. Gravi invece le perdite di aerei: la Yorktown aveva perduto tutti gli aerosiluranti tranne uno, più 2 bombardieri e 3 caccia; l’Enterprise 14 bombardieri su 37, 10 aerosiluranti su 14 e un caccia: la Hornet tutti gli aerosiluranti e 12 caccia.
dell’ammiraglio Londo, che scortava la forza anfibia d’occupazione, si metteva su rotta nord a 28 nodi per giungere in aiuto di Nagumo e di Abe. Poco dopo Yamamoto ordinava alle portaerei Junyo e Ryujo, della squadra operante nelle Aleutine, di dirigere per sud e unirsi alla Hiryu, mentre le altre unità dovevano incontrarsi con lui alle 9.00 del 5 giugno per impegnare insieme le forze navali americane. Poco prima di mezzogiorno i radar della Yorktown localizzarono gli aerei giapponesi in avvicinamento. La portaerei americana fece appena a tempo a lanciare 8Wildcats che ebbe addosso gli aerei della Hiryu. Una prima bomba esplose sul ponte di volo, la seconda penetrò nel fumaiolo e scoppiò nelle caldaie, così che la velocità diminuì a 6 nodi per calare ancora sino all’immobilizzo della nave. Una terza bomba esplose nel quarto ponte vicino ai depositi di combustibile. L’isola era in fiamme, tutti gli apparati di comunicazione, di scoperta, di controllo resi inservibili. Fletcher fu costretto ad abbandonare la portaerei e a imbarcare sull'incrociatore Astoria, mentre il Portland cercava di prendere a rimorchio la Yorktown. Spruance inviò in rinforzo alle navi di Fletcher gli incrociatori Vincennes e Penascola e i caccia Benham e Balch. La York-
GRUMMAN TBF AVENGER Cacciabombardiere americano costruito nel 1942. Equipaggiato di un motore Wright Cyclone da 1.700 cavalli. Aveva un’autonomia di 1.950 km, una velocità massima di 436 km/h ed un armamento composto da 3 mitragliatrici da 12,7mm con 725 kg di combe ed un equipaggio di tre persone. a galla sino alle 19.25, poi, con una tremenda esplosione, sprofondò nell’oceano. L’Akagi e la Kaga erano già state colpite, quando 17 Dauntless della Yorktown si gettarono sulla Soryu. Questa aveva sul ponte un gruppo di aerei già pronti per decollare, mentre gli altri velivoli si stavano rifornendo nell’hangar. Gli americani effettuarono due attacchi e tra le 10.25 e le 10.28 centrarono la Soryu tre volte, colpendola nel ponte di volo, nell’hangar, negli ascensori e nelle sovrastrutture. Anch’essa andò in fiamme e alle 10.50 l’equipaggio l’abbandonò. Intanto il sommergibile Nautilus si era infiltrato nella formazione giapponese e avvistata la Soryu in fiamme, tra le 13.59 e le 14.05, la centrò con tre siluri. La portaerei galleggiò sino al tardo pomeriggio continuando a bruciare, poi esplosero i depositi poppieri di carburante avio e la nave si spezzò in due: prima affondò la poppa e verso le 19.20 anche la parte prodiera
Il colpo di grazia Malgrado la perdita delle 3 portaerei, Nagumo decise di attaccare gli americani e dette il comando tattico al contrammiraglio Abe che comandava le corazzate e gli incrociatori della squadra dirigendo sulla Task Force 17: “Avvistata formazione nemica con una portaerei, 5 incrociatori e 6 caccia. Rilevamento 10° 240 miglia da Midway. Dirigiamo su di essa”. Intanto Abe aveva ordinato al comandante della 2a Divisione portaerei, ammiraglio Yamaguchi, sulla Hiryu: “attaccate la portaerei nemica”. Alle 11.00 era già decollato un primo gruppo di 18 bombardieri e 6 caccia e alle 13.31 lasciarono la portaerei 10 aerosiluranti e 6 caccia. Due ricognitori dell’incrociatore Chikuma che avevano localizzato la forza di Fletcher diressero su di essa le squadriglie della Hiryu. Mentre si sviluppava l’attacco alla Task Force 17, la 2a Flotta
town stava per ripristinare 4 caldaie, che le avrebbero permesso di raggiungere una velocità di 20 nodi, quando giunse la seconda ondata della Hiryu con gli aerosiluranti. Erano le 14.30: la portaerei fu messa in mezzo agli incrociatori che svilupparono, con le altre unità della formazione un massiccio fuoco di sbarramento. I giapponesi attaccarono da quattro lati, alle 14.42 la Yorktown evitò 2 siluri, ma altri 2 la centrarono esplodendo dei depositi combustibile e provocando uno sbandamento di 17°, che salì a 26° in meno di 20 minuti. Alle 15.00 parte dell’equipaggio abbandonò la nave. Mentre era in corso l’attacco nipponico alla Yorktown, 10 suoi bombardieri che si trovavano in ricognizione segnalarono alle 14.45 la scoperta della Hiryu con 2 navi da battaglia, 3 incrociatori e 4 caccia, a 110 miglia dal punto dove si trovava la Task Force 17.L’avvistamento fu preso da Spruance che alle 15.30 lanciò
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GIUGNO 2020 sull’ultima portaerei di Nagumo 24 Dauntless levatisi dalla Enterprise, di cui 10 erano appartenuti alla Yorktown. Senza scorta raggiunsero la Hiryu che stava filando a 30 nodi e la colpirono mortalmente con 4 bombe, una delle quali distrusse l’isola, dove trovò la morte l’ammiraglio Yamaguchi. Gli SBD americani lasciarono l’ultima portaerei di Nagumo in fiamme, su cui sganciarono, senza alcun risultato, B.17 dell’USAAF e aerei del Marine Corps, alzatisi in volo da Molokai e da Midway.Alle 3.15, per accelerare la fine, di silurata da 2 caccia, ma scomparve solo alle 9.00. Di quella che era stata la poderosa squadra d(attacco di portaerei, che aveva fatto sentire la sua forza distruttiva dalle Hawaii all’Oceano Indiano, rimaneva ormai solo il ricordo. Dal giorno 4 l’esatta cognizione della situazione era sfuggita al controllo di Yamamoto, che riteneva la flotta nemica battuta, senza aerei e in ritirata. Ma alle 21.30 ricevette un messaggio da Nagumo: “Le forze nemiche comprendono 5 portaerei, 6 incrociatori, 15 caccia e stanno dirigendo verso ovest. Ci stiamo ritirando per nord-ovest a 18 nodi”. Alle 22.50 Nagumo comunicava ancora: “Si stanno dirigendo per ovest 4 portaerei nemiche, 6 incrociatori, 16 caccia. Non abbiamo più portaerei”. Yamamoto dubitò che gli americani potessero avere 4 o 5 portaerei e ritenne le segnalazioni errate. Comunque ordinò a Kondo di raggiungere Nagumo e alle 23.40 la 2a Flotta ricevette l’ordine di prepararsi per uno scontro notturno. Nella notte Yamamoto fece un nuovo apprezzamento della situazione e da nuove informazioni si convinse che gli americani avevano solo 2 portaerei, a cui però egli non poteva opporne alcuna, se non 2 leggere. Cercare quindi la battaglia avrebbe significato tirarsi addosso un violento attacco aereo. Alle 2.55, Yamamoto ordinò la ritirata: il suo grande desiderio di affrontare il nemico, faccia a faccia, era svanito e con la più grande amarezza lasciava dietro di sé 4 portaerei e 250 aerei perduti.
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Le conclusioni di Midway La battaglia di Midway poteva dirsi conclusa se non fosse stato per gli avvenimenti che coinvolsero la 7a Divisione incrociatori dell’ammiraglio Kurita che stava dirigendo per unirsi a Yamamoto. La divisione fu avvistata dal sommergibile Tambor che a sua volta fu scoperto dai giapponesi alle 3.32 del 5 giugno. Le rapide manovre per confondere l’azione del sommergibile provocarono la collisione tra gli incrociatori Mogami e Mikuma che rimasero molto danneggiati: il primo con incendio a bordo e la velocità ridotta a 16 nodi, il secondo con rilevanti perdite di combustibile. Lurita lasciò i caccia a proteggerli e proseguì ad alta velocità con gli altri 2 incrociatori. All’alba del 5 giugno tutta la ricognizione americana era in volo e un PBY avvistò gli incrociatori danneggiati. Una squadriglia di B.17 fu inviata contro di essi, ma non furono avvistati; miglior fortuna ebbero bombardieri a tuffo dei marines, che però non riuscirono a mettere colpi a segno, ma un SB2U Vindicator si andò a infrangere su una delle due torri poppiere del Mikuma, aggravando i danni della nave. Nella mattina del 5 giugno continuarono i movimenti delle due flotte, ma senza che venisse stabilito,alcun contatto. All’alba del 6 la ricognizione dell’Enterprise avvistò il Mogami e il Mikuma e Spruance lanciò contro di essi tre attacchi. Il Mogami fu seriamente colpito, ma potò continuare a navigare. Il Mikuma, dopo il secondo attacco, abbandonato dall’equipaggio, fu di nuovo colpito alle 14.45 durante l’ultimo attacco degli aerei della Hornet. Affondò nella notte. Al tramonto, Spruance apprezzò la situazione: i piloti stanchi dei 3 giorni di combattimento, la necessità di rifornire le navi, il rischio di entrare nel raggio d’azione degli aerei nemici di base a Wake. Ordine quindi di accostare per est e dirigere verso le navi rifornimento. Yamamoto, quando seppe dell’attacco al Mogami e al Mikuma decise di intercettare la task force di Spruance e le sue unità
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seguirono la rotta sud sino alle 7.00, poi diressero per ovest dove erano attese per rifornirsi; su questa rotta fu trovato il Mogami che, danneggiato, venne scortato fino a Truk. Completato il rifornimento, il giorno 8, Yamamoto diresse per rientrare alle basi. La Task Force 17 di Fletcher era riunita intorno alla Yorktown danneggiata – già si era deciso il rimorchio – quando verso le ore 13.00 del 6 giunse in zona il sommergibile giapponese I 168 che, alle 13.30, lanciò contro il grande bersaglio 4 siluri: 2 centrarono la Yorktown, uno colpì il caccia Hamman, che affondò in 4 minuti, e uno fallì. Lo sbandamento della portaerei aumentò e le sue condizioni di galleggiabilità divennero sempre più critiche: il proponimento di riprendere la manovra di rimorchio all’alba del 7 sfumò e alle ore 6.00, con un cupo fragore, la Yorktown si capovolse e affondò. La battaglia di Midway era terminata. Midway fu la prova definitiva dell’importanza assunta dalla portaerei nella moderna guerra navale, essa modificò la dottrina delle operazioni sul mare, trascendendo il concetto tradizionale delle flotte da battaglia schierate l’una contro l’altra a portata delle grandi artiglierie. Il mezzo aereo imbarcato si qualificò come prioritario nelle situazioni tattico-strategiche dove operavano forze navali complesse. Evidente che Midway pose anche in risalto l’importanza delle informazioni, che infatti misero gli americani nelle condizioni di intervenire tempestivamente. Midway fu la prima dura sconfitta del Giappone, quella che dette il segno dell’inevitabile futura conclusione del conflitto. Fu sconfitta tattica e strategica, anche se, eccettuate le 4 portaerei e un incrociatore, la flotta era rimasta intatta e l’operazione delle Aleutine coronata da successo. Ma il colpo di Midway era fallito e la punta di diamante della flotta – portaerei e il valoroso e ben addestrato personale di volo – distrutta. Maurizio Catozzi
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10 giugno 1940: l’Italia fascista è entrata ufficialmente in guerra Il Duce è al balcone di Palazzo Venezia in divisa e ha di fronte un popolo in delirio che lo interrompe continuamente con fragorosi applausi e con grida “Duce!Duce”. “L’Italia proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo…!?
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ombattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno di Albania! Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato, l’esistenza medesima del popolo italiano”. L’Italia è appena uscita dagli anni bui di prima dell’avvento del fascismo. L’analfabetismo, vera piaga nazionale è quasi scomparso. La criminalità organizzata è stata debellata. La mafia scomparsa e esportata negli Stati Uniti. I treni partono e arrivano in orario. Gli italiani si sono guadagnati il sabato libero, sognano la Topolino e cantano…”Se potessi avere 1000 Lire al mese “… Il Papa ha decretato che: Benito Mussolini è l’uomo della provvidenza. Winston Churchill si è lasciato andare questa dichiarazione “ Se fossi italiano, indosserei anch’io la camicia nera “. La bonifica Pontina è un’opera d’arte e i territori da coltivare sono stati riscattati da migliaia di famiglie povere soprattutto del nord-est italiano. In Puglia finalmente c’è l’acqua. Da:”Italiani, Spaghetti e mandolino” che era la considerazione che l’Europa aveva di noi, diventiamo improvvisamente un popolo fiero delle nostre origini, orgogliosi di essere gli eredi dell’Impero romano. L’Italia infatti ora ha anche un Impero coloniale: l’Eritrea (fino al 1941) la Somalia Italiana ( sino al 1941 ) l’Abissinia ( sino al 1941.) la Libia (sino al 1943), l’Albania (sino al 1943), il Dodecaneso (sino al 1943). Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola, tra i Republicanos, comunisti, fortemente appoggiati con uomini, denaro e mezzi dalla Russia in modo particolare e dalla Francia e i Nacionales, guidati da Francisco Franco e supportati dall’Italia fascista e dalla Germania Nazi-
sta che si conclude con la vittoria di questi ultimi nel 1939. Ma l’Italia esce da questo conflitto e da quello coloniale fortemente indebitata, carente di mezzi e povera di materie prime. Mussolini è cosciente di questa situazione e alla richiesta di Hitler nel 1939di entrare in guerra a fianco dell’alleato tedesco, risponde che gli occorrono almeno 2 anni per esserne in grado. Da quel bravo mediatore che ha sempre dimostrato di essere, quando la catastrofe della guerra sembra ormai inarrestabile, poiché la Germania minaccia di invadere la Cecoslovacchia per “liberare” i sudeti tedeschi e vari Stati ordinano la mobilitazione generale, lui indice la conferenza di Monaco il 29 settembre del 1939 e salva nuovamente la pace.. Ma l’Italia é stretta nella morsa del “Patto D’Acciaio”, un accordo tra i governi di Italia e Germania, firmato il 22 Maggio 1939 da Galeazzo Ciano e Joa-
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chim von Ribbentrop. Viene stipulato a Berlino nella Cancelleria del Reich alla presenza dello stesso Hitler e dello Stato Maggiore germanico. Il Patto stringe un’alleanza sia difensiva che offensiva fra i due Paesi. Nello specifico, le parti sono obbligate a fornire reciproco aiuto politico e diplomatico in caso di situazioni internazionali che mettano a rischio i propri interessi vitali. Questo aiuto sarebbe stato esteso al piano militare qualora si fosse scatenata una guerra; i due Paesi si impegnano , inoltre, a consultarsi permanentemente sulle questioni internazionali e, in caso di guerra, a non firmare eventuali trattati di pace separatamente; la durata del trattato è fissata in 10 anni. Il fatto che l’accordo avesse sia carattere difensivo che offensivo, costituiva una sostanziale novità nella storia delle relazioni internazionali, in quanto la durata inusitata e lo sbilanciamento della potenza bellica delle due Nazioni, forniva alla Germania il potere di iniziativa, che comportò la definitiva soppressione dell’autonomia italiana circa la propria politica estera.. Il 23 maggio, tuttavia, il giorno dopo la firma del Patto D’Acciaio, Hitler tenne un consiglio di guerra segreto,: all’ordine del giorno c’era l’attacco alla Polonia. Per i tedeschi, il compito degli italiani doveva essere quello di contenere la reazione di Francia e Inghilterra nel Mediterraneo. Dopo 9 mesi di forzata “non belligeranza” e forti pressioni della Germania a farci onorare la firma del Patto D’Acciaio, Mussolini entra in conflitto al fianco della Germania, nel giugno del 1940. Mussolini era pressato dal Re d’Italia ad entrare in guerra e dagli appartenenti al Gran Consiglio fascista poiché la Germania stava conquistando l’Europa con le armi e a noi sarebbero rimaste solo le briciole. Era pressato anche da Winston Churchill, l’amico Winston Churchill il quale, preoccupato della potenza germanica e, certo di venire occupato, si rivolgeva all’antico amico chiedendogli di
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L’Italia entra in guerra L’entrata in guerra dell’Italia fascista fu l’ultimo atto di una politica imperiale che a tutti i costi voleva allineare il Governo di Mussolini alle altre principalei potenze europee. Il timore di non ripsettare il Patto d’Acciaio con la Germania e di esserne violentemente invasi, distolse il pensiero del Duce ad esaminare più valide alternative e gli fece dimenticare che l’Italia come potenza bellica non sarebbe stata in grado di affrontare una lunga guerra. Sicuramente mal consigliato, il Duce non riuscì a distinguere lo stato reale delle cose dalla propaganda fascista. L’esercito era male amato, senza artiglieria pesante, con carri leggeri che tenteranno una impari difesa ad El-Alamen nel ’42 e subirono la disfatta della campagna russa con una totale assenza di autocarri e mezzi di trasporto. Avevano dieci modelli di camion più o meno affidabili, costruiti da tutte le aziende di allora, Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Bianchi, senza pezzi di ricambi e con produzione assolutamente limitata. Lo stesso accadeva per l’aviazione. Superaereo faceva produrre troppi modelli in scarsa quantità (Fuat CR 42, G 50, Reggiani 2000, 2001, 2002, Macchi 200 e 202) scarsamente armati e lasciati all’eroismo dei nostri piloti a combattere contro flotte dieci volte superiori e meglio armate. Solo dopo il ’43 appariranno i Fiat G55 e il Macchi 205 con motore d’importazione tedesca e un armamento dotato di 4 camioncini da 20 mm. Ma ormai era troppo tardi! Supermarina era forse l’arma che meglio funzionava con le sue corazzate con pezzi da 381 mm (Littorio, Vittorio Veneto, Roma, Duilio) e i veloci incrociatori pesanti da 10.000 tonnellate (Bolzano, Trento, Zara, Pola, Fiume), ma non avevano il radar e non erano addestrati al combattimento notturno. La continua mancanza di carburante ci consentiva azioni limitate sottocosta e con scarsa autonomia e la totale assenza di portaerei ci costringeva alla scorta caccia sempre più contenuta e con relativa efficacia. Il soldato italiano costretto a combattere ne uscì sempre a testa alta e con grande onore anche se isolato.
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La preparazione bellica degli inglesi non era poi migliore della nostra, ma sicuramente erano più preparati ad affrontare una guerra ostile e lunga, grazie ai rifornimenti delle tante colonie, che allora componevano l’impero britannico. Dopo il 1941, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, lo sforzo bellico cambiò e fu solo a favore degli alleati. Le centinaia di navi Liberty, cariche di armamenti risollevarono le sorti del conlfitto. I bombardamenti e la fame fecero il resto. C’è da chiedersi perchè non si sia contemplato di prevedere gli esiti di questi duri anni di guerra (1940-1945), intrappolandoci in un conflitto che si poteva evitare. Sono trascorsi 71 anni da quel fatidico 10 giugno 1940 e tanto è stato scritto, di colpe, di responsabilità e di doveri. Ma poco si è spiegato di quegli anni, prima dalla nascita della Repubblica (1948) di come eravamo trattati dagli inglesi, del piano Marshall che ci salvò dalla disperazione. Di questo le scuole dovrebbero parlare e spiegare sì le colpe di questo popolo, ma anche l’eroismo, la devozione e il perchè di tante decisioni spesso sbagliate, ma che hanno liberato l’idea di un’Italia senza eroi e vinta. Va spiegato alle generazioni future affinchè tanti soldati non siano morti invano e le convinzioni di quegli anni non siano condannate per sempre! Non dimentichiamolo! entrare in guerra a fianco della Germania ed esserne poi il mediatore al tavolo della pace e moderare le richieste di Hitler alle nazioni sconfitte. In entrambi i casi Mussolini avrebbe avuto grosse ricompense territoriali, soprattutto in Africa. Di questo scambio di corrispondenza, ne fu testimone il figlio Romano Mussolini e l’attendente Pietro Carradori, tuttora vivente il quale ha detto di avere accompagnato più volte il capo del Fascismo a incontri segreti con emissari inglesi a Porto Ceresio, presso Varese, poiché sembra certa una trattativa segreta proprio con gli inglesi. Carradori sostiene di essere stato chiamato dal Duce il 25 aprile 1945, il quale estrasse una borsa di cuoio marrone e gli disse queste precise parole: Carradori, tutto potete abbandonare, meno questa borsa. Qui dentro ci sono i destini d’Italia. Il 27 aprile Mussolini fu arrestato dai partigiani i quali diventano testimoni del carteggio e Mussolini disse al partigiano Bill (Urbano Lazzaro): “ guarda che questi documenti sono molto importanti per il futuro d’Italia” Servizi segreti, diplomatici, addirittura l’ambasciatore inglese in Italia: non si contano le operazioni messe in piedi per recuperare le carte di Mussolini, con le buone o le cattive. Churchill stesso venne nel nostro Paese più volte e compì ogni e qualsiasi operazione possibile per tornare in possesso dei carteggi. Mussolini è fortemente preoccupato. Non ha nessuna fiducia in Hitler che considera un pazzo (come risulta dai suoi diari appena pubblicati da un noto quotidiano), maledice il momento che Ciano ha firmato il Patto
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D’Acciaio senza consultarsi con lui e non riesce a sottrarsi alle responsabilità che tale Patto comporta. Confida al figlio Romano le Sue perplessità sulle decisioni da prendere e analizza le possibilità: è da escludere un accordo con Francia e Inghilterra perché tutti i tentativi sono naufragati, pare anzi che non si rendano conto della catastrofe che stà piombando addosso al mondo intero. La neutralità sul tipo della vicina Svizzera non è possibile perché legati al Patto D’Acciaio e per la posizione strategica che l’Italia oc-
cupa nell’Europa (una portaerei nel Mediterraneo) la reazione della Germania che si sentirebbe tradita sarebbe l’Apocalisse per un popolo, quello italiano assolutamente impreparato a resistere ad una tale forza d’urto. La terza e ultima possibilità è quella di unirsi all’alleato germanico che stà vincendo e conquistando l’Europa intera, nella speranza che il nostro debole aiuto serva se non altro a fare terminare anzitempo il conflitto e sederci al tavolo della pace dalla parte dei vincitori. Col senno del poi… Gabriele Fabbri e Maurizio Catozzi
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22 giugno 1941, attacco alla Russia Nonostante quello che Hitler aveva fatto pensare e l’alleanza con Stalin, venne sferrato l’attacco alla Russia senza alcun preavviso, aprendo un altro fronte. Gravi errori strategici e il sopraggiungere di un rigido inverno portarono alla disfatta dei tedeschi dopo due anni di guerra
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invasione nazista dell'Unione Sovietica fu con ogni probabilità l'evento più rilevante di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Nonostante il cinico patto siglato tra Ribbentrop e Molotov, Hitler aveva sempre diffidato di Stalin e il Comunismo era sempre stato considerato come l'autentico nemico ideologico del Nazismo. Hitler aveva bisogno di territori a est per soddisfare la sua voglia di I^ebensraum e inoltre vi erano ragioni prettamente strategiche per un'invasione. Nel giugno del 1940, le truppe di Stalin erano entrate in Romania per riprendere il controllo della Bessarabia, una provincia che in passato era stata russa: l'Armata Rossa era pericolosamente vicina ai campi petroliferi rumeni, sui quali Hitler aveva fondato tutta la sua strategia di un'avanzata verso est. L'appoggio rumeno alla Germania nel quadro delle operazioni contro l'URSS si basò sulla promessa fatta da Hitler di restituire al Paese la provincia
occupata, una volta cacciati i Russi. Comunque, il Fuhrer dovette dapprima vincere i timori di molti dei suoi generali: d'altra parte, la disfatta subita da Napoleone in Russia era una delle lezioni fondamentali di ogni accademia militare. Hitler riuscì a convincerli che l'invasione sarebbe stata una manovra per giocare d'anticipo, poiché presto o tardi Stalin avrebbe ordinato alle sue "orde di barbari" di marciare verso ovest. Se l'esercito tedesco fosse riuscito ad annientare l'Armata Rossa in tempi brevi e a occupare le principali città sovietiche, insistette, i Russi non sarebbero più stati in grado di ricompaginarsi e avrebbero dovuto arrendersi. Il Fuhrer, inoltre, persuase i suoi generali dell'assoluta supremazia della macchina bellica germanica: dopo tutto, avevano ben visto con i loro occhi i danni che i soldati finlandesi, pur modestamente equipaggiati, erano riusciti a infliggere ai Russi. Da parte sua, Stalin era completamente imprepa-
rato. Molti dei suoi migliori generali erano già stati eliminati durante le "purghe" degli anni Trenta ed egli inoltre aveva deliberatamente ignorato le dettagliate informazioni che gli erano state inviate dalla spia Richard Sorge, che operava a Tokyo, dove gli ufficiali nipponici erano al corrente dei preparativi tedeschi. Il leader sovietico aveva presupposto che Hitler non l'avrebbe assalito fintanto che non fosse riuscito a conquistare la Gran Bretagna; gli Inglesi, da parte loro, non diedero retta a un pronostico assolutamente azzeccato sulla data dell'attacco alla Russia. L'Operazione Barbarossa ebbe inizio il 22 giugno 1941, il giorno prima dell'anniversario dell'invasione napoleonica del 1812. Oltre 3.000.000 di uomini, 7100 pezzi d'artiglieria e 3300 mezzi corazzati vennero schierati su un fronte di 1500 chilometri. Non vi fu alcuna dichiarazione di guerra. Il generale Wilhelm Ritter von Leeb guidò il gruppo di armate nord ver-
Agosto 1941: una colonna corazzata tedesca nei pressi di Minsk.
