Ring#003

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RiNG 03 – Dicembre 2002

SCPH Fred – di Francesco Bicci

.:AVANTGARDE:.


:DICEMBRE 2002:

Ring#3

SOMMARIO____________________________

[Ring#2]

Rubriche Cover Story: Avantgarde [di Nemesis Divina] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (R)umorismo: Silent Hill 2 [di Sator Arepo, STRIX e Gatsu]. . . . . . . . . . . . . . Tesori Sepolti: Secret of Mana [di DarknessHeir] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tesori Sepolti: Pop’n’Twinbee [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . People: Hideo Kojima [di Dan] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Me Nintendo: Funghetti, Monetine e Motoseghe [di Gatsu] . . . . . . . . . . . Sega Saga: AM-2 [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kakka Banzai: Ghost in the Shell [di Amano76] . . . . . Il davide Videoludico TRE [di Nemesis Divina]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Frames Terrore Digitale e Ansia (Analogica) Reale [di Marco Barbero] . . . . . . . Editoria al Kilo [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Amano in Giapano [di Amano76] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Videogioco come Mondo Euclideo [di Paolo “Jumpman” Ruffino] . . . . . Il Sogno di un Cuore Nero [di Gatsu] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indepth Ninja Masters [di Emalord] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sephirot: la creazione di un mito [di Ferruccio Cinquemani] . . . . . . . . . . . Ico e Shrek a confronto [di Cristiano Bonora] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Soul Reaver 2 [di Darknessheir] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Recensioni Grand Theft Auto: Vice City [di Sator Arepo] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Starfox Adventures [di Federico Res]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Super Smash Bros Melee [di Amano76] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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:AVVERTENZE E MODALITÀ D’USO: Hai aperto e stai leggendo il file di stampa di Ring. Questo file è parte integrante del sito www.project-ring.com. Tutti i contenuti quivi reperibili sono di proprietà intellettuale dei rispettivi autori. Se hai intenzione di riciclarli come tuoi per ricavarne una qualche forma di lucro, diretta o indiretta, allora c’hai la mamma tegame e il babbo becco, e quelli di Ring un giorno non troppo lontano balleranno sulla tua tomba. Per eventuali collaborazioni o progetti comuni, sentiti libero di sottoporci le tue idee, che valuteremo con attenzione. Le immagini di questo file sono state scelte in modo da essere apprezzabili anche in caso di stampa in bianco e nero; inoltre sono volutamente di dimensioni ridotte rispetto alla pagina per non succhiar via costosa linfa in più dalle cartucce della tua stampante. Era inizialmente prevista anche una versione senza immagini del PDF ma, un po’ per pigrizia, un po’ perché nessuno ne ha sentito la mancanza, abbiamo deciso di ometterla. Se sei di Genova e ti piacerebbe avere a che fare con un file modificabile, in modo da diminuire le dimensioni del font da nove a tre e togliere le pagine degli autori che ti stanno antipatici, scrivimi a: sator@project-ring.com e potrei anche prendere in considerazione l’ipotesi di inviarti il file di Word del corrente numero di Ring. Se hai qualche consiglio da darmi riguardo all’impaginazione di questo file, ti invito a contattarmi al solito indirizzo, ché la mia esperienza di impaginatore è nata con Ring, e certe volte Word mi fa diventare matto...

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:RUBRICHE:

Ring#3

Avantgarde____________________________ [Cover Story] di Nemesis Divina :Comunicazione di Servizio: Prima di lasciarvi alla Cover Story di questo mese, abbiamo ritenuto opportuno spendere qualche riga per avvisarvi di alcune questioni. La prima e più importante è sicuramente quella che vede l'apertura della rubrica di Project Ring sul mensile videoludico Evolution: per info più dettagliate, proseguite all'INDICE dove troverete l'apposito link. Il Progetto cresce, e questa non è l'unica sorpresa che vi riserva il 2003. Inoltre nei prossimi mesi avrete modo di ritrovare tre di noi sulle pagine di un'altra nota rivista del settore, quale ve lo lasciamo indovinare. Ci congratuliamo con Sator Arepo, il Pupazzo Gnawd e Strix per l'avvenuta assimilazione, ricordandovi comunque che i tre continueranno a restare con noi finchè morte non li colga. In chiusura un paio di note: da questo mese vengono soppresse Opera Rotas (ormai irrealizzabile per gli impegni di cui sopra) e Cotta Di Maglia, la rubrica della posta. L'apertura del FORUM ha inevitabilmente spostato il fulcro delle discussioni da un'altra parte e quindi preferiamo rimetterla a dormire in attesa di futuri sviluppi. Ad ogni modo resta attivo l'indirizzo cottadimaglia@project-ring.com: se desiderate comunicare direttamente con la Redazione sapete dove scrivere. Buona lettura. PS: Il famoso speciale esclusivo che avevamo ventilato nel Prossimo Anello di Ring#2 è spostato al prossimo numero per motivi non dipendenti dalla nostra volontà. Ci scusiamo con i lettori.

Un occhio attraverso il futuro. Il nostro è il medium che più indissolubilmente viaggia parallelo alla tecnologia, alfiere del progresso informatico e altresì schiavo del transito digitale. La videointerazione viaggia su binari in continuo trasformare, un passaggio di testimone tecnologico quinquennale (nel caso delle console), un ribaltone che sovverte l’intendere videoludico e che riscrive ogni volta, quasi daccapo, i termini della contesa. Dicevamo della profonda impuntura che lega VG e progres-

so tecnologico; in nessun altro medium è ravvisabile un simile duetto. La parola scritta è da tempo fissa in mezzi espressivi dati e accettati (carta e penna) ed è solo sottopelle che mutano le forme del narrare per iscritto, è solo nell’intimo delle frasi e del comporre le stesse che il testo muta di forma (perché di forme ne ha mutate a centinaia e sempre ne muta…). Il cinema propone un movimento già più ravvicinabile a quello del VG; il fare cinema è cambiato sotto il profilo dei mezzi concessi: il sonoro, il colore, effetti visivi ed effetti speciali, più svariate tecniche miste che propongono sia una rilettura interna al testo che esterna e dunque tecnologica (semplicemente si pensi al bullet-time degli Wachowski). Come saggiamente annota Francesco Alinovi nel saggio ‘Serio Videoludere’ 1: “In mezzi espressivi più maturi lo sviluppo della tecnologia è messo al servizio del soggetto che si vuole rappresentare […] le innovazioni in campo del hardware sono la conseguenza di necessità software”. Qualcuno eccepirà la necessità di upgrade tecnici per ampliare la tavolozza espressiva del VG (è pensabile uno Shen Mue su Atari 2600?), d’altra parte questo viene a riprova dell’inadeguatezza dell’attuale concezione dell’ambient videoespressivo. Laddove altri mezzi espressivi sgorgano in forma semidefinitive, il VG è un ente informe, privo di scheletro o carapace, un essere molle e flaccido. Da questa indefinibilità di fondo si può d’altra parte evincere la potenzialità notevole di un medium che, a questo stadio evolutivo, cresce esponenzialmente senza limiti o direzioni predefinite. Il VG dei giorni nostri è ancora massa molle, ma uno scheletro comunicativo si prospetta all’orizzonte, ben di là del morbido videointrattenimento. Ma, come si diceva in apertura, gettiamo uno sguardo

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oltre. Si parlava del filo doppio che interlaccia VG e tecnocrescendo, allora proviamo a delineare lo scenario futuro: da che parte andremo? Lo si è chiesto nel Forum di RING e le risposte sono state abbastanza eloquenti in proposito, tutti aspettano una crescita (come da programma) legata ai mezzi espressivi, non ai modi. Si prospettano balzi evolutivi in seno all’interattività o all’intelligenza artificiale, altri invocano una maggiore influenza sensoriale che ottunda l’udito (sonoro dinamico relazionato alle situazioni ludiche), la vista (occhiali che immergano totalmente nell’ ambiente di gioco) e persino l’olfatto. In uno scenario completamente utopico (distopico?) potremmo persino ipotizzare microchip sottopelle che, oltre a svolgere funzioni generiche (carta d’identità, di credito, check up medico, ecc…) si occupi di stimolare opportune zone del cervello (dunque sintetizzando l’ambiente audiovisivolfattivo direttamente nel nostro cervello). Tornando con i piedi nel 2003, il risultato della discussione è stata una notevole attesa nei confronti di periferiche e di un potenziato calcolo computazionale. In definitiva l’evolvere del videogioco è legato ad una maratona tecnologica che porta ad ogni tappa ad un allargamento delle prospettive d’azione. Ma è la corsa l’approccio migliore? Non sarebbe forse il caso di fermarsi e riflettere? Quanti pensatori hanno dato vita alle loro più importanti tematiche, mentre correvano? Molto pochi, temo. Notoriamente, conviene sedere oziosamente sotto un albero in primavera, distendere le gambe e incrociare la mani sul petto… e aspettare che una mela ci cada sulla testa. [1 Tratto dal volume “Per una cultura dei videogames – teorie e prassi del videogiocatore ”. A cura di Matteo Bittanti, Edizioni Unicopli, 2002.]


:RUBRICHE:

Ring#3

(R)umorismo___________________________ [Silent Hill 2] di Sator Arepo (storia) e Strix (disegni)

di Gatsu

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:FRAMES:

Ring#3

Terrore digitale e ansia (analogica) reale_____ [Il game design come Golgotha catartico] di Marco Barbero “Il terrore come collante tra videogiocatore, videogioco, emozioni virtuali ed emozioni reali. L'ansia e il terrore come trait d'union tra la vita reale e la vita virtuale. Come spinotto emotivo che ci fa capire che il mondo videoludico è vivo e non aliena le nostre emozioni…”

Sono in una casa a due piani. Uno stabile apparentemente in mezzo al nulla. Il buco del culo del mondo, probabilmente. O la sua proiezione onirica. Fuori montagne di neve. Dentro l’inferno. Sono fuggito, da dove non lo so: non si vede uno stabile nel raggio di centinaia di chilometri. Ora sono qui, all’interno di un casolare con mattoni a vista e con l’aria di appartenere alla più grigia delle città dormitorio di provincia. La camera ha un arredamento malinconico, freddo. Mobilia in legno scuro si distende su tristi pavimenti di marmo, un disegno mélange da metà anni settanta. Non c’è ombra di polvere sulle bianche statuine da mercatino rionale che adornano la specchiera. Una porta a vetri buca le mura giallastre sfociando in un balcone. La forma a L dell’edificio mi permette di scorgere una ragazza nella stanza sulla facciata adiacente. E’ bellissima, sta rannicchiata dietro a un divano, trattiene il respiro. E’ visibilmente terrorizzata. Ancora prima di riconoscerla so che voglio e devo difenderla. E’ la mia Yorda. La porta del locale in cui è rintanata vibra violentemente, un secondo dopo viene squarciata da un braccio peloso. Rosa. Un grugnito accompagna l’entrata in scena di un Gromp tratto di

peso da Herdy Gerdy: un orso quasi disneyiano, ma in uno stato così febbrile di agitazione da renderlo bavoso, con gli occhi iniettati di sangue e munito di una paresi facciale impostata sul più crudele dei ringhi. L’orso setaccia la mobilia devastandola, lei esce dal suo nascondiglio giusto in tempo. Voltandosi, lo guardo minaccioso dell’animale taglia il vuoto che mi separa da lui, mi ha scorto. Esce con passo pesante calpestando la porta divelta. Sento il terrore che mi pervade ancor più di prima. Devo salvare me. Devo salvare lei. Gli attimi successivi riecheggiano di fughe e battiti del cuore accelerati, ma soprattutto sono pervasi dal terrore di perdere tutto: me e lei. E’ terrore vero, è adrenalina pura, è nonsense. E’ un sogno. Mi sveglio di soprassalto con due certezze: le origini del terrore videoludico (e non) si spingono ben oltre il potere dell’ignoto e del non comprensibile; mangiare la peperonata a cena non è stata una buona idea.

Sulla Collina Silenziosa risiede l’apice del terrore video indotto, un terrore la cui capacità di destabilizzare la psiche ruota su due cardini principali: lo

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scarto narrativo e l’ansia da fallimento digitale. James Sunderland è appena entrato in un edificio grigio e apparentemente vuoto. I banchi di nebbia aleggiano all’esterno, lambendo le mura come onde di un mare maligno. Il protagonista spalanca una delle tante porte che adornano il lugubre corridoio, il cigolio è d’ordinanza. Al centro della stanza, un manichino vestito come la defunta moglie Mary ha appuntata, all’altezza del seno, una torcia elettrica, accesa. La sensazione di inadeguatezza è palpabile. Ciò che mostra il video granuloso non è qualcosa che dovrebbe esistere. Manca una logica dietro tale rappresentazione poligonale. Ci sono troppi “ma come può essere che…” a delimitare il terreno del razionale. Ecco lo scarto narrativo (uno dei più subdoli): la mancanza di una relazione causa effetto che provoca disagio, fa insorgere domande, mette in moto irrefrenabile le pupille che prendono a scrutare ogni anfratto nella penombra della stanza e dei propri neuroni. James si avvicina cautamente alla torcia e la impugna. Le ombre danzano col movimento della sorgente di luce, la musica irrompe devastante. Un’accozzaglia di gambe e braccia monche, rivestite da una pellicola oleosa, viene investita dai fotoni rivelando la minaccia incombente. La concitazione, le mura anguste, la telecamera mobile e la poca dimestichezza con un sistema di combattimento ancora da assimilare fanno il resto. Il raggio della torcia allunga e accorcia le proiezioni dei corpi, il nemico viene inquadrato solo per alcuni attimi, James si muove disordinatamente, agita un bastone di legno. I punti di riferimento sono completamente persi, qualche colpo va a segno, da entrambe le parti… pausa. Ecco la


:FRAMES: seconda fabbrica del terrore: l’ansia da morte digitale. Confusione chiama confusione, quando si sente il fallimento a portata di mano. La girandola di angoli bui associata a una situazione nella quale si può perdere qualcosa (in questo caso il proprio tempo e la futile vita digitale, la cui importanza viene però amplificata dall’incombente sensazione di pericolo) dipinge uno scenario ansiolitico, concitato e in ultima analisi terrorizzante. La saga di Silent Hill si muove quindi seguendo le orme di alcuni consolidati canoni dell’horror associandoli alla paura del fallimento e dell’attaccamento alla sorte del protagonista, alla nostra sorte nel virtuale. Ma esistono giochi ben più solari che veicolano questa seconda tipologia di terrore. L’insospettabile Super Mario Sunshine è uno di questi. “Il terrore come veicolo di divertimento, come soglia di attenzione sempre alta, come partecipazione sempre attiva al videogame...”

Baia dei Noki, secondo Sole Custode segreto: l’ordinaria raccolta di monete rosse in uno di quelli che viene definito “livello classico”, una zona popolata di piattaforme sospese, cubi rotanti, salti di precisione e morte pressoché certa in caso di balzi non perfettamente calibrati. Racimolare le otto monete non è, di suo, impresa facile. Associarla a un pressante limite di tempo pare, a tratti, un atto criminale. I tentativi per raggiungere l’obbiettivo sono innumerevoli, ma qui non è la perdita della vita in sé a generare ansia, il tutto è molto più sottile. Il cronometro segnala una scorta di quindici secondi. Una parete su cui issarsi e una cor-

Ring#3 sa sospesi su di un parallelepipedo separano l’utente dall’ultimo doblone. Il ticchettio frenetico, sempre più frenetico, ancora più frenetico delle lancette viene seguito dai battiti del cuore. Oplà, corsetta, posizionamento ed ecco Mario perfettamente allineato con il proprio obiettivo. Una capriola all’indietro o un decollo ad elica è ciò che serve per bloccare i secondi e far apparire la ricompensa. Primo tentativo: la mossa non riesce (meno 8 secondi). Tentativo numero due: altro errore. Le mani sudano (i secondi sono scesi a 5). In un instante che sembra eterno si cerca la calma necessaria (ancora 4 e 80), si sistema l’idraulico in modo perfetto (meno 4 e 05), si tira un lungo respiro (il ticchettio cadenza i 3 e 12) e A è premuto. Mario si innalza (meno 2 e 25), si flette avvolgendosi su se stesso (ancora 1 e 92), il cronometro si blocca e appare il Sole Custode. Gli attimi di panico sono stati intensi, addirittura più che in Silent Hill 2. In questo caso il terrore ha preso la forma della mancata riuscita dell’opera, della tensione che coglie quando si è a un passo dalla meta. E ancora più destabilizzante e sudorifera è la traversata del ponte rotante che collega il luogo in cui era situata l’ultima moneta rossa alla piattaforma su cui fluttua l’agognato astro scintillante, perché cadere equivarrebbe ad aver accarezzato il sogno quasi sino in fondo. “Ma anche il terrore come perfetto bilanciamento di gameplay e di game design…” Il terrore, esplicitato da sudorazione palmare eccessiva, sguardo inamovibile sul video e palpitazioni pre-arresto cardiaco, è la colonna portante del game design di classe, non solo di quello a sfondo horror. Ed è un terrore ansiolitico e analogico, in quanto capace di vari gradi di intensità: dalla morte ininfluente al passo falso epocale. Gestirne l’avvicendamento non è da tutti, Super Mario Sunshine lo fa con eleganza,

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con aritmica perfezione. Dai salti nel vuoto preventivati, obolo da pagare per l’iniziazione agli azzardi di alcuni stage, agli errori da autocrocifissione, la respirazione e il tracciato cardiaco si imbarcano in una corsa su un imprevedibile ottovolante videoludico. Tra picchiate soffocanti e salite pre-mortem, Super Mario Sunshine mostra un ghigno satanico, un ghigno evocatore di pura ansia. Ergendosi, proprio lui col suo carico di funghi solarità e monetine, al rango di platform terrorizzante. “Il terrore non come paura, spavento e raccapriccio. Non solo perlomeno. Il terrore anche come ansia, come paura di fallire o di perdere un personaggio a cui ci si affeziona…” Quella generata da Super Mario Sunshine è la classica ansia da prestazione, quella che rischia di far fare cilecca nei momenti più importanti. E non è solo una questione sessuale, è anzi uno dei cardini del game design, in particolare di quello di vecchia scuola. Come nel sogno narrato in apertura, può essere il terrore di fallire nelle responsabilità nei confronti di altri (la bella ragazza del sogno come la Yorda di Ico, dove ogni secondo passato lontani dall’eterea fanciulla è generatore di genuina apprensione e terrore per la sua possibile dipartita), ma anche il fallimento personale, quello vissuto sulla propria pelle. Non il fallimento generico, bensì quello maturato nel momento cruciale, quando si ha a portata di mano la vittoria. E’ la schivata che prelude al colpo fatale che stroncherà l’ultimo boss di Onimusha, è la sventagliata di laser capace di migliorare il proprio record di chain a Ikaruga, è il tornante prima del traguardo in un giro perfetto a Ferrari F355. Definendo ulteriormente il concetto, si potrebbe delimitare il campo dell’ansia da prestazione nei recinti della “perdita”. Nel caso di Silent Hill 2 è la perdita di tempo come recalcitrante volontà di rivisitare sezioni già


:FRAMES: esplorate. Nel caso di un coin op invece (luogo ludico dove, differentemente dalla fruizione casalinga, la soglia dell’ansia analogica è ben più alta, in quanto ogni vita conta) è la perdita dei soldi investiti. In Super Mario Sunshine il terrore deriva dal colpo di spugna

Ring#3 in agguato a ogni ostacolo, quello che deterge ruvidamente il sudore di tanti sforzi, senza lasciarne traccia. Il videogioco vive dei contrasti dell’agrodolce: la vittoria sfiorata/la vittoria conseguita, il vuoto cosmicogastrico/la distensione del vittorioso. La tregua emozionale è

solo un anticamera al servizio di una sublimazione delle discrepanze tra tali stati d’animo. Un prodotto videoludico che non intercetti queste coordinate difficilmente può coinvolgere. Perché il vero game design è ansiogeno. Perché il videogioco è terrore.

Editoria al Kilo_________________ ________

[Il meglio del meglio in comode dispense]

di Emalord "Buongiorno Beppe! Mi dà per favore le recensioni ed il TFP di Super Console, l'angolo multimediale di Evolution, la Japan Republic di Game Republic e il Made in Japan di PSMANIA2.0 cortesemente? Si, grazie. Quanto era al kilo? Bene. Guardi, mi rimane ancora 1 Euro e ho finito la carta da culo. Mi dà cortesemente una parte qualsiasi di Consolemania? Grazie, ci vediamo il mese prossimo"

Se questo fosse un mondo perfetto l'Editoria Videoludica Italiana sarebbe suddivisa in comode dispense e venduta al kilo. Ogni mese spendo una ventina circa di Euro per assicurarmi le riviste sopracitate più una qualsiasi delle decine di altre, a seconda che trovi la copertina e le recensioni attraenti al momento. Questo perché la varietà di fonti e di opinioni è importante per avere un'informazione il più variegata e meno manipolata possibile, e credo che nonostante il costante aggiornamento e miglioramento della situazione editoriale on-line il futuro della carta

stampata sia per il momento tutt'altro che in pericolo. A parte Ring, che di mese in mese presenta una versione PDF sempre più elaborata e curata, il resto delle e-zine soffre del terrificante problema di non essere usufruibile off-line, dove per off-line intendo "comodamente seduti sul trono di ceramica". Stephen King ha scritto che se i politici discutessero dei problemi del mondo comodamente seduti sul water l'umanità intiera ne guadagnerebbe, e non posso che concordare con lui. Nessun momento della giornata è più rilassante dell'appuntamento con la tazza del cesso, e non c'è niente di più godurioso in tale momento che sfogliare per delle mezz'ore la nostra rivista preferita, mentre l'aria diventa satura di contenuti pregni di significato. "Finché l'uomo continuerà a cagare, l'editoria videoludica italiana non è in pericolo" ha scritto tale Emalord giusto 5 secondi fa, con gran fortuna dell'editoria in genere e di Consolemania nello specifico, vien da pensare. Ma neppure l'uomo che in assoluto si trova più a suo agio sul water può apprezzare nella sua interezza una qualsiasi rivista. Questo perché gli uomini sono tutti diversi tra loro, e perché ogni rivista ha punti di forza minati da fonti di noia sparse tra le fila. Ed è questo il motivo primario che mi spinge a spendere

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ogni mese 40mila delle vecchie Lire. Certo che a pensarci è un peccato. Perché i soldi non crescono sugli alberi e perché gli alberi li segano per farci le riviste di videogames. E allora? Ring ha due umilissime proposte: Progetto a] Riviste al Kilo. Si compra la Tal Rivista, si strappano le inutili pagine di anteprime che di norma creano incontrollate e spesso pilotate sindromi da hype, quelle con il making-of dell'ennesimo prodotto che verrà posticipato per anni nonchè quelle che trattano di creazione e post-produzione di un videogioco. Infine si presentano i brandelli che rimangono all'edicolante, che dopo una pesata ci dice quanto pagare.

Progetto b] Riviste in Dispensa. Si compra la Tal Rivista, si trattengono le parti in dispensa che interessano e si danno le altre in ritorno. In questo caso si può decidere di dare un valore unitario alla singola dispensa a seconda del gradimento generale o spessore cartaceo, oppure di


:FRAMES: pagare ancora al Kilo in nome della Democrazia Editoriale. La "merce" resa dall'edicolante alla casa Editrice avrà valenza di test di gradimento e potrà eventualmente essere riciclata per future uscite evitando ulteriori sofferenze ad un'Amazzonia sempre più calva. Le redazioni ed il management capiranno quali sono le parti da modificare, quali quelle da rimuovere completamente e

Ring#3 quali quelle meritevoli di attenzione e sviluppo. Il pubblico infine avrà solo da guadagnarci. Perché dando per scontato che abbia un budget "fisso" al mese [verosimilmente abbastanza limitato], sarà libero di "investire" i propri risparmi in più rubriche di più testate, puntando solo sul meglio del meglio guadagnandoci in rapporto qualità/prezzo. Tutto questo perché a noi di Ring non dispiace volare con la

fantasia e fomentare utopie, ben consci che dovremo comunque continuare a spendere 20 Euro al mese per comprare riviste che leggiamo per un 30% e non di più. Ma se la letterina spedita in Lapponia con Posta Prioritaria dovesse arrivare a chi di dovere, chissà, il sogno potrebbe realizzarsi. Buon Natale

Amano in Giapano_______________________

[Level Report]

di Amano76 L'aereo arriva nei pressi di Osaka dopo 20 ore di volo1. Sono sveglio da 32 e non è ancora finita. Da lì dovrò prendere lo Shinkansen per Tokyo: altre cinque ore..... Nel tentativo di distrarmi dalla maratona a occhi aperti che ancora mi resta da compiere guardo fuori dal finestrino accanto a me, cercando nelle distese montuose che ho davanti la prova di aver finalmente raggiunto le "indie" che ho sognato per dieci anni, e che visito ora per la prima volta. Ed è subito "Giappone". L'aeroporto di Shin-Osaka è in realtà un isola artificiale costruita nelle acque dell'Oceano Pacifico: il risultato è che per atterrarci sopra il pilota deve fare una manovra semi-contorsionistica per prendere la quota corretta e allinearsi alla pista, girando sette volte intorno alla zona prima di sentirsi pronto. Per trenta minuti maledico l'idiota che ha pensato di saccheggiare le casse della Dieta2 con questa porcata e tutti quelli che gli hanno dato ragione votando a favore, mentre mi chiedo se l'imbecille che l'ha progettata era al corrente che il bacino oceanico a ridosso è lo stesso che da secoli produce le tsunami che disastrano le coste del suo paese. Ma vabbè, alla fine riesco a scendere.

