Ring#006

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pROJECTrING INDIVENIRE

rUBRICHE mE nINTENDO

tESORI sEPOLTI Bangaioh sEGA sAGA Sonic Team pEOPLE Matteo Bittanti iL dAVIDE Il Davide Sei fRAMES 4-Way multiplayer e la tesi del complotto HardWar Ringterview: Erik Pede Coordinate videoludiche

Ringterview: MBF Warld Apeiron iNDEPTH Semantica e sistematica del tie-in Ecco the Dolphin 2

mAGGIO2003

INDIVENIRE_________________________________ [Cover Story]

::sOMMARIO::

Il rispetto degli antenati

_____________________ #06

.42 .43 .44 0 .46 .49 .00 .03 .08 .09 .12 .14 .17 .00

.19 .25 VERSUS: Metroid Prime .27 rECENSIONI .00 SOS: The Final E scape .32 Tenchu: Wrath of Heaven .33 Splinter Cell .35 Rayman 3 .37 House of the Dead 3 .38 CREATURES 2 .39 L’Evoluzione del Se rpente .41

Samus Aran: supereroina o minaccia? Ring si improvvisa J. Jonah Jameson e confeziona un Versus su Metroid Prime da leggere in stereo a partire da pagina 27

Tutto si trasforma. Il VG non è fissità ma mutazione e movimento, dietro lo schermo siamo agente mutageno con la nostra interazione: una performance brillante porta ad una narrazione credibile, senza singhiozzi o intermittenze. L’unicità del medium VG appare chiara da questa prospettiva; l’opera videoludica richiede/necessita l’apporto diretto del fruitore per potersi compiere; è una differenza rilevante r iLa cover è di spetto ad altri medium che assegnano all’utente Fabio Timpanaro il semplice ruolo di spettatore, con l’unica libertà della decodifica di un eventuale messaggio. Il videointerat(t)ore è invece protagonista del VG, attraverso di esso l’opera videoludica acquista integrità e spessore, ne diventiamo co-autori e partecipiamo al convergere dell’amalgama digitale verso un luogo di coesione, dove azione, espressione ed emozione sono tutt’uno. È un VG che non si limita a dettare regole e ad arbitrare la partita; ci è affidato il compito di intervenire sul formarsi del messaggio: optiamo fra le soluzioni, decidiamo i percorsi e la maniera di attraversarli, siamo posti all’ingresso di bivi morali ed etici. Per ora gli interventi a noi possibili sono limitati, generalmente possiamo solo scegliere fra inte rpretazione moralmente retta o distorta, ma il futuro potrebbe darci ulteriori poteri di mutamento sulla forma finale, potremo dare il via a recitazioni videointerattive nelle quali i nostri comportamenti sviluppano risposte coerenti al contesto in atto. Tutto si trasforma. Con l’essenza del VG, mutano anche le sue forme più esterne. Fino all’altro ieri il VG era esclusivo dominio delle masse imberbi, oggi fa tendenza anche fra barbuti trentenni. Con l’industria videoludica sempre più intenta a massificarsi, è di nuovo Sony a portare la promessa di una rivoluzione. Sony restituisce l’atomica agli Stati uniti e la sgancia in quel di Los Angeles, entro la cornice dell’E3, scendendo sul campo dei contenuti portatili, lei che da prima ne concepì le pote nzialità creando il marchio Walkman e fondando su esso un vasto impero tecnologico. PSP (PlayStationPortable) suggerisce qualcosa che va oltre la grafica 3D alla fermata dell’autobus; Sony continua un percorso verso la tecnologia altamente integrata, PSP ha il potenziale per diventare un fornitore di contenuti multimediali, un compagno avveniristico che passeggerà con noi verso un futuro sempre più vicino e di cui noi, forse, riusciremo a fare parte. Tutto si trasforma. E RING con esso; dopo cinque numeri chiudiamo un primo ciclo vitale e traiamo qualche conclusione. Nascevamo con il desiderio di dire cose, laddove molti si limitano a riportarne. Nascevamo con l’intenzione di dare l’abbrivio ad un modo nuovo di approcciare il VG, un metodo molteplice fatto di voci varie e senza paura d’esser divergenti, pur di offrire una visione a mpia. Molti ci hanno seguito, molti non lo hanno fatto. Sperando che altri si uniscano presto a noi, RING prosegue coerente per la sua strada offrendo un numero ricco, ricchissimo, abbozzo del futuro che ci attende: un numero grasso di contenuti, con interviste, saggi e teoria del VG. RING, come sempre, non è qui per indicarvi LA via… vi segnaliamo quelle che stiamo percorrendo noi, se volete accompagnarci sta a voi deciderlo. Con la sua sesta uscita, RING continua il suo lento ma inarrestabile processo di trasformazione, affinando le proprie forme e meccaniche produttive. Ci sono rivoluzioni ed evoluzioni in atto, alcune l e potete vedere con i vostri occhi, online e offline, altre le potrete solo leggere fra le righe, costatando una maggiore precisione dei testi ed uno sguardo più generale a quello che sta attorno a noi. Sei numeri sono passati da quando Ring ha cominciato a scalciare nel ventre di una piccola comunità di curiosi, che hanno voluto ascoltarne i vagiti avanguardisti. Ora quel bambino ha imparato a camminare. Vediamo dove arriverà. E dove arriveremo noi con lui. Ancora una volta, buona lettura.

Nemesis Divina


:FRAMES:

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Fu allora che vidi il Pendolo. La sfera, mobile all’estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà. Ho contemplato il lento movimento del Pendolo per tutto il pomeriggio, mentre cercavo di riportare o rdine dal caos degli eventi che mi hanno condotto dove mi trovo, al Conservatoire des Arts et Mètiers di Parigi, ad attendere la chiusura del museo. E la mia inevitabile morte. Sto scrivendo quelle che sono le mie ultime memorie sopra ad alcuni fogli che ho trovato nella teca dei diari segreti di J. Edgar Hoover, dopo averne grattato alcuni paragrafi per fare spazio. PLAN ON JFK’S REMOVAL (Anche se alcuni frammenti di testo proprio non sono riuscito a grattarli via…) Sono rannicchiato da circa sei ore all’interno dell’abitacolo dello Spirit of St. Louis: l’aereo usato dal terrorista Lindberg per insozzare di mucillaggine l’Adriatico. Davanti a me, appunto, il Pendolo: l’enorme marchingegno adoperato da Foucault per le ipnosi di massa. REAL NAME OF MARILYN IS MARIO Presto incontrerò gli Oni, i demoni della cultura giapponese. Gli Oni mi hanno inseguito nei giorni passati lungo mezza Europa, uccidendo tutti quelli che mi erano cari e risparmiando coloro a cui dovevo dei soldi. Non conosco con esattezza i motivi per cui mi stanno inseguendo, so solo che tutto è iniziato dopo che ho inviato il seguente articolo alla redazione di Ring…

4-wAY mULTIPLAYER e lA tESI dEL cOMPLOTTO_________ [Elogio del videogioco come catalizzatore sociale] di Attor Arreso

(tenetsoapopera@project -ring.com)

«Ma lei, Casaubon, [i Templari] li ama?» «Ci faccio la tesi, e uno che fa la tesi sulla sifilide finisce per amare anche la spirocheta pallida.» Umberto Eco, "Il Pendolo di Foucault" L’Essere Umano è un animale da branco. Automobili, aeroplani, discoteche, agriturismi, sono tutte creazioni dell’Uomo, fatte per essere fruite da più persone contemporaneamente, a testimonianza dell’innato bisogno di vivere a stretto contatto con il prossimo. Anche il Videogioco reca con sé questa tendenza, o almeno, lo faceva nella sua concezione originale, fornita da William Higinbotham con Tennis for Two (1958) e da Stephen Russel con Spacewar (1962). I primi videogiochi della storia mettevano infatti due contendenti umani a bordo di navicelle spaziali e racchette da tennis e li traghettavano lungo furiose sfide virtuali. Poi però è accaduto qualcosa. Nel corso degli anni, e in maniera così progressiva che non ce ne siamo resi conto, le sessioni ludiche del videogiocatore si sono fatte sempre più solitarie, sempre più tristi. Possiamo facilmente indiv iduare alcuni eventi chiave di questo fenomeno. Innanzitutto la creazione delle prime rudimentali IA, nonché il loro continuo miglioramento. Quindi il graduale abbandono della sala giochi: luogo di sano divertimento, scazzo perenne con gli amici e t abagismo occulto. Da non dimenticare l’implementazione del gioco online: sistema diabolico per far credere al giocatore di essere in compagnia, quando invece si sta alienando in una cameretta pregna d’aria viziata.

Duole quindi constatare che il v ideogiocatore odierno è una persona che vive ai margini della società; i cui pochi conoscenti lo chiamano usando il suo nickname o, peggio ancora, la gamertag. Con questo articolo cercheremo di perseguire un duplice obiettivo. In primis, rispolvereremo le gioie del multiplaying elencando i m igliori titoli che, ultimi baluardi, permettono una simile feature. Dopo una breve descrizione del gioco, forniremo consigli sul come disporre gli amici nel salotto di casa vostra, quindi alcune avverte nze, in modo da poter godere a ppieno dell’esperienza di multigioco. Successivamente ci concentr eremo sul fenomeno di oscurantismo che ha colpito questo medium nella sua radice socializzante: c’è forse un complotto dietro a tutto ciò? A chi giova il fatto che il videogiocatore passi il suo tempo da solo? E perché?

______________Virtua Tennis Tra la moltitudine di giochi tennistici, e con buona pace di Namco e Nintendo, la serie Virtua Tennis è l’unica degna d’essere menzionata. Non si sa bene il perché. Dopo tutto il racchettaro di Sega possiede grossomodo le medesime caratteristiche della concorrenza, se non di meno. Però è così. È tutta una questione di bilanciamento, direbbe Yuri Chechi. Meglio se giocato su Dreamcast, con i suoi quattro pertugi e quella bella pulizia a video, VT esprime tutto il suo potenziale proprio nei doppi, con nessuna IA a reggere il lume. In questo frangente, Virtua Tennis continua la tradizione avviata da Higinbotham e dal suo oscilloscopio delle meraviglie, meritandosi da qui in poi l’appellativo di Tennis for Four.

L’amicizia che trapela fra questi due tennisti digitali è commovente. Di Matisse, la rappresentazione di un multiplayer party. O forse di una gangbang…

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Disposizione: Due divani sui quali andranno a posizionarsi le due coppie in gioco. I compagni devono stare a stretto contatto, in modo da


:FRAMES: incitarsi l’un l’altro e darsi veloci suggerimenti sulla tattica da adottare. La distanza dagli avversari deve essere la maggiore possibile, così avremo una più struggente f ine del match, con i vincitori e i vinti che si alzano e si avvicinano per stringersi decoubertianamente la mano. Da segnalare che nella versione 2K2 si possono fare i doppi misti: questo rende il gioco accessibile anche alle ragazze. Un’occasione che può essere sfruttata durante le classiche uscite a quattro… «Non hai coperto la tua parte di campo» dirà con educazione Rita nna al fidanzato, reo di aver r egalato l’ennesimo break agli avversari. «Hai ragione, scusa» risponderà questi sotto l’imbarazzato silenzio dell’altra coppietta; poi, covando risentimento nei confronti dell’amata, penserà che forse, chissà, magari faccio una telefonata a Giulio, che è sempre pieno di fighe, e gli chiedo se ha un’amica da presentarmi. Proposito abbandonato sul nascere, perché dove la ritrovo un’altra che mi gioca ai giochini? Avvertenze: Tenete presente che se, appunto, ci sono donne, donne che stanno giocando e che stanno perdendo, cercate di non essere sarcastici; non sbeffeggiatele. Le donne, come è noto, sono dotate di scarsissimo senso dell’umorismo e hanno un coefficiente di zero alla voce “autoironia”. Questo consiglio, naturalmente, vale anche per gli altri giochi. E nella vita in generale. .:scHEda:. gENERE Arcade-tennis eTICHETTA SEGA sVILUPPATORE Hitmaker sISTEMA DC/PS2/PC gIOCATORI 1-4 _________Finalizza Fantasista! Reggetevi forte: il capolavoro di Konami – anche chiamato Winning Eleven o Pro Evolution Soccer – fruito in singolo, non può essere definito un simulatore di Calcio. Come potrebbe infatti esserlo un gioco in cui un unico giocatore ne controlla undici, dove i movimenti senza palla gestiti dalla CPU sono privi dei guizzi di genio tipicamente umano e in cui ogni passaggio finisce per essere un passaggio a se stessi? Manca la caratteristica fondamentale di questo sport: il gioco di squadra. Con due giocatori nel medesimo team le cose migliorano drasticamente. Quattro giocatori con la stessa maglia invece provocano solo confusione, questo perché la t e-

Ring#06 lecamera, per quanto grandangolare, inquadra comunque una porzione limitata del campo, impossibilitando al gioco coloro che vogliano eseguire i loro movimenti smarcanti o difensivi lontano dal pallone. L’ottimo quindi è raggiunto dalle partite due contro due, nelle quali troveremo il gusto di uno scatto sul filo del fuori gioco, complimenta ndoci magari col compagno per il passaggio fulmineo e prendendo per il culo gli avversari, nei confronti dei quali gli sfottò e le offese alle madri avranno più effetto che con le gelide intelligenze artificiali…

Non canteranno l’inno, ma sono comunque molto uniti… Disposizione: Come nel caso di Tennis for Four, i membri dello stesso team devono essere a stretto contatto, in modo da segnalare facilmente un tentativo di fuorigioco in atto (“Salire!”), un raddoppio di pressing degli avversari (“Uomo!”) o uno smarcamento (“Passa quella palla, pezzente!”). A differenza di T44, i due team devono anche essere piuttosto vicini tra loro, in modo che dopo una trebbiata da dietro a palla lontana, la vittima possa mollare con facilità il joypad a terra per recarsi a muso duro verso il Mark Lenders della situazione. I due si guarderanno in cagnesco senza parlare e con i volti quasi a contatto, poi saranno separati dai compagni, ma ci sarà sempre il tempo per un “io ti faccio sparare!”, o un “juventino di merda!”, o l’evergreen “basta io me ne vado, e porto via il DVD…”. Avvertenze: Fate molta attenzione perché state percorrendo una strada a senso unico: non si torna indietro da un 4-way multiplaying a Finalizza Fantasista!, quindi preparatevi a dire addio alla Master League e a tutte quelle stronzate managerial-solitarie…

.:scHEda:. gENERE Strategic RPG eTICHETTA Konami sVILUPPATORE Konami TYO sISTEMA PS2/NGC gIOCATORI 1-8 (Finalizza Fantasista! è recensito su Ring #2)

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__________________NBA 2Kx A differenza dei giochi di Calcio, in cui l’azione copre una porzione di campo superiore a quella inquadrabile da una telecamera, nel B asket i giocatori si concentrano tutti in prossimità della palla, quindi più di due persone possono abitare nella stessa squadra, fino a raggiungere la situazione ideale di un team completamente controllato da umani, che useranno quindi il solito atleta per tutta la partita. Identificazione totale. Tra la moltitudine di giochi cestistici, abbiamo scelto il titolo di Sega Sports per diverse ragioni. Innanzitutto per la visuale alle spalle del portatore di palla: ottima in ottica multiplayer. Poi per l’intelligenza artificiale degli avversari: bastarda ma senza che dia l’impressione di stare imbrogliando. Non ultimo, il fatto che la serie NBA 2Kx è di gran lunga la migliore d isponibile sulla piazza per fluidità, completezza, facilità d’uso dei comandi e soprattutto per come è r estituita la fisicità di questi energumeni.