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La distruzione di Riga, capitale della Lettonia.
In questa foto: un soldato tedesci a Kiev. Sotto, destra: due donne russe osservano la loro casa data alle fiamme dai tedeschi. Sotto, a sinistra: un soldato tedesco impegnato in un’operazione “cerca e uccidi” in un villaggio russo.
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so la Lituania, il gruppo centrale ai comandi del generale Fedor von Bockstruck avanzò attraverso la Polonia in direzione di Mosca e il generale Gerd von Rundstedt volse il gruppo sud contro l'Ucraina. Secondo i piani, l'Armata Rossa doveva essere intrappolata nel cuore della Russia da un gigantesco movimento a tenaglia. "Oggi, ancora una volta, ho deciso di riporre il destino e il futuro del Reich e del popolo tedesco nelle mani dei nostri soldati", annunciò Hitler. "Possa Dio essere con noi, soprattutto in questa battaglia". La Luftwaffe bombardò cinque città e colpì 66 aeroporti russi. Da quando Stalin aveva dato ordine che non venisse presa alcuna precauzione contro eventuali attacchi, in modo da non provocare l'aggressione nazista, i velivoli erano schierati sulle piste ala contro ala: così, l'aviazione russa nel settore occidentale fu distrutta al
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suolo. Stalin era sconvolto e nella disperazione prese addirittura in considerazione l'idea di chiedere la mediazione dei Giapponesi. Da Mosca non giunse alcuna direttiva esplicita - perfino l'ordine di rispondere al fuoco impiegò quattro ore per essere inviato - e la Russia stalinista non era certo il posto dove la gente potesse sentirsi incoraggiata a prendere iniziative personali. La mobilitazione delIn questa foto: una colonna corazzata russa in fiamme. Sopra: prigionieri russi, faccia a faccia con un futuro di privazioni e lavori forzati.
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le forze armate, forti di 15 milioni di effettivi, cominciò il giorno dopo l'inizio dell'attacco. Il primo villaggio russo conquistato dai Nazisti, Slochy, venne dato alle fiamme dalle SS e l'intera popolazione fu passata per le armi, a dispetto delle proteste sollevate dal comandante di una delle unità corazzate tedesche. Il 26 giugno, la Finlandia decise di riaprire le ostilità contro l'Unione Sovietica, a
fianco dei Tedeschi; il giorno dopo fu imitata dall'Ungheria. Preso dalla disperazione, Stalin si isolò del tutto per ben 11 giorni. Riapparì in pubblico solo il 3 luglio, per indirizzare un discorso al popolo russo, lasciando allibiti gli ascoltatori mentre, con il suo forte accento georgiano, si rivolgeva loro definendoli "amici" e appellandosi non ai principi del Comunismo, ma al loro sentimento di amor patrio. Inoltre, per rassicurare gli uomini dell'Armata Rossa del fatto che non intendeva abbandonarli, si autonominò comandante in capo delle forze armate. Intanto, Hitler si era trasferito nel quartier generale approntato a Rastenburg, la cosiddetta "Tana del lupo": da questa località della Prussia orientale, situata in una zona acquitrinosa infestata dalle zanzare, il Fuhrer avrebbe condotto le operazioni di guerra durante i tre anni successivi. La formidabile manovra di accerchiamento guidata dal generale Bock attorno a Minsk annientò le divisioni sovietiche e i Tedeschi fecero quasi 300.000 prigionieri. Come riferì un testimone oculare che aveva visto condurre i soldati russi verso i campi di prigionia, sembrava che "tutte le miserie del mondo si fossero concentrate proprio lì". I prigionieri russi avevano buone ragioni per dubitare della propria sorte: entro la fine della guerra, infatti, ben due milioni di essi sarebbero stati eliminati o sarebbero morti d'inedia o per le malattie. Tuttavia, al di là dei loro strepitosi successi, i generali tedeschi commisero degli errori. Innanzitutto, la loro rapidissima avanzata aveva reso assai difficili i rifornimenti, a causa delle enormi distanze che i convogli dovevano
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Qui a destra: un bombardiere in picchiata Ju.87 Stuka si accinge a colpire una città russa. In alto, a destra: alcuni ufficiali tedeschi osservano divertiti un partigiano russo appena catturato, nell’estate del 1941. Sotto: un aereo tedesco decolla dalla Finlandia. coprire ogni volta. Inoltre, le divisioni tedesche avevano dovuto fermarsi alle porte di Leningrado, in attesa di ricevere ordini su dove concentrare l'attacco: gli abitanti ebbero così il tempo di trasformare la metropoli in una fortezza. Nell'Alto Comando tedesco, infine, non albergava la concordia. Il generale Heinz Guderian, comandante delle forze corazzate, voleva spingersi ancora avanti e prendere Mosca, ma Hitler intendeva conquistare dapprima le zone industriali del sud. "I miei generali non capiscono nulla dell'aspetto economico di un conflitto", sentenziò al proposito. Il 23 agosto, già febbricitante a causa dell'atmosfera insalubre della Tana del Lupo, un Fuhrer a dir poco esasperato diede ordine che il suo piano venisse immediatamente attuato: il gruppo centrale dovette dividersi verso nord e verso sud e sospendere l'assalto su Mosca fino a data
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da definirsi. Nel frattempo, Stalin prese una decisione particolarmente ispirata, affidando al generale Georgj Zhukov la difesa di Leningrado. Zhukov vinse la prima fase della battaglia, quella dello scontro diretto fra le due forze in campo, e preparò la città a sostenere un assedio che sarebbe stato rotto solo nel 1944: un assedio che, pur essendo costato la morte per inedia di oltre un terzo degli abitanti, tenne in effetti impegnata una gran parte della Wehrmacht. Nella Russia meridionale, l'avanzata tedesca era stata molto più decisa. Sebbene il generale von Rundstedt si fosse trovato a dover fronteggiare un esercito di oltre un milione di uomini, la capacità difensiva dell'Armata Rossa era stata seriamente minata dal rifiuto di Stalin verso qualsiasi forma di ripiegamento strategico. Un'ennesima, imponente manovra a tenaglia concertata tra le divisioni del generale Guderian e quelle del generale Paul von Kleist stritolò nel mezzo la città di Kiev; prima ancora che la Wehrmacht avesse terminato di occupare la Crimea e l'Ucraina, un altro milione di soldati russi fu fatto prigioniero. Comunque, sotto certi aspetti i Russi sta-
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In alto a sinistra: un carro armato russo BT-7 abbandonato. Al centro, a sinistra: il generale Georgj Zhukov. Qui sopra: un villaggio russo in fiamme. A sinistra: vittime civili nelle strade della città di Minsk. Nell’altra pagina, al centro: cattura di soldati russi da parte dei nazisti vano iniziando a riorganizzarsi. Mentre si ritiravano, applicando la celebre tattica della "terra bruciata" avevano fatto il deserto alle loro spalle. Come aveva ordinato Stalin, "non una locomotiva, non un camion, non un tozzo di pane, né un litro di benzina" dovevano essere lasciati al nemico. Intanto, interi battaglioni di soldati sospettati di codardia venivano fucilati e commissari politici speciali furono inviati tra le truppe per rafforzare la disciplina. Persino lamentarsi di un congelamento era un atto di vigliaccheria duramente punito. Dietro le linee nemiche, inoltre, gli attacchi dei partigiani stavano mettendo seriamente in difficoltà le linee di rifornimento tedesche. Un'intera sezione delle infrastrutture militari sovietiche era. stata distrutta, ma la Russia è un Paese enorme. Sotto la codirezione del futuro premier russo Alexej Kosygin, l'apparato produttivo industriale della nazione fu spostato a est e
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Bombardieri Stuka nel cielo della Crimea
ben presto molte industrie furono rimesse in funzione. A partire dall'anno successivo, ogni mese sarebbero usciti dalle catene di montaggio 3000 aeroplani e 2000 carri armati. Quando ebbe saputo dell'Operazione Barbarossa, Churchill si mosse molto rapidamente. "Noi abbiamo un solo scopo e un unico, irrevocabile proposito" -disse - "Siamo risoluti a distruggere Hitler e qualsiasi vestigia del regime nazista. Ne consegue che daremo tutto l'aiuto possibile alla Russia e al popolo russo". Il quadro degli aiuti comprendeva la quotidiana decrittazione dei messaggi cifrati tedeschi, i cui codici erano stati decifrati dagli esperti inglesi
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A sinistra: soldati tedeschi, duramente provati durante l’avanzata, attendono la consegna del rancio. In questa foto: un blocco stradale tedesco, formato da un cannone anticarro e un cannone semovente. Sotto, a sinistra: truppe naziste nei dintorni di Kiev.
il 27 giugno, e l'invio dei testi in chiaro all'Alto Comando sovietico. L'alleanza tra Churchill e Stalin fu inconsueta almeno quanto lo era stata quella tra Stalin e il Fuhrer. "Se Hitler avesse deciso di invadere l'Inferno," - disse il leader inglese - "ora dovrei quanto meno a presentare favorevolmente il Diavolo alla Camera dei Comuni". Stalin aveva invocato un appoggio fin dall'inizio delle operazioni tedesche e anche se gli Inglesi si rifiutarono di aprire un secondo fronte in Europa in questa difficile fase del con-
flitto, lord Beaverbrook (che era anche Ministro dei Rifornimenti) - pur messo a dura prova dall'opposizione dell'esercito - prese accordi per dirottare in Russia alcuni degli aiuti americani. Il 28 settembre il primo convoglio artico lasciò l'Islanda diretto verso Arcangelo, il grande porto russo sul Mar Bianco: in breve, i convogli inglesi e americani avrebbero rifornito l'Unione Sovietica di enormi quantità di materiale bellico (tra cui 600.000 paia di stivali al mese). La stessa Clementine Churchill, moglie del
premier, lanciò una campagna nota come Aid for Russia, ossia "Aiuto alla Russia". L'appoggio all'URSS fu rafforzato dai resoconti delle atrocità commesse dai Nazisti nei territori occupati, così come dall'affermazione di Churchill, il quale aveva detto che: "Dai tempi dell'invasione mongola in Europa, nel XIII secolo, non si era mai risto un massacro su vasta scala così metodico e spieiato". Non si trattava di esagerazioni: in ogni città occupata si erano registrati massacri di Ebrei, cui non di rado avevano par-
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Soldati tedeschi attraversano il Don.
tecipato i fascisti locali. Ad agosto, nell'arco di appena tre giorni, ne furono uccisi oltre 23.000 nella sola Kamenec-Podol'skij, in Ucraina; il 22 ottobre, almeno 25.000 furono rinchiusi in quattro enormi magazzini e quindi bruciati vivi. Il brutale trattamento riservato alla popolazione civile dai Tedeschi alienò loro le simpatie di qualsiasi potenziale alleato, quali erano stati tutti quei Bielorussi e Ucraini che - in odio al sistema sovietico - avevano di primo acchito accolto gli invasori con fiori, baci e vodka. Entro la fine del settembre 1941, le armate naziste erano pronte a riprendere la loro avanzata su Mosca. I giornalisti tedeschi furono invitati a preparare gli articoli che avrebbero celebrato la caduta della capitale russa. "Il nemico è sconfitto e non potrà mai più rialzare la testa", proclamò il Fuhrer in un discorso pubblico. Di certo non per la prima volta, aveva parlato troppo presto. Era pur vero che almeno otto armate sovietiche erano state annientate mentre tentavano di difendere Mosca, ed era vero anche che folle di civili terrorizzati avevano cercato
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di abbandonare la città; tuttavia, sebbene il Governo fosse stato trasferito a Kujbyshev, una cittadina della Siberia occidentale, Stalin era rimasto per ricevere il saluto delle truppe in parata, durante le celebrazioni della Rivoluzione d'Ottobre. Nel frattempo, 500.000 civili avevano scavato 800 chilometri di trincee tutto attorno alla metropoli. L'attacco tedesco esaurì lo slancio. Quel che era peggio per Hitler, l'inverno stava arrivando: a novembre, la temperatura nei dintorni di Mosca era già scesa a oltre 10°C sotto zero. Persino il carburante gelava e gli equipaggi dei panzer dovevano tenere acceso un fuoco sotto i loro mezzi per almeno quattro ore, prima di poter avviare i motori. Per di più, ora dovevano fare i conti con il nuovo carro armato russo, il T-34, ben protetto, pesantemente armato e piuttosto agile. Il generale Zhukov, inoltre, aveva ricevuto 25 divisioni di rinforzo, giunte dal le regioni più orientali del Paese; a sud, intanto, l'Armata Rossa aveva riconquistato Rostov. Da parte di Hitler sarebbe stato ragionevole ritardare l'avanzata su
Mosca fino al ritorno della bella stagione, ma dal momento che aveva già annunciato la vittoria, temette una grave débàcle a livello propagandistico. Così, ordinò alle sue truppe di spingersi avanti. I Tedeschi raggiunsero la più esterna delle stazioni di testa dei tram moscoviti il 2 dicembre: in lontananza erano visibili le cupole del Cremlino. Tre giorni più tardi, Zhukov ordinò la controffensiva e le riserve strategiche del maresciallo Saposnikov si avventarono contro la Wehrmacht. Determinato a non correre i rischi di una ritirata attraverso le enormi distese gelate della Russia, Hitler ordinò ai suoi uomini di mantenere le posizioni. Per molti di loro, le conseguenze furono disastrose: a migliaia morirono di congelamento o furono sopraffatti quando le loro armi si incepparono per il freddo. Poco prima di Natale, un Hitler sconvolto dalla collera sollevò dal compito tutti i comandanti dei gruppi di armate in Russia e si proclamò comandante in capo dell'esercito tedesco. Maurizio Catozzi
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La scomparsa di Giorgio Nada
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a scomparsa di Giorgio Nada, avvenuta in questo particolare momento, mi ha fortemente commosso e rattristato pertanto intendo ora ricordarlo soprattutto quando era giovane all’inizio della sua attività, con la Libreria dell’Automobile situata in Milano, Via Hoepli. Personalmente io, già da ragazzino ero appassionato delle automobili e dei mezzi di trasporto in genere, prima collezionando depliant, Esso Junior e riviste, poi con il Club delle Quattroroutine. Era la prima metà degli anni Sessanta quando fu il mio primo ingresso nella Libreria dell’Automobile per ricercare un libro del settore in lingua inglese, introvabile nelle altre librerie quindi l’incontro con Nada; Giorgio mi fece da guida lungo gli scaffali, con i libri ber ordinati, trovare quel libro fu la mia sorpresa fulminante. Appresi in tale occa-
sione che oltre ai libri, quel piccolo negozio, era anche un significativo luogo di incontro dei pionieri della storia dell’automobile. In Italia, in quel periodo erano ancora in pochi gli appassionati delle così dette, per il grande pubblico, “Vecchie carrette”; la libreria specializzata di Via Hoepli, incominciava a diventare per tutti gli interessati, di giorno in giorno, un punto focale d’incontro dove poter trovare i libri sui mezzi di trasporto per approfondire le conoscenze sugli albori dell’automobilismo, all’epoca con i più significativi in lingua inglese. Grazie alla convivialità con i famosi “cocktail di presentazione dei nuovi libri” si favoriva lo scambio di opinioni con i pionieri della storia dell’automobilismo, sempre presenti. I miei ricordi di incontri avvenuti vanno da Giovanni Canestrini, Luigi Fusi, Brizio Pignacca, Carlo Feli-
ce Zampini Salazar, Giovanni Cavara con le sue favolose “Auto ai raggi X” e Angelo Tito Anselmi con i nostri lunghi e proficui colloqui dove venivano analizzati dai nostri diversi punti di vista, lo stile ed i particolari delle auto nonché gli usi e costumi presenti nelle fotografie se inserirli o meno nel contesto della raffigurazione del modello, giungendo poi alla comune condivisione. Riprendendo la figura di Giorgio Nada, libraio ed editore, la ricorderò sempre, oltre che per le Sue capacità, passione, istinto, rigore, selezione, competenza, particolarmente anche per la Sua pazienza, dote molto importante per la miglior riuscita di un’opera storica dove bisogna dare il massimo per una sua completezza. Giorgio Nada sarà sempre ricordato nel campo della cultura dei mezzi di trasporto per il Suo grande contributo destinato a durare nel tempo e continuare anche con le generazioni future. Sergio Puttini
Poesia per le autostoriche ai tempi del Covid Passione o mania? Il suono dei motori l’ho sempre in testa fin da piccolo la mia passione era questa trovare qualsiasi aggeggio che faceva rumore d’attaccare alla bicicletta per sembrar motore crescendo anche con gli anni le idee facevan start e da un tubo curvato nasceva subito un kart seguiva un motorino dopo l’altro sempre sparviero e con tanta fantasia il motore andava davvero arrivarono i diciott’anni e di moda era la Seicento e con essa mi sembrava di volare come il vento seguirono diverse marche e modelli ma per diletta la grande soddisfazione la ebbi con la Giulietta tanti e tanti anni ormai sono passati e questi miei ricordi si sono allietati con una variegata collezione di auto che soddisfano la mia passione
quando ne trovi una certamente poi non basta e continui a cercarne di nuovo un’altra questo coronavirus ha spento un po’ la mania ma appena finira’ sara’ di nuovo partenza e via finche’ quest’anno ai quarant’anni della panda non ho resistito dal salvarla da una condanna quando una mattina l’ho vista uscire dal corsello rincorsi il prorpietario e come uno zimbello lo richiamai all’ordine…si fermi...dove va? Questa macchina deve rimanere ancora qua non e’ dallo sfasciacarrozze la sua destinazione ma a casa mia con l’altra collezione perche’ in sardegna fu disegnata e nel continente poi realizzata io questa auto la desidero conservare e con me in sardegna la voglio riportare! Aurelio da Carla
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Giorgio Nada, l’imprenditore con la passione per i motori
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l 6 maggio scorso è scomparso l'Editore Giorgio Nada. Noi che con lui abbiamo lavorato, o per meglio dire, vissuto quotidianamente per oltre vent'anni in Casa editrice e non solo, lo abbiamo chiaro negli occhi, oggi, seduto dietro alla sua scrivania a definire un contratto, a far quadrare un conto economico, a discutere - spesso con la fermezza dell'imprenditore ma sempre con l'eleganza e la cordialità del gentiluomo - con autori, giornalisti e con gli interlocutori che in tanti anni di carriera si sono presentati nel suo ufficio, prima nel pieno centro di Milano, poi a Vimodrone, sede attuale della Casa editrice. Davanti a quella scrivania ci siamo spesso seduti anche noi e da quella "prima fila", da quella prospettiva privilegiata, abbiamo imparato negli anni - a conoscere un uomo animato da autentica passione e dedizione per il proprio lavoro, un uomo che amava il confronto, la dialettica, sempre in ascolto, pronto a dar luce verde, senza troppi preamboli, ad un progetto editoriale che lo aveva convinto da subito, ma anche a perseguire un libro che forse il "mercato" avrebbe mal digerito, ma che a lui piaceva e quindi andava fatto. Giorgio Nada, l'Editore del mondo dei motori, a quattro e a due ruote, per antonomasia, l'uomo che aveva iniziato il suo percorso professionale gestendo una libreria in via Ulrico Hoepli a Milano, come dire, la via che reca il nome di uno fra gli Editori più illuminati di sempre, ha avuto grande coraggio per puntare, alla fine degli anni Sessanta, su un settore come quello dell'editoria motoristica che, all'epoca, più di nicchia non poteva essere. Almeno in Italia, l'auto d'epoca stava muovendo i primi passi, ma il futuro Editore, che per diversi anni aveva già avuto l'opportunità di vivere a Londra, in una realtà dunque permeata sin dentro il midollo di cultura automobilistica, guarda avanti con quella tenacia e determinazione tutta piemontese - lui nativo di Alba - intuendo che per il nostro Paese sarebbe stata solo questione di tempo. Così, nel 1970, esattamente 50 anni fa, trasferisce la Libreria dell'Automobile in corso Venezia - al pianterreno del palazzo che ancora oggi è sede dell'Automobil Club di Milano - divenendone a tutti gli effetti il gestore, per poi rilevarla tre anni più tardi. Da quel momento, il civico 43 (oggi 45), diventa meta per generazioni di appassionati che fra quegli scaffali - e solo lì - possono trovare tutto quanto proposto dall'editoria motoristica del tempo. Ma Giorgio Nada non si ferma e nella seconda metà degli anni Settanta capisce che i tempi sono ormai maturi per veicolare attraverso la Libreria titoli che rechino sulla copertina il logo della Libreria stessa. Le E-
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dizioni della Libreria dell'Automobile diventano, in breve, un must. "Moto Guzzi", "Isotta Fraschini", sono alcuni dei primi soggetti editi, ma poi, nel 1987, è tempo di scorporare l'attività prettamente editoriale da quella di vendita, con la nascita di Giorgio Nada Editore. La sfera armillare e il nome in maiuscolo, inscritto fra due sottili bande color verde acqua, impiegano poco a diventare a tutti gli effetti un "marchio" sinonimo di cultura, competenza e - di nuovo - passione, per il mondo dei motori a 360 gradi. L'esiguo spazio di un comunicato impedisce di rendere giustizia a tutti i titoli che sono usciti da allora ad oggi: storie di Case automobilistiche e motociclistiche, libri ufficiali per celebrare ricorrenze e anniversari, monografie su piloti, ma anche trattori storici, veicoli speciali e altro ancora. Proprio lo scorso anno, assieme all'Editore, avevamo "tirato una mano di conti", scoprendo di aver traggiunto le 1000 pubblicazioni: bastava incrociare il suo sguardo per capire l'enorme soddisfazione del-
l'uomo e dell'imprenditore. Quello stesso imprenditore che, negli anni, ha acquistato e conservato importanti archivi fotografici, oggi patrimonio imprescindibile per la Casa editrice, a conferma, ancora una volta, della sua lungimiranza e passione per questo mondo. Per noi, ripercorrere oggi queste tappe non vuole essere una fredda ricapitolazione quanto la ricostruzione di un percorso umano, professionale e imprenditoriale che non si ferma, proponendosi come mission quella di proseguire nel prolifico solco tracciato dal fondatore, che poi è il modo più autentico per rendere davvero omaggio al "nostro" Editore. Grazie a tutti coloro - e sono stati tantissimi, in Italia e nel mondo - che hanno sinceramente dimostrato affetto, amicizia e attaccamento all'uomo e alla sua creazione in questo difficile frangente. Lo staff della Giorgio Nada Editore e della Libreria dell'Automobile
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Ricordando Tiziano Rossi
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mancato recentemente Tiziano Rossi. Era nato il 28 maggio 1951 a Camaiore da famiglia benestante. Suo padre era un brillante imprenditore nel campo della demolizione, che amava occuparsi in particolar modo del mondo delle vetture. Del resto la grande passione per le quattro ruote ha sempre costituito un punto fermo per la famiglia Rossi. Di conseguenza Tiziano