Il treno che transita dall'aeroporto alla terraferma è stato appositamente ideato per stupire i turisti: prima che venga dato il permesso di salire dalla vocina metallica all'artoparlante, degli spazzini in tuta bianca salgono sulle carrozze spolverando il pavimento e pulendo le corsie, mentre un qualche congegno automatico fa compiere ripetuti giri di 90° gradi alle poltrone. Se volevano stupire qualcuno, non ci sono riusciti. Ma apprezzo lo sforzo da sboroni. Nel frattempo tutti i giapponesi arrivati col mio stesso volo sfilano dalle tasche i loro cellulari di ultima generazione, coperti di purikura3 e pupazzetti portafortuna: forse è una mia impressione, ma sembrano tutti costosamente identici. Quando finalmente si parte, dopo qualche minuto di viaggio vengo colto dalla vista di un bacarozzo che passeggia annoiato accanto alle mie fettone: è grosso come un dito e tutto colorato d'oro come se l'avessero appena intinto nel miele. Una terra divisa tra tecnologia futuristica e scarafaggi: piacerebbe a Cronenberg, poco ma sicuro. ___Fast Forward: l'arrivo in sala giochi In Giappone non esiste il codice civico. Gli indirizzi non permet-

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tono di risalire agilmente ad un ingresso qualsiasi, ma indicano vagamente quartiere e distretto. Turisti e indigeni sono nelle stesse condizioni: se vogliono andare da qualche parte, servono mappe e indicazioni dei vigili. Questo naturalmente facilita i giapponesi, ma chi parla solo inglese, una lingua sconosciuta al 99% della popolazione nonostante ci siano scuole che la insegnano ovunque e la televisione è bersagliata di programmi didattici dedicati, è destinato a nuotare in un mare di merda. Quello che viene in soccorso del turista qualsiasi è una delle tante assurdità di qui: i quartieri sono praticamente "a tema". C'è il quartiere dei locali, quello delle sale giochi e dei cinema, quello delle librerie, quello dei negozi di moda, quello delle feste tradizionali, quello dei negozi di tecnologia, quello delle banche, quello degli immigrati, e così via. Considerato l'oggetto della rivista che avete in mano potete facilmente immaginare quale interessasse a me. A Shinjuku, dove mi sono diretto, c'è un cinema ogni cento metri, palazzi di salette per il karaoke4 alti come se ospitassero uffici aziendali di prestigio, e sale giochi, da minimo di due piani fino ad un massimo di sei, popolate da ragazzi la cui età media è indicibilmente alta (so-


:FRAMES: pra i vent'anni) con acconciature che pensavo avessero solo i personaggi di Nomura. Non mi stupisce che il Giappone sia la patria del cosplay5 (tra le tante cose di cui è patria): la gente va vestita e pettinata come se stesse affrontando la prova generale per una festa in costume. Le sale giochi sono diverse da quelle italiane sotto molti aspetti. Ogni cabinato ha la sua rispettiva seggiolina comoda e un set di comandi in stato impeccabile (niente pulsanti che non funzionano o leve troppo molli), e quelli dedicati ai giochi multi-utente (picchiaduro, sparatutto a squadre, giochi di corsa) invece di essere messi una accanto all'altro come da noi, sono messi di fronte a vicenda in modo tale che lo schermo nasconda un contendente all'altro. Dubito che sia per evitare le risse, ma tanta discrezione mi commuove. ________Le grandi verità di zio Amano Trovare un cabinato di Tekken 4 era una vera impresa. E quando riuscivo a trovarlo, era deserto. Virtua Fighter 4 invece non c'era bisogno di cercarlo: era ovunque. Tutte le sale giochi avevano poster giganti che annunciavano l'arrivo dell'ultima edizione, l'Evolution: i suoi cabinati erano circondati da un tripudio di gente che incitava i giocatori solo a partita finita, lasciando che tutto si svolgesse nel silenzio più assoluto fino alla conclusione del combattimento, mentre tanto i vincitori quanto i perdenti mostravano compostamente le loro reazioni. Affollatissimo anche il cabinato di Gundam – Federation vs Zion –, sparatutto a quattro giocatori che da due anni è in testa alle classifiche di gradimento. Si vedeva. E se la Snk è fallita di sicuro non è stata colpa dell'insuccesso dei King of Fighters, le cui edizioni dal 1998 in poi sono tutte (tutte!) presenti in ogni sala giochi e perennemente occupate. Trafficatissimo Guilty Gear

Ring#3 XX, nonostante le versioni per Dreamcast e Ps2 non abbiano venduto poi tanto. Un esempio palese di come in realtà cabinati e console casalinghe più che spartire lo stesso pubblico, ne hanno una parte in comune e niente più. Per il resto le faune che appartengono alle rispettive categorie sono completamente distinte. Gli arcade sono a quanto pare, luogo di ritrovo e bazzico per i tamarri, mentre Ps2 e compagnia sono pascolo di gracili miopi e di ragazze coi brufoli. Per farsi un idea di quest'ultima fetta di pubblico basta andare nei negozi di guide strategiche. Mentre le sale per arcade sono un luogo sociale e i "trucchetti" sono il frutto di osservazione assidua o di passaparola incessante, le console sono di fatto il mondo degli Shinji Ikari6 videoludici: guardacaso mentre le guide dei coin-op sono praticamente inesistenti e circoscritte ai picchiaduro (di Ikaruga ad esempio non è uscita la guida finchè non è stata venduta l'edizione per Dreamcast) quelle per titoli Ps2, Gamecube, Gba etc, sono impilate in scaffali enormi di fronte ai quali folle di gente sono impegnate in lunghi tate-yomi7. In genere le code più sostanziose di ragazzi si assiepavano intorno alla sezione delle simulazioni d'appuntamento, un genere talmente specifico da avere prodotto filoni di ogni risma, mentre le ragazze si raccoglievano a gruppetti intorno alla sezione per rpg, tenendosi tutte a braccetto forse per paura che qualcuno dei matti lì in giro se le violentasse sul posto. Con mia enorme sorpresa ho scoperto che molti giochi di ruolo che ritenevo sufficentemente virili da essere considerati "roba da maschi", hanno in realtà seguiti quasi esclusivamente femminili, come i Tales of Destiny di Namco o i Persona di Atlus. Non per niente nei negozi che ospitavano schermi giganti con le demo di Tales of Destiny 28 non c'era un solo maschio a guardarseli ed era invece pieno di ragazzine che indicavano i personaggi del video come se indicassero

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un Take That. _______Paradiso sperduto: Akihabara Questa gente abbonda in un altro quartiere a tema di Tokyo: Akihabara. Pascolo per tutti i fomentati di tecnologia, ospita enormi palazzoni lungo la via principale pieni delle ultime novità (cellulari, pc, condizionatori, lavatrici etc), mentre negozi lugubri suddividono il quartiere secondo piccole viuzze trasversali, in cui ci si perde in mezzo a cestini di pezzi di ricambio per pc e scatole di cartucce per Pc engine, Megadrive, Snes. Il loro aspetto trasandato e cupo rende questa teoria di negozi una esatta trasposizione in chiave futuristica di un qualsiasi sfasciacarrozze, o una versione "steampunk" di Blade Runner. Al loro interno è una ressa di ragazzini goffi che inciampano clamorosamente uno sull'altro, dando l'impressione di gente che prenderebbe calci nel sedere anche da un pikmin. In realtà la mia attenzione più che essere attratta da questi prodotti sociali di un mercato in cui se non puoi trombare hai a disposizione surrogati di ogni tipo (sentimentali, elettronici, plastificati o in lattice) si concentrava sui prezzi dei giochi usati: titoli per Saturn a 4 euro, titoli PlayStation a 15-25 euro, titoli Dreamcast a 7 euro; per non parlare, eh, delle cartucce per console a 16-bit. Tutto in condizioni perfette. Ovviamente ogni cosa era disposta secondo i criteri urbanistici tipici di Tokyo, perciò i negozi più invitanti erano nascosti in modo pressochè diabolico: mentre alcuni erano palesemente aperti sulla strada, altri, più grandi e con materiale ben più appetibile, si estendevano in altezza dal secondo piano in poi, annunciando il loro contenuto attraverso cartelloni messi in strada che andavano scrutati attentamente per evitare di perdersi le offerte più promettenti. Intorno a me l'età media non superava i vent'anni, mentre ogni tanto scorgevo la ca-


:FRAMES: poccia bionda di qualche occidentale intento a comprarsi giochi per Ps2 o l'ultimo grido in fatto di tecnologia giapponese (macchine fotografiche digitali e simili). Un immagine che mi riportava spiacevolmente alla mente il pensiero che, tempo due settimane, sarei stato scacciato da quel paradiso. Demone occidentale che non sono altro..... __________________Note [1 – Per spendere il meno possibile ho comprato un biglietto Roma Osaka con due scali intermedi: Roma-Milano, MilanoDubai, Dubai-Osaka. Alle 18 ore di volo dovete quindi aggiungere le soste. Ridete pure.] [2 – Il parlamento giapponese.]

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[3 – Foto adesive piccole come un unghia. Sotto scattate da macchine che invece di produrre ritratti per patenti o carte di identità, tirano fuori delle pagine di "figurine" da appiccicare sul diario o, appunto, sul cellulare.] [4 – Per evitare l'inquinamento acustico, ma anche conflitti generazionali, esistono locali per il karaoke che invece di mettere a disposizione una sala sola per tutti gli avventori hanno tante piccole stanze per ogni gruppo.] [5 – Costume play, pratica frequente durante i comic market, manifestazioni/mercato in cui gli appassionati di manga, anime, modellismo, comprano o mettono semplicemente in mo-

stra le loro creazioni. Il cosplay consiste nel vestirsi come personaggi appartenenti a videogiochi, fumetti o cartoni. Purtroppo ha preso piede anche da noi.] [6 – Protagonista di Evangelion, serie a cartoni giapponese che ha per tema centrale l'alienazione. Essendo il personaggio principale, Shinji è ovviamente il più alienato di tutti.] [7 – Lettura in piedi. In Giappone i libri possono essere sfogliati e leggiucchiati tranquillamente senza che nessuno rompa il cazzo.] [8 RPG bidimensionale per PlayStation 2.]

Il videogioco come mondo euclideo_________ di Paolo “Jumpman” Ruffino Uno degli aspetti delle scienze informatiche di cui il videogioco risente di più è la razionalità. Nel videogioco, come nella matematica, esiste solo giusto o sbagliato, corretto o scorretto, funzionante o non funzionante. Un’astrazione che però comincia a vacillare nel momento in cui il videogioco vuole essere verosimile. Nelle prime fasi della produzione videoludica non si trattava solo di una scelta etica ma anche estetica. Il bianco e nero, anzi bianco o nero di Pong non ammette sfumature. Per quel che riguarda le cosiddette “meccaniche di gioco” (espressione quanto mai abusata dalla critica videoludica e che semplicisticamente riassume in sé un concetto alquanto complesso) abbiamo sin dall’inizio degli approcci che potremmo definire da “codice binario”. La scelta, sia essa ponderata o istintiva, è sempre un

bivio. Le possibilità si riducono a destra o sinistra, sopra o sotto, sparare o non sparare. Le conseguenze sono ancora due, vivere o morire, successo o insuccesso, continuare o non continuare. Questo aut aut è talmente radicato che anche quando, con il progresso di queste meccaniche di gioco, viene permessa una terza azione, o una quarta o “infinite” e i risultati possibili aumentano di conseguenza, rimane sempre quel carattere di univocità. Non c’è spazio nel videogioco per il fraintendimento, l’approssimazione. E quando c’è viene chiamato “bug”.

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Questa univocità può essere interpretata come volontà di chiarezza espositiva. Il bisogno di essere univoco è forse volto a contrastare gli effetti di un medium allucinante per natura. Il videogioco tende ad estendere i nostri sensi in modo così forte da disorientare, è molto vicino a quella estensione totale che porterebbe alla morte psicologica dell’individuo. Ma la realtà non è univoca e non appena il videogioco ha avuto la possibilità e la volontà di simulare con maggiore realismo il nostro mondo, anche a livello estetico, sono cominciate ad apparire delle “vie di mezzo”. La barra dell’energia è forse un primo timido approccio: cominciano ad esistere numerose situazioni possibili tra vivo o morto. Con l’introduzione di controller analogici viene aumentata la capacità di movimento e di velocità del movimento, fattori regolati in modo preciso ma che impongono al


:FRAMES: giocatore di premere poco o tanto i pulsanti. E “poco” e “tanto” sono concetti relativi, tutt’altro che univoci. Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty gioca con le possibilità offerte dal controller analogico tanto che per riporre un’arma che è stata sfoderata senza cha parta un colpo bisogna rilasciare il tasto lentamente, e anche “lentamente” è un concetto relativo. Non a caso MGS2 è ad oggi il gioco in cui più è evidente la volontà di analizzare la natura fuorviante del videogioco. La netta distinzione tra ciò che si vede e ciò che non si vede è affrontata in Silent Hill, dove il protagonista si muove tra ambienti bui illuminando la sua strada con una torcia. La penombra, il punto in cui la luce si fa fioca e gli oggetti si intravedono, è un’innovazione rispetto all’estetica di Pong e non permette al giocatore di vedere chiaramente l’ambiente in cui si muove. La presenza di mostri causa delle interferenze sulla radio del protagonista ed il loro avvicinarsi viene prima sentito e poi visto. E’ impossibile però dire con certezza che tipo di mostri siano e da quale direzione vengano. Silent Hill, come MGS2, è un videogioco che vuole confondere non solo con gli elementi narrativi ma anche con la dinamica dell’interazione. Una soluzione a come poter rappresentare le infitte sfaccettature del reale in un videogioco ci è offerta dai MMORPG. E’ interessante a questo proposito una dichiarazione di Chris Trottier, designer di Maxis al lavoro sull’imminente The Sims Online: “L'interazione fra Sim ha sempre costituito uno dei punti più affascinanti e interessanti della sfida in The Sims. Ma l'intelligenza artificiale creata per i Sim gestiti dal computer poteva solo sfiorare la superficie dei vari comportamenti umani, per natura incredibilmente complessi e contradditori. Interagire reciprocamente con

Ring#3 Sim controllati e impersonati da altri essere umani è l'evoluzione più naturale a cui The Sims potesse approdare.”

In effetti la prima soluzione possibile è proprio quella di sostituire all’interazione con una macchina l’interazione con altri essere umani. Dimostrata l’impossibilità di riprodurre l’intelligenza umana artificialmente sembra proprio questa l’unica soluzione. E tutto sommato il multiplayer è la forma più naturale di videogioco, considerato che questo nasce proprio come intrattenimento per più persone: in Tennis for two, il numero di players (non possibili, ma necessari) è già espresso dal nome. Giocare col/contro il computer è una variante del videogioco, divenuta possibile solo con un certo progresso tecnologico, e che ormai si è fatta regola. Il multiplayer è la dimensione più naturale del videogioco, dunque, ma è anche vero che bisogna analizzare le forme di comunicazione possibili tra i giocatori. Nei MMORPG, e quasi sicuramente anche in The Sims Online, la comunicazione tra i giocatori sarà scritta e sappiamo che i segni del linguaggio verbale, per la proprietà che i linguisti chiamano “discretezza”, sono digitali e non analogici. Non esistono vie di mezzo tra un segno ed un altro, per intenderci: non ci sono forme intermedie tra una lettera ed un’altra. C’è una differenza ben precisa tra le unità di una lingua, una differenza netta e non quantitativa o relativa. Forse un maggiore margine di fraintendimento è possibile in giochi online come il recente

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SOCOM dove la comunicazione avviene oralmente grazie ad un caschetto con microfono e cuffie. James Joyce adottò uno stile chiamato stream of consciousness per descrivere in modo “realistico” il flusso di pensieri dei protagonisti nel suo Ulysses. Il videogioco che vorrà avvicinarsi alla complessità del reale dovrà affrontare un cambiamento nel modo di narrare (e dunque nel modo in cui il giocatore interagisce) che sarà anche qui confuso, privo di una logica, così come il mondo che vuole rappresentare. Ma l’introduzione di controller analogici o l’interazione con altri esseri umani, come abbiamo visto, è un aggirare la questione che ci lascia lontani da una soluzione. Forse il videogioco ha la necessità di essere univoco. Forse è nella sua stessa natura di mondo euclideo, di mondo fatto di pixel e/o poligoni quantificati e quantificabili. Tutto nel videogioco può essere calcolato con esattezza attraverso la razionalità, è un mondo dominato dal rapporto di causa ed effetto dove anche i sentimenti sono espressi numericamente. Il videogioco chiede continuamente di decidere, agire razionalmente, e pertanto è costretto a mostrare sempre tutto. Chiedergli di nascondere/nascondersi è forse chiedergli troppo.

Errata Corrige

Nella recensione di Castlevania: Harmony of Dissonance, del precedente numero di Ring, il voto dato al gioco risultava essere: ‘A’. Purtroppo, a causa del mancato arrivo della bustarella promessa da Konami, il consiglio di Ring ha deciso all’unanimità di abbasarlo a ‘B’. E che questo serva da lezione per tutte le software house.


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Il Sogno di un Cuore Nero_________________ [Visioni] di Gatsu Ricordava ancora le sbarre fredde della gabbia e la dolorosa sensazione di avere la pelle ricoperta dalle ustioni del gelo. Aveva scelto di essere ribelle, ma in cuor suo sapeva di esser solo incapace di arrendersi all’evidenza, aggrappata ad un miraggio che sapeva si sarebbe infranto all’alba. Ma per una volta nella sua vita, decise, avrebbe fantasticato di essere quello che non è, in un altro corpo, in un altro luogo. Nacque pura e radiosa, essere di luce ammantato di incontaminato splendore. Dondolava malinconica in una stanza fredda e buia, annerita dal fumo delle torce. Lo stava aspettando, perchè sapeva che sarebbe venuto.

Per quel giorno le era concesso di vedere il mondo con occhi nuovi e tersi, scorgere non la notte calare, ma il sole sorgere. Sapeva qualcosa di lui, sua madre gliene aveva parlato. Era un dannato, nato deforme e per questo destinato al sacrificio. L’avevano chiuso in un sarcofago, dicevano, ma lei sapeva che questo non sarebbe bastato a farlo arrendere. Appartenevano a due mondi diversi, lontani mille anni luce, eppure lei credeva che per un giorno, un giorno soltanto, i due universi si sarebbero fusi in un unico grande sogno. Poteva percepire le vibrazioni della sua mente e del suo animo, e sentiva che quel ragazzo era puro e gentile.

Ora lo udiva correre nei corridoi, saltare e arrampicarsi, stringere i denti e mugugnare a se stesso parole di incoraggiamento, mentre cercava la via d’uscita in quel labirinto di sale abbandonate e polverose. Irruppe nella stanza poco dopo, alzando gli occhi stupito verso la gabbia. Alta, altissima era la torre dov’era imprigionata, eppure osservava il ragazzo lanciarsi nel vuoto e appendersi, per subito rialzarsi e ricominciare il suo lungo viaggio verso di lei, scalciando contro le avversità che lo separavano dalla meta. Lui urlò qualcosa, un suono dolce in una lingua che lei non conosceva, ma non servivano traduzioni per sapere che voleva dire semplicemente “Andiamo”. Sapeva di non aver tempo per pensare, le tenebre sarebbero presto venute a riprenderla. Allungò la mano verso di lui e si lasciò trascinare in un sogno dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi. Sorrideva fra se e se, mentre il piccolo uomo si impegnava per non lasciarla indietro, per non abbandonarla mai anche quando le ombre cercavano di riportarla nel suo mondo. E sì, forse in quella manciata di ore aveva iniziato a provare qualcosa per quel bambino condannato dalle corna che aveva in testa. Piccolo demone lo chiamavano gli altri. Lei non seppe mai il suo vero nome, ma in silenzio lo battezzò Ico, che nella sua lingua voleva dire “luce”. Era una parola proibita, ma in fondo all’anima serbava la consapevolezza che fra i due era il giovane quello ammantato di amore accecante. Attraverso immense stanze vuote, ponti sospesi nel nulla e

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rovine di una civiltà che perfino lei aveva dimenticato, perse il senso del tempo e dello spazio. Sotto di loro il mare dorato sospirava canzoni segrete, mentre il grigio orizzonte si perdeva oltre i confini del mondo. Avrebbe voluto stringere per sempre la mano del fragile uomo. Una mano pulsante di vita e calore, molto, troppo diversa dalla sua, semplice riflesso di una gelida luna destinata a tramontare.

Ico sfidò l’ombra più grande, il buio-madre, e vinse, stremato. Lei lo tenne stretto fra le braccia e lo cullò, sapendo che presto avrebbe dovuto abbandonarlo. Lo posò delicatamente sul fondo di una barca e la spinse in acqua. Avrebbe voluto seguirlo, ma conosceva il suo destino e sapeva che non era possibile. Il bianco di cui era vestita iniziò a sgretolarsi come il castello in cui il suo sogno era cominciato e finito. Lo osservò scomparire all’orizzonte, mentre l‘oscurità reclamava il suo nome. Ridivenne ombra, e con gli occhi colmi di lacrime si addentrò per l’ultima volta nelle tenebre da cui veniva. Fu la prima fra loro a scomparire, tenendosi le mani strette al petto, come se il suo cuore nero si fosse frantumato in mille pezzi.


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Acciaio è il colore della notte______ ________ [Ninja Masters] di Emalord "Millecinquecento anni fa, in Giappone, il principe reggente Shotoku scese in guerra contro Moriya, un nobile confinante con il suo Stato. Desideroso di ottenere informazioni sulle forze e sulle intenzioni del nemico assoldò un guerriero sceso dai monti: Otomo-no-Saajin, nome che probabilmente significava semplicemente "Otomo l'astuto". Il suo contributo fu determinante per la vittoria del principe che riconoscente e memore dell'ideogramma che compariva nel 13° capitolo del libro di Sun-Tzu, lo insignì del titolo di "Shinobi", colui che si insinua. Dal quel momento l'intreccio complesso di InSen-Shu, Fa-Shu, Shugendo e molte altre discipline sarebbe stato conosciuto con il nome giapponese di Shinobijutsu, o più comunemente, Ninjutsu" Bruno Abbietti- Ninjutsu, L'arte dell'Invisibilità- Ed. Mediterranee 1986

_______Sasuke, il ninja più autentico “Tutti noi abbiamo avuto un periodo ninja”

Non riesco a dimenticare queste parole, proferitemi da un caro amico. Probabilmente perché è vero. Se per ‘tutti noi’, intendiamo noi popolo di videoplayer, è innegabile che c’è stato un momento in cui gran parte dei cabinati nipponici importati nel nostro stivale sono stati caratterizzati da questi guerrieri nerovestiti che consideravano la notte come la compagna più fedele. Un periodo florido fatto di piattaforme, magie devastanti, enormi samurai, un periodo in cui si poteva respirare in un videogioco la stessa magia evocata da serie televisive arrivate fresche fresche dal Giappone. Gli anni '80 avevano appena fatto il loro esordio nella Storia e le prime TV commerciali trasmettevano nel palinsesto pomeridiano le avventure del piccolo ninja Sasuke [1968 - Produzione TCJ (Eiken), Regia Kiyoshi Onishi, Storia originale Sampei Shirato, Sceneggiatura Junzo Tashiro] che allevato affettuosamente dal padre imparava in un'epoca fatta di ferro, magia, legno e carta di riso i rudimenti di un'arte, di un mestiere, di una vita fatta di incontri e di scontri

sempre faccia a faccia con la morte. Ma quello che veramente affascinava un alunno delle scuole elementari di allora era la possibilità che in un'epoca come il Medioevo, comunemente abbinato all'idea di violenza, soprusi, ignoranza, vi fossero persone che celavano sotto abiti di canapa e cotone rozzamente intrecciato un senso dell'onore, della cultura e del dovere che non corrispondeva di certo all'idea che ci si era fatti del Medioevo come imparato sui banchi di scuola. La differenza fondamentale stava proprio nell'ambientazione di tali avvenimenti. Il Giappone feudale, così esotico e diverso ai nostri occhi, divenne all'improvviso un luogo talmente lontano nello spazio e nel tempo da sfiorare il mito. Da una parte il barbarico Medioevo europeo dove i conventi erano gli ultimi ricettacoli di cultura, dall'altra quello nipponico grondante tradizioni, leggende, sangue, Bushido, monaci erranti e shuriken. Non che la cultura europea manchi di miti e magia, ma quella consapevolezza del nostro bagaglio culturale che si raggiunge solo ad una certa età era stata bellamente sorpassata dal bagaglio culturale nipponico, sparatoci in testa da un tubo catodico amico dei nostri pomeriggi adolescenziali.

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Da una parte la culturatartaruga che accresciamo dentro di noi di giorno in giorno, dall'altra la cultura-lepre che ci viene inculcata da uno schermo piatto e dai contenuti sempre più piatti. _______Ninja e Videogames Paradossalmente, l'anime del piccolo Sasuke è stata in assoluto la testimonianza più autentica e verosimile [seppur romanzata ed amplificata per ovvi motivi narrativi e di ritmo] della vita quotidiana di uno shinobi. Gli anime e film successivi, per cavalcare l'onda del successo generato dal fenomeno ninja di metà anni '80, hanno enfatizzato troppo i lati più appariscenti e leggendari dei Guerrieri della Notte perdendo di vista il loro lato più umano e romantico, generando film, videogames e merchandising che nulla avevano a che fare con la filosofia del ninjutsu, se non il personaggio principale [per tacere delle tartarughe mutanti]. Ed è un peccato, perché un ninja non è soltanto un personaggio carismatico perfetto per un romanzo. E' innanzitutto un uomo in carne ed ossa, con diverse sfaccettature e abilità che contribuiscono a renderlo un uomo più speciale di altri. Non per dei superpoteri acquisiti per vie traverse, ma per una conoscenza del proprio corpo e del proprio spirito basata su decine


:INDEPTH: di anni di studio e di esperienza. Personaggi affascinanti, i ninja, perché non seguivano nessuna regola, salvo quella di portare a termine il loro compito principale: uccidere. E questo provocava il disprezzo dei samurai, ligi al ferreo codice del Bushido ma pronti ad uccidere un contadino solo per provare il filo della nuova katana, dei signorotti locali, che ne criticavano la ferocia e lo studio della magia mentre li utilizzavano in segreto per raggiungere i loro scopi, e della gente comune, che li temeva come assassini e stregoni. I ninja erano una casta a parte, con un proprio orgoglio, una propria storia, un proprio codice. Erano guerrieri, chimici, erboristi, fabbri, atleti, strateghi. Un ninja non era nessuno, ed era tutti gli uomini del mondo. Era solo, ma era anche l'adepto di un Clan al quale doveva il rispetto e la propria vita. Affascinato come tanti miei coetanei da questi personaggi così unici, non ho mai perso occasione di provare almeno per qualche partita i coin-op o videogames per console che li avevano come protagonisti. Tre sono stati i grandi titoli che hanno segnato il mio passato di ninja-player, su un numero totale che sfugge a qualsiasi quantificazione, viste anche le varianti demenziali e i prodotti in cui i ninja comparivano come guest-stars [Gunsmoke, Street Fighter e Aero Fighters per citare tre-nomitre]. Tre titoli che però necessitano di una breve introduzione circa le modalità di valutazione adottate, per chiarire quella che comunque rimane un'opinione personalissima. ___Tre è il numero perfetto Il metro di valutazione per giudicare un ninja-game e distinguerlo nella massa si basa su tre-qualità-tre imprescindibili a mio modesto avviso. Un terzetto di parametri che non valgono in senso generale quando si parla di coin-op, ma che assumono un'importanza fonda-

Ring#3 mentale nel nostro contesto alla luce delle decine di produzioni a tema, sovente banali prodotti piattaformici che puntavano sul carisma occhiomandorlato dei protagonisti per ricavarne sacchi di ryo in cambio di un pugno di riso [leggasi: il massimo guadagno con il minimo impegno]. 1] Coerenza Storico/Ambientale. Quando si parla di ninja si parla anche di medioevo, samurai, monaci erranti, magie, contadini & villici, case di legno & risaie. Ambientare un ninja-game al di fuori del precipuo contesto storico non equivale di certo ad una bestemmia ludica, è però vero che un'ambientazione ad-hoc valorizza non poco un prodotto a tema. Revenge of Shinobi [Sega-Megadrive1989] è al riguardo un gradevolissimo ibrido. Alterna infatti livelli cittadini comunque ben costruiti a località in tema come giardini di antiche ville nipponiche, cascate, sotterranei di castelli. Un ottimo esempio di ambientazione moderna con molti richiami al passato, sintomo di massima cura nella realizzazione di un prodotto che, di fatto, è uno dei migliori ninja-game di sempre. 2] Coerenza Costumistico Attitudinale. I ninja possiedono un repertorio di armi, costumi e attitudini fisiche ben definite. Mettere un lanciarazzi nelle mani di un ninja, vestirlo di bianco con finiture rosso & oro, non sfruttare le sue attitudini al salto, alla magia e alla mimetizzazione [che si attua tramite un costume scuro e poco aderente al corpo per smussarne le forme] significa semplicemente sorvolare su troppe cose per ambire alla gloria imperitura. Capirete quindi perché un prodotto come Shadow Dancer [Sega-Coinop/Megadrive-1989] non rientra di certo nella Top3 di Ring. Perché lo spettacolo di un ninja con pigiama biancorosso, shuriken giallorosse, avversari gialloviola ed un cane da passeggio microdimensionato è davvero troppo brutto da osservare, an-

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che per chi ha una katana appesa al muro della propria stanza e recita il kuji-kiri1 tutte le sere prima di andare a letto. 3] Gameplay d'acciaio. Quando si parla di ninja si corre sempre il rischio di rimanere abbagliati, illusi, vittime di un gioco di fumo e di luce. Proprio per questo non bisogna fare l'errore di giudicare un ninjagame solamente per caratteristiche estetiche o prestazioni tecniche, quanto per un insieme di contenuti dove il gameplay recita sempre e comunque un ruolo di primaria importanza. :Anello di Bronzo: The Legend Of Kage [Taito, 1984] Il primo dei motivi per cui The Legend of Kage è rimasto nel cuore di chi scrive è che questo prodotto di Taito è stato il debutto dei coin-op ninja nella sala giochi che frequentavo abitualmente. E come per tutte le "prime volte", è un qualcosa che si fa davvero fatica a scordare.

