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Prosegue il rialzo dei prezzi della pasta

Speculazione o “naturale” andamento del mercato?

La diffusione dei dati Istat sull’inflazione a marzo ha sancito quello che era un sentore ormai diffuso negli addetti ai lavori e nei consumatori, ovvero l’aumento del 18% del prezzo della pasta nell’ultimo anno. Questo, tuttavia, di fronte a un’apparente incongruenza, giacché il grano duro viene pagato agli agricoltori il 30% in meno. Ma allora, se il prezzo del grano cala mentre quello della pasta aumenta, c’è una speculazione in atto? A detta di Coldiretti, essendo la pasta ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano con l’aggiunta della sola acqua, non c’è alcuna giustificazione per le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori. Una distorsione che risulta evidente anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo, riportati dall’Associazione e basati sull’Osservatorio del Ministero del made in Italy, che variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Mi- lano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo. La proposta di Coldiretti è quella di lavorare immediatamente per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione. come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali.

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Come ipotizzabile, i pastai di Unione Italiana Food, attraverso il presidente Riccardo Felicetti, con una nota riportata dall’agenzia Ansa hanno replicato a Coldiretti, sottolineando che il grano “ha prezzi troppo fluttuanti e non è l’industria della pasta a determinare il prezzo del grano duro. In realtà, a farlo è il mercato globale con meccanismi e quotazioni internazionali. Non solo, ma contrariamente a quanto viene spesso detto, il grano estero costa anche più di quello italiano (in media +10%), soprat- tutto in questo particolare momento storico”. Il rischio, neppure tanto remoto, è che tali considerazioni confondano i consumatori.

Unione Italiana Food ha poi ricordato come da sempre i pastai sostengano gli agricoltori italiani con contratti di filiera, per garantire il giusto prezzo, nonché acquistino tutto il grano duro pastificabile disponibile nel Paese. Non solo, ma l’Unione sottolinea il fatto che la pasta che viene acquistata in questi giorni è stata realizzata con grano comprato nei mesi precedenti, peraltro a prezzi più elevati. D’altra parte, va ricordato che tra la pasta e il grano duro vi è la semola che, a sua volta, condiziona i costi dei pastifici a monte dei quali si trova il settore molitorio, con le sue dinamiche, tra cui la politica di approvvigionamento della materia prima e la gestione delle scorte. Ora, nessun molino opera acquistando il grano per macinarlo nell’immediato ma si approvvigiona sui mercati nazionali e internazionali con largo anticipo rispetto all’effettivo momento di consumo della materia prima. Tra scorte fisiche e impegni di acquisto a termine, un molino di medie dimensioni può arrivare a stoccare circa 3 o 4 mesi di produzione. Anche perché il raccolto di grano nazionale si concentra nei mesi di giugno e luglio e la produzione estera è ovviamente anch’essa concentrata stagionalmente, oltre a risentire di tempi di trasporto relativamente lunghi. In buona sostanza, il grano duro è un bene che per sua natura non si può comprare ogni giorno al bisogno.

Infine, quando si parla di pasta, un alimento mono ingrediente, è vero che il grano duro e la semola impattano in modo rilevante sul prezzo finale, ma è bene tenere presente anche altre voci di costo come l’energia, gli imballaggi e la logistica: tutti ambiti in cui i rincari sono ancora evidenti ed elevati. Ma allora, il rialzo dei prezzi della pasta è frutto di una speculazione o di un “naturale” andamento del mercato? Come scriveva il Manzoni, la ragione e il torto non si possono dividere con un taglio netto, in modo che ogni parte abbia solo dell’una o dell’altro. Peraltro, la condizione attuale è così complessa che non può essere ridotta a un unico elemento (in questo caso, la speculazione).

Per comprendere una problematica è dunque necessario approfondire ogni fattore, compreso quello della comunicazione, giacché non sempre si ha la capacità di trasferire in modo chiaro concetti complessi, in questo caso ai consumatori. Nello specifico, è bene rammentare che la pasta resta - nonostante gli evidenti rincari - un alimento accessibile: con 500 grammi di prodotto e pochi altri ingredienti si riesce, infatti, a preparare un piatto nutriente e bilanciato per una famiglia di cinque persone. Già questa è un’informazione da non trascurare, al pari della definizione di tutto quello che comporta la realizzazione di uno degli alimenti più amati al mondo.

Nuova linea Khorasan per Sgambaro

Produrre la pasta migliore d’Italia è la mission che guida lo storico pastificio Sgambaro, che dal 2001 ha deciso di utilizzare solo grano duro italiano e investire nel biologico, diventando un punto di riferimento nel mercato. Impegnato da anni nel costante studio dei grani antichi, il pastificio veneto ha presentato a Tuttofood 2023, la sua nuova linea prodotta con grano Khorasan, 100% italiano e proveniente da agricoltura bio. La linea Khorasan è per Sgambaro la continuazione di un percorso intrapreso anni fa e che ha il merito di aver anticipato con lungimiranza le tendenze alimentari che vedono al primo posto la ricerca di uno stile di vita salutare e sostenibile. Spaghetti, penne rigate e fusilli sono i primi tre formati con cui Sgambaro ha deciso di dare il via alla linea Khorasan, disponibile nella recente confezione in carta vergine, che caratterizza l’intera gamma Etichetta Bio.

Pasta Garofalo celebra la conquista del terzo scudetto del Napoli

‘O sole mio sta ‘n fronte a 3. Sulle note di una delle canzoni napoletane più famose al mondo, abbinata a un pizzico di ironia, Pasta Garofalo ha presentato il 5 maggio nell’ambito della conferenza stampa presso lo Stadio Diego Armando Maradona a Napoli: ENNE, il nuovo formato di pasta che celebra la conquista del terzo scudetto del Napoli. Official partner della squadra di calcio del Napoli dal 2010 e sceso in campo anche per il campionato 2022/23, il brand ha scelto di festeggiare i campioni d’Italia con l’esclusivo e inimitabile formato di pasta che richiama il logo della squadra azzurra, un pallone da calcio con all’interno la sagoma della lettera N, e segna goal a ogni ricetta.

Granoro, nuovi pack della linea “Dedicato” con la tecnologia blockchain

In occasione di Tuttofood 2023, Granoro ha presentato “Dedicato” il progetto di filiera certificata e tracciata 100%Puglia. Con esso, il pastificio ha scelto di valorizzare l’eccellenza inimitabile del grano pugliese, dando vita a una pasta prodotta esclusivamente con grano duro di alta qualità, selezionato e coltivato nel rispetto della terra, delle persone e dell’ambiente. Novità di rilievo del percorso sostenibile di Granoro è l’applicazione della tecnologia blockchain sui pack della linea “Dedicato”, grazie alla soluzione My Story™ di Dnv. Si tratta di un processo che, tramite un semplice Qr code, racconta ai consumatori tutte le attività della filiera “Dedicato”, dalla geolocalizzazione dell’appezzamento alle attività colturali seguite, sino al momento della raccolta, garantendo il rispetto dell’autenticità sull’origine del grano.

Pasta Rummo alla conquista degli States

Il pastificio Rummo di Benevento ha accolto lo scorso 17 aprile la delegazione del Consolato degli Stati Uniti d’America a Napoli guidata dal Console Generale, Tracy Roberts-Pounds. La diplomatica americana ha fatto tappa nello stabilimento di Ponte Valentino dopo una mattinata ricca di impegni che l’ha vista prima in Prefettura, poi a Confindustria e, successivamente, al Comune del capoluogo. Infine, la tappa nell’impianto produttivo del Sannio. Una visita per conoscere meglio lo storico marchio beneventano che da anni è presente negli States e che sta acquisendo importanti quote di mercato all’estero. È proprio sull’export che si focalizza l’attenzione del pastificio Rummo che sta imponendo il brand “Made in Sannio” nel mondo grazie alla qualità dei prodotti. Le esportazioni riguardano infatti circa il 40% della produzione e sono al centro di un progetto di crescita, soprattutto, nel Nord America.