fin da piccolo ha avuto nel sangue i motori, a tal punto da trasformarli in corse alla James Dean in Versilia, pure a marcia indietro. Nel corso del tempo, dopo aver cavalcato la Versilia negli Anni Ruggenti e la Costa Azzurra, è diventato un abile e competente venditore di auto e moto nel suo salone in piazza 29 Maggio a Camaiore. In seguito è riuscito a conciliare il lavoro con la volontà di dare lustro alle auto d'epoca, facendole diventare protagoniste di eventi culturali, dimostrando così anche la sua profonda cultura in ambito artistico, che spaziava dall'architettura alla letteratura. Tra tutte le iniziative promosse da Rossi spicca il Trofeo Biondetti. Merita, infine, ricordare che Tiziano ha contrassegnato le sue manifestazioni legandole all'ambito sociale, collaborando per esempio con Fondazione Milano Sforzesco, Fondazione ospedale Meyer, Avis Empoli. La Redazione
Il motorismo storico riparte dopo l’emergenza
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l DPCM del 26 aprile ha stabilito la riapertura di molte attività connesse al settore del motorismo storico. Una ripartenza molto attesa, perché il sistema automotive è stato duramente colpito dall’emergenza Covid-19 e dal conseguente “lockdown” che dal 9 marzo ha bloccato l’intera filiera. Il motorismo storico rientra in questo comparto con una sua specifica nicchia, che in Italia vale 2,2 miliardi di euro all’anno di indotto economico, occupa su tutto il territorio nazionale decine di migliaia di imprese piccole, medie e grandi, con migliaia di maestranze di elevata professionalità riconosciuta, e che rappresenta, insieme all’arte, all’alta moda e all’enogastronomia di qualità, una delle eccellenze italiane più apprezzate nel mondo. E’ motore di un importante indotto anche legato al turismo per le migliaia di iniziative promosse su tutto il territorio nazionale che attraggono molti appassionati anche dall’estero. Nella prima metà del 2020 il settore ha perso oltre mezzo miliardo di euro di giro d’affari. Il 75% di questo valore - pari a 375 milioni di euro - si riferisce agli operatori del settore come artigiani, commercianti, micro e piccole imprese che si occupano di gestione, ma-
nutenzione, restauro e produzione di parti specifiche per i veicoli storici: attività che in regime di “lockdown” hanno ridotto del 70% la loro operatività. Oltre alla chiusura delle attività si è registrato l’annullamento di tutte le manifestazioni e degli eventi associativi e ricreativi di ogni tipologia - dai raduni di club ai saloni - con ulteriori ricadute negative sull’economia ad essi collegata. Questa rappresenta il restante 25% dell’indotto complessivo generato ogni anno dal motorismo storico, con altri 125 milioni di euro che avrebbero alimentano, in particolare, il comparto turistico. A questo si aggiungono anche i comparti “heritage” delle case automobilistiche che nel settore hanno investito importanti risorse e riconvertito interi ambiti produttivi. “Tante famiglie italiane – sottolinea il presidente dell’Automotoclub Storico Italiano, Alberto Scuro – vivono di motorismo storico grazie ad attività che operano nel settore, altamente specializzate e tramandate di generazione in generazione. Finalmente, con il DPCM del 26 aprile si è fatto un primo, essenziale passo per la ripresa del comparto. Ancora una volta, le istituzioni si sono dimostrate molto sensibili a ciò che rappresenta il mo-
torismo storico per l’Italia in termini sociali, culturali ed economici. In primis i Ministeri competenti (Beni e Attività Culturali, Turismo, Trasporti e Infrastrutture) e soprattutto la Cabina di regia Benessere Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in seno alla quale è stato istituito un apposito tavolo di lavoro con l’obbiettivo di collaborare su temi di interesse nazionale e su normative di specifica attinenza per sviluppare progetti e iniziative. Con la stessa Cabina di regia abbiamo anche attivato la raccolta fondi “Insieme per fermare il Covid”, perché una realtà come l’Automotoclub Storico Italiano che è un ente morale la cui attività si basa sul volontariato e rappresenta oltre 150.000 tesserati non poteva rinunciare a promuovere il proprio esempio e restare ferma in questa difficile situazione: l’associazionismo è un modello di sviluppo virtuoso e irrinunciabile per il sistema Paese. Abbiamo voluto esprimere il nostro senso di responsabilità e di vicinanza alle Istituzioni e alla popolazione con azioni sociali concrete attuate in sinergia con realtà dell’importanza della Cabina di regia, di ANCI e di Unicef.” Luca Gastaldi
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ASI interviene sul “documento unico”: no alla distruzione dei documenti originali dei veicoli storici
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a carta di circolazione e il certificato di proprietà rappresentano un “corredo” importante per i veicoli di interesse storico e collezionistico. Parte della loro memoria, infatti, è conservata e tramandata da questi documenti, che sono anche testimoni dell’evoluzione di pratiche burocratiche per la gestione dei veicoli. Con l’avvio, il 4 maggio, della seconda fase di attuazione del decreto legislativo 98/2017 in materia di rilascio del Documento Unico di circolazione e di proprietà tutti i documenti cartacei sono destinati alla distruzione. Infatti, le nuove procedure telematiche prevedono la totale digitalizzazione delle istanze e della documentazione a corredo, con conseguente necessità di dematerializzare la documentazione nativa cartacea. L’Automotoclub Storico Italiano sta intervenendo nelle sedi competenti per modificare tale procedura e per salvare questa componente fondamentale di “memoria storica” legata ai veicoli più datati. La seconda fase di attuazione del suddetto decreto ha come oggetto i motocicli e le autovetture in uso proprio e prevede l’utilizzo delle sole procedure telematiche per il rilascio del Documento Unico nei casi di: cancellazione dei dati inerenti l’intestazione temporanea di veicoli a nome di soggetto diverso dall’intestatario (mini volture dei commercianti); sottrazione, smarrimento, distruzio-
ne (cessata circolazione e demolizione per esportazione) e deterioramento dell’originale. Per i suddetti casi, dal 4 maggio è quindi previsto l’obbligo della gestione telematica, mentre tale procedura rimane facoltativa fino al 31 maggio per le operazioni di immatricolazione, di nazionalizzazione, di reimmatricolazione e di trasferimento della proprietà. Dal 1° giugno, quindi, anche con i semplici passaggi di proprietà tra privati si assisterà alla distruzione dei documenti originali cartacei se nel frattempo non verranno modificate le procedure, magari con deroghe specifiche per i veicoli di interesse storico e collezionistico sulle quali sta intervenendo ASI. Secondo le ultime disposizioni ministeriali, la definitiva applicazione del Documento Unico e della procedura telematica per ogni istanza dovrà avvenire entro il 31 ottobre 2020. “Prima che scattasse l’emergenza Covid-19 – ricorda Alberto Scuro, presidente dell’Automotoclub Storico Italiano – era stato avviato un tavolo di lavoro con la Direzione Generale della Motorizzazione per la risoluzione di tutta una serie di problematiche legate ai veicoli di interesse storico e collezionistico, in particolare le revisioni periodiche dei veicoli ante 1960 e di quelli centenari. Ora si è aggiunta la tematica del Documento Unico con la prevista distruzione dei documenti originali cartacei: un danno e-
norme per i veicoli storici e per scongiurarlo abbiamo già inoltrato le nostre proposte, che sarebbero di semplice ed immediata attuazione”. A norma dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 98/2017, il Documento Unico è costituito dalla carta di circolazione, redatta secondo le disposizioni contenute nella direttiva 29 aprile 1999, n. 1999/37/CE del Consiglio, nella quale vengono annotati i dati relativi alla situazione giuridico-patrimoniale degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi iscritti al PRA in quanto assoggettati al regime dei mobili registrati ai sensi delle vigenti disposizioni contenute nel codice civile. Competente al rilascio del DU è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in quanto “centro unico di servizio”, attraverso i propri Uffici periferici della Motorizzazione Civile e gli Sportelli Telematici dell’Automobilista. Il DU ha validità di certificazione dei dati in esso contenuti, fermo restando che per i dati relativi alla proprietà e alla locazione finanziaria dei veicoli la responsabilità è in capo ad ACI, che è tenuto a validarli ai sensi dell’art. 1, comma 2, let. c), del d.l.vo n. 98/2017. La normativa completa è consultabile sul sito internet del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (www.mit.gov.it) e su www.ilportaledellautomobilista.it.” Luca Gastaldi
Ma perché l’abbiamo riportata a casa?!?
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n momenti così difficili per il nostro paese dove mancano ancora cose fondamentali per la sicurezza di ognuno, dove il lavoro si è fermato e la popolazione deve affrontare tanti disagi, ecco che a qualcuno al Governo, gli viene una geniale idea! “Perché non liberiamo la cooperante sequestrata 18 mesi fa dai terroristi somali?” Ce ne eravamo quasi dimenticati ma i nostri politici, forse per distrarre l’attenzione da problemi ben più gravi, dicono di non ave mai mollato e aver mantenuto con discrezione la buon notizia. Va detto anche che la ventitreenne italiana è andata in Africa contro il parere della Farnesina che aveva segnalato la pericolosità di quella scelta. Ma lei ha fatto di testa sua e così arriva il giorno del suo sbarco a Ciampino a bordo di un Falcon dell’aereonautica militare italiana, scortata dai nostri servizi segreti e ricevuta con tutti gli onori dalla stampa e da due mini-
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stri della Repubblica Italiana. Ma lei scende la scala dell’aereo con un sorriso “da ebete” e vestita con il tipico abito somalo. Scopriamo solo all’ora della sua conversione all’Islam e della sua volontà di ritornare in Africa (dai sui bambini) appena ristabilitasi. Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma i più l’hanno interpretata come una beffa al popolo italiano, dopo la notizia trapelata e probabilmente vera, che lo Stato italiano ha pagato per la sua liberazione un riscatto di 3 o 4 milioni di euro. Ma non potevamo destinare quei danari agli anziani delle nostre città?! Il Grillo parlante
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Nuove date della Coppa d’Oro delle Dolomiti 2020
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l sempre più rassicurante calo dei contagi da Covid-19 in Italia è un indicatore positivo anche sul fronte della ripartenza delle competizioni di regolarità classica parte del Campionato Italiano Grandi Eventi Aci Sport, quali la Coppa d’Oro delle Dolomiti. Per offrire ulteriore tranquillità e serenità ai partecipanti di questo spettacolare evento, che si snoda sui percorsi e i panorami mozzafiato patrimonio Unesco, Ac Belluno ha richiesto di posticipare di un mese la manifestazione. Nonostante al momento non vi siano obblighi da parte del Governo di slittamento degli eventi in programma a luglio, Ac Belluno ha comunque deciso di richiedere lo spostamento e di comunicarlo tempestivamente per agevolare i partecipanti nell’organizzazione della trasferta. Alcune ottimizzazioni sono state applicate anche al programma, che vedrà la prima tappa, la più lunga, svolgersi su un percorso di circa 255km, mentre la seconda conterà 217km, per un totale di quasi 473km, suddivisi in 90 prove cronometrate e 6 prove in media. Il calendario dettagliato prevede: giovedì 27 agosto le verifiche tecniche e sportive, nonché il briefing con il direttore di gara. Venerdì 28 agosto lo svolgimento della prima tappa: Cortina (partenza della gara), Belluno, Dolomiti Bellunesi, Feltre, Agordo, Cortina. Sabato 29 agosto, seconda tappa: Cortina, Alto Cadore, Comelico, Dolomiti dell’Alto Adige, Cortina (fine gara). Infine domenica 30 agosto: Tour dei Sestieri di Cortina e a seguire le premiazioni. Per informazioni: www.coppadorodelledolomiti.it info@coppadorodelledolomiti.it
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È di nuovo Mostra Scambio a Reggio Emilia! Il 3 e 4 ottobre la 40esima edizione della manifestazione
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a 40esima edizione della Mostra Scambio sta per arrivare. E sta per arrivare a Reggio Emilia, sabato 3 e domenica 4 ottobre. E la prossima edizione della Mostra Scambio si presenta con grandissime aspettative: 55mila metri quadrati di esposizione, oltre 1.600 espositori, più di 37mila visitatori nell’ultima edizione. La Mostra Scambio del Camer è senza dubbio una delle più importanti vetrine europee di auto e moto d’epoca, ma anche una fonte inesauribile e preziosissima di pezzi di ricambio, accessori, gadget di ogni settore. La proposta sarà come al solito di grande interesse per una manifestazione che si è attestata tra le principali a livello italiano e internazionale. Il collezionista e amante del motorismo storico avrà la possibilità di trovare moto, auto, cicli, accessori e ricambi d’epoca, nell’ambito di una proposta di grande livello dove molteplici saranno le opportu-
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nità di scoprire ogni tipo di ricambio; dal settore motociclistico a quello automobilistico, per poi avere la possibilità di reperire libri, manuali e decalcomanie con la presenza dei massimi specialisti del settore, inoltre grande offerta di modellismo, in più gli oggetti di complemento: valigeria, caschi, targhe, gadget e tantissimo altro. In esposizione: automobili, motociclette, ciclomotori, motori a rullo, trattori, insomma tutto quello che viaggia sulle ruote storiche. Ma la Mostra Scambio del Camer è anche da qualche anno un interessante momento culturale anche per i semplici curiosi: grazie alla realizzazione del Punto Incontro, il Camer ha deciso di mettere in scena interessanti manifestazioni collaterali che hanno dato l’opportunità alla mostra di ospitare pezzi davvero rarissimi. Quest’anno il tema del Punto Incontro sarà di grande interesse, ovvero
la storia di una delle marche italiane più prestigiose: attraverso l’esposizione di alcuni modelli che hanno segnato la vita del marchio, partendo dagli anni ’30 per arrivare agli anni ’70, il Punto Incontro ripercorrerà la storia dell’Alfa Romeo. Maggiori informazioni, foto e video si trovano sulla pagina Facebook ufficiale del club, mentre tutte le informazioni sulla Mostra Scambio, la planimetria degli spazi, i mezzi per arrivare alla manifestazione e tutte le altre informazioni utili sono sul sito www.camerclub.it alla sezione Mostra Scambio. Nella sezione Contatti del sito, numeri e orari di apertura del club per richiedere informazioni sulla Mostra Scambio e su tutte le attività del club. Perinfo: www.camerclub.it, info@camerclub.it www.facebook.com/camerclub.official Telefono e Fax 0522/703531
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Speranza di conferma per la Stella Alpina
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n un periodo difficile, sono necessarie scelte complesse. Molti eventi in tutto il mondo sono stati cancellati o addirittura posticipati al prossimo anno. La Scuderia Trentina e Canossa Events, però, non si ferma, e spera di confermare le date di Stella Alpina 2020, in calendario il 26 e 27 giugno, con l'augurio che entro la fine di giugno la situazione di emergenza sia contenuta e probabilmente si possa tornare alla vita normale ed alle grandi passioni, come quelle delle nostre auto classiche che aspettano pazientemente nei garage per rivedere il sole primaverile. Conformemente al governo italiano, gli uffici della Scuderia Trentina sono attualmente chiusi, ma in modalità di lavoro intelligente il servizio di assistenza clienti si impegna a fornire tutte le informazioni necessarie ed è sempre disponibile per qualsiasi richiesta. Fiorenzo Dalmeri, presidente di Scuderia Trentina, scrive: «spero che ci incontreremo a Trento a fine giugno, stiamo facendo del nostro meglio per gestire le attuali circostanze di questo momento difficile e complicato con la passione che sempre uniti a noi e con lo scopo di organizzare ogni aspetto dell'evento al massimo livello, in linea con quello che merita la Stella Alpina!» «È quasi certo che entro
la fine di giugno la situazione sanitaria richieda ancora restrizioni e regole da rispettare, ma speriamo davvero che a quel momento torneremo al volante sulle magnifiche curve delle Dolomiti. Faremo tutto questo in sicurezza ma con la nostra passione abituale»: queste sono le parole di Luigi Orlandini, presidente di Canossa Events. D.Co. Per informazioni: www.canossa.com
Rinvio XXXV Aosta – Gran San Bernardo
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causa dell’epidemia del Covid-19 il comitato organizzativo ha dovuto rinviare la trentacinquesima edizione dell'Aosta-Gran San Bernardo, quella del centenario programmata per il 13 e 14 giugno. Se le condizioni sanitarie nazionali lo permetteranno, c'è l'intenzione di recuperare la manifestazione o nell'ultimo week-end di agosto o in uno del mese di settembre. Molto dipenderà
se hotel e ristoranti riprenderanno la normale attività, cosa che a tutt’oggi sembra improbabile. Il Cameva si impegna a tenere gli appassionati prontamente informati. Antonio Giornetti Per info: tel. e fax 0165 364561, cell. 347 9739141, www.cameva.it mail, info@cameva.it, aosta-gsbernardo@cameva.it
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Concorso fotografico “Ruote Storiche in Quarantena”, dall’8 agosto al 18 ottobre
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tutto pronto per lo straordinario e inedito concorso fotografico denominato “Ruote Storiche in Quarantena”. L'iniziativa, promossa dalla Scuderia Hf in collaborazione con il Rally Driver Team – Hf Club, si terrà dall'8 agosto al 18 ottobre a Santarcangelo di Romagna. Tre le sezioni previste: “il veicolo nell’ambiente”, “il veicolo e i nostri amici a quattro zampe”, “Genitori e figli”. Ogni fotografo potrà presentare un massimo di tre opere per ogni sezione. Le fotografie rimarranno esposte in forma anonima e contrassegnate da un numero, presumibilmente il 18 ottobre in occasione della trentottesima edizione del Memorial Bisulli Coppa Base Trofeo Centro Petroli Baroni, e potranno essere votate dai visitatori, al fine di permettere l’assegnazione dei premi della giuria popolare. Ma le opere saranno anche esaminate da una giuria qualificata, nominata dal comitato organizzatore, composta da esponenti del mondo artistico, culturale ed istituzionale. Molteplici i premi previsti. Giova infine ricordare che la manifestazione è aperta a tutti e che l’iscrizione è gratuita. Le richieste di iscrizione, unitamente alle fotografie, dovranno pervenire alla segreteria del comitato organizzatore entro e non oltre il giorno 8 agosto. Per informazioni: tel. 0541 621986 tel. 0541 621042, rdt.hfclub@gmail.com Loris Giorgetti, tel. 348 2266578 REGOLAMENTO Art.1 - DENOMINAZIONE E CARATTERISTICHE La Scuderia HF in collaborazione con il Rally Driver Team – HF Club, la partecipazione di Auto d’Epoca ed il patrocinio del Comune di Santarcangelo di Romagna, indice ed organizza il Concorso fotografico a tema, denominato “Ruote Storiche in Quarantena” che ha lo scopo di rendere artisticamente sinergici la fotografia ed i veicoli d’epoca, gli organizzatori, i patrocinatori e le loro attività. D’ora in poi su questo regolamento, per brevità, la Scuderia HF ed il Rally Driver Team, li chiameremo “comitato organizzatore”. Art. 2 - ISCRIZIONI ED ARTISTI AMMESSI La manifestazione è aperta a tutti. L’iscrizione è gratuita. Possono partecipare al concorso soci ed amici degli enti organizzatori, sia dilettanti che professionisti, senza limiti di età, purché maggiorenni. Le richieste di iscrizione unitamente alle fotografie dovranno pervenire alla segre-
teria del Comitato Organizzatore entro e non oltre il giorno 8 agosto 2020. I recapiti sono indicati in fondo al presente regolamento. Art. 3 - TEMA DEL CONCORSO Il Concorso fotografico è suddiviso in tre sezioni: 1) Il veicolo nell’ambiente (esempio: giardini, paesaggi, centri storici) 2) Il veicolo e i nostri amici a quattro zampe 3) Genitori e figli Art. 4 - TECNICA E SUPPORTI Ogni fotografo potrà presentare in concorso un massimo di tre opere per ogni sezione. Il tema del concorso potrà essere affrontato in piena libertà di tecnica, utilizzando gli strumenti propri della fotografia. Le fotografie dovranno essere in formato rettangolare. Se presentate su supporto cartaceo dovranno essere stampate su carta fotografica e nel formato: 20X30. Se inviate su posta elettronica dovranno essere in modalità ad alta definizione. L’organizzazione si farà carico della stampa. È libera la scelta dello sviluppo dell’opera, orizzontale o verticale. Art. 5 - IDENTIFICAZIONE DELLE OPERE Il Comitato Organizzatore provvederà alla timbratura sul retro dei supporti sui quali saranno stampate le opere e ad esse sarà assegnato un numero progressivo. Il concorrente al momento della presentazione o invio delle opere, dovrà comunicare le proprie generalità, indirizzo, telefono ed eventuale indirizzo e-mail. Le fotografie saranno esposte in forma anonima contrassegnate dal numero progressivo assegnato. Art. 6 - TECNICA E DIVIETI
La tecnica di ripresa è libera. Non saranno ammesse e valutate opere che rappresentino al proprio interno simboli politici, razziali, religiosi, pornografici, osceni o comunque offensivi della persona e/o della pubblica dignità. Art. 7 - LUOGHI E POSTAZIONI Il tema da rappresentare dovrà essere scelto fra quelli predefiniti. Il fotografo dovrà rappresentare il veicolo storico, non necessariamente inquadrato per intero, in uno scorcio o contesto compatibili con la sezione di riferimento. Art. 8 - ESPOSIZIONE E GIURIE Le opere rimarranno esposte in forma anonima e contrassegnate da un numero, presumibilmente il 18 ottobre 2020 in occasione della 38^ edizione del Memorial Bisulli Coppa Base Trofeo Centro Petroli Baroni, in luogo pubblico e potranno essere votate dai visitatori, per permettere l’assegnazione dei premi della giuria popolare. Le opere saranno anche esaminate da una giuria qualificata, nominata dal comitato organizzatore, composta da esponenti del mondo artistico, culturale ed istituzionale. La giuria procederà a formulare la graduatoria per l’assegnazione dei premi. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. Art. 9 - PREMI E RICONOSCIMENTI Sono previsti premi d’onore, secondo il seguente schema, per ogni sezione saranno premiati: Premi di Giuria Qualificata: 1° classificato 2° classificato 3° classificato Premi di Giuria Popolare: 1° classificato 2° classificato 3° classificato. Il Comitato Organizzatore si riserva la fa-