Kage, il ninja di turno, deve salvare la sua principessa dalle mani di un perfido signorotto locale. La trama, inutile come una cerbottana a cannamozza, è solo un pretesto per slanciare un pixellosissimo ninja senza abito nero d'ordinanza [lo Shinobi-Shozoku] attraverso trelivelli-tre che si ripetono ad oltranza variando unicamente i cromatismi degli sfondi giusto per non incorrere in imprecazioni poco shintoiste da parte dei giocatori. Ricapitolando in brevis: trama inesistente, realizzazione


:INDEPTH: tecnica datata, ambientazione essenziale. Vedo enormi punti interrogativi comparire sopra la vostra testa, pur in assenza dell'uomo-col-codec, ma fugherò subito i vostri dubbi riportandovi con lo sguardo qualche linea più sopra, ove ho specificato "Il primo dei motivi per cui è rimasto nel cuore di chi scrive..". Si, perché nella sua mediocrità superficiale The Legend of Kage è un ninja-game con tutti i crismi del caso, peccando solamente sotto un aspetto. L'ambientazione, per quanto limitata e semplicistica è semplicemente una delle più fedeli al contesto storico in cui i ninja si muovevano. Possono bastare un bosco, una strada di montagna ed un castello feudale a "fare" un gioco di ninja? Era una domanda retorica. In ogni caso incasso eventuali repliche e rispondo con un jab alla mandibola: cosa c'entrano gli elementi cyborg, le ambientazioni moderne e cittadine, le armi improbabili, con i ninja? Arcade come Dragon Ninja [Data East, 1988] o Ninja Warriors [Taito, 1987], pur brillando per prestazioni tecniche erano completamente avulsi dall'ambientazione medieval-nipponica che di fatto contribuisce per buona parte al fascino dei guerrieri della notte. Stiamo parlando di ottimi prodotti, coin-op di successo, due giochi a tema che però nulla hanno da spartire con la filosofia e la storia che sono alle fondamenta della leggenda ninja. The Legend of Kage di dimostra tenacemente aderente anche al fattore Coerenza Costumistico - Attitudinale. Kage usa gli shuriken per colpire a distanza e il Wakizashi [una katana a lama corta] nel corpo a corpo, le sue nemesi usano le medesime armi bianche mentre i monaci erranti si distinguono infierendo sul giovane guerriero con magiche lingue di fuoco. I costumi dei personaggi, per quanto limitati in numero, sono consoni alle rappresentazioni dell'epoca [in particolare i monaci, con il caratteristico cesto

Ring#3 di vimini in testa] e l'intero gameplay è basato sulla corsa e su altissimi salti, abilità fra le prime che venivano insegnate agli allievi delle scuole ninja. Vedere Kage che salta per interi minuti fra i rami degli alberi nel primo livello, pur nella sobrietà grafica, è uno spettacolo molto più affascinante che vedere due energumeni in canotta nera affrontare torme di ninja in una fogna [cfr. Dragon Ninja-Data East, 1988]. Si parlava di un unico difetto. Ed è da ricercarsi nel gameplay. In effetti tutto il gioco è un continuo saltare, correre, schivare o parare shuriken. Oltre che passare gli avversari a fil di katana. Niente di più, niente di meno. Ma non dobbiamo sottovalutare il fatto che stiamo parlando del 1984, e a quei tempi il concetto di gameplay ancora era in fase embrionale. Si pensava alla grafica, al sonoro, ai colori. L'anno dopo il mondo avrebbe fatto la conoscenza di Ghost'n'Goblins [Capcom, 1985] e da allora il trait-d'union tra gameplay e piattaforme divenne qualcosa di più concreto e percettibile. Prima di passare all'arcade in seconda posizione, una curiosità d'epoca. Nei primi anni '80 i coin-op pullulavano di cheat-mode più o meno nascosti. Era una specie di sfida tra programmatori e giocatori. Anzi no, di più. Era un gioco nel gioco, una sorta di legame di complicità che si creava tra i designer e gli utenti finali. Anche The Legend of Kage aveva un piccolo trucco nascosto. Nascosto così bene da essere sotto gli occhi di tutti. In pratica, la filosofia ninja applicata agli arcade. In breve, si poteva giocare senza pagare un soldo. I motivi che stanno alla base di questo cheat mi sono ignoti, forse nascondevano una polemica dei dipendenti Taito verso la casa madre, ma sta di fatto che durante il rolling-demo, anche in presenza della scritta Game Over- Insert Coins, bastava prendere in mano il joystick ed il protagonista

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saltava, lanciava shuriken e dava spadate secondo gli ordini impartitigli. Il controllo non era perfetto come durante la fruizione pecuniaria, ma ciò nondimeno si poteva giocare, e paradossalmente raggiungere il Game Over nel Game Over. La cosa più ninja che io abbia mai visto, qualsiasi cosa voglia dire. :Anello d'Argento: _____Shinobi [Sega, 1987] Non faccio in tempo a dettare le regole che mi trovo subito a metterle in discussione. Ma il Tao è sempre lì, a dirci che comunque non esistono valori fissi ed incrollabili. E Shinobi è il grimaldello che mi permette di farlo senza troppe recriminazioni.

Il prodotto Sega non brilla particolarmente nei fattori di coerenza summenzionati ma sfoggia un gameplay d'acciaio temperato, bruto e semplicemente perfetto. Da un lato una combinazione letale di gamedesign e fantasia, dall'altro l'opportuna assenza di particolari troppo barocchi o funky che ne avrebbero sminuito il giudizio. Spiando di nascosto lo storyboard, veniamo a sapere che l'eroe di turno deve affrontare un'organizzazione terroristica ai giorni nostri attraverso una serie di livelli a scrolling orizzontale, ognuno presidiato da un boss particolarmente ostico. Un arcade sicuramente tipico nella sua struttura, ma con un senso del ritmo e della struttura secondo a nessuno. Sotto l'aspetto della coerenza storico-ambientale il prodotto Sega non ridonda, essendo


:INDEPTH: ambientato nella nostra epoca, ma come è successo anche per il suo ideale seguito su Megadrive i designer hanno realizzato un mondo "moderno" senza fronzoli né particolari troppo distintivi. In tutto il gioco non compaiono motociclette, automobili, pullman, mezzi blindati, quasi a voler mantenere il fascino del combattimento all'arma bianca anche in un'ambientazione attualissima. Unica concessione allo spettacolo un elicottero da cui si proietta una masnada di ninja Level-Boss ma il tutto è solo per garantire per l'ennesima volta quel perfetto e bastardissimo pattern di attacco presente lungo tutto il gioco, con ninja che offendono sia dal basso che dall'alto contemporaneamente. Prendendo un altro celeberrimo coin-op a confronto, Ninja Gaiden [Tecmo, 1988] che condivide con Shinobi la stessa ambientazione cittadina, non si può non rimarcare in quest'ultimo una "fumetizzazione" del prodotto, con colori troppo accesi, nemici eccessivi nella loro caratterizzazione ed una difficoltà troppo marcata e mal bilanciata fin dalle prime schermate. A completare il simpatico quadretto di Tecmo mancano, davvero, delle tartarughe mutanti con sai e nunchaku. Parlando di coerenza costumistico-attitudinale, il coin-op non si distingue ma nemmeno cade in grossolane esagerazioni. Lo shinobi veste di nero, usa shuriken a distanza e katana da distanza ravvicinata, inoltre può lanciare magie che fungono da smart-bomb e anche la tipica abilità nel salto è perfettamente inserita nel gameplay. I suoi nemici sono moderni punk e militari che al contrario di altri prodotti non fanno mai l'errore di risultare troppo pacchiani, integrandosi perfettamente con la struttura dei livelli. Unica nota biasimabile la colorazione eccessivamente vivace di alcuni ninja avversari, dettaglio che però, per l'ennesima volta, non è casuale visto che ad ogni colore corrisponde una precisa abilità. Il colore come un messaggio al videoplayer. Un codice da scomporre

Ring#3 e portare a proprio vantaggio e non una semplice esibizione di varietà cromatica come invece prerogativa di altri coin-op a tema. Sicuramente un gioco eccezionale, piacevole, duraturo e perfettamente bilanciato. Ogni attacco nemico è soggetto a pattern perfettamente studiati nei modi e nei tempi. Grazie ad un sapiente sfruttamento dei due piani di gioco presenti [il player può avanzare sia in primo piano che nel background, azione che si traduce nel saltare su piani rialzati o dietro barriere architettoniche], è possibile, con un poco di pratica ed intuito, arrivare alla fine del gioco investendo un solo gettone. Shinobi è stato per chi scrive una rivelazione. Non solo in quanto splendido ninja-game ma soprattutto perché, a livello di gameplay, progettazione dei livelli e boss-design è a tutt'oggi uno dei migliori e meglio confezionati coin-op della storia. Un gioco quasi perfetto, per battere il quale ci voleva una combinazione superiore dei treparametri-tre di giudizio. :Anello d'Oro: Ninja Spirit [Irem, 1988] Molti di voi forse neppure conosceranno questo coin-op. Io stesso, accanito frequentatore di sale giochi, l'ho visto raramente in circolazione. Eppure questo titolo si è guadagnato l'ambita palma di ninja-game del secolo scorso a mio ringhico giudizio. Le motivazioni? Semplice: prendete tutti i lati positivi di The Legend Of Kage e Shinobi, metteteli in un calderone dove l'unica radice amara è una difficoltà troppo elevata nei livelli più avanzati, ed otterrete giocoforza la ricetta perfetta per un ninja-game di eccellente qualità complessiva. Nel preciso istante in cui il ninja di Irem comincia la sua piattaformica avventura, non si può non percepire la massima ricerca dell'avventuroso e del leggendario. Lo shinobi, che frequenta il medesimo atelier di

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Kage [dall'omonimo coin-op] si trova fin da subito circondato da ninja avversari che, comparendo tra nuvole di fumo o piombando dai più alti alberi della foresta, si frappongono tra l'eroe ed il solito, sicuramente ben retribuito, boss di fine livello. Negli istanti successivi al debutto su schermo l'attento videoplayer non può trattenere un sorriso ebete vedendo l'arsenale cui il guerriero può attingere. Possiamo scegliere in qualsiasi momento del gioco tra shuriken, katana, candelotti esplosivi e falci legate a lunghe funi [Kusari-Gama] per colpire a distanza. Non solo. Eliminando particolari avversari compaiono magiche sfere energetiche per il potenziamento dell'arma in uso [qualsiasi essa sia] anche se la CPU evidenzia con una ben visibile intermittenza qual è l'arma che in quel preciso istante è consigliabile upgradare. Avete letto bene. Per quanto l'intero ninjarsenale sia accessibile in qualsiasi istante di gioco, un ben studiato gameplay metterà il nostro eroe di fronte particolari situazioni per uscire dalle quali è necessario ricorrere all'uso di un'arma specifica. Generalmente è consigliata la katana, che debitamente potenziata lascia una scia che fa da scudo al nostro eroe, ma in particolari situazioni, come l'affollatissimo secondo livello, una nutrita scarica di shuriken è molto più efficace per ripulire lo schermo da folte schiere nemiche, mentre nel terzo livello la falce si rivela fondamentale per eliminare i samurai fucilemuniti, grazie alla sua lunghezza e rotazione.

Riassumendo: eccellente gameplay, perfetta ambientazione storica, personaggi e boss estremamente carismatici, aura di magia ed avventura persi-


:INDEPTH: stente come l'odore di un cervo sudato per tutta la durata dell'esperienza ludica. Unico difetto una difficoltà particolarmente alta, che si manifesta palesemente se si perde una vita [e tutti i potenziamenti ottenuti] nel bel mezzo di un livello infarcito di gente incazzata, cattiva e vogliosa di appendere il nostro codino nella propria residenza, a perenne ricordo della nostra sconfitta. Nonostante questo difetto che a volte genera frustrazione, il gioco si erge sopra la massa per una combo di giocabilità e fascino di ambientazione nettamente superiore a tutti i prodotti concorrenti, e si merita dunque la medaglia d'oro di Ring. Perché l'Arte non muore mai Fuoriusciti dagli anni '80, l'eco dei guerrieri delle tenebre si è lentamente spento. Non è un

Ring#3 male ovviamente, visto che stiamo parlando di un'Arte che si è sempre trovata a suo agio quando le luci della ribalta erano spente. Nell'ultima decade del secolo scorso, di ninja si è parlato solo ed esclusivamente in campo videoludico. Sparite le palestre di ninjutsu e chi vendeva antichi e rari oggetti per corrispondenza, sparito il clamore del cinema, messi in armadio i fosforescenti costumi di scena per i ninja-della-domenica, si è tornati nella situazione più consona per vivere e percepire l'Arte nella sua essenza più vera. Due celeberrimi franchise come Ninja Gaiden e Shinobi stanno tornando rispettivamente su XBOX e PS2 e l'augurio di tutti noi appassionati è che l'era dei giochi colorati, eccessivi e fuori tema come la gran parte della cinematografia e del merchandising dedicato venga accantonata in favore di una riscoperta delle qualità più essenziali e romantiche del gene-

re. Le stesse qualità così ben rappresentate da un cartone animato che le prime Tv commerciali ci fecero scoprire ed amare all'alba degli anni '80. Perché l'Arte non muore mai, e noi siam sempre qui pronti a goderne. __________________Note [1 Kuji-Kiri : Metodo per attingere all'energia segreta del corpo, della mente e della natura attraverso una combinazione di nove posture del corpo e delle mani, una specifica respirazione ed una particolare modulazione delle corde vocali. I nove sigilli si chiamano Rin, Pyo, To, Sha, Kai, Jin, Retsu, Zai e Zen e " l'apertura " di ognuno di questi sigilli sblocca una particolare risorsa fisica o mentale insita in ognuno di noi.]

Mitopoiesi – La creazione di un mito_________

[Final Fantasy VII]

di Ferruccio Cinquemani Sono molti i modi per naggio sta al persomisurare il carisma di naggio comune come il un personaggio. Così superuomo sta all’uocome sono molte anmo comune. E così coche le stesse definiziome il superuomo può ni di “carisma”. Innansembrare abietto per il zitutto, cosa deve essuo andare oltre le disere un personaggio? cotomie bene/male e Un fedele specchio di umano/inumano, allo ciò che è la gente costesso modo il supermune (vedi alla voce personaggio non può Sephirot: capelli bianchi e spada. “realismo manzoniache essere l’Antagonino”), o al contrario usta, con la a maiuscona scheggia impazzita, un outla. Lo stronzo cosmico, quello sider che possa mostrare l’uche bestemmia e picchia i bammanità dall’esterno (come i rebini. Il male incarnato. Almeno, plicanti di Philip Dick)? E ancodal punto di vista del protagora. Il ruolo di un personaggio nista. Sephiroth, in effetti, è il sta nell’esprimere soltanto se male incarnato, ma il punto è stesso, o consiste piuttosto nelun altro. Il vero problema è: la rappresentazione di un’idea, come si costruisce un persodi un archetipo, di un simbolo? naggio del calibro del canuto Sephiroth è l’incarnazione del antieroe? Come si può renderlo superpersonaggio. Se vi chiecapace di fare trasparire la sua dete cosa sia il superpersonagsuperiorità rispetto ai comprigio, sappiate che il superpersomari? Come rendere mito il

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personaggio di un videogame? Per spiegare perché Sephiroth è diventato uno dei personaggi più carismatici della storia dei videogames, è necessario aguzzare la vista e lucidare la memoria, analizzando il modo in cui l’antagonista di Final Fantasy VII viene presentato al giocatore. E per fare ciò bisogna mettersi il vestito buono e andare al cinema, metaforicamente parlando. E’ il 1979, e l’incessante rombo degli elicotteri ci introduce (o meglio, ci catapulta) nell’inferno vietnamita di Apocalypse Now. Per chi non abbia mai gustato il capolavoro di Francis Ford Coppola, basti dire che tutta la pellicola si basa su una ricerca. La ricerca del colonnello Kurtz (un Marlon Brando irripetibile), da parte del capitano dei servizi segreti americani Willard. La missione di


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Ring#3

nata una leggenda. Un mito. Willard consiste nella eliminaL’assenza di Kurtz-Sephiroth è zione del colonnello, ormai imin realtà solo apparente. Inpazzito in Vietnam e diventato fatti, quando vediamo gli effetti una sorta di dio all’interno della della vita e delle scelte di questi giungla in cui ha creato un picpersonaggi stiamo in realtà vecolo regno. Il film è in effetti dendo delle manifestazioni della una discesa agli inferi, un roloro potenza e della loro volonmanzo di formazione dagli actà. Li stiamo, cioè, guardando centi danteschi, pervaso da negli occhi. Piccolo esempio un’atmosfera di attesa, di attepratico. Apocalypse Now: l’alsa dell’inevitabile deicidio. Perlucinato fotoreporter Dennis ché la figura di Kurtz appare Vampire Hunter D: Hopper, all’ingresso di Willard divina non soltanto agli abitanti capelli bianchi e spada. nel villaggio di Kurtz, non fa del villaggio nella giungla creache parlare del colonnello come to dal colonnello. Il primo a vedibile. Probabilmente altri game di un’entità trascendente. Allo dere Kurtz come un dio è lo designer avrebbero mostrato uspettatore appare evidente che spettatore. Ma come si fa a forna cut-scene col combattimenquest’uomo è stato letteralzare la mente di uno spetto fra Sephiroth e il serpente, mente plasmato dal carisma e tatore? Come si fa a fargli crema in questo modo avrebbero dalla forza di Kurtz. Per l’apdere ciò che i personaggi cresminuito e banalizzato l’immapunto, si vedono gli effetti (la dono? Semplice. Facendo un gine di Sephiroth. Il team di pazzia venata di idolatria del passo alla volta. Mostrando poFinal Fantasy VII sapeva che fotoreporter), ma non le cause co a poco. Il colonnello Kurtz a quel punto del gioco il gioca(il colonnello continua a non emerge con una lentezza esatore non è ancora pronto a veapparire nello schermo). Final sperante. Accenni, frasi… per dere Sephiroth. Così della morFantasy VII: prima ancora di buona parte del film dell’ante del serpente si vede solo la capire chi o cosa sia Sephiroth tagonista si hanno solo notizie conseguenza: il corpo del rettiil giocatore riceve, coindirette, da gente le, grandissimo, smisurato, imme un pugno in faccia, che lo ha conosciuto palato su un albero. Sephiroth un improvviso segno o che ne ha sentito was there. della sua potenza. All’ parlare. Qualche foChi ha creato queste scene incirca alla fine della to, qualche citazione aveva ben chiaro in mente che permanenza dei protadel dossier in possesper rendere credibile una situagonisti a Midgar, infatti, so di Willard, e nienzione bisogna ricreare non solquesti ultimi trovano il te altro. Eppure, nel tanto la parte di mondo visibile presidente della Shinra momento in cui Kurtz Alucard: capelli dai protagonisti, ma anche bianchi e spada. assassinato. La coreofinalmente appare aquella nascosta. Il mito, ingrafia della scoperta del gli occhi di chi sta somma, la conoscenza incerta e cadavere è quanto di più spetdavanti allo schermo cinemaindiretta. Lo stupore del videotacolare ci possa essere. Quasi tografico, l’impatto è devastangiocatore di fronte a simili mamistica la composizione della te. Titanico. In quel momento nifestazioni di potenza è assiscena, con il sangue sparso per ci si convince che, sì, quell’uomilabile a quella dell’uomo pritutta la stanza e la spada di mo non può che essere un dio. mitivo di fronte a una tempeSephiroth piantata nel corpo In sostanza questo si raggiunge sta. Lo spettacolo è tanto più del malcapitato, quasi a richiacreando, all’interno dell’opera, spaventoso (o sublime, non immare l’idea di un sacrificio uuna leggenda. La leggenda di porta), quanto meno se ne comano. E ancora. Cloud e gli alKurtz, in questo caso. O la legnosce l’artefice. Kurtz e Sephitri si trovano impossibilitati a genda di Alien, nel film di Riroth hanno in comune questo: superare una zona pattugliata dley Scott. O ancora, la legsono prodigi, fenomeni, mostri da un gigantesco serpente. Per genda di Sephiroth. Si crea cioè nel senso etimologico della paevitare di essere sbranati dall’ una forzatura di ciò che lo spetrola, quello cioè di “esseri straenorme rettile devono tatore vuole. Per quanto questa ordinari”. E sono esprocurarsi dei chocobo. affermazione possa sembrare seri straordinari perNon molto difficile: da pleonastica, lo spettatore vuoché, molto sempliquelle parti c’è una le vedere (nel caso di un film), cemente, non comfattoria in cui si allee vuole giocare (nel caso di un paiono. Nel mondo vano i bizzarri uccelli. videogame). Se il regista-gadella narrazione Quando però Cloud e me designer toglie questa posquasi sempre lo compagni tornano a sibilità, il giocatore-spettatore spettatore/giocatore cavallo dei pennuti sarà semplicemente spiazzato è onnisciente. Per lo nella zona da oltrepas(che senso ha un antagonista meno, lo è nei consare, scoprono che il del tutto assente?). Ma se il refronti di ciò che è Vicious: capelli serpente è stato uccigista-game designer rende l’asnecessario che sapbianchi e spada. E so. E anche qui l’imsenza di un personaggio visibipia per potere comvolatile da spalla. patto visivo è increle, allora in quel momento sarà prendere al meglio

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:INDEPTH: la storia. In altre parole, una delle regole implicite della narrazione è che ciò che si vede è importante, il resto no. I miti sovvertono queste regole con un continuo gioco di assenza e presenza, con un continuo ri-

Ring#3 baltamento di causa ed effetto. Si diventa leggenda non quando la gente ti vede fare qualcosa di grandioso, ma quando la gente comincia a raccontare che hai fatto qualcosa di grandioso. Sephiroth è diventato un

mito proprio grazie a questo. Forse un’altra volta ci chiederemo perché questo personaggio risulti un antagonista atipico, per ora restiamo a contemplarne affascinati la grandezza del mito.

In bilICO: La favola moderna tra fiaba e anti-fiaba__ [Ico e Shrek a confronto] di Cristiano Bonora È un paragone stucchevole, imprevedibile, quello che vi propongo. Ico, il videogioco assurto allo status di poesia per acclamazione popolare, abbinato all’irriverente, ironico film di Shrek.

Che cosa può legare due produzioni in apparenza così antitetiche? Non il medium che le ospita, non il taglio stilistico che le contraddistingue, né tanto meno gli emisferi creativi che le hanno generate: la carica estroversa dell’animazione stelle e strisce e l’estro composto di uno sparuto manipolo di coder del Sol Levante. Ico e Shrek agli antipodi. No, Ico e Shrek a braccetto. Fidatevi. E che Yorda non ne abbia di che ingelosirsi… DarknessHeir nel suo Indepth ha parlato di archetipi, illustrando le potenzialità espressive della classicità di certe figure, qualora collocate all’interno di un contesto espressivo idoneo e disposte alla trasmissione di un messaggio. La tesi

che si propone in questa sede punta piuttosto a riconsiderare tali archetipi, in virtù della loro collocazione e del loro utilizzo, in ordine alla trasgressione di un ulteriore archetipo, l’archetipo favolistico. Il bambino coraggioso, la fanciulla eterea, l’orco brutto e la principessa bellissima. Tutti archetipi, non si scappa. Ma dove sono stati inseriti questi personaggi? Nell’archetipico contesto favolistico cui generalmente li associamo? Forse, ma se esiste una collocazione “esatta” ove inserire queste figure, una volta identificato un modello di narrazione favolistica a loro idoneo, di certo non è lì che sono stati incasellati. Perché Ico e Shrek, così come i loro partner, sono stati inseriti all’interno di un modello narrativo che sbugiarda immediatamente se stesso, sviluppando la propria identità artistico-narrativa nella costante tensione tra fiaba e anti-fiaba.

La fiaba de La Bella Addormentata nel Bosco la conosciamo tutti. Questo è l’archetipo favolistico cui faremo riferimento per smascherare la natura sovversiva (o meglio, sovvertita, come vedremo più avanti) del percorso narrativo di Ico e Shrek. Partiamo dalla cosa più facile: la fanciulla da salvare. No problem, ce l’abbiamo. Yorda e Fiona, entrambe bellissime, rapite a se stesse e tenute prigioniere all’interno di un castello. Ora occorre un eroe che si rimbocchi le maniche e che in un’overdose di coraggio poggi le palle sul suo fido destriero e faccia rotta verso il castello per trarre in salvo la sua bella. La sequenza introduttiva di Ico però parla chiaro: qualcuno si sta dirigendo verso il castello. E quel qualcuno è in sella a un cavallo ed è addirittura la stessa persona che cercherà di liberare Yorda. Archetipo rispettato? Macchè. Ico viene portato al castello contro la sua volon-

La Bella Addormentata nel Bosco (Disney, cinema, animazione, 1987) Celebre pellicola Disney ispirata alla favola di Charles Perrault. Una donna bellissima che non fa altro che dormire viene risvegliata dal bacio di un bellissimo principe, che dopo aver sconfitto ogni genere di mostruosità la farà vivere per sempre felice e contenta. Ha ancora senso proporre questi racconti alle già sufficientemente imbambolate bambine di oggi, che già a dieci anni se la tirano come prime donne e si fanno desiderare come droghe da ragazzini preadolescenti già asserviti alla religione del triangolo? E soprattutto, dopo anni di sonno profondo, alla principessa non sarà puzzato l'alito in maniera oltretombale?

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:INDEPTH: tà, ignaro della presenza di Yorda, e non per riscattarla dalla sua prigionia, quanto per condividerne l’infausto destino. E poi guardatelo. Sarà mica un principe? Ico sarà anche un archetipo, ma è l’archetipo di Pollicino, di Cappuccetto Rosso, del più tenero dei protagonisti di un anime. Non di un vigoroso Principe Azzurro. E Shrek? Beh, non occorre un intuito particolare per constatare fin dal primo fotogramma della pellicola la protesta antifavolistica imbastita dagli sceneggiatori di Dreamworks. Shrek esordisce mostrandosi assorto nella lettura dell’archetipo di fiaba di cui sopra, per poi rivelarsi impegnato nel mentre ad espletare le proprie funzioni biologiche, riservando quindi la medesima sorte ai frutti della propria digestione e alle pagine del libro con cui si stava intrattenendo. “Questa è merda!” pare suggerirci il prode Shrek. Tempo una mezzora di film e ritroviamo Shrek nel castello dove è custodita Fiona. Ma perbacco, Shrek è un orco cattivo (?), non un principe. È sì forte e coraggioso, ma è brutto come la fame, e per di più non si trova nel castello per sua sponte, bensì quale impiegato coatto per conto del vero (??) principe, che ha davvero poca voglia di andarsi a recuperare da solo la sua promessa sposa. Certo, l’orco rozzo e raccapricciante è un archetipo, ma qui fa le veci dell’eroe, e controvoglia per giunta, giacchè lui se ne starebbe in pace nel suo bosco a spaventare gli intrusi nella sua proprietà. E il suo destriero? Un asino. Parlante (“Sì, il difficile è farlo stare zitto!”). E volante. L’apoteosi dello scher-

Ring#3 Lady Hawke (20th Century Fox/Warner Bros, cinema, fantasy, 1995) Nella sontuosa cornice di un medioevo abruzzese il granitico Capitan Navarre e la bellissima (…) Isabeau riescono a infrangere la maledizione scagliata su di loro da un perfido vescovo geloso del loro amore. L’happy end è reso possibile solo grazie al prezioso aiuto di un bugiardissimo ladruncolo e di un sacerdote con un passato irredento, che finiscono per partecipare della gioia dei due amanti riuniti. Rivendicazione di dignità per i soggetti meno inclini all'eroismo o morale ipocrita che ribadisce la sola felicità di seconda fascia cui possono aspirare i gregari di questo mondo? Sinceramente ci sto ancora pensando.

zo della natura. Torniamo a Ico. Flash forward di una manciata di ore di gioco. Lo fotografiamo mentre corre per i corridoi tenendo per mano una strapazzata Yorda che maledice gli effetti della cinematica inversa. Il colpo d’occhio è straniante. Un soldo di cacio alto a malapena il giusto da incrociare con lo sguardo il timido seno di Yorda, si arroga un’improbabile identità di eroe, tentando di calzare i panni del principe cazzuto che condurrà la principessa fino alla libertà. Ci dobbiamo credere? E a prescindere da quello che possiamo pensare noi (che poco conta), secondo voi, Yorda ci crede? Possibile che quel ragazzino le regali la libertà che le è stata negata sin dalla nascita, e spezzi la maledizione ereditaria che la incatena agli spazi magnifici quanto spettrali di quelle mura? Laddove Ico agisce per istinto di circostanza senza porsi troppe domande (“Io e lei dobbiamo fuggire. Fuggiamo”), Yorda è tesa tra lo spiraglio effimero di libertà che quel fanciullo incarna, e la consapevolezza della volontà e forza superiore della madre, che sa non

La Bella e la Bestia (Disney, cinema, animazione, 1991) Trasposizione cinematografica della favola di Madame Leprince de Beaumont. Una donna bellissima (again), innamorata dalle straordinarie qualità umane di una creatura mostruosa, rompe con il suo bacio il sortilegio che aveva sfigurato il volto dell'amato. Né Disney né Madame de Beaumont si sono però premurati di spiegarci per quale stramaledetto motivo alla fine della fiera si debba sempre essere belli per essere felici.