Come dimagrire con la pasta fredda

Non è solo una questione di porzioni adeguate e di attività fisica, irrinunciabile, ma anche dell’amido resistente. Elisabetta Bernardi, nutrizionista dell’università di Bari, spiega perché è possibile mangiare pasta ogni giorno senza temere di perdere la linea. In buona sostanza, la quantità di pasta consumata deve essere in linea con il proprio fabbisogno energetico. Se poi la pasta è integrale, meglio, perché aggiungendo fibra si dà un maggiore senso di sazietà. Anche il condimento vegetale ha un “peso”: gli ortaggi, infatti, aumentano il volume della porzione. Infine, consumare pasta fredda è una buona strategia per ridurre il contenuto energetico: a tale temperatura, infatti, l’amilosio tende a riallinearsi creando così amido resistente che a sua volta apporta meno calorie.

Eataly a New York esalta la pasta

Si scrive “Icons of Eataly”, si legge celebrazione di una “regina” del made in Italy agroalimentare, la pasta. Eataly lancia un nuovo progetto di sei mesi, dal 12 maggio alla fine di novembre 2023, per portare un assaggio di alcune autentiche ricette negli Stati Uniti e rendere omaggio al nostro Paese, sempre più oggetto d’interesse per i viaggi culinari, oltre che per le bellezze naturali e la sua storia. L’iniziativa sarà caratterizzata da un programma continuo di piatti speciali, lezioni di chef stellati ed eventi dedicati all’umile combinazione di farina e acqua che è diventata uno dei migliori successi culinari in Italia. Ogni mese, Eataly rilascerà un piatto di pasta a tempo limitato finalizzato a raccontare la vastità della storia della pasta dal nord al sud Italia.

Durum Days,

l’Italia fa il punto sul grano

Si rinnova anche quest’anno l’appuntamento con l’evento internazionale che ogni maggio fa il punto sulla produzione di grano attesa in Italia e nel mondo. Il 17 maggio presso la Camera di commercio di Foggia, è dunque prevista l’VIII edizione dei Durum Days, organizzati e promossi da Assosementi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Compag, Italmopa, Unione Italiana Food. Areté il partner tecnico; confermata infine la collaborazione del CREA e la partecipazione in veste di sponsor di Syngenta. In questa edizione sono previste due sessioni tecniche, rispettivamente sulla nuova Politica agricola comune e sui mercati. Nel pomeriggio, il Durum science workshop dal titolo “La produzione di grano duro dopo il 2020: soluzioni e prospettive per una intensificazione sostenibile” moderato da Roberto Ranieri di Openfields.

Grande successo per la “Festa del Pane e della Pasta” a Mazara del Vallo

Bilancio più che positivo per la VI edizione della “Festa del Pane e della Pasta Spring Edition” andata in scena dal 26 al 30 aprile nello splendido lungomare Mazzini di Mazara del Vallo. Ideata da Francesco Foggia e organizzata dalla sezione mazarese dell’Unione Nazionale Arma dei Carabinieri, in collaborazione con la locale Pro Loco, la Festa è un evento gastronomico che esalta i sapori della tradizione cerealicola del territorio mazarese, ma anche un momento culturale di grande profilo. In questa edizione migliaia sono state le persone che hanno percorso il lungomare Mazzini e si sono soffermati nei numerosi stand per gustare piatti tipici locali.

Sistemi di Supporto alle Decisioni per le diverse colture e filiere. Nello specifico, questi hanno illustrato Grano.net®, uno strumento web interattivo per supportare la coltivazione di grano di alta qualità secondo i principi dell’agricoltura sostenibile e di precisione.

La Redazione

Cos’è Grano.net® e qual è la sua funzione?

Grano.net® è uno sistema digitale per l’agricoltura di precisione consultabile via web per la coltivazione sostenibile del grano di alta qualità. Si tratta di un Sistema di Supporto alle Decisioni (DSS) nato nel 2011 e basato su modelli previsionali atti a generare informazioni utili per integrare l’esperienza del decisore (agricoltore e tecnico agronomo) e garantire che le azioni intraprese in campo siano le migliori per massimizzare la resa, la qualità e minimizzare gli impatti ambientali. Grano.net® è quindi una piattaforma informatica che raccoglie, in tempo reale, dati colturali tramite varie tipologie di sensori, organizza questi dati in sistemi cloud, li interpreta per mezzo di tecniche avanzate di modellistica e big data e li integra in modo automatico con le conoscenze esperte, così da produrre informazioni, allarmi e supporti alle decisioni. Anche i dati relativi alle operazioni colturali entrano nei database, in modo da generare un flusso continuo d’informazioni sempre aggiornate fra la coltura, il DSS e l’utente. Partendo da dati provenienti da sta- zioni meteorologiche, sensori prossimali e remoti (droni e satelliti) diversi modelli previsionali relativi ai cicli dei nutrienti, all’acqua nell’ecosistema agricolo, ai patogeni fungini e alla fenologia della pianta, forniscono consigli pratici sulle migliori tipologie e tempistiche di applicazione dei mezzi tecnici. Gli algoritmi si alimentano anche di dati sperimentali di campo proveniente dalle aziende dimostrative che Horta conduce nei principali areali cerealicoli nazionali. La complessità dei dati analizzati viene infine visualizzata all’utente in modo semplificato tramite allarmi, cruscotti, grafici e tabelle in grado di dare consigli pratici su cosa è necessario effettuare in campo durante tutte le fasi di coltivazione in campo.

Lo strumento trova applicazione solo a livello nazionale o anche all’estero?

Gli ultimi dati disponibili relativi al 2022 affermano che il supporto è stato utilizzato su quasi

133.000 ettari, direttamente dagli agricoltori e/o da stoccatori, consorzi, cooperative, università, ditte sementiere e studi di dottori agronomi. Oltre il 70% delle unità produttive registrate sul DSS riguardano il frumento duro coltivato in Italia, Grecia e Turchia. Il restante 30%, relativo a frumento duro e tenero, si concentra in due paesi: Italia e Bulgaria. Il numero di aziende coinvolte si attesta su quasi 7.500 e quelle italiane sono principalmente localizzate nel nord-est, nel centro Italia versante adriatico, Puglia, Basilica e Campania. L’annata 2023 si è concentrata nella diffusione del DSS in Ungheria e Romania, dove sono in corso coltivazioni per circa 2.500 ettari.

Lo strumento è pensato per essere adottato anche ad altre specie?

Grano.net® è dedicato al frumento duro e tenero e al farro monococco, mentre per l’orzo è disponibile Orzo.net® e Orzobirra.net®; quest’ultimo

Esempio di dashboard per il monitoraggio della pressione infettiva delle malattie fungine dedicato alla coltivazione dell’orzo distico maltario su 15.000 ettari nel 2022. Relativamente ai cereali estivi, Mais.net® permette di supportare la coltivazione del mais da granella e foraggero. È invece in fase di sviluppo Riso.net®. Horta ha sviluppato anche altri DSS relativi a vite, olivo e numerose altre colture erbacee (girasole, pomodoro, cece, pisello, lenticchia, cipolla, patata ecc.).