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GIUGNO 2020 coltà di aumentare il numero dei premi. La premiazione avverrà subito dopo la decisione della Giuria. I premi verranno consegnati esclusivamente ai vincitori presenti. Fra i tre vincitori di ognuna delle categorie sarà redatta un’ulteriore classifica per l’assegnazione dei primi tre premi assoluti. Art. 10 - ACQUISIZIONE DELLE OPERE Tutte le opere resteranno di proprietà esclusiva della Scuderia HF che potrà disporne liberamente a pieno titolo e a proprio insindacabile giudizio senza null’altro dovere a chicchessia, ivi compresa la pubblicazione su Auto d’Epoca, eventuali altri giornali o social media. Art. 11 - RESPONSABILITÀ DELL’ORGANIZZATORE I concorrenti sollevano il comitato organizzatore e/o chi per esso da ogni e qualsiasi responsabilità per eventuale danneggiamento o furto delle opere, durante l’esecuzione del concorso. Art. 12 - DIRITTI E COMPENSI I concorrenti si impegnano a non pretendere compensi di sorta, né il riconoscimento di alcun diritto, se non la loro citazione per la pubblicazione sul sito internet del comitato organizzatore, su riviste, giornali, manifesti per l’utilizzo cinetelevisivo o per l’esposizione delle proprie o-
pere in mostre o altre manifestazioni atte a promuovere il Concorso o altre iniziative dalla Scuderia HF. Art. 13 - TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI L’iscrizione al Concorso vale anche quale autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi del Decreto Legge 196/2003 e successive modifiche ed integrazioni e per l’invio ai concorrenti di materiale relativo a future iniziative che la Scuderia HF e/o il Rally Driver Team HF Club intenderà organizzare. Art. 14 - NORME GENERALI Per il fatto stesso della sua iscrizione ciascun concorrente dichiara per se, suoi mandanti o incaricati di conoscere ed accettare integralmente ed in ogni sua parte il regolamento di questo concorso e dichiara altresì di rinunciare a ricorrere per qualsiasi motivo ad arbitri o tribunale per fatti derivanti dall'organizzazione e dallo svolgimento della manifestazione; ciascun concorrente dichiara inoltre di ritenere sollevati gli enti organizzatori e patrocinanti della manifestazione, nonché gli enti proprietari o gestori degli ambienti e/o strutture espositive come pure il comitato organizzatore e tutte le persone addette all'organizzazione da ogni responsabilità o danno occorso durante la
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manifestazione ad esso concorrente, ai suoi collaboratori e/o dipendenti, sue cose, oppure prodotti o causati a terzi o cose da esso concorrente e suoi collaboratori e/o dipendenti, dichiara altresì di accettare tutte le clausole di iscrizione e di sollevare gli organizzatori da ogni qualsiasi e/o qualsivoglia responsabilità connessa con lo svolgimento della manifestazione. Per qualsiasi e/o qualsivoglia contestazione possa insorgere fra le parti, si farà riferimento al presidente del comitato organizzatore o suo delegato. Il suo giudizio sarà inappellabile. L’inosservanza di una qualsiasi norma del presente regolamento costituisce motivo di esclusione dal Concorso. Art. 15 - MODIFICHE ED INTEGRAZIONI L’organizzazione si riserva il diritto di apportare modifiche e/o integrazioni al presente regolamento, atte a migliorare la buona riuscita dell’iniziativa e a pubblicare un catalogo a colori contenente le opere premiate e segnalate, nonché l’elenco dei partecipanti. Art. 16 - RECAPITI E CONTATTI Scuderia HF S.a.s. via Guido Rossa 10 – 47822 Santarcangelo di Romagna – RN tel. 0541 621986 tel. 0541 621042, rdt.hfclub@gmail.com; Loris Giorgetti, tel. 348 2266578.
Mitteleuropean Race e Mitrace Tour Cup, sulla strada del 2021
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l team di Adrenalinika, i triestini Maurizio De Marco, Riccardo Novacco e Susanna Serri, dopo lo stop alla Mitteleuropean Race che avrebbe dovuto svolgersi alla fine del mese, hanno dato il via alla fase di studio e riorganizzazione degli eventi che andranno in calendario nel 2021. Contemporaneamente, come promesso ed annunciato, il team organizzativo continua ad usare i propri canali di comunicazione online per mantenere il proprio ruolo nell’ambito del marketing territoriale. Nella Pagina Facebook ella Mitteleuropean Race si continua infatti a raccontare sia il mondo delle auto storiche, sia l’attraente ricchezza della realtà geografica e culturale della mitteleuropa italiana. Lo spazio virtuale sulla Pagina Facebook della manifestazione, un positivo “tender to 2021”, si alimenterà sia grazie al contributo dei partecipanti alle diverse edizioni dell’evento classic che racconteranno in breve un po’ di sé e della propria automobile e sia alla diretta streaming della Mitteleuropean Square: il salottino interviste a tema auto storiche che si svolgerà alle ore 21 di ogni secondo giovedì del mese. Per informazioni: press@mitteleuropeanrace.it
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80 anni e non sentirli! Il trofeo vinto da Nuvolari nel 1939 torna a Belgrado
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epe price nikad ne prestaju! Le storie belle non finiscono mai!, come si dice in serbo. Ed ecco perchè ad 80 anni di distanza da quell’ indimenticabile 3 settembre 1939 la memoria di Tazio Nuvolari e della sua incredibile vittoria – l’ultima internazionale della sua lunghissima carriera – ancora eccheggia sulle sponde del Danubio. E come mi ero ripromesso, per l’ottantesimo anniversario di quell’evento avrei tentato il ‘miracolo’: quello di riportare a Belgrado il trofeo che l’allore re, Pietro II Karadjordjevi, fece realizzare per il primo (ed anche ultimo) Gran Premio di Belgrado. Nessuno ci credeva fino all’ultimo quando è apparso in tutto il suo splendore nella sala dell’Hotel Amsterdam per la conferenza stampa di presentazione al pubblico. La magia che quella coppa ancora emana ha incantato tutti i presenti, a partire dell’Ambasciatore Italiano a Belgrado, S.E. Lo Cascio, che ha elogiato le gesta del mantovano volante nel circuito del Kalemegdan, incorniciandole nell’ambito delle attività dei 140 anni di relazioni diplomatiche italo-serbe. E’ stata una bellissima combinazione di fattori a permettere che si potesse realizzare la manifestazione ‘Nuvolari is back to Belgrade’, organizzata dalla Motor Heritage Consulting (www.motorheritageconsulting.com); innazitutto la gentile concessione dell’ACI Mantova a che il trofeo venisse portato per alcuni giorni nella capitale della Serbia; e poi il ‘passaggio’ offerto dalla delegazione della presitigiosa Scuderia Nuvolari, arrivata con 4 auto alla manifestzione in rappresentanza della community mantovanana degli appassionati del grande pilota; ed,infine, l’organizzazione della ’24 Hours of Elegance’ che ha provveduto alla copertura assicurativa (tramite la Generali Assicurazioni di Belgrado). Uno straordinario gioco di squadra che ha fatto si che per un weekend (6-8 settembre 2019) tutti gli appassionati di motorismo storico arrivati a Belgrado da vari paesi potessero rivivere l’atmosfera dell’ultima gara prima dello scoppio della II Guerra Mondiale. A partire dal Principe regnante, Alexander Ka-
radjordjevi, il figlio di Pietro II, che ha ospitato la cena di gala del venerdi sera nel suo splendido Palazzo Reale a Dedinje: appena ha visto il trofeo e riconosciuto lo stemma di famiglia si è commosso e lo ha ‘abbracciato’, ringraziandoci di cuore per averlo riportato ‘a casa’ anche solo per alcuni giorni. Per continuare poi, il giorno dopo, nella manifestazione che ha visto le auto storiche arrivate da vari paesi sfilare lungo la strada che gira attorno alla Fortezza del Kalemegdan, la stessa che nel 1939 ha costituto il percorso di gara. Nel girare lungo quell’anello si percepiva lo spirito di quel tempo: il fermento di una Belgrado che ambiva ad essere una grande capitale europea dimostrando di poter organizzare un evento motoristico di rilievo internazionale. Il clima di 80 anni fa era molto teso, dal momento che qualche giorno prima la Germania aveva già dichiarato guerra alla Polonia, mandando al comando delle truppe al fronte il Generale von Brauchitsch, lo zio del pilota di punta della Mercedes, Manfred, che era arrivato in Serbia con l’intezione di vincere la gara. La manifestazione era articolata in 5 batterie di moto e 4 di auto, in modo da coprire tutte le cilindra-
te. Nella classe di punta delle quattro ruote la sfida era tutta tedesca: due Auto Union D sfidarono due Mercedes-Benz W154/M153; il quinto pilota in gara, Bosko Milenkovi, unico serbo della categoria, corse con una Bugatti Type 51. Nuvolari – che arrivo a Belgrado solo la sera prima del GP – riusci a provare solo la mattina stessa, finendo ultimo nella griglia di partenza. Girando lungo lo stesso percorso i partecipanti al revival di quest’anno hanno avuto l’impressione per un attimo di rivivere l’atmosfera di quella gara. Al via quella domenica le due Mercedes partono a gran velocità seguite dalle Auto Union; da alcuni frammenti di un inedito video girato quel giorno, oltre al rombo dei motori si vedono i bolidi alzarsi da terra ad ogni passaggio davanti all’ambasciata francese. Von Brauchitsch perde il comando della corsa al 16esimo giro dopo un pericoloso testa coda: Lang lo sorpassa e conduce fino al 30-esimo giro, quando un problema ad una ruota lo costringe a rallentare. A quel punto il ‘mantovano volante’ scatta in prima posizione e taglia il traguardo vincente, dopo aver completato 50 giri, con un tempo di 1.04’.03’’, ad una media di 130, 839 km/h! La gioia del pubblico è incontenibile e le foto dell’epoca la ritraggono meglio di ogni commento. La coppa che Nuvolari riceve è la stessa che abbiamo riportato a Belgrado e anche l’effetto sul pubblico è lo stesso: 80 anni e non sentirli! Stiamo già lavorando per l’edizione 2020 per garantire che la leggenda del Mantovano Volante rimanga viva sulle rive del Danubio. Testo di Giorgio Andrian Foto di Nina Danilovic
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Giugno 2 Memorial Antonio Tagliaferri, raduno promosso dal Club Veicoli Storici di Piacenza a Grazzano Visconti. Per info: www.cvsp-pc.it Autogirovagando nel passato, 5-6-7 manifestazione turistico-culturale riservata ad auto ante 1930, promossa da Collectors Historic CarClub. Per info: tel. 333 2823746, 335 390793, info@chccesena.it 6 2° Meeting di Carignano, manifestazione turistica promossa dal Veteran Car Club Ligure. Per informazioni: www.vccligure.com 7 Rombi d'epoca a Monterone (Lc), raduno turistico-culturale promosso dal Mams. Per info: cell. 393 6945415,
www.monzaautomotostoriche.it, e-mail: mams@amiciautodromo.it
www.alfarevivalcup.it
13 Raduno in notturna Giropasta, manifestazione turistico-culturale promossa dall'Hermitage Veteran Engine Forlì. Per info: www.hermitage.fc.it
Trieste-Opicina Historic, mani20-21 festazione di abilità a cronometri liberi, promossa dal Club dei Venti all'Ora. Per info: www.clubdeiventiallora.org, info@clubdeiventiallora.org
13 Circuito dei Castelli Piacentini, raduno promosso dal Club Veicoli Storici di Piacenza. Per info: www.cvsp-pc.it
20-21 10° Lana Storico, manifestazione promossa da Asd Veglio. Per info: www.rallylanastorico.it
14 Raduno a Voghera (Pv), evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058
25-26-27-28 8° Circuito di Avezzano, manifestazione promossa da Jaguar Drivers Club Italy. Per informazioni: tel. 348 4200678, www.circuitodiavezzano.it, mail: info@circuitodiavezzano.it,
19 10° Historic Track Day, manifestazione promossa presso l’autodromo Riccardo Paletti di Varano De’ Melegari in provincia di Parma da Franzoni Auto Divisione Classic. Per informazioni: www.franzoniauto.com/divisioneclassic, pasini@franzoniauto.it, tel. 333.14.35.322
26-27-28 Stella Alpina, manifestazione promossa da Canossa Events. Per informazioni: www.canossa.com
19 Premiazioni dei Campioni Alfa Romeo 2019 della Scuderia del Portello presso Monza Eni Circuit. Per info: www.scuderiadelportello.org 20-21 Automoto Collection, mostra scambio presso Parco Espositivo di Novegro (Mi). Per informazioni: Tel. 02 70200022, parcoesposizioninovegro.it, mostrascambio@parcoesposizioninovegro.it 20-21 Alfa Revival Cup al Misano, manifestazione promossa dal Gruppo Peroni Race. Per informazioni: Gps Classic, tel. 0524 597924, www.gpsclassic.it,
28 Bobbo-Penice, raduno motoristico. Per informazioni: www.cvsp-pc.it
Luglio 1-2 The Reb Concours Eternal Beatuies, concorso internazionale che si terrà presso il Circolo del Golf Roma Acquasanta. Per informazioni: www.rebconcours, info@rebconcours.com 11-12 17° Cruisin Rodeo, raduno di American Cars promosso a Como. Per info: www.cruisinrodeo.it, tel. 0432 948570, cell. 366 6310768 (solo per informazioni stand) fax +39 0432.948606, info@cruisinrodeo.it 11-12
Campagne e Cascine, manifesAuto d’Epoca Giugno 2020
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tazione iscritta al Campionato Italiano Regolarità Auto Storiche Aci Sport e promossa a Cremona. Per info: www.scuderia3t.it, tel. 338.602879, 335 1707409 11-12 Piancavallo Revival, manifestazione promossa in provincia di Pordenone dal club Ruote del Passato. Per info: www.trofeonordest.it, info@gasclub.org 11-12 10° Concorso di Eleganza per auto e Moto dEpoca Città di S. Pellegrino Terme, evento promosso dal Club Orobico Auto Moto d'Epoca. Per info: www.cluborobico.it, info@cluborobico.it, tel. 035 513082 12 Raduno a Romagnese (Pv), evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058 18-19-20-21-22-23-24-25-26-27-2829-30-31/07-1/08 Tour Roumanie – Raid Tour, manifestazione promossa da Auto d'Epoca 8. Per info: tel. 0735 680673, www.autodepoca8.com 19 Raduno Antica Faenza - Brisighella da vivere, manifestazione promossa dalla Scuderia Top Driver. Per info: tel. 348 3956895 24-25-26 10° Historic Rally delle Vallate Aretine, promosso dalla Scuderia Etruria Sport Asd. Per info: tel. 057 5536932, www.scuderiaetruria.net 26 Trofeo Renati, Bobbio – Passo Penice, organizzato da Club Veicoli Storici Piacenza a Bobbio in provincia di Piacenza, valevole per il Trofeo Nord Ovest. Info: www.trofeonordovestautostoriche.com 27-28-29-30 Coppa d'Oro delle Dolomiti, gara di regolarità inserita nel Campionato Italiano Grandi Eventi, promosso a Cortina d'Ampezzo (Bl) dall'Aci Sport. Per info: tel. 339 7573832, email: Auto d’Epoca Giugno 2020
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info@coppadorodelledolomiti.it, indirizzo web: www.coppadorodelledolomiti.it
irizzo mail: mams@amiciautodromo.it, f.sciarrone@alice.it
Settembre
Raduno a Rivanazzano Terme (Pv), 13 evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058
4-5 Aspettando il GP con il Mams, manifestazione promossa dal Mams. Per info: www.monzaautomotostoriche.it, mams@amiciautodromo.it, f.sciarrone@alice.it ., cell. 393 6945415 Classictour, manifes9-10-11-12 tazione turistico-culturale promossa da Collectors Historic CarClub. Per informazioni: tel. 333 2823746, 335 390793, info@chccesena.it 31° Coppa delle Alpi, mani10-11-12 festazione promossa da RallyStory. Per info: rallystory.com 10-11-012 2° Alpine Rally sulle Alpi, manifestazione promossa da RallyStory. Per info: rallystory.com 10-11-12 31° Coupe Des Alpes, manifestazione promossa da RallyStory. Per info: rallystory.com 11-12-13 Dolomeeting Porsche Sudtirol, iniziativa promossain Val Gardena dal Veteran Car Team Bolzano. Per info: www.veteran.it 2° Concours d'Elegance Te11-12-13 gernsee, concorso di bellezza promosso presso l'Althoff Seehotel Überfahrt sul lago Tegernsee. Per informazioni: www.concours-tegernsee.de 12-13 Circcuito di Conegliano, manifestazione promossa in provincia di Treviso dal Club Serenissima. Per info: www.trofeonordest.it, info@gasclub.org Le Belle sul Lago, raduno turistico13 culturale sul lago Maggiore promosso dal Mams. Per info: cell. 393 6945415, indirizzo web: www.monzaautomotostoriche.it, ind-
Autogiro d'I13-14-15-16-17-18-19 talia, corsa automobilistica di regolarità promossa dall'Historic Challenge. Per informazioni: www.autogiroitalia.it, indirizzo mail: info@autogiroitalia.it Rally Elba Storico, manifes17-18-19 tazione promossa da Ac Livorno. Per info: segreteria@acilivorno.it 3° Rievocazione del Cir17-18-19-20 cuito internazionale di Brescia-Montichiari, manifestazione promossa dall'Historic Racing Club Fascia d'Oro. Per info: www.circuitointernazionale.it Norisring. Per informazioni: 18-19 w w w. n o r i s r i n g - cl a s s i c - r a l l y e . d e , www.classic-sprint.de, tel. +49 179 5462594 Alfa Revival Cup al Monza, 19-20 manifestazione promossa dal Gruppo Peroni Race. Per informazioni: Gps Classic, tel. 0524 597924, www.gpsclassic.it, www.alfarevivalcup.it 22° Rievocazione Storica della 19-20 Pontedecimo-Giovi, inserita a calendario Asi e promossa dal Veteran Car Club Ligure. Per info: vccligure.com Dolomiti Ira Classic, iniziativa 19-20 con prove di abilità promossa dal Veteran Car Team Bolzano. Per info: www.veteran.it Montagne d’Argento, manifes19-20 tazione promossa in provincia di Trento dalla Scuderia Trentina Storica. Per info: www.trofeonordest.it, info@gasclub.org Classic Sprint. Per info: 19-20 www.classic-sprint.de, tel. 179 5462594
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19-20-21-22-23-24-25 5° Marrakech Tour, manifestazione promossa da RallyStory. Per info: rallystory.com 19-20-22-23-24-25-26 23° Raid dell'Etna - Porsche Tribute, manifestazione promossa dalla Scuderia del Mediterraneo. Per informazioni: www.raidetna.it, mail: segreteria@raidetna.it 20 Coppa della Valle d’Aosta - Memorial Robert Trossello, organizzata dalla Cameva a Saint Vincent, valevole per il Trofeo Nord Ovest. Per informazioni: www.trofeonordovestautostoriche.com 26-27 Parma-Poggio Di Berceto, regolarità classica, promossa dall'omonimo club alessandrino. Per informazioni: www.parmapoggiodiberceto.it, tel. 0521 773911, 338 8799929, indirizzo mail: parmapoggiodiberceto@gmail.com 26-27 12° Mostra Scambio dedicata a Dino Cordaro, rassegna promossa presso LarioFiere di Erba (Co) dall'Associazione Amici della Paraplegia. Per info: www.comitatoparaplegia.com 26-27 15° Coppa Romagna, manifestastazione turistica culturale iscritta a calendario nazionale Asi Trofeo Marco Polo, promossa dall'Hermitage Veteran Engine Forlì. Per info: www.hermitage.fc.it 27 Gran Gala Ceirano, trofeo del motorismo di origine torinese promosso da Ruzza Torino. Per info: Omar Ruzza, tel. 393 9774835 27 3° Giornata Nazionale del Veicolo d'Epoca, manifestazione promossa dalla'Aasi. Per info: www.asifed.it 27 Passeggiata d'Autunno per auto e moto d'epoca, manifestazione promossa presso LarioFiera di Erba (Co) dall'Associazione Amici della Paraplegia. Per info: www.comitatoparaplegia.com
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27 Gran Gala Ceirano, trofeo del motorismo di origine torinese cn defilé promosso da Ruzza Torino. Per informazioni: indirizzo web: www.ruzzatorino.com, mail: info@ruzzatorino.com Motus Vivendi, raduno con auto e 27 moto promosso da Club Veicoli Storici di Piacenza. Per info: www.cvsp-pc.it
Ottobre 3-4 40° Mostra Scambio a Reggio Emilia, evento promosso da Camer Club. Per informazioni: www.camerclub.it, mail: info@camerclub.it, tel. e fax 0522 703531 4 Raduno statico e gratuito a Pontecurone (Al), evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058 4-5 Ruote d'epoca in val di Taro, raduno turistico-culturale promosso dal Mams. Per info: www.monzaautomotostoriche.it, mams@amiciautodromo.it, cell. 393 6945415 11 5° Raduno di Santa Margherita Ligure, manifestazione turistica promossa dal Veteran Car Club Ligure. Per info: www.vccligure.com 11 Radunno d'autunno, gita sociale promossa da Collectors Historic CarClub. Per info: tel. 333 2823746, 335 390793, info@chccesena.it 11-12-13-14-15 20° Modena Cento Ore, manifestazione promossa da Canossa Events. Per info: www.canossa.com 15-16-17-18 27° Trofeo in Corsica, manifestazione promossa da RallyStory. Per info: rallystory.com 15-16-17-18 Targa Florio, gara di regolarità per autostoriche, promossa dall'Aci Storico. Per info: www.targa-florio.it,
info@targa-florio.it, cell. 339 7573832 Mostra Scambio Auto Bici Moto 17-18 d'Epoca e Ricambi a Busto Arsizio (Va), manifestazione promossa a Malpensafiere da Auto Moto Club Anni 70. Per info: www.mostrascambiobustoarsizio, tel. 338 2016966 18 Le veterane nel borgo, raduno turistico-culturale presso borgo lacuste di Corenno Plinio (Lc) promosso dal Mams. Per info: www.monzaautomotostoriche.it, mams@amiciautodromo.it, f.sciarrone@alice.it ., cell. 393 6945415 18 Memory of rallysts Frank Pozzi e Lele Curtò, organizzato da Corriamo per un Sorriso a Casale Corte, Cerro in provincia di Verbania, valevole per il Trofeo Nord Ovest. Per informazioni: indirizzo web www.trofeonordovestautostoriche.com 18 Trofeo Due Valli – 2° Trofeo Elio Marchesi, manifestazione promossa dal Club Ruote d'Epoca Pavia. Per info: www.ruotedepocapavia.it 22-23-24-25 1000 Miglia. Per info: www.1000miglia.it, info@1000miglia.it, tel. 030 2318211 22-23-24-25 Auto d'epoca, fiera di Padova promossa da Intermeeting. Per info: autoemotodepoca.com 24-25 Alfa Revival Cup a Imola, manifestazione promossa dal Gruppo Peroni Race. Per informazioni: Gps Classic, tel. 0524 597924, www.gpsclassic.it, www.alfarevivalcup.it 24-25 2° Giro Monti Savonesi, manifestazione promossa da Sport Infinity. Per info: www.girodeimontisavonesistorico.it 25YY Il Mams per l'Aido, manifestazione benefica promossa dal Mams. Per info: w w w. m o n z a a u t o m o t o s t o r i c h e . i t , mams@amiciautodromo.it, f.sciarrone@alice.it ., cell. 393 6945415 Auto d’Epoca Giugno 2020
31 457 Parade Experience, parata dei grandi nomi del mondo Fiat 500 e delle sue associazioni dedicate, con passerella finale in autodromo, manifestazione promossa da Ruzza Torino. Per informazioni: indirizzo web: www.ruzzatorino.com, info@ruzzatorino.com, Omar Ruzza, tel. 393 97748.35
Novembre 6-7 7° Grande Corsa a Chieri, rally storico promosso da Amici di Nino. Per info: www.amicidinino.it 8 Cime Tempestose, gita sociale promossa da Collectors Historic CarClub. Per informazioni: tel. 333 2823746, 335 390793, info@chccesena.it
8 Raduno statico e gratuito a Voghera (Pv), evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058 18° Revival Rally Club Val12-13-14 pantena, manifestazione promossa dal Rally Club Valpantena. Per informazioni: www.rallyclubvalpantena.it, indirizzo mail: info@rallyclubvalpantena.it 16-17-18-19-20-21-22-23-24-25-26-27 Arabian Roads, manifestazione promossa da Canossa Events. Per informazioni: www.canossa.com Pranzo natalizio, evento promosso 29 dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel.