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volerla libera. Quando Yorda è braccata dalle creature ombra, quando cerca da sola una via d’uscita, magari impartendo a Ico qualche suggerimento gestuale, quando si attarda o si allontana spontaneamente dal ragazzo… Yorda sa che quel fanciullo non è l’eroe della fiaba che forse conosce anche lei; e sa che Ico non la può proteggere alla maniera di un principe patentato. Ma non per questo non si fida di lui. Libertà, si diceva. Ico e Yorda. Shrek e Fiona. Nessuno di questi personaggi esordisce libero. La libertà personale di Ico gli è pregiudicata dalle protuberanze infamanti che gli “adornano” il capo. “È una minaccia per il villaggio, rinchiudiamolo nel castello”. La superstizione e la sorte infingarda hanno ammanettato l’esistenza di Ico. Yorda, asservita ai progetti della madre, è svuotata dalla medesima della propria dignità individuale, e con essa della propria libertà. La sua vita è stata programmata ad uso e consumo della genitrice. “Yorda appartiene a questo mondo”. Come dire, Yorda appartiene a me. E con lei la sua vita e la sua libertà. Shrek e Fiona non sono liberi, al pari di Ico e Yorda, e sono entrambi attivamente impegnati nella conquista della propria libertà. O perlomeno di ciò che loro intendono come tale… Shrek deve salvare Fiona per conto del principe nano Lord Farquaad, di modo che questi sgomberi il bosco del


:INDEPTH: simpatico orco infestato dai personaggi delle fiabe, restituendogli così la sua intimità, vale a dire la solitudine che Shrek ha mascherato da libertà, non potendo, a causa della sua natura mostruosa, aspirare ad alcun traguardo relazionale. Fiona, da parte sua, non aspetta altro se non che un benedetto principe si svegli, la salvi (come se non fosse capace di salvarsi da sola) e appiccicandole sulle labbra il bacio del “vero amore” (???), la affranchi dal sortilegio che durante la notte la tramuta in orco. Il paradosso risiede evidentemente nella contrapposizione degli elementi di facciata (il suo aspetto e il vero – cioè falso – amore innescabile dal primo venuto) e quelle verità autentiche che le garantirebbero libertà, ma che per ora lei ignora (un amore libero, scelto, che sublimerebbe la sua esistenza indipendentemente dalla sua forma notturna). In questa calca di prigionieri tutti anelano alla libertà, qualcuno a una libertà vera, qualcuno a una libertà da gabinetto. Ma l’intenzione è comune. Teniamolo a mente. Ico. Flash forward fino al dopoconfronto con la Regina. È un Ico con le corna spezzate quello che ci viene restituito. In tutti i sensi. La vittoria sulla madre di Yorda gli ha certificato la conquista di una libertà di significato. Il bambino ha compiuto un’impresa da eroe. Il carceriere è stato sconfitto, e la libertà acquisita con la volontà, con l’esercizio della libertà stessa, la cui attuazione potente nel duello con la Regina ha determinato la felice mutilazione delle due corna, simbolo di una libertà negata, recise dalla dimostrazione di una libertà superiore. Implacabile. Ma è un Ico con le corna spezzate quello che sopravvive allo scontro con la madre di Yorda. Nel senso più abatantuonico dell’espres-sione. Segue il momento più toccante del gioco. Yorda, ormai impressa nella nostra memoria come la fanciulla tenuta per

Ring#3 mano da Ico, prende in braccio il suo amico, non solo contraccambiando con un sol gesto la cura perpetuata dal bimbo nei suoi confronti per tutta l’avventura, ma riportando alla luce la verità di Ico. Ico è un bambino, non un Principe Azzurro. E i bambini si prendono in braccio, si coccolano. Se combattono, i bambini, si fanno male. È una Yorda materna quella che tiene fra le braccia un bimbo esausto, non un’inetta principessa stretta fra i bicipiti gommosi di un eroe mitologico. I ruoli si ribaltano, l’archetipo della favola è stracciato in mille coriandoli, o, se preferite, sprofondato nel fondo della fogna di Shrek. Ma la libertà dei due amici è acquisita? Per nulla. Yorda ormai evaporata in un’ombra sembra piegata ad una maledizione più grande della sua voglia di libertà. La Regina defunta sembra aver rivendicato il suo “diritto” di auto-perpetuazione trasferendo la sua essenza negativa e spettrale su Yorda, che ormai appare come una di quelle sagome che a lungo hanno cercato di risucchiarla nelle mura e nella realtà senza speranza del castello. Yorda è definitivamente parte del suo destino dannato e Ico è “libero” solo di sopravvivere alla sua amica. [ICO - PRIMA CHIUSA] E Shrek come se la passa? Mentre ci concentravamo su Ico e Yorda, il nostro amico orco ha provveduto a strappare Fiona dalle grinfie del drago di turno. Peccato che Shrek, a digiuno di galateo, invece di uscirsene dal castello con la principessa tra le braccia ha optato per una soluzione più pratica, sbattendosi Fiona su una spalla a mo’ di pompiere. E poi avanti tutta fino all’incomprensione tra i due, che dopo aver maturato una felice esperienza di intesa e complicità (leggi amore) si separano, per abbracciare la “libertà” cui aspiravano: Shrek se ne torna nell’isola-mento della sua foresta e Fiona si affaccia al “vero” amore con quel tappo di Lord Farquaad. Laddove in Ico è la sussistenza di un realtà mali-

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Superfrog (Team 17, Amiga, platform, 1993) Dopo irripetibili imprese piattaformiche il principe trasformato in rana riesce a trarre in salvo la sua principessa dalle grinfie della strega malvagia. Il prevedibile bacio appassionato che segue, però, non restituirà al principe il suo aspetto originale, ma tramuterà anche la principessa in un labbruta ranocchia. Semplice sarcasmo o anticipazione dei contenuti anti-favolsitici di Shrek? La prima delle due.

gna che sopravanza la libertà dei due protagonisti a decretarne la separazione, in Shrek è un opportunistico escamotage narrativo teso a imbizzarrire una trama troppo agevolmente diretta verso un lieto fine. Procediamo a marce forzate fino alle conclusioni rispettivamente di gioco e film. Ico sulla spiaggia. Una spiaggia deserta. Ico corre. Yorda. Senza giustificazioni. Senza preavviso. Bella, bianca e luminosa. Yorda. [ ICO - SECONDA CHIUSA] Film. Interrotto il matrimonio tra Fiona e il principe, una volta risolta l’incom-prensione tra gli innamorati, Shrek e Fiona suggellano il loro vero (è vero è vero, garantisco io) amore con il bacio che spezzerà il sortilegio vigente su di lei. [SHREK PRIMA CHIUSA] Ma invece di affrancarsi bellissima, Fiona si ritrova orco. Senza giustificazioni. Senza preavviso. Fiona: “Non capisco… dovrei essere bellissima.” Shrek: “Ma tu sei bellissima!” [SHREK - SECONDA CHIUSA]


:INDEPTH:

Che cosa è successo? È successo che laddove Ico, Yorda, Shrek e Fiona, sono stati dal principio imprigionati in un archetipo narrativo pur essendone intimamente estranei, il paradosso ha continuato a gonfiarsi fino a che, sul finale, la tensione tra la verità di ciò che stava accadendo e la conclusione necessaria imposta dalla convenzionalità del modello favolistico, non è esplosa sotto l’azione di una forza esterna alla storia. Il motore primo della narrazione, vale a dire quel messaggio forte che ha mosso l’artista a raccontare un certo tipo di favola, rivendica d’un tratto lo scettro della storia. La libertà vera che in entrambe le coppie ha preso la forma di una relazione, e ha trovato una manifestazione autentica all’interno della storia, “trova il modo di”. La bellezza della relazione tra gli amanti trascende ogni logica narrativa e spezza le catene del servo arbitrio. La forza superiore scaturita dai legami tra Ico e Yorda e Shrek e Fiona, incenerisce lo sterile meccanismo narrativo secondo cui Yorda avrebbe dovuto rimanere prigioniera nel castello e Fiona rimanere prigioniera di un’immagine legata a un cliché favolistico, che sarebbe stato di scandalo al compimento di una piena relazione con Shrek. E così è il desiderio che ha creato la storia (rappresentare la libertà e la bellezza di una relazione affettiva) a determinarne il finale, non la logica e i meccanismi interni alla storia medesima. Una volta creata, la bellezza, mette in fila qualsiasi altra componente dell’opera e

Ring#3 ne tiene in mano le redini tanto del significato, quanto dello svolgimento. Le storie di Ico e Shrek sovvertono percorsi e significati dell’archetipo favolistico, e paradossalmente solo in questo modo riescono ad agguantare l’agognato happy end. Ico non è un principe, prova a comportarsi come tale, ma non lo è, perché è più debole della realtà che lo contrasta. La purezza favolistica di ciò che è riuscito comunque a ricreare (una libertà che lotta incondizionatamente per il proprio affrancamento e un legame con la persona amata più forte di qualsiasi plot tragico) prende il sopravvento sui meccanismi della storia. Quella stessa storia che non è altro che un archetipo favolistico che avrebbe sì potuto concludersi da sola con un lieto fine, ma solo se al posto di Ico e Yorda ci fossero stati il Principe Azzurro e la Bella Addormentata nel Bosco. Qui l’elemento sovversivo, infiltrato nell’archetipo a guisa di Cavallo di Troia, piega i meccanismi dell’archetipo medesimo e lo eleva a “storia bella”. Idem per Shrek. Il lieto fine sarebbe stato scontato se al posto dei due orchi ci fossero stati i due soliti figaccioni, ma sarebbe stato impossibile con Shrek e Fiona. Perché all’interno dell’archetipo favolistico che hanno reinterpretato, solo un principe e una principessa avrebbero potuto giurarsi amore eterno, non un orco e una principessa, con la “presunta” malignità insita nella realtà di Shrek a interferire nella pienezza del più falso degli amori, perché bisognoso di una “bella” di ruolo. “Ma tu sei bellissima!”. E con Fiona anche la sua relazione con Shrek, emancipata dai cli-

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ché favolistici e da una dipendenza della relazione stessa da meschini elementi di facciata. Ico e Shrek sono due favole moderne. Sono favole moderne perché sovvertono l’obsolescenza di un archetipo favolistico originariamente efficace, ma troppo debole e vacuo se questionato oggigiorno nelle sue implicazioni di significato. Le fiabe di Ico e Shrek assurgono così a stendardo di speranza di un riscatto ultimo per chiunque sappia dar luogo a una libertà e a un amore autentici. Per chiunque. Ragazzini sfigati e orchi compresi. E che si fottano principi e principesse. __________________Note PRIMA CHIUSA: Si intende la conclusione a cui giunge la storia per effetto dei suoi meccanismi interni, vale a dire la conclusione che rispetta i rapporti causa-effetto dettati dalla logica narrativa vigente fino a quel punto. SECONDA CHIUSA: Si intende la conclusione a cui giunge la storia per effetto di agenti esogeni: per intervento del fantastico evocato dall’agire buono dei protagonisti – indipendentemente dalla sua efficacia immediata – e dall’intenzione comunicativa a monte della storia medesima.

Precisazione

La redazione al completo desidera prendere le distanze dai contenuti espressi nell’articolo: “Consollari Dimmerda”, di Oriana Fallaci, pubblicato sul precedente numero di Ring per puro dovere di cronaca.


:INDEPTH:

Ring#3

La Storia ha Orrore dei Paradossi__________ [Soul Reaver 2] di DarknesseHeir “Così ho veduto la Passione e la Vanità battere i piedi sulla magnanima terra vivente, ma non per questo la terra alterare le sue maree e le sue stagioni.” Da Moby Dick, Herman Melville La Storia. Un enorme ordito composto da centinaia di fili; una trama sotto il cui tessuto si agita un’incalcolabile congerie di individui. Alcuni sono persi nelle loro semplici, inconsapevoli vite. Altri, al contrario, incedono decisi in una superba ascesa, nel tentativo di raggiungere e divenire uguali agli esseri che, da sopra l’immenso ordito, imperturbabili scrutano tessendo gli eventi. La Storia: un’entità ancor più elevata della stessa “terra” a cui il grandissimo Melville si riferisce.

_________Trama superiore, ordito inferiore Il primo Soul Reaver si concludeva con la fuga di Kain dal mondo disperato e corrotto di cui egli stesso, rifiutando di sacrificarsi al termine di Blood Omen, aveva deciso la completa rovina. Alle sue calcagna il vampiro aveva Raziel, un suo servitore da lui punito per un eccesso di alterigia e desideroso di vendicarsi. Imboccato un portale temporale, i due si ritrovano in un’epoca precedente alla devastazione imperante in Soul Reaver. Il mancato sacrificio di Kain deve ancora consumarsi; i Pilastri, simbolo dell’ armonia che aleggia sul regno di Nosgoth, sono ancora intatti. Tutto è, o almeno sembra, al suo principio. Uccidendo Kain, Raziel soddisferebbe il suo desiderio di vendetta. Ma non so-

lo; in questo modo salverebbe Nosgoth dalla distruzione. Medesimo il desiderio che anima Moebius, uno stregone caratterizzato da una forte brama di conquista: egli desidera uccidere Kain per riportare l’armonia (questo è ciò che egli asserisce), ma pare che non ne sia in grado con le sue sole forze. La ricerca di Raziel continua; affrancato dalla continua presenza dell’Antico, la misteriosa entità superiore che lo aveva salvato dall’oblio per commissionargli l’assassinio di Kain, il nostro si avventura per una Nosgoth che ad ogni angolo rivela in maniera sempre più manifesta la sua desolata forma incipiente. Tutti vogliono uccidere Kain. L’Antico, Moebius e Raziel. Di loro, solo per l’ultimo l’uccisione dello sfuggente vampiro è questione personale. Gli altri due, invece, vedono Kain come un ostacolo. Proseguendo nella ricerca, Raziel avrà modo di scoprire che il suo aborrito aguzzino non è tanto malvagio quanto in passato gli è apparso. “Il libero arbitrio non esiste” dice Kain, accogliendolo al suo arrivo nel passato di Nosgoth. Ed a motivare le sue parole decine di esempi vanno avvicendandosi, sino al raggiungimento della schermata finale. Esempi che in questa sede non verranno del tutto riportati: in tal modo, questo indepth si trasformerebbe in un mero esercizio di copiatura dei dialoghi delle cut scene. I concetti assiomatici di Soul Reaver 2 sono infatti enunciati in maniera esplicita dai vari personaggi. Cerchiamo, allora, di ricostruire la “morale” del titolo Crystal Dynamics.

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______“Cerchio” E “Centro” “Il futuro scorre attorno alle nostre azioni, seguendo il percorso di minor resistenza ed accettando solo i cambiamenti più sottili”. Questa sembra essere la frase attorno alla quale verte l’intera trama. La Storia (intesa come successione di eventi), è concepita come una linea circolare disseminata di falsi bivi. Non importa quale sia la direzione imboccata dagli uomini: dopo una breve deviazione, finiranno per ritrovarsi di nuovo sulla medesima “linea”. Gli eventi che plasmano la Storia sono già determinati, irreposcibili. L’unica variabile è costituita da coloro che, volontariamente o loro malgrado, partecipano a questi eventi: ognuno di essi ha un ruolo ben preciso ed impossibile da modificare, a prescindere dalla sua personalità o dalla convinzione con cui agisce. L’uomo appare come un semplice strumento della Storia, un attore che segue macchinalmente un copione che non avrà mai modo di leggere né tantomeno comprendere. Questo il messaggio coralmente emesso da Kain, l’Antico e Moebius. Ma vediamolo nei dettagli. Kain esordisce con la questione sul libero arbitrio. Come già detto, l’uomo non è che un ignaro viaggiatore sulla strada della Storia. L’Antico arricchisce il concetto, introducendo a sua volta una nuova sfumatura: la Storia si sviluppa in maniera circolare, fine ed inizio sono adiacenti. Qui viene ripreso da Moebius, il quale asserisce che il “cerchio” della Storia si dipana attorno ad un’entità ben definita: Il


:INDEPTH: Centro. Eliminando Kain, egli annullerebbe l’ultimo ostacolo che lo divide dall’ingresso del “Centro”, dall’ottenere un potere in grado di cambiare la Storia (ed ovviamente regnare su Nosgoth). E questo potere, è prerogativa esclusiva degli esseri superumani. Nell’ordito tracciato da questi presupposti si muove Raziel. A differenza degli altri tre personaggi principali,il vendicativo succhiasangue vive gli avvenimenti totalmente ignaro del loro significato. E a differenza di loro, l’unica cosa che lo eleva, seppur lievemente, dalla sua condizione di “strumento”, è la Mietitrice d’Anime, un’arma potentissima e ferale che egli stesso definisce “parassita senziente”:se nel primo Soul Reaver vampiro e spada avevano un legame simbiotico, in questo capitolo della saga è l’arma a manipolare il vampiro per chetare la sua incontenibile sete di morte. Oltre alla spada, il vendicatore possiede una volontà indomita ed una sorta di buonsenso che gli permettono di vedere oltre le apparenze e realizzare che la morte di Kain permetterebbe a Moebius di spadroneggiare su tutta Nosgoth, e quindi di trattenersi dal reclamare la sua vendetta. Raziel incarna dunque il tipico “individuo comune” e per tanto apparentemente impotente di fronte alla corrente della Storia. Un barlume di speranza: questo suo ruolo lascia evincere che l’uomo, se armato di volontà e determinazione, è in grado di sollevarsi dal suo ruolo di “strumento”. Occupiamoci infine di due personaggi che finora non erano stati considerati: Janos Audron e Vorador, due vampiri che a causa delle persecuzioni degli umani sono stati costretti a vivere nascosti. Essi introducono un concetto delicato: i veri malvagi non paiono essere i vampiri, bensì gli uomini. Il primo vede nell’ignoranza la principale causa della malferatezza umana: è poi lui a rendere Raziel partecipe del fatto che la protezione dei Pilastri (la cui caduta, ricordiamo,

Ring#3 avrebbe segnato la fine del regno di Nosgoth) era in antichità affidata proprio ai vampiri. Nonostante tutto ciò che ha patito a causa loro, l’avito vampiro non riesce ad odiare gli uomini: piuttosto, li compatisce. Il secondo invece denigra in maniera assoluta il “gregge umano”: ed è sua opinione che compito primo di ogni vampiro sia proprio assicurarsi che l’estensione di questo “gregge” non superi una determinata soglia. ___________Considerazioni Chiarito anche il ruolo di questi due personaggi, è finalmente possibile passare all’analisi vera e propria. Raziel scopre di essere lui stesso l’anima distruttrice della Mietitrice d’Anime. Fin dall’antichità, la lama era stata forgiata a suo esclusivo appannaggio. Janos, infatti, nella sua importane rivelazione indica Raziel come una sorta di Messia, l’individuo destinato a salvare Nosgoth dal suo tragico destino. I Pilastri, secondo le sue parole, sono in realtà opera dei vampiri, e proprio i vampiri possono assolvere al meglio il compito di proteggerli. La vera causa della corruzione del prezioso monumento non è dunque la mancata morte di Kain, ma l’allontanamento dei vampiri dai Pilastri. E’ compito di Raziel “rimettere apposto le cose”, servendosi del potere di cui è stato investito. In seguito Janos viene ucciso dagli uomini, ed il suo cuore viene trasportato nella fortezza dei cavalieri Sarafan. Siamo nel passato di Nosgoth, periodo in cui Raziel stesso è ancora un cavaliere di questo ordine. Il nostro vampiro dunque si reca alla fortezza, deciso a riprendere il cuore di Janos per salvargli la vita: lì incontra il vecchio sé stesso, lo uccide, e la Mietitrice si rivolge contro di lui. Essendo (così pare) deceduti tutti coloro la cui morte era necessaria per assolvere il compito per cui la lama era stata creata, essa non aveva più ragione di esistere. Anche Raziel deve morire (di nuovo), per poi (di nuo-

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vo) risorgere quando il “cerchio” sarà prossimo a richiudersi. Ecco il paradosso: l’anima di Raziel (ovvero la Mietitrice) che reclama la morte del suo stesso corpo. Donando a Raziel il ruolo di “Messia”, gli sceneggiatori dissipano totalmente le speranze di cui questo personaggio era latore. In nessun caso, sembrano voler suggerire con la tragica situazione in cui lo abbandonano all’epilogo, in nessun caso un semplice uomo può cambiare la Storia. E pare che addirittura gli esseri apparentemente elevati siano altrettanto schiavi della Storia. Una tesi che ha valore tanto all’interno dell’universo diegetico quanto al suo esterno, e che quindi ci porta a pensare che anche il fatidico apoftegma che recita “la Storia ha orrore dei paradossi” sia altrettanto suscettibile ad una applicazione nella realtà al di fuori dello schermo. Cosa sono, allora, i “paradossi” tanto temuti dalla Storia? Per ottenere tale risposta, prendiamo in considerazione le figure di Raziel, Vorador e Janos. Entrambi sono la sublimazione di due atteggiamenti opposti, ma che al contempo si manifestano come reazione ad una unica constatazione: la miseria umana. Nel caratterizzare gli uomini, gli sceneggiatori li tacciano di ignoranza, povertà di spirito e vanagloria: in diretta contrapposizione a loro pongono Janos e Vorador, che rappresentano i due atteggiamenti (odio e compassione) che un non appartenente all’umanità può avere verso di essa. Un’amara considerazione inizia a stagliarsi all’orizzonte. “Questo mondo è al di là della redenzione”. Così dice Vorador. Janos (la compassione) muore, e Kain, alla fine del gioco, asserisce che deve rimanere morto (introducendo una figura, quella dei misteriosi Hylden, che probabilmente verrà ripresa nel sequel). “La storia ha orrore dei paradossi”... A questo punto non resta che riunire l’evento a cui il termine “paradossi” si riferisce (la dipartita di un Messia,


:INDEPTH: un salvatore), la maniera in cui vengono considerati gli umani e la sopraccitata affermazione di Vorador. Come risultato, si otterrà il significato che l’apparentemente oscura sentenza può avere al di fuori del contesto diegetico. A chi legge l’arduo compito di tirare le somme… ______Esoterismo e vampiri Impossibile non dedicare, prima di chiudere, una breve parentesi agli elementi esoterici inclusi nella trama. La ciclicità della Storia ed il “Centro Immobile” (l’Antico si descrive in questo modo) sono due concetti portanti della cosiddetta Grande Tradizione (l’insieme di credenze precedente al formarsi delle religioni, diffuso in Asia ed in Europa durante l’antichità) e dell’Induismo (il culto che più le si avvicina). Sempre

Ring#3 nella Grande Tradizione troviamo il simbolo della “staticità”, ovvero la condizione di inconsapevolezza in cui ogni individuo si trova all’inizio del suo cammino verso la Divinità. Tra le innumerevoli immagini usate per rendere questo concetto, Dante, nella Divina Commedia, ha scelto quella del ghiaccio (ricordiamo che il più profondo dei gironi dell’Inferno era completamente ghiacciato). Ora, è un caso che al suo arrivo nel passato di Nosgoth (“condizione iniziale” anyone?) Raziel trovi il regno avvolto da un fitto manto nevoso? E che adiacente al nascondiglio di Janos Audron (elemento “illuminante”) sia proprio la Forgia del Fuoco, elemento contrario al ghiaccio? E non è finita: gli Indù concepiscono la storia come un ciclico susseguirsi di eventi (un altro caso?). All’inizio ed alla fine di questo ciclo, risiede la Divinità. Con l’avanzare del tempo, in

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pratica, l’uomo si allontana da essa, per poi ritrovarla alla “fine della storia”. Allo stesso modo, come rivelato da Janos, in Soul Reaver 2 gli uomini si sono allontanati dai vampiri che in antichità avevano creato i Piastri. Terminano qui l’escursione sul tema esoterismo (a chi volesse approfondire consiglio gli scritti di René Guénon, in particolare Il Re del Mondo, L’esoterismo di Dante e Simboli della Scienza Sacra) ed il presente indepth: nella speranza che il riavvicinamento dell’uomo alla Divinità non implichi necessariamente una catastrofe, ci congediamo dal cupo mondo di Nosgoth impazienti di poter al più presto allungare le mani su di un nuovo capitolo della saga di Legaci of Kain, aggiungendo così nuovi tasselli all’affascinante mosaico rappresentato dall’epopea targata Crystal Dynamics.


:RECENSIONI:

Ring#3

Sei Pezzi da Mille________________________ [Grand Theft Auto: Vice City] di Sator Arepo “Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster.” Ray Liotta in Quei Bravi Ragazzi L’avevano spedito a Dallas ad ammazzare un pappone negro di nome Wendell Durfee. Non era sicuro di farcela. Il Consiglio dei gestori di casinò gli aveva offerto il viaggio. In prima classe. Avevano attinto dai loro fondi neri. L’avevano pagato. Gli avevano dato sei pezzi da mille. James Ellroy, Sei Pezzi da Mille _________Fergeddaboudid Fondamentalmente, GTA: Vice City è un gioco orribile, con i suoi mille difetti accatastati in un concept non più fresco come una volta, il tutto impreziosito da idee fiche, che però assumomo la stessa simbolica valenza di una passata di zucchero a velo sopra una forma di sterco di vacca. Uno di quegli sterchi duri da lancio. Cominciando dallo zucchero a velo, è doveroso segnalare la cura posta nell’allestimento della colonna sonora. Dieci stazioni radiofoniche si contendono circa nove ore di discussioni folli e della miglior merda musicale partorita negli anni ottanta: dalla A di (Bryan) Adams alla doppia Zeta di Ozzy Osbourne. Molto carino da parte di Rockstar Games trapanarci con Two Minutes to Midnight mentre cavalchiamo una Harley look-alike, oppure deliziarci con un mambo vendicativo di Tito Puente nel quartiere cubano. Del resto, dietro a questa feature non si cela una idea folgorante; è bastata la volontà di acquistare i diritti delle canzoni. Ah, e i soldi. Ci sono voluti pure i soldi. Passiamo quindi alla decisione di attribuire finalmente una personalità (ed un nome: Tommy Vercetti) al precedentemente tabuloraso protagonista. Una caratterizzazione resa anche grazie al doppiaggio di Ray Liotta, il quale, poverino, si impegna, risaltando nella medio-

crità recitativa dei comprimari, oltretutto appesantiti da battute caricate all’inverosimile1 che, invece di dare compiutezza alla storia, strappano easy sorrisetti e si dimenticano subito. No perché la storia, nonostante gli investimenti fatti, continua ad essere un mero pretesto per macinar missioni, e non bastano certo le citazioni cinefile a dare un tono all’ambiente2. Del resto non c’è Michael Mann a scrivere/dirigere le cut scenes di GTA: Vice City, quanto un regista impegnato più a far notare le piccole chicche del motore grafico (le sequenze sovraesposte alla luce solare si sprecano) che a raccontare per immagini. Tutta la componente di zucchero a velo, riassumendo, è divisibile in due parti: quella facilmente ottenibile versando soldi (ed il portafogli di Rockstar Games ha una certa capienza), e quella che denota una buona volontà realizzativa, ma con risultati per la maggior parte amatoriali. Ciò che rimane è lo sterco di vacca. Sì insomma, il gioco.

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori:

Simulatore di figlio di puttana Rockstar Games Rockstar North PS2 Svariati milioni in tutto il mondo

Versione:

PAL

Anno:

2002

________Rinunci a Satana? Si viaggia fondamentalmente in due modi per le strade di Vice City: a piedi o con un mezzo di trasporto. (Niente cavalli; piantatela quindi con la melodia di Epona.) Per quanto riguarda i veicoli, l’ampliamento del parco macchine, unitamente ad un’accurata diversificazione delle prestazioni, riesce ad appassionare, soprattutto grazie all’introduzione delle moto. Meravigliose da guidare. Dispiace solo che lo scenario non sia poi così suscettibile alla devastazione perpretrabile su gomma… Viaggio su una decappottabile color oro quando noto, all’angolo di un incrocio, un bar con tavolini all’aperto. Sorrido con un sorriso ebete à la Tom Cruise e mi dirigo contro detti allestimenti. Dopo che, a seguito dell’ urto, la mia auto si cappotta, rivelando una perfetta cementificazione tra tavoli e marciapiede, penso: “Qui qualcuno non ha giocato a Crazy Taxi…” I responsabili della sezione “su suola”, sarebbero invece da arrestare in blocco e condurre in quella terribile caserma del G8. Vedere Tommy Vercetti in movimento è infatti il metodo


:RECENSIONI: più veloce per vomitare l’ultimo pasto, soprattutto durante la corsa, con l’operatore della steady cam che fatica a stargli dietro anche per paura di provocare scatti al frame rate. Cioè, scatti ancora più macroscopici di quelli sempre presenti. Il puntamento automatico, per lo stesso motivo, causa disorientanti cambi di inquadratura, mentre quello manuale è reso spreciso dall’aggiornamento variabile delle immagini su schermo. Se ad ogni morte inutile, provocata da questo impianto scellerato, corrispondesse un’impropero blasfemo contro un santo del calendario, ebbene io ora sarei in Giugno. Verrebbe da pensare ad un filo conduttore per tutte queste magagne. Un grande vecchio che ingarburglia matasse in stile Licio Gelli. Verrebbe voglia di incolpare il Renderware, ma sarebbe ingiusto, perché il middleware di Criterion si impegna veramente tanto nel garantire effetti di trasparenza e riflessione, con risultati che permettono ad esempio di ammirare i fondali marini mentre stiamo navigando, o i riflessi del sole sui vetri delle automobili. Chiaramente al Renderware più di tanto non si può domandare, e la rappresentazione di una città pulsante è appunto quel “più di tanto” che io non gli chiederei mai3. Quindi sarebbe stato meglio se Rockstar Games, dopo il grande successo di GTA3, avesse impiegato il suo portafogli infinito per assumere programmatori cazzuti, piuttosto che comprare i diritti di Billy Jean…

Ring#3 mes che ne ha probabilmente compromesso l’inclusione nella tracklist. C’è della grassa ragione nelle parole del cantautore catanese… Bighellonando per il porto trovo infatti uno di quei camion adibiti al trasporto di automobili, vuoto, e con il piano superiore abbassato, a formare una rampa perfetta. Qualcuno qui ha giocato a Crazy Taxi, penso, mentre giulivo come l’ex marito della Kidman mi impadronisco del mezzo e lo posiziono presso il fiume, con l’intenzione di compiere uno stunt epocale. Mi allontano quindi a piedi, alla ricerca di una moto, e, al mio ritorno, puff, il camion si è volatilizzato.