Ci racconti brevemente il processo evolutivo che ha subito il servizio nel tempo fino a oggi Fin dalla sua nascita nel 2011, l’obiettivo di Grano.net® era quello di fornire un servizio digitale che potesse trasferire tutte le conoscenze scientifiche e universitarie al mondo produttivo attraverso un approccio smart, intuitivo e comprensibile al settore primario, sempre alla ricerca di praticità e consigli concreti da applicare durante la coltivazione. Il servizio fu reso disponibile con già diversi moduli relativi ai consigli di semina, la simulazione della crescita fenologica, la valutazione del rischio di insorgenza delle patologie fungine (ruggini, septoriosi, fusariosi della spiga, oidio), nonché la proposta di un piano di concimazione e consigli sul diserbo chimico. Nel 2014 il DSS si è inoltre dotato di un modulo relativo alla sostenibilità in grado di misurare in modo automatico e puntuale diversi di indicatori di sostenibilità per quantificare l’impatto della coltivazione sulla salute umana, l’ecosistema, il suolo e la riserva idrica; senza dimenticare la valutazione delle emissioni di gas serra e l’uso delle risorse non rinnovabili. Oggigiorno i servizi elencati sono stati ulteriormente integrati con altri strumenti di supporto relativi alla valutazione della dotazione idrica del suolo per prevedere la stretta in fase di maturazione, un modello di previsione di resa e proteine già dalle fasi di levata, consigli di gestione meccanica delle malerbe e l’accesso a indici di vigoria derivanti da remote sensing (immagini satellitari). Anche relativamente alla sostenibilità, dal 2015 a oggi le novità sono state molte e da una valutazione degli impatti secondo l’approccio LCA (Life Cycle Assessment) tramite gli indicatori carbon, water ed ecological footprint si è passati a più di 150 indicatori, compresi quelli relativi all’approccio PEF (Product Environmental Footprint). Il calcolo di questi indici e indicatori avviene in modo automatizzato a seguito dell’inserimento di dati specifici in un registro delle operazioni colturali; non sono quindi previste visite in campo e reportistica cartacea, poiché tutto è automatizzato e digitale.

Può illustrare alcune case study di successo?

Il caso di maggior importanza è stato quello realizzato con Barilla. Quest’ultima ha in questi anni fortemente incentivato l’uso dei DSS per ottenere grano di maggiore qualità e con alti livelli di sostenibilità, con gli impatti ambientali puntualmente misurati per ogni singolo appezzamento e per decine di migliaia di ettari. La collaborazione con Barilla in queste tematiche ha permesso di implementare nel 2012 il servizio Granoduro.net®, DSS completamente dedicato alla sua filiera europea del grano duro e in grado di dare consigli mirati a ottenere i parametri qualitativi necessari per pasta di alta qualità. I clienti più direttamente coinvolti nell’uso DSS sono gli agricoltori, i tecnici e gli agronomi dove, conti alla mano, hanno constatato che Granoduro.net® è in grado di ottimizzare il reddito netto. Questo significa a volte risparmiare alcuni mezzi tecnici se non necessari, ma in altri casi anche investire maggiormente se la stagione colturale lo richiede per preservare produzione e qualità. Casi studio virtuosi sono anche stati evidenziati da progetti attivati dalla visione lungimirante di alcune ditte sementiere nazionali (come Agroservice Isea e CGS-Semia) che hanno capito che se facciamo coltivare bene le varietà agli agricoltori, grazie al DSS, le varietà daranno risultati più soddisfacenti per l’agricoltore e qualità a tutta la filiera molitoria posta a valle della coltivazione.

Quali potrebbero essere gli step evolutivi del servizio alla luce della necessità sempre più urgente di una agricoltura smart e digitale?

Studi effettuati dal 2012 al 2022 all’interno della filiera Barilla, volti a confrontare una gestione tradizionale con una innovativa supportata da DSS e contratti di filiera (Barilla), hanno evidenziato come assistere l’agricoltore con Granoduro.net® abbia permesso di aumentare il margine netto della coltivazione mediamente del 50% e ridurre costi diretti ed emissioni di CO2 di almeno il 10%. Altri studi di confronto effettuati con il CREA, tra aziende tradizionali della rete RICA e aziende utilizzatrici di Granoduro.net® Barilla, hanno evidenziato nel quadriennio 2014/17 un calo dell’impronta carbonica dell’8/10% e un aumento della produttività del 30%, senza avere effetti negativi sulla qualità per le aziende supportate dal DSS.

L’integrazione dei DSS con indicazioni più strategiche relative alla rotazione colturale, l’uso di cover crops, l’interramento di residui colturali e l’adozione di lavorazioni conservative, permetterà di addizionare alle comprovate minori emissioni un aumento del carbonio stabilmente sequestrato nel suolo. Questo stoccaggio di carbonio potrà essere valorizzato economicamente da progetti relativi al carbon farming, oltre che a migliorare la fertilità del suolo.

Esiste una ricetta per l’innovazione? Per una ricetta ben fatta, occorre scegliere ingredienti giusti di alta qualità

Tra gli ingredienti necessari per fare innovazione, vanno per certo annoverati: “le braccia”, intese come lo sforzo continuo di costruire conoscenze e competenze dell’ambito che si vuole innovare, “la mente”, vale a dire la curiosità intellettuale e un incessante desiderio di apprendere, e non da ultimo “il cuore”, cioè passione ed energia.

A partire da questi ingredienti e dalla loro combinazione si costruisce una ricetta che risulta unica perché deriva dalla sensibilità e dallo sguardo peculiare di ognuno - inteso come persona, gruppo o azienda - nel definire le proporzioni, i dosaggi e le sfumature che rendono ogni risultato diverso da qualunque altro. Per introdurre il concetto di innovazione nel mon - do della pasta, amo citare il genio di Federico Fellini che con una sintesi mirabile affermava che “la vita è una combinazione di magia e pasta”. È l’amore per la pasta che guida il desiderio di continuare a proporre innovazione, cui sono sempre associate due domande fondamentali: per chi innovare e perché innovare. Molto spesso l’innovazione è un processo difficile e pieno di frustrazione, che porta con sé ostacoli e fallimenti, anche se “il fallimento non è l’opposto del successo; fa parte del successo” (Arianna Huffington).

Tuttavia gli errori, inevitabilmente dolorosi, sono utili in quanto concorrono ad aumentare e accelerare il processo di acquisizione di conoscenza sul tema intorno a cui si vuole innovare.

Il settore della pasta ha bisogno di innovazione? In che termini?

La pasta è un prodotto tradizionale, più che mai radicato nella cultura gastronomica italiana. Questo potrebbe implicare che non ci sia spazio né necessità alcuna di innovazione. Peraltro, ciò che è tradizione oggi, era innovazione ieri. E l’innovazione di oggi che risulterà rilevante e resisterà alla prova del tempo, diverrà tradizione domani. Non è possibile un settore senza innovazione, come non esiste un tempo senza cambiamento. E la pasta non si può sottrarre a essere innovata, anche se si può discutere se questo sia un bisogno o piuttosto una legge ineluttabile di evoluzione naturale dei gusti, dei consumi, della cultura e delle persone. L’innovazione della pasta deve sicuramente essere radicata nei desideri, se non nelle necessità, dei consumatori. Identificare le direzioni di evoluzione dei gusti è un fattore chiave per capire in che direzione inno- vare in maniera significativa e duratura. Inoltre è nostra responsabilità coniugare l’innovazione con la sostenibilità: oggi anche le persone vogliono prodotti buoni per la loro salute e che contribuiscano positivamente all’ambiente.