Premiazioni del concorso di pittura per la Vernasca Silver Flag
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l 18 gennaio ha preso formalmente il via la venticinquesima edizione della manifestazione Vernasca Silver Flag targata Cpae, Club Piacentino Auto e Moto d’Epoca, con il consueto concorso di pittura tra gli studenti del Liceo Artistico Cassinari di Piacenza, allo scopo di selezionare il manifesto dell’edizione della Vernasca Silver Flag che si svolgerà dal 26 al 28 giugno, tema di questa edizione: “musei in movimento” . L’appuntamento con la quattordicesima edizione del concorso pittorico ha messo a confronto quaranta studenti delle varie classi del liceo Cassinari, che hanno lavorato all’interno della “Galleria della Borsa” i cui spazi sono stati concessi dalla Camera di Commercio di Piacenza. Il nutrito pubblico ha potuto ammirare gli studenti/artisti al lavoro e contemporaneamente alcuni esemplari d’auto in esposizione : la monoposto Nardi “Chichibio” del 1932, la Ferrari 875 Monza del 1955, l’Alfa Romeo 6C 2500 Sport Touring berlinetta del 1939, e la Abarth SE 027 Pininfarina del 1974. Al termine dell’impegnativo lavoro artistico, una giuria presieduta dall’artista piacentino Giorgio Milani, dall’ing. Giovanni Groppi del Cpae, il giornalista Gaetano Derosa, l’ex pilota Beppe Gabbiani, il professor Giovanni Gobbi, il collezionista Marco Horak, hanno selezionato i primi
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cinque dipinti che meglio hanno interpretato le stringenti linea guida legate al bando. Il contest pittorico è stato vinto da Gian Marco Engelbrecht studente della classe quarta design, che così commenta: «provo una soddisfazione speciale nel ricevere questo premio che ci fa sentire protagonisti anche solo per un giorno, ho sempre considerato questo contest un importante trampolino di lancio per quello che potrebbe essere il mio domani. Disegno auto da quando ero bambino, una vera passione. Il mio disegno si è ispirato alla Ferrari Mondial gialla che ho potuto ammirare al museo Righini di Modena, in secondo piano un’Alfa Romeo, sullo sfondo Castell’Arquato e la bandiera di Piacenza che sventola sulla 25esima edizione della Silver Flag». Al primo classificato verrà anche data la possibilità di una salita da Castell’Arquato a Vernasca, in veste di co-pilota su un bolide che parteciperà alla Silver Flag 2020. Al secondo posto Giulio Romano, al terzo Kristo Marlulaj, al quarto Silvia Marezza ed al quinto posto Gianluca Cristalli. Il presidente del Cpae Achille Gerla ha commentato: «ho apprezzato l’impegno dei giovani artisti, noi come club vogliamo diffondere la cultura dei motori a testimonianza del secolo appena concluso e della creatività dei progettisti che hanno dato origine a veri capolavori». La preside
348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058
Dicembre 2-3-4-5 Coppa della Alpi by 1000 Miglia 2020, gara di regolarità inserita nel Campionato Italiano Grandi Eventi, promosso dall'Aci Sport. Per info: www.acisport.it 4-5-6 Retro Classic Bavaria, rassegna promossa a Nüernberg Messe, Germania. Per info: www.retro-classics-bavaria.de 8 18° Motoraduno a Lungavillese, evento promosso dall'Associazione Veicoli d'Epoca – Gli Amici dell'Oltrepo'. Per info: Andrea, tel. 348 5924989; Carlo, tel. 347 7236058
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ATA
del Liceo Cassinari, prof. Sabrina Mantini ha precisato: «i ragazzi hanno messo in evidenza un’ottima preparazione, le opere sono risultate piuttosto varie e con ottime tecniche, noi come educatori ne siamo confortati». Ospite d’eccezione il presidente Asi nazionale Alberto Scuro che ha partecipato in prima persona alle premiazioni, ed ha così commentato: «mi fa molto piacere essere qui, noi come Asi vogliamo mirare alla salvaguardia della cultura motoristica, i veicoli d’epoca sono delle vere e proprie opere d’arte che stimolano la creatività». Una citazione particolare va a Claudio Casali, oggi in veste di attento osservatore, al quale bisogna riconoscere di essere l’ideatore della Vernasca Silver Flag. Testo di Fiorenzo Malvicini Foto di Giacomo Guglieri Per informazioni: www.cpae.it, segreteria@cpae.it, tel. 377 1696441
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Dal Fiat 626 anteguerra al 670 Dopo le dure prove del conflitto mondiale i costruttori di mezzi pesanti cambiano strategie costruttive. Nasce il 640 del 1949 e dopo soli tre anni il 642 fino al 670 degli anni sessanta
L
a produzione italiana di veicoli industriali alla fine del secondo conflitto mondiale sembra privilegiare i veicoli medi, la Fiat abbandonata da qualche anno la configurazione con la guida arretrata punta ancora sul 626, meccanica super collaudata che ha cambiato la storia del trasporto pesante. Ovviamente i progetti continuano e nel 1949 viene presentato il 640, naturale evoluzione del modello precedente, vigorosamente rivisto ed aggiornato. Le intenzioni sono di preparare il terreno ad un successivo modello che abbia le caratteristiche e la genetica dei tempi legati alla ricostruzione. Per intanto il 640 migliora le prestazioni del suo predecessore, anche se l'aspetto estetico rimane in qualche modo vincolato a canoni stilistici non al passo con le aspettative, d'altronde in casa Fiat viene considerato un mezzo di transizione e nel 1952, dopo appena 3 anni è già pronto il nuovo 642, che però avrà in eredità una cabina quasi del tutto simile al 640, a cui è applicata la meccanica maggiorata. Ci vorrà qualche anno quando con il 642 N2 il disegno cambierà totalmente. La storia del 640 viaggia sia nel trasporto merci che in quello collettivo, anzi i risultati migliori arrivano proprio in questo segmento. Chiusa l'epoca del 626 i carrozzieri forniscono "abiti" eleganti a cui il telaio del nostro 640 risponde bene, inoltre la necessità di avere a disposizione un autobus con qualche cavallo in più di potenza non dispiace affatto. Non bisogna dimenticare che a quel tempo la motorizzazione privata è ancora agli albori ed i servizi giornalieri impegnano duramente mezzi e personale. Il camion ha un clone, si tratta del 670, sigla che nasconde la medesima meccanica di 6.032 cm3 per 72 cv a 2.200 giri/minuto, unica differenza la portata che in questo caso si rivela più generosa passando da 4300 a 7000 kg. La velocità cede di qualche unità: scostando da 60 a 57,2 km/h, entrambi possono avere un rimorchio al traino. Alcune aziende di trasporto cittadine sono interessate al 640, l'Atan di Napoli ne acquista una decina, sono piccoli e si adattano a svolgere servizi in zone con vie strette proprie della città partenopea, rimangono attivi dal 1950 al 1962, poi il progresso tecnico li fa accantonare, ma viste le buone condizioni generali un lotto è ceduto ad un
privato che ne usufruisce per altri tre anni. Hanno tutti l'allestimento curato dalla Garavini, azienda torinese che all'inizio degli anni '50 lavora con sobrietà e ricercatezza. Curioso e simpatico l'intermezzo di uno di questi Garavini (matricola n. 258) che viene utilizzato come attore protagonista in un episodio del film "Zibaldone", al volante c'è Vittorio
DeSica, bigliettario Vittorio Caprioli e Capo Servizio Eduardo DeFilippo, un vero e proprio parterre de roi. La sequenza è molto bella, si vede il 640 sfrecciare per le strade di Napoli e probabilmente mai autobus ha avuto una parte così intensa. Gli interurbani ed i turistici poco alla volta mettono in disparte i bus anteguerra, gestiscono l'anteprima di quello
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succederà con il 642, sono eleganti e lineari, la Viberti gli applica il frontale detto a "baffo di gatto" che poi sarà per circa tre lustri un inossidabile marchio di fabbrica, Cab - Caproni e Macchi si cimetano in interessanti esercizi di stile, i secondi utilizzano la medesima carrozzeria impiegata sugli Alfa Romeo 900 formata da una bella mascherina con inserti quadrati e doppia fanaleria. Grazie alla lungimiranza di alcuni appassionati il Museo dei Trasporti conserva un esemplare del 1950 con allestimento della Bianchi di Varese. Nel 1989 è stato recuperato da un demolitore, nel 1990 conpletamente restaurato in una bella livrea blu e azzurra; questo Fiat 640 fa parte del parco della S.A.S.S.O. di Sant'Olcese una piccola ditta titolare fino all'inizio degli anni settanta di alcune tratte in provincia di Genova. Minuto e allegro è identificato dalla sagoma con i ricaschi del tetto arrotondati che segue la moda del tempo, il frontale molto impegnativo ha il parabrezza sdoppiato con l'apertura dei vetri a compasso (un vero e proprio retaggio del passato), la mascherina è elaboratissima con una serie di cromature orizzontali che conferiscono una spiccata personalità. Una personalità che il 640 si ritaglia minuziosamente grazie alla sua affidabilità e ne contorna il ruolo di capostite di una dinastia di pesanti che arriva fino alle soglie degli anni ottanta. G.Paolo Arborio
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Camion medi e pesanti Alfa Romeo Nella seconda metà degli anni Trenta con il modello 500 i camion dell’Alfa Romeo compiono una decisa svolta stlistica nella quale la ricerca di eleganza si ispira alle vetture fuoriserie
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n Italia è ampiamente diffusa la consuetudine di curare l’estetica anche nei veicoli industriali che, data la destinazione, potrebbero essere spartani senza modificarne le prestazioni. Una casa come l’Alfa Romeo che, al pari delle altre fabbriche italiane, ha sempre presentato canoni estetici ricercati, magari affidandosi a carrozzieri speciali, quando ha dato inizio alla costruzione di autocarri ha voluto rispettare tali principi. In molti casi si sono adoperate soluzioni estetiche derivate anche dalla produzione automobilistica di lusso e persino da corsa. Non è del tutto fuori tema accostare elementi degli autocarri dell’ALFA con quelli espressi nelle più sofisticate vetture, come vedremo dalla documentazione fotografica.
L’A.L.F.A., Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, nasce nel 1910 sulle orme della Darraq che nel 1907 aveva iniziato la produzione di veicoli negli stabilimenti del Portello a Milano, con propositi rivolti alla produzione sportiva, attività che ha continuato la stessa ALFA dal 1910 in poi. Il nome si aggiorna nel 1920 con l’ingresso dell’Ing. Nicola Romeo, di Napoli, noto anche come costruttore a Saronno di materiali rotabili per le ferrovie. Il nuovo impulso per la costruzione di vetture sportive, programma che era stato sempre nella struttura della Casa, è tale da portare incredibili affermazioni, fra l’altro nasce, in quel periodo, la famosa “RL Targa Florio”. Successivamente si matura l’epoca in cui approda alla
fabbrica il grande tecnico Vittorio Jano, che succede al non meno valido Giuseppe Merosi. L’esperienza, cresciuta nei più svariati campi della motorizzazione, per usi terrestri, marini ed aeronautici, ha consentito il raggiungimento di una maturità produttiva sempre d’avanguardia. Per restare nel tema di questa memoria, cominciamo a seguire le prime impostazioni e gli sviluppi dei veicoli classificati commerciali. Nel 1931 ha inizio la produzione dell’autocarro tipo 50, che si protrae fino al 1933. Siamo agli albori del motore Diesel per autotrazione, la Casa imposta un monoblocco a 6 cilindri in linea, mod.217, raffreddato ad acqua con una cilindrata di 10600 cc. che, al regime di 1200 giri/min, fornisce una potenza di 80 CV. Posato su ruote con cerchi di 24”, l’automezzo pesa 4500 kg. ed è in grado di trasportarne 5000, alla velocità massima di 32
km/h., consumando 42 litri di gasolio per cento chilometri ed un kg. di olio. Oggi sembrano dati fuori da ogni pensabilità, ma, in quell’epoca, costituivano elemento di riferimento per i trasporti pesanti, avendo sostituito, con questo veicolo, i camioncini derivati dal taglio di vecchie vetture fuori moda. Nel 1934 spunta sulle strade il tipo 85, con passo corto o lungo, derivato dal mod.80 (licenza Deutz), sempre a 6 cilindri ma con cilindrata di 11530 cc. che comporta l’aumento della potenza fino a 120 CV a 1600 giri, con un consumo di 49 litri/100 km, e la velocità fino a 55 km/h. La tara raggiunge i 6500 kg e la portata passa a 7500. Con i medesimi gruppi meccanici, fra il 1934 ed il 1938, viene fornito il modello a tre assi indicato come tipo 110, sempre animato dal motore tipo F6M-317. Si abbandona la ruota da 24” e si passa al cerchio 20”, più maneggevole. Intanto, fra il 1935 ed il 1937, la Casa pensa al trasporto di media portata, a consumi più accettabili, a concezioni motoristiche più moder-
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ne. Spunta così il tipo 350, con motore F6M 313 di 6126 cc. che, a 2000 giri/min, fornisce una potenza di 75 CV, con un consumo di 26 litri/100 km, quasi la metà del precedente modello; la portata scende a 4000 kg, tuttavia accettabile, mentre il veicolo diventa di facile manovrabilità e di facile gestione generale. La potenza tassabile passa da 78 a 52 cavalli fiscali, con evidenti vantaggi economici. L’aspetto del veicolo segue la moda delle vetture con cabina aerodinamica a spigoli arrotondati, parabrezze inclinato ed apribile a compasso, incernierato in alto, per consentire l’areazione dell’abitacolo; la mascherina, di linea raffinata è in parte nichelata e le feritoie del cofano del motore sono dotate di persiana regolabile. Il cassone in legno è rifinito quasi come un mobile.
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Anche nel campo dell’automobile sono state archiviate da qualche anno le linee squadrate e tutti i disegni sono improntati all’aerodinamicità. La svolta stilistica e tecnica si determina fra il 1937 ed il 1938 sul mod.500 con le scelte aerodinamiche complessive e con la ricerca di una vera eleganza del veicolo che rispetta i canoni delle vetture fuori serie; si notano subito la mascherina pronunciata e sobria, i paraurti rastremati, la linea filante del cofano del motore. Ma la ricerca tecnica continua nella raffinatezza del motore, derivato sempre dal tipo F6M 313, ma portato ad una silenziosità di funzionamento nuova, anche con l’ausilio di coperchi in bachelite fonoassorbenti, come si usa oggi nei moderni motori Diesel. Il cambio a 4 marce viene aggiornato col preselettore che porta ad
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8 i rapporti utilizzabili. Speciali dispositivi sono aggiunti ai veicoli destinati ad uso militare, che saranno molto apprezzati nei vari impieghi del periodo bellico; un modello specifico è stato realizzato anche per i Vigili del fuoco. Fra il 1939 ed il 1940 il mod. 500 viene prodotto anche con motore a benzina. Si chiama 500 BG ed, a parità di cilindrata, la sua potenza passa da 75 a 90 CV, il consumo diventa indefinibile, ma il serbatoio cresce da 100 a 140 litri. Naturalmente aumenta la velocità massima da 45,5 ad 80 km/h. Nel 1937 sull’autocarro mod 500, come anche sulle vetture 1750, è stato applicato il gassogeno a legna tipo “Roma”, da utilizzare in periodo di crisi energetica, metodo che si è rivelato di grande utilità durante il secondo conflitto mondiale. Bastava trovare legna da ardere lungo la strada per reintegrare il carburante. Negli anni di uso del gassogeno era frequente l’incontro con personale addetto alla gestione dell’autocarro, talvolta lo stesso conducente, impegnato a raccogliere legna nelle campagne, per conferirla alla caldaia del gassogeno. La velocità di 45 km/h era sufficiente a superare l’andamento delle strade, quasi sempre prive di asfalto; il minor rendimento del gassogeno, rispetto al gasolio, non impensieriva più di tanto gli operatori che vivevano a dimensione umana, senza im-
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pennate e senza fretta. Fermarsi per raccogliere la legna era pure la buona occasione per sedersi all’ombra di un albero, tirare fuori dal sacchetto di tela il pane, il salamino casareccio, qualche pezzo di formaggio, accompagnando il tutto con un sorso di vino contenuto nella borraccia di legno. L’autocarro mod 500 è quindi un veicolo che raccoglie, con le doti tecniche di primo piano, altre di natura stilistica particolarmente eleganti. Emerge quindi l’accostamento
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con le più belle vetture dell’epoca, nella raffinatezza delle linee, nella pulizia dei volumi. Abbiamo visto altre realizzazioni della stessa epoca prive di profilatura e con soluzioni estetiche quasi disdicevoli. Se vogliamo immaginare proporzioni più ridotte ed una prosecuzione della cabina di guida l’Alfa 500 sarebbe stato una bella berlina, inserita nel contesto della sua epoca (vedi Alfa Romeo 6/C 2300, eseguita su disegno di Castagna, che reca persino i perfili della fiancata i-
dentici a quelli dell’autocarro mod. 500, sottili sul cofano e più larghi sulla portiera). Nel mod 500 si fondono armoniosamente suoni, volumi e tecnica. La casa produrrà altri modelli, più moderni e più imponenti, più veloci, più commerciali, più in linea nei confronti col resto della produzione, ma l’apice resta sempre il modello 500, nelle proporzioni che lo collocano nella sua epoca. Se è consentita una divagazione per un confronto, si può affermare che il mod 500 è
SCHEDA TECNICA AUTOCARRI LEGGERI, MEDI E PESANTI ALFA ROMEO Telaio tipo
Motore tipo Carrozzeria tipo Periodo di produzione Cilindri n. Diametro e corsa mm. Cilindrata totale c.c. Combustibile Accensione Rapporto di compressione Regime massimo giri/min. Potenza massima CV Frizione Cambio marce n. Assi n. Assi motori n. Rapporto al ponte Passo m. Carreggiata anteriore mm. Carregiata posteriore mm. Tara kg. Portata kg. Peso a pieno carico kg. Peso autotelaio nudo Tensione impianto elettr. Freno a mano Freno a pedale Cerchi ruote Pneumatici anteriori Pneumatici posteriori Press. ant.e post. Kg/cmq Serbatoio comubust litri Consumo per 100 km Consumo olio per 100 km Velocità massima km/h.