Comincio pertanto a sentire la mancanza di un hard disk; un capiente supporto che, con la dedizione di un frate amanuense, prenda nota di tutti i cambiamenti che effettuo nel mio peregrinare. Perché il bello di GTA è proprio questo: l’inserimento di una scheggia impazzita in un contesto di normalità. Quindi, se dopo pochi minuti dal compimento di una qualsivoglia azione memorabile, la città se ne dimentica4, è quasi come se non avessi fatto niente, e la voglia di bischereggiare per le strade scema. _________Questa ciambella gli è deliziosa

_______Cornuto e mazziato Cerco un centro di memoria permanente che non faccia mai cambiare posto alle cose e alla gente. Così più o meno cantava Battiato nel distante ’81, in un j’accuse al titolo Rockstar Ga-

Ma allora perché perdiamo tempo a giocare a GTA: Vice City? La risposta è semplice: noi, siamo, stu, pi, di. E non perché ci piace la violenza. La verità è che non è nemmeno colpa nostra. Siamo reduci da centinaia di videogiochi che, in tutti questi anni, non hanno fatto altro che dirci fai questo e fai quello, perciò, quando ci sia-

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mo trovati al cospetto della relativa libertà di GTA, ne siamo rimasti inebriati a tal punto da dimenticare le enormi falle del sistema di gioco. Dopotutto cosa ci importa del frame rate quando possiamo far cozzare contro un autotreno l’auto della madama che ci insegue? In un remoto futuro, storiografi del videogioco analizzeranno i gusti dei primati videludici del nostro tempo. Ricostruiranno brandelli di bit di informazioni riguardanti le classifiche di vendita e, vedendo ai primi posti gli episodi della serie GTA, scuoteranno la testa pensando che arretratezza, che civiltà inferiore, e sfogheranno la loro delusione storiografica picchiando le mogli con una mazza da baseball. Hanno senz’altro ragione, ma adesso se permettete torno a cavallo della mia moto da 600 cavalli per cercare di perfezionare il 180-degree-turn sulla ruota anteriore, in stile Mission Impossible 2. Quindi ci sarebbe quel fiume da saltare dalla cima del palazzo in costruzione, mentre il sole brucia su un povero coglione. Che poi sarei io. __________________Note [1 – Miodio, la cut scene con la “gelataia” che detesta i bambini è veramente imbarazzante…] [2 – Ad esempio l’avvocato Rosenberg è chiaramente ispirato a Kleinfeld, il personaggio di Sean Penn in Carlito’s Way, mentre il regista Steven Scott è la simpatica caricatura di uno Steven Spielberg opportunamente hammerizzato] [3 – Comunque la grafica di merda è sempre stata una caratteristica della serie. Un GTA con un aspetto decente sarebbe senza dubbio un gioco migliore, ma non sarebbe più GTA…] [4 – In seguito ad un omicidio, i civili testimoni del fatto scappano gridando oppure si avvicinano alla vittima, formando un capannello. Dopo pochi secondi però, la situazione ritorna alla normalità, e le persone camminano tranquillmente sul cadavere ancora caldo, incuranti di lasciare impronte insanguinate. Io invece vorrei ammazzare un passante e trovare, il giorno dopo, un mazzo di fiori sul luogo del delitto. Ma a quel punto Vice City diventerebbe Sanremo…]


:RECENSIONI:

Ring#3

Un luogo chiamato Videogioco_____________ [Star Fox Adventures] di Federico Res Per chi scrive, Star Fox Adventures è più di un gioco. Non in un senso che possa essere ricondotto al semplice videogaming, ma perché rappresenta il proverbiale ‘varco’ presso cui il sottoscritto attendeva RareWare da tempo. All’epilogo del pluriennale sodalizio (artistico?) tra i tipi di Rare e Nintendo, il nostro approccio a Dinosaur Planet è distinto da svariati fattori, e di una certa complessità. Difficile esporre il proprio punto di vista su una software house di grossa fama e oggettivamente ritenuta tra le migliori al mondo: si rischia la lapidazione, o quanto meno di scrivere un pezzo molto ‘politically uncorrect’. Se siete amanti di Rare e dei suoi giochi, questo articolo potrebbe non piacervi. Se invece non nutrite un viscerale amore per la casa britannica, quanto scritto potrebbe lasciarvi addirittura indifferenti. In entrambi i casi v’invito a leggerlo, con la coscienza che molti dei suoi contenuti potrebbero essere fraintesi o mal soppesati. Con la coscienza che, quanto scritto, è il fedele resoconto del passaggio di RareWare sotto il varco cui si accennava prima. Un passaggio che vale un requiem.

SFA è stato fin da subito – lo testimonia la grossa hype che Nintendo e Rare gli hanno montato sopra – un titolo strategicamente importante. Una potenziale killer application, latrice di un comparto tecnico ai massimi livelli del periodo – fattore strillato ai quattro venti fin dalla release dei primi filmati –, ma ha finito per divenire l’obolo concesso ai possessori di GameCube, in procinto dell’acquisizione di Rare da parte di Microsoft. E se da un lato questo

ha smorzato il potenziale commerciale del prodotto – l’attenzione di molti si è spostata verso le nuove esclusive Xbox, in particolare Perfect Dark Zero – dall’altro ha accresciuto di molto le aspettative dell’utenza GameCube. E in particolare dei fan di RareWare legati a Nintendo. Non appartenendo a quest’ultima categoria posso dire che aspettavo questo gioco senza alcun sentimentalismo di sorta: soltanto era in discussione la mia opinione, radicata negli anni, su una delle second party più ‘grosse’ in circolazione. L’evento è passato, la mia opinione non è cambiata. E la verità è questa, per quanto scomoda: ancora una volta RareWare si è dimostrata incapace di cogliere il vero significato del VG. Oltre l’impatto tecnografico – solo in parte scalfito da occasionali ruggini nel frame rate – ciò che in SFA colpisce è il deja vu. L’impres-sione di già visto, di trovarsi nel sunto di esperienze già vissute. L’abilità di Rare è grande nel dipingere scenari e scorci vividi, splendidi, brillanti; lo è meno nel donare coerenza e istillare a tali creazioni quel ‘soffio vitale’ di cui ogni buon gioco ha bisogno. Il mondo di SFA è meraviglioso, ma è solo l’esito di una raffinata chirurgia estetica. E se si tratta di ciò che la gente vuole, non è ciò che vorremmo noi: studiare un manuale, per quanto bene, non trasmette il talento. E Rare sembra far di tutto per eclissare il proprio talento dietro vincoli e accademie che puzzano di stantio… La struttura di Dinosaur Planet è un manuale di citazioni, è miseramente subordinata alle geniali fogge

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Action/Adventure Nintendo Rare/Microsoft :) Game Cube

1 PAL

Anno: 2002 dell’universo di Zelda. Ed è disperatamente incapace di eguagliarle, o anche solo di avvicinarglisi: oltre le forme diligentemente assimilate, limate e riproposte, si scorge poco. Un level design poco ispirato, un gameplay compresso al limite e convertito in digitale: i controlli del personaggio e tutto ciò che di buono c’è in SFA sono presi di peso dagli episodi tridimensionali della saga di Link. Il lock-on automatico sui nemici. Il salto automatico; la crescita del pg che interessa tanto l’armamentario quanto l’energia vitale. Il modo di interagire con personaggi e nemici, con l’ambiente. Ma l’intero gameplay – fatta eccezione per le sezioni in stile shooter – è nient’altro che una grezza ossatura. Uno scheletro su cui, purtroppo, poco e niente è stato costruito… i combattimenti sono soltanto abbozzi, tutti uguali; l’evoluzione di Fox è solo accennata; la struttura dei dungeon – in mancanza di un ro-busto assortimento di abilità – è piatta e poco varia. Meglio riuscito l’apparato enigmistico, che pure offre qualche spunto interessante, ma è sempre incapace di svincolarsi dall’iter compositivo di Rare. Predomina l’iterazione, la consequenziale ripetizione delle medesime meccaniche: raccogliere barili, trasportarli lungo infidi pattern, scagliarli contro muri diroccati per scovare nuovi accessi. Ricorrere alle


:RECENSIONI: abilità di Tricky (soffiare fuoco o scavare buche) per svelare aree inesplorate. Guardarsi intorno, quando si ha l’impressione d’aver imboccato un vicolo cieco, e scorgere – puntualmente – un simbolo rosso da colpire per poter proseguire. In SFA le cose che si ripetono sono tante. Troppe. A rincarare la dose ci si mette pure lo sfruttamento di un fran-

Ring#3 chise che con Dinosaur Planet sembra avere davvero poco a che fare. E così anche i tratti meglio riusciti e più evocativi non convincono come dovrebbero, non comunicano le emozioni che Rare vorrebbe trasmettere. Perché suonano falsi, sintetici… SFA è un gioco freddo, asettico, tanto nella forma quanto nel contenuto. Dal canto suo

Rare si sforza come mai per variare l’offerta e tener desto l’interesse (il gioco comprende citazioni dei primi SF, di Rogue Leader, perfino di Wipeout) e se anche riesce – a tratti – a divertire, sfortunatamente per lei questo non basta, non può bastare. Perché il limite della sua opera va cercato più in profondità. Va cercato in un luogo chiamato Videogioco.

Meet the feebles________________________

[Super Smash Bros Melèe]

di Amano 76 "Volevo infilare una pallattola in fronte a ogni panda che si rifiutava di scopare per far continuare la propria specie..." Fight Club "Well, there I am. Conker the King. King of all the land" Conker's bad fur day La Mano. L'abbiamo vista sguinzagliare ninja contro Daredevil, l'abbiamo vista controllare il destino degli esseri umani in Berserk, l'abbiamo vista prendere vita propria e torturare il suo stesso corpo in la Casa 2, l'abbiamo vista serva della Famiglia Addams, e ora è ospite di Nintendo, pronta a bersagliarci di ceffoni, a picchiare noi grandi ma fanciulli dentro. E in effetti, è un caso che in un gioco per bambini il boss lo interpreti la Mano? E' forse un idea che ha il proposito di agire sul subconscio degli utenti e risvegliare la rabbia repressa di tutte quelle volte che si è immeritatamente ricevuto uno schiaffo per aver attaccato le caccole sotto il tavolo, per aver succhiato sonoramente la minestra dal cucchiaio, per aver rifiutato di mangiare le carote, per aver fatto sega il sabato mattina,

per aver rubato le matite al compagno di banco? Beh.... Funziona! ___Ti odio perchè sei debole

Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

A dire il vero non ce l'ho più di tanto con la Mano: quando sei piccolo e non hai ancora scoperto le ragazze è anche la tua migliore amica. Ma allora, io, insoddisfatto ventenne coi brufoli, una palla sola, senza lavoro, brutto come Eva Robins e Solange messi insieme (pensa che schifo) con chi me la posso prendere per i miei insuccessi? Aspetta chi è quello? un idraulico affetto da nanismo e col baffo sbarazzino. Mi sta già sulla palle. Adesso vede dove glielo ficco il tubo di scarico. E quei due equimesi deeformi con gli occhi verticali? Non avvicinatevi musi gialli con l'alito all'olio di balena, o vi faccio una

Anno: 2002 supposta di permafrost. Tu! Sì, te, vestito di verde: a parte che con la calzamaglia bianca ti si vede tutto il pacco, vergognati! (è un gioco per bambini questo, maledizione!) ma poi accorciati quelle orecchie a punta, mica sei un dobermann. E cos'è quello scoiattolo giallo sovrappeso? Che cazzo, ci posso sfamare Giuliano Ferrara, Maurizio Costanzo e Platinette tutti insieme con un piatto solo! Vieni qua, maialino giallo! A te ci penso dopo, biondina vestita di rosa: imbalsamo la volpe spaziale, scuoio il gorilla con la cravatta, vendo il dinosauro con il morbillo a Steven Spielberg, e poi ti porto da Rocco che a te ci pensa lui. Come dite? Violenza gratuita? No, veramente il gioco costa 50 e passa euro muhahahahaha! Fermi tutti! chi è quella spe-

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Quasi Picchiaduro

Nintendo Nintendo GameCubbo

Possibilmente 4 (ai miei cani do) PAL


:RECENSIONI: cie di astronauta con la tuta metallica? Finalmente un personaggio fico, era ora1. Seleziono. Poligoni e mosse sono all'essenziale, ma accidenti, l'effetto di scaravento fuori dallo schermo è veramente gustoso, anche perchè più danni si accumulano più potente è lo schianto affanculo. _Porgi l'altra guancia... così ti sfiguro anche quella Morite bastardi pacioccosi senz'anima, pacchiane forme di character design anni '80, fossili videoludici. Dove vi siete nascosti quando un solo uomo si è frapposto tra la fine del mondo e il Metal Gear, dove eravate quando Tifa aveva bisogno d'aiuto, dove eravate quando Wesker faceva strage del team Stars? Sacchi di cartucce di merda che non siete altro. Non importa in quanti siate tanto lo schermo non rallenterà mai, non importa quali insopportabili nenie fischiettiate nei vostri stage personali perchè tanto posso togliere il volume, e non importa se dopo decine di ore passate a fregarvi tutti i duecento e passa trofei che avete nascosto (gotta catch'em all: è un caso che la maggior parte siano Pokemon?) non sarete più capaci di offrirmi una sfida interessante, perchè ho altri tre controller e tanti amichetti che mi vogliono bene. E dato che il vostro mondo è cubico e io ne possiedo la chiave, il pulsante d'accensione, e la manopola di controllo, posso cambiare le regole degli scontri nello schermo delle opzioni reinventando i regolamenti come pare a me. Muhahahaha. Non c'è limite a questo gioco. E quando sarò stanco di tutta questa frenesia murphyana mi prenderò una pausa con l'Adventure mode, che ha un level-design elementare ma talmente libero nella strategia di completamento da poter essere affrontato più volte senza noia. Peccato per la roba sparsa sugli stage, perchè a parte la mazza non c'è nulla di "frizzan-

Ring#3 te" che faccia schizzare sangue o che provochi fratture multiple a spirale. Ci sono quasi tutti oggetti che stordiscono, rimpiccioliscono, ingrandiscono; occasionalmente si becca un fiorelanciafiamme ma la contraddizione logica è troppo forte per un prammatico del kick boxing come me, e non riesco a utilizzarlo traendone la giusta soddisfazione alla Tekken. Senza contare che dare i comandi con l'analogico è una vera tortura. I nintendari diranno di no, ma non bisogna dargli retta a quelli perchè non sono neanche capaci di riconoscere un Conker quando ne vedono uno: già l'analogico non è uno strumento precisissimo per impostare le direzioni, aggiungeteci che per gli attacchi più potenti bisogna effettuare pressioni diverse sulla leva... ma che palle! L'inutile conferma che di gente come Naka2 e Miyamoto c'è ancora bisogno. Miyamoto (p1) Van Damme (p2) Hulk Hogan (p3) Doraemon (p4)

Il picchiaduro/party-game per chi ama Nintendo? manco per niente. Per chi la odia. Masanobu Sakurai (foto) ha realizzato un prodotto che non ha rivali di coinvolgimento per i detrattori della casa di Kyoto, dove finalmente si potrà scaraventare via dallo schermo tutte quelle pseudo-mascotte senza carisma. E il bello è che non viene dato diritto di precedenza a nessuno e quindi è possibile pestare qualunque personaggio senza il rischio di trovarsi di fronte a dislivelli di potenza3. Considerata la quantità mostruosa di modalità, di segreti da sbloccare, e la differenza sostanziale tra gli stili di combattimento (davvero unico quello degli Ice Clim-

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bers), questo coso ha una longevità praticamente eterna. Per simili ragioni, e anche perchè è un bono, Amano gli batte le Mano. Tuttavia per chi è fuori dalla cerchia dei supporter di Nintendo, Powerstronz 1 e 2 (solo su Dreamcast) rimangono imbattuti per level-design da picchiaduro "battle royal", e come chara-gee per il Cubbo4 One Piece Grand Battle è duemila volte meglio5. __________________Note [1 – A quanto pare a Masanobu Sakurai piacciono i trans. Non solo Samus è una donna con un nome da uomo e una tuta da uomo, ma a lei bisogna aggiungerci la principessa Zelda, in grado di tra(n)sformarsi a piacimento in Sheik, che fino a prova contraria non ha affatto l'aspetto di una donna, considerato che gli hanno disegnato dettagliatamente dei bei bicipiti poligonali e un petto quadrato come quello di He-man. E questo sarebbe davvero un gioco per bambini? Più che altro, un gioco di tendenza...] [2 – Il sottoscritto è convinto che Phantasy Star Online disponga dei controlli più immediati e intuitivi mai visti su console, considerato che si tratta di comandi con il compito di gestire una quantità fenomenale di azioni e oltretutto riassumere le esigenze di chi è senza tastiera.] [3 – E’ anche vero che in date situazioni un personaggio può risultare enormemente avvantaggiato rispetto ad un altro (ad esempio Link e rispettiva combo infinita con spada, che può letteralmente incastrare un avversario in un angolo e non farlo muovere più). Tuttavia la variabile costituita dal dislivello tattico viene ampiamente equiparata dall'imprevidibilità della vasta gamma di oggetti.] [4 – Chara-gee (si legge: karaghee): character game, il modo in cui i giapponesi chiamano i tie-in.] [5 – Faziosissimo (^_^) la giuria è invitata a non tenere conto di quest'ultima dichiarazione, che sarà immediatamente cancellata dagli atti processuali.]


:TESORI SEPOLTI:

Ring#3

L’ASSENZIO DEL VIDEOGIOCATORE_________ [Legend of Mana] di DarknessHeir “Vi sono profumi freschi come carni di bimbo, dolci come òboi, verdi come prati […] ,che posseggono il respiro delle cose infinite. Da Corrispondenze, C. Baudelaire Lo straniamento. Esiste una piccola quantità di titoli in grado di fornire una sensazione dolce e sottile. Uno stimolo tiepido e affilato, che delicatamente allenta il legame tra la realtà ed un sempre più attonito utente. Lo straniamento… L’assenzio del videogiocatore.

_____Piacevole e pungente Sublime perdersi in un mondo altro e privato, vano e sublime. Piacevole e pungente. In molti perpetuano il tentativo di farci dono di un simile diletto, ma le loro offerte, per quanto talvolta sospinte da ottime intenzioni, affondano nell’inanità del già visto, oppure proprio da quell’inanità innalzano i loro contorni nella mirifica mole del capolavoro. Eppure... Eppure, in ogni caso si tratta di semplici escursioni. Viaggi, in mondi pulsanti e ben caratterizzati. Ma pur sempre, semplici viaggi. “Una corsa a tappe verso la conclusione”, direbbe l’Avenarius di Kundera. Rotte già tracciate di personaggi in cui è possibile identificarsi, ma coi quali è impossibile coincidere. Sequele di rappresentazioni inscenate per soddisfare lo spettatore sopito in ognuno di noi.

E’ indubbiamente piacevole vivere un’epopea che si svolge in un mondo altro. Ma molto più gratificante, è creare da soli la surriferita avventura. Questo, ciò che alcuni anni orsono devono aver pensato i designer di questo sublime titolo. Infranti i legami con il passato e gli ottimi prequel, i responsabili di Legend of Mana decisero di stravolgere il concept della loro fortunata serie e spingersi sull’ardito sentiero dell’innovazione ottenendo un misero riscontro di pubblico e fama (il titolo non superò mai le sponde dell’Atlantico), ma al contempo attorniandosi di un discreto seguito di appassionati pronti a declamare le lodi della loro opera. Seguito di cui chi scrive fa parte. Lo straniamento, si diceva. L’allontanarsi dal proprio piano esistenziale per calcarne uno parallelo. Il ritrovarsi al cospetto di una vacua distesa di terra e di acqua, ed in mano non recare null’altro che una semplice cassetta della posta. Posare questo oggetto, e da esso vedere sorgere un’abitazione. La propria abitazione. Il punto di partenza ed arrivo di ognuna delle innumerevoli avventure offerte dal mondo di Fa’Diel. Da questa abitazione, poi, partire: visitare la prima città che si rende disponibile, e nel farlo imbattersi in due possibili avventure. Scegliere quella che si preferisce, ed in questo modo proseguire. La mappa di gioco, come detto in precedenza, è in principio completamente vuota, e il compito dell’utente è proprio “colmarla” attraverso la cerca degli artefatti, dei magici oggetti che generano, una volta posati, città e dungeon.

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

RPG

Squaresoft Nintendo PlayStation

1-2 USA

Anno: 2000 Il libero arbitrio vige su ogni aspetto di questo titolo. Affrancati da una trama (presenti solo uno scarno incipit iniziale ed uno scontro finale), da percorsi prestabiliti e linearità di sorta, possiamo godere del concetto che sta alla base di Legend of Mana: non offrire all’utente una storia da vivere, bensì un mondo in cui vivere. Quello che controlliamo non è un personaggio con una sua vita, una sua storia, dei suoi obiettivi. E’ la manifestazione della volontà dell’ utente nel mondo di Fa’Diel, il “tramite” che lega l’utente alla realtà gioco. Ed attraverso il quale l’utente può dedicarsi liberamente ad ognuna delle numerose attività che si rendono man mano disponibili. Poiché è bello vivere un’avventura, ma perdersi in un mondo altro e privato è vano e sublime. Piacevole e pungente. _________Effimero, eterno Il presente è effimero,e il passato opprime e incombe ad ogni angolo voltato. Del tutto immersi, ci riscopriamo a vagare con occhi avidi e attoniti mossi dal semplice piacere di ramingare, di fare la conoscenza dell’eteroclita popolazione di questo mondo alternativo. Animali antropomorfi d’ogni foggia, veggenti che utilizzando un cesto d’ortaggi emettono il loro vaticinio, delicate creature di


:TESORI SEPOLTI: carne e diamante, o ancora alberi e colline che dal loro volto scavato hanno per noi parole benevole… Tutti in grado di toccarci, di strapparci un sorriso, di farci desiderare di ripartire per sondare anche il più remoto anfratto di Fa’Diel. Scegliere se partecipare alle missioni che ci dividono dall’ultimo scontro (in tutto settanta, per gli amanti dei numeri), o dedicarci a creare o modificare le nostre armi; ad accudire gli animali della nostra fattoria (magari foraggiandoli dei frutti del nostro orto) od a costruire un golem da portarci appresso nelle nostre peregrinazioni. O ancora, a recarci in una locazione solo per il piacere di sentire i sensi carezzati da meravigliosi stimoli.

Ring#3 L’Arte, nella sua più primigena manifestazione, imperversa infatti gioiosa, e latrice di un coinvolgimento che raramente è stato (e presumo sarà) possibile sperimentare. Tonalità liquide e lievi, particolari minuscoli e innumeri si fondono a melodie ora maestose, ora spensierate, collimando tra loro e con la “vita” che anima le lande di Fa’Diel per dare forma ad una delle più fantastiche, favolistiche terre che sia dato attraversare. Fin quando… Fin quando non si scopre che tutto questo ha una fine. Che pur essendo elevato, il numero di “esperienze” offerto da Legend of Mana è purtroppo chiuso e finito, e l’attimo in cui il presente diviene passato è già trascorso. Con gli occhi velati dalla nostalgia, con le lab-

bra contorte in un sorriso su cui la nostalgia si riverbera con acrimonia, torniamo dunque al nostro mondo originario: il passato opprimente ha già inghiottito anche quest’ennesimo tesoro. Il presente è effimero, certo… Ma un meraviglioso ricordo può vivere in eterno.

L'armonia della Follia____________________

[Pop'n'twinbee]

di Emalord Pop'n'Twinbee è un'icona ludica. Un paradosso creato ad arte ad indicare che nella follia e demenzialità più pura può nascondersi l'oggetto del desiderio videoludico, la perfezione fatta bitmap. O più semplicemente, il Piacere di Videogiocare. E non stupisce che questo prodotto venga dalla stessa Konami che ha letteralmente dominato tutti gli scrolling degli shooter demenziali a 16 Bit. Da una parte l'esaltante Parodius, portatore sano di aritmia cardiaca derivante da risata compulsiva a scrolling orizzontale, dall'altra il gioco sotto osservazione, dominatore incontrastato di tutta la demenzialità distesa su scrolling verticale. Piacere di Videogiocare, si diceva. Ricetta semplice quella di Konami, e pertanto perfetta. Gli ingredienti sono tanto facili a descriversi quanto gene-

ralmente difficili a trovarsi sotto lo stesso tetto, dove per sotto lo stesso tetto si intende nella medesima confezione: grafica grondante demenzialità nippocompressa, controlli di immediata assimilazione, difficoltà perfettamente dosata. Il gioco si sviluppa lungo sei livelli che brillano per personalità e colori primari. Si passa da città sotto l'invasione di ananas in scarpe da tennis alle profondità marine, dove uno splendido Mode7 non riesce a nascondere una fauna di nemici tanto carini a vedersi quanto pericolosi e affamati di Game Over. Per tacere delle lussureggianti pianure tempestate di templi buddisti e percorse da torme di panda volanti nell'azzurro cielo, solcato e pattugliato anche da enormi navi volanti. Ad affrontare la gioiosa quanto mortale armata nemica un solo eroe e la sua ovonave. Il giovane Pop, irruento, focoso,

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ma soprattutto immortale in quanto eroe di un videogame è l'unico pilota capace di dominare il Twinbee, un'astronave ovoforme dotata di tre tipi di sparo, scudi, velocità extra e per finire in gloria due enormi guantoni da boxe, tanto per accarezzare la delicata superficie dei nemici e relativi boss, solitamente teneroformi e tutt'altro che spaventevoli, per quanto assolutamente letali se assunti in dosi eccessive. Il prodotto Konami è un inno alla gioia, alla spensieratezza, la leggerezza di vivere in una scatola di plastica da infilare nel vostro Super Nes. È un inganno indirizzato a tutti quei videoplayer che guardano dall'alto in basso maiali volanti e granchi killer. È davvero l'Armonia della Follia, quella di nascondere una perfetta sintesi di gameplay, divertimento e musiche splendidamente vitali e gioiose dietro gli occhi gibollati di un letale panda volante.


:RUBRICHE:

Ring#3

Nelle Spire del Serpente____

_ [Hideo Kojima]

di Dan ___________Perchè Kojima Hideo Kojima. Molti hanno cominciato a sentir parlare di lui solo nel 1998 o giù di li, quando si apprestava a lanciare sul mercato videoludico un gioco rivoluzionario, quale Metal Gear Solid. Di lui si è discusso molto. Considerato un genio al tempo di MGS per PSOne, è passato ad essere per alcuni un novellino o un megalomane dopo aver lanciato MGS2...

