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:PROLOGO:

Ring#1

Grand Declaration Of War_________________

[L’Inizio]

di Nemesis Divina “La tartaruga è più lunga del serpente” Hui Shi linguista, consigliere e pensatore cinese del IV secolo a.C.

Ring. Quattro lettere e un punto. Un punto di partenza, uno come un altro, "anche il viaggio più lungo comincia dal più breve dei passi" dice il saggio… non che noi si sappia cosa vuol dire, per carità. Siamo qui per muovere guerra, ragazzi, e spaccheremo i culi. Qui davanti trovate il nuovo che avanza che preme e che spinge, Ring è fermento e frattura. Perché il nome Ring? Quesito legittimo. Ok, andate a cercare la risposta in qualche FAQ qui intorno, di tempo non ne abbiamo da perdere, adesso puntiamo al cuore… Ring è il nuovo approccio alla cosa videoludica, una visione ispirata di un contesto troppo sovente ridotto a numero e calcolo, c'è di più, vedrete (ve lo faremo vedere). Cosa sarà Ring? Troppo lungo, vedrete anche questo; più facile dirvi cosa NON sarà: Ring non sarà un catalogo, una guida all'acquisto; qui ci verrete quando avete già comprato, visto, assorbito e rivenduto. Se cercate la tabella a fondo rece per fare confronti guardate altrove, se volete le news dell'ultimo nanosecondo guardate altrove, se volete screen esclusivi ancora una volta guardate altrove. Certo, là fuori è pieno di posti dove cercare, in edicola e in rete, là troverete tutto quello che cercate. Ok, quando poi sarete stufi di moine sintetiche venite a trovarci e parcheggiate il deretano a portata di piede, all'

inizio i calci faranno male ma poi ci si fa l'abitudine e alla fine ci prendi pure gusto. Questo non è un luogo innocuo, no, ci sono tanti bei posti in giro, colorati e rassicuranti, con date d'uscita e anteprime succose e recensioni light da consumare a nastro, ok andateci, è un consiglio. Non ci provate nemmeno con Ring, alzate i tacchi e allontanate il fondoschiena dai nostri stivali furenti. Vi romperemo il culo, avete capito dannazione?! Altrimenti provateci, vi sfidiamo, da qui ne uscirete contusi ma, accidenti, poi avrete un largo sorriso ebete sulla bocca e non parliamo di stupefazione audiovisiva, nono, qui troverete voci e pensieri allo stato brado. Riempitevi le tasche, signori. Peraltro è tutto gratuito. Ring è qualcosa di nuovo, ok, qualcosa di PIÙ, suvvia vantiamocene. Ring lo trovi sulla rete e non lo paghi neppure ma Ring NON è un sito come gli altri. Non è nemmeno un sito, a ben vedere. Ring si stampa, sorpresa! No, non una pagina per volta con il tasto del browser, no, vi diamo noi da scaricare un documento bello grasso, poi da bravi lo riportate su pagina. Perché stamparlo? Perché noi abbiamo la lingua lunga e perché quello di cui trattiamo non si liquida nel giro di due scrollate di schermo. Poi Ring rimane… quando gli altri saranno archivi stantii noi saremo ancora splendida, soave pagina frusciante, da leggere e rileggere e prestare a chi ancora si rotola nelle feci altrui. Ring ha tante altre cose da di-

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re. No problema, andate avanti, date un'occhiata qui e là, leggete un brano, una rece, uno dei nostri indepth e poi scaricatevi il documento per la stampa. Versate tutto su carta, date tre/quattro graffettate poderose e affondate nella poltrona. Leggete d'un fiato e poi tornate qui e fateci sapere. Diteci tutto: cosa va, cosa non va e come potrebbe andare meglio, suggestioni, spunti di discussione, visioni deformi del futuro e noi leggeremo ogni singola lettera. E vi pubblicheremo, pure… E proposte di collaborazione, certo, non dimenticate di farvi avanti perché Ring è il brusio di fondo di un mondo sommerso, è l'accumulo di voleri e pensieri differenti; Ring si crogiola di diversità, diversità con gli altri e diversità in sé; Ring è voce molteplice di un mondo variegato e folle che, potenzialmente, può andare ovunque; Ring è anarchia cosciente che muove passi assurdi in un contesto fermo e primitivo. E qui in Ring troverai davvero di tutto: l'emozione e l'idiozia, il surreale e l'introspettivo, impressionismo ed espressionismo, danse macabre e cabaret. E tanti poderosi calci nel sedere. E, tranquillo, quando ne avrai abbastanza inizieremo con i calci in bocca. Buona lettura.

We Are Ring


:RUBRICHE:

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SOMMARIO____________________________

[Ring #1]

Grand Declaration Of War. [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rubriche Cover Story: Neonascimento Digitale [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . (R)umorismo: Ico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . People: Manfred Trenz. [di Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tesori Sepolti: Metal Slug: 1st Mission [di Marco Barbero] . . . . . . . . . . . Me Nintendo: GameN [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Opera Rotas: Videogiocatori o memorizzatori di pattern?. . . . . . . . . . . . Il davide Videoludico UNO [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indepth Silent Hill 2 [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Silent Hill [di Gatsu e Federico Res] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . REZ [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Recensioni Shen Mue 2 [di Sator Arepo e Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Silent Hill 2 [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Klonoa 2 [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . REZ [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Frames Intervista a Jaime D’Alessandro [di Paolo “Jumpman” Ruffino] . . . . . . . Orrori di Stampa: 100% Indipendente [di Emalord] . . . . . . . . . . . . .

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Avvertenze e Modalità d’Uso Hai aperto e stai leggendo il file di stampa di Ring nella nuovissima versione Director’s Cut. Questa versione, oltre ad includere un sogno con gli unicorni, contiene importanti cambiamenti nell’impaginazione, che interesseranno anche i numeri successivi di Ring: è stata utilizzata un’incolonnatura del testo a tre vie, ed i caratteri sono stati rimpiccioliti di tre punti, causando una sensibile defoliazione e un layout più assimilabile a quello di una rivista offline. Un poderoso grazie a Federico Res per tutto il pesce e per aver suggerito le modifiche. Questo file è parte integrante del sito www.project-ring.com. Tutti i contenuti quivi reperibili sono di proprietà intellettuale dei rispettivi autori. Se hai intenzione di riciclarli come tuoi per ricavarne una qualche forma di lucro, diretta o indiretta, è bene che tu sappia che diversi esponenti di Ring non sono del tutto estranei alla vita carceraria e all’occultamento di cadavere. Se invece hai intenzione di riciclarli come tuoi per sedurre una ragazza, sei libero di farlo. Ma dopo il coito sei tenuto a disegnare nell’aria, con gli indici, un banneriano rettangolo, quindi esclamare: «Non ti avrei mai sedotta senza www.project-ring.com!» Le immagini di questo file sono state scelte in modo da essere apprezzabili anche in caso di stampa in bianco e nero; inoltre sono volutamente di dimensioni ridotte rispetto alla pagina per non succhiar via costosa linfa in più dalle cartucce della tua stampante. Era inizialmente prevista anche una versione senza immagini del PDF ma, un po’ per pigrizia, un po’ perché nessuno ne ha sentito la mancanza, abbiamo deciso di ometterla. Se sei di Genova e ti piacerebbe avere a che fare con un file modificabile, in modo da diminuire le dimensioni del font da nove a tre e togliere le pagine degli autori che ti stanno antipatici, scrivimi a: sator@project-ring.com e potrei anche prendere in considerazione l’ipotesi di inviarti il file di Word del corrente numero di Ring. ATTENZIONE: sono state riscontrate alcune incompatibilità con questo file e le versioni più vecchie di Acrobat Reader. In pratica A.R. 3 pare rifutarsi di stampare le ‘C’, e A.R. 4 a volte si mangia intere sezioni. Nella speranza di correggere in futuro tali manifestazioni di ubriachezza binaria, consigliamo di stampare il PDF con la versione 5 (o superiore) di Acrobat Reader, la cui stampa è stata opportunamente testata ed è garantita corretta isonovemila.

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:RUBRICHE:

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Neonascimento Digitale__________________

[Cover Story]

di Nemesis Divina Videogiocare: [v. tr. e intr. aus. avere] Forma arcaica del moderno ‘Videoiterare’, proprio della fruizione di una videoesperienza. Il significato originale cade in disuso nella seconda metà del ventiduesimo secolo, viene tutt’oggi usato nella sua accezione negativa per designare un contesto limitato e frivolo, adatto ad un pubblico immaturo. Tratto dal ‘Grande Dizionario della Nuova Lingua Romana’ Ed. HyundaiScavolini – anno 2241

Nascita. Un evento importante e degno di celebrazione. Evoluzione. Susseguirsi di eventi importanti che passano al solito inosservati. Il mondo della videoiterazione è cresciuto in maniera radicale dacché mosse i primi passi; sempre costretto entro rigide inibizioni commerciali è comunque riuscito a dar segno di un seme espressivo che giace e cresce entro di sé. Una germinazione lenta, lentissima, che pure riesce talvolta a dare una voce a chi è là fuori. Il videomondo è dietro lo schermo che preme, spinge e batte sul vetro per uscire e per inondare i nostri salotti di quella forza espressiva sottosfruttata che un giorno, si spera, riuscirà a dar fondo alle sue risorse. E intanto siamo qui, a gingillarci con una forma primordiale che fa leva su istinti primari, ben lontano dal comunicare, dall’esprimere e troppo spesso limitantesi ad un vuoto insieme di meccaniche reiterate. Non che il divertimento sia peccato (a meno di un aggiornamento in sede vaticana…), solo dispiace veder le perle in pasto ai porci. La rilevanza acquistata dalla videoesperienza è certo destinata ad aumentare col tempo, già ad oggi l’industria del videogioco presenta fatturati che concorrono con entertainment più blasonati quali Musica e Cinema, generi che mantengono lo sfruttamen-

to delle pulsioni primarie (continuano ad esistere e persistere le Spears e i Vanzina) ma che pure muovono talenti che, su tutto, cercano un mezzo di comunicazione. E noi stiamo a guardare… Non che manchino ragioni per questo stato di cose, tutt’altro, ragioni di ordine sociologico, storico e (su tutto) economico. Questioni che tratteremo ampiamente in un altro tempo. Per ora restiamo appollaiati ancora un momento quassù. Osserva il videogioco che si dimena nella sua landa protetta, mandrie di utenti preadolescenziali che tirano le maniche di genitori disinteressati. Ma, ecco, qualcuno [Sony] spalanca il recinto, che succederà ora? Incredibile a dirsi, guarda all’ orizzonte, la polvere, e senti il rombare che vibra nell’aria. Legioni di nuovi compagni, ma che fanno? Essi spingono, si strattonano, s’accalcano e prendon posto entro il recinto. Gettano a terra i bambocci di cui sopra (eccetto quelli che nel frattempo sono cresciuti grandi e grossi) e iniziano a brucare i ciuffi d’erba che crescono, sempre meno folti, sul terreno. E la cosa è buffa e tragica, perché il recinto è piccolo e tutti insieme qui non ci si sta, si sof-foca e ci si calpesta. Ecco, lo vedi cosa sta succedendo? Da qua sopra hai la visione d’insieme. Abbiamo aperto il recinto ma quello che andava fatto era abbatterlo. Siamo qui, ora, in un

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pascolo breve e ormai sguarnito, quando fuori esistono praterie selvagge, verdi e rigogliose. E noi qui. Tutti assieme stretti. Ah, ma non temere, l’importante è che qualcosa sia stato fatto, lascia che sia. Ora si pascola a fatica, si mastica il rigurgito altrui e si mordicchiano le terga sfatte di un mondo vecchio. Ma la gente continua a entrare per spiccare un boccone, un boccone infimo eppur dal sapore nuovo, e prima che si accorgano che sa di raffermo e prima che noi, bambini grandi e grossi, ci saremo rassegnati, vedrai, il recinto schianterà sotto il peso delle masse. E se adesso li malediciamo, quando prima c’era tanto spazio, poi un giorno li avremo in grazia poiché ci hanno aperto la strada verso un nuovo mondo, forse persino privo di recinti. Suvvia, amico, riuniamoci alla mandria…


:RUBRICHE:

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(R)umorismo___________________________ [ICO] Soggetto: Sator Arepo Sceneggiatura e disegni: Strix

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:PEOPLE:

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L’uomo che sussurrava ai pixel_____________

[Manfred Trenz]

di Federico Res “Be my guest, another Day, another Cry, but remember: shoot or die!!!” dal campionamento vocale nell’intro di Turrican “Listen up folks, I Manfred Trenz the Master talk to you!” dal messaggio celato nel codice di Enforcer _________Pareti e Costanti Esistono persone che interagiscono pesantemente coi canovacci della storia; ne esistono altre che, al contrario, scivolano inermi e impotenti per le sue fitte trame. A metà strada tra queste due categorie di individui se ne colloca una terza: coloro che, pur rinunciando ad un ruolo primario nell’eterno esplicarsi del meccanismo storico, riescono a fornire contributi personali ed esclusivi. Tra questi trova posto la figura di Manfred Trenz, designer e grafico nato a Saarbruchen, il 29 novembre del 1965: tedesco dell’Ovest, quando ancora il Muro spaccava in due la Germania. Chi scrive è poco propenso al cedere spazio a divagazioni paparazzistiche mediamente pertinenti: complice un’esistenza scevra d’esoterici misticismi, preferiamo render giustizia al nostro rivolgendo altrove l’attenzione. Ad esempio, al 1989. L’anno in cui il Muro che scindeva Berlino fu definitivamente abbattuto: la capitale tedesca riunificata, con lei l’intera Germania. Lo stesso anno in cui un ventiquattrenne Trenz scriveva (in ASSEMBLER) un fulgido capitolo del Digital Entertainment: nella storia dei vg come in quella dell’umanità il 1989 fu anno difficile per muri e pareti. Le barriere tecniche erette tra arcade e casereccio furono annientate. I diaframmi serrati tra tecnica e gioco spalancati. Est e Ovest persero – relativamente – identità: nell’ opera di Trenz i fronti opposti si unirono per descrivere la sua Costante, quivi umilmente introdotta – con tutti i frizzi e i

lazzi del caso dal sottoscritto. – Ma togliamo ogni spazio ai fraintendimenti: l’opera di Trenz non plasmò la storia, ma, come si diceva poco più sopra, si limitò a fornirne un possibile percorso. E lo fece tramite una manciata di masterpieces che conobbero, appunto, nel 1989 il loro ‘pezzo da novanta’. Prima però di rivelarne l’identità, è d’obbligo un dettagliato rendez-vous con la storia… Manfred Trenz in tutta la sua coerenza

__________Born to be wild 1984. Il momento in cui il mondo della programmazione e quello di Trenz s’incontrano è da identificarsi nell’orwelliano 1984, anno in cui il designer tedesco comincia a coltivare la propria vena creativa con l’ausilio del vetusto Vic20: tramite lo standard fontset (semplice programma grafico) dedica ore ed ore a disegnare semplici sprites, che prendono vita, nei primi esercizi di programmazione, grazie al BASIC e ad un Commodore 64. “One sees the good arcades, one sees the bad home games, one thinks to change that!” Semplici e coincise, queste parole ben esemplificano la genesi dell’approccio di Trenz al videogioco: sono gli arcade più popolari, i cabinati da sala, a impressionarlo per la loro immediatezza, e soprattutto per l’alto livello tecnologico del loro rimando audio/video. La sensibile discrepanza tra qualità tecnoludica di arcade e home games è il motivo principale che lo spinge a buttarsi sulla programmazione: utilizzando il legnoso BASIC Trenz realizza una

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serie di demo (tutte su modello di shooters da sala) ma i forti limiti del linguaggio lo inducono a rivolgere la propria attenzione sul più duttile ASSEMBLER. Qualche tempo più tardi, dopo essersi dedicato alla scrittura di semplici utility per C64, Trenz incappa in uno sparatutto da sala chiamato StarForce: il gioco sfoggia avanzate routines paralattiche che gestiscono campi di stelle nello spazio. Il passo successivo è obbligato: ricreare il medesimo sistema sull’hardware del C64. In breve Trenz sforna due nuove tech demo, Megamove I&II, dove, grazie alla sua abilità di programmatore, ricrea sulla CPU da 1 Mhz del C64 il sofisticato sistema di StarForce, utilizzando fino a quattro livelli di paralasse per rappresentare lo spazio siderale. Le demo si espandono poi in uno shoot’em up a scorrimento orizzontale, ma il sistema troverà la sua collocazione ideale solo nel futuro (e fortunato) Katakis. Megamove. Megamove II può essere considerata a tutti gli effetti la prima vera e propria ‘dimostrazione di forza’ delle capacità di Trenz. Il suo


:PEOPLE: concetto di tech demo è limpido: “To fascinate the audience at ANY time to the screen. There must be no big pause or dead point. And the audio must fit anytime to the visuals.” Parole che descrivono la futura Costante, contenuta sotto forma di germe già nella prime demo del programmatore. Nel 1986 la carriera di Trenz ha ufficialmente inizio: il programmatore tedesco partecipa, con alcune sue creazioni, ad un concorso per grafici bandito dalla rivista ‘64’Er’, ottenendo il terzo posto. La sua abilità di grafico colpisce l’attenzione di una piccola softco tedesca, la Rainbow Arts, che immediatamente lo contatta e gli offre un impiego come grafico freelance presso i propri reparti sviluppo: ovviamente Trenz accetta, e segna l’inizio di una collaborazione che si protrarrà fino al 1999, anno del grande disaccordo che porrà fine alla sua attività presso Rainbow Arts (e alla RA stessa, scomparsa poco dopo quel periodo).

1987. Il 1987 è l’anno di Katakis. Trenz ottiene un impiego fisso come grafico (RA ancora ignora che sia anche un programmatore) e comincia immediatamente a lavorare a Great Giana Sisters, platform game concepito da Armin Gessert su modello del nintendiano Mario Bros (a tutt’oggi uno dei giochi preferiti da Trenz) e pubblicato su C64. Trenz cura la grafica e il level design, guadagnandosi una certa notorietà in seguito al successo del titolo. Ma è grazie a R-Type di Irem che le sue doti di programmatore vengono a galla: galvanizzato dagli ottimi Darius, Nemesis e appunto R-Type, Trenz ritrova l’entusiasmo e la propensione scardinabarriere del periodo di Megamove II. Chiede e ottiene l’autorizzazione a sviluppare uno shooter che ricalchi i tratti di R-Type (e in misura minore quelli di Darius), quindi trascina –

Ring#1 letteralmente – l’amico Andreas E-scher nella compagnia e dà ini-zio allo sviluppo del suo primo titolo come capo designer: complice il Dusseldorf Tele-phonbook il gioco è battezzato Katakis. Katakis. Pur nella sua natura di clone rtapiano Katakis svela già abbondantemente l’attitudine trenziana allo shoot’em up e l’esclusiva volontà di mantenere una forte corrispondenza biunivoca tra l’aspetto meramente tecnico e quello ludico del vg: chiameremo questa caratteristica Costante di Trenz, proprio in virtù del suo essere intrinseca alle inclinazioni del designer. Katakis è un tripudio di esplosioni e sprite ultra dettagliati, splendide scenografie (degno di nota il quarto livello, ambientato all’ interno del computer e in qualche modo legato all’immaginario cyberspaziale esploso appena tre anni prima) e boss giganteschi (pur affetti da fastidiosi quanto inevitabili flickerii). Ma allo stesso tempo mette a disposizione del giocatore una navetta estremamente governabile (nonché animata in modo egregio), un set d’armi potenziabili più volte (e dagli effetti grafici galvanizzanti) e un’arma speciale disponibile previa pressione prolungata del tasto di fuoco, in grado di distruggere parecchi nemici con un colpo solo (inutile descrivere la soddisfazione che deriva da un colpo andato a segno). Tutto ciò condito da una robusta scaletta di brani ingame rigorosamente techno (cfr Blending) e da una serie di effetti sonori di sicura efficacia (da Katakis a Rendering Ranger R2 Trenz curerà personalmente tutti gli effetti sonori dei propri games). Katakis è un titolo superlativo. L’impressione di trovarsi di fronte alla diretta evoluzione dei contenuti di Megamove II è solo un indizio delle capacità e della coerenza di Trenz: con fare tipicamente nipponstyle il designer tedesco ricalca i tratti di R-Type e ne migliora ogni aspetto, senza mai cedere alla tentazione del plagio. La concezione videoludica di Trenz dà spazio all’evolversi di un’azione

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furiosa, frenetica, a tratti inevitabilmente ostica. Ma lungo tutto il corso del gioco non si verifica la benché minima caduta di tono: caratteristica, questa, elevata a potenza nel seguito ufficiale di Katakis, quel Fullmetal Megablaster che dà il titolo al capitolo successivo. Enforcer pubblicato nel 1992 da Golden Disk 64 è in assoluto l’ultima opera che Trenz realizza per il C64, program-mandola quasi a tempo perso durante lo sviluppo di Super Turrican (NES). La sintesi gra-ficosonora (con un gradito ri-torno di Markus Siebold a firmare il soundtrack) di Enfor-cer tocca, once again, livelli d’eccellenza raramente riscontrati nel software per C64, concedendosi anche un’ incursione nella fantasia rappresentativa di H.R.Giger, come del resto aveva già fatto Turrican II. In Enforcer Trenz rimaneggia il sistema di gioco concepito per Katakis e vi integra elementi collaudati con Turrican: la navetta a disposizione del giocatore è ora fornita di una barra d’energia destinata ad esaurirsi in seguito agli attacchi nemici; il reparto offensivo si arricchisce di una smart bomb capace di far piazza pulita di alieni, ed è presente il multiple shot tra le armi disponibili. Retaggio di Thunder Force (arcade di Technosoft) è invece la routine che rigenera immediatamente la navetta dopo che si è persa

una vita, affrancando il giocatore dalla pausa forzata (che spezza inevitabilmente l’azione) vista in Katakis e R-Type. L’inscindibile fusione di ogni elemento (reparti grafici e so-


:PEOPLE: nori, gameplay, level design e enemy design) determina un perfetto meccanismo in grado di stimolare nel giocatore una massiccia e continua produzione di adrenalina; giocare Katakis o Enforcer significa imbarcarsi per un furioso tour de force: la Costante di Trenz descrive una perfetta simbiosi tra interattività e bombardamento audiovisivo. Utile a questo punto una panoramica sul fattore suono nei giochi di Trenz, furbescamente titolata ‘Blending’ dal sottoscritto. Katakis VS R-Type: Activision contro Rainbow Arts. Pur essendo uno dei suoi primi grandi successi, Katakis diven-ta in breve tempo anche il più grosso grattacapo di Rainbow Arts. L’americana Activision ot-tiene da Irem i diritti per lo svi-luppo della conversione di R-Type, e non apprezza il titolo di Trenz e Escher: ufficialmente il gioco di RA è ritenuto troppo simile alla licenza in mano ad Activision, e per questo motivo la softco scatena una delle pri-me grandi dispute legali che la storia dei vg ricordi. Come lo stesso Trenz dichiarerà, il vero motivo che spinge Activision a scontrarsi con RA risiede nell’ oggettiva superiorità di Katakis nei confronti del “suo” RType. Gli sviluppi della vicenda possono essere una conferma a questo fatto: Activision e RA raggiungono un accordo e Katakis diventa Denaris in molte parti d’Europa. Messa da parte la conversione già avviata (il magazine americano C+VG rilascia una prima demo di RType sviluppata da David Jolliff, James Smart e Mark Jones che testimonia l’esistenza di una prima versione del gioco), Actvision ingaggia gli stessi Trenz e Escher per convertire R-Type su C64: difficile non pensare che tale manovra voglia sfruttare l’abilità o quantomeno la fama dei due programmatori. Tuttavia, a causa dei tempi di sviluppo ristrettissimi (Trenz e Escher realizzano la conversione in appena sei settimane e mezzo) il titolo che ne vien fuori non sembra all’altezza dell’arcade: è evi-

Ring#1 dente il riutilizzo, da parte dei due programmatori, di parte del codice messo a punto per Katakis, che rende il prodotto finale un ottimo titolo ma troppo distante dall’originale da sala. R-Type è pubblicato per C64 da Electric Dreams.

_____Fullmetal Megablaster Secondo la leggenda è un titolo per il Nintendo Entertainment System (NES), pubblicato nel 1986, a far da musa a Trenz per il suo prossimo gioco. Si parla ovviamente di Metroid, primo capitolo di una serie storica (attualmente in procinto di partorire due nuovi episodi sulle console Nintendo di ultima generazione) che avrebbe, secondo le apparenze, influenzato il game design trenziano del periodo postKatakis. Ma è sempre stata peculiarità di Trenz guardare al mercato arcade, più che a quello console, come fonte d’idee e d’ispirazione: e dal mercato arcade proviene Oscar, frenetico action game che colpisce l’attenzione del designer ostentando un invidiabile arsenale e la possibilità di mutare il protagonista in una ruota semiinvulnerabile. Basta poco per scatenare in Trenz la vecchia scintilla: due anni dopo Katakis il programmatore comincia a lavorare ad un nuovo progetto, chiudendosi in casa e raggiungendo ritmi lavorativi massacranti (“I worked 15 hours per day to do this! I stopped working just for essential things like food, MTV and Coke” ). Dopo svariati mesi di sviluppo il nuovo gioco è termi-nato, e ancora una volta spetta alla guida telefonica di Dusseldorf trovargli un nome. L’italia-no ‘Turricano’ diventa Turri-can: pubblicato nel 1989 da RA su C64 (e convertito un anno dopo su Amiga) il gioco si rivela il più grande successo di RA e uno dei più grandi della storia del C64. Il secondo capitolo – sottotitolato The Final Fight è programmato in cooperazione con Andreas Escher (voluto da Trenz), e

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riesce nell’ardua im-presa di superare il prequel. 1989: l’anno di Turrican. Turrican di Rainbow Arts è la summa del pensiero videoludico trenziano, il gioco che più rappresenta il designer e dove la Costante si fa essa stessa pixel e radiazione, portando a vette estreme la sinergia tecni-

la cover di Turrican, ispirata a “Kings of Metal” dei Manowar

co/ludica imposta da Katakis: è quasi palpabile nell’attenzione alla perfezione tecnica, alla propensione al platform e allo shooter riversata nel codice del gioco. In totale solitudine (“As usual the idea, design, graphics and coding is done 100% by myself because I found out that this way is the best to get the desired result”) Trenz realizza un superbo ibrido sospeso tra il platform e l’azione, lo shooter e l’esplorazione, catapultando il giocatore negli scomodi panni di una supertuta corazzata (Guyver docet) e donandogli il totale controllo su un mondo alieno e sconfinato. Lo scrolling si libera di ogni vincolo e il level design agisce di riflesso, producendo livelli immensi, completamente esplorabili, dove il talento grafico di Trenz esplode e si cristallizza, giungendo al limite del visionario. Indimenticabili i livelli finali di Turrican II: il level design di Trenz sconfina nell’opera di H.R. Giger, ricreando le incredibili scenografie aliene concepite dall’ artista svizzero per il film Alien. C’è anche spazio per una breve citazione a Reanimator, che rende l’idea di come l’immaginario cinematografico fantascientifico abbia concimato il talento grafico di Trenz. Sul piano del gameplay è la frenesia a farla da padrone: Turri-


:PEOPLE: can incita all’azione più furiosa piombando il giocatore in situazioni estreme, in cui la sopravvivenza va guadagnata con largo dispendio di piombo. I nemici alieni (cyborg, robot, ameni esemplari di fauna indigena) attaccano senza sosta giungendo da ogni angolo; enormi boss costringono il giocatore all’uso ripetuto di firewalls e smart bomb e al ricorso della metamorfosi in ruota. In pratica, un catartico crescendo d’esplosioni e stermini che sfocia, in finale, nell’atarassia videoludica per eccellenza (con display dell’highscore a soddisfare e ritemprare le membra).