In quali modi si può innovare la pasta Conto di avervi trasferito ciò di cui sono convinto e che ho sperimentato direttamente a proposito dell’innovazione: non possiamo fermare la tensione naturale verso il nuovo e il cambiamento che è insita in ogni prodotto, in ogni categoria e in ogni ambito della nostra vita. O guidiamo il cambiamento e promuoviamo l’innovazione, o saremo cambiati e subiremo il nuovo che scardinerà le nostre certezze e modificherà i nostri orizzonti. Se approfondiamo la conoscenza della pasta, possiamo definirla come la combinazione di 3 elementi che la costituiscono: 1 ) gli ingredienti, che nella versione più classica e nobile si riconducono a una sola materia prima: la semola di grano duro. Qui si parla “di cosa è fatta la pasta”; 2 ) la tecnologia, o il processo produttivo, cioè le fasi di trasformazione che dalla materia prima arrivano alla realizzazione del prodotto pasta. In termini semplici “come è fatta la pasta”; 3 ) il disegno e la geometria della pasta, che possiamo anche definire come design. E intendiamo “quale forma ha la pasta” che determina come appare alla vista e come si sente in bocca una volta preparata. Proviamo a partire proprio dalla forma e dalle caratteristiche geometriche della pasta, cioè dal design. Sul mercato esistono più di 300 formati diversi di pasta che arrivano a oltre 1000 se consideriamo anche tutte le varianti e tipologie possibili - presenti e passate -, eppure c’è un potere nascosto, profondo e magico insieme, nel design della pasta che porta le persone ad accogliere con entusiasmo e apprezzare ogni nuovo formato. Ogni formato, ogni tipologia di pasta conferisce un’esperienza sensoriale diversa. Innovare sul design della pasta significa pertanto potenziarne alcune delle caratteristiche sensoriali e di texture, come ad esempio spessore, forma, curvatura, superficie. Ogni volta si ottiene un formato diverso che le persone subito percepiscono come nuovo, e che nel tempo può diventare familiare e amato qualora risponda ad alcuni criteri di gradimento, talvolta espliciti e talora nemmeno del tutto decodificati, che i consumatori ritrovano nel gusto e nella gioia di un buon prodotto, ben fatto e ben riuscito. È molto stimolante rendere partecipi in questo processo di innovazione del design e del formato della pasta anche le persone stesse. Recentemente abbiamo chiesto a specialisti di progettazione e di design quali nuovi formati vorrebbero trovare sul mercato. Il concorso è stato accolto con entusiasmo: abbiamo ricevuto proposte da più di mille designer di tutto il mondo e sono stati presentati circa 2500 progetti. Il design della pasta è ancora un fattore chiave che stimola l’interesse e l’entusiasmo delle persone, sia nel pensare a una nuova pasta sia nel provare a realizzarla e sia soprattutto nel goderne pienamente il piacere nel piatto. Ed è con questo spirito che sono nati i Cascatelli. Dopo almeno tre anni di studio e di sperimentazione, Dan Pashman, voce del podcast The Sporkful, ha creato un nuovo formato di pasta a suo parere perfetto. Sono dei riccioli di pasta dai cui lati spongono dei festoni ondulati. Una pasta corta che secondo l’inventore combina i pregi di forme e di geometrie diverse che qui sono stati riuniti in modo del tutto nuovo.

A detta di chi l’ha creata, questa pasta determina il massimo livello di soddisfazione di tre criteri di valutazione del prodotto, che sono tra l’altro suoi neologismi:

• Sauceability - la propensione della pasta a favorire l’adesione del condimento, ottenuta grazie alla superficie ruvida e ad alcune angolature che riescono a raccogliere più sugo;

• Forkability - la facilità con cui il singolo pezzo di pasta si infilza con la forchetta;

• Toothsinkability - il grado di soddisfazione che si prova nell’addentare la pasta, correlato a uno spessore non uniforme e ad angoli del profilo che garantiscono contrasti e una maggiore complessità alla masticazione. Un altro esempio di innovazione dal disegno della pasta, cui sono associati una riconosciuta gradevolezza estetica e una prestazione organolettica eccezionale, è quello dei Papiri Barilla. Un formato nuovo e sorprendente, nato dalla collaborazione creativa con il designer italiano Walter De Silva, che così ha commentato: “Nella mia carriera, ho disegnato le auto delle persone. Con Barilla, ho disegnato la pasta italiana per le persone di tutto il mondo. Ho pensato a Papiri come l’incontro della tradizione con l’innovazione. Il suo profilo è ispirato al rigatone, ma ha il movimento del fusillo. Proprio come un foglio di carta di papiro, la sua forma si arrotola e si srotola per accogliere il sugo a generare una piacevole ed intensa sorpresa fin dal primo morso”.

L’innovazione può riguardare poi il processo produttivo. Siamo naturalmente portati a pensare che la tecnologia riguardi la scienza, mentre il design sia più vicino all’arte. In realtà, ci sono arte e scienza insieme anche nel “come si fa la pasta”: ce ne accorgiamo subito appena entriamo in un pastificio e ne respiriamo i movimenti e le dinamiche. In un processo che si può riassumere nelle fasi principali di impastamento, estrusione ed essiccamento, convergono infatti tutte le caratteristiche tecnologiche e i valori sensoriali del prodotto che si traducono immediatamente in un’esperienza gastronomica straordinaria e sempre diversa, associata al formato, agli ingredienti e alla tipologia di pasta. Ciò che è certo, è che non esiste un processo giusto o sbagliato per fare la pasta. C’è un processo ottimale per il tipo e al formato di pasta che si desidera produrre e perché ne esalta i valori gastronomici che si desidera conferire al prodotto. A mio avviso l’innovazione proposta dalla pasta stampata in 3D (BluRhapsody ® by Barilla) sta tanto nella tecnologia di produzione (al tempo stesso fantastica e avveniristica!) quanto nella possibilità di rivoluzionare l’occasione di consumo della pasta stessa, proponendola come “finger food”. La pasta stampata in 3D diventa così protagonista non solo del pasto tradizionale, ma anche di momenti di consumo alternativi e più destrutturati. In questo senso c’è magia nella pasta, che aiuta a scoprire la magia della vita accompagnandone i momenti più belli e più felici. L’altro ambito su cui proporre innovazione sono gli ingredienti, la ricetta. La pasta è straordinariamente semplice nella sua composizione classica. La pasta di semola si traduce semplicemente nel grano duro che, macinato, diventa semola e poi, impastato ed estruso, prende la forma di pasta. Cosa del grano può fare la differenza sul prodotto finito? Senza dubbio, la quantità e la qualità delle proteine (il glutine), il colore e la vetrosità sono caratteristiche di qualità su cui la filiera lavora incessantemente e si prodiga in uno sforzo di miglioramento continuo; oggi la vera innovazione consiste anche nella produzione di grano sempre più sostenibile per il pianeta e per i suoi abitanti. Una sostenibilità che deve partire dal campo e deve riguardare tutta la filiera produttiva della pasta, fino alla

Cascatelli narie. È prima di tutto un grano “gentile”, la sua coltivazione avviene vicino alla zona di trasformazione con un basso impatto ambientale in termini idrici ed energetici. Mi piace ricordare in questo contesto di innovazione un progetto di ricerca e di sviluppo ambizioso e lungimirante, iniziato oltre venti anni fa, e che condusse nel 2004 Barilla negli Stati Uniti - proprio quando raggiungeva una quota vicina al 20% diventando la marca leader del mercato Usa della pasta - a lanciare Pasta PLUS, una linea di pasta altamente innovativa perché capace di offrire, attraverso ingredienti interamente naturali come cereali e legumi, i benefici delle proteine, delle fibre e dei grassi buoni Omega 3. Negli ultimi anni, abbiamo riapprezzato questo prodotto alla luce della crescente sensibilità dei consumatori nei confronti della sostenibilità ambientale e abbiamo introdotto la versione rivisitata nella direzione di attribuire maggiore centralità alle proteine, realizzata solo con proteine vegetali da legumi, cioè un prodotto 100% plant-based. In chiusura riprendo una citazione illuminante di Pietro Barilla che ricordava, a proposito di innovazione e di dove volgere lo sguardo: “Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio”.

Francesco Pantò

“Australia New Zealand Food Standards Code”, Standard 1.2.8.