C'è stato chi ha detto che non è in grado di far altro oltre la saga Metal Gear, chi ha detto che con MGS2 non è riuscito a mettere in piedi una trama sensata, chi ha detto che è un designer commerciale e perfino chi ha detto che imparagonabile con altri geni dell'industria del videogioco perché la sua produzione di qualità è limitata al solo MGS. Inutile dire come queste siano critiche nate dall'ignoranza e dalla superficialità; allo stesso tempo, però, sono anche le critiche che un qualsiasi sperimentatore e innovatore deve inevitabilmente affrontare se deciso ad esprimere le sue idee. Kojima è certamente uno di questi. Influenzato da mille eventi e modelli nella sua vita, è diventato un designer in grado di dare una svolta decisiva verso una nuova concezione del videogioco. In questo People cercheremo di capire quando, come, e perché Hideo Kojima si è fatto lentamente spazio nel mondo dell'intrattenimento digitale, quali fatti lo hanno indirizzato alla sua carriera, in che modo è riu-

scito a maturare passo dopo passo, e infine come possa offrire al videogioco ciò che gli manca affinché possa essere considerato a tutti gli effetti uno strumento di espressione e comunicazione. ________Kojima in Potenza [NASCITA] Hideo Kojima nasce nel pieno di un’estate orientale, il 24 Agosto dell'anno 1963, nel distretto di Setagaya, Tokyo. Ma la capitale giapponese ebbe l'opportunità di vederlo crescere solo per poco più di 3 anni. Costretto infatti a trasferirsi altrove per motivi familiari, il piccolo Hideo ed i suoi genitori decisero di spostarsi nel Kansai area del Giappone centrooccidentale - stabilendosi in un tranquillo paese di periferia, nei pressi della città di Kobe. E' qui che Kojima trascorse tutta la sua adolescenza.

ne dei suoi compagni e vicini di casa. La passione dello scrivere, comunque, lo aveva colto già da molto tempo, alle medie. Sembrano siano stati 5 i racconti scritti da Hideo Kojima durante la propria adolescenza, tutti per lo più caratterizzati da uno stampo prettamente fantascientifico; alcuni arrivavano a raggiungere perfino l'incredibile lunghezza di 600 pagine, ed è indubbio che tra un kanji e l'altro vi fosse già qualche spunto verso quello che sarebbe divenuto, decenni dopo, un "Metal Gear" o uno "Snatcher". Oltretutto, fiero com'era delle proprie creazioni, l'intraprendente Hideo non mancava neanche di far pagare ben 50 Yen - circa 50 centesimi di Euro - a chiunque volesse leggere uno dei suoi "capolavori"! [...DELUSIONI...] Ma il tempo passava, Kojima cominciava a prendere coscienza del fatto che le sue speranze, in un Giappone poco aperto all'industria del cinema, erano poche quando non completamente nulle. D'altro canto l'America, patria del cinema che Kojima adolescente tanto amava, era lontana, troppo lontana per un Hideo che non aveva né i mezzi, né le conoscenze per affrontare un simile viaggio. Quel desiderio di voler dimo-

[SOGNI...] Dotato di per sé di un incontinente creatività e di una fervida immaginazione, tosto Kojima trovò nelle varie espressioni del cinema occidentale una fonte di grande ispirazione e, al tempo stesso, un modello dal quale poter apprendere il metodo di organizzare e concretizzare le proprie idee e i propri sogni. Deciso per questo ad intraprendere la via verso l'industria cinematografica, impaziente, il giovane Hideo cominciava a familiarizzare col mestiere già ai tempi del liceo, grazie alla 8mm di un amico. Lui stesso curava le sceneggiature dei suoi "film", che venivano in seguito messi in atto grazie alla sollecitata partecipazioIl Kojima-rettile in Legoland è opera di Strix

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:RUBRICHE: strare le proprie capacità, di concretizzare le proprie idee e di esprimerle al mondo intero, sembrava dunque destinato a rimanere chiuso in un cassetto... [...NUOVE SPERANZE] La svolta avvenne ai tempi del college. Correva l'anno 1983, quando le speranze accantonate di un rassegnato Hideo Kojima, tornarono ad ardere come un tempo. La chiave che aprì il cassetto dei sogni prendeva il nome di Super Mario Brothers. La leggenda vuole che al tempo in cui il rivoluzionario Family Computer di Nintendo (NES in Occidente) si diffondeva a macchia d'olio nel territorio del Sol Levante, uno stretto amico di Kojima - Dio benedica quell'uomo - mise tra le mani del giovane Hideo il celeberrimo platform di Shigeru Miyamoto (...che Dio benedica anche lui). Fu proprio giocando insieme all'idraulico più famoso nel mondo che in Kojima nacque quella duplice concezione del videogioco che segnerà profondamente e in maniera inequivocabile le sue produzioni: dove tutti vedevano un mero strumento per un divertimento alternativo, Hideo Kojima ne intuì le enormi potenzialità quale strumento di comunicazione. Gli bastò infatti poco per rendersi conto che il videogioco era - potenzialmente - un vero e proprio mezzo di espressione, in grado di offrirgli le stesse se non maggiori - soddisfazioni e possibilità del mondo del grande schermo. Spinto dunque da rinnovata speranza e forza creativa, Hideo non perse tempo, e fece richiesta di assunzione in una delle tante società giapponesi che si erano gettate nella nuova - e sempre più lucrosa - industria dell'intrattenimento digitale: la Konami. Oggi come oggi è forse difficile a credersi, ma Kojima non aveva altro nel suo curriculum vitae che la sua creatività. La storia videoludica occidentale ci ha infatti abituato a geni dell'ambiente informatico, che da soli realizzavano, tra sprite e Assembler, il loro mon-

Ring#3 do e i loro giochi; nel Sol Levante, invece, le cose andavano molto diversamente. Accadeva così che un giapponese di 23 anni, senza una minima conoscenza di programmazione, né tantomeno di una parola di inglese, venisse preso senza esitazione da una rispettabile società - quella della "Piccola Onda" - unicamente per la propria straripante capacità creativa. La Konami - e Mario - avevano appena segnato un nuovo capitolo nella storia della vita di Kojima, che si apprestava così a cambiare definitivamente pagina. Quanto a noi, ci limiteremo a cambiare paragrafo: non più di un genio in potenza avremo a discutere, bensì di un genio in atto.

___________Kojima in Atto [PRIMI PASSI] Nel 1986, dunque, ebbe inizio la florida carriera di Hideo Kojima, quale GamePlanner della Konami Entertainment. Militante nella divisione MSX Home-Computer molto popolare in territorio giapponese e di cui la Konami fu un'importante sostenitrice - fu presto inserito come Assistente alla Direzione nello sviluppo di un gioco Yumetairiku Adventure - in lavorazione per quella piattaforma. Nel frattempo la Konami decise subito di metterlo alla prova, richiedendogli di proporre un titolo destinato proprio all'MSX. Al contrario di quello che si potrebbe immaginare, il suo primo progetto fu seccamente respinto dai pezzi grossi della società. Il nome del titolo presentato era "Lost World", a cui si aggiungeva un "War", a mo' di correzione del logo del gioco. Si trattava fondamentalmente di un gioco Mariostyle, con l'aggiunta di una buona dose d'azione e arricchito da un accenno di trama co-

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me background al gameplay stesso. Come inizio non si può dir certo che fu dei migliori. Fortunatamente la Konami decise di concedergli una seconda opportunità; una chance che Kojima seppe ben sfruttare e di cui la società non avrà mai a pentirsene visti i guadagni, in fama e in danaro, che il designer di Setagaya sarà in grado di assicurarle dall' '87 fino al giorno d'oggi (e si prevede anche per il prossimo futuro). La prima vera occasione per dimostrare la sue reali capacità, dunque, Kojima l'ebbe quando, sul finire del 1986, gli venne affidato lo sviluppo di un nuovo gioco destinato sempre all'MSX(2). L'unica direttiva datagli - allo stesso tempo spunto e limite per la sua creatività fu il genere del videogioco che avrebbe dovuto realizzare: un action-game a sfondo militare. Al tempo, infatti, il genere dei giochi d'azione era molto diffuso e spesso si identificava con i frenetici shoot'em up, che non lontano da come sono oggi, si risolvevano in un continuo e accanito maltrattamento del joystick, almeno fino alla comparsa del liberatorio "Level Complete" (o del più frequente "Game Over"...). Kojima capì che in questa meccanica sistematica e fondamentalmente statica, c'era qualcosa che non andava. Perché - pensava Hideo - al giocatore vengono offerte decine di modi per offendere, quando invece non è dotato di alcun mezzo di difesa? Nato proprio per essere la soluzione a questa mancanza, il 7 Luglio del 1987 fece la sua comparsa nel panorama videoludico Metal Gear, il primo Stealth-Game della storia del videogioco. Messo nei panni di un esperto soldato - nome in codice: Solid Snake - e armato inizialmente di un semplice pacchetto di sigarette, il giocatore doveva non soltanto infiltrarsi in una base militare pesantemente sorvegliata (Outer Heaven), ma sventare la minaccia "di una nuova, potente arma nucleare"


:RUBRICHE: (il Metal Gear TX-55). L'onnipresente nemico, dunque, non andava brutalmente eliminato, ma evitato con astuzia; farsi individuare significava infatti ritrovarsi in breve tempo sotto il pesante fuoco avversario. Metal Gear portava non solo una ventata (un uragano!) d'aria fresca nel mercato videoludico, grazie alla sua innovativa meccanica di gioco, ma rappresentò anche un (timido) tentativo di affiancare al gioco d'azione una parte narrata di eguale importanza (privilegio al tempo riservato ai soli RPG). Fatto sta, comunque, che Metal Gear riscosse in breve un grande successo. Un successo talmente riconosciuto in Giappone che convinse la Konami a promuoverne anche una conversione per NES destinata al pubblico occidentale. Sfortunatamente il gioco, uscito sul finire dello stesso anno della versione per MSX, subì vistose e inspiegabili modifiche, che compromisero in buona parte l'operato di Kojima. Hideo mostrerà sempre il suo disappunto per le scelte adottate della Konami Of America/Ultra e non riconoscerà mai la conversione per NES come propria. Conquistata comunque la piena fiducia da parte dei dirigenti Konami, Kojima si mise subito al lavoro sullo sviluppo di un nuovo titolo per MSX, questa volta avendo completa carta bianca. La scelta del tipo di gioco ricadde inevitabilmente sul genere che lo aveva affascinato - e continuava ad affascinarlo - sin da giovane: la fantascienza. Kojima con questo gioco voleva anzitutto narrare una storia: dal carattere dark magari, avvincente, piena di suspense, un racconto tra giallo e thriller. Ne uscì fuori Snatcher, un Cyberpunk Adventure, come ebbe a definirlo l’autore stesso. Si trattava a tutti gli effetti di una novella interattiva. Il giocatore, nei panni di un investigatore dal passato oscuro - Gillian Seed - indaga sulla comparsa di misteriosi androidi - gli Snatchers appunto - che insediatisi nella società prendendo il posto delle loro vitti-

Ring#3 me. Una trama inquietante, appassionante dall'inizio alla fine, splendidamente narrata e immersa in una cupa visione del futuro, uno scenario postapocalittico con una società allo sbando e irreparabilmente destinata a sprofondare nel caos. Snatcher fu dunque la seconda dimostrazione delle enormi potenzialità del genio kojimiano. A prova della bontà e dell'originalità del titolo di Kojima, basti pensare che il successo della sua avventura grafica (altrimenti chiamata "digital manga") si prolungò a lungo nel tempo. Alla prima versione per MSX ('88) seguirono una conversione per PC-Engine ('92), SegaCD ('94), PlayStation ('96) e Sega Saturn ('96)1. Ben otto anni di ininterrotta presenza nel mercato videoludico, dunque. Sfortunatamente solo una delle versioni uscite - quella per il fallimentare SegaCD - sbarcò in Occidente, limitando così il meritato riconoscimento al solo territorio giapponese.

[MATURAZIONE] Nel frattempo, il dipartimento della Konami che si occupava dello sviluppo per NES si preparava a lanciare sul mercato, a completa insaputa di Kojima, un nuovo capitolo della saga Metal Gear chiamato Snake's Revenge. Questo sequel, pur seguendo piuttosto fedelmente lo spirito del predecessore, mancava di quella serie di caratteristiche che rendevano unico il gioco kojimiano. Lo stesso designer della versione NES riconobbe il valore inferiore della sua opera e, in un fortuito incontro in metropolitana, esortò Kojima a produrre un vero sequel del gioco. Kojima decise di cimentarsi nello sviluppo di un segui-

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to ufficiale delle missioni solitarie del soldato - ormai in pensione - Solid Snake. Dopo un anno di intenso lavoro, quindi, nel 1990 fece la sua comparsa su MSX2, Metal Gear 2: Solid Snake. Ancora una volta Snake si ritrovava a doversi infiltrare in una città-fortezza (Zanzibar Land), fondata da un gruppo mercenario in possesso sia di una nuovo prototipo di Metal Gear (il "D"), che della formula dell'OILIX, un microrganismo artificialmente creato per raffinare il petrolio in un periodo di grossa crisi energetica. Con MG2, il gameplay diveniva decisamente più tattico, più articolato, più profondo e più variegato del prequel, acquistando così una propria marcata identità; fu proprio in quest'occasione che venne ribattezzato dallo stesso Kojima "Tactical Espionage Action Game"2. A un gameplay evoluto, inoltre, si affiancava una più marcata integrazione fra forma ludica e narrativa. La trama, in linea con lo sviluppo del gameplay, era infatti complessa, arricchita di particolari, con personaggi meglio caratterizzati e soprattutto più dettagliata ed emozionante che in passato. Portato a termine il sequel di MGS non restava che dare una continuazione all’altra saga ‘storica’ di Kojima: Snatcher. Dopo aver lavorato ad una speciale versione di quest'ultimo, Kojima iniziò a dedicarsi allo sviluppo di un gioco che riprendeva da vicino lo stile ‘digital manga’ e che avrebbe al contempo sfruttato le nuove tecnologie per creare qualcosa di decisamente più evoluto sotto ogni aspetto. Nacque così Policenauts, non un diretto seguito del titolo uscito 6 anni prima, ma un gioco che ne sfruttava lo stesso concept. Il successo ottenuto da Policenauts fu straordinario; il nuovo gioco di Kojima poteva infatti contare su concetto di base geniale e ulteriormente sviluppato, su una qualità visiva impressionante, un’eccellente colonna sonora e un intreccio narrativo complesso e coinvolgente come pochi. L'ambienta-


:RUBRICHE: zione rimaneva metafuturistica, e la trama assumeva tinte di nero, rosa e giallo, conciliando perfettamente ogni situazione, dalla più concitata a quella più riflessiva. Uscito per PC9821 nel '94, e successivamente sviluppato con maggior cura per 3D0, PlayStation e Sega Saturn ('95/'96), Policenauts rappresentava chiaramente la maturazione e le enormi potenzialità della creatività kojimiana. Assurdamente, però, questa opera di Kojima non vide mai la luce al di fuori del mercato del Sol Levante, scatenando così le ire di migliaia di appassionati in tutto l'occidente. Ancora una volta sembrava che il successo di Hideo Kojima fosse destinato a rimanere entro i confini giapponesi. Dopo Snatcher, Policenauts e i due Metal Gear, la collaborazione di Kojima era ormai richiesta in ogni angolo della Konami Entertainment. Nel 1997 e nel 98 si occupò dello sviluppo di 2 nuovi capitoli della famosa saga di simulatori d'appuntamento di Tokmeki Memorial (rispettivamente "Nijiiro No Seisyun" e "Irodori No Lovesong"), svolgendo il ruolo di Produttore, Planner e Drama Director.

[SUCCESSO] Durante e dopo lo sviluppo di Policenauts - a quasi 10 anni dall'uscita del primo Metal Gear - cominciò a balenare nella mente di Hideo, l'idea di dare un'incarnazione tridimensionale ai due capitoli della saga che lo avevano reso più celebre. Le possibilità offerte dal 3D erano troppo allettanti per non poter stuzzicare la fervida immaginazione di Hideo Kojima. Oltretutto, ora poteva contare su un Team di altissimo livello, tra artisti (Yoji Shinkawa), musicisti (Team TAPPY), e programmatori capaci e promettenti. Doveva solo arrivare la piattaforma giusta. 3DO, Saturn? No. La scelta ricadde sulla nuo-

Ring#3 va entrata di casa Sony: PlayStation. Metal Gear Solid: questo doveva essere il suo nome. Solido come il suo protagonista e come la grafica che lo avrebbe trasformato. Dapprima concepito come semplice conversione 3D dei capitoli usciti per MSX, MGS presto si evolse in un progetto più grande e ambizioso. Kojima presentò il gioco attraverso un trailer dallo stampo cinematografico nel 1997, ad Atlanta, nel contesto dell'E3. Il feeling con il pubblico fu immediato. Tutti cominciarono a desiderarlo. Lo sviluppo costò altri 2 lunghi anni di durissimo lavoro per Kojima e per il suo team. Infine, il 3 Settembre del 1998, MGS fece il suo grande esordio sul mercato giapponese, a cui seguirono l'uscita americana (23 Ottobre '98) e quella europea (Marzo '99). La saga portava con sé un concept per nulla intaccato dal tempo e un comparto audiovisivo di estrema caratura. A questo si sommava la versatilità del modo di gioco e l’enorme valore emotivo/riflessivo di trama e personaggi. Kojima aveva fatto tesoro di tutte le sue esperienze: il cinema, i videogiochi, la sua vita, se stesso. Aveva creato ciò che nessuno prima d'ora aveva mai osato fare. Film o videogioco? "Videogioco - risponde Kojima perché il videogioco è questo: un medium che non solo diverte, ma parla al giocatore." Il successo di MGS fu enorme. Ben 5 milioni e mezzo di copie vendute fino ad oggi nel mondo, e decine di Awards e alti riconoscimenti dalla critica di tutto il pianeta. Un gioco che, a cinque anni di distanza, è ancora capace di emozionare e coinvolgere3. Perfetto equilibrio tra strumento di intrattenimento e medium comunicativo, MGS era ed è un operacapolavoro, e come tale destinata a rimanere un'eterna pietra miliare dell'industria videoludica. Sull'onda del successo del nuovo Metal Gear, Hideo trovò il tempo di dedicarsi sia ad "Integral" - una versione ampliata di MGS per PlayStation, con varie features quali mis-

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varie features quali mis-sioni VR4 -, che a un capitolo "sidestory" della saga Metal Gear5, destinato al Game Boy Color Nintendo e di cui però cu-rò soltanto la supervisione. Analogamente al suo gioco, la salita di Hideo Kojima sulla strada del successo fu rapidissima. Il geniale designer divenne ben presto un idolo per milioni di videogiocatori di ogni continente. Il riconoscimento fu tale che Konami lo insignì persino del titolo di Vice-Presidente della società stessa. Paragonato a personaggi illustri del videogioco quali il Maestro Miyamoto-san o il prolifico e versatile Yu Suzuki, Kojima entrava con prepotenza nell'Olimpo dei Designer giapponesi. [EVOLUZIONE] Raggiunto ora un successo planetario, Kojima cadeva inevitabilmente sotto la pressione delle aspettative dei suoi fan: non doveva, non poteva e non voleva deluderli. Così, a pochi anni dall'uscita di MGS, Hideo Kojima proclamò la sua intenzione di volerne sviluppare un seguito che avrebbe visto la luce sulle console della nuova generazione. Nel 1999, dunque, cominciò lo sviluppo di quello che sarebbe diventato Metal Gear Solid 2: Sons Of Liberty. Ancora una volta l'occasione scelta da Kojima per mostrare il suo gioco fu la fiera losangelina dell'E3 2000. Nel presentarlo Hideo fu piuttosto impacciato; si ritrovava infatti davanti ad un pubblico che non gli avrebbe concesso errori, che non sarebbe rimasto soddisfatto se MGS2 non avesse rispecchiato le loro più alte aspettative. A questo si aggiungeva il fatto di dover parlare in una lingua a lui sconosciuta, ripetendo un discorso gentilmente tradottogli dal fedele Scott Dolph e imparato a memoria durante il volo per la California. Nonostante tutto, però, nessuno notò la sua goffaggine. Degno del miglior film hollywoodiano, il trailer di MGS2 montato dallo stesso Kojima aveva parlato per lui. Quei 9 lunghissimi, tsrabordanti e strepitosi minuti lasciarono i


:RUBRICHE: presenti alla conferenza in uno vero e proprio stato di esaltazione e giusta venerazione. Da quel giorno l'attesa per milioni di videogiocatori si fece spasmodica. Dopo il primo trailer dell'E3 2000, lo sviluppo di MGS2, durato più di 3 anni e costato migliaia di dollari, si rivelò il più duro che Kojima avesse mai affrontato durante la sua carriera. Il dover lavorare su una console sconosciuta e complessa unitamente alle pressioni da parte della società stessa, che premeva affinché il gioco uscisse il prima possibile, obbligarono l'intero team - circa 50 persone - a lavorare sodo per mesi e mesi fino all'ultimo giorno di consegna. Mentre lo sviluppo procedeva, nuovi trailer vennero mostrati alla fiere del Tokio Game Show, dell'ECTS, e dell'E3 del 2001. Nell'inverno 2001 venne poi commercializzata, in omaggio con Zone Of The Enders action-game di cui Kojima svolse il ruolo di semplice Produttore - una Trial Edition, che mostrava le prima fasi di gioco di MGS2. Kojima si era detto pronto a ricominciare da zero se la DEMO non avesse soddisfatto i videogiocatori... ma non ce ne fu bisogno. Solo la Trial Edition era quanto di meglio un fan della serie potesse desiderare. Così nutrito, l'hype intorno al gioco cresceva di giorno in giorno. Eppure tra video, immagini e indiscrezioni di ogni tipo, nessuno poteva immaginare che in realtà Kojima stava astutamente giocando con le aspettative di tutti i videogiocatori. Così com'era stato presentato, MGS2 era a tutti gli effetti una versione migliorata, sotto ogni punto di vista, del prequel per PSOne; una via fin troppo semplice e restrittiva per una mente geniale come quella di Hideo Kojima. Il Designer Konami, sotto la copertura di trailer occultati e delle mezze verità delle versioni dimostrative, stava infatti tramando un vero e proprio attacco alle aspettative del suo pubblico: ansiosi di mettersi nei panni di una leggenda come Solid Snake, gli ignari vi-

Ring#3 deogiocatori di tutto il mondo si sarebbero ritrovati tra le mani un perfetto sconosciuto (Raiden)... MGS2 fece la sua apparizione sul mercato statunitense il 13 Novembre 2001, incassando la straordinaria cifra di 12,7 milioni di dollari. Esattamente un mese dopo (13 Dicembre 2001) MGS2 venne commercializzato anche sul suolo giapponese, per poi approdare nel vecchio continente l'8 Marzo 2002. L'accoglienza per MGS2 fu dovunque calorosa. Già nell'Aprile 2002, la Konami poteva vantare d’aver venduto un totale di 5 milioni di copie del gioco. Ma quanti di coloro che acquistarono MGS2 ne rimasero soddisfatti? La coraggiosa scelta di Kojima di inserire una personaggio del tutto nuovo, inesperto, timido, fragile e che rappresentava a tutti gli effetti un antiSnake, lasciò milioni di persone in uno stato a metà strada tra sorpresa e delusione. A questo si aggiungevano i lungi filmati e dialoghi di una trama che appariva ai più insensata ed esagerata. Kojima aveva dunque fallito? No. Hideo Kojima, con MGS2, aveva in realtà dato una svolta decisiva verso l'evoluzione del videogioco quale strumento di comunicazione. Il gioco, il divertimento stesso, diveniva il mezzo per poter raggiungere la coscienza del giocatore. Bastava guardarsi allo specchio per capire il ruolo di un personaggio come Raiden. Bastava guardare al significato dietro le parole di quei dialoghi all'apparenza senza logica, per rendersi conto che ciò che Kojima stava tentando di fare non era narrare una semplice storia, ma parlare al/del giocatore e raccontare la società stessa. Sfortunatamente pochi riuscirono colsero l'intenzione di Hideo, ‘colpevole’ d’aver messo in atto un qualcosa in tempi non ancora maturi. Ma se da una parte l'opera kojimiana riceveva duri giudizi negativi, dall'altra MGS2 riceveva innumerevoli premi e lo stesso Kojima veniva inserito dall'autorevole rivista americana NewsWeek

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nella lista delle 10 personalità più importanti per il prossimo futuro. Tra critiche e lodi, quindi, la figura di Hideo assumeva inevitabilmente l'aspetto di uno sperimentatore e di un innovatore dell'industria del videogioco. Capace di andare persino controcorrente pur di raggiungere i suoi scopi, Kojima aveva ancora una volta dimostrato di essere la persona giusta per dare al medium videoludico un futuro quale mezzo di comunicazione universale.

Kojima cittadino del mondo Il pensiero di Hideo Kojima è figlio di una cultura internazionale; attento osservatore del mondo e di tutto ciò che lo circonda, Kojima ha sempre fatto uso di tutte le sue esperienze per dare alle sue opere quella profondità e varietà che le caratterizza. La sua stessa concezione bivalente del videogioco può essere ricondotta a delle precise influenze che hanno in qualche modo contribuito alla sua formazione multiculturale. I modelli a cui Kojima si è ispirato, quando inesperto iniziava a sviluppare i suoi primi giochi, sono stati il celebre designer Nintendo Shigeru Miyamoto e Yuji Hori, sceneggiatore di opere come Dragon Quest. Il primo insegnò a Hideo il piacere e il divertimento che il videogioco era in grado di regalare al suo fruitore. Il secondo gli dimostrò, invece, come il videogioco potesse essere utilizzato come mezzo per narrare delle storie. E' proprio dalle peculiarità di questi due designer giapponesi che possiamo dunque derivare l'eterna compresenza di "gioco e trama" nelle opere kojimiane. Un altro modello che ha influito in maniera evidente nei modi in cui Hideo Kojima esprime le caratteristiche appre-


:RUBRICHE: se da Miyamato e Hori, è naturalmente il cinema occidentale. Assiduo frequentatore delle sale cinematografiche fin da giovanissimo, Hideo ha imparato nel tempo a prendere il meglio da ogni grande produzione del grande schermo. Del resto sono evidenti in ogni suo gioco i riferimenti a film di successo quali 1997: Fuga da New York di Carpenter, Blade Runner di Ridley Scott, 2001: Odissea Nello Spazio di Kubrick, Terminator, Aliens e Titanic di Cameron, fino ad arrivare al recente Matrix dei fratelli Wachowski. Se questi modelli possono spiegare la propensione filmica di Kojima, nei tempi e nei modi di fare gioco, la sua ricerca narrativa va trovata nel ‘Kojima lettore’. I suoi autori preferiti spaziano dallo statunitense Michael Crichton al connazionale Kobo Abe, da Robert McCammon a Robin Cook, da David Mason a Teru Miyamoto; tutti autori dai quali Hideo ha appreso non solo tecniche narrative, ma dai quali è stato spinto ad approfondire i temi da loro affrontati anche nelle sue opere.

Docere, movere et delectare Iniziata la sua carriera ispirandosi ai modelli precedentemente descritti, Kojima ha maturato autonomamente 3 "artes" sulle quali si basa tutta la sua produzione videoludica, sviluppando dunque le sue doti nel docere, movere e delectare il suo pubblico. Kojima sa "docere", perché capace di illustrare e raccontare sempre le sue storie e i suoi pensieri con estrema chiarezza.

Ring#3 Ogni suo gioco è infatti intriso da più o meno espliciti intenti didattico-didascalici, che trovano un innesto chiaro ed efficace nella trama di ognuno dei suoi giochi. A questo aspetto particolarmente "riflessivo" che si riscontra in dosi diverse in tutte le sue opere, Kojima ha parallelamente affiancato le sue capacità nel "movere", nello scuotere cioè l'animo dei videogiocatori stessi, ricorrendo ad immagini ora patetiche ora drammatiche, e nelle quali trovano spazio puri momenti di sentimentalismo, momenti di tensione e scene dalla sottile ironia. Se da una parte Kojima si dimostra abile nel far partecipare mentalmente ed emotivamente il "suo" giocatore attraverso quello che è l'aspetto più strettamente comunicativo del videogioco, dall'altra si dimostra perfettamente in grado di "delectare" il fruitore del suo prodotto, mettendo alla base dei suoi giochi un concept ludico sempre intrigante, mai privo di originalità e solitamente alternativo a quelli presenti sul mercato. Alcuni, forse, potrebbero obiettare come infondo l'idea alla base della saga Metal Gear sia rimasta immutata nel corso degli anni; seppur tendenzialmente vero però, questa continua riscrittura del gameplay kojimiano non va identificata in una mera copiatura, bensì va concepito come una rielaborazione attraverso quelle che sono le nuove possibilità tecnologiche. Queste tre doti - insegnare, emozionare e divertire - rendono le opere di Kojima complete sotto ogni punto di vista, rispecchiando conseguentemente le peculiarità del loro creatore e la sua doppia concezione del medium in questione. ______Originalità del genio kojimiano Se da una parte è dunque evidente che Hideo Kojima è stato largamente influenzato da modelli di ogni tipo e genere, dall'altra non bisogna cadere nell'errore di giudicare questo pro-

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cesso di "contaminatio" come una mancanza di originalità. Ogni produzione di Kojima è infatti caratterizzata da peculiarità del tutto originali e che contribuiscono a contraddistinguere in modo inequivocabile il genio kojimiano. Anzitutto è importante sottolineare come Hideo Kojima dedichi tutto se stesso nella produzione di ogni suo gioco. Al contrario di molti suoi illustri colleghi, egli infatti non si limita semplicemente a dirigere i lavori delegando i membri del suo team alla sviluppo di specifici aspetti del prodotto, ma si cimenta personalmente e attivamente in tutte le fasi importanti della creazione dei suoi giochi; è Kojima a scrivere le sceneggiature e i dialoghi delle sue opere, lui che si occupa della fase di gamedesign creando gli scenari, sviluppando il gameplay e pianificando attentamente ogni più piccolo particolare dello stesso. E' inoltre lui ad occuparsi della regia e del montaggio dei filmati, a testare personalmente i propri giochi, e a procurarsi le fonti e la documentazione necessaria affinché le sue opere risultino veritiere e attendibili in ogni loro aspetto. Infine Kojima partecipa di persona sia alla fase di Character Design, che a quelle di Graphic Design e Music Composing, istruendo con precisione colleghi come Yoji Shinkawa, Kazuki Muraoka o come più recentemente - lo statunitense compositore Harry Gregson-Williams. Questo suo atteggiamento, che potrebbe risultare quasi "possessivo", conferma come Kojima non solo operi in funzione del divertimento del giocatore, ma che veda nel videogioco un modo di esprimersi. Da una parte gli stessi membri del suo team dicono di lui che si tratti di un uomo estremamente esigente, ma che allo stesso tempo si rende personalmente utile ovunque vi siano dei problemi. ________________E oggi? Oggi Hideo Kojima vive, con moglie e figlio, a Tokyo dove


:RUBRICHE: lavora presso uffici Konami del grattacielo Yebisu Garden Tower. Quando non è costretto a lavorare 12 ore al giorno, Kojima ama andare al cinema con il vecchio amico K.Muraoka Sound Director che ha lavorato con lui sin dai tempi di Snatcher - ma anche leggere libri, ascoltare musica - i suoi cantanti preferiti sono: Joy Devision, New Order, Ultravox, Sisters of Mercy, Cure, Nick Cave and the Bad Seeds, Depech Mode - e ovviamente passare del tempo a divertirsi con suo figlio. Kojima non è una grande videogiocatore - soffre di 3Dsickness - ma ogni tanto anche lui prende in mano il joypad per regalarsi dei momenti di rilassamento; tra i suoi giochi preferiti vi sono stati Super Mario Bros, Xevious, e i più recenti Crash Bandicoot e Ape Escape.