Se ancora non vi è chiaro cosa sia la Costante (lo so, sono pedante) accettate un consiglio: giocate a Turrican, o al suo seguito, e magari concorderete che la roba che state leggendo non è solo frutto delle seghe mentali del sottoscritto. Perché ripensare oggi – a distanza di tredici anni – all’impatto che Turrican ebbe sul mercato, significa pensare allo schianto di una meteora sulla superficie immota di un oceano. Nella sua incarnazione originale Turrican fu qualcosa di totalmente nuovo, ridefinì con disarmante facilità ognuno dei generi di cui era composto. Ebbe l’effetto di una scossa: dall’epicentro locato presso il mercato C64 l’onda d’urto del suo impatto vibrò verso il mercato Amiga e quello console (la seconda incarnazione del gioco – quella a sedici bit – grazie a un’eco e a una visibilità maggiori penetrò fino al mercato PC) lasciando segni indelebili sul suo cammino. Basti pensare alle migliaia di ezine – molte delle quali in tedesco stretto – sparse per la rete in veste di tributari obelischi, e alle fertili leggende che ancora circolano su Trenz e sui Factor 5 (sviluppatori delle versioni Amiga di Turrican), e che hanno come

Ring#1 oggetto fantomatici seguiti programmati in sordina e dispersi tra le pieghe del tempo… una sistematica opera d’incensazione che denota l’affetto nutrito dai vecchi player, e che ribadisce una sacrosanta verità: volente o nolente, Trenz ha piantato una pietra miliare bella grossa, e i suoi effetti si sentono (vedono) ancora oggi… __L’addio al Commodore 64 Malgrado l’affetto nutrito per il computer di Commodore, dopo la pubblicazione di Turrican II Trenz lascia ufficialmente la scena del C64 per migrare, costretto dal business, verso i lidi consolistici del NES e del SNES. Soltanto durante la produzione di Super Turrican trova il tempo di realizzare un ultimo titolo per C64, al secolo Enforcer Fullmetal Megablaster (vedi par. “Katakis”) col quale rasenta pericolosamente i limiti hardware della macchina Commodore. Successivamente, lo status da ‘coding legend’ guadagnato con Turrican pare sfumare e trascinare il nome di Trenz verso l’oblio, di pari passo con la morte del C64 e il fallimento di Commodore stessa: nel 1992 Rainbow Arts pubblica Super Turrican sull’ otto bit Nintendo, un titolo come al solito magistrale sotto ogni aspetto ma che assume la forma di un semplice rimaneggiamento dei due prequel e che nulla aggiunge all’evolvere della saga. Tre anni dopo, parallelamente alle uscite di Factor 5 comprensive di tre titoli dedicati a Turrican – Rainbow Arts produce l’ultimo titolo di Trenz, Rendering Ranger R2, stavolta sul più performante hardware del SNES. Incomprensibilmente, sebbene RR vanti un look decisamente poco adatto al gusto orientale, è pubblicato solo in Giappone, dalla divisione locale della Virgin. Com’è logico aspettarsi il successo riscontrato è minimo, e il mancato rilascio in occidente lo condanna all’oblio. Rendering Ranger R2. Rendering Ranger è l’apoteosi orgasmica della Costan-

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te. Nei sedici megabit che lo compongono stanno rinchiuse, come fiere omicide in una gabbia, tonnellate di design e frenesia, genialità e potenza visiva. Strutturalmente siamo di fronte ad un plausibile incontro tra Katakis e Turrican – già accennato in T2 – che fa della purezza e immediatezza dell’ azione il proprio credo divino. I livelli di RR (alcuni a piedi altri a bordo di una navetta) sono il parto di una concezione più volte sviscerata in queste righe, la forma pressoché definitiva del Gioco Secondo Trenz. Non cercate inclinazioni laterali all’ esercizio ludico, RR è puro arcade, potenza tecnica, level design di una bellezza assurda. Pur se privo di componenti esplorative e penalizzato da un soundtrack non sempre all’ altezza [cfr Blending], Rendering Ranger è il vero successore di Turrican. Qualcosa per cui, perdonate la perfidia, Super Turrican 2 (cfr Il Fattore 5) dovrebbe versare lacrime di sangue. L’addio a RA e l’approdo a Similis. Nei quattro anni che seguono Trenz si dedica alla programmazione di applicazioni per grafica 3D su PC, e a quello che avrebbe dovuto essere il salto dimensionale della sua serie di maggior successo: Turrican 3D, dopo una gestazione non proprio semplice, è ufficialmente cancellato. All’origine della cancellazione un grave disaccordo, che vede gli intenti ‘artistici’ di Trenz scontrarsi con quelli commerciali di RA e dello staff che coadiuva Trenz nella programmazione del gioco. In seguito a ciò, dopo tredici anni Trenz lascia RA. Tutt’altro che sorprendentemente, la defezione di Trenz sembra piantare l’ultimo chiodo sulla bara di RA, che scompare senza lasciare traccia. Dopo aver collaborato allo sviluppo di Micro Machines V3 su GameBoy Color, pubblicato da Codemasters nel 2000, Trenz entra nelle fila di Similis (www.similis.com), giovane software house tedesca, presso cui ritrova il vecchio amico e collega Andreas Escher (a sua


:PEOPLE: volta uscente da Factor 5): secondo quanto riportato sul sito web di Similis, e secondo i poco affidabili rumors circolanti in rete, i due coders starebbero attualmente lavorando ad un nuovissimo progetto per Gameboy Advance. Il genere? Action shooter...

_____________Il Fattore 5 Chiunque ricordi le eccellenti versioni Amiga di Turrican non potrà aver obliato il nome dei Factor 5, talentuoso team di sviluppo tornato recentemente alla ribalta grazie a Star Wars: Rogue Leader, rilasciato su GameCube. La sua citazione qui non è casuale: per avere un’ idea dell’influenza (e della trasmigrazione softwarehousica) dell’opera trenziana, l’organico dei Factor 5 è l’esempio perfetto. Non tanto per la reiterata militanza di Andreas Escher e Chris Huelsbeck (cfr Blending) nelle sue fila, quanto per aver incarnato più o meno meritatamente il frutto diretto della produzione di Trenz. L’origine dei rapporti tra Trenz e i Factor 5 è da ricercarsi nel 1987, l’anno in cui Trenz e Escher realizzano Katakis, e i Factor 5 ne ottengono i diritti di conversione per i computer Amiga: dando prova delle proprie doti, conquistano la fiducia di RA che affida a loro le conversioni dei successivi titoli di Trenz. Dopo Katakis è la volta di R-Type, quindi di Turrican e di Turrican II (conversioni alle quali Trenz collabora abbondantemente). In particolare i due episodi di Turrican (arricchiti dalle splendide musiche ingame di Huelsbeck, assenti nelle versioni C64 per limita-

Ring#1 zioni hardware) dardeggiano nell’affollato panorama Amiga, guadagnandosi anch’esse come le controparti a otto bit un posto nell’olimpo dei migliori giochi di sempre. La popolarità dei Factor 5 cresce, il nome stesso ‘Turrican’ comincia ad essere associato a loro più che a Trenz: dal ’93 in poi il team nordico produce – senza la minima partecipazione di Trenz – tre titoli dedicati al famoso personaggio di RA, uno per Amiga e due in esclusiva su SNES. Immancabilmente, lo status etereo donato a Turrican dal suo creatore finisce per assottigliarsi e svanire, mostrando tutti i limiti del cambio di regia: Super Turrican e Turrican 3 sono titoli buoni ma pesantemente inferiori ai prequel (l’eliminazione del supershot, l’introduzione di raggi congelanti e appendici estensibili di dubbia utilità, la sistematica semplificazione dei livelli sono solo alcuni dei loro difetti), e arrancano nel tentativo di approfondire il discorso pronunciato da Trenz su C64. Se Katakis, Turrican e Enforcer assurgevano a manifesto programmatico di una personalità più unica che rara, i nuovi titoli dei Factor 5 si rivelano poco più che orpelli. Due anni dopo Turrican 3, i Factor 5 pubblicano Super Turrican 2. E qui avviene la definitiva rottura: ST2 mantiene ai massimi livelli il reparto tecnografico, tenendo fede al primo fattore della Costante trenziana, ma stravolge completamente il secondo fattore, quello più importante, il gameplay. In comune con l’omonima serie, ST2 ha soltanto il nome: è un gioco d’azione lineare, difficile, macchinoso e spesso frustrante. Gli elementi d’esplorazione, l’immediatezza, la frenesia distintivi di Turrican lasciano il posto ad un titolo che affida al lato tecnico la sua ragion d’essere. Poco importa se il gioco offre inedite meccaniche ludiche all’interno di sezioni tecnicamente imperanti: l’inso-

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stenibile certezza d’assistere al funerale di Turrican trafigge gli animi degli irriducibili ad ogni schermo di ST2; l’approdo alla technodance del soundtrack huelsbeckiano, malgrado l’indiscussa coerenza qualitativa, è un ulteriore stimolo ai dotti lacrimali. Per Trenz e per i suoi fan, ST2 è un vero e proprio colpo basso. Ma la risposta del designer non si fa attendere: fedele alla linea referenziale che più volte lo ha spinto a disseminare di links i propri giochi, Trenz non esita a includere un rimando a ST2 – fin troppo esplicito – nel suo Rendering Ranger, pubblicato nello stesso anno del titolo factoriano. Il designer ricicla lo sprite di una nave che in ST2 funge da punto d’appoggio all’avatar e non si fa scrupoli a farlo disintegrare al suolo nelle fasi iniziali di RR: nell’opera che più di ogni altra ribadisce con veemenza i propri intenti, l’opera che esalta la Costante e il menefreghismo trenziano (manifesta incuranza per le leggi del mercato); nell’opera che è quasi un epilogo alla sua carriera, Trenz impone con la forza la propria visione e prende le distanze dai Factor 5 e dalle loro discutibili scelte. Un atto forse plateale ma sufficientemente incisivo per suscitare l’ammirazione di chi scrive, e un modo del tutto personale per riscattare un’eredità – quella di Trenz – dilapidata tanto facilmente proprio da chi, fino a prova contraria, sul lavoro di Trenz ha fondato la propria carriera. Il fatto che i cardini del commercio abbiano poi avvantaggiato il team di ST2 (che, col sopraccitato Rogue Leader, ha approfondito ulteriormente il lato tecnico per trascurare quello ludico) può essere soltanto un’ ulteriore conferma della genuina passione e dell’animo romantico di Manfred Trenz, nato nel 1965 a Saarbruchen, in una Germania vergognosamente divisa a metà...


:PEOPLE:

Ring#1

Video(ludo)grafia The Great Giana Sister, 1987, Rainbow Arts per C64 Katakis, 1987, Rainbow Arts per C64 R-Type, 1987, Electric Dreams per C64 Turrican, 1989, Rainbow Arts per C64 Turrican II: The Final Fight, 1990, Rainbow Arts per C64 Enforcer: Fullmetal Megablaster, 1992, Golden Disk 64 per C64 Super Turrican, 1992, Rainbow Arts per NES Rendering Ranger R2, 1995, Rainbow Arts per SNES Turrican 3D, cancellato nel 1999 da Rainbow Arts MicroMachines V3, 2000, Codemasters per GameBoy Color Rendering Ranger

BLENDING Immaginate un accoppiamento di piovre. Etero o homo che sia. I tentacoli di entrambi i molluschi si legano insieme in spirali pulsanti e viscide, inscindibili se non tramite bisturi, e dove entrambi gli animali dipendono strettamente l’uno dall’altro... In realtà non ho proprio idea di come si svolga un amplesso di molluschi, ma mi piace pensare che le cose vadano così come le immagino, perché sarebbe un esempio perfetto per descrivere i rapporti tra Video e Audio nei giochi di Trenz. Se poi state leggendo RING nella speranza di cavar qualche nozione utile di biologia marina, allora cascate male... Il fattore audio è tanto importante per Trenz quanto lo è l’attenzione alla grafica, e se avete letto il paragrafo dedicato a Megamove ne avrete già un’idea. Fin dal suo primo lavoro (l’artwork di Great Giana Sisters) Trenz collabora con musicisti d’alto livello, a cominciare dall’allora discretamente famoso (oggi potete togliere il ‘discretamente’) Chris Huelsbeck. Il compositore tedesco realizza i main theme di Katakis, R-Type e del primo Turrican, avventurandosi in una techno pulsante e orecchiabile, perfetta per gli shooter creati da Trenz. Soprattutto il main theme di Turrican (uno dei migliori di sempre) peserà sulla storia videoludica riecheggiando in alcune delle future incarnazioni del gioco, per opera dei Factor 5 (il medesimo tema, remixato e ritmato in sedicesimi, si ascolta durante lo scontro finale in ST2). Accanto alle splendide composizioni huelsbeckiane si pone un’altra figura degna di nota, quella di Markus Siebold. Siebold, programmatore fallito, si dà alla musica con ottimi risultati, producendo una technomusic meno brillante sul piano dell’inventiva melodica ma armonicamente solida e inattaccabile. Siebold compone per Trenz i pulsanti soundtrack di Turrican II e Enforcer, contribuendo a definire quella sinergia molluschea cui si accennava più sopra. Non è chiaro per quale motivo abbia abbandonato subito la composizione per i vg, ma non è questa la sede adatta per domandarselo... E’ invece l’occasione perfetta per osservare come, orfano di Huelsbeck e Siebold, Trenz debba scendere suo malgrado a svilenti compromessi. Se in Super Turrican si prende la briga di mettere insieme un soundtrack di ottimo livello (mutuato dal lavoro di Huelsbeck per la versione Amiga del primo Turrican) per Rendering Ranger è costretto ad affidare il delicato compito all’anonimo Stefan Kramer, minando così la solidità dell’amplesso audio/video. Il soundtrack di RR abbandona i vibranti riff elettronici di Siebold in favore di composizioni sinteticamente main stream, del tutto prive del talento huelsbeckiano. Il risultato, a mio avviso, sarebbe stato perfetto per filmetti di serie B come Universal Soldier o 2013 la Fortezza, ma in Rendering Ranger ha l’effetto di una doccia fredda (non proprio gelata, qualcosa si salva). Fortunatamente RR ha altri assi dalla sua, e da qualche parte dovrebbero già esser stati svelati...

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Ring#1

Yet for us there is no light…_______________

[Silent Hill 2]

di Gatsu “Dove vivi Simon?” “Io vivo nei deboli e negli umiliati” Session 9 _________Ashes And Ghost “Nei miei sogni tormentati, vedo quella città, Silent Hill. Mi promettesti che un giorno mi ci avresti riportato. Ma non l’hai mai fatto. Adesso sono lì da sola...nel nostro posto speciale... Ti aspetto...”. Inizia così Silent Hill 2. In un lurido bagno di una città abbandonata, travolto da eventi più grandi di lui, James Sunderland si guarda nello specchio e si chiede: “Mary, sei davvero qui?”. Ripensa alla lettera appena ricevuta dalla mo-glie, da lui creduta morta di malattia tre anni prima. E un barlume di speranza vive in lui, in un uomo confuso che non sa più chi è, in un uomo che per tutto il tempo continuerà a porgersi le stesse, terrificanti domande. Cosa sta succedendo a Silent Hill? Mia moglie è davvero ancora viva? E se non lo è, chi, o cosa, mi ha attirato qui? _________Angels Thanatos Si sa, SH2 privato dell’intreccio e dei personaggi che popolano la Collina Silente non è un gran gioco. Diviene poco meno che un’avventura alla Resident Evil, neppure troppo varia o originale nelle situazioni. Ma SH2 non può essere giudicato partendo da un assunto come questo, poiché l’incredibile forza di questa opera (vi dirò la verità, chiamarlo gioco è ingiusto e fuorviante) di Konami risiede in tre aspetti che esulano completamente dagli sterili meccanismi di gioco: atmosfera, trama, personaggi. Resta da vedere se dopo esservi cimentati con questa piccola perla nera accetterete il confronto con un’opera apprezzabile più per gli aspetti

alieni al concetto ludico che non per il gioco stesso, perché Silent Hill 2 va analizzato e vissuto anche dopo la mera fruizione. Ma in fondo, se siete capaci di comprendere “nuovi” concetti di gioco come Rez o MGS2 non vedo perché dovreste rifiutarvi di gettarvi a capofitto attraverso le porte degli Inferi...

Della loro fragilità. Del buio che hanno nel cuore. E lo fa con una tale potenza (e crudezza) da turbare anche il più sfegatato fan di Charles Manson.

___The Darkness that Lurks in our Mind Dicevamo, SH2 va preso nella sua interezza e apprezzato per quello che è: un’opera a tratti realmente disturbante che pone degli interrogativi pesantissimi su temi che nessun videogioco aveva mai osato sfiorare. La nostra visione della realtà viene filtrata attraverso un rumore video sporco e granuloso, quasi inspiegabile inizialmente, ma che acquisterà un suo significato profondo con il proseguire della storia, fino alla rivelazione finale contenuta nella videocassetta che per tutto il gioco James tenterà di recuperare. Anche la nebbia, ereditata dal predecessore Silent Hill, svolge una sua perfida funzione: i volumetrici banchi che oscurano la visuale sembrando vivi, pulsanti, crudeli veli dietro ai quali guizzano e si nascondono creature nate nel dolore e nel buio. E l’oppressione creata dalla nebbia, spesso così abbondante da farvi perdere l’orientamento, richiama alla mente un tema che alla Konami devono aver studiato per bene, quello dell’eterna paura dell’ uomo per l’ignoto. Perché, mi sembra doveroso dirlo, Silent Hill 2 parla delle paure degli uomini. Delle loro emozioni.

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Silent Hill 2 scava il sentiero per l’angoscia all’interno del nostro subconscio e della nostra carne (con tanto di tuffi al cuore e contrazioni stomacointestinee), e lo fa tramite una geniale sinergia audio/video, fra rumori agghiaccianti e demoniache presenze celate dall’ ombra o dalla nebbia. Per dirla in parole povere, SH2 non può esistere senza musica. Akira Yamaoka rispolvera le sonorità già sentite nel primo episodio e le eleva all’ennesima potenza, riprendendone alcuni motivi e aggiornandoli con sonorità disturbanti e decadenti. Non è un caso che io mi sia innamorato, prima che del gioco vero e proprio, della colonna sonora di SH2. Con una varietà disarmante (ben 30 pezzi, tutti di altissima qualità) il musico di fiducia della Konami ci guida per mano negli abissi neri della follia, nel dolore della solitudine, nelle tristi stanze vuote della malinconia. Pianoforte e chitarra acustica per i momenti più mesti, suoni metallici da


:INDEPTH: fabbrica impazzita, rumori di oggetti trascinati e funesti episodi di synth descrivono invece le parti del gioco dove la tensione tende a salire vertiginosamente (conoscerete la paura quando sentirete lo stridio prodotto da Piramid Head che trascina la sua enorme lama nella vostra direzione). Geniale è lo spunto di Konami (presente ad onor del vero anche nel prequel) dell’ inserire i suddetti rumori anche in luoghi dove nulla ci minaccia. Questo subdolo espediente aumenta progressivamente il senso di angoscia e tende i nostri nervi come nemmeno i rigori della finale dei Mondiali saprebbero fare, tanto che non è raro sobbalzare per l’infrangersi di un vetro o per un demoniaco sussurro che viene dal centro di una stanza in realtà vuota, soprattutto disponendo dell’ ausilio di un adeguato sistema audio. E poi tutto il resto. La conformazione della città, le vie senza uscita, i messaggi scritti con il sangue che appaiono sui muri, il comportamento, inverosimile agli occhi di James, di alcuni dei personaggi, la caratterizzazione dei nemici, la città che cambia e si modella come se volesse imprigionarci, come se volessi farci capire qualcosa. A Silent Hill tutto sembra immerso nel Caos ma nulla, lo sapete bene, è lasciato al caso. _____________Black Fairy L’opera si apre lasciando intuire che l’intreccio narrativo si basa sulla speranza. James torna infatti a Silent Hill, luogo in cui ha passato i più magici momenti della sua vita assieme a Mary (tanto che, insieme, avevano definito il Lakeview Hotel come il loro “posto speciale”) sperando di ritrovarla, pur sapendo che la moglie è morta tre anni prima a causa di una misteriosa malattia. Eppure... eppure la lettera che ha ricevuto non lascia dubbi: la scrittura è quella di Mary, e solo lei conosceva del “posto speciale” ...James, confuso, decide quindi di aggrapparsi all’idea che

Ring#1 Mary possa essere sopravvissuta. La sua vita, lo si capisce chiaramente nel corso del gioco, non ha più nessun senso da quando la moglie è morta. Quindi... perché non rischiare? Perché non credere? Ogni tanto i sogni si avverano, no? No. La realtà è un incubo, o almeno lo è per il signor Sunderland.

Silent Hill non è più il posto che James ricordava. Silent Hill, questo lo si capisce solo “incastrando” i vari indizi sparsi fra i due episodi della saga (e finendo il gioco con tutti i possibili finali), non è nemmeno una città. O forse lo è, ma solo in alcune delle sue svariate “forme” (attendo il terzo capitolo per ulteriori delucidazioni a questo proposito…certo è che Il Museo Storico di Silent Hill non può essere stato messo lì per caso…). Quella che James attraversa in SH2 è una città vuota, morta, popolata solo da esseri dalle sembianze mostruose (e queste sembianze, nella maggior parte dei casi, hanno un significato metaforico che vedremo poi) e afflitta da una nebbia che la Val Padana in confronto sembra un atollo caraibico. Silent Hill “attira” James nei suoi luoghi più tenebrosi e marci, perché la città è un luogo di espiazione, un incrocio distorto fra il Purgatorio e l’Inferno. James ha peccato, e quindi deve pagare. Ma non prima che la città gli racconti tutto quello che ha fatto e poi, apparentemente dimenticato. Silent Hill strappa quindi la realtà dal subconscio di James e, piano piano, un po’ alla vol-

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ta, gliela sbatte sotto gli occhi come un macellaio che mostra sorridente la sua merce alla rincoglionita vecchietta di turno. Il processo, nemmeno a dirlo, è identico per il giocatore, che sempre più con l’avanzare del gioco tende ad immedesimarsi in James, e quella che inizialmente era speranza (di ritrovare l’amore) si tramuta infidamente nel sospetto di nascondere un terribile segreto. Le stesse locazioni di gioco riflettono lo stato d’animo di James (e del giocatore), diventando sempre più cupe e degradate. E se inizialmente non si trova un riscontro fra il peccato di James e la città (i Blue Creek Apartment, ad esempio) già l’ospedale di Brookhaven ci trasmette un senso di malattia e follia che, vedremo, ci indica lentamente la strada per la verità. E così fa anche l’hotel, silenziosa e inquietante magione edificata sulla riva di un lago immerso nella nebbia, come se si volesse nascondere ai nostri occhi, come se qualcosa fosse succeduto al suo interno. Sarà proprio il Lakeview Hotel l’apice della disperata ricerca di James, il posto dove lui, finalmente, capirà il crimine dimenticato di cui si è macchiato. “The fear of blood tends to create fear for the flesh” Silent Hill _________The Reverse Will Fondamentalmente Silent Hill è deserta. Eppure…eppure esiste qualcun altro destinato a scorrazzare nella nebbia… Ognuno dei personaggi di SH2 ha un ruolo ben preciso nella storia, a cominciare da Maria, disinibita fanciulla inspiegabilmente somigliante a Mary, la moglie di James. Nel corso del gioco vedremo i due darsi vicendevolmente una certa confidenza e, perché no, sottintendere anche un reciproco desiderio sessuale. Maria però non esiste, se non nella mente di James. E’ una proiezione di quello che James avrebbe desiderato fosse la moglie, in-


:INDEPTH: capacitata a donargli felicità e appagamento (anche sessuale) dalla sua malattia. E’ interessante vedere come James sembri piuttosto indeciso sul da farsi a proposito di Maria, se da un lato si preoccupa di proteggerla e di non lasciarla sola, dall’altro rifiuta (riluttante) le sue continue provocazioni…A voi starà, nel finale, decidere se cedere al peccato (ma state tranquilli, nemmeno Maria vi porterà fuori da questo incubo…) o rimanere fedeli a Mary… Parlando di sesso, Angelica, aspirante suicida, appare all’ inizio apparentemente preoccupata per le sorti della sua famiglia… Più avanti scopriremo come essa cerchi la morte per dimenticare le violenze subite dal padre in gioventù (relazionato a lei è il mostro Abstract Daddy). Angelica è il personaggio più inquietante di tutto il gioco…apparentemente fragile e ferita, la ragazza si rivela lussuriosa (non mancherà di provocare James prima della fine) e violenta. Scomparirà fra le fiamme (infernali?) di un edificio rispondendo a James ( che le dice: “Vieni con me! La tua vita può cambiare” o qualcosa di simile) con un agghiacciante “Per me è sempre così”. Rappresenta l’innocenza rubata ma anche l’uomo che permette all’ Abisso di guardare in lui. Eddie Dombrowski appare dopo poche ore di gioco come “lo scemo del villaggio”, spaventato e impaurito di quello che gli sta accadendo intorno…Tuttavia qualcosa in lui non va, soprattutto il fatto che James lo incontri sempre nei pressi di un cadavere…Eddie non influisce direttamente sulla trama principale di SH2, ma sembra invece un altro pec-

Ring#1 catore attirato dalla città per espiare i suoi peccati. Eddie raffigura “il maiale ingordo”, l’uomo che trascinato dalla pazzia intende vendicarsi di tutti i torti subiti. Last but not least Laura, una bambina, l’unico personaggio del cast che vede Silent Hill come una normale cittadina e si intrufola sempre (inspiegabilmente per James) in posti infestati da ogni tipo di aberrazione. E’ il contatto fra James e Mary (Laura infatti era sua compagna di stanza all’ ospedale), la “chiave” che consente a James di capire quello che ha fatto…

Interessante anche lo studio dei mostri (resi efficaci dall’ “effetto lucido”, piuttosto horrorifico): se i Lying Figure (sorta di figure umane intrappolate dentro una membrana viscosa) ricordano metaforicamente James che tenta di uscire dal suo velo di falsità, troviamo dei veri e propri capolavori nelle Bubble Head Nurse (la malattia di Mary), in Abstract Daddy (gli stupri subiti da Angelica) o nel geniale Pyramid Head (il boia e il torturatore imbrattato di sangue, subdolamente ci suggerisce che abbiamo fatto qualcosa di male). Memorabile poi la scena in cui Pyramid Head mima un amplesso con i Mannequins, come a volere sottolineare la frustrazione sessuale di James…

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________________Promise SH2 non è un gioco in senso stretto, è un viaggio nei nostri incubi più reconditi. Un videogame adatto a mille illazioni e approfondimenti (quelle che vi ho esposto sono più che altro le mie interpretazioni degli avvenimenti, ma se ne potrebbe parlare a lungo), adatto ad un pubblico maturo e non facilmente impressionabile, disposto anche a mettere in discussione argomenti spinosi come la morte, l’omicidio, la pazzia e il sesso. Profondo come un libro, emotivamente trascinante come un thriller di alta caratura, visivamente disturbante come l’Urlo di Munch: se siete dei peccatori, sappiate che la Collina Silente vi aspetta. Cross my heart and hope to die May my end come tonight Across the dark, into the light May death again us unite Sentenced

Errata Corrige Nel precedente numero di Ring, all'interno della rubrica Winners Do Use Drugs (pag. 59), abbiamo erroneamente affermato che, giocando a Ikaruga dopo aver assunto cocaina, è possibile raddoppiare la quantità di chain eseguibile in condizioni normali. In effetti, il massimo miglioramento prestazionale riscontrato sotto l'influsso di suddetto narcotico corrisponde solamente all’80% di lunghezza in più. Ci scusiamo con i lettori.