In Australia l’etichettatura nutrizionale degli alimenti è regolamentata dall’“Australia New Zealand Food Standards Code”, Standard 1.2.8. La normativa australiana prevede l’obbligo di riportare in etichetta, oltre al valore energetico, la quantità dei seguenti nutrienti: proteine, grassi totali, grassi saturi, carboidrati (sottogruppo zuccheri) e sodio. Una differenza sostanziale rispetto ai regolamenti esaminati finora consta nel fatto che i carboidrati rappresentano sempre i “carboidrati per differenza”, ovvero sottraendo a 100 la quantità di macronutrienti (grassi, proteine, fibra), umidità, ceneri e, qualora quantificati oppure aggiunti all’alimento, qualsiasi “carboidrato non dispo- nibile” (eritritolo, glicerolo, isomalto, acidi organici, polidestrosio ecc.) (si veda “Table 2 to subclause 2(2)” dello Standard 1.2.8). Pertanto, se un “carboidrato non disponibile” è stato sottratto alla quantità di “carboidrati per differenza” occorre dichiarare in etichetta il valore globale dei “carboidrati non disponibili”, mentre la dichiarazione della fibra è obbligatoria soltanto quando è riportato un claim riguardante le fibre, gli zuccheri oppure i carboidrati. In altri termini, la fibra alimentare nel primo contesto non è considerata un “carboidrato non disponibile” ai fini della dichiarazione nutrizionale. Oltre ai nutrienti indicati possono essere riportati altri elementi presenti nell’alimento, tuttavia devono essere dichiarati all’interno della tabella nutrizionale e vedremo più avanti nel presente articolo l’ordine di presentazione. Il valore energetico e la quantità di nutrienti devono essere riferiti sia alla porzione (“quantity per serving”) sia all’unità di alimento, ossia a 100 g (o 100 ml) di alimento in relazione alle sue caratteristiche.

Serving size

La grandezza del “serving” è stabilita dall’operatore e si esprime utilizzando le unità metriche grammi per gli alimenti solidi o semi-solidi e millilitri per le bevande e alimenti liquidi. Oltre alla grandezza del “serving” occorre riportare il numero di “serving” presenti in una confezione di un alimento oppure, per gli alimenti preconfezionati aventi peso o volume variabili, il numero di “serving” per kg, o altre unità appropriate. È consentito sostituire il “serving” con la “fetta”, la “confezione”, la “tazza metrica”, il “cucchiaino metrico” oppure con altre unità o misurazioni comunemente in uso. La sostituzione del termine “serving” è altresì consentita nelle confezioni “small package” (confezioni piccole), ossia in quelle confezioni aventi una superficie minore di 100 cm2.

Dichiarazione nutrizionale (Nutrition information)

Nella Tabella 1 è riportato un esempio di “Nutrition Information Panel” (NIP) ove sono specificate anche le unità di misura utilizzate per ogni singolo nutriente dichiarato. Il valore energetico va espresso in kilojoules (kJ) oppure sia in kilojoules (kJ) sia in calorie (Cal) (equivalenti alle chilocalorie del sistema europeo). All’interno del riquadro e in basso si può riportare la quantità di qualsiasi altro nutriente non obbligatorio, sostanza biologicamente attiva, nutriente oggetto di claim ecc. La dichiarazione nutrizionale deve indicare chiaramente che le quantità indicate sono quantità medie, pertanto come illustrato in Tabella 1 si può riportare all’interno del “Nutrition Information Panel” il termine “average”.

Il valore energetico medio e il valore medio, minimo o massimo della quantità di un nutriente o sostanza biologicamente attiva, devono essere espresse con al massimo 3 cifre significative. Esistono alcune regole per gli arrotondamenti, ossia:

Nutrition Information Panel (NIP) (“Schedule 12-2”)

Nutrition Information

Servings per package Serving g (o mL o altre unità appropriate)

• se il valore energetico di un “serving” o dell’unità di quantità di alimento è < di 40 kJ, il valore energetico medio si può indicare con la dicitura “Less than 40 kJ”;

• se il valore medio della quantità di proteine, grassi, classi di acidi grassi, carboidrati, zuccheri oppure fibra dietetica presente in un “serving” o nell’unità di quantità di alimento è < di 1 grammo, si può utilizzare la dicitura “Less than 1 g”. Al contrario delle metodologie esaminate finora, secondo i regolamenti australiani è facoltativo riportare il valore energetico e i singoli nutrienti come % dei “Daily Intakes”, ovvero degli equivalenti europei “Valori Nutritivi di Riferimento-Vnr”.

Daily Intakes

Si riportano qui di seguito in Tabella 2 i costituenti per i quali è necessario indicare le percentuali dei “Daily Intakes”. Se si opta per tale soluzione occorre riportare i valori % dei “Daily Intakes” riferiti al “serving” all’interno della tabella nutrizionale e in una colonna intermedia posta tra quella della quantità dei nutrienti riferiti al serving e la colonna riferita alla quantità di nutrienti in 100 g o 100 ml ( Tabella 3 ).

Inoltre, occorre aggiungere nella tabella nutrizionale una delle seguenti dicture: “Based on an average adult diet of 8 700 kJ” oppure “Percentage daily intakes are based on an average adult diet of 8 700 kJ”. La dichiarazione dei valori % dei “dietary intake” riferiti alle vitamine e ai minerali non è obbligatoria, tuttavia diventa obbligatoria soltanto: in presenza di claim riferiti a vitamine o minerali; se la vitamina o il minerale ha un “RDI” (Standard 1.2.8., “schedule 1”) e l’alimento a cui si riferisce il claim non sia un alimento per l’infanzia.

Nutrition Information Panel (NIP) (“Schedule

12-4”)

Servings per package: (inserire numero di serving)

Serving size: g (o mL o altre unità appropriate) qualsiasi altro nutriente o sostanza biologicamente attiva da dichiarare)

Coefficienti energetici

I fattori energetici per le proteine, carboidrati e lipidi sono identici a quelli europei, rispettivamente 17 kJ/g, 17 kJ/g e 37 kJ/g, tuttavia si utilizzano le unità kJ.

Tabelle nutrizionali (Nutrition Information Formats)

A differenza dei regolamenti americani e canadesi non esistono numerosi format di tabelle nutrizionali (standard, orizzontali, lineari ecc.) con delle regole precise e complesse per il tipo di carattere, la grandezza dei caratteri, gli spazi, i rientri ecc. Esiste un format “semplice” per l’indicazione dei nutrienti obbligatori (si veda la precedente Tabella 1 ). Qualora invece risulti necessario indicare altri nutrienti, dovuto ad esempio all’inserimento di un claim, si riporta qui di seguito il format da adottare con la specificazione dell’ordine di presentazione dei nutrienti ( Tabella 4 ).

Alimenti che si preparano o consumano insieme ad altri alimenti

Per gli alimenti che si preparano o consumano insieme ad almeno un altro alimento, l’opera -

Nutrition Information Panel (NIP) (“Schedule 12-3”)

Nutrition Information

Servings per package

Serving size: g (o mL o altre unità appropriate)

100

(o 100 ml) mg, µg (o altra unità appropriata) g, mg, µg (o altra unità appropriata) mg (mmol)mg (mmol) (inserire qualsiasi altro nutriente o sostanza biologicamente attiva da dichiarare) tore ha la facoltà di inserire un’altra colonna sul lato destro del panel nutrizionale specificando quanto segue ( Tabella 5 ):

*Un nutriente di un sub-gruppo; **Un nutriente di un sub-sub gruppo. È necessario riportare il termine “total” in corrispondenza di “protein” e “dietary fibre” solo se sono presenti i sub-nutrienti.