500
F6 M 313 autocarro 1938 6 100 x 130 6126 nafta spontanea 18:01 2000 75 mono secco 4 + 4 rid. 2 1 mot. 01:07,6 4,5 1660 1680 3750 4250 8000 2900 24 volt mecc.trasm. idraul.ruote “ 20 x 7” 8,25 x 20 8,25 x 20 4,5 100 26 0,501 45,5
500 B R
BG 6 B autocarro 1939 - 1940 6 100 x 130 6126 benzina spinterog 5,3:1 2250 90 mono secco 4 + 4 rid. 2 1 mot. 01:06,2 4,5 1660 1680 4000 4500 8500 2885 24 volt - 12 mecc.trasm. idraul.ruote “20 x 7” 8,25 x 20 8,25 x 20 5,5 140 0,501 80
430
430 autocarro 1942 - 1947 4 115 x 140 5816 nafta spont. 16:01 2000 80 mono secco 4 + 4 rid. 2 1 mot. 1 - 522 3,3 1782 1610 3000 - 3500 3500 - 3000 6500 - 6500 2300 24 volt - 12 mecc.trasm. idr.serv ruote “ 20 x 6” 7,50 x 20 7,50 x 20 4 75 13,2 0,451 63,8
450 autocarro 1950 - 1951 4 120 x 140 6333 nafta spont. 2000 90 mono secco 4 + 4 rid. 2 mot.1 01:08,5 3,5 1812 1662 4000 4700 8700 24 volt mecc. trasm idr serv ruote “20” 9 x 20 9 x 20 4,5 75 15,7 0,461 57,7
800
800 - 800 autocarro 1940 - 1947 6 115 x 140 8725 nafta spont 16:01 2000 115 mono secco 4+4 2 mot.1 01:09,8 3,80 - 4,01 1940 1734 5000 - 5500 7000 - 7500 12000 -13000 3950 - 3900 24 volt mecc.trasm idr.serv aria “20x 8” 10,50 x 20 10,50 x 20 5,5 142 28 0,401 51 - 52,5
900 autocarro 1951 6 120 x 140 9500 nafta spont 2000 130 mono secco 4 + 4 rid 2 mot 1 01:07,4 4,8 1966 1976 5900 8100 14000 24 volt mecc trasm idr sev aria “22” 12,00 x 22 12,00 x 22 22,2 52,9
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un Lancia 3RO più piccolo, specialmente nella raffinatezza dei complessivi meccanici. Dal 1942 al 1947 appare sulle strade il modello 430, rivoluzionario perché ha la cabina di guida avanzata, col vano del motore interno; il frontale è sobrio con due “guancette” bombate sotto il parabrezze, con i fari interni ed il radiatore a vista, nel centro del frontale. Il motore è ora a 4 cilindri, la cilindrata di 5816 cc. che, a 2000 giri/min, eroga una potenza di 80 CV., la tara è di 3000 chili ed il carico utile di
3500, la velocità massima di 64 Km/h. Il consumo diventa assai modesto con i suoi 13 litri per 100 chilometri. Sulla frenatura viene introdotto il servocomando ad aria compressa. Nel 1950 inizia la produzione del mod 450, evoluzione logica del 430: c’è una crescita della cilindrata che passa a 6333 cc., la rotazione resta a 2000 giri ma la potenza cresce fino a 90 CV, la tara è di 4000 Kg e la portata sale a 4500 kg.; le ruote passano da 7,50 x 20 a 9 x 20 per sopportare il maggior carico; la velo-
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cità massima si riduce a 58 km/h, sempre rispetto al modello 430. Ma, già dal 1940 e fino al 1947 la Casa produce il mod 800, forte di un motore a 6 cilindri in linea di 8725 cc. che a 2000 giri eroga una potenza di 115 cv, notevole per l’epoca, dato che altri modelli di altre marche si sono attestati sempre nella produzione di motori con le medesime potenze specifiche. Il mod 800 pesa 5000 chili e ne trasporta 7000 raggiungendo la velocità massima di 51 km/h.; le sue ruote di 10,50 x 20” sembrano gigantesche rispetto a quelle del mod 430. La sagoma esterna del veicolo è ispirata al disegno del mod 430 ma notevolmente cresciuta nelle proporzioni. Nel 1951 al mod 450 viene affiancato il mod. 455 con modeste varianti rispetto al modello base, mentre nasce il mod. 900, logica evoluzione del mod 800, con motore di 9500 cc., dotato di 130 cv. Il veicolo pesa 5900 kg ed ha una portata utile di 8100 kg., sono cresciute le misure delle ruote fino a 12.00 x 20 e 12.00 x 22, la velocità massima non supera i 53 Km/h. Il mod 900 subisce ulteriori evoluzioni col telaio dotato di tre assi che portano la tara a 7300 kg e la portata a 10700. Su tutti gli autotelai, fino a questo punto descritti, la stessa Casa e molti carrozzieri esterni hanno realizzato autobus, veicoli militari, veicoli per usi speciali, naturalmente con modifiche del passo, del rapporto al ponte che, per esempio, portava gli autobus a velocità di oltre 90 km/h. Questa ricerca esula da confronti commerciali e vuole essere soltanto un concentrato di informazioni tecniche su una produzione di veicoli italiani, quasi passata nel dimenticatoio. Gaetano Pantano (per alcune fotografie qui allegate si ringrazia il Centro di Documentazione Storica Alfa Romeo di Arese, curato dalla Signora Elvira Ruocco).
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Francesco Agello, l’uomo più veloce del mondo dal 1934 Francesco Agello è stato autore del primato mondiale di velocità su idrovolanti, raggiunto nell’ottobre 1934 ai comandi di un Macchi-Castoldi M.C.72 portato alla velocità media di 709,202 km/h, un valore, per la categoria idrovolanti con motore a pistoni, tuttora insuperato
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lcuni vecchi raccontano che, da bambino, passava ore ad osservare il volo degli uccelli e con le mani simulava cambi di direzione e planate. In quei momenti di leggiadra spensieratezza forse il suo destino ed il suo futuro erano già stati tracciati, tanto che il vate Gabriele D’Annunzio, suo fervente ammiratore, lo soprannominò " Augello" parafrasando il cognome per il volo degli uccelli, non sapendo probabilmente di quanto fosse radicata in lui la passione per il volo. Non era ancora quello che tutti i giornali dell’epoca definirono “L’uomo più veloce del mondo” ma la velocità che aveva nel sangue fin da ragazzino avrebbe contraddistinto l’intera sua vita. Del resto “Vola solo chi osa farlo” dice il gatto Zorba a Fortunata, una gabbianella che è stata abbandonata quando ancora era nell’uovo a causa della morte della madre, nell’indimenticabile “La gabbianella ed il gatto” di Luis Sepulveda ed Agello osò volare più veloce di tutti. Francesco Agello è nato a Borasca di Casalpusterlengo il 27 dicembre 1902, dove tuttora una lapide posta sulla casa natale ricorda l'evento e le gesta. La velocità, dapprima su terra ferma e poi in volo, era il suo destino ma per raggiungere questo traguardo dovette faticare non poco. Eppure Agello non è mai stato uno che ha demorso dal suo obbiettivo. Sarebbe diventato un operaio o tuttalpiù un buon meccanico, seguendo le orme paterne, ma questo non era il suo “Destino”. Si arruolò per poter volare ma finì nei “Ricognitori” anziché nei più prestigiosi “Cacciatori” o “Bombardieri”. Ma Agello non mollò. Chiese di entrare nel costituendo Reparto di Alta Velocità di Desenzano del Garda voluto da Italo Balbo in vista della gara per la conquista della Coppa Schneider che si sarebbe tenuta in Inghilterra nel 1929. Ci riuscì superando test duri e difficili. Il tirocinio e le selezioni furono severissime : su quarantadue piloti del corso solo sette giunsero alle prove definitive. Il primo esemplare della nuova serie degli aerei "sfi-
danti" ad arrivare allo speciale reparto fu il prototipo Fiat C.29. Agello fu incaricato del collaudo ma dai primi voli emerse che il velivolo era poco o nulla controllabile e si salvò per un soffio da due gravi incidenti. Durante un ammaraggio il 16 luglio del 1929 Agello toccò la superficie del Garda quando un elemento estraneo (probabilmente un’onda sollevata da un lontano motoscafo) fece di colpo impennare il velivolo che aveva ancora una ve-
locità superiore ai 150 km orari e lo fece ricadere verticalmente di coda. Il Fiat C.29 Matricola Militare 129 si inabissò e solamente il fatto che l’impatto con l’acqua avesse ormai azzerato la velocità del mezzo permise ad Agello di abbandonare lo stretto abitacolo, buttandosi in acqua, e di venire ripescato indenne dai motoscafi di soccorso. Il relitto è stato ritrovato il 21 febbraio 2016 dal Nucleo sommozzatori del Gruppo Volontari del Garda
A destra: i piloti del primo corso al RAV, con Balbo e D’Annunzio. Agello è il secondo da sinistra tra i seduti. Sopra: nel giorno del record.
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che lo hanno “Ripescato” dalle acque lacustri. Il secondo Fiat C.39 fece la stessa fine del primo. Anche in questo caso Agello si salvò ma con molta più difficoltà rispetto al precedente incidente in quanto stavolta l'idrovolante si inabissò a forte velocità e con motore ed elica in avanti. Agello viene ripescato dal personale del motoscafo di soccorso. Dicono che lo abbiano preso letteralmente per i capelli, prima che sprofondasse sul fon-
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do con l'aereo. Impossibilitati a partecipare alla Coppa Schneider, per mancanza di velivoli affidabili, cambiò l’obbiettivo del Rav che divenne quello di strappare agli inglesi il record mondiale di velocità su idrovolanti. A tal fine ci fu una laboriosa operazione di collaudo e messa a punto di un nuovo apparecchio il MacchiCastoldi MC 72 con motore Fiat A. S. 6 da 2.500 CV che fu contrassegnata anche da perdite di vite umane. Persero la
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vita in tragici incidenti (anche se non tutti per l’MC 72) ben quattro dei sette piloti del primo corso velocisti: il tenente Giuseppe Magi, il capitano Giuseppe Motta, il tenente Giovanni Monti ed il maresciallo Tommaso Dal Molin ed altri tre piloti su dieci del secondo corso velocisti: il tenente Giancarlo Nicelli, il tenente Stanislao Bellini ed il tenente Ariosto Neri. La risposta italiana al record conquistato dagli inglesi arrivò finalmente il 10 aprile 1933, quando Francesco Agello a bordo del suo “Bolide rosso”, conquistò il primato di velocità dopo aver compiuto 5 passaggi su una base di 3 chilometri predisposta sul lago di Garda ad una media di 682,076 km/h. Alle 11 Agello era pronto al decollo. Alle 11,15 piombava sul percorso e faceva registrare questi tempi. Primo passaggio 678,477 km/h; secondo passaggio 682, 637 km/h; terzo passaggio 674,662 km/h; quarto passaggio 692,529 km/h e quinto passaggio 675,971 km/h. Dopo l'ultimo passaggio Agello, resosi conto del successo, si lanciò verso l'idroscalo colmo di spettatori, quasi “avvertiti” in simbiosi con la prova che sarebbe stata quella vincente del record, concludendo con una secca virata a coltello come segno di saluto. Agello ammarò con
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la solita maestria dopo 20 minuti e 32 secondi di volo. Arrestò il motore, uscì dall'abitacolo del posto di pilotaggio e si arrampicò sul lunghissimo muso dell'MC 72 per bilanciare la differenza di peso causata dal carburante consumato. Arrivarono tutti: tecnici, piloti, il comandante Bernasconi, lo sollevarono di peso sulle spalle, tutti impazziti di gioia: il record era stato battuto.La “Domenica del Corriere” del 23 aprile 1933, con la famosissima tavola di Achille Beltrame fece conoscere agli italiani ed al mondo intero la straordinaria impresa di Francesco Agello, che di fatto entrò nella ristretta cerchia degli eroi volanti di tutti i tempi. Al Rav dopo questa prova erano convinti di poter migliorare ulteriormente il primato superando la fatidica soglia dei 700 km/h. Profetico in questo senso era stato un articolo di Mario Massai sul “Corriere della sera” dell’11 aprile 1933 in cui si ribadiva “C’è da giurare che un idrocorsa scarlatto toccherà, prima macchina al mondo, la meta dei 700 chilometri l’ora, prodigiosa, splendente meta”. Purtroppo però i numerosi tentativi fatti non riuscirono ad andare a buon fine a causa di problemi tecnici. Nel frattempo era il 7 ottobre del 1934 e il RAV ricevette la visita di Benito Mussolini, accompagnato dal generale Giuseppe Valle, sottosegretario all'Aereonautica, che aveva sostituito Italo Balbo. Non si trattava di una semplice visita di cortesia o a scopo propagandistica ma l’intento era ribadire che il Rav era giunto alla sua gloriosa fine che andava coronata con l'ultimo record mondiale di velocità. Al Duce furono presentati piloti e tecnici del Rav da parte del comandante Bernasconi. Quando arrivò il turno della presentazione di Agello Mussolini pronunciò la famosa frase “E chi non conosce Agello?” a conferma-
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Francesco Agello con Mario Castoldi, progettista dell’MC. 72.
re quanta era la fama acquisita dal pilota lodigiano. Finalmente il 23 ottobre del 1934 alle ore 14:56, Agello superò il suo stesso primato raggiungendo la velocità media di 709,202 km/h, nonostante le non ottimali condizioni climatiche di visibilità che non consentivano di distinguere con esattezza i punti di riferimento sulla terraferma. Dopo il 4° passaggio Agello era convinto di non aver migliorato il precedente record viste le difficoltà incontrate, tant’è che preferì ammarare senza eseguire il 5° passaggio e senza eseguire il classico passaggio sull’idroscalo come era solito fare in segno di saluto. Ma Agello si sbagliava. I 4 passaggi erano stati eseguiti alla media di 705,882 – 710,443 – 711,462 – 709,059 chilometri orari. Agello per la seconda volta aveva dimostrato di essere “L'uomo più veloce del mondo”. Le doti di pilota-collaudatore di Agello erano emerse in tutta la loro
completezza dominando questi bolidi rossi che nel pilotaggio non ammettevano errori, decollando sulla lunga pista acquea del Garda, individuando i traguardi alla massima velocità, infine rallentando ed ammarando senza rimbalzi, al tempo stesso badando sempre ai giri del motore, alla circolazione e temperatura dell`acqua e dell`olio e del carburante e a leggere nel piccolo e ristretto cruscotto, altimetri, tachimetri, manometri e velocimetri, il tutto senza automatismi. Scrisse il Vate D’Annunzio “Tu nel giorno del tuo prodigio d’ossa e di soffio eri il più solo degli uomini, nello spazio misurato e pur senza misura dove la morte è vita e la vita è morte”. Grande fu il riscontro dato dalla stampa e dalla popolazione che favoleggiava su nuovi e insuperabili record. Ma purtroppo non sarà così. Non ci sarà un nuovo record ed il Rav chiuderà i battenti e con lui si concluderà una pagina di glorio-
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Il giorno del record, 23 ottobre 1934, sul Lago di Garda: l'aereo di Agello portato sulla linea di decollo da uno scivolo-natante. Sotto: Francesco Agello, appena sceso dall'idrovolante, è portato in trionfo.
sa storia dell'aviazione nazionale. Applicazione, temerarietà e perché no un pizzico di fortuna porteranno Agello a coronare un sogno: diventare ”L'uomo più veloce del mondo”. Il Macchi Castoldi MC.72 Matricola Militare 181 di Agello non volerà più. Rimarrà l’aereo più veloce in assoluto fino al 1939, e tuttora è il più veloce idrovolante con motore a pistoni del mondo. Dopo lo scorrere del tempo ora è uno dei più importanti cimeli del Museo di Vigna di Valle. Agello traguardava nuovi obbiettivi. Ma la “Sfortuna,” dea maligna e corrosa dall'invidia, specie quando vede qualcuno che si afferma attraverso le sue sole forze, è sempre in agguato ed in una mattina di densa ed umida nebbia come quelle tipiche della bassa, dove Agello era nato e vissuto da bambino e dove amava tornare, a Malpensa si accanì su di lui che si scontrò in fase di atterraggio con un altro velivolo, in decollo, pilotato dall'eroe
dell’aria Guido Masiero. Era il 24 novembre del 1942. La tragica notizia fece il giro del mondo. I giornali ne parlarono a lungo. Il giornalista Maner Lualdi sul “Corriere dell'Informazione” scrisse “ognuno di noi considerava Agello un raro, riuscitissimo incrocio tra il mammifero e il pennuto al quale il buon Dio avesse concesso tutte le virtù dell'eliotarso, il falco giocoliere dell'Africa che vola per divertirsi e per sbalordire, con le sue acrobazie, e anche i vantaggi dell'invulnerabilità. Agello s'era largamente guadagnato la fama di pilota infrangibile, superò incidenti romanzeschi dimenticandosene un minuto dopo”. I funerali si svolsero il 25 novembre a Milano partendo dal cimitero Monumentale. La salma di Francesco Agello fu avvolta in un paracadute Salvador e nel Tricolore, su un affusto di cannone, poiché era stato insignito della medaglia d'oro, tirato da cavalli bianchi. Dopo i solenni funerali, la salma di Agello fu trasportata a Crema, passando da Lodi, dove la popolazione gli tributò un caloroso ultimo saluto. Le autorità locali chiesero la sepoltura a Lodi ma la famiglia preferì inumare la salma nel Cimitero Maggiore di Crema, nella cappella di famiglia. In occasione del cinquantenario del record (23 ottobre 1984) il più grande dei cronisti sportivi Gianni Brera scrisse “Nessun traguardo è vietato all’uomo di coraggio, nessun limite alla costante ambizione di progresso. Ogni primato, pur grande e inaccessibile che appaia, è dunque superabile nel tempo. Il destino ha voluto però che questa legge trovasse una smentita nell’impresa di un piccolo indomito pilota della bassa lombarda, Francesco Agello. Il suo primato mondiale di velocità per idrovolanti è tuttora valido e insuperato dal lontano 1934”. Dionigi Francesco
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Paola Saracini, sognare con la sabbia
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n questo difficile periodo di pandemia (con conseguente isolamento in casa) vissuta quotidianamente in tutta la sua drammaticità in virtù di web e media - che con una rapidità in passato inesistente hanno veicolato informazioni purtroppo sovente incomplete, incerte per palese incapacità di organizzazione sociale e territoriale e ‘pontificate’ da una pletora di personaggi più o meno competenti e regolarmente in contraddizione tra loro creando confusione e inducendo molti non particolarmente dotati di senso civico a non affrontare con serietà il problema - si è rafforzata la schiera di coloro che hanno acquisito consapevolezza che le azioni dell’uomo generano un inquinamento da eliminare per migliorare la qualità della vita risanando l’aria. Si riuscirà a rivoluzionare il nostro sistema di vita attraverso politiche energetiche e industriali ‘ad hoc’ o per avidità di denaro, protagonismo e successo tutto tornerà come prima con la quasi certezza di scivolare in altre tragedie? Se si è avuto tanto tempo, ancorché non sereno, per riflettere, conducendo una vita comunque innaturale, la natura ha dimostrato, invece, di potere riprendere possesso di ciò che l’avidità umana crede essere proprio e non in godimento temporaneo. Proprio tale natura negata nel lungo periodo di quarantena insieme alla chiusura di musei, teatri… e di ogni altra forma di uscita ha indotto ad avvicinarsi maggiormente a correnti artistiche che usano l’ambiente come particolare strumento d’arte: lo dimostra l’alto numero di brevi messaggi relativi a ‘land art’ e ‘sand art’ anche se pian piano le tecniche di trasmissione in ‘streaming’ hanno permesso di recuperare alcuni settori e situazioni culturali. Conosciuta da tempo, la ‘land art’ (detta anche ‘earth art’ o ‘earth works’ quindi ‘arte della terra ‘ o lavori di terra’) - forma artistica di carattere generalmente effimero e transeunte di cui tuttavia restano testimonianze fotografiche, video… - è nata verso il 1967 negli Stati Uniti: connotata dall’azione diretta nella e sulla natura da parte di artisti che contestando il museo come luogo esclusivo dell’opera d’arte e il mercato artistico operano su territori incontaminati quali spiagge, deserti, monti e campi di grano, punta più al procedimento creativo che al risultato. Diversa la ‘sand art’ o ‘sand animation’ o ‘animazione con la sabbia’, tecnica d’animazione che usando la sabbia consente all’artista di creare in diretta
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linee e immagini su una superficie translucida come una lavagna luminosa o un tavolo retroilluminato: i disegni ripresi da una telecamera sono trasmessi a uno schermo e conservati tramite foto o video o stampati su tela, divenendo in questo caso meravigliosi ‘unicum’. La sabbia (o rena) è un materiale quasi magico che deriva dalla frantumazione di rocce sedimentarie in granelli piccolissimi (tra i 2 e gli 0,063 millimetri) con cui tutti i bimbi si cimentano ‘ab immemorabili’ sulle spiagge sabbiose nella costruzione di fantasiosi castelli... e che nei secoli hanno segnato in trasparenti clessidre di vetro (derivato anch’esso dalla sabbia) il lento e ‘sottile’ scorrere del tempo. Proprio alcuni messaggi relativi a tale arte hanno fatto riemergere nella memoria una magnifica esperienza in cui a illustrare le bellezze di una regione italiana è stata Paola Saracini (www.paolasaracini.it), artista che attraverso lievi ed eleganti movimenti della mano - bacchetta magica da cui sbocciano affascinanti immagini dalla cui dissolvenza ne nascono altre: miraggi che inducono a sognare - ha raccontato in modo affascinante la ‘bellezza infinita delle Marche’, dove è nata a Castelfidardo e opera tra Osimo e Ancona quando gli impegni artistici non la portano in giro per l’Italia e per il mondo. Paola manifesta precocemente passione per il disegno e raggiunge al riguardo una solida preparazione conseguendo dopo la Maturità d’Arte applicata il diploma di Decorazione e l’attestato di Designer e frequentando un corso di Restauro e Decorazione. Divenuta docente di ruolo di Educazione Artistica, sperimenta varie tecniche pittoriche unite a materiali diversi e partecipa a numerose mostre collettive e personali (cominciando nel 1992 con una prestigiosa collettiva presso il Museo di Storia Cinese a Pechino) e a parecchi eventi in Italia e all’estero, moltissimi dei quali relativi alla Sand Art. Affabile, vivace e curiosa tanto da non temere il nuo-
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vo che cerca con fiuto da detective, si è avvicinata alla Sand Art cercando nuovi materiali resinosi e vedendo in televisione nel 2012 uno spot dell’Eni (opera dell’artista israeliana Ilana Yahai) mentre era confinata a casa per la neve (corsi e ricorsi storici…). Un approccio, quindi, da autodidatta a quest’arte che la diverte e l’affascina proprio per l’aspetto transeunte, il senso di precarietà e soprattutto per lo stupore e le emozioni che l’artista sente vibrare, quasi sogni palpabili che scaturiscono da ciascuno degli spettatori che in bilico tra ciò che vedono, sentono e pensano assistono in assoluto silenzio alle sue performance, soprattutto se in ambienti poeticamente magici come i teatri. Faldoni di ricordi da sfogliare nella memoria aiutata da foto e video: tutti avvincenti come ‘Coppia che danza’ mentre Paola rende visibili le melodie di un tenore e una soprano accompagnati da un pianista, l’Histoire du soldat’ di Stravinskij in cui illustra l’esibizione di Peppe Servillo che ha curato anche la riduzione del testo e ancora l’omaggio ad ‘Ancona con Arco Clementino, Arco di Traia-
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no e Duomo in sequenza’. Paola coltiva non solo la passione artistica, ma anche quella per le macchine d’epoca ed è orgogliosa della sua elegante ‘Citroën 2CV Charleston grigia e nera del 1984’ (iscritta al Registro ASI) e tenuta preziosa non solo perché è la prima vettura posseduta, ma anche per il fatto che una macchina storica è arte al pari di un dipinto eccellente o di uno scritto di qualità. Numerosi sono i suoi lavori in cui le auto d’epoca compaiono rappresentate con un pizzico di fantasia come in ‘Guantanamera’ cantata da un musicista mentre l’artista ne ricrea l’atmosfera (di cui la canzone è uno dei simboli) disegnando anche una delle auto americane rimaste nell’isola come retaggio della plutocrazia statunitense e oggi patrimonio culturale di Cuba oppure con fedeltà come in ‘Cortina 2005, Alfa Romeo Zagato 1750 compressore, 1937/1938’ e naturalmente nella sua amata 2CV. Il pennello di dita fatate e il caldo colore della sabbia creano ‘tappeti di Aladino’ su cui volare! Wanda Castelnuovo
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Pedalauto: l’invenzione dell’auto a motore che va anche a pedali Erano gli anni del regime fascista e di quel modo di fare che si definisce autarchico. Nacque l’idea di progettare una vettura di soli 350cc e se necessario eliminare il motore e pedalare!