Ecco una sana ammucchiata. Attenti a non intrecciare i fili dei joypad… Disposizione: Random. Visto che fate tutti parte della stessa squadra, non c’è bisogno di stare vicini per ostacolarsi. Cercate quindi di mettervi comodi ma non troppo lontani l’uno dall’altro, ché dovrete comunque darvi frequenti pacche di incoraggiamento sulle spalle o sui cinque (avete presente nella NBA, dopo un tiro libero?). Inoltre, per tenere sospesa l’incredulità, potr este anche esclamare roba tipo “yo bro” e altre frasi da rapper come “check it out” o “io penso positivo perché son vivo”. Avvertenze: Lavorate di editor per personalizzare il vostro atleta digitale. Ricordate che dovrete e ssere immediatamente riconoscibili dai compagni, quindi esagerate in capelli variopinti e tatuaggi. .:scHEda:. gENERE Basket eTICHETTA Sega sVILUPPATORE Sega Sports Multipiattafo rma sISTEMA gIOCATORI 1-8


:FRAMES:

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________________Powerstone

______Super Smash Bros Melee

Powerstone significa botte da orbi come nelle scene clou di un qualsiasi film con B ud Spencer e Terence Hill. Powerstone significa arene pesantemente interagibili frequentate da malati di mente con un diavolo per capello. E tre pietre. Il gameplay è geniale nella sua semplicità: massacrarsi con tutto ciò che capita, cercando al tempo stesso di recuperare le tre gemme che si materializzano a random sul playground; operazione che consentirà al lottatore di “digievolv ere” in un super combattente per pochi secondi, bastevoli a fare tanto, tanto male. Assolutamente consigliato il sequel Powerstone 2 che, oltre a migliorare in ogni r eparto, propone un gameplay studiato appositamente per quattro giocatori, con vaste arene a scorrimento e uno stile di combattimento sostanzialmente diverso dal capostipite – essendo più incentrato sulle armi e sugli attacchi a distanza – tanto che si può passare dall’uno all’altro titolo in base al tipo di scontro in cui vogliamo cimentarci.

Vista la presenza dei Powerstone, può sembrare ridondante l’inclusione del multipicchia Nintendo: discretamente divertente ma ancorato a uno stile di gioco bidimensionale che lo rende meno profondo (er) dei due colleghi capcomiani. Ma SSBM ha dalla sua una periferica innovatrice: il Wavebird. Sembra nulla, ma d isporre di un joypad senza fili rivoluziona copernicamente il concetto alla base del multiplaying rissaiolo…

Disposizione: Sistematevi molto vicini, magari seduti per terra, ta nto non ci rimarrete a lungo: la foga del combattimento vi farà schizzare in piedi ad ogni combo. Avvertenze: Non esagerate con la birra: c’è un non so che di chimicoappagante nell’afferrare una colonna, scardinarla dal suo alloggio e usarla come mazza per colpire a lunga gittata, ma il rischio è quello di degenerare in una rissa dal vivo che umilierebbe lo spirito zen del titolo Capcom. Se volete picchiare i vostri amici live, consigliamo il prossimo gioco…

gENERE

.:scHEda:.

eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA gIOCATORI

Simulatore di rissa da saloon

Capcom Interno Dreamcast 1-4

L’importante è che la principessa Peach soffra. Disposizione: Un tappeto e quattro wavebird, non serve altro. I combattenti, liberi dal guinzaglio dei comuni joypad, si disporranno caoticamente sul tappeto di cui s opra e potranno ripetere le gesta su schermo menandosi a vicenda con i calci (le mani sono occupate) e/o avvinghiandosi tra loro come nel vecchio gioco del Twister. Purtroppo sarà impossibile adoperare il c avo del joypad per strangolare un avversario, ma si tratta di un compromesso accettabile. Avvertenze: Nell’orgia di corpi che si andrà a creare, una raccomandazione: attenti a non provocare o incorrere in orgasmi da strofinamento. C’è il concreto rischio di f are dell’involontario sesso con la r agazza del vostro m igliore amico. O con il vostro migliore amico tout court.

una colletta tra amici, avete spedito all’autore un vaglia internazionale di venti sterline e, da sei a otto settimane dopo, questi vi ha mandato il gioco completo. Ed a quel punto è stato il multiplaying più matto e sconsideratissimo. Sneech prende il troniano concept di snake e lo porta alle estr eme conseguenze: sei vermi – controllati da umani o da una bastarda CPU – si affrontano in una serie di schermaglie all’interno di arene v igliaccamente allestite. Lo scopo? Creare con il proprio corpo dei vicoli ciechi all’interno dei quali rinchiudere gli avversari. Quando un verme urta frontalmente un collega, inizia a perdere progressiv amente la propria lunghezza espressa in quadratini, i quali andranno ad a ggiungersi a quelli dell’avversario autore del vicolo cieco. Quando la lunghezza di un verme raggiunge lo zero, questi viene estr omesso dal round, fino a che non ne resterà soltanto uno. Ma Sneech è molto di più. Sneech è strategia e pianificazione. Raccogliendo monete e rimanendo più a lungo in vita, guadagneremo del cash da usare tra un round e l’altro per acquistare power-up, tra i quali figurano velocità extra, serpenti più lunghi, possibilità di spaccare in due l’avversario contro cui ci scontriamo etc. Le tattiche da adottare sono molteplici: potreste investire i vostri risparmi in velocità, in modo da eseguire facilmente vicoli ciechi, oppure confidare in un serpente molto lungo, la cui sola presenza nell’arena risulti fastidiosa o, ancora, potreste fare la formichina e risparmiare i soldi dei primi round fino a permettervi un superserpente privo di punti deboli, rimanendo però in balia dei nemici durante il periodo di magra...

.:scHEda:. Massacr’em up gENERE eTICHETTA Nintendo sVILUPPATORE Hal Laboratory sISTEMA GameCube gIOCATORI 1-4 (SSBM è recensito su Ring #3) ___________________Sneech Se, dopo aver visto il titolo di questo paragrafo, siete sobbalzati sulla sedia, lasciate che legga il vostro passato… Era il 1994 e su una rivista inglese dedicata ad Amiga avete trovato il demo di Sneech: un giochino realizzato da Paul Burkey, allora g ame designer alle prime armi. D opo

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Il serpente blu sta sfuggendo all’attacco del giallo, ma rischia l’agguato da parte del rosa… Disposizione: nonostante sia in lavorazione un porting su PC e un seguito. Sneech per ora rimane only for Amiga (vivamente consigliato un A1200). Obbligatoria l’espansione di due porte joystick, da inserire nella porta parallela. Sul tipo di manopola da usare non vi è


:FRAMES: una soluzione univoca, ma non possiamo non caldeggiare l’uso dello Slik Stik. Tale joystick, oltre a vantare un cavo molto lungo, ha il grande pregio del ridottissimo gioco della levetta; caratteristica che permette cambi di direzione tanto r apidi quanto precisi, in stile Automan. Avvertenze: Sneech provoca assuefazione. Non invitate pertanto a giocare amici che non trovate poi così simpatici: rischierete di non toglierveli più dalle scatole. .:scHEda:. Spin-off di Tron gENERE eTICHETTA Indipendente sVILUPPATORE Paul Burkey sISTEMA Amiga gIOCATORI 1-6 www.sneech.org

Ring#06 tra loro. Questo infatti non è un gioco da botte sul costato dell’avversario, in quanto ogni minimo delta tra l’output in uscita dal cervello e l’input in arrivo sul joypad può essere sufficiente a farvi sbagliare manovra, piroettandovi fuori dall’inquadratura. Avvertenze: Nonostante la bontà del concept, Micromachines V3 tende a stufare sul presto. Il motivo è da attribuirsi all’eccessiva frammentarietà del gameplay, che ogni pochi secondi subisce uno stop con successivo riposizionamento delle auto in gara. .:scHEda:. gENERE Macchinine eTICHETTA Codemasters sVILUPPATORE Interno sISTEMA PlayStation gIOCATORI 1-4

___________Micromachines V3

__________Zelda Four Swords

Macchinine. Non potevano mancare le macchinine. Abbiamo optato per questo titolo perché in tutta coscienza non potevamo includere Mario Kart in quanto presenta lo split screen, che il multigiocatore duro e puro aborrisce, e rifiutiamo senza se e senza ma i vari Super Sprint e Off Road, con le loro schermate fisse e un gameplay giurassico. Uscito nel 1997 ad opera di una Codemasters ancora lungi dal rincoglionirsi, Micromachines V3 è il miglior esponente del franchise della nota marca di automobili giocattolo che, tanto piccole e dettagliate quanto costose, hanno rovinato più di un’infanzia in tacita collaborazione con gli Exogini. Niente circuitini in bitmap privi di scrolling in MV3, piuttosto delle poligonalissime piste inquadrate da un dinamico piano sequenza degno del miglior De Palma. Compito dei micropiloti è di battere tali sentieri cercando di r imanere nell’inquadratura, il cui avanzamento segue il ritmo del concorrente in testa. Questi tuttavia non ha modo di bearsi del primato perché gode della peggior visuale del circuito, che gli impedisce di seguire traiettorie ottimali. Chi esce dallo schermo è momentaneamente fuori dal gioco finché non rimane un unico pilota, che viene premiato con un punto. Si viene quindi a creare quello che in altri giochi corsistici è il famigerato “effetto elastico”, che qui trova la sua piena legittimazione.

All’interno di Legend of Zelda: A Link to the Past, mastodonte del passato riproposto su Game Boy Advance, una Nintendo in vena di strenne ha pensato bene di inserire questo Four Swords, dove quattro Link dovranno percorrere quattro dungeon irti di puzzle da risolvere in collaborazione – magari lanciando un compagno dall’altra parte di un burrone per fargli schiacciare u na pedana – e di mostri da uccidere sincronizzando gli attacchi. Stupendo.

Disposizione: Massima distanza tra i giocatori, che per nessun m otivo devono interferire fisicamente

.:scHEda:. gENERE Action Adv. eTICHETTA Nintendo sVILUPPATORE Interno sISTEMA GBA gIOCATORI 1-4 _______________Bomberman In Irlanda del Nord Bomberman era stato tolto dal commercio perché potenzialmente incoraggiante al sempiterno conflitto a suon di ordigni tra cattolici e protestanti; sostituito probabilmente dal politically correct Bomb Jack, che le bombe invece le disinnescava. Bomberman è la sublimazione del multiplayer nella sua radice più istintiva, qualunque cosa voglia d ire. I dinamitardi vengono collocati all’interno di arene – più riconducibili a scacchiere – dentro le quali si improvvisano minatori demolendo le pareti che li separano dagli avversari, per poi diventare cercatori di tesori recuperando i potenziamenti dalle macerie, quindi si tr asformano in assassini posizionando le bombe in modo da provocare esplosioni che coinvolgano il nemico, in una logica trappolistica riconducibile al glorioso Spy VS Spy .

Il multitap di Bomberman su SNES. Supporta 54 giochi. Tempi lontani quelli… Disposizione: Mentre giocate, cercate di non far scoppiare raudi nel salotto di mammà, altrimenti gli irlandesi avranno ragione… C’è della grassa fratellanza in questa immagine… Disposizione: Four Swords si presta bene ai viaggi in treno. Se siete pendolari, avete 3 amici nintendari e tutta la cavetteria della bisogna, con FW vedrete scorrere via il tragitto quotidiano senza nemmeno accorgervene. È pertanto necessario un quinto amico, che segnali l’avvicinarsi della stazione presso la quale dovrete scendere. Avvertenze: Nonostante questo vada contro ogni regola del multigiocatore ortodosso, consigliamo vivamente di giocare anche A Link to the Past: uno dei videogiochi più belli di sempre.

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Avvertenze: Come nel gioco del Memory, in Bomberman risultano avvantaggiati i più giovani, che d ispongono della spensieratezza laterale necessaria a posizionare vigliaccamente le bombe senza particolari sensi di colpa. Quindi, se sono presenti bambini, a llestite tacite alleanze per fare in modo che siano i primi a soccombere. Non fatevi commuovere dai loro pianti, se potessero, vi pianterebbero un coltello nella schiena… .:scHEda:. Addestratore di terroristi eTICHETTA Hudson Soft sVILUPPATORE Interno Praticamente tutti sISTEMA gIOCATORI 1-4 gENERE


:FRAMES: _____________________Nota Come avrete avuto modo di apprezzare, in alcuni di questi giochi è possibile overcloccare il sistema fino ad un 8-way multiplayer (“più potenza Scott, più potenza!”), ma è una pratica che in genere sconsigliamo. Otto giocatori implicano infatti otto persone nella stessa stanza: otto voci ululanti (magari alle due di notte di un condominio in centro), otto sigarette contemporaneamente accese, otto confezioni da sei di birra, otto pacchetti maxi di Fonzies, sedici ascelle pezzate. Siete sicuri di riuscire a gestire il tutto? ________________Conclusioni Siamo alla fine di un viaggio durato ventimila caratteri. Non ci resta che scoprire perché nel corso degli anni è stato tradito l’originario spirito socializzante dei videogames. Si tratta, questo, di un enigma avvolto in un mistero; un processo lungo e graduale culminato con l’inclusione di due sole porte joypad nei sistemi PlayStation. Ridotte ad una in caso di acquisto di telecomando. La sua risoluzione è tanto semplice quanto inquietante: controllo mentale di massa. È lecito infatti ipotizzare un complotto su larga

Ring#06 scala allestito negli anni da un’organizzazione segreta che opera all’ombra dei governi e delle multinazionali. Un’organizzazione che io ritengo essere quella dei Templari, apparentemente scioltasi nel 1314 in seguito all’esecuzione di Jacques De Molay, ma in realtà ancora operativa e responsabile delle malefatte più eclatanti di questo secolo: dall’ostruzionismo dell’automobile a idrogeno all’invenzione dei festival canori. Quale può essere l’obiettivo di questa setta? Scoprirlo è semplice: basta infatti mettere insieme i dati di cui disponiamo. Che cosa fa un videogiocatore non multiplayer addicted? Gioca solitario nella sua cameretta. Quindi smette progressivamente di frequentare gli amici. Quindi esce sempre di meno la s era: non va in giro, non viene invitato alle feste, non incontra ragazze e, in definitiva, non fa sesso. Ecco il punto tanto caro a questi uomini in nero. Ecco spiegate le due porte joypad della PS2, con Sony che ha ceduto alle minacce dei Templari. Ecco spiegato il fiasco di Dreamcast, che invece non ha voluto piegare la testa. E si possono intuire i motivi per i quali Nintendo e Microsoft sono ancora a galla semplicemente guardando all’utenza di G ameCube (troppo giovane per il sesso) e Xbox (troppo sfigata per il sesso).