• una descrizione del o degli alimenti aggiuntivi;

• la quantità del o degli alimenti aggiuntivi;

• il contenuto energetico medio degli alimenti combinati;

Tabella 5

Nutrition

Nutrition Information

Servings per package

• la quantità media dei nutrienti presenti negli alimenti combinati;

• la quantità media delle sostanze biologicamente attive presenti negli alimenti combinati.

La terza colonna supplementare riflette i valori energetici medi e le quantità medie dei nutrienti nell’alimento preparato con gli alimenti aggiuntivi. L’operatore deve specificare, a sua discrezione, la grandezza del serving complessivo dell’alimento preparato (in peso o volume). Il riferimento a peso oppure a volume dipende dalle caratteristiche dell’alimento.

Alimenti disidratati o concentrati

Se un alimento presenta sulle confezioni delle indicazioni che specifica che l’alimento dovrebbe essere ricostituito con acqua prima del consumo, i dati nutrizionali riportati in tabella si devono riferire all’alimento ricostituito.

100 g

Average Quantity per Serving Average Quantity per

Protein g g g Fat, total g g g - saturated g g g

- sugars g g g

Alimenti da sgocciolare prima del consumo

Se l’etichetta presenta delle informazioni circa la necessità di sgocciolare l’alimento prima del consumo, le informazioni nutrizionali si devono riferire alla porzione di alimento sgocciolato e la tabella nutrizionale deve indicare chiaramente che i dati nutrizionali si riferiscono all’alimento sgocciolato.

g, mg, µg (o altra unità appropriata) g, mg, µg (o altra unità appropriata)

Sodium mg (mmol)mg (mmol)mg (mmol) (inserire qualsiasi altro nutriente o sostanza biologicamente attiva da dichiarare)

*Elencare gli altri alimenti e le loro rispettive quantità

RIFERIMENTI

Luigi De Lisio luigidelisio@libero.it

II parte

Disamina della normativa europea e nazionale e della più recente giurisprudenza amministrativa italiana: il caso del grano duro

Nella prima parte della trattazione dell’argomento in esame, sull’indicazione di origine degli alimenti, dopo avere proceduto a una panoramica della preminente disciplina normativa europea, è stata affrontata la materia delle disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari. In particolare, si è scritto che gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti, ulteriori rispetto a quelle previste in sede europea, solo nel rispetto delle condizioni previste all’art. 39 del Reg. (Ue) n. 1169/2011 e sempre che:

1) esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza e che

2) tali Stati forniscano elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

In Italia vige una serie di decreti interministeriali (Dim) in tema di indicazione obbligatoria di origine di alcuni alimenti: il Dim 9/12/2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattiero-caseari; il Dim 26/7/2017 sull’indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola di grano duro; il Dim 26/7/2017 sull’indicazione di origine del riso; il Dim 16/11/2017 sull’indicazione di origine del pomodoro e il Dim 6/8/2020 sull’indicazione del luogo di provenienza delle carni suine trasformate. Nel precedente scritto sono state illustrate notevoli problematiche di legittimità di tali decreti nazionali sia in rapporto al preminente diritto dell’Ue in materia di origine degli alimenti e, in particolare, all’applicazione del Reg. di esecuzione (Ue) n. 775/2018; sia a fronte della sentenza “Lactalis” della Corte di Giustizia dell’Ue del 2020. Con riferimento a tale pronuncia è emerso che, in sede nazionale italiana, l’obbligo dell’indicazione di origine per determinati alimenti e/o ingredienti di alimenti è stato introdotto a mezzo di tali decreti senza che venisse rispettato almeno uno dei presupposti di cui al predetto art. 39 sopra citato, non essendo stato dimostrato - in relazione ad alcuno di tali decreti - il requisito oggettivo costituito dal nesso tra talune qualità dell’alimento e la relativa origine o provenienza. Peraltro, i ridetti decreti interministeriali avrebbero dovuto cessare di efficacia il 31 marzo 2020, ossia il giorno antecedente la data di entrata in applicazione del regolamento di esecuzione (Ue) n. 775/2018, fissata al 1° aprile 2020; ciò che, però, non è avvenuto, essendo essi oggetto di continue proroghe d’effi- cacia disposte annualmente. In virtù del principio del primato del diritto dell’Ue sugli ordinamenti nazionali, tali norme dovrebbero essere disapplicate da parte del Giudice nazionale. Così non solo non è stato, ma vedremo come, a esito di due recenti procedimenti amministrativi riguardanti specificamente l’indicazione di origine del grano duro, l’efficacia e l’applicabilità del relativo decreto sia stata confermata con particolare forza.

La sentenza del Tar del Lazio (Roma) n. 1291 del 25 gennaio 2023 - l’obbligo di indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola di grano duro

Questa sentenza è stata pronunciata a esito di un ricorso promosso nell’anno 2017 da alcune industrie molitorie italiane avverso l’allora Mipaaf (ora Masaf) e il MiSE, per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del Dim n. 9317 del 26 luglio 2017 che ha introdotto in Italia l’obbligo dell’indi- cazione di origine del grano duro per la pasta di semola di grano duro. Le ragioni di tale ricorso sono molteplici e possono essere qui sintetizzate sotto l’unica voce relativa alla violazione del diritto dell’Ue, come esplicato in buona parte nel precedente elaborato. Tale ricorso è stato ritenuto infondato nel merito ed è stato, pertanto, respinto. Per quanto riguarda l’insieme di censure con cui i ricorrenti lamentavano vizi procedimentali relativi alla violazione delle disposizioni di rango comunitario, qui basterà dire che il Tar del Lazio le ha ritenute prive di fondamento, con ciò riferendosi ad alcune disposizioni contenute nel decreto medesimo che - a suo dire - lo renderebbero legittimo e non in contrasto con le prescrizioni contenute nella legislazione dell’Unione. Non si ritiene di condividere le asserzioni del Giudice amministrativo e ciò per ragioni di carattere tecnico-procedurale non idonee a essere trattate nella presente sede.

Ciò che nel presente contesto maggiormente interessa è costituito dalle motivazioni di merito del Tar il quale, a fronte delle censure mosse dai ricor- renti in ordine ai vizi sostanziali del decreto per sviamento dell’interesse pubblico, ha osservato che l’obiettivo primario del decreto impugnato è quello di rendere al consumatore informazioni chiare e trasparenti sull’origine dei prodotti alimentari, al fine di valorizzare la sua libera e consapevole scelta, in coerenza con quanto stabilito dal Reg. (Ue) n. 1169/2011 il quale, in particolare al “considerando” 18, statuisce che: “Affinché la normativa in materia di informazioni sugli alimenti possa adattarsi alle mutevoli necessità dei consumatori per quanto riguarda tali informazioni, qualunque considerazione sulla necessità di informazioni obbligatorie sugli alimenti dovrebbe anche tenere conto dell’interesse ampiamente dimostrato dalla maggioranza dei consumatori a che siano fornite determinate informazioni”.

Il Tar del Lazio ha ritenuto, altresì, destituita di fondamento la dedotta violazione dell’art. 26, parag. 3, del Reg. (Ue) n. 1169/2011, per aver prescritto il decreto impugnato di indicare il paese di origine dell’ingrediente primario, vale a dire il paese in cui è coltivato il grano ed è ottenuta la semola, ma non anche l’indicazione del paese di origine dell’alimento, vale a dire il paese in cui le semole sono miscelate e lavorate per ottenere l’impasto finale. Deduzione dei ricorrenti che, per chi scrive, appare invece più che fondata.