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Ring#1

Esperandote___________________________

[Silent Hill]

di Gatsu ____Never End. Never End. Never End. Mi è capitato recentemente di discutere con gli altri RINGoglioniti a proposito di quale dei due Silent Hill sia più valido. Se il primo episodio vanta indubbiamente un “effetto sorpresa” dall’impatto devastante, il secondo, pur riciclando abbondantemente le vecchie atmosfere claustrofobiche, si avvale di una trama nettamente più comprensibile (pur lasciando largo spazio alle illazioni) e di un plot di personaggi meglio riuscito. Visto che a mio parere nel primo capitolo della saga di Konami ci sono diversi punti lasciati volutamente in ombra, ritenevo interessante un approfondimento a proposito di una storia che va più interpretata che capita. Vediamo dunque di portare un po’ di luce nelle tenebre della nebbiosa collina. ____Moonchild (Fear of the Dark?) Sarebbe stupido passare direttamente alla trama senza riflettere sui personaggi e sulla loro psicologia, quindi diamo il via ad una rapida carrellata sugli involontari protagonisti dell’incubo più celebre dei videogiochi: Harold 'Harry' Mason (Until Death) Anni: 32 Occupazione: Scrittore Harry è il protagonista assoluto di Silent Hill. Non molto ci è dato sapere a proposito del suo passato, tutto quello che conosciamo è che ha adottato una figlia, Cheryl, e che è sposato. Della moglie non si fa quasi mai menzione, forse perché è morta. Se esaminiamo Silent Hill conoscendo anche il secondo episodio della saga, pos-

siamo presumere che Harry abbia compiuto un grosso delitto in passato (è lui che ha ucciso la moglie?) e che giunga nella nebbiosa città per espiare inconsciamente le sue colpe. Singolare la somiglianza che ha con James Sunderland, protagonista di SH2. Cheryl Mason (Devil’s Lyric) Anni: 7 La piccola figlia di Harry. Adottata in fasce da Harry e sua moglie, Cheryl è segnata da un infausto destino: Dahlia le ha infatti trasferito l’anima di Alessa, destinata a dare alla luce il malvagio Samael. E’ in sostanza l’esca attorno alla quale tutta la ricerca di Harry si sviluppa. Cybil Bennett (My Heaven) Anni: 28 Occupazione: Poliziotta Cybil è una poliziotta di Brahms, una città vicina a Silent Hill. Il suo ruolo varia molto a seconda della condotta di gioco, da alleata può divenire pericolosa avversaria (l’eventuale scontro con lei sulla giostra è forse il più duro di tutto il gioco). E’ in qualche modo invischiata nei loschi affari di Dahlia e Kaufmann, ma l’unica cosa che si capisce con chiarezza è che Dahlia la usa per aiutare Harry nella ricerca di Cheryl all’interno del mondo creato da Alessa. Spesso dà l’impressione di non vedere quello che vede Harry, il che porta a due differenti ipotesi: o non è consapevole di essere manovrata e vede un mondo tutto sommato normale (improbabile) o è totalmente asservita a Dahlia e non si cura affatto di quel che le accade intorno (spiegazione più logica, anche perché solo Dahlia che può “inserire e togliere” le persone dal mondo fittizio di Alessa potrebbe farla arrivare in alcuni

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posti che Harry ci mette ore per raggiungere). Alessa Gillespie (Devil’s Lyric Part II) Anni: 14 (?) La sfortunata prescelta per dar vita a Samael. E’ la figlia di Dahlia, ma la donna la tratta più come un involucro atto ad ospitare il dio oscuro che come una persona. Presumibilmente morta ustionata, Alessa ha comunque un ruolo primario nella vicenda: la sua anima è infatti racchiusa nel corpo di Cheryl e non intende affatto permettere la nascita della malvagia divinità. Dahlia Gillespie (Children Kill) Anni: 46 Occupazione: Proprietaria di un negozio di antiquariato La mente dietro a tutta la vicenda. Interessata a far risorgere Samael, non si fa scrupoli nel calpestare vite umane pur di raggiungere il suo scopo. Dahlia è totalmente devota al dio oscuro, tanto da sacrificare la sua giovinezza per compiere i vari rituali che le servono perché tutto sia perfetto. E’ l’essenza del male nella sua accezione più pura: chi altri potrebbe immolare la propria prole pur di ottenere i suoi scopi? Dr. Michael Kaufmann (Flesh Kill) Anni: 50 Occupazione: Medico E’ il braccio destro di Dahlia, anche se la donna non esita a “scaricarlo” e “inserirlo” nell’ incubo collettivo di Harry & Co. Ha un ruolo piuttosto importante anche se durante il gioco si vede molto poco. Lisa Garland (Ain’t Gonna Rain) Anni: 23


:INDEPTH: Occupazione: Infermiera Un’infermiera soggiogata con la droga da Kaufmann e costretta a sbarazzarsi del corpo di Alessa. Lentamente la sua schiavitù la porta alla depressione e al conseguente suicidio. Viene “reinserita” da Alessa per rallentare l’avanzata di Harry (vedi dopo). ________The Bitter Season Ora vediamo la trama in dettaglio e cerchiamo di scoprire tutti i retroscena della vicenda. La spiegazione seguente è il frutto della sovrapposizione di più pareri: il mio, quello delle persone con cui ho avuto occasione di discutere a proposito del gioco e con quelle di gente che ha speso molto tempo libero a esaminare l’opera Konami (su Gamefaqs ci saranno almeno dieci guide riguardanti Silent Hill): mi auguro che il risultato finale possa chiarirvi le idee. Per comodità analitica non seguirò la stessa cronologia che subisce il giocatore, quindi spegnete la TV e state attenti. Tanto per cominciare sappiamo che è notte ed Harry e sua figlia stanno viaggiando in auto. La loro vera destinazione non ci è data a sapere (presumo un luogo di vacanza, o cose simili), ma dall’intro capiamo chiaramente che un incidente interrompe la gita di padre e figlia: una figura umana sbuca dalla

nebbia, Harry sterza violentemente e l’auto finisce fuori strada. Harry sviene per un tempo indeterminato. Al suo risveglio, si accorge che la piccola Cheryl non è più con lui. Preso dal panico, il nostro eroe

Ring#1 esce dal groviglio di lamiere e si incammina verso Silent Hill, una cittadina poco distante. Ora facciamo un balzo logico e temporale: Dahlia e Kaufmann sono membri di un culto legato al dio oscuro Samael (tradotto in italiano con Samuele, ma dubito fortemente che c’entri davvero qualcosa). Qualcosa (una profezia?) dice loro che è arrivato il tempo di far risorgere la malvagia divinità, e quindi il culto inizia a “prepararsi la strada” per il rituale. Il piano consiste nel trasferire l’essenza del dio all’ interno del corpo di un neonato, che a sua volta darà alla luce la vera incarnazione di Samael (questa interpretazione deriva da alcune scene mostrate alla fine del gioco, quando Dahlia afferma che Cheryl/ Alessa sarà la madre del dio). Le cose iniziano ad andare per il verso sbagliato quando Alessa inizia ad essere perseguitata da un poltergeist, creato dallo stress procuratole dai maltrattamenti che subisce a scuola (quando Harry entra in Nowhere, ad esempio, si sente il pianto di un bambino nel bagno – Alessa, appunto. Inoltre uno degli elementi che portano a questa conclusione è rappresentato dal banco ricoperto di scritte offensive in una delle aule). Dahlia non vuole perdere il controllo su Alessa, specialmente per colpa di un poltergeist (info sul poltergeist si trovano sul libro di Leonard Rhine), così trasferisce l’anima della bambina in quello di un’ altra bimba, Cheryl. Affinché questo sia possibile, Dahlia deve dar fondo alle sue energie più nascoste, e questo è probabilmente il motivo per cui sembra così vecchia. Il corpo di Alessa viene quindi ustionato (le conseguenze si vedono chiaramente nella presentazione del gioco) per farla cadere in coma e fermare di conseguenza l’attività del poltergeist. Cheryl viene quindi lasciata sul bordo della strada, finché Harry e sua moglie non la trovano (per caso?). Il corpo bruciato di Alessa viene quindi nascosto nei sotterranei dell’ospedale da Kaufmann, il direttore della

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struttura. Per evitare problemi, Kaufmann recluta Lisa, un’ infermiera, la rende schiava di una droga chiamata White Claudia, e la costringe ad aiutarlo. Lisa cade in depressione (evidente da quello che lascia scritto nel diario), gira il video che si vede nella fase finale del gioco (quando la videocassetta è macchiata di sangue) e poi si suicida. Da questo momento in poi, per Dahlia e Kaufmann si tratta solo di aspettare il ritorno di Cheryl a Silent Hill, come profetizzato. Quando Cheryl ritorna, l’anima di Alessa ha 14 anni: sostanzialmente vecchia abbastanza per dar vita a Samael. Tutto quello che serve a Dahlia è solo radunare le due ragazzine e compiere un rituale per riversare l’anima di Alessa nel suo vero corpo. Alessa è ora più potente di quando è stata ficcata dentro Cheryl, e non desidera affatto dare vita al dio oscuro, quindi crea un mondo pieno di demoni per permettere a Cheryl di nascondersi. Per fermare Alessa, Dahlia deve usare il Flauros per catturare e distruggere il poltergeist che sta fornendo alla bambina il potere per creare il suo mondo alternativo. Dahlia non può raggiungere Cheryl attraverso questa realtà alternativa, quindi decide di spedirci Harry presumendo che i demoni non lo uccideranno. Contro ogni pronostico (oddio, non che avesse molte possibilità…) Harry viene ucciso (scena iniziale nel vicolo). Dahlia lo fa tornare nel mondo alternativo e gli da un po’ di aiuto: Cybil e la sua pistola (da quel che ho capito la vecchia può far tornare chi vuole quando vuole…). Dahlia guida Harry verso Cheryl, sfruttando l’amore del padre per la figlia: indizi come le scritte che lo invitano ad andare più veloce, la telefonata all’interno della scuola o le schermate televisive che riproducono la bambina sono solo trucchi che Dahlia usa per accelerare la cerca di Harry. A mano a mano che il dio demone cresce dentro Alessa, inizia a contrastare il potere della bimba e a prendere il so-


:INDEPTH: pravvento: solo in alcuni frangenti le azioni di Harry riescono a sopprimere il suo potere per un breve periodo di tempo. Quando Harry raggiunge l’ospedale incontra Kaufmann in una delle stanze. L’uomo è seduto, depresso e tiene in mano la pistola (probabile che la stessa Dahlia lo abbia costretto a prendere parte all’ incubo di Alessa). Il ruolo successivo di Kaufmann non è molto chiaro, ma probabilmente Alessa tenterà di usarlo per prendere l’Aglothithis, che secondo lei servirà ad uccidere Samael. Alessa inserisce Lisa nel suo mondo con uno scopo preciso: fermare la ricerca di Harry, ma il diversivo non funziona. La bambina fa quindi un’apparizione per tentare di spiegare ad Harry quello che sta succedendo, ma il Flauros si risveglia e il mondo di Alessa inizia a sfaldarsi.

Dahlia appare e cattura Alessa/Cheryl. Una volta che Harry ritrova Alessa, Dahlia spiega in maniera criptica cosa sta succedendo. Nel frattempo Kaufmann fa la sua comparsa e usa l’Aglothitis su Alessa, ma invece che uccidere il dio demone l’Aglothitis lo trasforma in un mostro spaventoso (questa parte può variare a seconda della condotta di gioco). Harry può sconfiggerlo (dopo aver ucciso Dahlia, che però lascia intendere di non essere lì fisicamente) poiché Samael non è al massimo del suo potere (non essendo nato naturalmente). Le ultime scene della mia partita sono profondamente diverse rispetto ad un altro resoconto che ho trovato in rete, che recita testualmente:

Ring#1 “Alessa then gives Harry a little girl and the two of them run for an exit, created by Alessa, with Cybil. Kauffman is captured by Lisa who is already dead but still wants revenge. Alessa stays behind and is presumably killed” Presumo quindi che a seconda della condotta di gioco sia possibile giungere non solo a più finali in FMV, ma anche a varie “sequenze boss”. Nella giocata da me affrontata Samael si è manifestato come un’ entità femminile avvolta dalla luce, ma sono sicuro che questa non è l’unica forma che il demone può assumere (l’uso dell’Aglothitis infatti ne modifica le fattezze). Dopo la sua uccisione, Harry si inginocchia e continua a piangere, perché assieme al dio ha eliminato anche sua figlia…il FMV da me ottenuto è il numero 4 (vedi sotto). Se qualcuno di voi ha ottenuto una trama o una conclusione diversa, può contattarmi(gatsu@project-ring.com,) potrebbe essere interessante approfondire il perché certi eventi si verifichino solo con determinate condotte di gioco. Rimangono comunque in sospeso diversi punti: ad esempio, come va interpretata la sedia a rotelle che si vede spesso nel corso del gioco? E’ forse la sedia usata da Alessa durante il coma causato dalle bruciature? E perché poco prima dello scontro finale, quando Harry chiede a Dahlia dov’è Cheryl , la donna mostra al nostro eroe un “pupazzo di carne” (non saprei come altro definirlo) seduto proprio sulla sedia a rotelle, quando di fianco a lei c’è anche Alessa? Ma soprattutto, il corpo di Alessa è vivo o morto (questo punto è totalmente oscuro)? Oppure, qual è la relazione fra Alessa, Cybil e Cheryl? Sono sorelle? Oltre tutto i FMV finali tendono a non spiegare un bel nulla, anzi, contribuiscono a creare ancora più confusione (in particolar modo sull’identità del neonato), proprio per questo motivo ri-

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tengo Silent Hill 2 più coerente e affascinante nonostante sia meno fresco o originale. Anyway, i finali del gioco sono cinque, e la loro comparsa è influenzata, come sempre, dalle azioni compiute durante il gioco: 1. Harry e Cybil si ritrovano nello stesso posto dove nella presentazione si vedono Harry e sua moglie (un cimitero?). Tengono un pupo fra le mani (Cheryl, presumo) e l’impressione è che dopo tutto i due possano vivere felicemente. Questo è l’unico finale positivo (?) del gioco, ma non fa altro che complicare le cose: perché infatti due dovrebbero vivere felicemente insieme, quando la stessa Cybil può, a seconda delle azioni del giocatore, essere usata come arma nei confronti di Harry (scena del parco giochi)? 2. Harry corre per la strada tenendo fra le braccia un neonato (sempre Cheryl). Si ferma e si guarda attorno confuso. Si può intendere (fantasiosamente) che Harry riesca a fuggire con Cheryl per ricostruirsi una vita. 3. Samael viene sconfitto, Harry si dispera ma Cybil lo esorta a fuggire prima che sia troppo tardi. Finale poco chiarificatore. Troppo tardi per cosa? E soprattutto, la vita di Harry ha ancora un senso? 4. La telecamera inquadra Harry nella sua jeep. Il giovane uomo è morto dopo l’incidente. Quindi fino a quel momento con chi abbiamo giocato? Con l’anima di Harry Mason? E Silent Hill quindi cos’è? L’inferno? L’Umbra di White Wolfsiana memoria (Whraith: The Oblivion docet)? 5. Questo non è una vera e propria conclusione perché avviene in cima al faro: Harry viene rapito dagli alieni! La cosa divertente è che tutta la grafica muta fino a somigliare ad un fumetto. Questo è il classico fi-


:INDEPTH: nale canzonatorio, irrilevante ai fini della trama. _____________No Way Out Silent Hill rimane quindi ancora oggi un gioco anomalo: possiamo tentare di inter-

Ring#1 pretarlo ma non riusciremo mai a far luce completamente su ogni aspetto della trama. Resta da decidere se questa sia stata una scelta intenzionale dei programmatori, oppure una serie di lacune a livello narrativo che noi poveri mortali stiamo tentando inutilmente di colmare.

In attesa di future rivelazioni (Silent Hill 3 si profila all’ orizzonte), continueremo a considerare il capolavoro Konami come un incrocio fra un film di David Lynch e un cubo di Rubik a cui mancano dei pezzi…

Next Fear_____________________________

[Silent Hill]

di Federico Res “Nel mondo non c’è una realtà assoluta” Solid Snake, forse riferendosi al mondo di Silent Hill

Next fear, l’altro lato di Silent Hill. Un’indagine parallela e opposta a quella di Gatsu, che analizza il gioco tenendo conto dei finali ‘positivi’ (GOOD e GOOD+). In fondo non è forse il doppio, la coesistenza di realtà simmetriche e opposte, uno dei temi principali di SH? Dunque, here we go. Con una precisazione: questa volta i flashback vi sono offerti direttamente dal sottoscritto, dunque fatene buon uso…

____Quattordici anni prima L’incubo residente in Silent Hill ha origine quattordici anni prima dell’incidente che cambierà la vita a Harry Mason. Precisamente quando, insieme agli adepti della sua setta, Dhalia Gillespie concepisce una figlia – Alessa – e trasferisce nel suo corpo l’anima di Samael, un demone il cui controllo potreb-

be far cadere ai suoi piedi il mondo intero. Col passare degli anni Alessa non sembra però interessata ai fini della setta capeggiata dalla madre, e rifiuta qualsiasi collaborazione [fsb: la cut scene prima del rendezvous finale mostra Alessa che tenta di sottrarsi al volere di Dhalia, e sostiene di voler essere soltanto una bimba come tutte le altre]. Dhalia non può sfruttare il potere di Samael racchiuso nella figlia senza che questa collabori [fsb: nella stessa scena animata è evidente come Dhalia tenti di forzare Alessa a far qualcosa che la bimba non vuol fare], così decide di farla cadere in coma, per superare la sua volontà: chiude la piccola nella sua stanza e dà fuoco alla casa [fsb: Lisa parla a Harry di un grosso incendio che, sette anni prima, distrusse parte di Silent Hill e pose fine alle attività della setta presente nella cittadina. Secondo l’opinione comune, la figlia di Dhalia morì nell’in-cendio]. La magia di Dhalia (o forse il potere di Samael) impedisce ad Alessa di morire, ma il corpo ustionato della bambina necessita comunque di cure mediche. Kauffman (primario dell’Alchemilla Hospital), nasconde Alessa nel sotterraneo dell’Alchemilla, e obbliga (con l’uso di una droga) l’infermiera Lisa Garland ad

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occuparsi di lei [fsb: un vecchio VHS mostra Lisa in lacrime mentre si dispera per le condizioni di Alessa. Lisa appare sull’orlo del suicidio, ed è probabile che, dopo aver registrato la cassetta, si sia tolta la vita].1 Dhalia e gli altri adepti della setta sono finalmente in grado di sfruttare il potere di Samael racchiuso in Alessa (ora in coma), ma si accorgono che qualcosa non è andato per il verso giusto. Al concepimento di Alessa il rito ha permesso di trasferire nella bimba soltanto metà dell’anima di Samael, e il suo potere ora è molto debole [fsb: nel Nowhere una scena animata mostra Dhalia e soci che discutono intorno al corpo ustionato di Alessa. Uno degli adepti rivela che il potere di Samael è molto debole, un altro spiega che il rito non ha funzionato del tutto, e ha permesso di trasferire in Alessa soltanto una parte dell’anima di Samael. Dhalia afferma di avere una soluzione, e qui il filmato finisce]. A questo punto si va di illazioni. La parte che segue non è sostenuta da riferimenti espliciti, ma lascia spazio all’ intuizione (nata da piccoli particolari che più avanti saranno chiari). Dhalia decide di avere un altro figlio per trasferire nel suo corpo la seconda metà dell’anima di Samael. La ceri-


:INDEPTH: monia viene ripetuta, e tutto sembra andare nel migliore dei modi. Succede però un imprevisto: Dhalia smarrisce il bebè (un’altra bambina), che viene ritrovato, sul ciglio della strada, da Harry Mason e sua moglie.2 ___Fast Forward: anno zero Andiamo con la mente alla presentazione, che narra del viaggio di Harry e figlia a Silent Hill. Sappiamo già dell’incidente, ma pensiamo a Cheryl, allo stupore sul suo volto nel vedere il simulacro di Alessa. Metaforicamente, Cheryl sembra implodere dentro Alessa, dentro se stessa: Cheryl è Alessa. Alessa possiede due corpi, ma un’unica anima: questo perché entrambi i figli partoriti da Dhalia sono stati concepiti col medesimo rituale, per il medesimo scopo. L’anima di Alessa vive in entrambi i corpi, insieme con quella di Samael. Il primo corpo di Alessa, quello rinchiuso nel sotterraneo dell’Alchemilla e costretto nel coma, vive sette anni di atroci dolori: tramite un poltergeist [fsb: si parla del poltergeist nel libro di Leonard Rhine abbandonato nella biblioteca della Midwich Elementary School] le sofferenze patite dall’anima di Alessa in quel corpo si tramutano in realtà. Oltre alla SH reale, nasce una nuova SH da incubo, prodotta dall’inconscio della ragazza. All’interno di quest’incubo, Dhalia usa Harry (deciso a ritrovar la figlia scomparsa) per avvicinarsi al corpo più giovane di Alessa, nel quale risiede la seconda metà di Samael (il gesto di Dhalia è giustificato dal fatto che Harry, essendo stato un padre ‘adottivo’ per Alessa, deve essere in qualche modo caro alla bambina). Quest’ultima, memore delle sofferenze patite nel sotterraneo dell’Alchemilla (l‘anima di Alessa vive contemporaneamente in entrambi i corpi) è più che decisa a non farsi trovare. Considerata la determinazione di Harry, Alessa tenta di rallentarlo in vari modi, semi-

Ring#1 nando sul suo cammino ostacoli di varia natura: demoni, voragini, perfino un simulacro di Lisa Garland, ripescata dai propri ricordi (vissuti nel primo corpo). Come soluzione estrema, Alessa prende il controllo di Cybil Bennet e tenta di uccidere Harry [fsb: Cybil precede Harry al parco giochi, e una cut scene mostra qualcosa che la colpisce alle spalle. Più tardi, visibilmente posseduta, Cybil tenterà di uccidere Harry]. Harry riesce però a far rinsavire Cybil, gettandole contro l’Aglothitis raccolto all’ospedale [fsb: il liquido rosso (Aglothitis) causa la fuoriuscita, dal corpo di Cybil, di un parassita strisciante]. Alessa sembra sorpresa ma non si dà per vinta: crea intorno a sé una barriera invisibile e comincia ad allontanarsi. A questo punto, il Flauros che Dhalia ha consegnato a Harry qualche tempo prima, si attiva e contrasta la magia di Alessa. In breve tempo il potere della ragazza è superato e vinto. Magicamente Dhalia sopraggiunge e porta via la figlia, inginocchiata ai suoi piedi [fsb: tutto ciò accade in un filmato subito dopo l‘incontro/scontro tra Cybil e Harry. Poco prima, Harry rivela a Cybil che Cheryl non è sua figlia naturale, e questo è anche il primo momento in cui noi ne veniamo a conoscenza].

Gli eventi procedono verso il finale: sempre determinato a scovare la figlia (in realtà Cheryl non è mai realmente esistita, ma Harry non lo sospetta nemmeno) lo scrittore attraversa un luogo assurdo (Nowhere) dove vari elementi di SH si fondono senza alcun

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senso, segno che l‘incubo creato dall‘inconscio di Alessa sta collassando su se stesso. Infine giunge al cospetto di Dhalia. Accanto alla donna vi sono due corpi: il primo corpo di Alessa, martoriato dal fuoco e adagiato su una sedia a rotelle3, e il secondo, più giovane, quello che per sette anni ha ospitato la facciata di Cheryl. In ognuno dei corpi giace una parte dell’ anima di Samael [fsb: a questo punto Harry domanda a Dhalia dove si trovi sua figlia, e la donna, con un ghigno sul volto, gli spiega tutta la verità. Lo scrittore appare scettico ma sembra finalmente capire.]. Con l’uso della magia, Dhalia combina insieme i due corpi di Alessa e l’anima di Samael, dando vita ad un essere dalle fattezze femminili circondato da una luce abbagliante. In quel momento sopraggiunge però Kauffman4: il medico scaglia contro Alessa una fiala di Aglothitis5 e induce Samael ad uscire dal suo corpo. Samael manifesta la sua ira contro Dhalia, bruciandola viva, prima di essere ucciso da Harry: a quel punto Alessa, in fin di vita, dona a Harry un bimbo in fasce6 e gli indica una via di fuga, verso la quale lo scrittore si dirige seguito da Cybil Bennet. Kauffman tenta di fuggire a sua volta, ma il fantasma di Lisa emerge dal terreno e lo trascina giù con lei, verso una morte certa. Infine, un FMV mostra Harry e Cybil che giocano con il bebè che Alessa gli ha consegnato, in una scena identica a quella della presentazione (dove, invece di Cybil, c’è la moglie malata di Harry). Si ritorna così all’inizio del gioco, con un particolare curioso: assistendo al finale GOOD+ s’innesca un meccanismo che, nelle partite successive, mostra Cybil Bennet nella presentazione, dove invece dovrebbe esserci la moglie morta di Harry Mason...