Jacques De Molay Per quei pochi lettori ancora scettici, ecco la prova definitiva: qual è il genere single player che va per la maggiore? Gli RPG nipponici: polpettoni che durano decine di ore, ricolmi di personaggi ridicoli che non fanno mai sesso. E chi è la maggior produttrice di questi titoli tanto contro natura? La Squaresoft, dove ‘square’ significa quadrato. La stessa forma del Tempio di Salomone. Templari dunque! Adesso che anche voi avete attraversato lo specchio, sarà vostro preciso dovere abbandonare ogni intento di single playing, convincendo i vostri amici a fare altrettanto. Andate e multigiocate quindi, o finirete anche voi per amare la spirocheta pallida.

Mentre continuo ad osservare il Pendolo descrivere il suo circolo, mi rendo conto del mio tragico errore: non ci sono i Templari dietro a tutto questo, ma gli Oni. Li ho sentiti chiaramente chiamarsi con q uesto nome mentre mi inseguivano per mezza Europa. Ma che interesse hanno i demoni giapponesi nella faccenda? Perché vogliono ostacolare il multiplaying? Una domanda, questa, alla quale purtroppo non avrò modo di rispondere... Voglio approfittare di questi ultimi minuti per chiedere scusa a Valentina Ceccanti. Perdonami Valentina per averti messa incinta, ma ero sinceramente convinto che quel berretto di lana sarebbe stato un più che adeguato contraccettivo. E devo assolutamente scusarmi anche con la Signora Ceccanti: Susanna, perdonami per aver ingravidato la tua unica figlia, e perdonami per averti detto “ti amo”. Ero sicuro dei miei sentimenti nei tuoi confronti, ma quando ho conosciuto Valentina, ho ritrovato in lei tutti i tuoi meravigliosi pregi, in un corpo non in dissoluzione. Per quanto appena esposto, pur se non ci siamo mai incontrati, mi sento in obbligo di chiedere scusa anche al Signor Ceccanti: mi perdoni Adelmo per aver insozzato il suo bel berretto. Gli Oni stanno arrivando, sento il loro farneticante vociare sempre più vicino e riesco a scorgerli nei loro lunghi abiti neri, con un cappuccio a punta e quattro sataniche figure geometriche disposte a rombo sul petto. Finalmente riesco a intendere qualche p arola in più della loro sinistra cantilena e realizzo di essermi nuovamente sbagliato: non ‘Oni’, bensì ‘Sony’, e finalmente tutto si rivela ai miei occhi, e ogni tassello ritorna al suo posto. Poi il Pendolo si ferma. Stat Sony Pristina Nomine, Nomina Nuda Tenemus.

:Notizia Flash: Durante la Fiera Mondiale delle Videoludoriviste (FMV), una giuria di personalità non appartenenti al settore ha conferito a Ring il premio MVP (Miglior Videoludorivista del Pianeta). Si tratta, questo, dell’ennesimo motivo di vanto della redazione di Ring, che dopo essersi fregiata dell’appellativo di “Edge-killer”, dopo il provocato fallimento di Futura, e alla luce dei trionfi nei sabotaggi ai danni dei server di TFP, può legittimamente aspirare alla conquista del mondo. Fondali degli oceani compresi. Per dovere di cronaca riportiamo i nomi dei giurati: Lance Alloy (presidente di Hewlett-Packard), Todd Coltraine (CEO di E pson), Will Sienkievitz (amministratore delegato di Lexmark) e Ed Carlyle (vicepresidente di Xerox).

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hARDwAR_______________________________________ [La Guerra delle Console – Celebrity Deathmatch] di Nemesis Divina Benvenuti signori, vi parlo dagli spalti dell’imponente arena allestita all’interno del Cesar Palace, in quel di Las Vegas. L’occasione è speciale e il clima decisamente eccitato. Se la regia può inquadrare gli spalti… ecco, vedete tutte le tifoserie disposte lungo i lati del ring, i palchi sono gremiti e festanti. Non abbiamo ricevuto le cifre esatte ma si parla di circa 180.000 spettatori paganti, senza contare i giornalisti (giunti da ogni angolo del mondo) e le personalità. Prego la regia di fare una carrellata sulle tribune d’onore; un bellissimo colpo d’occhio! Presidenti di mezzo globo sono accorsi per l’attesissima tenzone che deciderà chi, fra le console dell’ultima generazione, avrà il diritto di ergersi sulle altre come vincitore assoluto. Ed è con emozione che annuncio l’ingresso degli sfidanti!! Ci sono luci e fumogeni che inondano l’arena, la musica altissima è coperta solo dalla folla urlante. Qualcuno sta salendo sul quadrato… chi è?! Camera 1, per favore… Sì! E’ lui, Bill Gates è il primo a salire sul ring. Bill Gates: rilanciatore della potenza americana nella corsa al videogioco, l’uomo da sei milioni di dollari (nel portafogli, in contanti…), l’X-Men più noto alla facciazza di Wolverine; signore e signori, a ccogliete il padre di Xbox!!!! Ma vedo già avvicinarsi al ring anche il secondo pretendente al titolo, vestito in una tuta nera e blu, ecco a voi il creatore di PSX e PS2, la mente rivoluzionaria che ha sconvolto il mercato dei VG strappandolo dalle mani dei marmocchi per darle a quelle (più ricche) degli adolescenti: un bell’applauso per Ken Kutaragi-san!!!! Per ultimo dovrebbe entrare… ma cosa… signori, una strana aura proviene dall’angolo Nintendo, è un lucore vivido e accecante… massì!! Ecco San Miyamoto!!! Ricordiamo, agli spettatori smemorati, che Miyamoto è stato beatificato dal soglio pontificio dopo l’uscita di Zelda su GameCube, gioco che ha riportato la pace sul pianeta Terra, colmando miliardi di cuori con la sua irrefrenabile bontà d’animo. Ricordiamo brevemente le regole: non ci sono. Tutti i colpi sono permessi. Il duello è all’ultimo sangue. Ne resterà soltanto uno. Non ci sono più le mezze stagioni. Round One. Fight!

È calato un silenzio inquietante sull’arena. I contendenti si scrutano, in cerca dei rispettivi punti deboli. Il pubblico segue trepidante. Una piccola scintilla brilla negli occhi dei gladiatori e all’unisono scagliano le potenti magie: “Sequel”, “Remake” ed “Esclusiva”. Tutti e tre sono sufficientemente schermati sulle prime due ma Gates accusa il colpo su Esclusiva. La reazione è feroce, lancia due pesantissimi Xbox all’indirizzo degli avversari. San Miya schiva agilmente rotolando su un lato mentre Kutaragi-san è travolto dall’immane peso. Situazione critica per PS2, Kutaragisan reagisce scagliando contro i nemici ben 256 livelli di pressione dei tasti DualShock2. Gates e San Miya sono sorpresi!! Questo colpo è completamente inutile ed impercettibile!! Attenzione, i lottatori di Microsoft e Nintendo attaccano Kutaragi-san con una combo: Anti-Aliasing + Bump Mapping! Kutaragi-san è stremato, non riesce a reggere le pesanti routine estetiche… è a terra un’altra volta, fuori dai giochi per il momento. Ora Gates percuote il beato con un hard disk da 8 giga ma il giapponese si divincola grazie alla maneggevolezza del controller Wavebird (mentre Gates rovina a terra inciampando nei suoi 3metri3 di cavo). Sfoderati i rispettivi joypad, i due si affrontano in un duello senza secondi posti. Una sparatoria furibonda, giocata sul medesimo numero di tasti e manopole. Ma è Gates a cedere, assalito da crampi per le dimensioni del controller Microsoft!! San Miya svetta supremo al centro del ring con i due antagonisti fuori combattimento. Si avvicina con un ghigno sadico intenzionato a finire Gates a suon di cubate sul cervice. Però… Kutaragi San si rialza, poggiandosi su un fiammante vertical stand, sussurrate poche parole segrete evoca Gran Turismo e Final Fantasy che prendono a mazzuolare i rivali. San Miya corre ai ripari convocando Mario e Link, mentre Gates si rivolge a Master Chief e Sam Fisher. Le sorti della battaglia pendono verso PS2, le evocazioni Microsoft attuano una strategia d’accerchiamento molto stealth e agiscono in base ad una ‘sottile’ AI (nel senso che sono idioti), intanto Mario e Zelda vengono investiti dai bolidi indistrutti-

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BILL GATES Bill Gates, padre di Xbox e di una speriamo non fertile progenie, è la dimostrazione vivente di come chiunque possa ottenere suc cesso con una singola, brillante idea (rubare un sistema operativo…) SHIGERU MIYAMOTO I funghetti non sono cosa recente nella vita del padre di Mario. Il maestro soleva divorare funghi allucinogeni a profus ione, questo sia per ottenere ottime intuizioni a livello di g ame d esign che per avere erezioni straordinarie. KEN KUTARAGI Il Visionario del metallo, colui che ricerca nell’architettura della macchina l’affermarsi del supremo intelletto umano. PS2 è il primo passo verso il potenziale assoluto e l’applicabilità nulla, primi caratteri del lignaggio divino…

bili di GT, pilotati dai personaggi di FF. Accidenti, non è possibile!! Gates sta per lanciare la Final Summoning, l’evocazione totale nota come ‘Peggio dei PC’. È con voce tonante che Gates invoca Yboy, la nuova console di casa Microsoft!! L’arena si svuota all’istante, nessuno ha voglia di comprare una console ogni tre anni e i p opoli tornano a giocare a Monopoli, che è sempre lo stesso da centodue anni ma diverte comunque e costa pure di meno. Ma lo scontro non è concluso. Kutaragi-san si rivolge a PS3, sintorganismo tecnoludico, mentre San Miya chiama a sé HyperCube e il suo divertimento tetradimensionale. Le tre nuove console torreggiano enormi e implacabili sopra il campo di battaglia, indugiano pochi attimi e poi affondano simultaneamente i loro colpi migliori. L’onda d’urto è spaventosa e si tr aduce in un contraccolpo energetico dall’ incalcolabile potenza che causerà l’incredibile cifra di 6 miliardi di morti e 41 feriti… 40.000 anni dopo… Il gorilla passeggia gobbo. Calca incurante il luogo che un tempo fu teatro della battaglia che portò all’estinzione dell’Umanità… poi si


:FRAMES: gratta furibondo le terga. Il primate trotterella verso una zona brulla, ricoperta di sabbia fine e rossa. Con un osso femorale, trovato lì accanto, batte il terreno per snidare bruchi succulenti e topolini grassottelli. Ad un tratto nota uno spigolo nero, che fuoriesce dal terreno… con m ano callosa scosta i detriti e disseppellisce quello che è il lascito di una antica civiltà passata, una civiltà evoluta che ha spinto il potenziale umano al suo vertice... una civiltà dotata anche di pessimo gusto estetico! Il pataccone verde di Xbox è sgradito anche ai primati del 42.003. Quattro femorate ben as-

Ring#06 sestate rispediscono Xbox nel limbo del passato. Tre passi ed ecco un pannello violaceo poco dietro una roccia. E’ un cubetto, simpatico o ggetto d’arredamento che la Signora Gorilla tanto apprezzerebbe. Ma notando la maniglia lo scimmione appronta al momento una gara di lancio del Cubo stabilendo peraltro il mirabile record di 184m (e un Cubo in frantumi). E poi un’ombra lunga e penetrante. Una stele nera che s’innalza suprema sotto un sole antico. Il gorilla si avvicina e scorre dita nodose sulla parete del feretro, intuendone le molteplici funzionalità. Un tasto tramuta una tenue lu-

cina rossa in due brillanti occhi, verde e blu. Una leggera pressione e uno sportello s’apre, invitando all’uso. Il gorilla è titubante… ma percepisce l’importanza di ciò che va fatto. Poggia così il suo ultimo Crodino sul portabevande di PS2 la quale, in posizione verticale, non può che lasciar cadere e frantumare a terra la bottiglietta. L’ira del gorilla è insanabile e PS2 viene fracassata a colpi d’osso mentre lacrime amare piangono la fine dell’apice del genio dell’Uomo. Il Crodino.

aN eLECTRIC cHAT wITH eRIK pEDE__________________ [RinGterview: Erik Pede] di Paolo “Jumpman” Ruffino C o-fondatore della web-zine A.Rea.21 nel 1996 e collaboratore per Super Console e Mega Console dal 1998, Erik Pede ha iniziato a lavorare nel Luglio del 2000 come game designer nel team di Atlanteq, una softco tutta italiana situata ad Avezzano (AQ). Il loro primo gioco, T-Zwei, è uno shooter in 2d per PC di cui è già disponibile una demo sul sito ufficiale. Sempre per PC, ma ancora in lavorazione, è Steam Empire, un titolo che unisce l’immediatezza tipica degli sparatutto con una grafica ultra dettagliata ed un’ambientazione “steampunk”. Atlanteq ha anche prodotto un suo motore grafico, Atlanteq3D, che conta di commercializzare entro la fine dell’anno. Un uomo singolare, Erik Pede (italiano, ma tifoso del Manchester United senza alcun motivo), ed i mpiegato in un lavoro altrettanto singolare per il nostro paese. PJR lo incontra su ICQ e si intrattiene con lui in una chiacchierata elettrica, che copincolla qui sotto integralmente. Dedicata a tutti quelli che vogliono, o hanno voluto in un certo momento della loro vita, “essere pagati per fare giochi”. PJR: Da videogiocatore a giornalista a game designer. Perchè? Erik Pede: Da videogiocatore a giornalista, mmm... credo che il passaggio sia dovuto alla voglia di entrare a far parte di un mondo al quale ci si è appassionati "dall'esterno". hai giocato, nel tuo piccolo hai giudicato i giochi, magari in

compagnia degli amici... ti sei chiesto mille volte cosa ci sia dietro, le relazioni tra le software house e i programmatori, il modo in cui nascono le idee... il logico passaggio successivo è andare a "indagare" su queste cose, che poi sono quelle che stanno alla base dei videogiochi. Per cui tenti di imparare un po' di itaGLiano decente e diventi recensore :D PJR: Qual è stato il momento preciso in cui hai capito che volevi passare a "fare" i giochi, oltre che a giocarli? Erik Pede: sin dagli inizi, se devo essere onesto. ricordo ancora il mio primo "design document"... riguardava un clone di Crack Down con livelli di intermezzo in stile puzzle, era scritto su dei foglietti sparsi di carta a quadretti... visto che si parla dei tempi di Crack Down , fai un po' tu i conti del periodo a cui mi riferisco :D PJR: Cosa ti piace dei videogiochi? Erik Pede: l'esplorazione, in tutti i sensi del termine. Andare a v edere cosa c'è dietro la casa della nonna del semi-Link di The Wind Waker, così come andare a scoprire come è la curva successiva a quella che sto prendendo in Gran Turismo. andare a scoprire il mio limite sempre in GT, oppure esplorare le mie c apacità di risoluzione di un enigma, o di reazione puramente legata ai riflessi, o andare ad esplorare il mio limite di bastardaggine con Worms.