Sennonché, a mezzo di un’interpretazione davvero sui generis del dato normativo summenzionato, il Tar ha ritenuto che l’obbligo di indicazione in etichetta del paese di coltivazione del grano e del paese di molitura (previsto nel decreto impugnato all’articolo 2), non esclude l’indicazione del paese di origine dell’alimento, trattandosi di obbligo aggiuntivo e non sostitutivo rispetto alle prescrizioni in materia di etichettatura, come del resto desumibile, oltreché da una interpretazione logico-sistematica della normativa in materia, anche dall’articolo 1, comma 2, del decreto ove è previsto che: “Resta fermo il criterio di acquisizione dell’origine ai sensi della vigente normativa europea”.

Interpretazione, quella poc’anzi riportata, che appare contraddittoria sia in quanto gli obblighi introdotti a livello nazionale, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa europea, sono legittimi solo al ricorrere di determinate condizioni, previste ancora una volta dalla normativa dell’Ue, che nel presente contesto sono state pressoché totalmente disattese; sia in quanto l’acquisizione dell’origine (non preferenziale) ai sensi della vigente normativa europea è dettata dalle norme del codice doganale dell’Ue e avviene alla luce del criterio dell’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale ed economicamente giustificata, nel caso in cui alla fabbricazione del prodotto intervengano due o più Stati. Pertanto, dalle norme dell’Ue considerate dal Tar per avallare la posizione dallo stesso adottata si dovrebbe pervenire a una conclusione ben diversa, costituita dai seguenti punti:

• l’indicazione dell’origine dell’ingrediente primario diventa obbligatoria nel solo caso in cui l’origine dell’alimento finito “pasta di semola di grano duro” sia indicata sul prodotto e sia diversa dall’origine dell’ingrediente primario stesso;

• l’ingrediente primario dovrebbe essere costituito dalla semola di grano duro, non dalla materia prima “grano duro” da cui la semola viene tratta. Ragion per cui, seguendo il criterio doganale dell’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale ed economicamente giustificata, l’indicazione di origine diversa da quella della pasta dovrebbe avere a oggetto l’ingrediente “semola”, ossia il solo luogo di molitura, non anche quello di coltivazione del grano duro.

Introdurre tale ulteriore obbligo a livello nazionale senza un chiaro riferimento normativo a supporto, significa non solo disattendere le norme dell’Ue che sul punto dispongono diversamente, ma anche aggirare il chiarissimo disposto della sentenza “Lactalis” della Corte di Giustizia dell’Ue, che il Giudice interno nemmeno ha considerato. Si ricorda che la Corte di Giustizia dell’Ue è l’istituzione europea che si occupa di interpretare il diritto dell’Ue al fine di garantire che lo stesso sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri. Alla luce della sentenza “Lactalis”, se è vero che l’art. 26 del Reg. (Ue) n. 1169/2011 non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni che impongano ulteriori indicazioni obbligatorie in tema di origine, è anche vero che, a tale fine, devono essere rispettati i requisiti previsti dal regolamento stesso, che nel precedente contributo abbiamo visto essere:

1) l’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la loro origine o provenienza e, in secondo luogo,

2) la prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

Nel caso trattato dal Tar del Lazio, qui in commento, è chiara l’insussistenza del primo dei due presupposti, il quale non costituisce un’opzione, bensì il primo insuperabile requisito in grado anche di giustificare il secondo. Il Tar del Lazio, tuttavia, sembra proprio confermare la propria posizione in ordine alla legittimità dei decreti nazionali in tema di origine. Infatti, la suddetta pronuncia è di poco precedente a un’altra, emessa sul medesimo tema, a esito di un giudizio d’impugnazione di una pronuncia dell’Agcm. Vediamola.

La sentenza del Tar del Lazio (Roma)

n. 2453 del 13 febbraio 2023

Per comprendere la sentenza del Tar qui in esame occorre fare un passo indietro a un procedimento instaurato avanti all’Agcm, esitato con una pronuncia di scorrettezza di una pratica commerciale, impugnata poi avanti al Tar stesso che ne ha confermato la bontà. Parliamo di un caso di vendita in Italia, da parte della Lidl, di pasta di semola di grano duro a marchio “Italiamo” e “Combino”, in confezioni ove veniva valorizzata l’italianità del prodotto sulla parte frontale delle stesse, in quanto trattavasi di pasta prodotta in Italia. Sulle confezioni era altresì presente l’indicazione dell’origine del grano duro (con menzione del luogo ove era stato coltivato) e del relativo Paese di molitura

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(con indicazione del Paese nel quale era stata ottenuta la semola di grano duro), in conformità al Dim del 26 luglio 2017 in tema di “Indicazione dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro”.

La pasta era, pertanto, “made in Italy”, così come origine italiana aveva anche la semola di grano duro, ivi essendo stata effettuata la molitura del grano stesso. La semola, prodotta in Italia, era costituita da miscele di grani duri di origine in parte Ue e in parte esteri, come indicato sull’etichetta dei prodotti in esame: “Paese di coltivazione del grano: Ue e non Ue”. L’Agcm, che a esito dell’istruttoria ha irrogato alla Lidl una sanzione amministrativa pecuniaria di ben 1.000.000 euro, aveva ritenuto ingannevole l’enfasi data all’italianità del prodotto sulla parte frontale delle confezioni di pasta, non accompagnata dalle indicazioni di origine di grano e semola, pur presenti sulla confezione, ma in una parte diversa della stessa (quella laterale per la pasta a marchio “Italiamo” e sul retro per quella a marchio “Combino”) e di non immediato impatto visivo per il consumatore. Al fine di avallare la scorrettezza della pratica commerciale, l’Antitrust ha (erroneamente) categorizzato la specifica vicenda in un caso di Italian sounding; nonché ha conferito primaria importanza a una serie di indagini (studi demoscopici ed empirici, indagini campionarie) svolte nel tempo in ambito nazionale ed europeo al fine di evidenziare l’importanza attribuita dai consumatori italiani - superiore a quella della media dei consumatori europei - all’indicazione di origine delle materie prime dei prodotti alimentari. Infine, ha valorizzato l’assenza (a suo dire) di adeguate e contestuali indicazioni sull’origine anche estera del grano duro impiegato nella produzione della pasta. Per l’Agcm assumono fondamentale importanza le indagini e gli studi demoscopici che, nel tempo, avrebbero rivelato come il consumatore italiano sia molto più interessato, rispetto agli altri consumatori europei, a conoscere non già e non solo l’origine dell’alimento e/o del suo ingrediente primario, quanto, in primis, quella della relativa materia prima. Il che, però, andrebbe a contrastare con il dato normativo europeo. Come più volte si è detto, il Reg. (Ue) n. 1169/2011 e, quindi, anche il Reg. di esecuzione (Ue) n. 775/2018, quando trattano l’origine dell’alimento e l’origine dell’ingrediente primario si riferiscono, apertis verbis, al concetto di origine doganale secondo il codice doganale dell’Unione e, in particolare, alle norme di individuazione dell’origine non preferenziale delle merci: art. 60, parag. 2, del Reg. Ue n. 952/2013 - codice doganale dell’Unione: criterio dell’ultima trasformazione sostanziale economicamente giustificata. Da ciò discende che, se l’alimento finito può vantare il “made in” doganale in relazione a un determinato Paese, in quanto ivi è stato trasformato subendo l’ultima lavorazione sostanziale economicamente giustificata, anche il relativo ingrediente primario dovrebbe potersi avvalere della medesima indicazione di origine doganale, senza avere riguardo al luogo di origine della relativa materia prima, qualora si tratti a sua volta di ingrediente trasformato e/o composto. Ciò è stato correttamente fatto valere in sede difensiva dalla Lidl, ma l’Antitrust non ha ritenuto condivisibile l’assunto, in quanto “La nozione di ingrediente primario […] rinvia a due criteri, uno di tipo quantitativo (è “primario” l’ingrediente che rappresenta più del 50% dell’alimento) e uno qualitativo (l’ingrediente generalmente associato alla denominazione dell’alimento nella percezione dei consumatori). Nel caso specifico, l’ingrediente generalmente associato alla denominazione della pasta nella percezione dei consumatori è il grano duro, che rappresenta la componente fondamentale del prodotto pasta”. Pertanto, quando occorre fare riferimento al “criterio qualitativo” per l’individuazione dell’ingrediente primario, l’Agcm ritiene che, in certi casi, l’ingrediente che il consumatore generalmente as- socia alla denominazione dell’alimento non sia uno degli ingredienti dell’alimento (nello specifico, la semola rispetto alla pasta), bensì la materia prima utilizzata per produrre tale ingrediente (ossia, il grano duro rispetto alla semola).