________________Note 1

[ Kauffman e Dhalia fanno parte della setta e si scambiano favori: tramite la magia nera


:INDEPTH: Dhalia uccide alcuni agenti che indagano sul traffico di droga gestito da Kauffman (nella stazione di polizia si trovano dei referti che indicano morti misteriose per alcuni agenti coinvolti nelle indagini su una strana droga prodotta a Silent Hill.) Informazioni su questa droga (ricavata dalla White Claudia, una pianta che cresce sulle rive del lago di SH) si trovano su un frammento di giornale nel Nowhere.] [2 A proposito del secondo figlio di Dhalia esiste una teoria affascinante, seppur priva di fondamenta solide. Secondo tale teoria, Lisa Garland avrebbe trafugato il bambino e l‘avrebbe lasciato sul ciglio della strada, sperando che qualcuno lo raccogliesse e lo portasse lontano da SH (speranza che poi si è

Ring#1 avverata, più o meno). Questo perché, avendo fatto da infermiera al corpo martoriato di Alessa, Lisa potrebbe essere venuta a conoscenza degli intenti di Dhalia e potrebbe aver intuito un grigio destino anche per il secondo figlio della donna, decidendo così di rapirlo.] [3 La sedia a rotelle è un leitmotiv nella Silent Hill alternativa, essendo stata parte delle sofferenze di Alessa nel sotterraneo dell’ospedale.] [4 Kauffman appare alcune volte lungo l’avventura, ma, tranne che nel caso del finale, ricopre sempre un ruolo marginale. Sembra che abbia stretto dei patti con Dhalia, e quando questa non li ha rispettati ha

Errata Corrige La recensione di Virtua Fighter 4 del precedente numero di Ring contiene un’inesattezza: all’interno del box informativo, a fianco del campo “Genere”, compare la definizione “Platform”. In effetti, Virtua Fighter 4 è un picchiaduro. Il recensore è stato probabilmente tratto in inganno dall’importante quantità di scalette che il gioco manda a video. Per il medesimo motivo tutto l’impianto critico riguardante l’essere “troppo incentrato sui combattimenti” non deve essere preso in considerazione. Ci scusiamo con i lettori e con Sega stessa.

trovato il modo di vendicarsi, gettando l’Aglothitis contro Alessa e scacciando Samael dal suo corpo.] [5 L’Aglothitis è un liquido magico che ha il potere di scacciare i demoni dal corpo degli umani. Forse temendo che Kauffman se ne potesse servire (come poi infatti è accaduto) Dhalia ha distrutto una delle fiale nell’ufficio del primario (il cui contenuto è stato raccolto da Harry). Kauffman ha però nascosto una seconda fiala nel serbatoio della propria moto (è Harry stesso a trovarla, nella Silent Hill turistica).] [6 E’ probabile che nel bebè vi sia l’anima di Alessa.]

Notizia Flash Rockstar Games si è recentemente assicurarata il supporto del popolare attore inglese Hugh Grant (4 Matrimoni e un Funerale, Un ragazzo) come testimonial del suo imminente blockbuster Grand Theft Auto: Vice City. “Non eravamo alla ricerca di un volto noto con l’unico obiettivo di attirare le masse – dice il portavoce di Rockstar Games – volevamo invece un personaggio in grado di stabilire un legame stretto con la filosofia di GTA3, e Hugh ci è sembrato la persona più adatta per carisma, presenza scenica, nonché per i suoi trascorsi con le prostitute…”

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Ring#1

Inganno e Sorriso nella Valle dei Pochi_______

[METAL GEAR SOLID 2: Sons of Liberty]

di Nemesis Divina _____Attraverso lo specchio Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty riflette se stesso, guarda lo specchio e l’immagine che si rifrange intuendo, senza certezze, che dietro il vetro ci siamo noi: irraggiungibili, impassibili osservatori che traggono i fili. Noi siamo lì. Oltre lo specchio… Una cifra distintiva accompagna MGS2 sin dai primi passi, una cifra deforme e slabbrata che avvolge nell’ evidenza il suo segreto. MGS2 si pone come tremenda e insanabile ferita nel contesto della percezione del ludoverso, uno squarcio nelle carni binarie di un mondo sin troppo limitato nel taglio delle forme. La foggia del ‘piano ben riuscito’ si delinea già prima della sua venuta, MGS2 annuncia la propria presenza spalancando le porte della sala con forza e percorrendo i metri a passi ampi e fermi. Il filmato che mesmerizzava i curiosi due anni orsono continua a stupire per grazia grafica, montaggio e cura espositiva. Ma questo è l’assoluto tecnico, prestazione sublime di una macchina spinta al limite di allora. Quello che il trailer portava con sé era invero ben altro: promesse di interattività sin’ora solo sognate, tempi e modi cinematografici espansi a ruolo perenne, azione ispirata/reazione composta. E ancora, nel tripudio del manifesto, il sussurro del segreto. Uno, due trailer che mostravano al mondo quello che non avrebbero visto. Più sapevamo di MGS2 e meno eravamo vicini a ciò che MGS2 si apprestava a diventare, voce sola e inusuale in un ambito evidentemente meno limitato

del creduto. I trailer diffusi posti a guardia fedele del segreto custodito, tanto vedevamo, tanto sapevamo di MGS2 che non c’era ragione di credere, d’intuire o immaginare altro. Con tutti i minuti di animazione che Hideo Kojima offriva, ancora il maestro teneva segreto ciò che MGS2 era ed è: un taglio nella tela [cfr. REZ Esegesi del NON-gioco]. MGS2 si propone come rinnovatore che, pur mantenendo basi accessibili e accettabili, suggerisce l’esistenza dell’altro. ___Vestigia di carne binaria Il mirino iconoclasta di Kojima marchia un punto rosso e intenso sulla fronte del videogioco, la prima manifestazione di ciò si presenta al giocatore con l’apparire di Raiden o, meglio, con la negazione di Solid. Colui che pure dona parte del proprio nome all’opera, perde presto la corsia preferenziale del giocabile ed entra a far parte dell’insindacabile veduto. Qui si attua il primo transfert che Kojima impone all’utente: saziato dall’esaustività di strabordanti filmati promozionali, soddisfatto da appaganti demo in cui tutto era concesso e mostrato, il fruente percorre le prime sale del tanker con serena noncuranza, corre a piede lesto aule conosciute e visitate più volte. L’imprevisto, il nonatteso/nonvoluto, giunge con forza dirompente duplicata e frantuma ogni certezza, crollano le convinzioni e le aspettative cedeno il passo ad una stele illibata. Confusione, delusione, rabbia, nel giocatore si alternano emozioni feroci ma è altro cui Kojima ambisce: ‘predisposizione’. Con l’uscita di scena di Solid Snake, Kojima snuda il giocatore dinanzi all’ opera in atto e, perso il riferi-

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mento di Snake, brancoliamo indifesi entro i confini decisi dal maestro dei giochi. Tolto Snake dal conto, il primo transfert è completo: il giocatore indossa ora i panni di Raiden, vestigia strette, scomode, per nulla desiderate. La prima porzione di gioco, il demo, i trailer, l’attesa pompata a dovere facevano sì parte di una meccanica commerciale collaudata ma erano pure lo strumento tramite il quale amplificare il disorientamento, la condivisione dei ruoli. Sapremo poi del passato di Raiden, marionetta giostrata a più mani e più livelli, infanzia negata e un presente dal disegno costretto e inalterabile nei tratti, così come al giocatore viene negato Snake e imposto Raiden. Il giocatore, pure, viene derubato di ogni premessa nota ed anche le finalità da raggiungere si perdono in fitta bruma. Chi vive l’esperienza ludica maneggia ora un personaggio che ripudia, sente non suo e privo di valore e così ritiene Raiden di sé e questo a ragion veduta, poiché egli non è chi crede d’essere. Raiden è inizialmente un inetto e la continua necessità di un contatto con il Colonnello Campbell, risponde ad un’esigenza ludica (un tutorial per chi comincia MGS2 direttamente dal capitolo Plant) ma giunge anche a sostegno del senso di inadeguatezza che pervade Raiden (alla sua presunta prima missione fuori dalla Realtà Virtuale) e investe il giocatore il quale, perso il miraggio di Snake, non riesce né vuole accettare il nuovo avatar digitale sentendolo come fuori luogo, falso. Ancora, questa falsità funge da ponte Giocatore/Raiden dal momento in cui, per tutta la vicenda, Raiden percepisce il disagio di una condizione artificiosa, inospitale. Raiden è un personaggio rapito, un uomo manovrato e irriso


:INDEPTH: dalla sorte che è costretto a recitare un ruolo non suo, non voluto ma comunque ineluttabile. Così il giocatore. ____Rododendri arrugginiti toccan la luna Da questo punto, attivato segretamente il transfert Giocatore/Raiden, MGS2 si protrae nella routine ludica che ben conosciamo e che serve da corpo del gioco ma il cui scopo è anche quello di sedare il giocatore e fargli accettare il suo nuovo ruolo, per quanto inviso. Il valore ricreativo dell’opera si sviluppa appieno in questa fase proponendo ampie aree di manovra che ispirano la creatività del fruente e che accondiscendono a gran parte dei suoi desideri/capricci. L’estesa risposta interattiva del gioco comincia a far perdere di vista la macchinazione di Kojima e pure l’intreccio narrativo, di gordiana fattura, opera in tal senso. La sceneggiatura si aggroviglia e s’arrampica (talvolta scomposta) lungo le linee degli eventi; qui ci vengono proposti numerosi spunti inusuali e quantomeno meritevoli di menzione. Su tutti la scottante allusione al rapporto semi incestuoso fra Otacon e la matrigna. Ma sono anche altri i temi che Kojima tratteggia: il ‘sacrificio accettabile’ che opera Olga svendendo la propria squadra in favore di un figlio che neppure è certa essere an-

Ring#1 cora vivo, il sacrificio di una madre disposta a tutto per il proprio frutto, suo messaggio al futuro, che culmina con l’immolazione nello scontro con i Ray. La latenza dello spirito di Liquid che cova all’interno del braccio di Ocelot è un altro accenno che può ricondursi al messaggio riposto di Kojima, lo spirito di Liquid pervade appieno la parte di sé che Ocelot ha trapiantato sul proprio corpo e la presenza scatenante di Solid Snake ridesta la coscienza sopita. In ambo i casi si riespone il valore del messaggio, dell’informazione; perno dell’intero MGS2, questo messaggio si ripropone in più modi, la potenza dell’ informazione, di un qualcosa che prevalichi i limiti del materiale e perpetui l’esistenza di un uomo oltre i propri confini fisici, in una parola: Patriots. I Patriots sono i supremi manovratori del mondo di MGS2, traggono le fila di ogni intrigo presente nel gioco e giostrano con mirabile abilità ogni pezzo della scacchiera. Il Presidente Johnson persegue una via verso il potere reale, non quello conferitogli dalla presidenza americana ma quello diafano eppur effettivo del circolo dei Dodici. Dodici persone che muovono le membra di una nazione, scelgono la rotta e guidano la nave verso porti segreti, tutto sotto l’egida della bandiera stelle e strisce. Patrioti. I Patriots sono probabilmente l’elemento più affascinante dell’ intera vicenda. Il loro ingresso sulla scena narrativa corrisponde al concreto impennarsi della storia e significa lo svolgimento del submessaggio kojimiano: il valore dell’Informazione. Scopo ultimo dei Patriots (e magistralmente celato ai comprimari del videoverso) è la gestione dell’ informazione mondiale: il programma GW, custodito dall’ Arsenal Gear, non è un’arma in senso proprio. Non una spada… una penna. Un programma per monitorare e ridirigere i flussi informativi mondiali in ogni forma, da quella telematica sino a raggiungere il condizionamento mentale umano (che

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praticamente tutti i personaggi del gioco subiscono, per quanto a livelli differenti). L’intento dichiarato dai Patriots, definito sul finire di MGS2, è quello di mondare le correnti di pensiero di tutte le divagazioni effimere e le elucubrazioni improduttive così da imprimere al genere umano quella spinta evolutiva che, altrimenti, impiegherebbe molto più tempo a presentarsi. I Patriots come filantropi dell’ umanità tutta? Le rivelazioni terminali gettano benzina sul fuoco: I Patriots si dichiarano come una nuova forma di vita, differente da quella umana, e basata sull’informazione pura, senza catene fisiche né (apparentemente) morali. Una svolta narrativa curiosa che però tittilla la curiosità dei più attenti che confidano in MGS3 per ricevere risposte più pregne. ___Un mare di voci entro un abisso di pensieri Ma si tratta di risposte dovute? MGS2, pur con un finale apertissimo, affida la compiutezza del suo valore al submessaggio che governa l’intero intreccio, un intreccio Giocatore/Gioco. Il transfert su Raiden è strumento di Kojima per esporre il giocatore ad una serie di considerazioni più alte ed è all’interno dell’Arsenal Gear che queste prendono forma. Il programma informatico dei Patriots, deputato a replicare voce e pensieri del Colonnello Campbell, ha un periodo di smarrimento dovuto all’azione del virus creato da


:INDEPTH: Emma Emmerich, in questo lasso di tempo egli si esprime con frasi doppie quando non letteralmente riferite al giocatore (arrivando a consigliare di ‘spegnere la console’). È un punto di totale rottura che non viene sanata dai momenti successivi in cui, dopo aver cementificato l’incredulità, si mina persino la struttura materiale del gioco preda di errori e disfunzionamenti palpabili (‘Fission Mailed’), non solo si mette verbalmente in dubbio la finzione ludica ma se ne minaccia anche la concreta fruizione. Questa frattura è essenziale per introdurre il giocatore allo sviluppo della tematica dell’informazione e sull’intrinseca dualità vero/ falso. Kojima imprime al gioco svariati registri e sovraccarica l’utente di nuovi valori anche profondamente slegati gli uni dagli altri. È una vertigine interpretativa, ma nonostante lo ‘smascheramento’ della finzione ludica noi continuiamo a giocare… Ritornati alla normale concezione ludica di MGS2 dello scontro con i Ray e abbattuti i suddetti, si assiste inerti al dispiegamento delle trame narrative: la vicenda cui abbiamo partecipato è in verità un ambizioso e complesso test, orchestrato dai Patriots, teso a dimostrare la bontà dell’S3 (Selezione della Sanità Sociale). Scopo del test è raccogliere dati per ampliare la versatilità del GW che, esposto alle condizioni limite degli eventi ‘Big Shell’, dovrebbe crescere in forme evolute di controllo. Grazie all’ intervento del Giocatore/Rai-

Ring#1 den, coadiuvato e ridiretto da Snake, il piano dei Patriots è compromesso, il GW annientato assieme all’Arsenal Gear che lo custodiva. Ma quanto di questo è realmente vero? Le verità di MGS2 vengono continuamente riprese e sovvertite, ampliate e deformate, per districarsi dal garbuglio è probabilmente utile scovare l’avatar digitale del creatore. I Patriots sono un riflesso di Kojima, essi manovrano fuori dai giochi, monitorano gli eventi senza esserne materialmente toccati e manifestano la loro appartenenza ad un piano d’esistenza differente rispetto agli altri comprimari. Seguendo le parole dei Patriots affiorerebbe un diffuso senso di sfiducia, una sfiducia che Kojima proverebbe nei confronti del mondo e che in MGS2 trapela più volte (MGS2 è un girotondo di tradimenti). Nelle parole dei Patriots, Kojima accuserebbe la futilità e l’inutile dibattersi dell’uomo. Piano dei Patriots è dotare il corpo dell’ umanità di un capo consono, preciso ed infallibile che conduca le genti verso una verità unica ed immarcescibile, foss’anche creata ad hoc. Tuttavia non è sbagliato intravedere nei Patriots lo specchio delle paure di Kojima e non i suoi diretti pensieri (i patrioti sono difatti portatori degli spettri dell’ingegneria genetica e del disastro ecologico, temi cari all’autore e già trattati in Metal Gear Solid per PSone). È dunque con la voce di Snake che Kojima tramanda la sua visione. Snake è più volte definito ‘estraneo alla simulazione’ ed il suo ruolo appare sempre limpido agli occhi del giocatore. È d’altronde sintomatico che Snake non venga coinvolto in voltafaccia di sorta, la sua è una figura univoca e distinta, le accuse d’essere a capo di Sons of Liberty si limitano ad un sussurro e Raiden stesso (con lui il giocatore) è costantemente diffidente di questa infamante versione dei fatti. Non trascorre molto tempo, difatti, prima che appaia quell’Iroquis che il giocatore riconosce immediatamente nel-

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lo Snake schierato fieramente dalla parte del giusto (benché ‘giusto’, in questa sede, perda di significato). È con le parole di Snake che l’autore fornisce la chiave di lettura a MGS2 cui fa riferimento la presente analisi: “Nessuno sa veramente chi o cosa è. […] Nel mondo non c’è una realtà assoluta. Molta di quella che chiamiamo realtà è una finzione e viceversa. Quello che pensi di stare vedendo è vero quando il cervello ti dice che è vero. […] Non si tratta di avere ragione o avere torto, ma di quanta fede sei disposto ad avere. […] Senti, non stare a ragionare troppo sulle parole. Trova il significato dietro alle parole e poi decidi. Puoi trovare il tuo nome e il tuo futuro.” In queste parole Kojima/ Snake ripudia il modello assolutistico di verità universale e mette in luce l’ipotesi della verità individuale. Kojima, saggiamente, coglie la sfumatura effimera del cercare risposte definitive che, per la natura mutevole dell’uomo e del mondo, non potremo avere mai. A fronte di ciò MGS2, da alcuni ritenuto un’opera di critica verso la videoiterazione, si presenta come messaggio rafforzativo del videogioco. Il videogioco è senza dubbio un’ irrealtà, ma Kojima afferma chiaramente che anche una finzione può trovare una dignità propria e seguire una strada fertile e coerente. Raiden è spinto da Snake a mettere da parte le domande assolutistiche e limitarsi a percorrere le vie di ciò che Raiden stesso decide di credere vero (e noi con lui, dopo il ‘Fission Mailed’ abbiamo continuato a giocare, a voler credere…). Nell’epilogo del gioco Raiden si libera infine della sua ultima catena: gettando la targhetta del giocatore e ripudiandone il nome (un nome non suo, per quanto appartenente al nostro mondo ‘vero’…), Raiden recide il suo ormai unico legame con il reale effettivo abbracciando consciamente le


:INDEPTH: spoglie della finzione virtuale, virtuale ma non per questo falsoassoluto, piuttosto un verorelativo. Il discorso di realtà individuali e dell’importanza di credere trova numerosi esempi in MGS2 ma è quello, toccante, di Fortune che colpisce nel segno. Mentre Ocelot svela il suo tradimento, scopriamo che gli incredibili poteri di Fortune sono semplicemente frutto della tecnologia dei Patriots. Nonostante questo la ragazza dà fondo ad una capacità che ritiene realmente d’avere. Contro il manto della finzione i missili deviano realmente ed una nuova ‘verità’ viene a crearsi (il palesarsi degli effettivi poteri di Fortune).

Ring#1 che per farlo l’abbiamo anche pagato. Le fasi metareferenziali1 dell’Arsenal Gear non corrispondono ad un effettivo uso narrativo, è piuttosto un evento alieno e teso, evidentemente, a suggerire una lettura di livello esterno. Nella fattispecie introduce l’idea della friabilità del costrutto reale, ogni verità accettata (così come in effetti è il contesto ambientale del videogioco) potrebbe mostrarsi con i tratti di un falso. Tenendo a mente il collegamento Giocatore/Gioco, appare in limpida bellezza il disegno kojimiano, un progetto studiato con gran perizia e che infine ha dato frutti squisiti.

____________…e gli Oceani È un mare vasto e increspato quello che Kojima ci spinge ad affrontare. Il genio dell’autore matura a più livelli ma è soprattutto nell’intento comunicativo che esso si esprime al meglio, trascurando d’altronde la generalizzata eccellenza tecnica del titolo (registica in primis). I messaggi che Kojima lancia sono variegati e rarefatti, ma sempre presenti. Il transfert Giocatore/Raiden è un’ evenienza che in alcun modo può esser considerata fortuita, anche il meno ispirato fra i giocatori (tunzettaro dell’ultima ora) potrà cogliere il rimando evidente che l’autore crea disegnando su schermo la figura dell’efebico Jack. Raiden è il giocatore giocato, sciarada sublime in cui il Kojima/Patriots giostra a piacere i nessi del videomondo. Il giocatore, da fruitore, diventa vittima sottilmente consapevole, è un capovolgimento di fronti che stupisce per genialità ed efficacia, qui si disegna dunque un secondo transfert che definiremo Giocatore/Gioco: il giocatore cala nei panni fisici della forma ludica, il suo personaggio reale si fonde appieno con i profili del gioco il quale è gestito dal creatore in persona: Kojima. Pare proprio che, infine, sia stato Kojima a giocare a ‘Videogiocatore’… e il bello è

Il videogiocatore viene provvisto di numerosi elementi che lo possono aiutare a svelare un ulteriore strato di verità, impegnato com’è a districare la matassa del complotto politico di MGS2 si dimentica di stare giocando un videogioco. D’altra parte l’intervento distruttivo di Kojima non mira assolutamente a sfatare l’illusione dell’ ambiente digitalinterattivo quanto piuttosto a frantumare le strutture del realeeffettivo. Smontare la finzione virtuale è compito sin troppo semplice e sterile, il transfert Giocatore/ Gioco si occupa di ricalcare sulle forme della vita reale l’anima doppia del mondo di MGS2, in questo modo il fruitore è costretto a domandarsi cosa è corretto creder vero e cosa no, nel mondo reale. Le risposte ‘giuste’, lo dice Snake, non sono né presenti né necessarie, la risposta coerente col nostro modo di vedere, decidere e pensare, sarà quella a noi con-

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forme. E non è casuale il fatto che sulle labbra del Colonnello Campbell (per volere dei Patriots) compaia un’analisi spietata e terribile dell’individualità umana descritta come gretta, insignificante, accumulatrice di frivolezze. Nel punto di maggiore attenzione dell’ utente, Kojima rovescia il calderone dei dubbi e delle paure che intimamente colgono ognuno di noi, così piccoli e bisognosi di sicurezze preconfette (religiose, politiche o sociali che siano). Kojima/ Patriots, in questa fase, si contrappone al biverso del Giocatore/Gioco, è l’avvo-cato del diavolo e noi possiamo maledirlo anche nella nostra forma di Giocatore/Raiden. Kojima/ Patriots ha manipolato Raiden e il suo mondo ma, soprattutto, ha manipolato noi e il nostro mondo, malmenandoci a suon di filmati e attese continue, facendoci implorare la venuta di Snake salvo poi togliercelo da sotto gli occhi, tradendo la finzione videoludica, suggerendo l’altro e rivolgendosi a noi, giocatori giocati, in tono sprezzante e saccente. Kojima, da padre premuroso e comprensivo, torna poi nelle spoglie di Snake per risistemare le cose e darci la possibilità di vedere il nostro contesto (videoludico e reale) ricostruirsi attorno a piccole ma solidissime veritàrelative. ____Caleidoscopio dei valori e dei nessi MGS2 risplende per il valore semantico che porta seco, un valore sfaccettato e profondo che, funzionalmente alla sua complessità, mostra il fianco a letture molteplici e pure contrastanti. Dopo quanto emerso nella presente analisi, è difatti inutile cercare un messaggio assoluto in MGS2, vero anche che risulta risibile il tentativo di alcuni di ridurre l’opera ad un puro esercizio ludico demandando i ‘significati reconditi’ a semplici stranezze e vezzi registici di un autore esaltato. Anzi, proprio la ridotta cifra ludica (come nel caso di REZ)


:INDEPTH: può essere additata come evidenziatura di un messaggio da scoprire e interpretare. Quella qui esposta è solo una delle tante letture disponibili. Ve ne sono altre: “Il Cavallo di Troia di Hideo Kojima” (SuperConsole #95/Febbraio ‘02) presenta un’ analisi scaltra ed avvincente che dona un ulteriore valida interpretazione di MGS2 il quale viene inteso anche come sagace critica del modello americano. Consigliando di recuperare il testo in questione (producentesi in una visione fullfiction e metareferenziale di MGS2), citiamo un passaggio emblematico: “Dopo la lunga sequenza finale la voce di Otacon conclude il gioco affermando che i Patriots sono morti 100 anni prima; significa forse che i principi di disciplina e moralità alla base della società americana sono già da tempo maschere vuote?”

D’altra parte sono i Patriots stessi a dirsi figli del credo della nazione americana, ecco le esatte parole: “La Casa Bianca è stato il nutrimento primordiale per noi, la base per la nostra evoluzione. Sotto la protezione della bandiera, nutriti dalla religione nazio-

Ring#1 nale, il capitalismo. Noi non abbiamo forma, siamo quella disciplina e quella moralità a cui gli americani fanno sempre appello. Come potete sperare di eliminarci? Finché esiste questa nazione, esisteremo anche noi.” Credendo alle loro parole e scoprendoli poi morti da tempo la tesi sopra riportata acquista le sembianze del vero. L’innnegabile valore del testo affiora proprio dalle numerose letture che se ne possono trarre, d’altronde (accettando quanto detto in questa sede), questa natura a più voci è più che accetta, si presenta anzi in veste di forma necessaria e prominente. Se Kojima avesse proposto una visione lineare e manichea della storia, l’intera tesi sulla veritàrelativa avrebbe perduto di significato. Concluso MGS2 resta una sola certezza: ‘non esistono certezze’, il mondo, i personaggi, le storie mutano continuamente tanto nela nostra realtà quanto nel digimondo di Raiden, ricercare una sola via da percorrere è un indirizzo fuorviante. Il disagio che Kojima ha inteso provocare è profondo e radicale ed è certamente figlio del medesimo impatto che Hideaki Anno escogitò con il finale di Neon Genesis Evangelion. D’altra parte MGS2 non possiede intenti nichilisti, è più un prontuario per la vita, un suggerimento su come affrontare il quotidiano sulla base delle proprie verità senza perseguire echi distorte dei credo altrui. MGS2 è una grande opera molteplice che non vilipende il videogiocatore e certamente non intende scontentarlo sottraendogli l’amato Snake come gesto offensivo, questa privazione è piuttosto una necessità dettata dalla forte aspirazione

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didattica e immersiva dell’opera. Raiden e la sua ‘insignificanza’ sono subordinati al sottile disegno che serpeggia lungo l’intero testo, non capire questo significa infine non aver colto il messaggio riposto di Kojima. E sia chiaro, Kojima di questo non intende farvene una colpa poiché, come Raiden, siete completamente liberi di vivere una finzione che ritenete verità. __________________Note [1 Metareferenzialità: forma di linguaggio espressivo che, usando i mezzi di un dato contesto (pittura, fotografia, scrittura, ecc…) include le inerenze ‘esterne’ del contesto in dizione. Es. un quadro in cui affiora la mano del pittore intenta nel dipingere l’opera stessa. La metareferenzialità è solitamente tesa a frantumare il muro di finzione che chi osserva erge automaticamente quando si pone nei confronti di un opera creativa. Guardare un quadro, leggere un libro, vedere un film significa aprire una finestra su una veritàrealtiva. La metareferenzialità si preoccupa di aprire la finestra… e invitare l’os-servatore a entrare.]