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Non ti rispondo "la libertà", come fanno in tanti, perché di libertà vera e propria, nei giochi, ovviamente non ce n'è. Poi mi piacciono le storie, e quindi i giochi che hanno da raccontarne e i designer che sanno come raccontarle, e mi piace il fatto che i videogiochi si possono fare :D quindi ne apprezzo il lato creativo, il "farli", il fatto di inventarli. PJR: Ecco, su questo punto vorrei indagare un momento... Erik Pede: indaga pure, dammi giusto il tempo di avviare un MP3 in background :D Erik Pede: fatto :) PJR: :)ok... PJR: Pensi che il fare i videogiochi sia potenzialmente alla portata di tutti? Che conoscenze sono necessarie, se sono necessarie? Erik Pede: mmm... innanzitutto, non dimentichiamo che "fare" i v ideogiochi è una cosa un po' generica, nel senso: in un team di produzione (brutto termine) di videogiochi, ognuno ha le sue competenze specifiche, ed è da lì che nascono le conoscenze che ciascun membro del team DEVE avere. Perché DEVE averne. Ok, accanno l'MP3... che bello il finto multitasking di windows, ridatemi l'Amiga :D Finché si parla di conoscenze te cniche, l'acquisizione delle stesse è chiaramente possibile per chiunque. Si impara a programmare se ci si vuole occupare di quel lato della faccenda, si impara a leggere le note e a comporre se si vuole c urare la musica, e così via. Il videogioco non è solo arte poetica, ci vuole a nche la tecnica, e


:FRAMES: quella si deve imparare, punto e basta. Poi ci sono le capacità "artistiche", la "poesia" del videogioco. E lì il discorso cambia un pochino. Il che però non vuol dire che "fare" videogiochi sia un cosa per pochi, anzi. Basta la passione, in realtà. PJR: Pensi che siano conoscenze che si possono acquisire da qualche parte? Dove? Cerchiamo di dare qualche indizio agli amici a casa che hanno questo sogno nel cassetto. Erik Pede: La "capacità" di disegnare un livello avvincente per un platform non dipende dalla te cnica, ma dall'estro, dall'ispirazione, dalla profonda conoscenza dei titoli del passato... estro e ispirazione non si comprano e non si apprendono, ma devono scaturire da una passione vera e da un impegno che spesso supera la nozione comune delle f atiche attribuite a chi "fa" videogiochi. Il che, a dispetto di quanto si possa pensare, è davvero stressante e faticoso :p

Ring#06 PJR: In che misura hai collaborato a T-Zwei, SteamEmpire e ad Atlanteq3D, i tre lavori della c asa di Avezzano?

Erik Pede: le capocciate funzionano alla grande, con le tastiere :D

Erik Pede: Atlanteq3d è il motore tridimensionale proprietario su cui si basano i prodotti di Atlanteq, il che, in breve, vuol dire che è roba per programmatori e io non c'entro un tubo, per mia fortuna. I programmatori impazziscono in età giovanissima, o rmai è dimostrato, e passano il resto dei loro giorni a chiedersi perché hanno scelto di programmare videogiochi e non applicativi in visual basic :D Per Steam Empire, che ora è un progetto sospeso, ho preparato buona parte del game design iniziale, ho curato molti dettagli relativi al gameplay e al level design di massima, ho co-ideato l'ambientazione, ho scritto la storia e ho fatto un sacco di altre cosette che al momento sono in stand-by insieme al resto del gioco. Diciamo che ho fatto il game designer vero e proprio, per Steam Empire.

Erik Pede: Dare capocciate all'Amiga non conveniva, visto che in quasi tutti i modelli DENTRO la tastiera c'era tutto il computer :D

PJR: Ti sei informato sui corsi per diventare game designer? Come ti sembrano? Erik Pede: Non mi sono informato in maniera approfondita, solo a livello di curiosità. Sono cose che andrebbero provate per esprimere un giudizio corretto, ad ogni modo alcuni di questi corsi (ribadisco: a lcuni) mi sembrano a livello un po' troppo teorico e campato in aria, quasi una... vabbè, diciamolo, una pippa mentale. Pratica che nel campo dei v ideogiochi, perlomeno qui in Italia, inizia a diventare un po' troppo diffusa per i miei gusti. PJR: Ti senti soddisfatto di questo lavoro? Lo consiglieresti anche ad altri appassionati di videogiochi? Erik Pede: Onestamente? :D PJR: Certo, onestamente:) Erik Pede: Non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico :D Ne sono soddisfattissimo, è quello che voglio fare e mi sono intestardito per farlo, ma è un inferno :D E all'inizio lo è per tutti, non importa se ti chiami erik pede o peter molyneux. Si suda, non si vede una lira e si va avanti solo per passione e per vedere il tuo gioco finito e pubblicato. Poi pensi al resto. Gli anni 80 sono passati, le Ferrari dei tizi di System 3 sono un ricordo lontano. La realtà "industriale" dei videogiochi, ora come ora, è abominevole. PJR: Ovunque? Erik Pede: Sì, e in Italia, manco a dirlo, la situazione è nettamente peggiore rispetto alla media.

PJR: Parliamo di T-Zwei, il vostro primo gioco. Uno shooter in 2D, un genere definito da molti come obsoleto e senza mercato, ideato e sviluppato in una nazione obsoleta e senza mercato. Si direbbe una strada tutta in salita...

PJR: Dai, quello era nell'era Amiga...

PJR: Appunto, con una capocciata aggiustavi TUTTO Erik Pede: Nah, per aggiustare TUTTO si scambiavano i due CIA e tutto andava magicamente a posto, anche se non s'è mai capito perché e percome :D PJR: :D Erik Pede: e dire che di Amiga ne ho avuti tre :) PJR: non l'avrei mai detto...:D Erik Pede: Amiga forever! :) Erik Pede: ok, la pubblicazione... PJR: dai, torniamo seri...sì Erik Pede: diciamo che piazzare il primo titolo è SEMPRE un dramma, a meno che tu non abbia un mediocre sparatutto o un mediocre FPS da vendere a due lire ad un editore che campa di mediocri cloni a basso costo. La gavetta la devono fare tutti, non si scappa, e in questo direi che il fatto di aver scelto uno sparatutto orizzontale, per di più su PC, non complica più di tanto una quest (la ricerca del publisher) già di per sé costellata di difficoltà praticamente impossibili da aggravare ulteriormente :p Ad ogni modo, stiamo avendo dei colloqui con diversi publisher e continueremo ad averne fino a quando non troveremo un editore serio con cui lavorare per bene :)

Erik Pede: In effetti, E' una strada tutta in salita ;p PJR: In che stato è al momento? Erik Pede: T-Zwei gode al momento di ottima salute :D. La grafica è pronta da un pezzo, la musica pure, il motore di gioco gira che è una meraviglia (roditi il fegato, dio Irem :D ).... ci stiamo dedicando all'assemblaggio dei livelli ancora da completare, al fine-tuning di quelli già esistenti e al minestronamento definitivo del tutto, con relativi test di giocabilità e compatibilità. In altre parole, T-Zwei, udite udite, è quasi finito :D PJR: Per quel che riguarda la pulicazione?bb Erik Pede: dimmi, dimmi, continua PJR: no, è che no va la B:) stavo cercando di correggere PULICAZIONE, dovrò dare due botte a questa tastiera...

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PJR: Altri progetti di Atlanteq di cui NON puoi parlarci? :) Erik Pede: In questi casi si risponde sempre che ci sono decine di progetti segretissimi di cui non si può fare parola con nessuno, solo che in questo caso è vero :D Certo, i progetti non sono quantificabili in decine, ma ci sono e ci stanno appassionando in una maniera che porterà sicuramente a qualcosa di buono. In esclusiva per Ring, e in ossequio alla presenza in


:FRAMES: redazione di ex-colleghi di A.Rea. 21 e di altra gente che conosco, ti posso rivelare che stiamo iniziando a mettere in cantiere qualcosa di molto inusuale per uno sviluppatore attualmente impegnato su PC, di molto molto inusuale per uno sviluppatore europeo e di assurdamente inusuale per uno sviluppatore italiano. E questo è solo l'inizio :D PJR: Un RPG? Erik Pede: Nah, di più, di più :) PJR: Ok. è un RPG... Erik Pede: E poi c'è sempre il m otore, che procede alla grande e che sarà licenziato anche a te rzi, un po' come fanno i grandi nomi del calibro di id et similia. E NON è un RPG :D PJR: Vabbè, dai ora dovrete cancellare un progetto perché vi ho scoperto...:) Erik Pede: Nah, ti faremo eliminare dal nostro Assassino Imperiale Vindicare :D PJR: ^_^ Sei stato nel mondo dei videogiochi molto a lungo, e non solo da spettatore. Cosa te ne pare dell'attuale situazione? PJR: visto che la domanda è troppo vasta, diciamo cosa te ne pare dell'ambiente delle software house in italia e all'estero. C'è spazio per altri Atlanteq? Ce ne sono? Erik Pede: In Italia siamo rimasti allo stato peracottaro che ci ha reso tristemente famosi nel mondo dei videogiochi, quello stato peracottaro per cui nessuno, e dico nessuno, si fida degli italiani in questo campo... :| Di spazio per altre Atlanteq ce n'è a volontà, il problema è la sopravvivenza. Trovare contratti, finanziatori, collegamenti et similia è a dir poco drammatico, davvero un'odissea. Per quanto riguarda il panorama softco in generale, siamo alla tr agedia per i piccoli sviluppatori. Le grandi case non ti cagano o falliscono da un giorno a ll'altro, quelle medie non esistono più e quelle piccole, che non hanno soldi per tirare avanti, cercano di fregarti in tutti i modi possibili e immaginabili. PJR: Intravedi un futuro con p oche grandi softco o sbaglio? Erik Pede: Direi che in questo f uturo ci siamo già. Quante softco sono rimaste, oggi come oggi? Softco, non marchi. I marchi, alla fin fine, sono tutti di proprietà delle stesse 5 o 6 grandi aziende. PJR: Atari, per esempio. Erik Pede: Atari è un marchio, una parola che non ha più senso. lo

Ring#06 stesso vale per Sensible, per i Bitmap bros, prima o poi accadrà lo stesso per Codemasters e chi più ne ha più ne metta. PJR: per quel che riguarda la critica videoludica, visto che sei stato anche un giornalista di videogiochi, cosa vedi in Italia e nel mondo, dando un'occhiata alle attuali riv iste cartacee e online? Erik Pede: Nel mondo, con particolare riguardo per la solita Inghilterra e per qualche altro paese con una forte tradizione videoludica, intravedo un certo miglioramento qualitativo, perlomeno per quanto riguarda le riviste cartacee. L'online sta migliorando, ma non lo vedo come sostituto della carta, assolutamente, bensì come una preziosa aggiunta. in Italia, vedo lo sfacelo, sia su carta che in rete... Meno male che c'è RING :D PJR: :) e non lo dici sotto ricatto! Erik Pede: Certo che no, seguo il progetto ring sin dal principio e lo trovo intrigante, una voce diversa dal solito. PJR: Grazie Erik Pede: Figurati... ricordati l'indirizzo per la copia omaggio di WE 6 FE per GCN :D PJR: Ah sì, poi me lo dici per b ene che me lo segno. Erik Pede: Chiaro, e non dimenticare il freeloader e una memory card 251 :D PJR: Aspetta, adesso vacci piano...:D Erik Pede: Io ci provo :D PJR: E da giocatore, cosa stai giocando in questo periodo? Ti piacciono i nuovi vg?

pubblicazione dipendono a nche da questo: quando parli con l'addetto agli acquisti di una softco parli con un ragioniere e/o un esperto di marketing, non con uno che ama/capisce/conosce i videogiochi. Tristezza profonda. PJR: Direi che è l'aspetto più triste,sì. PJR: Vai di lista! Erik Pede: Ok, in cima alla lista c'è The Wind Waker, un maledetto capolavoro :D Poi A Link to the Past per GBA, Final Fantasy Tactics Advance sempre per GBA, Winning Eleven 6 FE per PS2, Super Famicom Wars per SNES, poi... Last Ninja 2 per CBM 64, Suikoden III per PS2, Metroid Prime per GCN, Capcom Vs. SNK 2 per PS2, poi vediamo... oddio, ce ne sarebbero a tonnellate :D PJR: Mi fa piacere vedere che ti tratti bene! Erik Pede: Sempre e solo il m eglio :D PJR: Una dimostrazione che si può lavorare coi vg senza perdere il piacere del gioco. Erik Pede: Vero, anche se in effetti è difficile non avere la nausea, s oprattutto quando fai il recensore. Il che vuol dire che, se 'sta nausea non ti viene, è merito della tua passione, che evidentemente è fortissima, e della qualità dei titoli che scegli di giocare. PJR: Bene, direi che su queste p arole ci possiamo salutare. Erik Pede: Ok, grazie per avermi reso famoso :D PJR: Grazie a te per la disponibilità. Un saluto.