Quale grande appassionato di cinema, Kojima è famoso nel Sol Levante anche per i suoi articoli o recensioni per un illustre rivista cinematografica giapponese. Attualmente Hideo è al lavoro su ben 4 progetti. Uno è un futuro - e ancora rumoreggiato MGS3, di cui però seguirà solo le primissime fasi. Il secondo è ZOE The 2nd Runner, di cui svolgerà ancora una volta il solo ruolo di Produttore. Poi ci sono due progetti di cui Kojima è personalmente coinvolto a "suo modo" - svolgendo cioè tutte le fasi fondamentali dello sviluppo - che sono Eclipse e Bokura no Taiyou("Il Nostro Sole"). Il primo sarà destinato al GameCube e verosimilmente portato anche sulle altre piattaforme. Sfortunatamente le informazioni riguardanti il gioco stesso sono ancora molto poche, ma sembra che Eclipse vedrà protagonista la storia di

Ring#3 un padre di famiglia che vede lentamente "eclissarsi" la sua vita e la sua figura di fronte a quella del figlio; scopo del giocatore sarà quello di riportare la serenità nella famiglia, mettendosi nei panni sia del figlio che del padre. Anche sul secondo progetto destinato al nuovo portatile Nintendo le indiscrezioni sono ancora molto scarse. In una recente intervista Kojima lo ha definito un "Sun Action RPG"; pare infatti che la cartuccia del gioco implementerà un sensore in grado di rilevare la luce circostante al giocatore, utilizzando questo dato per determinati eventi di gioco. Non a caso, sembra che la trama del gioco sarà incentrata su creature della notte - quali vampiri – che, si sa, non vanno certo d'accordo con la luce del sole... Per il lontano futuro, Kojima ha da tempo due sogni nel cassetto. Il primo è quello di riuscire a creare un "gioco eterno", un gioco in grado di durare anni o anche solo poche ore a seconda delle azioni intraprese del giocatore. Un altro desiderio di Kojima - e che mantiene fin da giovanissimo - è invece quello di aver la possibilità, una volta conclusasi la sua carriera da Game Designer, di girare un lungometraggio diretto da lui stesso. __________________Note [1 Nel 1990 uscì anche SD Snatcher - dove "SD" sta per Super-Deformed -, una rivisitazione in chiave RPG della versione originale del gioco, e nello sviluppo del quale Kojima ebbe solo un ruolo secondario.] [2 Per esattezza, al tempo di MG2:SS, il genere fu denominato solo Tactical Espionage Game; l'aggiunta di "Action" si avrà solo da MGS in poi.]

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[3 Nel settembre 2000 - a ben 2 anni dal suo esordio sul mercato - MGS approderà anche su PC. Anche se dotato di una grafica da console datata, e pur avendo subito evidenti storpiature a causa di una pessima conversione da parte della Microsoft, il capolavoro kojimiano riuscirà ad ottenere un buoni consensi anche su quella piattaforma.] [4 In America e in Europa Integral non venne mai commercializzato, ma le nuove missioni VR furono raccolte come addon alla versione originale di MGS, prendendo rispettivamente il nome di MGS:VR Missions nella versione USA, e MGS: Special Missions nella versione PAL.] [5 In Giappone il gioco venne intitolato Metal Gear: Ghost Babel, mentre in Occidente venne ribattezzato semplicemente Metal Gear Solid.]

Errata Corrige

Come specificato da un comunicato stampa di Factor Five giunto alla redazione di Ring, i rallenty presenti in Rogue Squadron II non sono frutto della sostanziale incapacità del motore grafico del gioco nel mantenere un aggiormento costante dello schermo, come il nostro oramai ex-recensore sospettava. Si tratta in effetti di una precisa scelta stilistica volta a ricreare i famosi slow motion del cinema di John Woo. Ci scusiamo per l’errore.


:RUBRICHE:

Ring#3

Funghetti, monetine e motoseghe__________ [Me Nintendo #3] di Gatsu Nintendo è cambiata. E con lei molti altri. Prendiamo ad esempio Sega: è evidente che il modo di far giochi non è più quello della dorata epoca dei 16 bit. Sega si è divisa in un tot di sussidiarie e ormai sforna titoli ad una velocità un tempo impensabile. Chiariamoci, probabilmente la qualità dei giochi non è diminuita troppo, sappiamo tutti che nel sentimentalismo del retrogamer si celano diverse trappole. Meglio ricordarli com’erano. Mio dio, guardo Chakan al giorno d’oggi e mi viene da vomitare, eppure nei primi anni novanta l’invidia per i possessori di Megadrive era forte. D’altro canto, se guardo il primo Sonic posso oggettivamente affermare che ancora adesso è un gioco piuttosto valido (ne è la prova il fatto che le nuove edizioni per GBA vendano). Insomma, a riguardarli oggi, pochi titoli conservano intatto il loro sublime splendore videoludico. Siamo cambiati noi, è cambiato il mercato, sono cambiate le aspettative e le necessità del videogiocatore. E’ l’eterna lotta fra Macine e Abbracci, si stava meglio quando si stava peggio e via così, chi fosse interessato all’infinita diatriba può fare un salto sul FORUM dove l’argomento non smetterà mai di essere dibattuto. Diciamocelo, Sega è caduta sul campo di battaglia prima di altri (recente la notizia della fusione fra Square e Enix, segno che ormai ci vogliono DAVVERO dei capitali enormi per sviluppare e pubblicare i giochi), e i suoi giochi, in un certo senso, ne sono usciti influenzati. Mi viene da piangere pensando che uno dei titoli più profondi che abbia mai prodotto, Shenmue (e seguito annesso), venga snobbato da gran parte dell’odience in favore di titoli più user friendly. Son qui che incrocio anche i peli delle gambe sperando che

Shenmue 2 per Xbox venda in maniera sufficiente da convincere i dirigenti Sega a finanziarne un continuo. Faster better and bigger? Mah. Più belli da vedere sicuramente, più belli da giocare non so. C’è un però, in tutto questo. Alcuni titoli hanno iniziato a “mutare” il senso classico di videogioco, e titoli come Rez o lo stesso Shenmue son li a dimostrarlo. Insomma, il media si sta evolvendo? Il seme gettato da Kojima germoglierà invadendo tutto, oppure si limiterà ad occupare un appezzamento di terreno limitrofo a quello del videogioco classico? Ad ogni modo, avremo modo di parlare in altre sedi dei profondi cambiamenti che serpeggiano fra le fondamenta dei nostri dogmi videoludici, per il momento torniamo a Nintendo. Dicevamo, la società di Kyoto ha cambiato volto. La terremotante Era Yamauchi è finita ed è cominciata l’Era Iwata. Nintendo non è più quella di una volta. Si stava meglio quando si stava peggio. Gli Abbracci sono il cibo degli dei, e non provate a protestare. E’ un bene? E’ un male?

Per il momento E’ e basta. Luigi Mansion è corto, così come Pikmin. Ok, sono due grandi giochi, ma 5 anni fa, la loro durata sarebbe stata accettata? La velocità investe tutto, i nostri sentimenti, le nostre vite, i nostri oggetti, i nostri passatempi. Veloce, veloce. Sei sorpassato. C’è qualcosa di me-

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glio, cazzo, sei cieco? Super Mario Sunshine mi piace, ma perfino l’icona per antonomasia della Grande N ha dovuto correre per non perdere il treno. Il prezzo del biglietto è stato caro, con una telecamera ballerina che si sarebbe potuta accettare in qualsiasi altro gioco, ma NON in Mario. Mi sento tradito. Mario DEVE essere perfetto. Mettetela in Jak & Dexter la telecamera che va per i cazzi suoi. In Ratchet & Clank. In Crash Bandicoot. Non in Mario, per la miseria. Mi ritrovo fra le mani un gioco che ho aspettato per 6 anni e non mi soddisfa ancora del tutto. Mi siedo e attendo. Metroid Prime, Zelda: The Wind Waker, almeno voi, ridatemi le perfezione a cui sono abituato. Poi. La necessità di assicurarsi l’esclusiva di Resident Evil. No, non mi fa schifo, Resident Evil Rebirth ce l’ho pure io. Si, Eternal Darkness lo conosco e apprezzo la sua ventata di innovazione. Ma. Ma odio Nintendo perché ha dovuto sporcare di sangue il Gamecube per poter campare. Sono violento. Chiedetemelo gentilmente e vi spezzo volentieri una sedia sulla schiena. Mi piace fare sesso, se respirate e non siete troppo pelosi chiamatemi. Ho sempre desiderato provare il peyote. Ma. Ma credo che non sia necessario mettere necessariamente sesso, violenza e droga in un gioco per renderlo divertente. Ripudio i concept che stanno dietro a serie come GTA e Carmageddon. Sono concept da sfigati, punto. Fatevi una sega, per dio, come dice Leopardi. Luca Leopardi, un mio vecchio compagno di banco. Sono giovane. Eppure pur bullandomi della mia fanciullesca età, e pur avendo abbandonato l’innocenza infantile molto tempo fa, fatico a com-


:RUBRICHE: prendere le logiche di mercato che stanno dietro ai giochi rivolti agli adulti. Non in tutti i casi, ma in molti. Io non ce la faccio a convincermi che la gente vuole realmente questo. Davvero, perché vi comprerete Dead Or Alive Estreme Beach Volley? E se dite sul serio, beh, Fame, Guerra, Morte e Pestilenza, sulla Terra c’è del lavoro per voi. In più mi sento punito e umiliato da una società a cui devo molte delle mie spensierate ore bambinesche, trascinata inevitabilmente nella lotta di chi de-

Ring#3 ve scendere in campo calpestando buon gusto e molto altro per avere il predominio sugli altri.

Lo so, alla fine neppure Nintendo fa i giochi per beneficenza, e se la richiesta è questa,

l’offerta si adegua. Ma è triste, pensateci. Forse non mi piacciono più i videogiochi. Anzi no, ho appena scritto una stupidaggine, non ho mai giocato tanta roba come negli ultimi due anni. Forse non mi piace più un mercato, questo lo credo davvero, dove se non ce l’hai più grande del tuo vicino non sei nessuno. E sì, se devo essere sincero, vorrei che fosse applicabile il detto “non importa quanto ce l’hai lungo, importa come sai usarlo”.

Sega AM-2 Saga________________________ [Sega Saga #2] di Emalord … Nell’anno che da sempre identifica l’immaginario di un futuro splendente nascono: Wow Entertainment – Sega-AM2 – Amusement Vision – Hitmaker – Overworks – Smilebit – Sega Rosso – Sonic Team – United Game Artists – Wavemaster e Visual Concepts …. Da Sega Saga #1 Dopo lo special del numero scorso dedicato alle bizzarre e variegate produzioni di WOW Entertainment, proseguiamo la nostra segastoria trattando la casa di sviluppo che con Sonic Team si divide la fetta di fama più grossa in casa Sega: se il nome di Yu Suzuki non vi dice nulla, Ring si congratula con lo staff medico che vi ha risvegliato dal coma e nel contempo vi invita ad accomodarvi sul divano con un bicchierino di brandy e con la copia in PDF di SEGA SAGA. Siamo qui per raccontarvi cosa vi siete persi. Yu Suzuki è semplicemente il personaggio più rappresentativo di Sega-AM2, il clan Sega che questo mese è al centro del nostro mirino, e quella che segue è un’analisi di titoli e contenuti di una delle softco che più di tutte ha tenuto il pedale dell'acceleratore evolutivo a tavoletta.

Name Hisashi Suzuki Yu Suzuki Chiwata Keisuke Takashi Nozawa Makoto Osaki Kenji Furukawa Tetsu Kayama Akira Sugano

SEGA-AM2 http://www.SegaAM2.co.jp/en/index.html Representative Director President Representative Director Chief Technical Officer General Manager of AM2 Business

Sega Corporation Board of Director Corporate Officer

Board of Director Board of Director Board of Director Vice Board of Director Non Executive Board of Director Auditor

_Sega-AM2. Un mito, anzi 2 Nata il 1 Ottobre 1983, la casa della palma ha segnato il mondo degli arcade dapprima e quello delle console in seguito. Quando nel 2000 Sega si scisse nelle sue numerose case di sviluppo, il brand Sega R&D AM2 era così conosciuto e radicato nell’immaginario collettivo che si decise di lasciarne inalterata la sigla anche per il nuovo corso. Una scelta che indica forza e sicurezza nei propri mezzi, e

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Representative Director and C.O.O. Corporate Officer

[perché no?] l’intenzione di non rinnegare assolutamente nulla di un passato ricco di successi come pochi altri possono vantare.

Attualmente conta 200 dipendenti l’organigramma Societario mostrato nella tabella soprastante.


:RUBRICHE:

Yu Suzuki, creatività al lavoro [ovverosia un guru in gara]

Non si può parlare di Sega-AM2 senza prima delineare brevemente la figura del suo personaggio più rappresentativo, il suo guru. Yu Suzuki nasce nella prefettura di Iwata il 10 Giugno 1958 senza che la notizia susciti grande clamore nella comunità locale. Dopo la laurea in Scienze all’università di Okayama, entra nel 1983 a far parte di Sega in veste di programmatore e produttore. Nel giro di due anni mette a frutto la sua fertile creatività e porta nelle sale giochi di tutto il mondo Hang On, primo simulatore motociclistico che sfoggiasse un cabinato appositamente dedicato. In seguito produce altri numerosi arcade di successo e si dedica nel contempo allo studio di nuove tecnologie che possano portare il 3D nel mondo dei videogames. Nasce così la MODEL1, prima scheda arcade per la gestione di personaggi tridimensionali e nasce il mito di Virtua Fighter, primo picchiaduro poligonale della storia [classe 1993]. Un passo avanti non indifferente nella storia della tecnologia, tanto che un cabinato originale di Virtua Fighter è tutt’oggi conservato allo Smithsonian's National Museum of American History [Washington D.C.] tra un tostapane ed una canna da pesca. Dettagli, forse, ma utili a capire quanto Suzuki non sia solo un geniale produttore ed un ideatore di videogames, ma soprattutto un pioniere, uno sperimentatore, una di quelle persone il cui scopo non è lavorare per il presente, quanto piutto-

Ring#3 sto ridurre al minimo l’arco di tempo che unisce l’oggi con il nostro futuro. Perché se in genere il successo arride a chi sa cogliere lo spirito dei suoi tempi, questa regola non vale nel mondo dei videogames, dove i tempi di produzione sono nell’ordine degli anni ed il segreto è anticipare mode, costumi, tecnologie future per uscire sul mercato sempre al passo coi tempi. Un personaggio come ce ne sono pochi Yu Suzuki, questo l’avrete intuito anche voi. Un uomo che non si accontenta solo di produrre giochi innovativi e dalla concretezza invidiabile, ma che esprime la sua carica creativa anche in altri modi. Non tutti sanno ad esempio che Suzuki è anche un pittore, e per quanto sia certo che nell’arte non lascerà gli stessi segni che ha lasciato nel ludomondo Ring vi invita a dare una veloce occhiata ai suoi dipinti: solari, vivaci, in contrasto con quella che è la sua immagine pubblica abbastanza seriosa e professionale [http://www.SegaAM2.co.jp/ys/artworks/list.html]

Sega-AM2-Saga 1985 Hang On [Arcade] Il primo arcade al mondo con apposito cabinato modellato come una motocicletta. Da quel momento i cabinati non furono più gli stessi, e gli psicanalisti si arricchirono oltremodo.

li, a scelta del giocatore. Una ferrari rossa, una bionda al fianco, e pezzi musicali selezionabili dall’autoradio. Splendido ed epocale. Notevole il valore prossimo allo zero sfoggiato dai suoi seguiti

1987 Afterburner I & II [Arcade] Simulazione di Top-Gun, di gran successo per l’enorme velocità di scrolling e gli incredibili cabinati studiati da Sega. Ma l’impatto fu minore degli arcade precedenti, nonostante la velocità Mach.

1988 Power Drift [Arcade Altro gioco di guida, più arcade di Out Run e con percorsi più fantasiosi, non incontra però gran successo di pubblico. In effetti non c’era né una Ferrari né una bionda.

Dynamite Ducks [Arcade] Classico action-game. Uno Streets of Rage con protagonista un buffo papero blu e bombarolo. Sonic cominciava a germogliare nella mente dei designers Sega, mentre il papero Bean timbrava il cartellino sia in “Sonic the Fighters” che in “Fighters Megamix”.

1989 Turbo Out Run [Arcade] Out Run si evolve. Stavolta la corsa è ambientata negli Stati Uniti e si può saltare, derapare, e modificare l’auto in appositi check-point. Ma l'aura del mito era in vacanza a kilometri di distanza

Sword of Vermillion [ Sega Megadrive] RPG molto particolare, che rifugge le regole scritte dai precedenti nipponici. Nonostante qualche tocco di classe, l’offerta è troppo diversa e non sufficientemente carismatica per restare negli annali. Ottime le musiche.

1990 G-LOC [Arcade] Space Harrier [Arcade] Il pioniere degli shooter in 3D. Una grafica bitmap che simulava perfettamente la profondità, ed un concept di gioco innovativo. Replicato fin dall’epoca degli 8bit, trova nuova fama nella saga di Shen Mue in qualità di comparsa

1986 Out Run [Arcade] Ennesima pietra miliare, questa simulazione automobilistica era un coast-to-coast con percorsi variabi-

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Evoluzione di Afterburner, con grafica più dettagliata, inquadrature di tipo registico e solito splendido cabinato dedicato

GP RIDER [ARCADE] Il concept e gameplay di Hang-On adattato alle potenzialità grafiche dei primi ’90. Nulla di più, molto di meno.

G-LOC R360 [ARCADE] L’arcade G-LOC aggiornato con il cabinato più estremo della storia, capace di rotazioni di 360°. Il sac-


:RUBRICHE: chetto per il vomito era incluso nel costo del gettone.

Ring#3 F1 Super Lap [Arcade] Simile a Super Monaco GP, con tutte le licenze ufficiali FIA. Niente di epocale, ma tutte le risorse erano impegnate su un gioco che sarebbe uscito quell’anno….

Ennesima evoluzione di G-LOC, con qualche modifica nel gameplay che giustifichi un benchè minimo rientro finanziario

Fighting Vipers [Arcade]

Evidentemente i giapponesi gradiscono [e non poco] gli scheletri negli armadi

Gioco sulla struttura concettuale di Virtua Fighter, con l’aggiunta di armi, barriere per evitare il ringout, e armature ‘smontabili’ a suon di colpi. Ma la classe e la profondità di Virtua Fighter sono altra cosa.

Virtua Fighter [Arcade]

Virtua Cop [Saturn]

Soreike Kokology2 [Arcade] 1991 Strike Fighter [Arcade]

l’occasione. Fan-Service, ma intanto Suzuki si compra la tredicesima Ferrari. Si scherzava.

Cosa dire che non sia già stato detto in queste pagine? Niente. Virtua Fighter ci ha spalancato le porte del futuro. E tutto il resto è storia.

Conversione dell’omonimo coin-op. Stavolta il Saturn è sfruttato a dovere e ne risulta una conversione più che dignitosa.

Un modo nuovo di intendere gli RPG. Impersonate un super eroe che deve essere ‘noleggiato’ per sconfiggere gommosissimi nippomostri e che sarà ‘salariato’ solo se la missione sarà conclusa nel modo richiesto. Inusuale e adorato da schiere di otaku. Ha avuto un seguito su Dreamcast.

1994 Virtua Racing [Megadrive]

Virtua Fighter 2 [Saturn]

F1 Exahust Note [Arcade]

Il papà degli shooter ‘seri’ con pistola [House of The Dead è datato 1997]. Notevolissimo, ma il carisma dei morti viventi è altra cosa.

Rent-a-Hero [Megadrive]

Simulazione di F1. Niente di epocale se non fosse che il viso del giocatore è proiettato all’interno del cockpit della monoposto.

1992 Arabian Fight [Arcade] Classico gioco d’azione-fighting a scrolling orizzontale. Notevole per la grandezza degli sprites e per la possibilità di giocare in quattro contemporaneamente. Nient’altro di rilevante. Passo e chiudo.

Virtua Racing [Arcade] Epocale simulazione di F1, e primo titolo della serie Virtua. I poligoni fanno la loro prima comparsa in una sala giochi, ed è subito apoteosi. Inclusa nel pacchetto, l’inedita possibilità di cambiare visuali di gioco. Quando il futuro impatta col presente.

Soreike Kokology [Arcade] Produzione Japan-only basata su un famoso programma TV. Anche AM2 ha i suoi scheletri nell’armadio e questo fa davvero rabbrividire

1993 Virtua Formula [Arcade] Nuova veste per Virtua Racing, più fedele alla vera F1 nelle sue meccaniche

Burning Rival [Arcade] Picchiaduro alla Street Fighter ma senza il carisma della serie Capcom.

AM2 comincia a dedicarsi ‘seriamente’ alle console. E questa conversione ‘mastodontica’ sul piccolo Megadrive è una missione perfettamente riuscita pur con tutte le ovvie limitazioni del caso.

Virtua Cop [Arcade]

Desert Tank [Arcade] Ormai gli arcade poligonali e mappati sono all’ordine del giorno. In questo caso guidiamo un carro armato in un’operazione desert-storm ante-litteram. Primo cabinato ad usare la potentissima MODEL2.

Uno dei momenti più lirici di Sega Saturn. Una conversione perfetta. Un gioco profondo nel suo gameplay, in alta risoluzione e con mapping esemplare.

1996 Virtua Fighter Kids [Arcade] Ancora VF2, ma in versione Super Deformed, con i personaggi tornati bambini [ma Lau Chan ha i baffi!!] e con una profondità di gioco adatta ai principianti. Schifato dai puristi, apprezzato da tutti gli altri.

Sonic The Fighters [Arcade] Picchiaduro 3D con i personaggi dell’universo di Sonic. Fan-service allo stato puro. E il parco Ferrari continua ad ingrandirsi.

Virtua Fighter Kids [Saturn] Virtua Fighter 2 [Arcade] Più grande, più grosso e più bello. Con personaggi aggiuntivi e mapping di eccellente fattura. Il franchise di VF conquista il mondo, a suon di sberle e classe.

Virtua Fighter [Saturn] Killer Application per il lancio della console a 32bit Sega. Buona prestazione generale, ma già si evidenziano alcune lacune della console, come la generale difficoltà di programmazione

1995 Virtua Cop 2 [Arcade] Stavolta la protagonista è una poliziotta. Niente di nuovo se non un nuovo storyboard e un upgrade grafico al passo coi tempi.

Virtua Fighter CG Portraits [Saturn] Raccolta di cofanetti per fanatici della saga, da godersi in salotto grazie al Sega Saturn. Tutti i personaggi ritratti con Artworks in alta risoluzione e musiche composte per

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Conversione ad Hoc per la console di casa.

Fighting Vipers [Saturn] Copincolla: conversione ad Hoc per la console di casa

Virtua Fighter 3 [Arcade] L’eccellenza tecnologica al servizio del miglior franchise di AM2. VF3 mostrava mappature eccellenti di volti ed abiti, dislivelli nel terreno, movimenti realistici e l’implementazione di una schivata laterale per aumentare la sensazione 3D. Nonostante tutto, gli hardcore fans hanno accolto tiepidamente questo nuovo episodio. Utilizzata per la prima volta la scheda MODEL3.

Virtua Cop 2 [Saturn] Nuova, eccellente conversione per Saturn.

Fighters Megamix [Saturn] Il top del fan-service. Tutti i lottatori di Virtua Fighter, Fighting Vipers e qualche personaggio segreto da Virtua Fighter Kids in un unico pa-


:RUBRICHE: nino. Roba da digestione difficile, ma i fan hanno apprezzato la quantità di condimento

1997 Digital Dance Mix feat. Namie Amuro [Saturn] Un Cd contenente le canzoni di Namie Amuro, con sue animazioni 3D al ritmo di musica. Un prodotto multimediale inusuale.

Virtua Fighter 3tb [Arcade] Con la nuova opzione del tournament battle [possibilità di creare dei team per affrontare altri avversari umani], una maggiore profondità di gioco e qualche mossa aggiunta.

1998 Fighting Vipers 2 [Arcade] Dopo due anni torna Fighting Vipers, con nuove super-mosse, personaggi incredibili ed una nuova scheda grafica, la MODEL3.2. Un notevole passo avanti, ma la pochezza del suo predecessore non ha giovato alla reputazione di questo nuovo episodio [era un eufemismo]

Daytona USA 2 [Arcade] Splendido e giocabilissimo seguito di un arcade che ebbe un successo strepitoso. Nuovi tracciati, eccellente giocabilità, grafica migliorata. Uno dei migliori arcade automobilistici di sempre.

Virtua Fighter 3tb [Dreamcast] Al solito, AM2 realizza la killer application per la nuova console Sega. Il risultato fu migliore dell’esordio del franchise su Sega Saturn, ma anche stavolta non tutti i particolari del coin-op sono stati introdotti. Critiche insistite sui vestiti ‘immobili’.

Daytona USA 2 Power Edition [Arcade] Il nome lo dice da solo. Il franchise viene potenziato con nuovi livelli di difficoltà e nuovi veicoli.

1999

Ring#3 che regala davvero poco ai giocatori occasionali

Outtrigger [Arcade] Versione arcade di uno shooter online alla Doom. Qui non si è in linea, ma fino a 4 amici possono affrontarsi per vedere chi resterà vivo.

Un simulatore di autotreno americano. Originale il cabinato con l’enorme volante, ma il gradimento globale non supera i 10 minuti netti. In altre parole, il carburante finisce subito e l'enorme truck arrugginisce al sole dell'Arizona.

Shen Mue [Dreamcast] IL gioco di Suzuki. Quello per cui ha investito una vita. Leggetevi subito i commenti su Ring #1

2000 F355 Challenge [Dreamcast] Conversione dell’omonimo arcade. Gran simulazione, ottima conversione, ma davvero per pochi appassionati. Quelli che amano davvero i motori.

18 Wheeler [Dreamcast] Bieca operazione commerciale. Perché convertire un già pessimo arcade?

2001 F355 Challenge International Course Edition [Arcade] Nuova versione della simulazione ferraristica con diversi extra.

Fighting Vipers 2 [Dreamcast] Ennesima conversione. Ottima, ma penalizzata dallo scarso successo dell’arcade originale.

Ottimo simulatore di beach volley. Semplice da imparare, veloce, gradevole, avanzato tecnicamente, un arcade perfetto.

Outtrigger [Dreamcast] Il simulatore per eccellenza. Tutto arrosto e davvero poco fumo. Tutta la passione di Suzuki per le rosse in un gioco impegnativo, realistico ma

La saga del primo picchiaduro 3D continua, e nasce il gioco più tecnico e spettacolare che la storia ricordi. Tutto, dalle ambientazioni, ai dettagli della muscolatura, agli effetti ambientali, alle animazioni dei protagonisti è impeccabile

Shen Mue II [Dreamcast] 18 Wheeler [Arcade]

Beach Spikers [Arcade]

F355 Challenge [Arcade]

Virtua Fighter 4 [Arcade]

La frenesia dello scontro quattrocontro dell’omonimo arcade, trasferita su Dreamcast e soprattutto giocabile anche in rete

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Atteso, attesissimo, non delude le aspettative risultando più profondo, entusiasmante e poetico del predecessore. Limate molte imperfezioni, il gioco è di quelli che valgono da soli l'acquisto di una console.