:INDEPTH:

Ring#1

Esegesi del Non-Gioco____________________

[REZ]

di Nemesis Divina “I sat down with a big group of the staff and we basically listened to sounds and then each person would say 'that's a purple sound’, or ‘it reminds me of yellow’, or ‘it feels like it should be attached to this sort of movement’ […]” Tetsuya Mizuguchi a proposito della genesi di REZ “Tunz, tunz, tunz.” REZ a proposito di se stesso _______Viaggio Allucinante

È metamorfosi, tempo di cambiamento che un vento irrequieto annuncia soffiando. Il videogioco come tramite di un messaggio che valica il confine ludico e viaggia con scatto lungo tragitti tortuosi e a rischio. Con negli occhi la meta della videoesperienza, versione poweruppata a dovere del ludogingillo a noi caro, si parte per il viaggio proposto dall’agenzia Sega/UGA ed un virgilio d’eccezione, quel Tetsuya Mizuguchi di Space Channel 5, allacciate le cinture e mano ai braccioli, qui si vola di brutto. Ed è un viaggio effettivo, percorso lungo binari in coerente evoluzione del medium, ma anche un viaggio tangenziale che lambisce i confini del gioco per ottenere la spinta centrifuga necessaria a sganciarsi dall’attrazione ludogravitazionale, forza che trattiene, schiaccia a terra e costringe la comunicazione potenziale del (termine improprio) videogioco. REZ ci raggiunge come moto innovatore di un settore restio a mutare i lineamenti di un entertainment troppo spesso svilente, muto dibattersi nel nulla. REZ ci bracca stretto e sussurra e urla del di-

verso, del nuovo e dell’insolito, REZ è NON-gioco applicato, forza sobillatrice, fertile grembo creativo (solo vagamente ricreativo). REZ è il taglio nella tela dipinta del videogioco, colore e rumore sgorgano imbrattando i pavimenti di una concezione giovane e limitata del medium: “Che vi ricorda la macchia per terra”, chiede Rorsharch? Niente psicanalisi, solo non badate a colori e rumori, quello che dovete guardare è il taglio nella tela.

____Che numero è il rosso? Il mondo gira, sì. Anche se non guardi mentre lo fa. E il videogioco cambia, sì. Anche se tu e lui tenete gli occhi chiusi. Il potenziale espressivo del medium è ancora là da scoprirsi del tutto eppure una caviglia pallida, una spalla liscia si intravedono. Non è ancora tempo per un ampio decoltè ma pazientate e, un giorno, avrete un posto in prima fila per una approfondita indagine genitale. Quello che Mizuguchi e pochissimi altri s’arrischiano a fare è suggerire l’in più, ciò che valica i bordi del contesto ludico arrivando a lambire gli intenti espressivi di arti che meritano propriamente il suddetto appellativo. La po-

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vertà ludica del prodotto REZ si scontra con l’esuberanza espressiva dell’opera REZ, di fatto la scarsezza dell’offerta ricreativa è funzionale alla cifra comunicativa. REZ è suono e movimento, colore e numero, gioco solo per finta, per necessità e dovere commerciale. Sinestesia1 Kandinskij/Schonberg, traduciamo: Musica/Altro, Musica/Colore, Musica /Numero. I movimenti pittorici più arditi di Vasilij Kandinskij2 prendono origine dall’esperienza musicale del maestro Schonberg3, di fatto padre della Dodecafonia4, strumento con il quale il compositore munisce la musica di un valore assoluto, trascendente le regole umane di armonia tonale, bellezza simmetrica e limitata ricezione sonora. Gli spartiti dodecafonici fondano la propria struttura su codici impeccabili, visioni in cui i suoni sono accomunati dal medesimo peso compositivo. Si vanno perdendo i riferimenti sonori, le note cardine attorno alle quali ruotano subordinate le altre particelle acustiche. In questa selva sonora l’orientamento è messo a ferrea prova, perso ogni riferimento l’ascoltatore inciampa fra gruppi di suoni discordanti ed apperentemente caotici. In realtà è proprio l’assenza totale di casualità a dare origine al nostro disagio, la composizione dodecafonica si basa su regole precise e limpide cui l’armonia tonale si deve inchinare e nelle quali, perso l’ideale di bellezza simmetrico, nasce un opera sonora che trae la propria beltà


:INDEPTH: dalla comprensione delle complesse meccaniche che muovono l’ascolto. Un’esecuzione dodecafonica, invero, è ben più assimilabile ad una funzione matematica piuttosto che ad un comune esercizio musicale. La dodecafonia è manifestarsi del numero tramite il vibrare del suono. Kandinskij, conoscente e ammiratore del lavoro schonberghiano, traduce in colore quest’esperienza frammentatrice di regole accettate trasponendo su tela un disagio comunicativo che germina nel vivere in un contesto cristallizzato, fermo e troppo diretto per essere superbamente bello. Il pittore e pensatore russo concorrerà a tracciare le linee distintive dell’astrattismo pittorico, ritratto concettuale che trae dall’ informità apparente il suo carattere peculiare e dominante. L’esecuzione pittorica astratta, difatti, non nasce dall’esigenza di mostrare il reale e l’effettivo, quanto piuttosto di dare aspetto all’immateriale immaginario, sia esso suono o sentimento o idea, spazio o volere. ____Suono, linea e cifra nel dominio del gioco Con REZ la videoesperienza si arricchisce ulteriormente e procede, pur con passo bradipo e zoppo, verso una qualche gratifica artistica. Tranquillizza osservare la verve sperimentale cominciare a dare mostra di sé entro i confini videoludici. E non parliamo di una sperimentazione nominale favorita dalla fase germinale del medium, no, REZ sorprende per essere capace di rappresentare, con minime concessioni, la volontà del singolo suo creatore. Mizuguchi accetta di imbastardire la propria opera con l’apporto superfluo del fruitore la cui presenza è destinata a svilire la resa espressiva dell’ opera REZ. La meccanica ludica di REZ non premette un reale sincronismo sinestetico, non v’è reale necessità di seguire o creare tempo musicale, infine la risibile componente lu-

Ring#1 dica non è che un biglietto da pagare per godersi un minestrone videouditivo. D’altra parte tessere un reale connubio fra sonoro e azione ludica, a primo dire di Mizuguchi, avrebbe decimato il popolo fruente. Trattare REZ come un gioco è alla stregua dell’ascolto d’un brano dodecafonico teso alla cerca di armonie simmetriche tonali, né diverso il caso di porsi innanzi ad un dipinto astratto nel tentativo di desumere forme e contenuti fisici (operazione peraltro possibile, benché sterile). Il rimbalzo comunicativo delle forme espressive estreme sovraproposte è di genere contenutistico e non realista, un astratto prende valore non dalla coerente ed efficace rappresentazione del reale (cosa verso cui è tesa la quasi totalità dell’attuale industria videoludica), quanto piuttosto alla mostra dell’impalpabile pensiero delle cose, l’anima muta del concetto. A suo modo REZ è capolavoro in quanto valica il costrutto di regole ed assiomi cui l’industria (già questa parola è sintomatica) del videogioco è soggetta. REZ propone se stesso come linguaggio artistico che mutua gli strumenti del videogioco ponendosi sul palco del pubblico del caso senza offrire un reale ludico, quanto piuttosto un astratto visivo. La pochezza ludica e la brevità giungono, in tal contesto, come tollerate e anzi gradite. Un surplus ludico (fatto di ingombri meccanici e quindi sovrapresenza del giocatore) avrebbe causato un ulteriore impoverimento del quadro espressivo. REZ è una voce che il videogioco cerca di far giungere a orecchi capaci, voce che assume la forma del NONgioco come nuovo principio espressivo di un movimento che si ostina a ricercare l’arte nell’ espressione evanescente del game design il quale, ad oggi, sembra sempre meno distintivo della videofruizione. REZ è, infine, un prodotto d’arte, uno dei pochi in ambito videoludico, che però timbra il visto artistico grazie alla rinnegazione che fa del videogioco come forma di dialogo giocogiocatore. REZ

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imbriglia il giocatore mutandolo in spettatore, gli offre gestualità meccaniche che lo ingannino durante quella che, su tutto, è la visione di un quadro sonoro. Un quadro, certo, dipinto sullo schermo del televisore.

__________________Note [1 Sinestesia: forma di colle-

gamento mentale che accomuna due o più sensazioni distinte. Un suono che rammenta un colore o un odore che rimanda ad un evento particolare.] [2 Vasilij Kandinskij: (18661944) Pittore russo, altissimo esponente dell’astrattismo non geometrico. La sua ricerca è stata tesa a lungo verso la creazione di un’amalgama espressiva che unisse un numero vario di arti. Indicativi i suoi lavori teatrali giocati sui cromatismi oppure i suoi elaborati pittorici che imponevano una scansione spaziale degli elementi dipinti (prima i toni caldi e a seguito quelli più freddi).] [3 Arnold Schonberg: (18741951) Compositore austriaco e studioso del linguaggio musicale. Attorno al 1920 teorizzò il metodo dodecafonico che sarà poi emblematico del suo genio.] [4 Dodecafonia: linguaggio musicale che si fonda sulla negazione dell’armonia tonale. L’assunto base è l’equivalenza dei dodici suoni della scala cromatica, in una sua incarnazione la dodecafonia pretende che per di ripetere un suono siano prima intercorsi i restanti undici, in modo che nessuna nota si erga sopra le altre. La risultanza è certamente disturbante.]


:RECENSIONI:

Ring#1

I Quattro Wude_________________________

[Shen Mue II]

di Sator Arepo ____JIE Don’t show or use moves thoughtlessly

Con il vostro permesso vorrei fare una roba un po’ diversa dal solito: vorrei parlare del videogioco in questione partendo dal fondo, dai titoli di coda, e, tramite una sessione di reverse engineering, dare una consistente idea della caratura del kolossal di Sega/Am2. Assecondatemi, so quello che faccio (Jie). Non so se ve ne siete mai resi conto ma i titoli di coda in un videogame sono molto importanti. Niente a che vedere con quei noiosi listati alla fine dei film. Infatti la gente a quel punto si alza ed abbandona il cinema; non gli passa minimamente per la testa di conoscere i nomi degli stuntmen o dell’aiutante del regista. E’ giusto così. Quanto dura un film, due ore? Troppo poco per affezionarsi alla storia ed ai personaggi a tal punto da voler assimilare tutto il possibile dell’ opera appena trascorsa. Ma in un (bel) videogioco è diverso; prima di tutto perché dura di più (sì, certo, a parte Ico), poi perché il legame col playing character è più saldo (eh beh, dove andava lui andavo io!). Cominciamo orsuddunque a sezionare i credits di Shen Mue II, partendo perchennò dalla bellissima colonna sonora: realizzata in versione orchestrata dalla Kanagawa Philarmonic Opera, ridotta ad easy motivetto di violino che accompagna la consultazione del notepad, emulata con una sequenza di beep in stile videogiochi simbolici nel coinop del

QTE. Devo dire che durante il gioco mi ero persuaso che fosse opera del maestro Joe Hisaishi, e non perché è l’unico musicista jap che conosco (che poi è quasi vero). Mi era parso di distinguerne la capacità di comporre melodie semplici ma bellissime che ti si imprimono dentro. Melodie che associ istantaneamente all’opera cui danno supporto. Hisaishi è un mago in questo, un po’ la controparte nipponica di John Williams, ed il suo lavoro ad esempio per Princess Mononoke, L’Estate di Kikujiro e HanaBi è lì a dimostrarlo. I credits però mi sbugiardano: le musiche sono infatti di Yuzo Koshiro, autore delle soundtrack di gioiellini come Streets of Rage e Revenge of Shinobi. Una rapida ricerca su internet mi rivela che il giovane Yuzo è stato discepolo del vecchio Joe, non sono dunque del tutto rincoglionito. Andiamo oltre. Sapete quanti doppiatori hanno prestato la voce a Shen Mue II? Quasi una ventina per i personaggi principali ed oltre cento (100) per dare consistenza agli abitanti di Hong Kong e provincia. Cento persone a registrare frasi la maggior parte delle quali non udiremo mai. Non è infatti umanamente possibile parlare con tutta quella gente. Tuttavia esse esistono per rendere unica l’esperienza ludica. Questi sono i particolari che differenziano

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Avventura Sega AM2 Dreamcast 1 PAL

Anno:

2001

un masterpiece da un Tomb Raider qualsiasi. Per rafforzare questa tesi, buttate un’occhiata all’elenco dei debugger e dei betatester. Impressive. Potrebbero riempire un piccolo centro abitato montanaro. ____GON neglect

Practice without

La serie Shen Mue è un mix di diversi elementi e ritmi. Visto che già sopra è stata riportata qualche opera di Takeshi Kitano, potrei approfittarne ancora e dire che Shenmue mischia la semplicità e la pacatezza di film come Il Silenzio sul Mare e Kids Return con l’azione dei bmovie di Jackie Chan. La storia è quasi banale ed è incentrata su un ragazzino, Ryo Hazuki, che vuole vendicare la morte del padre. Un ragazzino così dedito alle arti marziali – che pratica ogni giorno (Gon) – da non rendersi conto delle macroscopiche falle nel suo modo di pensare («L’eccessiva specializzazione conduce ad una lenta morte» diceva il maggiore Kusanagi in Ghost in the Shell). Quindi, più che la vendetta, il tema dell’opera di Yu Suzuki pare senz’altro essere la crescita interiore: un argomento che sicuramente giustifica la lunghezza del progetto. Shen Mue è un adventure, ma sostanzialmente diverso da giochi come Resident Evil. L’ Avventura è intesa come esplorazione degli ambienti e lo


:RECENSIONI: sfruttamento degli stessi. Vi sono un sacco di cose da fare, un sacco di persone da incontrare (Nanni Moretti modeoff). I puzzle, vista la natura realisticheggiante della serie (per ora), sono stati creati in modo da essere perfettamente diegetici; niente enigmi del piano e filastrocche da interpretare, piuttosto una serie di verosimili compiti da completare in sequenza per arrivare in fondo alla storia.

Shen Mue è un picchiaduro, ma un picchiaduro così ben strutturato da sposarsi ottimamente sia in scontri uno-amolti che nella classica forma one-on-one al meglio dei tre match. Nel primo caso Ryo può confrontarsi contro un massimo di sei personaggi contemporaneamente, ed è spettacolo. I nemici tendono a cooperare per avere la meglio sul giapponese, bisogna quindi adottare un certo livello di strategia onde evitare l’accerchiamento. I modi per riuscirvi sono molteplici: si può afferrare il teppista più vicino e lanciarlo contro il gruppetto che sta per attaccarci alle spalle, si può bloccare un personaggio tenendogli il braccio dietro la schiena e sferrare un calcio ad un secondo accorrente nemico, si possono effettuare spiazzanti capriole che alterano la nostra disposizione sul playground, facendoci passare da preda a cacciatore. Nelle fasi più avanzate del gioco Ryo affronterà duelli contro carismatici personaggi seguendo le regole classiche del picchia pic-

Ring#1 chia tramandateci dalle Pergamene del Mar Morto, o dalla serie Street Fighter, non ricordo. Il gioco in tali frangenti diventa un piccolo Virtua Fighter che poco ha da invidiare al fratellone. Sono presenti un importante quantitativo di mosse, esistono vari tipi di parate ed alcune delle contromosse più emozionanti viste in un titolo simile. Ad esempio la counter nella quale Ryo, le mani dietro la schiena, esegue un passetto a sinistra, poi ruota su se stesso e si pone alle spalle dell’avversario ancor prima che questi abbia completato l’esecuzione del suo attacco. Bellissimo. Shen Mue è fondamentalmente un RPG: non ci sono summon, pennuti da cavalcare, piume di fenici o incontri casuali (fscium!) ma la struttura è la medesima, benché evoluta, di un qualsivoglia Final Fantasy. Perdinci, ci sono pure i sottogiochi: roba tipo Outrun e Afterburner 2, ragazzi… non stiamo esattamente parlando degli insulsi card games che ci propina di solito Squaresoft ;) ___DAN Judge with a clear mind

[questo paragrafo contiene importanti rivelazioni sulla trama del gioco ed è da considerarsi come un approfondimento allo stesso] Devo dire che alla fine del primo capitolo di Shen Mue ero rimasto un po’ deluso. Sentivo che mancava qualcosa, ma non capivo cosa. Anzi sì: Lan Di! Volevo reincrociar fendenti con il fetentone ammazzapaparini, rimasto misteriosamente dietro le quinte dopo la bellissima sequenza iniziale. Mica pretendevo di batterlo eh, sennò fine del gioco e ciao ciao sedici capitoli. Immaginavo piuttosto un epico benché impari scontro da concludersi tipo con la per-

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dita di una mano (un espediente narrativo che non cadrà mai in disuso) oppure col sacrificio di quell’idiota di Fukusan (idem). Invece sul molo del porto di Yokosuka mi fanno affrontare lo storpio e tanti saluti a satanasso. Solo dopo aver giocato e finito Shen Mue II comincio a padroneggiare il Dan ed intuisco il motivo di tale scelta: un drammatico accumulo di energia potenziale. Avete presente la lentezza con cui De Palma filma Costner che fa salire la carrozzina sulle scale della stazione ferroviaria? Stessa cosa. E’ la lezione che ci ha lasciato Sergio Leone: maggiore sarà l’attesa, più dirompente risulterà l’impatto della scena al termine di essa. L’energia potenziale, progressivamente accumulatasi, si converte d’improvviso in cinetica. La carrozzina, dopo una lenta ascesa, rovina giù per le scale senza controllo attraverso i morti ammazzati. Harmonica in pochi secondi si libera dei killer che avevano atteso il suo arrivo per tutti i diciassette minuti dei titoli di testa di C’era una volta il West. Yu Suzuki ci presenta un cattivo con i controcoglioni nell’ incipit di Shen Mue I e poi ce lo nega per quasi due titoli, quindi, al culmine di una delle sequenze di gioco più appassionanti del videogaming so far, ce lo fa rivedere. Non ci sarebbe nemmeno da scriverlo: l’emozione nello spettatore/giocatore è di quelle che non si lavano via tanto facilmente.


:RECENSIONI: Ed il modo in cui tale energia cinetica ci scoppia in faccia? Arriviamoci leggendo prima un pensiero di Sir Alfred Hitchcock tratto dal famoso libro/intervista di Francois Truffaut: “Quando si racconta una storia al cinema, non si dovrebbe ricorrere al dialogo se non quando è impossibile fare altrimenti. Mi sforzo sempre di cercare per prima cosa il modo cinematografico di raccontare una storia per mezzo della successione delle inquadrature e delle sequenze”

A differenza di Kojima, Suzuki sposa alla perfezione le idee del maestro della suspence e ci propone una sequenza dal pathos ineguagliabile in cui i due duellanti si guardano da lontano e non dicono una parola. Non ce ne è bisogno: il volto di Ryo tradisce quella rabbia che Xiuying gli aveva contestato pochi giorni prima («Dei 4 Wude tu possiedi solo Jie e Gon»). In Lan Di invece cogliamo stupore nel vedere che il ragazzo è arrivato così lontano. Un quasi impercettibile cenno della testa fa inoltre trapelare dell’altro: rispetto per il giovane avversario, forse addirittura ammirazione, senz’altro la volontà di tenere d’occhio la sua crescita futura. Tutto questo in una scena semplice e diretta. Una scena che inizia sullo schermo e termina di es-

Ring#1 sere girata direttamente nella camera di scoppio cerebrale del videogiocatore. Chapeau. _____YI Do not hesitate to do the right thing

A mio avviso sono due la fasi che rendono un videogioco completamente immersivo. La prima è la classica sospensione dell’incredulità. Per mezzo di essa facciamo un tacito accordo con il medium in oggetto; ci impegnamo a spengere momentaneamente la cameretta e tutti i sarcazzi quotidiani ed a concentrarci solo su ciò che ci viene proposto dall’ opera. Fin qui direi che siamo nella norma. Perfino il survival horror di serie zeta può essere in grado di farci provare tensione proponendo una strada buia ed un mostro che accompagna il suo avvicinamento con raccapriccianti rumori intestinali. La seconda fase è unicamente ad appannaggio delle opere migliori: l’accettazione della nuova realtà. A questo livello non ci limitiamo a recepire passivamente ciò che ci viene proposto – producendo apposite sensazioni di spavento, commozione etc. – contribuiamo invece attivamente alla stesura dell’attività ludica fornendo non esplicitamente richiesti spunti personali. Esempi? Se in Shen Mue II, dopo aver trascorso qualche giorno senza pagare l’albergo – magari perché avete perso ai dadi la paga giornaliera, ahimé, vi sono vicino – avete provato una sgradevole sensazione di sporco dentro, allora sapete cosa intendo. Se in Shen Mue II, affacciandovi dalla finestra della vostra camera alla Come Over Guest House, vi siete messi ad osservare la gente passare sul-

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la via sottostante , magari fumandovi una bella sigaretta, allora sapete cosa intendo. Se in Shen Mue II, dovendo raggiungere un certo posto ed avendo a disposizione la possibilità di arrivarci sia camminando che correndo, avete scelto la prima opzione perché “perdindirindina non si corre lungo strade affollate” e/o per ammirare luoghi come il mercatino di White Dinasty, la scalinata dei negozi hi-tech in Lucky Break, la decadenza di South Carmain, allora sapete cosa intendo. Se in Shen Mue II, durante il viaggio montano con Shen Hua, avete continuato a farle domande perché volevate conoscerla meglio ma anche in quanto imbarazzati da un prolungato momento di silenzio, allora sapete cosa intendo.

Congediamoci. Shen Mue II è un capitolo fondamentale per la storia dei videogiochi, un’esperienza che setta nuovi standard lungo diverse direzioni, un’epopea che verrà ricordata negli anni come punto d’origine di una nuova stirpe di opere ludiche. Un titolo ed una serie da conoscere a fondo; in proposito il quarto Wude, Yi, non ammette scappatoie.


:RECENSIONI:

Ring#1

:COMMENTO EXTRA:

Petali segreti___________________________

[Shen Mue II]

di Gatsu Shen Mue. Un nome che qualche anno fa, prima della sua uscita, evocava nelle menti dei sognatori mondi infiniti da esplorare, grafica irraggiungibile da qualsiasi altro gioco, libertà d’azione totale. Il primo episodio, per molti, è stato deludente. Una storia lenta che diventava interessante alla fine del gioco, libertà d’azione apparentemente vasta ma in realtà abbastanza limitata, imprecisioni che alla lunga rendevano noioso il gameplay (quella di non poter far passare velocemente il tempo è la più clamorosa, ad esempio). Eppure. Eppure Shenmue lasciava intravedere un concept di gioco e una potenzialità ludica così infinite da non lasciare stupiti solo gli stolti. L’idea di Suzuki era così buona che sarebbe stato un peccato mortale lasciare cadere nel vuoto il suo genio, anche a fronte di uno sforzo produttivo enorme e di un non altrettanto enorme feedback. Il seme era gettato, e Shen Mue lentamente metteva radici nei cuori di chi l’aveva giocato, pur con i suoi mille difetti. La concezione di una saga epica di ampio respiro, divisa in capitoli, che alla fine del primo titolo lasciava il giocatore insoddisfatto e rabbioso per la voglia di vedere il continuo, ha lentamente, nella coscienza collettiva degli appassionati, elevato il titolo a qualcosa di più di un semplice videogioco, trasformandolo piuttosto in una storia bellissima e degna di essere seguita anche a costo di svenarsi nel tentativo di recuperare una delle poche copie del gioco. Molte cose della trama del primo Shen Mue non erano chiare, molti particolari passavano in secondo piano,

molte citazioni non venivano colte. Con Shen Mue II ogni tassello del puzzle torna al suo posto, e finalmente anche quello che risultava oscuro nel prequel acquista un suo senso. Perfino il carattere del protagonista, Ryo Hazuki, che tante perplessità aveva suscitato in precedenza (“è un pesce lesso”) viene rivalutato ed espanso in SM2. Come giustamente Sator diceva, la saga di Shen Mue racconta la storia di un ragazzo che matura, e che si trasforma da adolescente rabbioso e vendicativo in una personalità più complessa, che si barcamena fra la ragione e l’istinto.

Shen Mue II è quello che Shen Mue non è stato, vasto, dispersivo, immenso, realmente ricco di cose da fare e di zone da esplorare, stillante feeling e carisma. L’eccezionale plot di questo secondo capitolo non ha nulla da invidiare a quello di un film, portando alla ribalta personaggi ricchi di personalità e realistici come solo MGS, forse, era riuscito a fare: meritano in particolar modo Ren, il teppista che volente o nolente si alleerà con Ryo, Lishao Tao (o Xiuying che dir si voglia), che colpisce per la sua imperturbabile severità nelle arti marziali ma anche per la fragilità emotiva che la accompagna, Jianmin, il vecchietto

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che passa le giornate a fare Tai Chi in uno dei parchi di Honk Kong o Shenhua, la misteriosa ragazza che appare in sogno a Ryo fin dal primo capitolo, e che ci porterà a capire finalmente cosa significa “Shen Mue”. Torna in scena anche Lan Di (o Cang Long, come scopriremo), il “malvagio” assassino di nostro padre, in una delle scene più emozionanti (anzi, la più emozionante, non ho dubbi) dell’intera storia dei videogiochi, solo per scoprire che il cattivo non è così cattivo come si credeva e che il padre di Ryo aveva nascosto un po’ troppe cose al figlio. E questa volta Shen Mue vive davvero, e per chi decide di affrontare questa esperienza non c’è via di scampo alla sospensione dell’ incredulità che questo titolo genera con la sua ricchezza di particolari e con la costante sensazione che infonde: quello di essere il frutto dell’amore smisurato di Yu Suzuki per la sua opera. Shen Mue II gronda filosofia orientale da tutte le parti, Shen Mue II è studio e amore per alcune culture, Shen Mue II è passione pura per la arti marziali, Shen Mue II vanta un impianto audiovisivo a tratti stupefacente, Shen Mue II è la poesia che in migliaia di videogame non c’è mai stata. Anche questa volta, inoltre, il finale (che introduce per la prima volta nel gioco il “soprannaturale”) lascia basiti e increduli, bramosi di mettere le mani sull’annunciato sequel. Certo, c’è ancora qualche difetto nel gameplay, su tutti la complessità di effettuare alcuni colpi in mezzo ad una mischia di teppisti pronti ad aprirci il deretano. Ma parliamo di quisquilie, particolari del tutto trascurabili di fronte ad uno dei giochi più belli di sempre.