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automobile, così come oggi la conosciamo, è un concentrato di tecnologia, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso, con continui miglioramenti e perfezionamenti, che rendono questo prodotto dell’ingegno umano sempre più sicuro, comodo, versatile, adatto a soddisfare qualsiasi esigenza. L’evoluzione tecnica di questo mezzo è passata, fin dal suo inizio, attraverso il lavoro e l’applicazione di tante menti appassionate e talora geniali che, spesso per puro diletto, si sono prodigate nel progettare, modificare, migliorare, correggere e sperimentare soluzioni per ogni singolo aspetto del pianeta auto. Così si è assistito ad interventi relativi all’estetica, al comfort, alle prestazioni, ai consumi, alla sicurezza, agli aspetti economici e così via. In questi ultimi anni, complice anche una certa inquietudine legata alle poco incoraggianti notizie sui danni ambientali dell’inquinamento umano e sulla scarsità delle scorte di combustibili fossili, l’industria automobilistica dedica molte delle sue energie alla ricerca nell’ambito della riduzione dei consumi e della diversificazione delle fonti energetiche: ne è prova la frequente presentazione di modelli di auto ibride, a consumi ridotti, o di veicoli alimentati con energia ricavata da fonti rinnovabili. Discorrendo di recente intorno a questi argomenti con un caro amico, profondo appassionato di automobilismo storico, ecco che mi sottopone un insolito documento dal titolo “Pedalauto”, datato 1939, facente parte di una collana di saggi editi dal “Centro Studi, Ricerche ed Applicazioni di Marcello Creti”. La lettura del breve saggio suscita in me una certa curiosità e, alla richiesta di come ne sia venuto in possesso, l’amico mi racconta che, studente del primo anno al Cavour (all’epoca, come l’amico riferisce, l’unico Liceo Scientifico della Capitale), abitava con i genitori in un edificio di nuova costruzione al Quartiere Trionfale, e conobbe casualmente Marcello Creti, il quale aveva lo studio in un appartamento nello stesso palazzo, e lo omaggiò di alcuni suoi scritti. Marcello Creti (Roma, 16 aprile 1922 – 1° gennaio 2000), è stato un giovane inventore italiano, all’epoca molto noto, ed attualmente pressochè sconosciuto ai più. Negli anni antecedenti
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GIUGNO 2020 l’ultimo conflitto e pertanto giovanissimo, egli venne definito il più giovane inventore italiano, avendo depositato brevetti (se ne contano circa 120), oltre che nella propria nazione, anche in Belgio, Francia, Germania, Romania, Stati Uniti, Svizzera e Svezia. Molte delle sue invenzioni sono diffusamente utilizzate, anche in campo militare. Tra i suoi progetti ricordiamo: l’amplitele (telefono vivavoce), del 1937, la sua invenzione più nota, ideata a soli 14 anni; il “telefono plurimo” (una doppia linea usatissima in campo militare poiché permetteva il collegamento simultaneo tra più persone che si trovavano il luoghi differenti), del 1938; il cambiadischi automatico (primo prototipo di juke-box per i dischi a 78 giri; per questa invenzione ricevette un premio di 10.000 lire), del 1938; il telefono automatico portatile (un primo esempio di telefono cellulare, che consentiva di comunicare a una distanza di oltre 50 chilometri), del 1940, la cui descrizione ci auguriamo possa trovare spazio in un prossimo articolo; ed il Pedalauto, del 1940, oggetto di questo articolo. Riprendiamo direttamente le parole di Marcello Creti il quale, nel corso del 1939, si era affascinato all’idea di poter realizzare una “vetturetta di proporzioni minuscole”, biposto, nella quale, oltre ad un motore di tipo O.M. di 350 cc di cilindrata, non avrebbe reputato “irrazionale aggiungere, come mezzo di trazione accessorio, un sistema di pedaliere”, cosa che, fino ad allora, non era stata mai progettata da alcuno per le automobili, ritenendo che il “motore umano”, come lui lo definiva, non apportasse altro che una trascurabile aggiunta di potenza al sistema, stimabile in circa 1/3 di CV. I vantaggi di un simile sistema “ibrido”, come lo definiremmo oggi, si potevano riassumere secondo il Nostro nei seguenti punti: “Se la macchina è in circolazione per semplice diletto, i due che sono a bordo troveranno piacevole, originale e simpatico l’alternare la marcia a motore con quella a pedale. Se le persone che stanno a bordo appartengono al ceto degli sportivi e
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sono in gita a scopo sportivo o turistico, troveranno interessante la possibilità di fare, pedalando, un po’ di buona ginnastica. Chiunque sia a bordo che usi la macchina a scopo utilitario o si trovi comunque in condizione di dover curare la massima economia di combustibile, troverà sempre conveniente il compiere certi tratti di percorso in piano, o in blanda discesa, senza motore. Chiunque sia a bordo e qualunque sia lo scopo per cui usa la macchina, troverà sempre comodo, non disponendo che di un economicissimo motore – il potersi aiutare con le gambe in certe salite. Se si verifica un guasto al motore, se viene a mancare la benzina o se, per una ragione qualunque, la marcia
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a motore non può effettuarsi, la pedaliera permetterà sempre di raggiungere, se non addirittura la meta cui si è diretti, almeno una prossima officina di riparazione o un posto di rifornimento o di rifugio. Certe manovre in luoghi angusti, difficili a compiersi col motore, risulteranno più semplici e facili se effettuate con la pedaliera. La possibilità di entrare e uscire dal garage o di attraversare certi luoghi – specialmente nelle ore notturne – senza strepito di motore, costituisce essa pure un vantaggio non trascurabile. Dall’esame di queste possibilità e particolarità risulta che una vetturetta a trazione mista, termica e muscolare, può trovare il suo posto nel vasto e complesso ambito dell’automobilismo, il quale deve soddisfare, oltrechè a tanti pratici bisogni, anche a tante e così diverse esigenze e perfino a tanti e così svariati gusti personali per cui ogni nuovo tipo di macchina, anche se fuori dall’ordinario, trova sempre i suoi amatori.” E’ così che nasce il “Pedalauto”, vettura a due posti, di 102 kg di peso, della quale vi mostriamo lo schema dell’intelaiatura e varie riproduzioni dell’epoca. Essa raggiungeva i 48 km orari su strada piana asfaltata, per percorrere i quali consumava all’incirca 1 litro di benzina. Il 18 febbraio 1940 il prototipo venne presentato a Benito Mussolini, insieme ad un’altra sua invenzione, il telefono multiplo per consentire conversazioni tra più uditori. Il Duce espresse interesse e compiacimento per entrambe, auspicandone la produzione da parte di aziende italiane, anche per un eventuale utilizzo di tipo bellico, conferendo un premio all’inventore. Non ci risulta che, al di là del momentaneo interesse, questa vicenda abbia mai avuto un seguito, ne’ che il Pedalauto sia stato mai realizzato su scala industriale. Per noi, oltre all’ovvia curiosità verso tale tipo di veicolo, ci preme ricordare quanto la storia dell’uomo sia ricca di figure geniali che, spesso, rimangono ignote ai più, e non vengono valorizzate a sufficienza. Marco Della Ventura
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Un rallista chiamato Stirling Moss Nei primi anni Cinquanta il grande pilota inglese stava ancora cercando la sua giusta dimensione agonistica e pertanto coglieva qualsiasi occasione per gareggiare. Si trovò così a partecipare sia al Rally di Montecarlo che al Rally des Alpes raggiungendo risultati di tutto rilievo
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o scorso 12 aprile Stirling Moss ci ha lasciati. Di quello che è stato uno dei più grandi piloti di sempre si è ricordata la straordinaria carriera fatta di 529 corse con tutti i tipi di auto sportiva, le 212 vittorie di cui 16 nei gran premi di Formula Uno e i numerosi titoli mondiali sfiorati (quattro volte consecutive vicecampione). Delle sue imprese memorabili sulle piste di tutto il mondo, insomma, si è scritto e detto di tutto ma nella massa delle rievocazioni non si é abbastanza messo in risalto che Moss (come la sorella minore Pat) ha avuto anche una breve ma importante carriera da rallysta che lo ha portato nel 1952 ad un secondo posto assoluto al Rally di Montecarlo e nel 1954 a conquistare la Gold Cup al Rally des Alpes. Ma andiamo con ordine. Nei primi anni del dopoguerra il giovane Stirling si mise in luce soprattutto nella Formula Tre con vetturette Cooper e Kieft fino a che nel 1951 riuscì ad esordire al Gran Premio di Svizzera con una modesta HWM-Alta: sarà ottavo, a due giri da Juan Manuel Fangio, ma la sua stagione non prosegue oltre così Moss fece la sua gavetta mettendo le mani su qualsiasi volante gli venisse proposto, comprese le gare di trial così popolari in Gran Bretagna. Per esempio nel 1950, a bordo di una Jaguar XK120, era iniziata la sua formidabile serie di vittorie (saranno sette fino al 1961) al RAC Tourist Trophy disputato sul percorso irlandese di Dunrod. In quello stesso anno il Gruppo Rootes aveva presentato la Sunbeam Talbot 90 MKII, una berlina dotata di un quattro cilindri di derivazione Humber a valvole in testa di 2267 cc. e 70 CV. Il responsabile vendite del gruppo, Norman Garrad, convinse i fratelli Rootes a utilizzare le competizioni come trampolino di lancio per il nuovo modello e a tal fine costituì un piccolo reparto corse. Così nel gennaio del 1952 iscrisse Stirling Moss (per un compenso di 50 sterline) al Rally di Montecarlo con una 90 MKII in compagnia di ben due coequipiers: il giornalista di Autocar John Cooper (solo omonimo del celeberrimo preparatore) e il segretario del British Racing Drivers’Club Desmond Scannell. E la grossa vettura dei tre inglesi (numero di gara 341) andò oltre ogni a-
spettativa superando tutte le difficoltà del percorso e del meteo giungendo senza penalità a Montecarlo assieme ad altri soli 14 concorrenti. Nella prova finale, poi, per quattro secondi Moss, Cooper e Scannell dovettero lasciare la vittoria alla Allard P1 di Sydney Allard e Guy Waburton ma fu comunque un debutto assoluto davvero straordinario.
La soddisfazione di Garrad fu tale che in luglio iscrisse al Rally Internationale des Alpes (o Alpine Rally) tre Sunbeam-Talbot 90 MKII i cui equipaggi erano Stirling Moss-John Cutts, Mike Hawthorn-“Chippy” Chipperton e George Murray Frane-John Pearman. La gara, che nell’anteguerra veniva chiamata Coupe des Alpes, si correva
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dall’11 al 16 luglio 1952 ed era costituita da cinque tappe con partenza a Marsiglia e arrivo a Cannes per un totale di ben 3.155 chilometri su e giù lungo i passi alpini di Francia, Italia Austria e Svizzera. Nel nostro paese aveva come sedi di arrivo di tappa Monza, Cortina d’Ampezzo e Menaggio. Alla fine della estenuante maratona l’equipaggio Moss- Cutts si classificò al decimo posto assoluto ma quel che più conta si aggiudicò la Coupe des Alpes, riservata agli equipaggi che portavano la vettura integra al traguardo senza subire alcuna penalità nei tratti stradali. In quel 1952 Stirling continuò i suoi impegni sia con la Jaguar che con le vetture del gruppo Rootes. Per la casa di Coventry partecipò con John Cooper su una XK 120 con guida a sinistra prima al Daily Express International Rally che si svolgeva sulle strade inglesi classificandosi tredicesimo, poi con Gregor Grant al più impegnativo LyonCharbonniéres Rally che prevedeva oltre 2500 chilometri attraverso le montagne del Giura e delle Alpi francesi, classificandosi quindicesimo. Con una imponente Humber Super Snipe MK IV, infine, portò a termine con altri piloti una singolare maratona promozionale denominata “15 countries in 5 days” che partiva da Oslo per giunge-
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re dopo 5.500 chilometri a Lisbona! Anche se il 1953 non lo vide ancora protagonista nei gran premi (solo 4 partecipazioni con Connaught e Cooper senza particolari risultati) Moss ritornò sulle strade del Rally di Montecarlo con i soliti Cooper e Scannell e la fedele 90MKII: non ripeterono l’exploit dell’anno precedente ma alla fine furono comunque sesti assoluti. Alla sedicesima edizione del Rally des Alpes, sempre con John Cutts, Moss portò invece la nuova nata di casa Sunbeam, l’Alpine, così chiamata da Garrad proprio in riferimento al rally. Era un roadster derivato dalle berline della serie 90 con un rapporto di compressione più alto e modifiche ai rapporti del cambio, vettura di non straordinaria bellezza passata alla storia per la famosa sequenza di “Caccia al ladro” guidata da Grace Kelly che terrorizza il povero Cary Grant sui tornanti della “corniche” monegasca. Le tre Alpine che presero il via da Marsiglia erano una versione speciale preparata per il rally con circa trentasei modifiche al modello di serie e una potenza massima di circa 98 CV. Stirling portò la sua al traguardo in quattordicesima a posizione, ancora u-
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na volta senza alcuna penalità, e cominciò pensare seriamente alla Gold Cup, riservata a chi per tre edizioni consecutive avesse conquistato la Coupe des Alpes e vinta fino a quel momento solo da Ian e Pat Appleyard su Jaguar XK120 dal 1950 al 1952. Il 1954 vide la terza partecipazione di Moss (sempre con Cooper e Scannell e la 90 MKII) al Rally di Montecarlo ma ormai la concorrenza era sempre più agguerrita (è l’anno della vittoria di Louis
Chiron e Ciro Basadonna su Lancia Aurelia B20 GT) e i tre non riuscirono a far meglio del quindicesimo posto assoluto. In luglio fu la volta del Rally des Alpes che, nonostante la stagione, si corse in condizioni meteo tali da costringere la chiusura di diversi passi alpini. Condurre la pesante Sunbeam su strade rese scivolose dalla neve e dal ghiaccio, tra pareti di roccia da una parte e precipizi dall’altra, fu un’esperienza davvero dura per Moss che nel suo dia-
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rio personale scrisse: “Per la prima e unica volta nella mia vita la tensione nervosa è stata così forte che dopo l’arrivo ho avuto una specie di collasso e sono scoppiato a piangere.” Ma, oltre alle difficoltà sulla strada, Moss e Cutts dovettero affrontare un’ultimo ostacolo. Ancora una volta erano giunti a Cannes senza penalità ma loro Alpine mostrava qualche problema al cambio e un altro concorrente rivale un controllo da parte dei giudici di gara: se la vettura non fosse stata integra sarebbe venuta meno una delle condizioni per poter vincere la Coupe des Alpes per la terza volta consecutiva. Così’ l’esausto Moss fu costretto ad un mezzo miracolo di abilità di guida, utilizzando l’overdrive e convincendo il giudice al suo fianco che la vettura aveva tutte le marce al posto giusto: l’agognata Gold Cup era sua! “E’ stata l’unica volta che ho barato commentò poi - ma sapevo di meritare in pieno quella dannata coppa!” Alla fine del 1954 Stirling (che in Belgio aveva intanto conquistato il suo primo podio in Formula Uno) partecipò con la squadra Sunbeam Alpine al Great American Mountain Rallye, massacrante corsa con temperature polari che partiva da New York e attraversava Connectucut, Massachussets, Vermont e New Hampshire, costeggiava il confine canadese e terminava a Poughkeepsie, poco a nord di New York. Le copiose nevicate crearono non pochi problemi a molti equipaggi tanto che lo stesso Moss, in coppia con Ron Kessel, dovette ritirarsi a causa delle strade impossibili. Da questo momento in poi I suoi impegni rallistici si sarebbero sempre più diradati perché il 1955 fu un anno decisivo per la sua carriera: il secondo posto nel mondiale dietro a Fangio e la vittoria a tempo di record in una leggendaria Mille Miglia lo avrebbero fatto entrare di diritto e per sempre nell’Olimpo dei grandi piloti. Renzo De Zottis
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L’autocarretta OM 32 e 35 Terminata la Prima Guerra Mondiale i funzionari del Regio Esercito Italiano decisero di produrre un mezzo a trazione integrale spartano, di tipo alpino, quasi a sostituire il mulo. Ne saranno costruite sei serie con tante modifiche e migliorie. Diventarono il simbolo della guerra d’Africa e di una ben più triste conquista dell’Albania e della Grecia
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ntorno al 1925 le autorità militari del Regio Esercito sentirono l’esigenza di riammodernare il parco veicoli e lanciarono una gara incaricando l’industria nazionale di mettere a punto un veicolo con caratteristiche di tipo alpino e con trazione integrale visti i modesti risultati dei veicoli risalenti alla Prima Guerra Mondiale che gloriosamente qualche buon risultato lo fecero ottenere e comunque e nessuno era munito di trazione sulle quattro ruote. Le ditte partecipanti a questa gara furono la Fiat, la Lancia, Pavesi, l’Alfa Romeo, Ceirano e l’Ansaldo alle quali vennero chiesti alcuni veicoli prototipo da sottoporre immediatamente a prove tecniche con particolari requisiti indispensabili per partecipare al bando. Pavesi in tempi brevissimi, nell’autunno del 1926, presentava un veicolo denominato “Autovettura da ricognizione e da collegamento” che da subito venne ritenuta non idonea per la complessa macchinosità meccanica e per la pochissima maneggevolezza data da dimensioni e peso compresi. (Uno dei prototipi è sopravvissuto e si trova presso un collezionista Sammarinese) Nel 1928 apparvero i primi esemplari di questo autocarro da montagna 4x4. L’Ansaldo con i suoi prototipi a 4 ruote motrici e sterzanti o direttrici , dà importanti risultati, ritenuti soddisfacenti, e vince la gara. Nel 1930 venne siglato il l’accordo per la prima fornitura di un lotto di circa cento autocarri, nel frattempo il contratto viene rilevato dalla ditta O.M. (Officine Meccaniche) di Brescia che apporta subito alcune migliorie immediatamente sottoposte ai vertici militari. Nel
1931 si provano i veicoli nella loro forma definitiva e nel 1932 iniziano le consegne ai reparti. Nello stesso anno un lotto di queste autocarrette 32 (prima serie) partecipa alle Grandi Manovre ottenendo un buon apprezzamento. Nel contempo per soddisfare altre esigenze si diede il via a degli studi di un veicolo a trazione integrale per il trasporto di persone, con denominazione di “vettura da ricognizione e da montagna”. Nel 1933 viene ordinato un successivo lotto di detti autocarri con la denominazione definitiva di “autocarretta 32” da montagna. In seguito ogni lotto su-
birà modifiche suggerite dai collaudatori e dal personale dei reparti per arrivare in forma definitiva alla (sesta) VI serie. Dalla seconda serie si cambierà il nome in “Autocarretta 35” apportando così le prime modifiche ritenute abbastanza importanti. Il battesimo operativo delle autocarrette 32 avverrà in Africa Orientale (poi AOI) dove se ne farà un grande impiego nella conquista di questo angolo d’Africa. Infatti tutte le autocarrette della prima serie verranno spedite in quel teatro d’operazioni trovando e incassando un grande successo d’impiego. Nel contempo si riscontrarono