______Il 2002 di Sega-AM2 Il 2002 del clan Sega è stato caratterizzato da una serie di uscite ben studiate e multipiattaforma. Vediamo di buttare distrattamente un occhio alla produzione dell'anno in corso rimandandovi all'ultimo paragrafo per una disamina critica della storia e filosofia di questa cornucopia ludica dagli occhi a mandorla. Playstation2 Dopo anni di colonizzazione di console fatte in casa, profumate come la torta della nonna, il franchise di Virtua Fighter, da sempre Killer Application di ogni nuova uscita hardware Sega, è trasmigrato sulla macchina del diabolico concorrente con il suo quarto ed acclamatissimo episodio. Nella parte finale di SEGA SAGA #1 avevamo tratteggiato la nostra ipotesi secondo la quale Sega, nella persona di tutti i suoi clan, avesse scelto XBOX per la trasmigrazione dei franchise più famosi [Shen Mue, Panzer Dragoon, House of The Dead, Jet Set Radio, Sega GT e altri], lasciando tutti i prodotti sperimentali [Rez, ad esempio] su console mainstream ove poter avere comunque un minimo ritorno economico [diciamocelo: Rez su XBOX quante copie avrebbe venduto?]. Classica eccezione alla regola, Virtua Fighter4 finisce per contro sulla macchina di nuova generazione in assoluto meno potente e apparentemente me-


:RUBRICHE: no "dotata" per portare a casa un coin-op complesso come lo storico fighting. Non dimentichiamoci inoltre che Sony, grazie al successo di Playstation, è in buona parte responsabile del crollo e smembramento della casa di Sonic. Da queste considerazione emerge impetuosa una precisa descrizione della mentalità di Suzuki e di Sega-AM2. Ovverosia: di fronte ai soldi e al mercato mainstream, il rancore verso Sony e la potenza tecnologica si possono fottere. Visto il risultato finale del prodotto, tecnicamente inferiore al coin-op e alle migliori speranze di molta gente, qualche persona potrebbe ipotizzare che Sega-AM2 ha tentato di distruggere Sony dall'interno con un prodotto largamente inferiore alle aspettative, ma la verità è che ha scelto in maniera intelligente ed oculata la macchina che più di altre li avrebbe potuti riempire di soldi. A prescindere comunque dall'eccellente risultato finale. Niente di più, niente di meno. E poi, a riconfermare le nostre intuizioni circa la politica multipiattaforma di Sega, rimane comunque il franchise di Shen Mue, di cui parleremo più avanti, e la ventilata ipotesi che l'upgrade di Virtua Fighter 4 [VF4 Evolution] comparirà sulla gatesmobile. Con i soldi guadagnati grazie a Sony, e c'è dell'ironia in tutto questo, Suzuki ha riempito il suo garage di Ferrari F355, provvedendo nel frattempo a diffondere ulteriormente il suo verbo ferraristico anche dove Dreamcast non ha attecchito. La splendida [e difficile da padroneggiare] simulazione automobilistica che a suo tempo ricevette elogi ovunque è arrivata nel corso dell'anno in corso sulle piste da corsa di PS2. Con una visuale esterna che mancava sia nel coin-op che nella versione DC, Ferrari F355 Challenge ha mostrato tutte le rughe e i segni sulla vernice, dimostrando al mondo che su Dreamcast alcune cose riuscivano nettamente meglio che sulle macchine della Console War. Grafica meno nitida di

Ring#3 quella della copia master, nessuna aggiunta di rilievo, commenti tiepidamente positivi da parte della stampa specializzata. Questo è FF355C per PS2, questo puzza di operazione commerciale cui Sega-AM2 non è nuova, visto l'incredibile numero di uscite fan-service e/o assolutamente inconciliabili col Comune Senso della Misura che immetteva sul mercato fin dai tempi di Saturn [cfr Sega-AM2Saga]. Ad ulteriore conferma di questo trend, l'uscita di Virtua Cop Rebirth, la cui uscita può essere unicamente giustificata con gli introiti che ne vengono ad Aemmedue. Davvero, neanche il Sega-fan più accanito [e noi non rientriamo nel caso] potrebbe trovare giustificazione diversa a quanto appena accennato. Il prodotto che è comparso su PS2 è di fatto il porting di un vecchio arcade, a suo tempo dignitosamente convertito su Saturn. Un prodotto che mostra tutti i suoi anni e limiti, e che Sega-AM2 non si è affatto curata di rinnovare dandola in pasto così com'era all'utenza Sony. Di fatto, Sega ha offerto ai golosi Sony adopters un panettone vecchio di tre anni, rinsecchito e dal vago sapor di muffa senza neppure metterlo a scaldare prima nel forno. E se davvero volesse screditare Sony dall'interno? Vedremo, allorquando arriverà in Europa Aerodancing 4- New Generation, simulatore di volo acrobatico che riscosse un tiepido successo su Dreamcast nonostante la fisica di volo e di controllo dei diversi modelli di velivoli fosse realistica come poche altre. Il titolo, già da qualche mese uscito in Giappone, presenta una grafica di primo livello e la possibilità di controllare diversi tipi di aerei ed elicotteri realmente esistenti e dalla fisica perfettamente riprodotta. Un incrocio tra Pilotwings ed Ace Combat, costruito su misura per le console e le loro intrinseche limitazioni. Ma nel frattempo Bauli sporge querela. Nintendo Gamecube Unica uscita sul cubetto a 128bit di mamma Nintendo,

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Beach Spikers è l'ennesimo porting da sala giochi su un sistema home. Contrariamente a quanto successo con la medesima politica su PS2, l'unico prodotto di Sega-AM2 su giococubo è di ottima fattura. Pur con tutti i limiti dei porting arcade, il simulatore di beach volley è strepitoso nella resa grafica, in tutto simile all'originale, e contrappone ad una longevità presto vittima di crampi tutta una serie di piccole aggiunte [il World Tour su tutti] che ne elasticizzano la fruzione nel tempo, portandola fino a limiti inizialmente impensabili. In altre parole: il rischio di stancarsi alla svelta del pur ottimo prodotto è reale, ma le aggiunte sono state ben studiate e l'impegno riversato è palese. La Teoria della Cospirazione ai danni di Sony è sempre meno fantascientifica, vien da pensare mentre aggiorniamo passo-passo il nostro database culturale. O per lo meno noi ci si prova ad istigare dubbi nei nostri lettori, ricordando loro che il nostro forum è a completa disposizione per qualsiasi discussione in merito. Spam off. XBOX La macchina Microsoft propone un solo titolo ad opera di SegaAM2, ma è uno di quei titoli che da soli valgono l'acquisto dell'hardware su cui farlo girare. Shen Mue è il progetto di una vita. È uno di quei giochi che o li ami alla follia o ne resti lontano per paura di innamorartene alla follia. Shen Mue II su XBOX non è propriamente una operazione memorabile ma se non altro sostiene la teoria di Ring sul vero amore® tra Sega e Microsoft. L'edizione yankee dell'action-adventure-RPG di Yu Suzuki [vedi Ring#1 per un'esauriente recensione e commento] pecca sotto diversi aspetti, la mancanza di un bonus-disk con il primo episodio fra gli altri. L'utente microsoffice affronterà infatti un'avventura già iniziata, e per capire cosa ha spinto Ryo Hazuki ad Hong Kong dovrà consultare il DVD accluso con i filmati del primo episodio che rivelano le fonda-


:RUBRICHE: menta dell'errare del giovane Ryo, dove errare sta per sbagliare-ma-anche-camminare. Perché è su errori, incomprensioni e viaggi dentro e fuori di sé che si basa tutta la saga di Shen Mue, fra omicidi, combattimenti, lunghi viaggi, karma e belle donne. Arcade Palesemente dedicato al mercato home, nell'anno di grazia 2002 il contributo di Sega-AM2 alle sale giochi è stato abbastanza rarefatto.

The King of Route 66 è l'unico prodotto indirizzato al mercato internazionale. Ennesima simulazione di american truck, pseudo seguito di 18 Wheeler, non lascerà verosimilmente neppure il segno di una sgommata nella storia del videogaming. Virtua Fighter 4 Evolution, per quanto stia riscuotendo un enorme successo nella terra del Sol Levante [cfr: Amano in Japano] è un mero update del prodotto datato 2001 con qualche personaggio ed arena aggiunta, mentre Four Players Striking Mah-Jongg MJ è un coin-op dalla grafica lussureggiante, ove fino a quattro utenti possono affrontarsi al tavolo di un casinò virtuale in uno dei più antichi giochi da tavolo della cultura orientale. Notevole la grafica, veramente di lusso e

Ring#3 stilosa. Sicuramente incomprensibile un tale sforzo produttivo al di fuori dell'arcipelago nipponico. ______Considerazioni Finali Dopo 160 KB di caratteri assortiti e multicromati, possiamo perlomeno tentare di fare un minimo identikit di Sega-AM2 e della sua filosofia. Innanzitutto, esaminando la sua produzione dal 1985 a oggi risulta più che evidente una certa serietà produttiva. Diversamente da Wow Entertainment che si è dedicata a cabinati e giochi decisamente originali [cfr. Sega Saga #1], non ci sono prodotti particolarmente estrosi a caratterizzare il parco giochi di Sega-AM2, se non nel loro passato remoto ed esclusivamente per il mercato home [Rent a Hero e i Portraits di VF sono due esempi]. Quasi a riflettere il volto di Yu Suzuki, tutta la produzione recente di questa softco è all’insegna della serietà più assoluta, senza concessioni di sorta ad un mercato come quello nipponico che è sempre pronto ad accettare concept di gioco quantomeno inusuali [portare a passeggio un cane, per esempio]. Una caratteristica che salta sicuramente all'occhio di un videogiocatore datato come il sottoscritto è l'alternanza di prestazioni che Sega-AM2 riversa sul mercato arcade e home. Per gli abituali visitatori delle sale giochi, la Casa della Palma ha sempre rappresentato il non plus ultra imponendo nuovi picchi tecnologici a suon di schede MODEL e brillando per profondità dei controlli e bilanciamento del gameplay, mentre nel mercato home, probabil-

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mente a causa di un hardware non costruito su misura, i risultati sono spesso stati inferiori alle attese sia per qualità della conversione che per contenuti extra. Non solo, questa minore qualità si mescola anche con tutta una serie di uscite per fan all'ultimo stadio, particolarmente attiva nel periodo Saturn, che abbassa ancora di più il rapporto qualità/quantità se paragoniamo le due categorie di produzione. Il 2002 ha però [apparentemente] settato un'inversione di tendenza. Sega-AM2 è passata da una prolifica attività dedicata al settore arcade ad una maggior quantità di uscite per le console [in attesa di una qualità che segua a ruota], limitando il solo The King of Route 66 alle uscita da sala, in compagnia del dopatissimo VF4E. Il futuro della softco di Suzuki potrebbe quindi subire un cambio di rotta, visto il continuo calo di passione del pubblico verso i rumorosi arcade e la continua crescita di interesse per la multimedialità da poltrona e divano.

Ring resta alla finestra a guardare, sperando che d'ora in poi Sega-AM2 sia sinonimo di qualità a casa come da 20 anni è sinonimo di qualità in sala giochi. Nel frattempo buttiamo un occhio al forum e vediamo se davvero sta complottando di di distruggere Sony dall'interno.


:RUBRICHE:

Ring#3

State of the fart_________________________ [Kakka Banzai: Ghost in the Shell] di Amano76 "sono io che ho scorreggiato o è un gioco Bandai?" Antico proverbio giapponese

Molti tie-in sono merda. Ne puzzano perfino, anche se sono su cd e i cd non hanno odore (d'altronde non ce l'ha neanche il gas nervino).

Alcuni, puzzano meno. Magari perchè invece di essere stati cagati come capitava, sono stati frutto di fatiche constatabili e sulla superficie del disco ottico è rimasto un pò di quel sudore che c'è voluto per tirarli fuori. In questo giro di pochi eletti bazzica Ghost in Shell, e il motivo è presto detto: è Sony. Per carità, nessun partitismo qui, solo una considerazione simpatica circa la capacità della conquistatrice dei 32-bit di valutare il mercato dei videogiochi e trovare infallibilmente gli spazi in cui inserirsi. Nel caso dei titoli ispirati a cartoni o manga è già notevole l'aver scelto l'opera di Shiroo, di lettura non facile e di una popolarità non esattamente nazionale, ma ancor più notevole è che il prodotto finale tenga fede alla sua ispirazione almeno quanto dimostri una propria "personalità" nel sapere intrattenere (per breve tempo purtroppo). _______Ghost in the ascella Diciamolo subito: questo titolo non è un formidabile poker sfuggito alle attenzioni dei re-

censori occidentali. Ci sono solo una coppia di jack (Jumpin' Flash) e un asso, rappresentato peraltro dai filmati a cartoni animati, aspetto non universalmente apprezzato. Realizzati da Production I.G. (che nello stesso periodo era al lavoro su un altro Ghost in the Shell, quello di Mamoru Oshii) gli spezzoni in animazione utilizzano una colorazione artificiosa, chiamata "Animo", che dimostra senza mezzi termini la sua (in)natura da macintosh, ma che allo stesso tempo vale da punto di congiunzione con le riconoscibili tavole a colori di mastro-Shiroo. A operare il recupero è nientemeno che Toshihiro Kawamoto, noto character designer di Cowboy be-bop, qui direttore delle animazioni1, che ha adattato il tratto di Shiroo senza perderne i clichè, e che si è prestato alla capace regia di Shinji Takagi, uno dei padri della serie Yarudra2. E non finisce qui: a dispetto di un lungometraggio, quello di Oshii, che privilegiava i temi dell'opera originale tralasciando il caratteristico background meccanico e il "popoloso" cast che componeva la squadra Ghost nel manga, il gioco di Kenji Sawaguchi restituisce la ribalta ai fuchikoma, ai battibecchi tra Bato e Togusa, a Boma e Pazu (che appaiono in due scene, ma almeno appaiono) e soprattutto al character design dell'autore, complesso e dettagliato eppure totalmente abbandonato nel film a cartoni. L'aspetto narrativo del gioco non è da sottovalutare: contribuisce a creare un atmosfera molto attigua a quella dell'opera originale, grazie a caratterizzazioni che non "ripetono" pedissequamente quelle del manga, ma che riescono allo stesso tempo a reggersi sulle proprie

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Genere: Etichetta: Sviluppatore: Sistema: Giocatori: Versione:

Azione Sony eXact PlayStation Fino a 1 Giapponese

Anno: 1997 gambe e a costruire un plot credibilmente affine. Un vero e proprio asso nella manica del team eXact, che ha saputo rielaborare con inventiva gli spunti offerti dalla fonte.

__Poligoni poveri ma onesti (per ipocrisia?) E su quello stesso altare ove è stata deposta in offerta un bella fetta del budget di produzione (le sequenze d'animazione sono state tra le più costose nella storia dei full motion a cartoni) sono anche state sacrificate le viscere della giocabilità, lasciando una gocciolante traccia di avversari prevedibili. Tuttavia una difficoltà tanto condiscendente non deve essere fraintesa per una pigra trascuratezza dei programmatori. Il tentativo è stato quello di concentrare gli sforzi sulla componente narrativa a dispetto di quella strategica, mirando eminentemente ad accontentare più il fan che il giocatore medio, e se la decisione è deprecabile per il suo poco coraggio pure non se ne può ignorare la


:RUBRICHE: validità. Allo stesso modo il titolo Sony non deve essere sottovalutato per uno sparatutto senza arte nè parte: è vero che gli avversari difficilmente sposteranno il loro culone metallico dai pattern a monorotaia che li schematizzano, eppure nessuna missione è stata progettata di modo che il giocatore ci passi attraverso distrattamente: gli avversari sono ben distribuiti sui territori, e il lavoro di coordinazione che bisogna impiegare sui controlli per apprendere le meccaniche dei boss conclusivi non è indifferente, dato che ognuno di essi richiede un approccio anomalo alle tattiche d'attacco ordinarie. Non meno cura ha ricevuto la colonna sonora, a suo tempo (1997) acclamata e riverita per delle sonorità techno-pop meno gratuite del solito. Realizzata da talentuosi dee-jay giapponesi e non, l'antologia di brani che sigla le varie missioni è particolarmente gradita, al punto da riuscire a distogliere una tantum dal gioco stesso. Il genere

Ring#3 sarà anche un tantinello sputtanato, ma con le ambientazioni di Ghost in the Shell ci si sposa alla perfezione, costituendo un ulteriore elemento a compattare la già nutrita qualità del comparto tecnico. __________Giudizio binario Una mano debole: Ghost in the Shell è un titolo con dei difetti che non passano inosservati per chi è assiduo giocatore e profano di entertainment giapponese. E'corto, difficilmente lo si affronterà nuovamente se non per ammirare le sequenze animate, e come adventure, per quanto originale, c'è un infinità di altri titoli che può superarlo tranquillamente in un confronto diretto. Ma se avete letto cento volte il manga e visto cento volte il film, se siete fan di quest'opera e avete voglia di assaporarla ancora (oltretutto con l'interpretazione peculiare che gli è propria) il consiglio è di fare uno sforzo,

distrarsi dai poligoni squadratissimi, e gustarsi questa sorta di capitolo parallelo con tutte le chicche che può offrire. __Direttore dell'animazione [1 – Ruolo di supervisione e correzione delle animazioni che non concede voce in capitolo su inquadrature e contenuti. Il suo compito è quello di fare in modo che il tratto degli intercalatori sia uniforme e che rispecchi le peculiarità del character design. La pianificazione delle sequenze (soggetto, sceneggiatura, storyboard) è di Kazuo Yamazaki.] [2 – Yarudra: "storia fai-da-te", letteralmente. Giochi a cartoni animati in cui è il giocatore a scegliere il corso degli eventi e l'esito conclusivo della trama, attraverso scelte multiple che vengono proposte di volta in volta. Questa serie è stata prodotta da Sony sulla scia del successo di Dancing Blade di Konami, e conta vari cast di autori noti nel campo dell'animazione e del doppiaggio. Se ne parlerà ampiamente nel secondo numero di Kakka Banzai.]

Ginetico Incompetente e la Goccia Densa_____

[Il Davide Videoludico TRE]

di Nemesis Divina “Come? Certo che mi farebbe piacere avere un figlio come Davide. Dico, quale giuria al mondo mi condannerebbe se affogassi alla nascita un coso del genere, essendone padre?” Nemesis Divina Il Davide è stupido come un opossum ma ha una volontà di ferro. No. In effetti ha l’incostanza di una libellula con cinque ali, ciò non di meno è incazzoso come pochi. No. Effettivamente è mansueto come un porcellino del Madagascar. A monte di tutto, il Davide sa farsi rispettare. Ovviamente è falso anche questo ma andiamo avanti. Era imprescindibile decisione del Davide, quella di reclamare il possesso del ‘Mighty Buco di Merda’ (al secolo la sua stanzetta dei VG) prima che lo scomodo erede suo, al secolo Gianfilippo il Venturo, vedesse la luce e usurpasse il territorio paterno. Davide, furbo come un paralume, eresse un piano di proporzioni gnomiche, tanto era idiota: far entrare la Silvia nel multiforme mondo dei videogiochi. Più facile farle chiudere le gambe di fronte alle incursioni pelviche del bel Tonio. Il terribile piano del Davide constava di tre parti essenziali: 1 2 3

introduzione teorica al VG introduzione pratica al VG prova su strada

Il tutto avrebbe dovuto concludersi, nell’ordito davidiano, con la totale accettazione dell’hobby e il conseguente mantenimento dell’aula ludica. Il Davide aveva studiano

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Ring#3

con perizia i movimenti da attuare per circuire l’irascibile moglie. Va peraltro detto che Silvia era tutto fuorché minimamente interessata a rincoglionirsi davanti al TV e che nemmeno aveva tempo da perdere nell’assecondare il marito in passioni infruttuose, specie visto quello che il dotato Tonio aveva da offrirle… Flessuoso come un serpe, il Davide decise d’introdurla al piacere del VG in maniera subdola e segreta. Fu così che, per un mese eppiù, Davide prese a introdurre elementi di videogiochistica applicata nelle frasi di tutti i giorni: <<Questo rendering è proprio buono, cara. Come lo fai tu non lo fa nessuno. Ah, il passato meriggio mi è cascata un putrella sul piede e c’è mancato poco che mi si rompesse un joypad. Per fortuna il Dott. Tassone che mi ha dato un multitap affinché riuscissi a completare lo stage, così sono riuscito a prendere il bonus di fine livello e il direttore capo mi ha fatto i complimenti per la mission accomplished e forse avrò anche un aumento di stipendio. Ma forse no.>> Superfluo dire che, così come non ascoltava i discorsi normali di Davide, Silvia neppure prestava attenzione a questi. Eppure, a forza di sfracellarle le ovaie, alcuni piccoli elementi di coscienza videoludica si erano insediati in lei, restava solo da attendere una germinazione copiosa. Per accelerare la fioritura, Davide prese a trovare mille e mille scuse per trarre la Silvia nella sala dei giuochini elettronici. <<Silviiiiiiii, pucci pucci, mi porti un caffè qui nella stanzetta piccola bella?>> <<Muovi il tuo culone flaccido, vomitoso eunuco!>> <<Suvvia, trottolino odoroso, sono alle prese col Sefirotto e quasi l’ho battuto…>> <<E chi se ne incula?!>> Dopo due orette di elevato ping pong dialettico, la Silvia, svangatasi le gonadi, accettava di andare a rovesciare un caffè sulla micro-patta del Davide. Ma Egli, il cui pene era incredibilmente difficile da colpire, fece finta di nulla e nel mentre in cui lei lo insultava riuscì a convincerla a sostare con lui e ad assistere ad una seduta di intrattenimento videoludico. Scorsero su schermo alcuni dei titoli migliori di ultima generazione e non. Silvia osservava silente anche se in alcuni momenti pareva leggermente annoiata, per tutti gli altri attimi era invece palesemente sminchiata. Giochi di corse, sportivi, platform 3D, picchiapicchia e sparaspara, fps, rts, rpg e sms (quelli del Tonio che importunava a tutto tondo la fedifraga). Forse il tentativo di controllo subliminale stava dando i suoi frutti, giacché quando il Davide le propose di provare un giuoco, ella rispose: <<Piuttosto faccio sesso con te.>> Quando però il Davide espose la sua mercanzia genitale, la Silvia impugnò stretta fra le mani un joypad e fissò dritta lo schermo per evitare la visione delle orride pudenda. <<Bella questa cosa del vibratore…>> sentenziò con malcelata lussuria… Come primo approccio, Davide scelse un titolo colorato e che fa sempre una certa presa sulle pulzelle: Puzzle Bubble. <<Ecco tu sei quel… si ecco, e puoi ruotare la freccia e direzionale le bolle verso… già, proprio così… ecco lo scopo è quello di… esatto, tre o più palle dello stesso colore… stai attenta che lo schermo scen… ok, hai passato il primo stage. Questo gioco è un po’ facile. Ti è piaciuto?>> <<Le palle che amo sono di altro genere…>> Riferendosi a quelle taurine del Tonio. Inorgoglito dal supposto complimento il Davide dispose un gioco a due, un bel Tekken. <<Ecco, questo lo possiamo giocare in due. La bellezza dei VG è che puoi fare cose che nella realtà non potresti mai fare, è per questo che li amo. Vedi, questo è un gioco di lotta, qui possiamo scegliere dei lottatori ognuno con le proprie caratteristiche e stili di combattimento. Nella finzione del VG gli status reali si sovvertono e nel VG, talvolta, può anche essere che l’uomo riesca a sopraffare la donna… io prendo l’uomo tigre e l’esperto di Kung Fu, tu?>> <<Il negro con il pacco gonfio e il pornodivo motociclista…>> [Inizia l’incontro] <<Perché non spara?>> <<Ma è un gioco di lotta. Guarda, puoi dare i pugni premendo i tasti.>> <<Voglio spararti.>> <<Ma no, cara. Qui ci si picchia, niente armi. Dammi un calcio.>> <<Preferisco spararti.>> <<Ho capito, ma il gioco ha delle regole da rispettare.>> <<Se non posso spararti non mi piace.>>

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Ring#3

Vagamente seccato, il Davide cambia il gioco e mette fra le mani della consorte una light gun. <<Ecco, questi sono i cattivoni alieni, li devi abbattere, punta la pistola verso di loro e fai fuoco, il pianeta Terra è nelle tue mani!>> <<Non può pensarci la polizia?>> <<Sono in sciopero e comunque non potrebbero, questi sono stupratori marziani di Giove che vogliono prendere possesso del pianeta Terra.>> <<Ma sono belli questi marziani di Giove?>> <<Bruttissimi.>> <<Ma ci sanno fare?>> <<Sono stupratori creati geneticamente. Fanno solo sesso… Amore, guarda che dovresti sparargli.>> <<Voglio farmi stuprare.>> <<Ma sono i cattivi, non puoi arrenderti.>> <<Stupro. Lo esigo!!>> Leggermente scomposto, il Davide resetta la console. E sostituisce il disco all’interno. <<Questo gioco è una forza, devi ballare.>> <<Non posso farlo in discoteca?>> <<Sì, ma qui non sudi, non rischi l’herpes e poi non ci sono quei tipi che vengono sempre a infastidirti.>> <<Guarda che danno fastidio solo a te…>> <<Appunto. Dai, premi i bottoni nell’ordine giusto come vedi sullo schermo. Ecco, così, brava. Non ne hai preso uno.>> <<Ma se faccio giusto la donnina su schermo tromba l’omino?>> <<No. Però puoi provare a battere il tuo record. E questo il bello dei VG, sono una doppia sfida. Una contro la superiore intelligenza della macchina e l’altra, più intima, si combatte entro di noi nel tentativo di superare i nostri limiti intrinseci.>> <<Non si chiava?>> <<No.>> <<Bella merda.>> [Puzzle Game] <<Ma perché mai dovrei eliminare quelle righe. A me mi stanno pure simpatici quei mattoncini colorati.>> Esplose irosa la Silvia [RPG] <<Ma ti pare che posso prendere a spadate un robot di 15 metri. Cosa faccio, cerco di fargli venire una tendinite al piede?>> Apostrofò collerica la Silvia. [Gioco di guida.] <<Ma non ci sono i danni. E nemmeno i piloti. I cerchioni sono bidimensionali. E le riflessioni sono precalcolate.>> Stizzì stizzita la Silvia. Il Davide era oltremodo perplesso, non riusciva proprio ad inculcare la filosofia del VG nel cerebro silvico. L’amara metà del Davide, vedendolo in siffatte condizioni e mossa dalla pietà (e da un leggero moto di nausea) proruppe: <<Senti, caro (brrr…), ci tieni così tanto a questa saletta?>> Un raggio di sole filtrò nel grigio dell’umore davidiano, fra cori gregoriani e prati in fiore, alberi che cantavano alte la gioia del vivere e un sole rotondo, giallo e sorridente. Il viso del Davide risplendeva di un pallido malaticcio, ma comunque acceso. <<Se davvero ci tieni così tanto, insomma, io credo che forse la puoi tenere ancora un poco. In qualche modo faremo, vedrai. Facciamo così, io vado in salotto a vociare un paio di orette, tu rimani pure qui. Estraniati dal mondo come solo tu sai fare, non dobbiamo essere uguali. Anzi, la salvezza della nostra unione è appunto la diversità. Ognuno i propri hobby. Divertiti caro (brrr…) ci vediamo poi.>> Il Davide era sinceramente esterrefatto. Sorrise commosso mentre ritirava, uno ad uno, gli epiteti che affibbiava mentalmente ogni mattina alla moglie. Forza del VG, non poteva essere altro. Mise su un gioco, una cartuccia di una console dimenticata che solo un tru retrogamer poteva ancora amare. E incurante dei latrati e dei nitriti che provenivano dal salotto, Davide proseguì nello sviscerare videoludico. Mondi pixellosi eppure densi di atmosfera e significati che solo l’occhio sveglio potevano distinguere con chiarezza. Verso sera spense la console. Erano da poco cessati i barriti. Il Davide corse in salotto per abbracciare la moglie e ringraziarla della comprensione e dell’affetto, scavalcò un paio di jeans raggomitolati per terra e, nell’eccitazione del momento, dimenticò persino di rispondere al saluto di Tonio che, nudo e gocciolante, dirigeva verso il bagno… [continua…]

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