Erik Pede: Posso fare anche una lista lunghetta? :D PJR: ok Erik Pede: Nei nuovi videogiochi VEDO il declino di cui si parla da anni, ma non lo vedo dappertutto come si dice in giro. Ragion per cui, sì, mi piacciono anche i nuovi vg, così come continuano a piacermi quelli vecchi e vecchissimi. Semplicemente, una volta potevano uscire 20 titoli in un anno che mi facevano davvero impazzire, ora magari ne escono "solo" 10, ma mi va più che bene così. Erik Pede: vuoi la lista? :D PJR: Certo! E ti dirò che è raro tr ovare qualcuno che oltre a "fare" i vg, trova anche il tempo per giocarci. Di solito chi è dentro una software house ha un po' gli occhi bendati e non gioca da tantissimo. Erik Pede: Verissimo, il che è molto triste. Tra l'altro, le difficoltà di

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[Ring è] Resistenza “Mi è sempre sembrato che le premesse fossero di battersi contro i mulini a vento, non di sfondare porte aperte... ma se volete la popolarità possiamo sempre mettere su una boy band.” Amano76, rispondendo a una proposta di ri-orientamento mainstream della (non)linea editoriale di Ring.


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cOORDINATE vIDEOLUDICHE _______________________ [Tempo e Spazio nel VG] di Nemesis Divina _La Rilevanza del Tempo Ludico Il Videogioco nasce come pratica giocosa, un interagire che dalla mano/reale si trasferisce allo schermo/irreale. È un intrattenimento, un modo di passare le ore, un fare divertente, spensierato e intimamente fine a se stesso. Questi i c aratteri distintivi del VG al tempo della sua nascita, quando triangolute astronavine ruotavano nello spazio nero, all’epoca in cui si rimbalzavano palline contro mattoni multicromati, quando i draghi sputavano bolle e tirando giavellotti contro una lapide rischiavi d’esser tramutato in rospo. Odyssey, classe 1972, è la prima console della storia. Ne sono state prodotte numerose versioni ma la prima offre senz’altro il design più sofisticato… Flashforward, anno 2003: siamo ancora a quel punto? Non proprio, diremmo noi. Che qualcosa sia e ffettivamente variato da quegli anni è sotto gli occhi di tutti; favorito dal progresso tecnologico, il gioco a video ha mosso un passo basilare quando il baricentro dell’industria si è spostato dalle sale giochi fin sotto il nostro televisore. È stato un transito importante, occasione in cui il VG si è trovato a scegliere fra l’approccio arcade e uno più profondo e immersivo. Affrancato da tempi e modi da sala giochi (partita rapida = più gettoni), il VG ha potuto godere di intervalli più dilatati, passando da un concentrato di azione/reazione ad un più lento e calibrato azione/assimilazione/ reazione. Va detto che, dapprima, la te ndenza arcade non si è persa nei n ostri salotti (né è ora perduta), difatti rimangono indelebili le tracce dei mastodonti del divertimento lampo; eppure sono le avventure a più ampio respiro quelle che, per prime, dichiarano l’indipendenza delle console dal regno frettoloso degli arcade, questo quando ancora una macchina casalinga non poteva competere tecnicamente con un coin-op. Giocare in casa non era più soltanto un fatto di risparmio e comodità, diventava piuttosto l’uni-

co modo di protrarre l’esperienza ludica per tempi sufficienti a calarsi nella parte, a credere di esserci. Nascevano così le avventure (testuali e grafiche), i giochi di ruolo e, più in generale, i generi in cui si contemplava l’idea del progredire della storia e di un mutare delle condizioni di partenza. Se nella v isione arcade partiamo con un set pressoché completo di istruzioni e possibilità predefinite, nel “gioco dilatato” dobbiamo invece crescere, apprendere movimenti e interazioni extra, acquisire nuove abilità e migliorare quelle preesistenti, una situazione di gioco che ricorda l’esperienza di vita comune a tutti noi. Ed è proprio questo referente effettivo (la vita) a calarci nei contorni della finzione senza più remore; se inizialmente il gioco arcade era un semplice concatenarsi di meccaniche prestabilite, ora il tempo ludico è scandito non solo dal muoversi degli ingranaggi del gameplay ma anche e soprattutto dalla nostra percezione dello ste sso, dalla nostra immedesimazione . Ecco dunque che diviene essenziale un tempo di esposizione b astante a svestire i panni dell’incredulità e ad indossare le attillate vesti dell’irreale. Con il nuovo tempo ludico si inizia a proporre più che una sceneggiatura abbozzata, da desumere alla meglio fra uno stage e l’altr o (magari tramite una schermata fissa e un paio di righe di testo malamente vocalizzate). Fanno l’ingresso in scena lunghe sequenze testuali, interi capitoli verbali che intercorrono tra schermo e giocatore oppure fra i protagonisti del gioco, scritti che non solo fungono da collante degli eventi ma fanno spesso parte dei mezzi a disposizione del giocatore (Monkey Island). La storia si plasma così a ttorno al nostro agire e anche al n ostro parlare, conducendo pure a finali multipli. La sensazione di e sserci aumenta con l’aumentare dell’ interazione, con l’allargarsi del n ostro raggio d’azione e di conseguenza con la nostra maggiore partecipazione emotiva. Da qui in p otenza, il passo verso il presente è breve. Alle medio-lunghe avventure “punta e clicca” fanno seguito sterminati RPG con sottotrame, s egreti, sviluppo dei personaggi, abbacinanti FMV e dialoghi degnamente recitati.

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Parallelamente assistiamo alla nascita di mondi virtuali potenzialmente infiniti, mondi persistenti dove il giocatore prende posto e progredisce nella direzione da lui prescelta (entro i limiti tecnoludici imposti dal design del gioco). A fianco di questi mondi eterni (Ultima Online, Sim City , The Sims, Daggerfall o il prossimo Fable) si trovano però anche dei concentrati emotivi, produzioni che focalizzano il tempo ludico ampliando enormemente il fattore emozionale. Parliamo di titoli che propongono un impatto psicologico diretto che nasce da una partecipazione spesso coatta, veniamo gettati nel gioco con violenza, subito nel pieno d egli eventi e in situazioni d’urgenza. È il caso di Fade to Black e Alone in the Dark o dei più recenti e devastanti Resident Evil e Silent Hill, modelli di gioco che fanno dello scandire temporale la loro prima arma (difatti le situazioni ambientali richiedono una risoluzione immediata della trama, gli eventi non si protraggono per mesi e il pericolo è sempre incombente). La nuova forma del tempo l udico, inoltre, permette un’altra singolare manipolazione dell’esperienza di gioco. Con un accesso potenzialmente sempre possibile al mondogioco, nascono delle fasce ludicotemporali dalle quali un gioco può trarre vantaggio. Caso eclatante quello dei survival horror, che ci guadagnano grandemente in atmosfera se fruiti in orari notturni e, soprattutto, in totale solitudine (cosa generalmente i mpossibile in sala giochi). Vediamo dunque come, al pari dell’evoluzione umana, il tempo sia uno dei fattori determinanti, indispensabile per una crescita significativa. Nelle condizioni costrette in cui giaceva negli scomodi cassoni da bar, il videogioco non riusciva e non poteva esprimersi in tutta la sua forza. Né ora si è giunti ad un capolinea evolutivo, tutt’altro. Titoli come Shen Mue o Morrowind dimostrano anzi come il livello di coinvolgimento emotivo sia in costante crescita, sempre più lontano dagli adrenalinici inte rmezzi di Out Run o di un qualsiasi Street Fighter. La componente temporale assume a llora un valore proprio ed elevato, una cifra senza la quale l’equazione ludica rischia di perdere di significato.


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___________Del Luogo Ludico: quando il Dove cambia il Cosa. Pong è il padre putativo di tutti i vg e ricorre nei sogni elettrici di ogni brava console, durante lo stand by. Di Pong rammentiamo l’ottima interpretazione di uno spot PSX. Analizzare lo spostamento del Luogo Ludico, del dove giochiamo, significa studiare e dunque c apire i bivi evolutivi di questo contesto. È un modo, forse uno dei m igliori, per osservare la Storia di questo mezzo espressivo e per segnare le tappe fondamentali della crescita del videogioco, una crescita sia rivolta all’interno (nei modi d’intendersi) sia relazionata all’esterno (nei modi di presentarsi). Il videogioco guadagna una prima collocazione sociale nella sala giochi. Il Pong di Nolan Bushnell trova spazio tra i flipper, i biliardi e il fumo dei bar, luoghi mal visti dall’opinione pubblica e che generalmente accoglievano, al loro interno, persone di bassa estrazione sociale. Queste sale di ritrovo e r icreazione, nate ad inizio secolo, si rivolgevano ai membri delle classi disagiate e, più in generale, a chiunque avesse del tempo da perdere. Fra le attrazioni figuravano anche cinetoscopi e mutoscopi, apparecchi che permettevano di visionare filmati (spesso pornografici) guardando dentro l’apparecchio e girando una leva. Da q uesti primitivi sistemi d’intrattenimento si passò, col tempo, ad apparecchi più elaborati di cui il VG rappresenta solo la più recente evoluzione. Ma la cattiva fama delle sale giochi è fatale ai successori di Pong: la pessima la pessima nomea da molti attribuita a questi locali, si trasmette anche ai videogiochi con conseguenti campagne diffamatorie da parte di mamme, inferocite, e senatori americani in cerca di voti. La situazione delle sale giochi m igliora sensibilmente, come ha fatto notare la Herz ne “Il Popolo del Joystick”, quando queste si trasferiscono all’interno dei centri commerciali. L’immagine di luogo malfamato deve essere cancellata in modo da far sembrare i locali luoghi sufficientemente decenti da parcheggiare i figli, mentre si fa la spesa. I poster porno lasciano spazio ad insegne luminose e ampie vetrate colorate illuminano l’ambiente. Il lifting estetico della sala

giochi spiana la strada, anche se in misura ancora modesta, all’idea del videogioco come mezzo di intrattenimento socialmente accettato (e all’epoca solo tollerato). Il passaggio all’home entertainment non è netto e ben delineabile. L’idea di portare il v ideogioco nelle case è poco successiva al coin-op di Bushnell, ma di fatto la sala giochi rimane la ruota trainante del mercato videoludico. Il videogioco e ntra nelle case dei giovani statunitensi già nel 1972, con l’Odyssey ad opera di Magnavox, ma per iniziare a vedere qualcosa di sosta nzialmente diverso da quello che v eniva proposto nelle sale, bisogna aspettare il Channel F della Fairchild (1976), prima console a cartucce sostituibili. Spetta però al Famicom (NES) il ruolo di spartiacque pubblico che, su larga scala, s’impegnerà ad avviare l’onda del cambiamento. Il 1984 vede a pparire la console Nintendo in Giappone, proprio mentre in Occidente il videogioco comincia a conoscere un calo di popolarità. La console a 8-bit porta il videogioco ad una nuova fioritura mondiale e stavolta il fulcro dell’industria si sposta verso le case dei videogamers. Le Sale Giochi, tuttavia, continuano a mantenere il primato te cnologico e con esso una preziosa fetta d’industria. Non va poi tralasciata l’importanza che ha avuto la diffusione del secondo televisore il quale, di norma, finiva con l’essere collocato in cucina o nella camera dei figli. In tal modo il VG entr ava in famiglia in punta di piedi, senza monopolizzare o ostacolare la normale fruizione televisiva dei genitori. La conquista del salotto, centro nevralgico dell’attività sociofamiliare, si compie di recente principalmente per due ragioni:

reso di tendenza il VG presso fasce d’utenza maggiorenni). Secondo la IDSA (International Digital Software Association), negli USA il 60% della popolazione videogioca; secondo PCData il 22,8% dei videogiocatori statunitensi ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni e gli ultraquarantenni sarebbero più del 20%. Contemporaneamente alla presa di possesso dei salotti, il videogioco riprende a prosperare per le strade, non più nel buio delle sale giochi ma alla luce del sole. È del 1989 il primo GameBoy di Nintendo. La console portatile per eccellenza r iporta in vita giochi che avrebbero potuto estinguersi con la morte delle Sale Giochi. Il compagno Tetris, concepito e sviluppato dal russo Pajitnov, spopola e traina il Game Boy verso picchi di vendita insperati; il fenomeno del gioco portatile sfonda molto più di quanto non avesse fatto con i limitati Game&Watch (sempre di Nintendo) ed i tentativi d’imitazione della piccola console crescono di numero, pur senza mai offrire una valida alte rnativa. Con il gioco portatile il ruolo sociale del VG tr ova il perfetto complemento al salotto di casa: videogiocatori che smanettano impunemente alla fermata dell’autobus, sui sedili del treno o sulla spiaggia, incuranti del giudizio altrui poiché la stranezza, l’ignoto intrattenimento è ormai una consuetudine sociale, un registro di atteggiamenti e gestualità note che, forse, sollevano ancora dubbi e perplessità, solo né più né meno di quanto continuino a fare TV e Rock ‘n Roll.

1 – Quanti, a loro tempo, furono colonizzatori di questa neo era digitale, sono oggi adulti e padroni di casa. 2 – Per la nuova multifunzionalità delle console capaci di leggere i CD prima e i DVD poi. Con l’ultima generazione di console si concretizza anche il sorpasso te cnologico di un’industria (quella delle Sale Giochi) battuta già da tempo sotto il profilo della qualità dell’intrattenimento. Il videogioco, dal suo ingresso nei salotti, non conosce battute d’arresto e si impone agli occhi della società come naturale este nsione del televisore (merito in parte di Sony che, con Psone , ha massificato e

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Alexey Pajitnov, padre di Tetris, ha fortemente contribuito al diffondersi del videogaming. Dopo 40 milioni di copie vendute, il suo vg continua ad essere uno dei più noti s inonimi videoludici. [si ringrazia Paolo Jumpman Ruffino per l’indispensabile supporto nozionistico]


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mAIN bRAIN fRAGMENTS___________________________ [RinGterview: Matteo Bittanti] di Nemesis Divina Matteo Bittanti è un personaggio indubbiamente molteplice e duttile. Le sue origini le trovate altrove su queste pagine ma vi anticipo che non troverete ragni radioattivi. Di seguito un’allucinata e lunga chiacchierata con il Fu Filosofo, un’overdose di input da assumere a mente sgombra. Enjoy. ~Cultura Videoludica~ RING: La percezione dell’ambient videoludico sta raggiungendo, in questi ultimi anni, vette di coscienza più elevata. Pensi che questa crescita vada relazionata a fattori socio-culturali, alla massificazione del media o più semplicemente al fatto che i ‘pionieri’ del vg sono o ggi cresciuti? MBF: massificazione dei media? direi che il mediascape attuale è sempre più frammentato, personalizzato, frattale, daily me - negroponte. ognuno si costruisce i suoi palinsesti, priorità, filosofie di vita come mattoncini del lego – anche se alcuni usano i playmobil che s ono incompatibili, snodabili, certo, ma incompatibili. siamo tutti collegati eppure non siamo mai stati così soli. da parte mia mi sento sempre più dissociato eppure straordinariamente integrato, galleggio in questo liquido amniotico fatto di bit e di info e di clips e di fish and chips e di demo e di spoiler e di cheat e di caffeina molta caffeina starbucks uber alles voice communicator vibracall mms chat burp. la stessa dimensione ludica è frantumata in una miriade di caste, clan, è un ‘mondo tribale’ [mcluhan] che si serve delle tecnologie per ridefinire rinnegare la propria identità. d’altra parte mi piace la musica ambient, brian eno, figliolo, è molto videoludico. consiglio tutti di fare un salto al mart di rovereto e fruire la retrospettiva di john cage (vedi Box a pagina seguente). super mario botta 1 è il mio eroe. in barba a.