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GIUGNO 2020 anche alcuni limiti che portarono subito alla comprensione delle modifiche indispensabili per migliorarne l’efficacia tra le quali l’aumento della cilindrata, la diminuzione dei giri del motore, l’allargamento della carreggiata e la possibilità di sostituire il semipneumatico con la ruota pneumatica. In un secondo tempo vennero spedite altre “OM 32” della serie successiva con variazioni apportate grazie all’esperienza maturata, per un totale di 1500 autocarrette tra i modelli 32 e 35 che non faranno più ritorno in Patria. Altre autocarrette modello 35, circa 400, parteciperanno alla Guerra di Spagna adibite al trasporto e al traino di batterie da 65/17 che, con non poche difficoltà dovute al gravoso traino, portavano al surriscaldamento del motore pure in brevi tratti stradali mettendo spesso fuori uso la macchina. L’ autocarretta era ritenuta talmente versatile da essere impiegata ancora nella Seconda Guerra Mondiale; le ultime versioni sono ancora in servizio e le ritroviamo nelle campagne di Russia, d’Albania, di Grecia dove ne vennero adoperate circa 1000 tra le 3000 disponibili. Nonostante la genialità del piccolo veicolo ci si rese conto che dopo pochi anni l’autocarretta era ormai obsoleta, ma si continuò a produrla comunque fino al 1939 costruendone oltre 5000 esemplari comprese quelle esporta-
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te verso Paesi Europei e non. Molte furono le varianti che equipaggiarono il piccolo veicolo da montagna, dalle unità chimiche dotate di attrezzature nebbiogene ad autobotti. Inoltre fu sperimentata più di una variante come contraerea montando un’arma Fiat 35, poi una Breda 37 ed infine una mitragliera da 20 mm. Alcune nel 1942 vennero corazzate dalla stessa O.M. per impiego ferroviario e chiamate “Autocarret-
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te Blindate e Armate “ per pattugliare i confini dell’ex Jugoslavia. Tecnica costruttiva dell’Autocarretta 32 Possiamo affermare con certezza che si tratta del primo autoveicolo a trazione integrale adottato dal Regio Esercito e per quei tempi solo l’Ing. Pavesi si era cimentato nelle quattro ruote motrici col suo trattore P4 agricolo e qualche timido proto-
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tipo di poco successo, ma che col tempo e le opportune modifiche troverà grandi successi anche in campo militare negli anni a venire. Il suo telaio a longheroni a C completamente dritti è collegato da svariate traverse che lo rendono estremamente solido, semplice e robusto; nella parte anteriore del suddetto è alloggiato in parte a sbalzo il piccolo propulsore raffreddato ad aria con carter a secco ed il serbatoio dell’olio a parte dalla capienza di 10 litri, con lubrificazione forzata del solo albero a gomiti, mentre le valvole vengono lubrificate manualmente con pompetta ogni 100 km (immaginate, fermarsi in pieno conflitto per lubrificare le valvole onde evitare il rischio della grippatura) e dalla cilindrata di circa 1600 cc circa. Lo stesso, una piccola opera d’arte, tutto in allumino esclusi i 4 cilindri verticali in ghisa con teste riportate di tipo motociclistico, con grandi alettature per ottenere il massimo del raffreddamento, queste sono contenute in un grande rivestimento d’alluminio che fa da convogliatore d’aria per il raffreddamento, a monte la grande ventola solidale all’albero motore che prende aria dal finto radiatore e la spinge sui cilindri; geniale anche la grande serpentina del raffreddamento dell’olio inserita nell’interno del convogliatore con la possibilità, tramite rubinetto, di essere aperta o chiusa in rapporto alla temperatura esterna. La sua frizione monodisco a secco è collegata con un piccolo albero di trasmissione al cambio, l’accensione a magnete di tipo Marelli M.S.A 4, carburatore Memini di tipo speciale per grandi inclinazioni, serbatoio benzina da 55 litri di cui 15 appartenenti alla riserva, il tutto alimentato a caduta, il cambio incastonato tra i 2 longheroni centrali è a 4 marce più la retro. Le prime 2 marce sono esclusivamente di tipo fuoristradistico, dotato di antindietreggio, si rende semplice e robusto ed è l’anima della “carretta 32” così soprannominata, ma non in modo dispregiativo. La carreggiata ridicola per i giorni nostri è di 100 centimetri (1 metro); le sospensioni estremamente innovative e tutte indipendenti vengono realizzate con 2 molle semiellittiche a balestra montate in modo trasversale e unite da un giunto sferico solidale con il mozzo della ruota. La scatola dei differenziali è ancorata a 2 enormi cavallotti stampati facenti parte del telaio ed è scomponibile in 2 (due) parti uguali; i 2 (due) differenziali sono bloccabili contemporaneamente, cioè, quando si tira la leva d’innesto si azionano entrambi i bloccaggi, tra il differenziale ed il mozzo, il moto viene portato alla ruota da enormi semiassi con un giunto di tipo cardanico, il tutto per ogni sospensione. Per dare ulteriore twist all’avantreno tutta la sospensione anteriore è montata a bilancia, libera di oscillare di altri 8-10
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centimetri; le ruote di tipo a cerchio stampato sono con anelli semipneumatici intercambiabili da 120 x 670 con scanalatura centrale per dare la possibilità di alloggiare i sistemi di aderenza per il fango. Il sistema frenante è a ganasce ed è azionato da tiranteria in corda d’acciaio mentre quello di stazionamento azionabile a mano si trova sulla trasmissione. Lo sterzo composto da due tiranti: uno sulle ruote davanti e uno su quelle di dietro; l’accoppiamento tra le ruote è ottenuto da una barra d’acciaio elastica montata ad arco e tenuta in guida nella parte centrale da un perno ancorato sulla scatola del differenziale, vero e proprio tallone d’achille della carretta 32, modifica apportata immediatamente nella seconda serie. La carrozzeria è a dir poco, spartana: il pilota e il meccanico separati dal cofano motore si ritrovano in posizione talmente limitata che un “uomo dei nostri tempi di 175 centimetri” non è in grado di innestare la retromarcia; il musetto completamente aperto incorporava il solo strumento della pressione dell’olio misurata ancora in metri d’acqua e sopra di esso l’illuminazione composta da un faro centrale ad acetilene, lateralmente due fari da guerra ad olio e posteriormente ad illuminare la targa una piccola lanterna ad olio. I 2 (due) posti anteriori come già detto molto modesti e angusti; il cassone di modestissima capienza con sponde laterali fisse e quella posteriore scomponibile in 2 (due) parti uguali, a ridosso della cabina sempre nel cassone separato da una paratia, lo scomparto porta aderenze. Una capote in canapa protegge entrambi i conducenti, una sorta di protezione laterale sempre in tela canapa simula gli sportelli e sul cassone una copertura sorretta da u-
na centina centrale montata in modo longitudinale protegge il carico. Le principali modifiche apportate nei vari modelli Al modello 35 verranno modificati l’illuminazione per cui il faro centrale ed il fanalino posteriore diventano elettrici montando una piccola puleggia sull’albero che trasmette il moto al magnete che alimenta una piccola dinamo sorretta da un minuscolo supporto; la carreggiata passa da 100 centimetri a 110 centimetri invertendo il canale sul quale è montato il semipneumatico. Sul disco in acciaio viene rivettato il canale tutto verso l’esterno facendo cambiare la campanatura del cerchione guadagnando 5 centimetri per parte. L’accoppiamento delle ruote sia anteriori che posteriori viene sostituito dalla nuova tiranteria di sterzo, quindi ogni ruota ha il suo tirante di comando. Nella successiva versione, che sfocierà nel modello “autocarretta 36 “detta anche D.M. perché assegnate alla Divisione Motorizzata verranno apportate modifiche tra le quali : il cassone che diventerà di dimensioni più capienti e più robusto; un'altra versione non più a cassone, ma con tre file di sedili fronte marcia servirà a trasportare una squadra di fanteria con tutto il suo materiale ed equipaggiamento. Finalmente troveremo le ruote pneumatiche di tipo artiglio ed una miglioria al cambio: verrà aggiunto un demoltiplicatore all’entrata dell’albero primario e cambiati i rapporti per rendere il tutto più maneggevole e confortevole; le sospensioni verranno dotate di 4 ammortizzatori idraulici ed infine aumentata la capacità del serbatoio. Fabio Temeroli
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NISSAN MICRA 1.0 2005, 1.500euro, benzina, colore verde. Tel 333 3043679 MICRA 1.2 2005, 3.500 euro, impianto a metano, colore nero, condizioni perfette, con garanzia. Auto Bernacchi. Tel. 0575 740407 MICRA 1.2 2009, 3.500euro, 5 porte, 140.000km, benzina-gpl, colore nero, unico proprietario, appena tagliandata. Automobili Lowcost tel. 075 8511516, 393 3322046, automobililowcostsrl@gmail.com PICK UP NAVARRA 2.5 2005, 7.500 euro, 200.000km, diesel, modello penultima serie, cambio automatico, con condizionatore, hard top e gancio traino, in buone condizioni. Tel 347 3344848 QASHQAI 1.6 DCI 4WD PREMIER LIMITED EDITION 2014, 15.900euro, 88.500km, diesel, colore rosso bordeaux, tagliandi certificati. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it TERRANO 2 2.7 TD 1995, 300.000km, diesel, colore bianco, revisionato fino al 2021, in buone condizioni. Tel 329 8627259
OPEL ANTARA 2.2 CDTI COSMO UNLIMITED 2012, 10.200euro, 96.400km, diesel, cambio automatico, colore nero metallizzato, tagliandi certificati. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it CORSA 1.0 1989, 500 euro trattabili, 3 porte, 159.000km, benzina, colore grigio metallizzato. Tel 388 1817028 ZAFIRA 1.9 MJT 2006, diesel, colore grigio scuro metallizzato. Bigioli Auto, tel. 0575 741638, bigioliauto@virgilio.it ZAFIRA 1.6 ECOMETANO 2008, 7.700euro, 95.000km, metano, in ottime condizioni, colore bianco, appena tagliandata. Automobili Lowcost, tel. 075 8511516, 393 3322046, automobililowcostsrl@
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PEUGEOT 205 CABRIOLET 1.1 1986, 2.900 euro, da sistemare, completa di tutto, corre bene, documenti regolari. Tel. 334 8409272 205 CTI CABRIO 1992, prezzo dopo visione, 1900cc, rarissima, poche auto costruite con questo motore, documenti da passaggio. Tel. 349 5842859 207 1.4 2010, 2.800euro trattabili, 3 porte, 112.000km, diesel, colore nero, adatta per neopatentati, in ottime condizioni,.Visibile a San Giustino. Tel. 347 1232318 106 XN 1992, 1.200 euro, 114.000km, con impianto a metano brc installato nel 2012, colore grigio metallizzato, tenuta molto bene, iscritta al Registro storico Asi, beneficia delle agevolazioni per le auto ecologiche e storiche che permettono di circolare anche dove è limitato l’accesso, tra un anno esente bollo; sostituiti recentemente cinghia di distribuzione, pompa dell’acqua, guarnizione della testata, candele bobina cavi e 4 pneumatici; bollo pagato per l’anno in corso ridotto del 50%, tra 2 anni sarà esente, revisionata fino al 2021, la bombola del metano fino al 2022.; unico proprietario, mai incidentata; idonea anche per neopatentati, disponibile a qualsiasi controllo. Tel. 342 9731789, indacoblu@ymail.com 308 BLUEHDI 120 S&S ALLURE 2016, 4.500euro, 76.500km, diesel, station wagon, colore grigio metallizzato, tagliandi certificati. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it BIPPER TEPEE 1.3 HDI 80 OUTDOOR 2015, 9.900euro, 46.000km, diesel, colore nero, tagliandi certificati. Euro. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it
PIAGGIO VESPA FARO BASSO 1957, restaurata completamente qualche anno fa, targa e libretto vecchio, pronta all’uso. Tel. 349 5842859
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PORSCHE 924 1983, 6.000 euro, cinque marce, conservata, iscritta Asi, 47.000 km, doppie chiavi, libretto istruzione, radio d’epoca. Tel. 335 5315434 911 CABRIOLET 1991, 32.000 euro poco trattabili, interno pelle nera, stereo, bluetoot, sensori retromarcia, tagliandi Porsche, 121.000km. Tel. 348 3131206 914 1.700 1971, 20.000 euro, rossa, cerchi in lega, Asi, molto bella.Tel. 334 28959 914 1971, 20.000 euro, perfettamente marciante, iscritta Asi. Tel. 334 2895914 BOXSTER 3.2I 24V CAT S 2002, 13.999 euro, 91.000km, benzina, colore nero, tagliandi certificati. Mekar. Tel. 342 8408949, mekar69@ libero.it.
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SCENIC 1.9 TD 2003, 1.800 euro, 130.000km originali, diesel, unico proprietario. Auto Bernacchi. Tel. 0575 740407, autobernacchi@gmail. com TRAFIC H1L2 2015, 11.000euro, 110.000km, diesel, colore bianco, in ottime condizioni, piccolo danno alla fiancata destra. Tel. 3661545328, totoamato65@alice.it
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SUZUKI BURGMAN 200 2009, 1.200 euro trattabili, 5.340km originali, colore blu metallizzato, consumi bassi, unico proprietario, sempre in garage, in ottime condizioni. Tel. 340 6040802 JIMNY 1.3 4X4 2000, 6.500 euro, metano, motore nuovo, perfetta, con garanzia, unico proprietario. Auto Bernacchi. Tel. 0575 740407, autobernacchi@gmail.com JIMNY 1.5, 11.000 euro, 170.000km, diesel, colore grigio, inserimento 4x4 elettronicamente, con carrello appendice e gabbia cani su misura per porta bagaglio, cinghia distribuzione nuova, frizione nuova, gancio traino omologato, 4 cerchi di scorta con gomme stradali, anche per neopatentati. Tel 339 8833773 SAMURAI 1.0 4X4, 3.000 euro, benzina, meccanica e carrozzeria in buone condizioni. Auto Bernacchi. Tel. 0575 740407 SAMURAI 2001, 4.300 euro, 109.000km, benzina con impianto a metano, colore grigio, vendo, causa inutilizzo. Tel. 347 9404162 SWIFT 1.3 DDIS B-TOP 2016, 9.600euro, 5 porte, 40.000km, diesel, colore grigio, tagliandi certificati. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it
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FRATELLI PO PO 1970, 100euro, valuto permuta con ricetrasmittenti o bici elettrica. Tel 333 4388889.
APRILIA PEGASO 650 CUBE 1998, 1.900euro, 75.000km, avviamento elettrico, motore rifatto il 20/04/2019 a 72.514km, carburatori revisionati, batteria nuova, regolatore di tensione nuovo, pneumatici nuovi, tagliandata, revisione effettuata a maggio 2019, bollo pagato fino a febbraio 2020. Attacchi laterali per borse, più bauletto. In ottime condizioni, passaggio di proprietà a carico dell’acquirente. Tel. 347 6406351, jacopo.peluzzi@gmail.com TEO ROVE 48 1990, 1.700 euro, perfetta, iscritta Asi, con documenti in regola, solo 2.700km originali, vendo o scambio con moto vecchia. Tel. 0523 896247
BENELLI 49 AMERICA, 850 euro, restaurato verde. Tel. 320 1169319. 3V EXPORT 1981, 600euro, 1.000km, colore rosso, rimesso a nuovo, con libretto originale. Tel. 338 8425359, fernandochetti@libero.it
BM BEBY 1971, 180 euro, conservato e funzionante con libretto di circolazione, visibile a Mantova. Tel. 335 5315434
BMW R800 RT 1982, 3.500 euro, bella, migliorie, visibile a Torino. Tel. 347 4245966
GILERA ROSSA SPORT 125 1958, omologata Asi, Crs e Registro di Marca, perfetta, documenti originali, targa in ferro. Tel. 347 9375856
TOURAN 1.4 TSI ECOFUEL 2013, 11.500euro, metano, colore bianco, in ottime condizioni. Automobili Lowcost, tel 075 8511516, 393 3322046, automobililowcostsrl@gmail.com
VOLVO XC60 DRIVE MOMENTUM 2010, 11.900euro, 172.000km, diesel, colore grigio scuro metallizzato, tagliandi certificati. Toy Motor, tel. 075 8511228, vendita@toymotor.it
GUZZI CARDELLINO TURISMO 1958, in strepitose condizioni, da vetrina conservata, Targa Oro Asi. Tel. 329 6199039
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SCOOTER SPIDERMAX RS 500 2009, 1.500euro, 15.200km, secondo proprietario, tenuto sempre in garage, visibile a città di Castello. Tel 328 8387566.
VENDO RICAMBI
PER LANCIA GAMMA COUPÉ 1978, due fanali nuovi. Tel. 040 566075 PER JAGUAR, cerchi a raggi 5x15x72, quattro belli più uno da rivedere per scorta, 1.000 euro non trattabili, visibili in Roagna. Tel. 349 5842859
VARIE STATUINA DI TESCHIO AGGUERRITO PER AUTO SPECIALE, 130 euro. Tel. 333 6934881
MOTOM GG 1953, 650 euro, conservato funzionante, rivisto di meccanica, senza documenti. Tel. 349 5842859 NC 750 2015, 4.900euro, 20.000km, pneumatici al 70%, con bauletto con poggia schiena e borse laterali, cavalletto centrale, parabrezza maggiorato, paramani, paramotore, fari fendinebbia, presa accendisigari interna al portaoggetti, revisionata, tenuta in maniera impeccabile, disponibile a qualsiasi prova, visibile
NORTON 16H 500CC 1942, 16.400 euro, con sidecar watsonian, libretto a pagine e targa sua da passaggio immediato Asi, restauro professionale finito nel 2017, km0 documentato. Tel. 3487371736
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Un’offerta da non perdere per completare la collezione! Le copertine in queste pagine riassumono i contenuti principali della rivista da gennaio 2000 a dicembre 2019. Per ricevere gli arretrati direttamente a casa vostra, compilate la cedola che trovate nell’ultima pagina e inviatela o per e-mail o in busta chiusa alla redazione. Una copia: 15 euro. Due copie: 25 euro. Tre copie: 30 euro (spese di spedizione comprese)
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Come ricevere gli arretrati da Gennaio 1988 a Dicembre 2019
CEDOLA DI ORDINAZIONE ARRETRATI Compilare la scheda (o una sua fotocopia) in tutte le sue parti e inviare per e-mail o in busta chiusa a:
ANNO GEN
FEB MAR APR MAG GIU
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/AGO SET
OTT NOV
FEB MAR APR MAG GIU
LUG
/AGO SET
OTT
DIC
1988
AUTO D’EPOCA - SERVIZIO ARRETRATI Via Giuseppe di Vittorio, 38/40 - Fraz. Gricignano 52037 Sansepolcro (AR)
1989 1990 1991
Tel e fax 0575 - 749625 Cell. 337-792 333 pubblicita@autodepocaonline.it
1992
Inviare l’importo a mezzo: Contanti
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1993 1995
Bonifico bancario (fotocopia della ricevuta allegata) intestato a: ZEUS S.r.l IBAN: IT44 A083 4571 6100 0000 0014 908 BIC: ICRAITRR9LO BANCA DI ANGHIARI E STIA CREDITO COOPERATIVO S.C.R.L. AGENZIA DI SANSEPOLCRO (AR)
1997 1998 1999 2000 2001
COGNOME
2002
NOME
2003
INDIRIZZO CITTÁ
1996
CAP
PROV.
TEL.
2004 2005 2006
E-MAIL:
2007
FIRMA
2008
Il costo dei numeri arretrati di Auto d’Epoca da Gennaio 1988 a Dicembre 2019 è il seguente:
2009
Dal 1988 al 1999: Euro 20 - 1 Copia (Italia) Dal 2000 al 2019: Euro 15 - 1 Copia (Italia)
2011
Dal 1988 al 1999: Euro 30 - 2 Copie (Italia) Dal 2000 al 2019: Euro 25 - 2 Copie (Italia) Dal 1988 al 1999: Euro 40 - 3 Copie (Italia) Dal 2000 al 2019: Euro 30 - 3 Copie (Italia) Euro 25 - 1 Copia (Estero Europa) Euro 40 - 3 Copie (Estero Europa) Spese di spedizione come PIEGO DI LIBRI comprese. Se si vuole una Spedizione Celere le spese di spedizione sono da aggiungere.
2010 2012 ANNO GEN
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2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Barrare le caselle relative agli arretrati desiderati. - Le caselle mancanti si riferiscono a numeri esauriti.
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Salone Internazionale per appassionati e collezionisti.
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Auto classiche, passione senza fine: ad Auto e Moto d’Epoca vivi e condividi il tuo amore per le storiche.
RIMA EP
22-23-24-25 Ottobre 2020 PADOVA - ITALY Organizzato da: Segreteria Organizzativa: Intermeeting Srl Tel. 0039.049.7386856 - Fax 0039.049.9819826