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Ucraina, una guerra all’orizzonte?

L’analisi ◆ Più che cercare un compromesso, russi e occidentali si sono incontrati per mettere in chiaro le proprie divergenze

Anna Zafesova

«Il rischio di un conflitto militare in Europa esiste, è reale, e dobbiamo impedirlo». Mentre la Russia continua a trasferire migliaia di uomini e armamenti verso il confine con l’Ucraina – gli analisti del Conflict intelligence team sostengono che i rinforzi vengono spostati ormai anche da basi remote in Siberia – il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg constata che il risultato principale del negoziato avviato con Mosca è il fatto stesso di aver iniziato a parlarsi. Due round di colloqui, prima a Ginervra tra il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov e la sottosegretaria di Stato americana Wendy Sherman (nella foto sopra), e poi a Bruxelles, tra la delegazione della Nato e un altro viceministro degli Esteri russo, Aleksandr Grushko, si sono conclusi con un prevedibile nulla di fatto: le posizioni delle parti sono troppo diverse, praticamente contrapposte, e l’impressione è stata a tratti che più che cercare un compromesso russi e occidentali si sono incontrati per mettere in chiaro le proprie divergenze.

Un iperattivismo della diplomazia come non si vedeva negli ultimi anni di nuova guerra fredda, durante i quali Mosca aveva preferito un isolamento offeso. La serietà con la quale Washington e Bruxelles hanno preso l’escalation militare ai confini con l’Ucraina – più di 130 mila uomini, e ogni genere di mezzi militari, dai razzi multipli ai bombardieri e carri armati – è dimostrata dalla prontezza con la quale hanno risposto all’ultimatum lanciato alla fine dell’anno scorso dal Cremlino. Una serie di richieste suddivise in tre capitoli. La prima riguarda le «garanzie» che l’Ucraina non entrerà nella Nato, «mai, mai, mai», sottolinea il viceministro Ryabkov, e che l’Alleanza non si espanderà più a est. La seconda riguarda l’impegno, americano e degli alleati europei, a ritirare le truppe e le strutture della Nato da tutti i Paesi che vi hanno aderito dopo il 1997, in altre parole, di riportare la situazione sullo scacchiere strategico fondamentalmente a prima del crollo del Muro di Berlino. Il terzo pacchetto è più concreto: misure di sicurezza reciproca, come l’impegno a non svolgere manovre o a installare missili puntati sull’avversario.

Sui primi due dossier il risultato è stato rapido e negativo: «Non scenderemo a compromessi sulla sovranità e l’integrità territoriale di ogni Nazione in Europa, e sul diritto di tutti i Paesi di scegliere il tipo di accordi di sicurezza di cui vogliono far parte», è stato il messaggio di Stoltenberg. Sul terzo, invece, l’Alleanza è apparsa insolitamente aperta, e il segretario generale ha proposto ai russi di riavviare gli scambi attraverso il consiglio Nato-Russia, congelati ormai da anni, senza condizioni preliminari. Anche gli americani sono pronti ad aprire un negoziato sulle garanzie di sicurezza e controllo reciproco, che potrebbero includere anche tagli agli arsenali e impegni a non avvicinarsi al territorio del nemico. Perché di nemico si parla: il tono dei negoziati, e le richieste fatte da Mosca, segnano definitivamente il passaggio da una fase di partnership per quanto insoddisfacente, a una contrapposizione netta e chiara. E il fatto che siano state scambiate minacce lo conferma: Grushko ha paventato «conseguenze serie e imprevedibili» nel caso di un rifiuto della Nato a respingere l’Ucraina, e Stoltenberg e Sherman hanno illustrato il «prezzo senza precedenti» che la Russia dovrà pagare nel caso di un attacco contro il Paese confinante.

Le carte sono state messe sul tavolo, come già accaduto nei televertici tra Vladimir Putin e Joe Biden. La proposta degli occidentali è di proseguire il negoziato, e appare evidente come già l’idea stessa di un processo diplomatico con una prospettiva lunga – sul modello dei colloqui sul disarmo americano-sovietici che duravano mesi e anni – viene vista come una garanzia di pace in Europa. Una nuova intesa – Stoltenberg e Grushko hanno usato entrambi termini da guerra fredda come «deterrenza» e «contenimento» – sarebbe auspicabile per tutti, in primo luogo gli europei, che così verrebbero garantiti dal diventare bersagli di missili e bombardieri russi.

L’ultimatum lanciato pubblicamente rende però difficile per Putin presentare come vittoria propagandistica un negoziato dove ha incassato due no su tre proposte. Del resto, era difficile immaginare che l’Occidente avrebbe accettato di imporre agli ex satelliti sovietici in Europa una «sovranità limitata» come ai tempi di Leonid Brezhnev. Non è chiaro se l’ultimatum russo fosse stato fatto apposta per sentirsi rispondere «niet» e avere le mani libere di attaccare l’Ucraina, ritenuta da Putin un territorio storicamente russo e una «minaccia esistenziale», nonostante l’adesione di Kiev alla Nato, dopo 20 anni dalla richiesta iniziale, non sia nemmeno all’orizzonte. Una guerra però sarebbe devastante per tutti: la potenza militare russa è molto più elevata, ma l’Ucraina possiede l’esercito più numeroso d’Europa, temprato nella guerra strisciante nel Donbass. Inoltre avrebbe dalla sua parte gli Stati uniti, che hanno appena incrementato i già cospicui aiuti militari a Kiev, e il resto dell’Occidente. 130 mila soldati russi non sono in grado di conquistare l’Ucraina, un Paese più grande della Francia con metà dei suoi 43 milioni di abitanti che dichiarano di essere pronti a opporre resistenza ai russi.

Ryabkov ha garantito a Ginevra che la Russia «non ha piani di attaccare l’Ucraina», e forse era sincero: il fattore sorpresa ormai non può funzionare, e l’Occidente ha già illustrato ai russi una serie di pesantissime sanzioni, tra cui il blocco del gasdotto North Stream 2 e l’espulsione delle banche dal sistema internazionale Swift. Inoltre i Governi di Stoccolma ed Helsinki non hanno escluso di cambiare il proprio status neutrale per poter entrare un giorno nella Nato. Un risultato all’opposto delle speranze di Mosca di rispartire l’Europa in sfere d’influenza militare, nella «nuova Yalta» che il Cremlino chiede da anni. Resta da capire se e quanto i falchi di Mosca siano veramente pronti alla guerra, e quale contropartita potrebbe volere e accettare Putin, dopo aver creato con le sue mani la crisi.

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