Brian Peter George St. John Le Baptiste de la Salle Eno, nasce in Inghilterra nel 1948. Innovatore del rock, dà il via, a metà degli anni 70, al genere ambient.

RING: Credi esistano ‘pensatori’ del vg in tal numero da poter parlare, seriamente, di Cultura Videoludica (notare la C maiuscola)? MBF: non credo nella ‘c’ maiuscola. ogni espressione dell’uomo appartiene alla ‘cultura’. la ‘cultura’ con la ‘c’ maiuscola è una prevaricazione, una divaricazione anale, un inalatore tipo vicks da spalmare sui bronchi, un dildo, un costrutto, un barbatrucco, un’illusione, un concetto arcaico/arcade, per non parlare della k-k-kultura, (v)ideologia allo stato puro poutpurri. keep the frequency clear. quando il marketing manager di sony computer entertainment italia afferma che in italia non c’è cultura del videogioco perché la gente gioca solo a winning eleven, dimentica che ‘la cultura denota una struttura di significati trasmessa sto(r)icamente’; ‘incarnati in simboli’; ‘un sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo delle quali gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza ed i loro atteggiamenti verso la vita’. [clifford geertz ]. i videogiochi – anche winning eleven ovviamente – sono un sistema di simboli e i simboli sono veicoli del concetto, dell’idea, del valore o dell’assenza del valore. il concetto classico di cultura va ampliato e reso compatibile con la varietà e la molteplicità delle culture (e sottoculture) presenti. la cultura è un modo di pensare, sentire, credere, giocare, un ricettacolo di comportamenti, abitudini, tecniche condivise, convissute, con. la ‘cultura’ non esiste. esistono, semmai le ‘culture’. cult e trash, kitsch e camp, frag e gangbang, paid in full.

Clifford Geertz nasce nel 1926, a San Francisco. Antropologo ed etnologo, ha assistito presso il Massachusetts Institute of Technology (1952-58) ed ha conseguito un dottorato ad Harvard. Autore di numerosissimi testi a indirizzo prev alentemente socio-culturale.

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RING: La culla del VG (meccaniche di sviluppo, iter produttivi, tecniche e linguaggi) è in genere lontana dall’utente cui si rivolge l’opera u ltima. Questo è un ostacolo alla reale comprensione della Res Ludica? In altre parole, credi che se l’utenza fosse più vicina al corpo grezzo del vg potrebbe apprezzare m eglio qualità e potenzialità del media? MBF: l’utente-serpente è, da sempre, co-produttore dell’opera videoludica. è, se vogliamo, una bisia che strisia. il suo ruolo e la sua i mportanza è destinata a crescere considerevolmente anche perché i programmatori sono pigri come l’orsetto bubu. sono i videogiocatori a fare i giochi rien ne va plus. La vita in fondo è un construction kit & kat. spezza con, spazza con. RING: Una tavolozza di str umenti facili da usare e versatili, la possibilità per l’uomo comune di trasferire in videointerazione i propri pensieri e messaggi. Un’espressione videoludica underground e affrancata dal controllo artistico delle major. È uno scenario possibile? Auspicabile? Sarebbe questo a rendere il VG un linguaggio ‘degno’? MBF: ‘degno’ di cosa? RING: ‘Videogioco ’. Perderemo mai l’uso di questo termine o, quantomeno, sarà mai affiancata a questa parola quella, sempre più pertinente, di Videoesperienza? MBF: mi piace il termine videogioco. videoesperienza è un po’ psichedelico. Non ho niente contro gli anni settanta beninteso. Ecco, mi voglio comprare una lava lamp. Ti rendi conto che l’ultima volta che sono stato a un party ho passato un’ora ma forse due a fissare le evoluzioni di una lava lamp complice il dolcetto d’alba chiara ecco io vorrei una simulazione di lava lamp sono sicuro che jeff minter sta preparando qualcosa di simile for peace for unity. sono uscito dal tunnel dei videogiochi, un trip che ti racconto, un’esperienza di quelle che ti cambiano la vita. ma in fondo tutto è esperienza anche tu che leggi adesso con gli occhi magari braille. video killed the radio star.


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John Cage (1912-1992), compositore americano avanguardista. Diceva J. Cage: ‘ Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono, rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare ad un concerto’. È del 1952 la partitura 4.33, da lui stessa ritenuta il suo pezzo migliore, la quale consiste in quattro minuti e trentatrè secondi di non suono, o meglio, di non suonato. La forma del brano è costituita dai suoni ambientali che riempiono il vuoto dell’esecuzione, che è difatto una NON esecuzione.

~Filosofia Videoludica~

~Arte Videoludica~

RING: Alzando gli occhi al cielo scorgi Dio con un joypad in m ano, segui il cavo del controller e lo scopri finirti su per il culo. Lo ignori e accetti d’essere ‘giocato’ o fai di tutto per raggiungere un liberatorio, quanto definitivo, Game Over?

RING: Ti stai ‘battendo’ per diffondere una visione artistica del vg. Come si pone il pubblico, quello generalmente estraneo alla cosa ludica, nei confronti di questa nuova frontiera dell’arte? Incontri scetticismo?

MBF: rispondo con una battuta di aldo 9 che poi si chiama antonello: ‘forse siamo la playstation di dio’.

MBF: testate come flash art, art forum, world art per tacere del d efunto art byte, sono molto sensibili al tema videoludico. anche playboy ha mostrato un certo interesse, del resto tra silicio e silicone il passo è breve. mi batto ma non mi spezzo. mi abbatto bello godzilla destroy all monsters now on xbox sign up now.

RING: Credi si possa definire una distinzione concreta fra il rapporto che Dio avrebbe con noi e quello che intercorre fra un programmatore e un gioco simulativo autoperpetuantesi che ubbidisce, seppur evolvendola e modificandola, alla spinta iniziale del suo creatore? Un vg simulativo dovrebbe lode eterna al suo programmatore? MBF: sONO AGNOSTICO, O SEMMAI, MI AFFIDO ALLA TECHGNOSIS PAGANA. cERTO È CHE, IL VIDEOGIOCO, PER SUA NATURA, TENDE ALL’ÀPEIRON, ‘ALL’ILLIMITATO’. mETTE IL GIOCATORE IN UNA POSIZIONE DI ONNIPOTENZA E ONNISCIENZA, METTE D’ACCORDO dIONISO E aPOLLO, DESIDERIO E RAGIONE. tRA PROGRAMMATORE E PROGRAMMATO C’È LA STESSA DIALETTICA CHE SUSSISTE TRA IL SERVO E IL PADRONE HEGELIANO. mA BASTA VEDERE nIRVANA DI sALVATORES. apollo figlio di apelle. RING: Temi il Game Over o pensi che avrai altri crediti per reiterare l’esperienza ‘Vita’. MBF: non temo il game over ma ho qualche dubbio sull’eterno ritorno. mi affiderò ad un cheat mode. i just wanna feel real love fill the home that i live in cos i got too much life running thru my veins going to waste i don't wanna die but i ain't keen on living either. press play replay & sons.

RING: E gli ‘addetti ai lavori’? L’artista che utilizza normalmente altri linguaggi come si rapporta al vg reso arte? MBF: da diversi anni, ormai, gli a rtisti che utilizzano il medium videoludico stanno crescendo in qualità e quantità. per tacere dei game designer, che sono artisti a tutti gli effetti/difetti e spesso anche degli ottimi cuochi, warren spector, per esempio, fa delle cotolette alla m ilanese buonissime, anche se a volte esagera col limone io gliel’ho detto ma lui ama leccarsi la barba intinta di gocce di limone, una volta l’ho visto che si leccava pure il gomito intinto di limone. RING: L’interattività è riconosciuta come cifra distintiva del VG. Questo valore non dovrebbe perdersi nella riproposizione artistica del VG, p ena l’esilio dell’opera dal contesto videoludico. Concordi su questo punto? Oppure, credi ci sia spazio anche per visioni che neghino all’utenza ogni possibilità d’azione? Nel secondo caso non entriamo in un ambient puramente descrittivo, univoco e dunque estraneo al VG? MBF: l’interazione è la marca di riconoscimento dei videogames,

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come va predicando da almeno vent’anni padre chris crawford. un videogioco non interattivo è una contraddizione in termini. il videogioco non interattivo è il cinema, ma anche mio cugino che è un po’ apatico. ho una certa fobia per la metropolitana. troppo vulnerabile. cerco di prendere mezzi di superficie. dovrei diventare più fatalista, me ne rendo conto ma come si fa ad essere fatalisti e amare i videogiochi, è un po’ un’aporia no? RING: ‘Teoria e Tecnica del Videogioco’ presso la Nuova A ccademia delle Belle Arti in Milano. È stata una vostra proposta o una richiesta esplicita dell’Accademia? Come giudichi la risposta del pubblico? Chi segue il vostro corso lo fa in disimpegno attirato dal luccichìo di PS2 o trovi una reazione conscia e partecipe? MBF: il corso è stato organizzato da francesco2, che un due anni fa mi ha chiesto di affiancarlo per dare vita ad un tandem. poi abbiamo coinvolto anche bruno3 e allora è diventato un trio. a volte ci esibiamo nella metro per raccattare qualche soldo. allora risiedevo ancora a san francisco. al mio rientro in italia sono entrato nell’(in)organico della naba4. in seguito ho organizzato – e organizzo tuttora - corsi di teoria e linguaggio del videogioco presso l’università cattolica di milano, la libera università di lingue e comunicazioni e l’istituto superiore di comunicazione. l’asilo Mariuccia mi ha chiamato, ma sto trattando. il feedback, in tutti i casi, è stato entusiasmante. insegnare videogame non significa giocare, ma investigare le regole del gioco senza mettersi le dita nel naso.

Chris Crawford, statunitense, fra i mas simi teorici del VG. Entra in Atari nel 1979 per la quale creerà svariati titoli fra cui il più noto, Balance of Power , piazzerà ben 250.000 copie.

~Il Mercato~ RING: Tre console a prezzi accessibili, fermento dell’interesse dei media massivi, bacino d’utenza in aumento, pare di assistere ad un altro vero e proprio Boom. Riesci a immaginare un nuovo crash del mercato?


:FRAMES: MBF: spero di no. di crash ne ho piene le palle. jet set willy invece. RING: La Console Unica, dimenticando l’impossibilità commerciale della cosa, pensi che porterebbe un vantaggio al linguaggio vidoludico? Davvero sarebbe la fossa della creatività? Non ci sarebbe, invece, una maggiore concorrenza a livello qualitativo? MBF: il videogioco è pervasivo, persuasivo, appiccicoso, volatile. faccio fatica a ragionare in termini di piattaforme, consolati e modulistica da riempire. faccio fatica a ragionare tout court. il medium è il massaggio, il medium è il passaggio assist gol moviolone. non ho mai creduto ai campanilismi e, detto sinceramente, l’integralismo f anatico dei supporter sonokia o m icrotendo è vagamente patetico, ennesima riprova che il dio pagano del brand ha rimpiazzato quello tradizionale ma la cosa mi intristisce un po’. mi dissocio dalla chiusura mentale degli hardcore del bit che rifiutano il confronto con il mondo. mi interessa il videogame nella misura in cui mi permette di comprendere il mondo, di imparare qualcosa su ciò che mi circonda, di alimentare le mie perversioni. altrimenti tanto vale masturbarsi tutto il giorno di fronte a uno schermo o scrivere uno screen/play, adaptation. io semmai aspetto la console tunica, divertimento elettronico da indossare. so che prada presenterà un prototipo e un fenotipo alle prossime sfilate. premi il capezzolo e parte il gioco. il joystick è dotato di un movimento di feedback sensibile alle vibrazioni. non scherzo persino il mit sta lavorando nel campo del wearable computing oggi se non lavori nel campo del wearable computing non sei nessuno. i capi d’abbigliamento benetton hanno chip. la prossima console la progetta toscani magari. RING: Dovendo partecipare alla produzione di un VG, su che g enere ti orienteresti? MBF: hmmm, esistono ancora i generi? preferisco il concetto di ‘autore’ anche se è generico. mah, direi una simulazione del micro, del m acro, del me(n)ga messa a punto da gugliemo wright. sto giocando molto a uno che è veramente divertente anche se non ho mai amato troppo i giochi di carte. ha mai visto rotor? mi piacciono i wargames. command & conquer, tipo. aspetto rise of nations. anche advance wars due , per dire. quando ero piccolo giocavo molto ad axis & allies con mio fratello. mi ha cam-

Ring#06 biato la vita. mio fratello, intendo. zia marisa l’ha inventata lui. Siamo tutti acrobati. Siamo pieni di cocco. ~L’Uomo~ RING: In molti (io fra loro) ti reputano un precursore; persona che fra le prime ha saputo vedere oltre l’immediato videoludico cercando di tessere nuove e intriganti implicazioni del media in questione. Ma tteo Bittanti che ne pensa del Filosofo? MBF: (contrap)passo. (punto).