Impugnata tale pronuncia avanti al Tar del Lazio, la Lidl, tra le altre doglianze, ha contestato la sussistenza di una pratica commerciale scorretta, deducendo che l’origine del grano duro che compone la semola non sarebbe rilevante al fine di individuare il paese di origine della materia prima, poiché non sussisterebbe nell’ordinamento italiano ed europeo l’obbligo di indicazione del luogo di provenienza del grano, secondo le disposizioni vigenti, e che non verrebbe in rilievo una omissione ingannevole o una indicazione decettiva idonea a ingannare il consumatore. Il Tar, tuttavia, ha fatto proprio l’assunto dell’Antitrust nella parte in cui ha dato conto del fatto che, secondo i dati valutati in sede istruttoria, la conoscenza dell’origine della materia prima dei prodotti alimentari è, per la generalità dei consumatori italiani, un elemento particolarmente rilevante della scelta di consumo.

Al di là della mera osservanza delle norme sull’etichettatura, a fronte della scelta del professionista di esaltare l’italianità del prodotto, sia per l’Agcm, prima, sia per il Tar, poi, sarebbe stato necessario per il professionista controbilanciare l’enfasi di italianità del prodotto con una più evidente e contestuale indicazione dell’origine del grano duro in etichetta. Ciò al fine di evitare che il consumatore fosse immediatamente e più incisivamente colpito dai claim di italianità e dunque portato a credere che la pasta di semola di grano duro fosse prodotta con grano duro esclusivamente italiano.

Il Tar ha così proceduto a una personale interpretazione della normativa europea in tema di origine degli alimenti, confermando la - a suo dire - corretta valutazione dell’Agcm laddove la stessa aveva rilevato che la nozione di ingrediente primario ai sensi del Reg. n. 1169/2011 fa leva sia sul criterio quantitativo (è “primario” l’ingrediente che rappresenta più del 50% dell’alimento) sia su quello qualitativo (l’ingrediente generalmente associato alla denominazione dell’alimento nella percezione dei consumatori) e, nel caso di specie, come comprovato dalle indagini di mercato richiamate, l’ingrediente generalmente associato alla denominazione della pasta nella percezione dei consumatori è il grano duro, che rappresenta la componente fondamentale del prodotto pasta, non rilevando a tal fine il luogo di produzione della semola, ottenuta dalla mera trasformazione meccanica di un’unica materia prima, il grano duro, senza che vengano alterate le caratteristiche dello stesso.

Peccato, però, che nella definizione di “ingrediente primario” offerta dalla normativa europea, il criterio quantitativo e quello qualitativo siano previsti in alternativa l’uno rispetto all’altro, non in via cumulativa.

A tale proposito, si veda la definizione contenuta nel Reg. (Ue) n. 1169/2011, articolo 2, paragrafo 2, lettera q): l’ingrediente primario è “un ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% (criterio quantitativo) di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione dell’alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa (criterio qualitativo)”.

Secondo l’Agcm e il Tar l’accertamento della scorrettezza della pratica risiedeva nell’ingannevolezza del messaggio volto a enfatizzare l’italianità del prodotto senza parimenti indicare, in modo chiaro, la diversa origine dell’ingrediente fondamentale.

A tale riguardo l’Agcm ha rilevato che le confezioni di pasta a marchio proprio commercializzate da Lidl nei propri punti vendita e promosse sul proprio sito internet non presentavano la dovuta contestualità tra i riferimenti altamente evocativi in ordine all’italianità del prodotto e l’informazione sulla provenienza della materia prima grano.

Per quanto concerne, poi, le confezioni di pasta a marchio “Italiamo”, nel provvedimento era stato evidenziato che esse riportavano con grande evidenza sulla parte frontale indicazioni relative all’italianità del prodotto, quali la stessa evocativa dicitura “Italiamo”, l’immagine della bandiera italiana, la dicitura “Passione Italiana”, nonché l’indicazione “Igp” nel caso della Pasta di Gragnano Igp; l’indicazione sulla provenienza del grano (Ue e non Ue) era invece apposta con caratteri piccoli solo nella parte laterale o posteriore della confezione, in una posizione non immediatamente visibile. Allo stesso modo, le confezioni di pasta a marchio “Combino” erano caratterizzate da forti richiami all’italianità, costituiti da immagini che rimandano a tipici paesaggi italiani, da una coccarda o da un cuore tricolori, accompagnati dalla dicitura “Prodotto in Italia”, e dall’indicazione “Specialità italiana”; anche in tal caso, l’indicazione dell’origine del grano aveva una collocazione marginale, essendo apposta con caratteri piccoli nella parte posteriore della confezione, la quale, tra l’altro, non era visibile sul sito internet del professionista. Pertanto, il Tar ha ritenuto corretta la valutazione operata dall’Antitrust circa l’ingannevolezza delle complessive modalità di presentazione delle confezioni di pasta a marchio Italiamo e Combino, in quanto caratterizzate da una enfatizzazione dei vanti di italianità di un prodotto notoriamente italiano e dalla non immediata percepibilità delle informazioni sull’origine del grano duro (a causa del loro posizionamento al di fuori del campo visivo principale) e, come tali, idonee a ingenerare nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera produttiva della pasta, a partire dalla materia prima, fosse italiana, mentre tale qualificazione riguardava esclusivamente la trasformazione del prodotto e la produzione dei vari formati di pasta.

Osservazioni finali

Se da un lato può considerarsi condivisibile la posizione del Tar e dell’Agcm in relazione all’esigenza del rispetto dell’art. 7, Reg. (Ue) n. 1169/2011, il quale impone che le informazioni sugli alimenti siano precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore con contestuale obbligo, quindi, di non indurre in errore sulle caratteristiche dell’alimento, comprese quelle sulla relativa origine, dall’altro pare che le due Autorità abbiano operato una criticabile commistione delle norme, rispettivamente europea e nazionale, in materia di origine dell’ingrediente primario. Si ribadisce, sul punto, che le indagini demoscopiche sull’importanza attribuita all’origine della materia prima (grano) rispetto all’ingrediente primario (semola) dalla maggior parte dei consumatori del territorio di commercializzazione dell’alimento (pasta) è solo il secondo dei due elementi costitutivi della legittimità di un atto normativo nazionale che imponga regole in tema di origine diverse e ulteriori rispetto alle disposizioni previste sullo stesso tema dalla preminente normativa europea. Il primo requisito è costituito, lo si ripete, dall’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la loro origine o provenienza. Aspetto, questo, conclamato in modo più che chiaro dalla Corte di Giustizia dell’Ue con la sentenza “Lactalis”, la quale - si ritiene del tutto ingiustificatamente - non è stata in alcun modo considerata dal Tar in alcuna delle due predette sentenze. E ciò comporta, almeno in sede nazionale, la permanenza di uno stato di incertezza nell’applicazione delle pur chiare regole europee in materia di origine degli alimenti, con conseguente esposizione dell’Osa a criteri di valutazione del relativo operato potenzialmente diversi a seconda del caso di volta in volta considerato e dell’autorità investita della relativa valutazione.

Valeria Pullini pullini@avvocatopullini.it

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