:RECENSIONI:

Ring#1

Rumori nella Nebbia_____________________

[Silent Hill 2]

di Emalord “Benvenuti a Silent Hill, piccola e tranquilla località sulle rive di un lago di impressionante bellezza, all’alba come nel tardo pomeriggio e naturalmente al tramonto. Silent Hill vi toccherà il cuore e vi darà una sensazione di piena tranquillità. Vi auguro un gradevole soggiorno, da ricordare per sempre.” Roger Widmark, da un opuscolo turistico “Another visitor. Stay a while, stay forever!” Elvin Atombender James si passa le mani umide sul viso, quasi a chiedersi se quello che sta vivendo sia un sogno. Guarda due occhi spiritati riflessi nello specchio, mentre le sue scarpe di buona marca calpestano il bagno sfatto e marcio di un villaggio che è solo il ricordo di se stesso, in qualche angolo di un mondo che forse non è il nostro [un mondo a sé.] Una lettera d’amore ricevuta giorni prima. Un messaggio dall’adorata consorte per fissare un incontro là dove un lago meraviglioso aveva cullato un sogno d’amore [amore?] in un tempo che è stato [forse.] Tutto questo non è possibile. Non può essere vero. Mary è morta, e di lei rimane solo un ricordo lancinante che sembra trapanare la testa fino a rischiare di perdere il senno. Ad un passo dalla follia. Ma ritornare là, a Silent Hill, può servire a capire. A ricordare. [A morire dentro.] Seguiamo James inquadrato da una cinepresa Super8. Un’ immagine sporca e bugiarda, perché restituisce l’essenza stessa della realtà. Una realtà distorta [da chi?.] Un rumore video, unico elemento silenzioso in una città dove anche la nebbia porta con sé suoni deformi e sussurri. James è solo, in una città sola. Trova una radio, e capisce che qualcosa, nell’aria, c’è. Qualcosa che distorce le onde

che la percorrono. Esseri. Creature deformi. Burattini. Vogliono il tuo sangue, James. Vogliono te [perché?] Chi sono? Perché sembra che queste forme di nonvita, siano le uniche presenze nella città della nebbia? Un’arma. Una mappa. James comincia a capire. Muove i primi passi, come un fanciullo innocente, alla scoperta del mondo [di se stesso] mentre la cinepresa Super8 sembra non avere un limite di tempo, nella sua registrazione degli avvenimenti. Una bambina, un ragazzo. Due presenze umane, finalmente. E poi lei, Mar… Maria. Uguale a Lei, diversa ma... le somiglia da far male al cuore. La moglie perduta [Illusione.] Nel tentativo di ricostruire il puzzle del suo passato, e di capire perché quegli estranei sappiano così tanto della sua vita, James percorre le strette vie di Silent Hill alla ricerca di indizi. Lo fa in maniera fluida, senza scossoni nel framerate, e con un perfetto controllo delle sue azioni. Tanto perfetto che quasi stenta, impaurito, ad usare le varie armi che gli permetteranno di affrontare gli abomini che gli si parano davanti. Le telecamere di sicurezza delle banche e dei negozi, inquadrano personaggi dalle forme fisiche realistiche e plausibili camminare in vie cittadine perfettamente realizzate, o all’ interno di complessi condominiali claustrofobici, perennemente intasati da scorie metalliche e rifiuti di ogni genere,

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Genere:

Survival Horror

Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Konami KCEJ PS2 1 PAL

Anno:

2001

dove il buio domina e una torcia elettrica rappresenta l’unica chiave per aprire le porte dell’oscurità. Situazione agghiacciante per la Salute Pubblica, in verità, ma nessuno si è mai sognato di scrivere lettere di reclamo al riguardo. Forse perché nessuno le leggerebbe, forse perché nessuno le spedirebbe. Forse perché il concetto di Salute Pubblica non esiste, in un villaggio a popolazione zero.


:RECENSIONI: Mentre cammina per le buie e strette vie di Silent Hill, il protagonista si accorge che la città intera è in perenne filodiffusione. Invisibili casse acustiche dilatano ogni minimo rumore ambientale, mentre una musica a tratti suadente, a tratti ipnotica, che sembra calzare perfettamente l’atmosfera che circonda la città silente, inonda le strade, i vicoli, le fogne e l’ospedale locale. All’improvviso l’abbaiare di un cane lontano. James si volta urtando un cartello dai colori rutilanti, in stridente contrasto col grigiore che lo circonda, che riporta a scritte cubitali: “Ring consiglia l’acquisto del Soundtrack ufficiale”. James legge, corruccia la fronte, prende nota sul suo taccuino dell’ennesimo indizio utile a proseguire nelle indagini, mentre una domanda rimbalza nel suo ego [soundtrack ufficiale di cosa?.] C’è qualcosa di strano, nella città silente. E’ impossibile perdersi. Per qualche motivo, il

Ring#1 personaggio è sempre in grado di capire l’azione successiva, o il luogo ove presentarsi per fare in modo che nuovi dettagli vengano alla luce. Non ci vuole molto a capire che chi ha organizzato tutto questo [Mary?] abbia creato un gioco ben calibrato, mai troppo facile ma mai eccessivamente difficile. Ogni enigma che ostacola l’avanzare della storia è supportato da indizi sparsi, o da oggetti particolari, cosa che denota una passione certosina nel creare tensione. Colgo un’occasione propizia mentre James è impegnato a salvare i suoi dati sulla memory card, per sbirciare il suo taccuino. “Sabato. Ore 8.45: percepisco che ci siano tre livelli di difficoltà nella gestione degli enigmi. Nota bene: devo passare dallo psicologo. Passeggiare per le strade di questo posto mi rende nervoso, teso. Sarà colpa di questa maledetta filodiffusione?”

Mentre il sedicente vedovo si avvia verso la risposta cui anela, si accorge di quanto Silent Hill si presti a fare rivivere storie impossibili. Magari, pensa, qualcuno è stato qui prima di me e ha vissuto un’altra Silent Hill, in un altro luogo, in un altro tempo. Chissà, si chiede, se questo non sia il luogo scelto da una volontà superiore per narrare storie di ordinaria follia, ciclicamente. E quando comincia a filtrare la prima luce da diverse ore a questa parte [circa dieci, se diamo un’occhiata al biglietto del tassametro posto da James sul cruscotto della sua auto], dice a se stesso che comunque sia, ogni avventura in Silent Hill è un’avventura a sé, e merita di essere vissuta. Sempre. ….e la cinepresa in Super8 smise improv..visamen..te di fun..zio..n…

Voli Onirici_____________________________

[Klonoa 2]

di Emalord _______________Prologo E’ pomeriggio inoltrato. Nella Sala Confronti del Commissariato, cinque figuri in penombra aspettano di essere esaminati attraverso un finto specchio da un testimone d’accusa. Appoggiati al muro, i loschi personaggi fanno di tutto per evitare di incrociare gli sguardi. I capelli bianchi di uno dei tizi sfiorano la linea che delimita i due metri d’altezza. Indossa uno spolverino di pelle rossa, sotto il quale nasconde un fucile a cannemozze [scarico] ed una spada di due metri [scarica]. Alla sua sinistra un uomo in mimetica sta ricaricando le pile del suo Codec. All’estrema destra del

gruppetto, un biondino abbastanza amorfo sta ascoltando una specie di scoiattolo parlante sparare battute a raffica. Battute che, per la cronaca, fanno ridere solo l’agente Squall, di turno dopo una lezione all’accademia. Il quinto presente, abbastanza tarchiato ed oscurato dalle ombre degli altri quattro, si aggiusta la visiera del cappello e si dà una lisciata alle enormi orecchie. Da dietro lo specchio, un bambino col viso devastato dalle efelidi, il naso devastato dal muco e i capelli devastati dalla gommina, allunga l’adipico dito, tremante e con l’unghia fumodilondra, e indica proprio lui, l’orecchione cappellato. “E’ lui – urla – è lui che invade tutti i miei sogni”

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Platform Namco Interno PS2 1 PAL

Anno:

2001


:RECENSIONI: _______________Rapporto Il soggetto sotto inchiesta risponde al nome di Klonoa. Apparso anni fa su piattaforma Playstation, era riuscito a fare perdere le tracce fino al mese scorso, quando è stato riconosciuto da diversi neoutenti Playstation2. L’imputato veste in maniera casual: cappellino blu, Tshirt sportiva, calzoni corti, scarpe da ginnastica. Segni particolari: un aspetto vagamente felino, seppure antropomorfo, e due enormi orecchie che a quanto pare lo aiutano a planare [il verbo può essere rimosso dal verbale finale in quanto passibile di secretazione] e a superare pericolosi strapiombi. Veste in CelShading, una nuova moda importata dal lontano Est del pianeta che sembra non abbia ancora preso piede in Occidente. Si dice di lui che durante il giorno dorma di gusto, per poi agire di notte, intrufolandosi negli altrui sogni per vivere fantastiche avventure.

Ring#1 mente in tempi come i nostri capita di uscire a cena con l’Originalità [Klonoa stesso ricorda la mascotte Sega in più di un elemento] eppure tutto quello che c’è stupisce per qualità e creatività. I Boss colpiscono per carisma e caratterizzazione cartoonesca, nonché per l’ingegnoso e diversificato sfruttamento del finto 3D che rappresenta l’architettura dell’intera ludesperienza. Ma per poterli affrontare, bisogna prima risolvere gli innumerevoli minipuzzle che infestano ogni singolo livello, aumentando la partecipazione e coinvolgimento del giocatore. Questi ultimi, seppure molto intuitivi, sono un serio ostacolo ad un gioco fastfoodico [leggi: veloce, disimpegnato e senza alcun rispetto per la filosofia che si cela dietro al gioco] e tengono sempre viva l’attenzione e la partecipazione del videoplayer.

______________Il Verdetto

____Testimonianze raccolte Esplorare il mondo di Klonoa, significa riscoprire l’essenza stessa del videogaming. In tempi di estremismo simulativo, sembra sia stata persa l’essenza stessa del divertimento. Quel divertimento sottilmente ingenuo ed infantile, legato alla scoperta di uno scrigno pieno di sogni e di colori, di una grotta in un bosco, di una casa sull’ albero. Non a caso, i livelli del piattaformico gioco di Namco richiamano in ogni momento attività prettamente infantoludiche: un luna park, uno scivolo d’acqua, una corsa su snowboard. Certo, difficil-

Questo ‘volo’ fisico, non è altro che la metafora del ‘volo’ di fantasia. Quel togliere i piedi da terra, quel prendersi una vacanza dalla vita reale che sempre di più manca nei videogames, dove si simulano azioni fantastiche, ma impersonando agenti segreti, sportivi, antichi samurai, ovverosia proiezioni fantastiche di esseri umani ‘normali’ e dove manca sempre di più l’elemento fantastico nella sua essenzialità e completa irrealtà. Meritevoli di citazione i ‘cattivi’ del gioco [la piratessa ed il gatto siamese-non-comerazza-ma-nel-senso-più-medico-del-termine, vincono il premio simpatia, riuscendo più azzeccati ed originali del personaggio principale ed i suoi compari] nonché le musiche che accompagnano ogni singolo livello, a volte vagamente funky, a volte jazz, ma sempre perfette e soavi come tutta l’atmosfera di gioco.

I momenti più memorabili sono legati agli incredibili voli di Klonoa. Il gattone viene infatti ‘sparato’ da una parte all’altra del livello, sorvolando città sotto assedio, montagne decorate da enormi statue, volando fra rami, impalcature, finestre. Anche l’uso dei nemici, legato alla risoluzione dei vari puzzle, porta il felino a cadere da altezze vertiginose risvegliando freudiane vertigini.

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La Corte, dopo due ore di seduta, giudica l’imputato Klonoa2 colpevole di ironia, divertimento e volidifantasia. La sua estrema diversità dall’odierna offerta videoludica, i suoi legami con vecchi concetti di gioco e gameplay, lo rendono troppo pericoloso e paradossalmente rivoluzionario, a fronte della continua ricerca della ‘realtà virtuale’ dominante. Al fine di preservare l’attuale situazione basata su franchise reiterati e clonazione continua, l’imputato è condannato all’ergastolo in un qualsiasi tray di PS2.


:RECENSIONI:

Ring#1

PANTA REZ : Tutto Spara__________________

[REZ]

di Emalord Quando ci si arroga la presunzione di giudicare un videogame, la cosa che viene più spontaneo fare è ricorrere ad una prima, rapida catalogazione del gioco stesso. Si aprono gli archivi mnemonici, ci si basa su una ventennale esperienza, e si rispolverano termini che per quanto aiutino ad identificare e comprendere il fenomeno ludico sotto osservazione, di fatto cercano di rinchiuderlo dietro facili definizioni, tanto rapide quanto limitanti e pericolosamente fuorvianti. Il manuale del perfetto recensore invita infatti a prendere in esame il gioco, valutarne aspetti quali grafica, sonoro, longevità, giocabilità, descriverne brevemente i contenuti e stilare un giudizio finale che rappresenti un sunto di tutti gli elementi sotto giudizio. Ma questa meccanica, per quanto normalmente funzionale e corretta, incappa talvolta in schegge ludiche impazzite, produzioni alternative che per l’uso che fanno dei parametri di valutazione rappresentano di fatto il sassolino nell’ingranaggio di giudizio. Il limite di una normale valutazione sta proprio nella sua essenza: giudicare gli aspetti di cui sopra come valori a sé stanti, singoli e perfet-tamente indipendenti. Con REZ questa metodologia è fondamentalmente errata. Il prodotto UGA/ SEGA non è un gioco con una colonna sonora, una grafica, una longevità. REZ è REZ. Con buona pace di chi, come me, l’aveva già virtualmente stroncato dopo un’ora di gioco. Per poi ricredersi, dopo mesi dall’acquisto, dopo ore passate a vagare tra vettori ed esplosioni di plasma.

REZ è un triangolo equilatero. Una figura perfetta, composta da 3 parti che possono essere valutate singolarmente, ma che trovano piena espressione delle loro peculiarità geometrica solo poggiando l’una sull’altra. La [REZ prima] risponde al nome di Kandinsky, artista a sua volta influenzato da Schönberg, musicista.. "La musica di Schönberg – scrive Kandinsky – ci introduce in un nuovo regno, dove le esperienze musicali non sono acustiche bensì puramente psichiche: qui ha inizio la musica del futuro" (A.Schönberg, W. Kandinsky). [….] Lo stesso anno, sollecitato dall'illuminante esempio dell'amico musicista, Kandinsky compirà il passo decisivo per il distacco della pittura dalla sua funzione mimetica e contemporaneamente fornirà, con il suo saggio "Dello spirituale nell'arte" una sorta di primo trattato di armonia per questo nuovo concetto di pittura, che poneva come valore assoluto il "suono interno" dei colori e delle forme. Si avvia il tentativo di porre in relazione l'invisibile con il visibile, anche se la musica, la parte immateriale, verrà filtrata attraverso i mezzi tecnici a disposizione dell'artista e dalla sua conoscenza del linguaggio e delle espressioni del mondo sonoro. La musica verrà presa come modello strutturale di riferimento e diverrà fonte notevole di innovazione in ambito visivo” Arte come musica, quindi. Arte come colore. Ma anche arte come ‘visione’, come rappresentazione di un movimento, un ritmo vitale non visibile a occhio nudo, ma facente comunque parte dell’ essenza delle cose, anche delle più reali e quotidiane. La [REZ seconda] è chiamata Sinestesia.

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Genere: Etichetta: Sviluppatore Sistema: Giocatori: Versione:

Sparatutto Sega UGA

Anno:

2001

Dreamcast, PS2

1 PAL

“La letteratura era riuscita ad esprimere compiutamente nella persona di E.T. Hoffmann la fondamentale possibilità della "percezione simultanea" (syn aistànestai) e le sue implicazioni estetiche ed espressive. Vi era un rifiorire dei trattati approfonditi sulle corrispondenze tra suono e colore (vedasi Johannes Itten del Bauhaus), la consapevolezza di una "qualità timbrica" del suono ed un ritorno al principio della "sinestesia", dell'attenzione alle associazioni e intersezioni tra sensazioni di natura diversa avvertite contemporaneamente: "vedere" i suoni, "sentire" i colori”

La [REZ terza] è il puro e semplice Videogaming. Ma facciamo un passo indietro e rispondiamo alla domanda di chi ancora oggi non sa di cosa si stia parlando in questa sede: REZ è uno shooter. Uno sparatutto poligonale a tema fantascientifico che scorre su binari predefiniti, impossibili da alterare o da rallentare nella loro corsa verso il boss finale. Niente di diverso, nella sua meccanica, rispetto a Panzer


:RECENSIONI: Dragoon [SEGA] o Einhander [Squaresoft]. Le caratteristiche che lo rendono innovativo rispetto ai suoi storici predecessori sono: l’uso della grafica wireframe nella rappresentazione dei fondali e la conformazione della... er… astronave sotto i vostri comandi. Indubbiamente affascinante la prima caratteristica. L’uso della grafica vettoriale nella realizzazione dei fondali non solo rende lo scorrimento fluido e senza incertezze ma di fatto aumenta il fascino puro dell’ ambientazione. Questi ultimi sono ispirati alle popolazioni che hanno reso la civiltà ‘ LA Civiltà’ [con la C maiuscola]. Dagli egizi passando per i babilonesi, il videoplayer si trova a veder scorrere davanti agli occhi sfingi e opere consunte dal tempo, che per merito dei coders Sega sembrano, paradossalmente, la cosa più futuribile e immaginifica mai vista. Si registrano, in particolari punti dei livelli più avanzati, inseriti in celshading e di grafica poligonale pura atti a permettere una più rapida identificazione del pericolo incombente [leggi: bersagli da abbattere], ma questo appunto è solo per i più feticisti tra i visitatori di Ring. I Boss finali, in contrasto con il tema storico, sono invece semplici costruzioni poligonali, più o meno complesse, in stridente contrapposizione con la magia evocata dagli sfondi antecedenti. Perfettamente animati, realizzati con poligoni pieni, necessitano di costante applicazione e di reazioni al secondo per evitare al protagonista di essere colpito ed incorrere in una involuzione. Involuzione? Avranno notato i più recettivi. Si, perché, come già accennato, in questo gioco non si pilota un’astronave in senso stretto. Tutto il gioco, in realtà, è basato sul concetto di ‘evoluzione’. Indi per cui, niente poteva essere più adatto a rappresentare il vostro oggetto di percussione che una semplice unità carbonio. Un essere umano, per capirci. Raccogliendo appositi item, il vostro virtuavatar si scopre essere in

Ring#1 grado di evolversi, per raggiungere una potenza di fuoco sempre più rapida e letale, al fine di poter diventare un essere in grado di sopravvivere da solo in un ambiente ostile quali sono i livelli più avanzati. Un concetto studiato e ristudiato sui banchi di scuola, quello che indica come il migliore degli esseri viventi il più abile nell’adattarsi all’ ambiente in cui opera. Concetto brillantemente riportato da Sega in questo prodotto. E se tutto questo vi suona ancora adesso difficile a comprendersi, il quinto livello di REZ vi attende, con la risposta più inverosimile ed affascinante mai osata al riguardo. Si, va bene, direte voi. Ma cosa c’entra Kandinsky con tutto questo? La risposta è nell’ultima componente di REZ. Ultima in questo atto di cronaca, ma semplicemente agente primario della sinestesia. La musica. Non è eccessivo dire che senza la musica, questo videogame sarebbe probabilmente la cosa più insensata mai entrata nel tray di PS2. Sempre che non la usiate come salvadanaio, sia bene inteso. La musica non è in questo gioco semplice accompagnamento. La musica in REZ costruisce, accompagna, si evolve con il giocatore. Permettetemi un esempio figurativo: la colonna sonora di REZ è come il mare. All’inizio, sulla riva, è placida, lenta. Quasi un invito a non avere paura, e a portarvi dove l’acqua è più alta. Poi le ondate di bassi cominciano a farsi più possenti. Al vostro avanzare nei livelli corrisponde un innalzamento del moto ondoso. E con l’aumentare del beating aumentano anche le difficoltà e le ondate nemiche. Ed il ritmo vi prende sempre di più allo stomaco, ed i nemici si fanno sempre più pericolosi ed i loro colpi veloci. Ad ogni esplosione corrisponde una nota che si amalgama perfettamente con il plasma emesso dalla detonazione e con il ritmo di gioco. La musica, di fatto, è colonna portante della struttura di gioco.

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Pulsa ritmicamente con i fondali, pulsa con il videogiocatore, pulsa con il controller di PS2. Ed è davvero difficile capire se i fondali pulsino di vita propria o se sia la musica a farli pulsare, ma in fondo questa è sinestesia. E la missione di Sega può dirsi felicemente conclusa.

Bottomline: Valutare REZ come semplice videogaming, basandoci su ordinari metodi di giudizio, significa smontare un triangolo per ottenere un linea. E non va bene neanche per giocarci a Shanghai, direbbe il saggio. La grafica, per quanto originale, sfrutta solo in minima parte le potenzialità della macchina su cui gira così come gli effetti speciali. I nemici poligonali mostrano movimenti flessuosi ma sono davvero poveri di dettagli ed infine la longevità è davvero ridotta all’ osso, causa 5 soli livelli di gioco ‘base’ che tra l’altro finiscono in poche ore totali. Certo, gli extra sono interessanti ma……. Ma REZ non è fatto per essere ‘giocato’. Se siete fra quelli che definiscono ‘esperienza ludica’ la digipressione del tasto di fuoco, o la pulsione dei technobassi al ventrebasso, il consiglio è di noleggiarlo per qualche giorno, che vi sarà più che sufficiente a godere dei suoi aspetti più superficiali. Ma REZ è fatto per essere ‘vissuto’. In tal caso saprà meravigliarvi. Vi ritroverete a ‘vedere i suoni’, a ‘percepire gli spazi’, e riconoscere nell’esperienza sonora non un’appendice di gioco, ma il motore primo dell’esperienza ludica, nonché probabilmente fine ultimo. Musica come oggetto, musica come perno. Musica come esperienza da vivere, e reiterare ad libitum. Sinestesia.


:TESORI SEPOLTI:

Ring#1

Morte di un sistema viaggiatore______________

[METAL SLUG – 1st Mission]

di Marco Barbero _________Riconsiderando il divertimento portatile

Il proiettile vibra, o meglio scorreggia, attraversando due centimetri buoni di pixel amalgamati in artefatti bellici del tipo torretta/trincea/rimasuglio di muro. Vibra, o scorreggia, all’indirizzo di un emulo del Galeazzo Musolesi di bonviana memoria: fiero quanto stupido, impettito quanto friabile, facile bersaglio in rotta di collisione con la morte digitale. E così è. Lui, lo pseudoGaleazzo, si accascia, ma sorride. Non lo vediamo, ma sorride. Lui, il proiettile, penetra e sicuramente sorride. Non abbiamo nemmeno bisogno di vederlo, lo sappiamo che chi penetra sorride. Anche l’utente sorride, non possiamo scorgerlo perché non è normale giocare davanti a uno specchio, ma sorride. La gioia contagia tutti perché è bello far parte della prima di questa rappresentazione. “La guerra non è mai stata così divertente”, cantavano gli omini di Cannon Fodder. PseudoGaleazzo, proiettile e utente condividono e applicano senza indugio lo slogan a Metal Slug 1st Mission. Quanto descritto è il primo impatto con il piccolo “Lumaca di Metallo” e, tenendo fede al sottotitolo, ciò che segue alla pressione del tasto A è l’abbecedario dei sintomi della “prima volta”: l’eccitazione per il nuovo hardware; lo smarrimento nel vedere una tale perfezione su un piccolo portatile; e l’ansia, perché non si sa mai di aver fatto una cazzata a spendere tanti soldi per un giochino.

Terra, 1999. Il sogno di SNK viaggia a tutta velocità contro un muro di solida disfatta. L’espressione è quella di chi si sta giocando il tutto per tutto. Il risultato sarà quello di chi ha scelto i tavoli sbagliati. Un’avventata puntata sullo zero della roulette, quel mondo delle sale giochi che, con tutti i suoi problemi da “Dottò, non tengo più nemmeno gli occhi per piangere”, non poteva dimostrarsi una fonte sostanziosa di reddito. E la cocciuta insistenza al tavolo del bridge, metafora di un mondo di picchiaduro bidimensionali troppo tecnici e appetibili ai soli appassionati, un bacino di utenza evidentemente non sufficientemente ampio per sostenere una società come SNK. In quest’ottica, il progetto Neo Geo Pocket è stato il più disperato dei tentativi di prostituzione, l’ultima spiaggia per racimolare i soldi per quell’ ultima mano a poker che “ne sono sicuro, mi farà risalire la china”. Ma l’avversario era un certo Game Boy, un imbattibile talento naturale, e il 29 ottobre 2001 SNK metteva l’epitaffio a 23 anni di onorata carriera. Ma il proiettile, tutt’oggi, scorreggia. Lo fa perché obbligato da un comparto sonoro che, sferragliare del mitragliatore a parte, è bruttino forte, e lo fa perché ancora nell’anno 2002 è un piacere sparpagliare piombo digitale sullo schermo del Neo Geo Pocket. Se mai c’è stato un titolo per cui acquistare la consolina SNK, e c’è stato, quello è Metal Slug 1st Mission: un grande gioco, senza mezzi termini. E se mai c’è stato un titolo incapace di rendere al 100% su un emulatore, e c’è stato, quello è ancora Metal Slug 1st Mission. Impos-

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Azione SNK Interno Neo Geo Pocket

1 USA

Anno: 1999 sibile pensare di comandare Marco Rossi e Fiolina Germi senza sentire il clicclic prodotto dai microswitch del ministick. Inimmaginabile godere di un mondo così minuto se non su un hardware altrettanto minuto. Sarebbe un atto contro natura. _________Prima missione: appassionare

Sparare e saltare, non si fa nient’altro, eppure Metal Slug non smette di stupire per come riesce a miscelare tali azioni reinventandosi di continuo senza mai tradire il suo genere di appartenenza: platform sparatutto o sparatutto platform. Sparare e saltare. Da un punto di vista di compositivo non ci si fa molto con due verbi. E’ come possedere due mattoncini Lego e provare a costruire qualcosa di minimamente complesso; hai voglia a incastrali con fantasia, il risultato sarà sempre insoddisfacente. Ma in SNK hanno evidentemente avuto tribolazioni nella propria infanzia, il Lego non appartiene alla memoria dei designer di Metal Slug, così come inconcepibili debbono sembrargli i limiti che un’associazione come quella precedente compor-


:TESORI SEPOLTI: ta. Questo è un videogioco di razza, e sparare e saltare diventano un meraviglioso mondo bidimensionale.