Contrap-

RING: Qual è stata la scintilla? In che occasione MBF ha percepito, nel vg, quell’in più che può trascendere la ricreazione e il commercio? MBF: 2022: i sopravvissuti5. direi. RING: Cosa rispondi a chi dice che i giochi sono tali e non bisogna a bbondare c on il contorno di ‘cazzate’ (altrimenti se ne altera il gusto)? MBF: kazaate? kamizake. RING: ringraziamenti di rito e beatificazione della figura semidivina di MBF. MBF: Grazie ring. baci/abbracci. _____________________Note [1] Architetto e designer nato nel 1943,in Svizzera, ma cresciuto in Italia. Frequenta lo studio del noto Le Corbusier a Venezia e collabora con l’altrettanto celebre architetto Louis Kahn. [2] Francesco Alinovi, classe 1973. Laureatosi all’Università degli Studi di Siena con la tesi ‘Homo Videoludens: Dinamiche Evolutive dell'Intrattenimento Elettronico Interattivo’, edita nel 2000 da Liocorno Editore. Ha partecipato alla realizzazione di numerose realtà, editoriali e telematiche, a tema videoludico. [3] Bruno Fraschini. Laureato in relazioni pubbliche con la tesi: ‘Strategie comunicazionali e linguaggio del videogame’ e autore de ‘Metal Gear Solid - L’evoluzione del serpente’ recensito su queste ste sse pagine. [4] NABA – Nuova Accademia delle Belle Arti. Struttura scolastica privata a prevalente indirizzo new media e design, non sono comun-

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que trascurate forme espressive classiche. http://www.naba.it [5] 2022 I Sopravvissuti (titolo originale: Soylent Green). Di Richard Fleischer, USA, 1973, 90’.Nel cast figura l’immarcescibile Charlton Heston

[Ring è] Chiaroveggenza “No, ovvio. Altrimenti me ne stavo zitto.” Nemesis Divina, rispondendo a chi gli domandava se le sue considerazioni su Super Metroid si basassero su un’esperienza di gioco d iretta. ~ [Ring è] Vox Populi “Ho giocato Metal Ghiar 2, Madonna che pippone, pensa alla figa che è m eglio!” Pragmatico commento a Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty da parte di un eminente critico di videogiochi intervistato da Gunny. ~ [Ring è] Armonia nella diversità “Le persone non sono tutte uguali, per una ragione o per l'altra. La diffusa convinzione del contrario è una delle scelte soci oculturali più ridicole dell'umanità.” Nemesis Divina ~ [Ring è] Liturgia “Non c'è bisogno di ritualità, con questo Zelda. È un inno di per sé, è poesia, e si canta da solo.” Paolo Jumpman Ruffino, dopo aver giaciuto la sua prima notte insieme a Zelda: The Wind Waker.


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wARLD aPEIRON__________________________________ [L’agonismo videoludico come linguaggio violento e incompleto] di Nemesis Divina [Prima di procedere alla lettura di questo testo, è preferibile aver preso nota del Frame ‘In Nomine Ludi’, presentato su RING#5. Alternat ivamente, visionate la nota 1 a fondo pagina]

____________ Bla bla bla Overture Istituto Superiore di Comunic azione, Milano, 21 gennaio 2003 - Presentazione del Corso di Specializzazione in Progettazione di Videogames, a seguire tavola rotonda fra gli intervenuti. Relatore: Matteo Bittanti. Un evento concentrato per dimensioni e partecipazione, eppure colmo di tematiche e dissertazioni; una cornice ideale entro la quale innescare un proficuo transito neurale. Fra le a rgomentazioni d ibattute in quell’occasione, ne cogliamo una a noi funzionale; l'argomento di discussione è la più classica delle accuse mosse al VG: quella di istigazione alla violenza. Asserisce Enrico Varsi (Responsabile Comunicazione del sito Free Message) “sarebbe come dire che leggendo biografie di poeti, si d iventi di conseguenza poeti noi stessi. Cosa che purtroppo non è”. Una frase, a difesa del VG, che ha strappato l’assenso e l’applauso della sala. Applauso meritato? Il paragone d i Varsi è subito fuori luogo, poiché i giocatori fruiscono i videogiochi e non le biografie dei game designer. Pertanto rimodelliamo l’affermazione di partenza sostituendo ‘biografie di poeti’ con ‘libri di poesia’, possiamo pertanto domandarci: leggendo poesie, si diventa poeti? Le probabilità che ciò a vvenga sono remote, tuttavia leggendo poesie cresce in noi la conoscenza e la percezione di ritmo e metrica, le rime non ci sono più ignote e altre forme retoriche acquistano nesso e peso, ne intuiamo i modi in cui si mostrano e le regole da cui dipendono. D’altronde, come concorda la maggior parte dei romanzieri, “per scrivere bene è necessario leggere molto”. Fruire (leggere, guardare, suonare, gioc are) significa invariabilmente acquisire una consapevolezza maggiore del mezzo in uso; non incrementare le proprie nozioni entro un dato campo, pregiudica la piena comprensione/presa di coscienza di detto campo. Conoscere è capire; comprendere il codice poetico (o musicale o pittorico) permette di rivestire un’opera di più vasti e profondi caratteri; dunque l’uso continuativo del VG comporta l’accumularsi di un archivio dati comprendente modus operandi, convenzioni e metodi. Più libri di poesia leggiamo e più dimestichezza si assume nei confronti della metrica, così come nel VG apprendiamo schemi basilari e ricorrenti (i pattern comuni di uno sparatutto, ad esempio), ‘capiamo’ meglio il VG e videogiochiamo meglio. Di nuovo, conoscere è capire, padroneggiare il significante ci permette di ricevere e decodificare meglio il significato. La fruizione ha quindi proprietà didattiche ed influenza innegabilmente noi ed il nostro bagaglio cognitivo.

Se è vero, dunque, che la fruizione dei videogiochi esercita sul giocatore un’ascendente positiva (favorendo la presa di coscienza dei moduli espressivi del VG), è lecito supporre che possa es istere anche un’influsso negativo, qualora il contenuto veicolato dal medium sia di carattere violento. Ad ogni modo, piuttos t o c h e s ottoscrivere o smentire la teoria secondo la quale i videogiochi violenti istigano alla violenza, preferiamo in questa sede avanzare una nuova ipotesi, dai contorni inediti ed i nquietanti: il VG non si limita a proporre dei contenuti violenti, il VG stesso è un sistema fondato sulla diffusione di contenuti tramite un contesto strutturale violento.

________La-li-lu-le-lo Crescendo

:Componente Violenta del linguaggio Videoludico: I n GTA: Vice City non solo il gioco evita di punire i comportamenti violenti più gratuiti, ma addirittura li incoraggia. L’omicidio di un cittadino innocente viene applaudito dal gameplay con la possibilità di rubare dal cadavere della vittima i soldi che porta con sé. In Devil May Cry la violenza non esaurisce la sua ragion d’essere nella sopraffazione dell’avversario. Il parco mosse a disposizione di Dante consente di reinterpretare la violenza oppositiva in chiave estetica, vale a dire auto-finalizzata. Nei combattimen ti, oltre al conseguimento della vittoria, acquisisce rilevanza la condotta coreografica cui ci si attiene. Un sistema di valutazione gratific a poi in tempo reale l’azione del giocatore, assegnando alle sue manovre i giudizi: Dull, Bravo, Cool, Absol ute o Stylish.

In Hitman 2 alla fine di ogni missione il giocatore Il paragone di partenza riceve una valutazione del con i ‘libri di poesia’ è proprio operato. Più che meno calzante del previsulla base di parametri sto sotto un altro aspetto che rispondono a valori ancora: l’influenza mossa etici, il gioco fornisce un dalla lettura è di genere giudizio teso a premiare ascensionale artic olandosi la ‘professionalità’ dimosull’apprendimento di forstrat a dal giocatore, mas sima espressione della quale è me a ggiunte all’esperienlimitare le vittime di ogni incursione all’obiettivo finale, za comune: convenzioni omaggiando la natura stealth del titolo ed emancipanlinguistiche e forme poedone il gameplay dal rischio di trasformarsi in banale tiche fuori dall’uso quotis paratutto. diano. Pertanto si attiva un’elevazione del soggetto sotto il profilo ritm i c oca si risolve i nvariabilmente in atto violinguistico, nel caso della poesia. L’Uomo lento, perpetrabile con l’aggravante della non pos siede la dote innata della poesia; immunità extratestuale: l’interat(t)ore leggere comporta l’assunzione di nuove interviene nel videomondo con la nonabilità, una ‘elevazione espressiva’; a lchalance di un dio, conscio di giostrare trettanto non può esser detto della reitecon un parco ludico che non gli si può razione violenta scandita dal VG, esso ribellare, che non lo può colpire né biapreme su un carattere i nnato e radicato simare. dell’uomo. Il condizionamento alla vioGià questo estromettersi dal gioco dei lenza è di tipo emersivo, in quanto agiruoli, pur partecipandovi, è i ndice di un sce appunto su comportamenti noti e contesto ambiguo che estrapola l’utente preestistenti, per quanto riposti. Detto dalla logica di azione/reazione che speciò, dobbiamo ancora domandarci e ririmentiamo nella realtà: non esistono spondere circa i modi violenti del VG. impedimenti al nostro agire nel videoChi scrive, ritiene che il VG (nella mondo, perseguire una via deprecabile forma attuale) sia implicitamente violen(che biasimeremmo nella realtà noi per to, che la violenza ne costituisca la primi) è concesso perché non intervengrammatica prima e che essa sia ringono freni inibitori, o vincoli etici. Ci sotracciabile nella cifra peculiare del meno poche regole, che se infrante al più ci dium stesso: l’interazione. L’interazione, rallentano, senza fermarci. nel VG odierno (e passato, auspicabilN e i V G esistono raramente sanzioni mente non in quello futuro), si fonda verso l’utente, e così noi adottiamo mounicamente sull’opposizione, l’annichidi barbari e repressivi senza interrogatilazione e la prevaricazione; s ono infatti vi, senza remore. Già nell’online gaming, scarsissime le videointerazioni che es uperò, si tratteggiano le forme di quella lano da questa prassi competitiva prefeche pare un abbozzo di società digitale, rendo ad essa una cooperazione pacifica s ottesa da regole e leggi. Proprio dagli o ad un’interagire neutro. L’opzione ludi-

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:FRAMES: R P G o nline è nato il fenomeno del ‘trolling’ (ampia piaga che mina e tormenta le messaggerie telematiche), un fenomeno inaugurato da chi, nei MMORPG, non interpretava un ruolo eroico ma quello abbietto del Troll, creatura mitologica con il caos quale unica guida. Sempre negli online games per PC (EverQuest , per dirne uno) nascono i Player Killers, individui che spingono il proprio avatar a combattere contro gli altri utenti, derubandoli e uccidendoli per il maggior gusto di infierire sull’uomo, anziché sulla mac china. Ma a queste aberrazioni, si diceva, si sta ponendo un freno bandendo questi utenti dai server, impedendo loro l’accesso al gioco, al videomondo. Esistono però altre forme di regolamentazione, come ad esempio in Morrowind nel quale l’infrazione di una regola si traduce in incarcerazione; questo però non si limita a colpire l’avatar del giocatore ma dannegia l’utente stesso sottraendo l’eventuale refrutiva e riducendo i punteggi abilità del suo personaggio (obbligandolo dunque a investire ‘tempo reale’ per ripristinare i valori perduti). Più di sovente, invece, la semplice azione molesta è tollerata (se non incoraggiata, Grand Theft Auto) e il VG pone scarsi ostacoli ad una manifestazione violentemente gratuita. Vale la pena spendere qualche parola per comunicare come in questa sede non si stia sostenendo l’opinione pubblica, bacchettona a oltranza. Non è di braccia amputate, pozze di sangue o budella sparse che si discute; quello che si condanna è l’invariabile logica sopraffattrice del medium VG. Più in generale si denota una presenza obesa dell’opposizione, il nostro agire è inevitabilmente definito da un contraltare: un drago da sconfi ggere, un attentato terroristico da sventare, un lottatore da mettere al tappeto oppure un tempo da battere, tutti stereotipi unidirezionali che premettono alla base dell’interazione una componente competitiva. Ora, nel caso ci si riferisca al sottogruppo ‘videogiochi’1 la cosa è comprensibile (il gioco è di solito pura competizione) ma l’ampliarsi del discorso al medium VG rende la cosa decis amente riduttiva per le pretese artistiche del linguaggio videointerattivo. Proseguendo nella direzione a ttuale, il VG non può che svilupparsi come passatempo pseudo- sportivo. Entrando nella prassi della contesa, della sopraffazione di un avvers ario, del superamento di un punteggio (o di una prova), il VG propone esclusivamente situazioni ‘ludiche’. Ed è sempre la natura ‘ludica’ a costituire un problema per l’inclusione del VG fra le forme artistiche: un quadro non deve prevaricare o vincere per essere apprezzato, una composizione musicale, un film, un libro, hanno un senso compiuto in se stessi. Tutto questo scrivere può sembrare un mulinare nell’acqua, nella speranza che le onde si fissino in forma di spirale; più semplicemente si cerca di far notare come il VG si muova in uno stadio estremamente primitivo del suo potenziale intrinseco, l’interazione (aspetto distintivo del medium in questione) è oggi monotematica, solo ‘competitiva’, il semplice relazionarsi al contesto è pratica ancora rara nel VG. Al di là di alcuni generi, necessariamente competitivi, l’interazione di qualunque altro titolo

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:COMPONENTE INCOMPLETA DEL LINGUAGGIO VIDEOLUDICO: Nella cattedrale videoludica eretta da PES2, così come in ogni titolo sportivo, la sconfitta è certamente presente. Essa, però, non diminuisce il potenziale del racconto interattivo: una partita persa contiene tutti gli elem enti di un match vittorioso (colpi di testa, pali, calci d’angolo, ammonizioni, gol), diversamente in altri tipi di VG la sconfitta inibisce buona parte dei contenuti presenti.

Nel caso di Resident Evil, perdere (dunque essere uccisi) corrisponde all’interruzione dell’esperienza videointerattiva. Così facendo il racconto ludico è però incompleto: mancano una porzione di dettagli ludici s econdari (enigmi, item, armi) ma soprattutto rimane aperto il circolo narrativo. Il costrutto bicomponente del genere survival horror (gioco/narrazione) richiede il completamento della storia per giungere ad un finale soddisfacente.