Metal Slug – 1st Mission è un finto ignorante, il suo approccio al gioco d’azione (di base fortemente naif) è indubbiamente privo di cervello e fronzoli, ma basta distrarsi un attimo per ritrovarsi le regole sovvertite. Perché K. Naruse è un geniale folletto del game design, si muove nel poco spazio concessogli dalla formula del platform/sparattutto come si trovasse nella più vasta delle pianure, forte di ciò reinventa il format trasformando l’ignoranza in ispirata intelligenza. Non c’è preavviso quando lo scorrimento viene tolto alla discrezionalità dell’utente per rimettersi all’inclemenza dei chip del Neo Geo Pocket, implacabili nel traslare i pixel suggerendo che chi si ferma è, come da copione, perduto. L’avvicendamento tra la guida di un aereo e una scarpinata a piedi, intramezzate da un escursione su di un demenziale carroarmato capace di saltare ed abbassarsi (il Metal Slug del titolo), è girandola che può compiersi nell’arco di un minuto. La presunta linearità nella successione dei livelli viene scardinata nel momento stesso in cui si comprende che è possibile trovare un passaggio tra la missione 4 e

Ring#1 10, oppure che l’azzeramento della barra di energia, causa di game over nel livello precedente, porta, in quello attuale, alla reclusione in un campo di prigionia (e relativo tentativo di fuga) o ancora che alcune missioni sono da scovare nel sottobosco di porte e stanze costituenti quegli stage che fuggono il dogma del “da sinistra a destra”. Insomma, quando si è quasi sicuri di conoscere il suo bagaglio di “spara e salta”, di nemici demenziali e di armi extra, Metal Slug – 1st Mission gira la ruota, compra una vocale e cambia il rebus da risolvere, ponendo il giocatore di fronte a meccaniche tutt’altro che originali eppure diversissime, miscelate in maniera sublime e posizionate quando meno ce lo si attenderebbe. Che siano livelli a senso unico da sinistra a destra, a scorrimento forzato come nei classici shoot ’em up oppure labirintici, poco importa, il fattore divertimento è sempre presente. E’ probabile che alcuni pesanti rallentamenti dovuti alla sovrabbondanza di sprite su schermo e l’insistere su un ristretto numero di avversari oscurino parzialmente la lucentezza di questa gemma portatile, ma l’effetto finale è intaccato in modo marginale. Metal Slug 1st Mission fa parte di quella ristretta cerchia di titoli che si giocano senza l’idea fissa di arrivarne alla fine. Forse perché non smette mai di stupire, forse perché la sua grafica rotonda stride in modo affascinante con il tema bellico o forse perché, molto più semplicemente, è bello perdere una mezz’ora in sua compagnia, come si faceva nelle sale giochi prima dell’agonia del settore.

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Metal Slug 1st Mission è, in sintesi, un amplesso in forma portatile: eccita, avvolge, riscalda, esplode e poi rilassa, ma lascia sempre quella irrazionale, istintiva spinta a tornarvi.

Un Neo Geo Pocket senza Metal Slug – 1st Mission è come una Ferrari col limitatore di velocità: bella e sprecata. L’abbuffata di giocabilità e grafica caricaturale attende i puri, fatene parte e non rimpiangerete la scelta.

Errata Corrige Studi più approfonditi avvenuti in seguito alla chiusura del precedente numero di Ring rivelano una pesante inesattezza nell’articolo di pagina 42: I Videogiochi e l’Arte di Rimorchiare le Ragazze. In effetti, NON è assolutamente consigliabile, mentre stiamo accarezzando le gambe di una donna, esclamare: «Wow, senti quanto bump mapping!»


:RUBRICHE:

Ring#1

GameN________________________________

[Me Nintendo #1]

di Gatsu Parte 1 di 2 Benvenuti. Quella che vi apprestate a leggere è, come avrete intuito, una rubrica dedicata al variopinto mondo Nintendo. Lungi da me trasformarla in un appuntamento utile solo ad incensare la società Giapponese: sarebbe sciocco non riconoscerne i meriti, ma sarebbe altrettanto stupido non elencarne le colpe. Nell’arco dei prossimi mesi cercherò di toccare gli argomenti più vari, dalle innovazioni che Nintendo a portato nel mercato, alla filosofia di fondo della società, fino all’approccio “particolare” che ha sempre riservato ai suoi giochi. Per inaugurare il tutto, ho ritenuto opportuno partire con questo GameN, articolo che si prefigge di analizzare le principali innovazioni introdotte da Nintendo sia sul versante hardware sia su quello software. Spero di riuscire nel mio intento. Ah, prima di iniziare una piccola nota: “GameN” potrebbe anche leggersi “gay men”. Vi assicuro che la colpa di questo nome è da imputarsi alla PS2 di Nemesis Divina, che, dal bagno di casa sua, gli suggerisce sconcezze per rendere ridicola la concorrenza… ____________Introduzione Nell’arco della sua decennale presenza sul mercato, Nintendo è diventata in maniera inconfutabile l’azienda più importante dell’intero panorama videoludico. Nonostante negli ultimi anni la sua fama sia stata ridimensionata da quella di agguerriti avversari (Sony in primis), Nintendo può vantare di essere l’azienda con più esperienza nel mondo dell’entertainment videoludico. Dall’ inizio della sua attività nel campo dei videogiochi, la società di

Kyoto ha piazzato in tutto il mondo più di un miliardo di videogames recanti il suo marchio, nonché svariati milioni di console, senza contare il merito di aver plasmato e definito abitudini ed icone che appartengono ormai all’ immaginario collettivo. Esaminiamo con calma l’enorme apporto che questa azienda ha dato al mondo delle console e dei videogiochi in generale… __________Guarda e gioca Nel 1979 vede la luce la divisione coinop di Nintendo. Prima di questa data, Nintendo si era dedicata ad altri sistemi di intrattenimento videoludico che avrete modo di scoprire prossimamente in un articolo dedicato a Hiroshi Yamauchi. Mentre un certo Shigeru Miyamoto era al lavoro su uno dei videogiochi destinati a cambiare la storia (Donkey Kong), Nintendo Of Japan, dopo aver aperto una filiale americana a New York, iniziò ad investire in una linea che i più “anziani” ricorderanno sicuramente: i Game And Watch. Era il 1980, e sul mercato faceva la sua comparsa il primo videogioco portatile con schermo a cristalli liquidi. La collana ebbe così tanto successo che oltre a generare migliaia di cloni (chi si ricorda i più recenti Tiger?), fu soppressa solo agli inizi degli anni 90, dopo più di dieci anni di onorato servizio e dopo aver offerto decine e decine di titoli diversi (fra i più celebri anche Donkey Kong, Popeye e un inusuale episodio di Zelda). Oltre alle straordinarie innovazioni di essere portatili e di usare uno schermo a cristalli liquidi, i Game And Watch meritano di entrare nella storia dei videogiochi anche e soprattutto

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per l’introduzione della crocetta direzionale (non tutti i modelli la contemplavano, comunque), divenuta poi standard in tutti i pad di ogni rispettabile console. Ad onor del vero non si trattava di una vera a propria crocetta, ma di quattro pulsanti rotondi disposti a croce, ognuno ad indicare una diversa direzione (la similitudine con la crocetta del Dual Shock è evidente). Nonostante non avesse ancora assunto la forma definitiva di “crocetta”, la pulsantiera dei Game And Watch aveva inconsapevolmente tracciato un solco profondo fra il passato e il futuro. __La rivoluzione dei coinop

Mentre il mercato era invaso da console casalinghe capaci di far girare solo cloni di Pong (qualche nome: Odissey e Odissey 2 di Magnavox o il Telstar Coleco) e poco altro, nel 1981 Nintendo propose il cabinato di Donkey Kong, che in pochissimo tempo divenne il coinop più venduto e richiesto dell’intero mercato. Oltre a presentare un’innovativa e originale meccanica (il protagonista doveva risalire alcuni impervi stage per salvare la sua amata, mentre un malvagio gorillone lo tempestava di barili), il gioco va ricordato per alcuni fondamentali motivi: in Donkey Kong fanno la loro prima apparizione Mario (che originariamente si chiamava Jumpman, prossimamente scoprirete anche i retroscena della questione), Donkey Kong (fa-


:RUBRICHE: migerata icona Nintendiana tornata in auge grazie a Donkey Kong Country della Rare ai tempi dello SNES) e Peach, la sempiterna compagna di Mario capace solo di farsi rapire. Oltre a questo, a Donkey Kong viene attribuito il merito di aver fatto diffondere in maniera esponenziale i coinop e, di conseguenza, le salegiochi. ____________La “Pad-Era” Nei primi anni 80 ci furono diversi sconvolgimenti per Nintendo Of America: la sede di New York si fuse con una “base centrale” situata a Seattle, e il capitale della società passò da 600.000 dollari alla bellezza di 10.000.000 di dollari. Nel 1983 Nintendo Of Japan presentò sul mercato il Family Computer, conosciuto in oriente con l’acronimo FAMICOM e in occidente come NES (Nintendo Entertainment System). Nintendo aveva fra le mani una vera bomba tecnologica: una console potentissima (per gli standard dei tempi) che rivoluzionò in poco tempo il modo stesso di intendere i videogiochi. La prima innovazione che il NES portava era l’introduzione del joypad: prima di lui esistevano solo i joystick per console, dopo di lui furono solo i pad (anche se voci non confermare mi dicono che già l’Intellivision avesse una periferica simile… se qualcuno di voi conosce date di uscita e dettagli mi contatti a gatsu@project-ring.com). A guardarlo ora fa quasi sorridere: il pad del NES era quanto di meno ergonomico fosse mai stato progettato, ma svolgeva benissimo il suo compito. Dotato di una crocetta direzionale (evviva!) e di due pulsanti rossi (i mitici A e B poi sempre riproposti), completati da Start e Select, questo rettangolino di plastica grigia e nera è rimasto nella memoria degli appassionati come com-

Ring#1 pagno di incredibili avventure videoludiche. La console veniva venduta sul mercato con il progenitore di tutti i platform, Super Mario Bros, che pur non essendo affatto la prima incarnazione di Mario (già apparso in Donkey Kong, Donkey Kong 2, Donkey Kong Jr e Mario Bros), rappresenta ancora oggi uno dei pilastri attorno al quale un intero genere si è sviluppato. Oltre a SMB, il NES poteva vantare compreso nella confezione il rivoluzionario Duck Hunt, un videogame che permetteva al giocatore di impersonare un cacciatore di anatre. La periferica che consentiva di interagire con il gioco era a dir poco straordinaria (anche se sfruttava un meccanismo di funzionamento abbastanza elementare): si trattava di una pistola arancione e grigia a rilevamento ottico, che andava collegata direttamente alla console, tramite la quale ci veniva concessa l’inedita possibilità di sparare direttamente sullo schermo della tv di casa. Con il NES nasceva dunque anche la prima pistola da videogames, nonna illustre delle più recenti Gun Con di Namco e di quella per il Sega Dreamcast. Nell’86 Nintendo presentò sul mercato il Family Computer Disk Drive System, un sistema che consentiva, previo utilizzo di appositi dischetti, di “scaricare” da appositi terminali denominati “Disk Writer” il software per il NES. Il vantaggio stava tutto nei costi: quello dei giochi scaricati era di molto inferiore a quello dei giochi tradizionali su cartuccia. Nonostante il prezzo delle cartucce divenne con il tempo sempre più abbordabile in relazione alle prestazioni offerte (spazio e possibilità di salvare, inizialmente possibile solo su dischetto), il Disk Drive System sopravvisse fino al 1993, dopo aver piazzato più di 2 milioni di unità. Nello stesso anno fu inaugurato anche il servizio telefonico che consentiva agli utenti di chiamare gli esperti Nintendo per ricevere sugge-

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rimenti e trucchi per i giochi (i callcenter Nintendo appaiono anche in un film di qualche lustro fa, chiamato in Italia Il Piccolo Grande Mago Dei Videogames). Il NES divenne presto il “giocattolo” più venduto in America, tanto che The Legend Of Zelda vendette più di un milione di copie, cifre impensabili per l’epoca. Nel 1988 fu pubblicato il primo numero della storica rivista Nintendo Power, tutt’ora attiva e particolarmente interessante per le foto e le notizie esclusive che spesso invadono le sue pagine. Nello stesso periodo fu rilasciato sul mercato il futuristico Hands Free Controller (Power Glove in USA ed Europa), una sorta di guanto alla Johnny Mnemonic, tanto bello da vedere quanto poco utile nella realtà. La libreria del NES contava in quegli anni ben 65 titoli, destinati a sestuplicare nel giro di un paio d’anni. L’anno successivo arrivò The Adventures Of Link, seguito del blockbuster The Legend Of Zelda. Alcuni studi dimostrarono che per i bambini Mario era popolare quanto Topolino! Nonostante la tecnologia fosse ancora molto primitiva, Nintendo dimostrava anche in quegli anni, in maniera forte e autorevole, la volontà di proiettare i videogiochi verso il futuro e di diventare leader incontrastato di un mercato sempre più in fermento, non solo proponendo hardware e software innovativi, ma anche cercando di far breccia nell’immaginario comune.

________Genialità portatile 1989. Anno fondamentale per la storia dei videogames, non solo per le imprese compiute dal NES, ma anche e soprattutto per l’introduzione sul mercato del Game Boy, il primo


:RUBRICHE: sistema portatile con cartucce intercambiabili. Il Game Boy risulta attualmente essere la console più venduta della storia: sommando le vendite delle sue varie versioni (originale, colorato, Game Boy Pocket e Game Boy Color) si superano abbondantemente i 120 milioni di unità, con un distacco di ben 40 milioni di unità dalla blasonata PSX. Oltre ad essere il primo vero handheld con cartucce della storia, il Gameboy va sicuramente ricordato per la notevole potenza di calcolo (i giochi più recenti, come Warioland 3, non sfigurerebbero su uno SNES) e per l’inedita possibilità di linkare fino a quattro console fra loro. Questa caratteristica ne ha decretato la sopravvivenza anche a 13 anni dal suo lancio: il fenomeno Pokèmon ne è un esempio lampante. La caratteristica di poter scambiare item, personaggi e dati con un amico è stata sicuramente una delle carte vincenti del piccolo portatile Nintendo, e non per nulla il successore Game Boy Advance conserva e amplifica questa caratteristica. E’ importante nominare il Game Boy anche per alcuni software rivoluzionari: oltre al già citato Pokèmon che ha decretato la nascita dei “giochi di collezionescambio”, vale la pena ricordare titoli come Kirby Tilt’ N’ Tumble che, tramite un apposito sensore al mercurio inserito nella cartuccia (utilizzato in precedenza nei joystick per i simulatori di volo) permetteva di manovrare il protagonista (Kirby, appunto) semplicemente inclinando la console. E’ inoltre curioso notare come più volte il piccolo Game Boy abbia rubato la scena a console molto più performanti: al lancio USA di Pokèmon Gold e Pokèmon Silver vennero venduti 1.400.000 cartucce solo nella prima settimana di lancio, e ben 6.000.000 di pezzi nell’ arco di tre mesi, record che consacrò il titolo Nintendo come il videogame con il volume di vendite più impressionante della storia!

Ring#1 Lo spirito del Game Boy rivive ora nel Game Boy Advance, handheld a 32 bit di cui parleremo più avanti.

_SNES: gli anni d’oro del 2D

Il 1990 fu l’anno in cui Nintendo Of Japan propose sul mercato il 16 bit Super Famicom (SNES in USA e Super Nintendo in Europa), destinato a confrontarsi con il Sega Megadrive (o Sega Genesis in America). Rispetto alla console Sega, il gioiellino Nintendo (degno di questo appellativo più per meriti tecnici che estetici) poteva vantare una palette di colori molto più ampia e brillante, una potenza computazionale leggermente superiore, nonché un supporto third party molto più esteso. A livello hardware non furono moltissime le innovazioni introdotte ma vanno sicuramente citati l’introduzione dei tasti dorsali sul joypad (i famosi L e R presenti su tutte le console di ultima generazione) e la possibilità di collegare la console ad altre periferiche tramite una porta di espansione. Un momento fondamentale per la storia dei videogiochi fu l’introduzione del chip SFX che permetteva di visualizzare una primitiva ma efficace grafica poligonale su una console a 16 bit. Il primo gioco a sfruttare questa caratteristica era il bellissimo Star Wing, uno sparatutto fra astronavi assolutamente atipico e rivoluzionario. La saga incontrò un buon feedback, tanto che ne seguì un episodio anche su N64 (Lylat Wars, altrettanto bello) e sono in dirittura di arrivo Star Fox Adventures e Star Fox Armada su GC. Nel corso degli anni la capienza delle cartucce per il Super Famicom crebbe in pro-

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gressione geometrica, fino ad arrivare alla ragguardevole cifra di 48 Mega Bit (comunque ben distanti dalla mostruosa capienza massima delle cartucce del Neo Geo, che arrivavano a 330 Mega Bit…in pratica erano hard disk portatili!!!). Anche per il Super Famicom fecero la loro comparsa alcune inusuali periferiche: le due più diffuse erano il Super Scope (una sorta di bazooka ottico dal design incredibilmente cool, ma scomodo da usare, che appare fra l’altro anche in Super Smash Brothers Melee per GC come arma per mazzuolare gli avversari) e un mouse sfruttato solo da una manciata di titoli. Il principale merito dello SNES fu quello di aver ospitato alcuni dei migliori giochi mai apparsi sul mercato, titoli che ancora oggi furoreggiano negli emulatori di mezzo mondo: sto parlando di giochi come Super Mario World (a parere del sottoscritto il miglior platform 2D mai concepito), Super Mario World 2: Yoshi Island, The Legend Of Zelda: A Link To The Past (capitolo che ha consacrato la saga nell’olimpo degli “intoccabili”), Super Mario RPG, Final Fantasy (episodi 4, 5 e 6), Secret Of Mana, Chrono Trigger, Star Fox, Dragon Quest (episodi 1, 2, 3, 5, 6 e Dragon Quest BS), Donkey Kong Country (episodi 1, 2 e 3), Street Fighter Championship Edition (una versione che superava di diverse spanne la controparte da sala), Contra, Super Metroid, Super Ghouls ‘N Ghosts e molti altri. Il parco titoli completo del Super Famicom contava, al momento del suo definitivo abbandono da parte di Nintendo, più di 1200 titoli! Fortunatamente tutto questo ben di Dio non andrà dimenticato: il GBA sembra la console adatta per riportare in vita le vecchie glorie che ci hanno fatto compagnia durante gli anni 90.


:RUBRICHE: ___Interattività e fallimenti Nel 1994 Nintendo propose sul mercato il Super Game Boy, un accessorio che permetteva di interfacciare i giochi del Game Boy con il Super Nintendo. Era un modo economico ed intelligente di espandere a dismisura il parco titoli disponibile per lo SNES, senza costringere gli utenti sprovvisti di GB a comprarsi appositamente la console. L’idea gettò le basi per i progetti futuri della casa di Kyoto: aumentare l’interattività fra le console sarebbe stata la parola d’ordine. Per ottenere risultati concreti abbiamo però dovuto aspettare l’avvento di GC e GBA che, grazie alla possibilità di collegarsi reciprocamente, promettono nuove ed interessanti opzioni per i giocatori. Non furono sempre rose e fiori per Nintendo: l’anno successivo fu lanciato il Virtual Boy, una console a 32 bit che consentiva, tramite un’apposita mascherina, di vedere i giochi in vero 3D, donando al giocatore una sensazione di immersione mai provata prima.

Ring#1 Sebbene l’idea sembrasse vincente sulla carta, così non fu nella realtà: il VB visualizzava solo grafica bicromatica (rosso e nero), molto spesso in wireframe. Inoltre lo svantaggio di dover indossare una mascherina (rendendo il VB tutt’altro che portatile) ed il fatto che un uso prolungato causava mal di testa, ne decretò l’insuccesso. La console venne abbandonata abbastanza in fretta (anche se uscirono diversi giochi degni di nota, fra i quali ricordo un episodio di Wario Land e uno di Mario Tennis), ma qualcosa di quell’ esperienza sopravvive ancora oggi: il design del suo pad, infatti, ricorda vagamente quello del GameCube… Nello stesso periodo Nintendo ritornò anche in salagiochi con due titoli: il pessimo Cruis’n USA e il sufficiente Killer Istinct, controverso picchiaduro made in Rare, curioso più per il suo insolito stile grafico (Advanced Computer Modeling, una sorta di render in tempo reale) che per la sua qualità effettiva. Sempre nel 1995 Nin-

tendo celebrava il suo miliardesimo gioco venduto. Un aneddoto interessante viene anche dalla collaborazione fra Sony e Nintendo: in un periodo imprecisato fra il 1991 e il 1994 Sony lavorò ad un addon per lo SNES che avrebbe permesso alla console di leggere i giochi su cd rom. A causa di motivi mai resi noti, i rapporti fra le due case degenerarono: Sony decise così di sfidare apertamente la casa di Kyoto proprio con il progetto su cui stavano lavorando insieme... Qualche tempo dopo si iniziò a parlare di una nuova console, Playstation, ed il resto è storia… Si conclude qui la prima parte di questo articolo dedicato alle innovazioni hardware e software introdotte da Nintendo nel corso degli ultimi ventitre anni. Il prossimo mese vi aspettano un paragrafo dedicato alla famosa Nintendo Difference e uno che tratta in dettaglio il periodo più recente della casa di Kyoto… Ce la farete ad aspettare?

Videogiocatori o memorizzatori di pattern?___ [Opera Rotas #1] di Sator Arepo parte 1 di 2

Se lo vedete sono sicuro che lo riconoscete. Il suo nome è Dangerous. Rick Dangerous1. Ma chi gli vuole bene lo chiama l’uomo col cappello. I fatti così come li conosco prevedono un luogo, Sud America, e una data, 1945. Rick sta sorvolando la foresta amazzonica alla ricerca della leggendaria tribù Goolu. Cerca che ti cerca cosa

accade? Un rumore sordo nell’ abitacolo. I fagioli di ieri? O forse un coso, un cedimento strutturale. Mentre il bimotore perde quota, in fiamme, Rick realizza che non avrebbe dovuto tirare sul prezzo di noleggio. Ma, proprio quando non te lo aspetti, ecco sopraggiungere il culo di Sacchi: il velivolo si schianta vicino allo sperduto villaggio Goolu. Gli abitanti dello stesso accorrono in direzione del paracadutante Rick. L’emozione nell’esploratore è forte: sta per entrare in contatto con un popolo vissuto per secoli all’ oscuro del progresso tecnolo-

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gico e culturale. Eccoli, si avvicinano. Certo che i Goolu danno l’idea d’essere parecchio incazzati. Forse l’aereo non è caduto vicino al villaggio Goolu. Forse è caduto sopra il villaggio Goolu… Correva l’anno 1989 quando Core Design pubblicava sotto l’etichetta Firebird uno dei primi titoli della sua soddisfacente carriera. Ma noi non siamo qui a celebrare le lodi di Rick Dangerous. Rick è infatti nostro nemico. E “nostro” non è pluralis maiestatis, intendo proprio di noi videogiocatori. Ma lasciamo che un esempio ce ne illustri il motivo…


:RUBRICHE: Siamo in una grotta. E’ l’inizio del gioco. Ipotizziamo un qualche tutorial che ci spieghi le rudimenta del gameplay quando un masso rotola verso di noi. Muoriamo. Eccheccazzo. REWIND. Siamo in una grotta e, senza perder tempo in trastullamenti, corriamo. Il masso ci tallona a pochi centimetri mentre ci lasciamo cadere in un budello di cui ignoriamo la fine. Tale fine consiste in un Goolu di pattuglia, al contatto con il quale muoriamo. Evidentemente il Goolu non è avvezzo al lavarsi. REWIND. Via come da copione per scampare al pietrone e, mi raccomando, durante la caduta tenersi sulla destra, onde scansare il sudicio indigeno. Siamo salvi. E la pietra si sfoga proprio sul malcapitato di sentina. Rick certo non se ne cura e prosegue per l’avventura. E noi con lui. Poco dopo ci troviamo di fronte ad un dislivello. Tutto tranquillo parrebbe. Ci lasciamo cadere verso la sottostante piattaforma e, quando delle aguzze punte cominciano a lacerarci le carni, ci rendiamo conto che avremmo dovuto compiere un salto. REWIND. Siamo in una grotta. Corriamo per evitare il rolling stone, ci gettiamo nel budello… deja vu, cosa ci stiamo dimenticando? Ah già! L’avellante Goolu! Troppo tardi. Siamo morti. Ancora. Rats! Ora, anche i più lenti di voi avranno capito che in questa sequenza c’è qualcosa che non va. Però magari potreste dire: “Vabbé. Stiamo purtuttavia parlando di un titolo uscito decine e decine di mesi fa”. Prendiamone dunque uno più recente: Tomb Raider 3. La pettoruta tombarola ha davanti a sé una botola – niente immagini a supporto di questo esempio: il solo pensiero di rigiocare TR3 per scattare delle foto mi ha fatto venire gli sfoghi sui glutei – decide di saltarci dentro, e noi con lei. Siamo ora all’interno di una stanza, ma è tutto buio e… rumble rumble. Che succede? Accendiamo una torcia e ci guardiamo intorno. Proprio in quel momento un pietrone rotola verso di noi provocandoci

Ring#1 morte. REWIND. Ci gettiamo dentro la botola e, non appena tocchiamo terra, compiamo un balzo laterale. Rumble rumble. Il masso ci passa accanto mancandoci di poco ma… perdiamo energia. Perché? Accendiamo la torcia e ci rendiamo conto

d’esser capitati in una zona piena di serpenti, anzi, i serpenti sono disposti in tutta la stanza eccetto che nella striscia attraversata dal masso. RE-WIND. Ci gettiamo dentro la botola e, non appena tocchiamo terra, cominciamo a correre. Ben presto sentiamo il masso ansimarci dietro, avvicinandosi sempre di più. Durante la corsa troviamo il tempo di accendere la torcia e vediamo che il corridoio sta per finire, la salvezza pare vicina. Pop, pop, stomp. Sbattiamo contro il muro (prima le tette, quindi il resto del corpo). Nel panico notiamo che la via di uscita è una piccola apertura alla base del muro. Consigliamo alla donna con la treccia di chinarsi ed entrarci a gattoni, ma ormai è tardi: il rolling stone raggiunge la chiomocaudata proprio quando ella si mette a pigrecomezzi. Un briciolo di piacere prima della

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morte cruenta. REWIND. Anzi no. AARGH! Reset. Eject. Lancio del CD. A questo punto le considerazioni da farsi sono due: 1) (Futile) ma avete notato che un po’ tutte le istanze di gioco della celebre serie Tomb Raider erano già presenti nel vetusto Rick Dangerous? Quest’ ultimo potrebbe forse essere considerato il manifesto programmatico di Core Design. 2) La domanda del sottotitolo: siamo videogiocatori o memorizzatori di pattern? No perché fateci caso: quando un videogioco ha bisogno di diversificare l’offerta di eventi da far affrontare al giocatore – vuoi perché mica si può ripetere ad libitum la stessa meccanica, come in Max Payne, vuoi perché il titolo fa parte di una serie in cui poco cambia di versione in versione – generalmente tale processo viene implementato tramite un esagerato incremento della difficoltà. Un incremento reso tramite tempi di completamento troppo bassi, piattaforme da raggiungere per mezzo di salti millimetrici, trappole difficilmente localizzabili. Un incremento tale da annullare, in molti casi, le speranze del giocatore di superare alcuni frangenti con il solo uso dell’abilità e dell’esperienza accumulata fino a quel momento. Mancando ciò, l’unica soluzione è la procedura iterativa. Ottima anche per questioni di longevità. Scommetto che in GTA3 non siete riusciti a superare al primo tentativo le missioni più avanzate, e non perché siete stupidi, quanto perché i parametri di completamento erano troppo ristretti. Ma al secondo tentativo… beh al secondo tentativo non ci sono stati problemi: conoscevate già la locazione degli obiettivi, sapevate quale dispiegamento di forze vi avrebbe atteso, insomma: a piece of cake. Oppure prendiamo Strikers 1945. Non so se avete presente il boss che ad un certo punto, dopo un paio di secondi di tregua, spara contempo-


:RUBRICHE: raneamente due raffiche a 360°, una costituita da proiettili veloci, l’altra invece da colpi più lenti. Il giocatore deve compiere un mezzo miracolo per schivare la prima ondata e, immancabilmente, è beffato dalla seconda, nonostante la bassa velocità dei proiettili. Questo finché non diventa abbastanza bravo da mantenere quella freddezza necessaria per padroneggiare a dovere l’aereo, oppure fino a quando non si accorge che, spostandosi nell’angolo in basso a sinistra dello schermo, si rimane illesi.

Ring#1 più timore verso il boss, e quell’ istante di quiete prima della doppia salva non serve più a creare pathos; viene invece sfruttato senza remore per raggiungere la zona franca. Abbiamo dunque isolato un possibile difetto nella meccanica di un’importante quantità di videogiochi. C’è dunque da chiedersi: è veramente un difetto? – ditemelo voi, io sono per il sì – Ed inoltre: è questa una caratteristica inevitabile del medium in oggetto oppure la si può aggirare? Nel prossimo numero di Ring scopriremo se un altro mondo è possibile.

panni dell’esploratore per indossare una tutina à la Ralph Supermaxieroe. Tra la comunità dei videogiocatori fu scandalo: l’uomo col cappello non aveva più il cappello. Inammissibile. Ecco le imagini a testimonianza dell’affaire Rick…]

Prima

__________________Note

A quel punto la tensione si annulla. Il giocatore non nutre

[1 Rick Dangerous è stato anche protagonista di un sequel. In tale titolo, battezzato non a caso Rick Dangerous 2, il nostro doveva fronteggiare nientedimeno che un’invasione aliena. Nell’occasione Rick smise i

Dopo

Ritraendo il Mito el Guidrigildo Esigito_______

[Il Davide Videoludico UNO]

di Nemesis Divina “Seguite orsù con trepidanza e partecipazione le fantasmagoriche vicende del Davide Videoludico. Egli è un videogiocatore come tutti noi… no, meglio, come tutti voi.”

Nemesis Divina.

Il Davide Videoludico nasce diverso tempo fa, quanto di preciso non occorre d’esser detto perché il Davide non ha età: è un videogiocatore! Vecchia Guardia, diremmo, c’aveva pure il Pong, pensa un po’… Le vicende del Davide sono entusiasmanti e variegate; oggi il Davide videogioca ancora, più avanti smetterà ma per adesso continua a farlo e non sospetta il brusco frenarsi della passione, d’altronde lui è uomo che percorre consequenzialmente la linea del tempo e non ha la visione globale. Il Davide, invero, non capirebbe nulla di quanto scritto… cosa che generalmente può esser detta anche di voialtri. Ma Davide è anche un idiota… cosa che generalmente può esser detta anche di voi. Davide si è sposato (voi non saprei); lui prima non voleva sposarsi ma poi l’ha fatto perché sennò non vedeva più la sua ragazza che, per inciso, è l’unica che gli è capitata. La Silvia adesso vuole pure un figlio e Davide pensa: «Ma ‘sto gran pezzo di minchia un figlio, non voglio rovinarmi i week end» però dice: «non so, forse è troppo presto, non mi sento pronto» e Silvia, che è donna, replica agile: «Allora tu non mi ami», Davide elucubra: «Ma bastarda l’intera schiera Celeste e relative manifestazioni terrene, che cazzo c’entra il frugolo con l’affetto che nutro nei tuoi confronti (in particolare di una di te porzione)?» ma invece pronunzia: «Ma certo che ti amo. Se è un figlio che vuoi tu, lo voglio anch’io». Poi si abbracciano scivolando tosto repente nei vortici della

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lussuria e la scena sfuma in nero, lontano un sussurro «L’hai preso nel culo», ma al momento Davide non ha orecchi. [Il Giorno Dopo] Davide abita in una casa non grande, con la moglie. Fuori la casa è verde pistacchio che dove la tinta è scrostata sotto si vede il bianco. Nelle scale c’è odore di muffa e puzzo di cibo terrone (Davide non è leghista: intollera a tutto tondo…), l’ingresso dell’appartamento è breve, piastrellato di bianco maculato e con l’appendiabiti laccato nero. Salotto misto cucina, un cesso approssimato, camera da letto, sgabuzzino più che farcito e… LA stanza. La sala dei Giochi. Davide è Videogiocatore, dicevamo. Questa è la saletta (area rettangolare di 4 metri quadri) che Davide ha conquistato a forza, strappato alla moglie con le unghie e con i denti (con buon tacere di rose e gioielli). Una poltrona striminzita e sfondata posta davanti ad una traballante scaffalatura dell’Ikea, sopra un tempio votivo all’idolo videoludico: TV 14” in marca Mivar e innumerevoli console arrampicate sulla scansia (perché Davide è pure Retrogiocatore), pessimo sistemino 5.1 malamente distribuito nell’angusta, briciole sul tappeto, mensole alle pareti che minacciano di rovesciare le confezioni di innumerevoli mondi ed una tavola per stirare (dazio imprescindibile alla collerica consorte). “Buco di Merda” appellerebbe qualcuno, “Paradiso Ritrovato” sussurra Davide quando chiude la porta (in plastica a soffietto) dietro di sé, escludendo la pestifera Silvia. «L’hai preso nel culo». Rapida scintilla che appicca fuoco feroce, la mente del Davide elaborare i dati in entrata: figlio > stanza x figlio. «Non la mia» pensa. «Sì, la tua!» gli risponde Silvia che, vai a immaginarlo, è pure telepate… Monta la collera; pargolo sventurato, grande sarà l’ira del Davide che non conosce perdono. Fra nove mesi il “Paradiso Ritrovato” verrà smantellato per far spazio al defecante incontinente. Davide s’impone: «Si chiamerà Filippo o Gianfranco (che sono nomi bruttissimi e che di solito poi diventi finocchio)». Così apposto il marchio della vergogna sul frutto involuto [che sta per: ‘non desiderato’] e non ancora sanata l’eterna ferita, Filippo (o Gianfranco) andrà negli Scout, che portano infamia terribile e sempiterna e che se lo fai poi da grande diventi imbecille e Davide lo sa perché da piccolo era Scout… ma da piccolo era anche Videogiocatore. Il Davide Videoludico, da piccolo, tutti lo scherzavano per le dimensioni del suo pene, e lui non stava bene. Sia chiaro, Davide non ha mai girato film muti e difatti aveva un pene minuscolo e imbronciato. Il prepuzio ricadeva abbondante sul glande pallido tanto che, vi sia dato sapere, il surplus epidermico vennegli decurtato chirurgicamente all’età di tredici anni. Questo gli guadagnò il soprannome di “Ebreo” che lo vessò per un semestre, sino a quando non divenne il “Senza Cazzo”, nomignolo che guastò sensibilmente i suoi rapporti con il gineceo scolastico. Il 14 Marzo, a ricreazione, il Davide stava disegnando su un foglio. Il Pintossi, che era gradevole come una scolopendra, lo vide e chiese numi sull’ opera in corso: «Cazzo fai?» «Disegno Super Mario.» «Alla tua età giochi ancora ai giochini?» s’interrogava il Pintossi, poi esternò: «Ma disegnami ‘sta gran cappella!» e mal gliene incolse al povero Davide che venne travolto da mazzate di rara violenza. Oggi il Davide Videoludico, ormai vicino agli anta, ripensa al Pintossi e a cosa potrebbe dire se lo vedesse oggi, sposato e figliante, ancora alle prese con i ‘giochini’. In effetti il Pintossi non direbbe nulla poiché a quattordici anni, per ischerzo, si infilò delle matite nel naso dopodiché tosto inciampò facendo salire le lapis lungo il tragitto nasale sin nel grigiume cerebrale. Tornò a scuola dopo due mesi di coma e quattro di ospedale, le evidenze fisiologiche della sua condizione gli valsero il soprannome di ‘Asparago’. Dopo un mese sua madre lo scaraventò dal balcone ponendo fine ai suoi infruttuosi tentativi di fotosintesi clorofilliana. Davide, a dire il vero, fece fatica a dispiacersene… anzi, non se ne dispiacque per nulla. La fragorosa risata che proruppe dalle fauci davidiane innanzi al feretro pintossiano lo resero in un certo senso ‘impopolare’ e, in un senso ancor più sicuro, un lebbroso sociale. Da allora divenne “L’Innominabile” e gli si attribuirono straordinari poteri come la Sfiga, l’Alito Cattivo e la Pellagra. In questo tragico contesto Davide corse il serio rischio di trascorrere un’infanzia solitaria ma il Videogioco corse in suo aiuto, alchè la fumosa eventualità della solitudine mutò in adamantina consistenza… [continua…]

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PLAY_________________________________

[Intervista a Jaime D’alessandro]

di Paolo “Jumpman” Ruffino Jaime D'Alessandro, 33 anni, è giornalista e scrittore per La Repubblica, Diario, Carnet. E' stato il direttore artistico della sezione Videogame del CWT Festival presso la Triennale di Milano ed il curatore di PLAY, il mondo dei videogiochi presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma. PJR lo ha incontrato per voi per discutere di quest’ultima iniziativa, ma ha voluto cogliere l’occasione anche per parlare di “cultura del videogioco”, “coscienza storica” e zombie. Soprattutto zombie. PJR: Com’è nata l’idea di una mostra sui videogiochi? Jaime D’Alessandro: Il progetto in realtà era abbastanza vecchio, risale a circa 23 anni fa, doveva essere all’incirca 7 mesi prima del lancio della Playstation2. La prima ipotesi infatti fu di fare la mostra in contemporanea all’uscita della Playstation2 in Europa. Poi ovviamente ci sono dei tempi burocratici al Palazzo delle Esposizioni come in qualunque altro museo. La cosa strana è che nessuno ci avesse pensato prima. Questo settore, che si pregia di essere ormai maturo, non ha mai avuto una legittimazione in termini di ricerca storica. PJR: Cosa volevate comunicare al visitatore medio di PLAY? J D’A: Mostrare il mondo dei videogame per quello che è, con tutte le sue ricchezze. L’idea era anche quella di far superare un pregiudizio abbastanza comune, soprattutto in certe generazioni, secondo cui i videogiochi sono una cosa stupida o nel peggiore dei casi addirittura pericolosa. Mostrando la storia volevamo superare questo pregiudizio. Il percorso storico era inevitabile perché essendo la

prima mostra non potevamo fare percorsi tematici.

loro cose e hanno anche curato quelle sezioni.

PJR: Quali sono stati i principali ostacoli che avete incontrato nella sua realizzazione?

PJR: PLAY è giunta in un momento cruciale: la grande diffusione dei videogiochi non è stata accompagnata da un’adeguata capacità critica da parte degli utenti. La stampa, in particolare quella non specializzata, ha aumentato questo divario fornendo spesso informazioni confuse, fuorvianti, se non addirittura errate. Che ruolo può avere la stampa nel cammino che, speriamo, porterà il videogioco ad essere visto col rispetto che merita dal consumatore medio?

J D’A: La reperibilità dei materiali. Questa è un’industria che non ha memoria storica e alla Acclaim, tanto per citare una software house, o peggio ancora all’Activision, la prima software house, di tutti i materiali passati hanno pochissimo. E’ molto semplice reperire materiali fino a metà dell’epoca PSOne, diciamo fino al 199798 ancora si trovano delle cose. Più indietro è sempre più complicato. Poi l’altro nostro problema è che l’Italia non conta niente dal punto di vista del mercato. Il mercato europeo è fatto principalmente da Inghilterra, poi Francia e Germania ed infine Italia. Quindi il nostro potere contrattuale rispetto a grandi aziende come Electronic Arts era abbastanza relativo. Poi è comunque gente che si occupa di vendere un prodotto, e questa idea della mostra ha fatto fatica a far breccia. In altri è stato diverso. La Nintendo Europe, la Sony, ci hanno aiutato moltissimo. Avevamo fatto delle richieste particolari sapendo che i materiali che avremmo reperito non sarebbero stati esattamente quelli e infatti così è andata. Abbiamo ricevuto cose molto particolari, altre abbiamo dovuto cercarle noi. Buona parte della mostra è stata fatta da ricerche nostre, le console le abbiamo proprio dovute comprare in rete o dai collezionisti. Le cinquanta e più console da tavolo che c’erano e la sezione delle console palmari, che a mio giudizio è stata una delle meglio riuscite, le dobbiamo tutte a collezionisti, nostri amici che hanno dato le

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J.D’A.: Un ruolo fondamentale. Il problema, anche della stampa specializzata, è che i videogiochi non vengono trattati come un medium maturo, non esiste un linguaggio critico, d’analisi. Spesso vengono giudicati solo da certi punti di vista. Penso ci sia un problema di linguaggio. Non va più bene parlare di frame per secondo perché, francamente, chi se ne frega! E’ un dettaglio! Bisognerebbe usare un vocabolario diverso, più aperto ma non per questo meno accurato, che stia più attento ad aspetti che non siano sempre gli stessi che alla fine interessano solo l’appassionato di videogame, che comunque va rispettato. E’ un tipo di utente che non può essere di riferimento principale altrimenti resteranno sempre quei duecentomila videogiocatori e saranno sempre e solo quelli. Da quando è arrivata la Playstation non c’è stato un cambiamento, continuiamo sempre a rivolgerci alla stessa gente che forse è addirittura diminuita, viste le vendite della stampa specializzata. Il mondo dei videogame doveva fare un salto che non ha fatto, sia dal


:FRAMES: punto di vista della critica che dal punto di vista dei giochi. PJR: Dal punto di vista dei contenuti le software house cosa possono cambiare nei loro giochi perché vengano considerati con maggiore serietà? J.D’A.: E’ un parere personale, ma penso che bisognerebbe rischiare un po’ di più per quel che riguarda l’inventiva, la sperimentazione. Basti pensare a REZ, un gioco che non venderà mai quanto Metal Gear Solid, però è un gioco che si può portare senza alcun complesso di inferiorità alla Biennale di Venezia, lo si può mostrare perché ha un impatto visivo di altissimo livello. Questa industria dovrebbe avere più coraggio. Certo avere coraggio significa avere i mezzi economici ed infatti non è un caso che sia stata la Sega a fare REZ, una software house che ha già i suoi giochi che vendono milioni di copie. All’E3, ad esempio, ho visto Doom 3, un gioco tecnicamente strepitoso che però per l’ennesima volta propone l’eroe che fa fuori mandrie di zombie. Parliamoci chiaro, abbiamo fatto fuori migliaia di zombie, io penso di aver raggiunto il milione. The Sims è invece un gioco che allarga il numero di utenti. The Sims Online farà giocare molte più donne e questo è un bene perché deve essere un mondo più aperto. Ma quanti Will Wright o Peter Molyneux ci sono? PJR: In Italia pensi che ci possa essere spazio per una cultura del videogioco? J.D’A.: Sì, siamo stati il primo paese europeo a fare una mostra sui videogiochi e questo penso sia indicativo. Palazzo delle Esposizioni, che è un’istituzione che non ha i soldi del Guggenheim o l’appoggio di tanti musei inglesi, eppure ha deciso di rischiare per una mo-

Ring#1 stra come questa, che aveva un alto contenuto tecnologico (cinquanta videoproiettori costano). Eppure ha deciso di farlo e siamo stati primi in Europa. Guardando GameOn, la mostra di Londra, a me sembra che abbiamo fatto meglio noi. Loro avevano l’appoggio di tutte le software house, noi avevamo poco o nulla eppure la nostra è una mostra più matura. La loro è una salagiochi, bella, bellissima perché potevi giocare con i cabinati originali di Pong o Space Invaders che noi non avevamo, ma non so quanto ha aggiunto dal punto di vista dell’allargamento, del mostrare il videogioco come una forma di’intrattenimento dignitosa. PJR: Già in un’altra intervista avevi dichiarato che questo è un settore che non ha una coscienza storica. Quanto pensi possa influire il fatto che molti videogiocatori non conoscono il passato? J.D’A.: Banalmente, è un po’ come per il cinema, non ci si aspetta che lo spettatore abbia un background storico e culturale per vedere un film. Non conoscere il passato è forse sintomatico del fatto che sia ancora un’industria approssimativa, che sembra ancora non credere in quello che fa, mentre il cinema, la letteratura e l’arte contemporanea credono nei propri mezzi. Non parlo dei game designer, molti hanno una forte coscienza della capacità comunicativa dei videogame, ma tutto quello che c’è intorno è sempre fatto in modo approssimativo come se davvero non ci fosse la capacità di dimostrare le capacità del videogioco. PJR: In un tuo saggio apparso nel catalogo della mostra sostieni che “nessuno ha ancora inventato gli strumenti capaci di analizzare il risultato raggiunto dai gio-

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chi elettronici”. Quali aspetti del videogioco pensi siano stati sottovalutati o ignorati nel darne un giudizio critico? J.D’A.: Ogni media ha una sua critica che fonda in primo luogo degli strumenti di analisi. Non credo che nel videogioco ci sia una struttura, un modo per analizzarli, ma non si può ancora parlare di FPS o Platform. I videogiochi sono sempre più in trasformazione, le categorie si mescolano tra loro ed è ormai una catalogazione riduttiva. E non ho visto nessuno che abbia provato a gettare le basi per inventare un nuovo tipo di analisi che permetta di fondare da capo una forma di catalogazione. In fondo tutta l’analisi viene dalla stampa specializzata che ha però inventato le categorie in modo del tutto spontaneo. Se parliamo di videogiochi non più come un fenomeno per soli appassionati c’è bisogno di un linguaggio adatto. Nel catalogo questo linguaggio non c’è, io stesso lo riconosco. Mi sarebbe molto piaciuto gettare nel catalogo delle ipotesi ma non ce n’è stato il tempo perché è una materia molto complessa. PJR: Progetti futuri? J.D’A.: Un libro. Mi piacerebbe poi portare la mostra a Milano, ci sono però dei problemi legati ai cali di spettatori nei musei che si stanno registrando un po’ in tutto il mondo, non solo da noi, ed è quindi un momento molto delicato. Poi…non so. Un progetto che io non farei ma mi piacerebbe vedere è un bel film sui videogiochi. Non so cosa sia un bel film sui videogiochi, non ho idea di come si possa fare. Mi piacerebbe vedere qualcosa di divertente. Proprio perché è difficile portare i videogiochi su altri media, proprio per questo mi piacerebbe vedere qualche tentativo.


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100% Indipendente_____________________

[Orrori di Stampa]

di Emalord A volte mi trovo di fronte ad eventi che nonostante la mia generica indolenza attivano fasci neuronici ed accendono lampadine cerebrali, portando all’illuminazione di un enorme spazio vuoto che sta lì proprio a giustificare il termine indolenza. Da persona recettiva ed aperta a qualsiasi tipo di stimolo [l’indolenza è il cheatmode che permette una stimolazione efficace e duratura], è palese che uno dei suddetti eventi che più volte nel corso di una giornata colpiscono il mio io più recondito, è la pubblicità. Quell’ insieme di teorie astratte e di musiche trendy che dovrebbero promuovere un qualsivoglia prodotto per le masse, ma che a fronte di un riconosciuto impegno nel bombardare la famiglia tipo dimentica sovente del periodo storico in cui si vive, usando talvolta meccaniche persuasive adatte alla famiglia americana anni ’50, piuttosto che ad una famiglia media italiana in pieno 2002 [sempre che ciò non sia una triste verità che rifiuto aprioristicamente]. Nonostante questa premessa, fortuitamente abbiamo occasione di osservare pubblicità geniali, innovative, capaci di cogliere lo spirito più intimo di un periodo storico, o di una generazione di persone. Ma se ying e yang non è solo sinonimo di TavolinoIkea, vien da sé che a fronte di pubblicità epocali sussistono per lo meno un pari numero [ma sto approssimando al 3000%] di pubblicità inutili, quando non dannose alla salute. Promozioni che reputano la massa come un pesce da prendere all’amo e che quindi non partono dal presupposto semplice e banale di presentare un prodotto, ma da quello di invogliare il cliente a comprarlo, il che comporta spesso il sottendersi di un inganno, spesso bonario, proprio perché reputa la massa come

un gregge disposto a farsi radere, e non come una mandria che si incazza se si accorge di essere destinata a diventare il contenuto di scatolette di latta. Flashback a vent’anni fa Si era alle scuole medie e si parlava di pubblicità e persuasione occulta. Mi ricordo che si parlò di una campagna pubblicitaria che negli USA ebbe un successo clamoroso. Si trattava di reclamizzare sigari, e lo slogan usato fu E’ TOSTATO! Seguì un successo di vendite clamoroso. Il trucco? Dire una cosa OVVIA e SCONTATA [tutti i sigari sono tostati] come se fosse una qualità unica e ristretta al prodotto sotto esame. E comunque guai a dire che provoca il cancro. Le vendite potrebbero subire lievissime flessioni. Flashforward a oggi Vent’anni dopo, a volte si fa fatica a credere che qualcosa sia cambiato. La televisione fa deflagrare la pubblicità di un meraviglioso dentifricio che si distingue dalla massa perché ha 5 incredibili proprietà TUTTE RIUNITE INSIEME [ooooooh, urlo di stupore delle folle]: sbianca i denti, combatte la placca, rinfresca il fiato, evita la carie… il quinto non lo ricordo. Aspettate, vado in bagno a prendere un qualsiasi dentifricio e poi ve lo racconto. Oggi, come vent’anni fa. La massa è sempre un grande gregge da tosare. Ma per fortuna ci sono i videogames. Una fonte costante di novità, stimoli, dibattiti. Ma l’occhio sempre vigile e paranoico, ti va a cadere su una delle tante riviste in commercio che riportano: 100% indipendente [imparziale]. E qui mi si riaccende la fastidiosissima lampadina cerebrale, che proietta sulle pareti occipitali l’ombra del mio unico

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neurone, che rimbalza qua e là rivelando la genesi mentale di PONG. Personalmente ritengo la suddetta titolazione come un’ inutile esibizione di onestà editoriale. Per [3] vazioni.

validissime

moti-

[uno] la dicitura crea una frattura tra chi la riporta e chi no. Frattura che di fatto non sussiste, perché tutte le riviste sono parziali e di parte, a modo loro. Perché sono rivolte ad un certo tipo di pubblico che ama sentirsi dire un certo tipo di cose in un certo modo. Il tutto supervisionato, corretto e indirizzato da redattori e sponsor. [due] credo, anzi auspico che chi recensisce i giochi ami il videogiocare stesso, e lo ami carnalmente. Esigo che un recensore sia prima di tutto un giocatore. Ed in quanto tale, come tutti i giocatori, è suscettibile di simpatie, antipatie, vecchi amori e nuove fiamme nei confronti di un qualsiasi prodotto. Sentimenti e pensieri che, anche se magari in minima parte, falsano perlomeno concettualmente il compito di valutare un prodotto. Mettete un recensore in gamba che odia i picchiaduro a recensirne uno, e potete stare certi che ridurrà la votazione finale in proporzione alla sua competenza. Ovverosia, meno il recensore è competente, e più il voto finale sarà ribassato. Non per nulla nessuna rivista o ezine fa recensire giochi a persone che non conoscano [e quindi apprezzino][si da per scontato che la competenza sia strettamente legata al gradimento] almeno in minima parte la categoria in esame. [tre] credo che tutte le riviste del settore siano suscettibili e


:FRAMES: non poco a commenti esterni. Perché ricevono giochi da negozi o case di produzione che riempiono gli spazi pubblicitari delle riviste stesse, e non gradiscono affatto la stroncatura di un gioco che altrimenti andrebbe invenduto, e che quindi la volta successiva passano giochi / demo / promo a qualcun’ altro. Non si spiegherebbe altrimenti l’alta percentuale di giochi con la media dell’otto, e della bassissima pe-

Ring#1 rcentuali di giochi con la media del tre. Media, quella dei giochi scarsi e meritevoli di un tre, molto più alta di quanto si voglia far vedere. Per concludere, spero di vedere sparire alla svelta quell’ orrore di stampa che si identifica nel 100% indipendente [imparziale]. Rimuoverlo da dove ora campeggia, non significherebbe diventare improvvisamente cri-

minali o corrotti, vorrebbe semplicemente dire avere buon gusto e riconoscere la verità delle cose, e cioè che tutti i dentifrici da vent’anni a questa parte hanno 5 meravigliose caratteristiche e che andarlo in giro a raccontare non significa ne’ che ci si lavi i denti ne’ che gli altri dentifrici non abbiano tali medesimi odontopregi.

Prossimo Anello…_______________________ [Ring #2] Ring intervista il padre del mondo così come lo conosciamo. DIO CI RIVELA IL SUO TURBOLENTO RAPPORTO CON I VIDEOGIOCHI. E SPARA A ZERO SU TUTTI!!!!111

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