Legacy of Kain: Soul Reaver aggira, con un brillante escamotage narrativo, il rischio di rendere incoerente il racconto videoludico. Raziel, prot agonista della vicenda, è tornato dal regno dei morti per contrastare Kain, suo re in vita. Nell’eventualità in cui Raziel perda la sua energia, egli si trasferisce nella dimensione spettrale dalla quale, risucchiando anime, potrà fare ritorno al mondo dei vivi. In questo modo si mantiene la coerenza narrativa e non si frattura il corpo ludico, il quale potrà compiersi nella sua totalità. perde di senso se privata di una vittoria; la mancata vittoria è addirittura punita con la sconfitta e la sospensione dell’interazione, mai con un proseguimento negativo del fruire, e questo rende incompleta la lettura del testo videoludico2 per quanti non hanno le abilità per vincere. Ciò suscita dei dubbi sul potenziale espressivo di un medium che, a p arole, pretende di competere con gli altri mezzi comunicativi; sarebbe come un libro con alcuni paragrafi scritti troppo piccoli per essere letti, o una composizione music ale con partiture suonate agli ultasuoni (inudibili all’uomo). Concretizzando, si mostrano i mpropri e superflui gli scontri di un Silent Hill, il quale vive di angoscia e ignoto e non di confronto e vittoria; lo scontro fisico di Silent Hill è solo funzionale ad un’arcaica modalità competitiva, laddove la sua mancanza darebbe più spazio ai silenzi, all’introspezione, all’atmosfera e alla riflessione. La soppressione del confronto fisico con i nemici non comporterebbe la totale abolizione dell’elemento oppos itore, solo la non necessità di sopraffare l’avverso (nello specifico di Silent Hill, il nostro alter ego digitale p otrebbe essere obbligato alla fuga o alla difesa, anziché ricorrere impunemente all’efficacissimo attacco). D’altra parte chi sarebbe interessato ad un VG dove non c’è competizione? Dove una chiara vittoria non è contemplata? Dove le ‘poche’ c ose che contano sono il costrutto audiovis ivo, la narrazione, l’immedesimazione e l’emozione che derivano dall’interagire con il mondo digitale ed i suoi abitanti? L’anel-

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lo del discorso non si chiude; a noi resta l’asettica constatazione dell’ intrinseca brutalità di un medium che stenta a c omunicare senza alzare le mani, indugiando lungo la via di un mondoguerra senza f ine... _________________________Note [1] Si distingue il medium VG (da intendersi come Videointerazione Generica) in due sottocategorie: quella del ‘videogioco’, sottesa da intrinseche necessità ludo- competitive; e la ‘videoesperienza’, in cui immedesimazione e interazione s ono coese in modo armonico nel mondo digitale. La scarsezza di titoli appartenenti al secondo gruppo non significa che essi non pos sano esistere… [2] Testo e Racconto Videoludico sono emanazioni distinte del VG. Il Testo Videoludico è quello redatto dall’autore, il Racconto Videoludico è invece scritto dalla lettura che l’utente fa del Testo Videoludico, con tutte le scelte e gli e rrori interpretativi del caso. [Un oceano di ringraziamenti a Cristiano Bonora, senza il cui aiuto il presente a rticolo avrebbe avuto forma sconnessa e immotivata. Grazie.]


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lICENZA dA uCCIDERE_____________________________ [Semantica e Sistematica del Tie-in] di Cristiano Bonora “Dal film al videogioco, si sa, il passo è breve...” Ring scardina questo luogo comune illustrando le scelte, le difficoltà e le profonde questioni che un team di sviluppo deve affrontare per realizzare un videogioco su l icenza. Tie-in: un termine ormai fuori m oda, ma che fino a qualche anno fa all’interno della comunità videoludica indicava inequivocabilmente i videogiochi tratti dai film. Quello dei tie-in è un fenomeno che oggigiorno continua a imperversare, animato dalle prospettive di profitti facili che lo sfruttamento di nomi e protagonisti dei film più popolari garantiscono da sempre. L’uscita del “gioco del film”, di qualità infima nella maggioranza dei casi, è un avvenimento così ricorrente che assai di rado riesce a suscitare l’entusiasmo e l’hype che aleggiano nel settore quando si avvicina il lancio di un grande titolo. Oramai siamo tutti abituati a produzioni ammazza-licenza: giocacci all’insegna del batti il chiodo finché è caldo o ispirati a saghe televisive sempreverdi (il transgenerazionale Star Trek, per dirne una). Tuttavia siamo molto meno abituati a domandarci che cosa voglia dire, in termini concettuali, realizzare un tie-in. Che cosa significa “fare il gioco di un film”? È forse la stessa cosa produrre un gioco ispirato a un film o rimboccarsi le maniche per trasformare un film in un videogioco?

cate differenze dal cinema classico nell’impiego del codice immaginativo, ma che non denota nessuna differenza dal punto di vista delle componenti semiotiche. Nella nostra analisi includeremo anche i giochi tratti dai fumetti, per le palesi affinità semiotiche che intercorrono tra il fumetto e il cinema d’animazione. Rispetto a quest’ultimo il fumetto non può contare sul supporto comunicativo, e soprattutto evocativo, offerto dal codice musicale, affidando di conseguenza tutto il proprio potenziale espressivo al codice iconico e a quello linguistico (cui viene richiesto di simulare anche gli effetti s onori con le dovute onomatopee). Inoltre sotto il profilo iconico il fumetto si esprime esclusivamente attraverso la successione di immagini fisse percepite come tali dall’occhio umano, al contrario di quanto avviene nei cartoni animati, in cui l’animazione non è altro che l’illusione causata dall’avvicendarsi di fotogrammi comunque immobili.

Prima di abbozzare una risposta per ciascuna di questa domande è o pportuno soffermarci a delineare, seppur in maniera sintetica, i caratteri semiotici del cinema, il che equivale a inquadrare il film come codice c omunicativo, cioè come linguaggio, come paradigma di significanti, indipendentemente dalla sua configurazione all’atto del processo di comunicazione. Quello cinematografico è un codice comunicativo complesso, risultante cioè dalla combinazione e interazione di più codici comunicativi, nella fattispecie il codice iconico, o immaginativo (cui compete tutto ciò che compare su schermo), il codice linguistico (implicato dalle battute pronunciate dagli attori e da qualsiasi scritta a video) e il codice musicale (la colonna sonora e meno propriamente anche gli effetti sonori). Del tutto sovrapponibile sarebbe l’esito di un’analoga radiografia del cinema d’animazione (e più in generale dei cartoni animati e degli anime), che presenta mar-

Nell’analizzare il passaggio da film a videogioco, non è possibile esimersi dal sezionare anche quest’ultimo, ancora sottovalutato, codice comunicativo. Trattasi anch’esso di un codice complesso, alla cui organicità concorrono ovviamente il c odice iconico, il codice musicale e quello linguistico. Ad affiancare e sovrastare questi tre codici inte rviene però un linguaggio inedito: il codice ludico. A differenza dei precedenti, questo codice si l imita a veicolare significati puramente eIl codice videogioco (codice lumotivi: divertimento, soddisfazione, dico + codice iconico + codice linansia, paura. Questa volta il signifiguistico + codice musicale), qualocante di ciò che si vuole esprimere ra ne vengano sfruttate adeguatanon è più l’immagine, la musica, o mente le potenzialità espressive (i la parola (o perlomeno non nella loro individualità), bensì la situazione ludica generata in primis dal gioco nel suo costituente basico, il gameplay, e subito dopo dalla collaborazione del contenuto degli altri tre Silent Hill e Ico fanno dell'immagine la traccia codici. evocativa di suggestioni che la trascendono.

_____Il videogioco come codice comunicativo complesso

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In Silent Hill la situazione ludica più ricorrente vede il giocatore i mpegnato a conservarsi in vita: il sentimento che accompagna questa circostanza è naturalmente il timore di morire (oltre alla destabilizzante paura dell’ignoto che SH inculca nella coscienza del giocatore); le sempre poche munizioni a disposizione e le scarse capacità marziali del proprio alter ego, inserite in una struttura di gioco actionadventure, contribuiscono a delineare un gameplay già di per sé poco rassicurante. Su questa b ase ludica si sovrappone il contenuto del codice iconico, anzi, il tremendo noncontenuto delle schermate di SH, in cui nebbia e oscurità celano fino all’ultimo momento i pericoli e le terribili verità di quella maledetta cittadina. Il comparto sonoro è tutto riassumibile nell’agghiacciante cacofonia prodotta dalla radio all’appropinquarsi delle creature oltremondane, mentre il codice linguistico si rende indispensabile nella gestione dell’inventario, nella componente narrativa e nella raccolta di indizi per la risoluzione d egli enigmi. È chiaro che i contenuti dei codici iconico, linguistico e m usicale (a loro volta autonomamente carichi dei propri significati) si fondono alla materia giocabile in m aniera costituente e indissolubile, mettendosi al servizio del codice ludico nella comunicazione di sentimenti quali terrore, ansia, claustrofobia. SH esemplifica splendidamente l’impareggiabile forza espressiva del c odice ludico, in grado di comunicare significati al giocatore/fruitore immergendolo in prima persona all’interno dei significanti.


:INDEPTH: Kojima e i Miy amoto non crescono sugli alberi), può dunque esprimere significati nella sua unitarietà, ma anche attraverso l’impatto semiindipendente delle sue componenti comunicative. L’iconografia di Ico ne prende per mano il gameplay proprio come il tenero Ico fa con Yorda. Tra un paio d’anni ci ricorderemo di questo gioco m eraviglioso per le sue vedute oniriche, per la grazia dell’eterea Yorda, o per le sfilze di combattimenti in fotocopia che intercalano convenzionali enigmi cassa-leva-porta? Oltretutto il videogioco, qualora possa catalogarsi come tale, è una forma d’arte collettiva (rispettivamente 70 e 100 persone hanno contribuito alla creazione di Metal Gear Solid 2 e Kingdom Hearts), pertanto è naturale che all’interno di un team di sviluppo possano esistere delle d isparità di estro tra l’animatore e il compositore della colonna sonora piuttosto che tra lo sceneggiatore e il character designer, nonostante ambiscano tutti al raggiungimento di un obiettivo espressivo comune. _____Il tie-in come traduzione Una volta riconosciuta al videogioco la sua natura di codice espressivo, viene spontaneo i nquadrare il tie-in come un processo che sancisce un passaggio di significato da un testo a un altro: una traduzione , quindi. Intendiamo sempre il termine “significato” nella sua accezione più ampia, cioè quella di informazione, di contenuto semantico associato a qualcosa che lo esprima (un significante): sono significati tanto il soggetto rappresentato da un disegno quanto il senso profondo di una storia o il feeling generale comunicato da un videogioco. In caso di traduzione di un testo espresso in un determinato codice linguistico, a un ulteriore testo espresso in un altro codice linguistico (la traduzione avviene pertanto all’interno della stessa famiglia di codici comunicativi), si parla di traduzione interlinguistica; nel nostro caso la traduzione sancisce un passaggio da un testo in un determinato codice c omunicativo, ad esempio quello cinematografico o filmico, a un altro testo espresso mediante un diverso codice comunicativo: il codice videogioco. In filosofia del linguaggio questo tipo di traduzione prende il nome di traduzione semiotica. Se la consapevolezza dei tratti espressivi del videogioco non è a ncora particolarmente diffusa oggi, ancor meno lo era dieci o quindici anni fa. Di conseguenza per molti anni fare il gioco di un film ha significato semplicisticamente creare un

Ring#06 videogioco - generalmente un platform o un picchiaduro - in cui fossero riprodotti in un modo o nell’altro i protagonisti e le ambientazioni della pellicola di riferimento . Ciò non comporta di necessità che i v ideogiochi ispirati ai film fossero brutti (molto spesso sì, comunque), ma che il significato, il contenuto espressivo del testo originale venisse inevitabilmente obliterato. Questi giochi rimanevano solo e soltanto ispirati a un film. Ciò che mancava era la concezione del videogioco come codice comunicativo complesso e del tie-in come opera di traduzione, ovvero di trasformazione sostanziale nel rispetto di un testo di partenza e nella consapevolezza dell’irrinunciabile natura del risultato finale: un gioco. Di seguito abbiamo scelto di proporre l’analisi di una manciata di titoli, senza l’intenzione di realizzare un’improbabile anto logia del tiein, bensì allo scopo di mettere a fuoco casistiche radicalmente differenti, in ordine alla più o meno completa riuscita della traduzione in videogioco del film, cartone animato o fumetto di origine. Non si tratta necessariamente di titoli particolarmente riusciti o conosciuti, quanto di giochi che esemplificano con precisione i possibili approcci al concetto di tie-in. __Dalla striscia alla piattaforma Una non-traduzione : Lupo Alberto the Videogame Nei primi anni ’90 la diffusione del C ommodore Amiga 500 nel nostro paese motivò alcune software house a realizzare per questa macchina le trasposizioni ludiche dei fumetti italiani più popolari. Dylan Dog, Tex, Cattivik, Sturmtruppen, Lupo Alberto. Più precisamente, Simulmondo intraprese il concepimento dei titoli ispirati ai personaggi di proprietà della Sergio Bonelli Editore, mentre Idea sfornò, uno dopo l’altro, i giochi tratti dalle più accattivanti strisce nostrane. Ad esclusione di Dylan Dog: Attr averso lo Specchio si trattava generalmente di platform (a scorrimento nei prodotti firmati Idea, alla Prince of Persia nei giochi Simulmondo) dalle dinamiche già allora molto inflazionate. Il caso di Lupo Alberto the Videogame (Amiga 500/Commodore 64, Idea, 1990) è quello su cui preferiamo soffermarci. Le ragioni di questa scelta due: la prima è che sotto il profilo del gameplay tutto sommato non era poi così m alaccio, la seconda è che dal punto di v ista contenutistico vantava ben pochi

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punti di contatto con la striscia creata da Silver.

Lupo Alberto the Videogame: il gioco con lo scrolling più pestifero della storia. La foto ritrae la versione per Commodore64. Il gioco era costituito da dieci l ivelli piattaformici a scrolling orizzontale e verticale da affrontare in rigorosa sequenza. Il g iocatore poteva scegliere se impersonare Lupo Alberto o Marta, per poi condurli attraverso ogni livello evitando di precipitare nei baratri e di venire a contatto con altri personaggi, pena la perdita di una delle più classiche “tre vite”. L’azione lenta ma vivacizzata da un discreto lavoro di level design; la possibilità di avvalersi di buffi gadget (guantoni da pugilato, incudini, palle da bowling, ecc.); la buona resa in bitmap dei personaggi della striscia e gli ipnotici motivetti di sottofondo facevano di LATV un’esperienza piacevole e spensierata, minata solo dalla convenzionalità del gameplay di base, da una difficoltà eccessiva e da uno scrolling non proprio parallattico. Ma che cosa avevano in c omune LATV e Lupo Alberto la striscia? È presto detto: i personaggi scaturiti dalla matita di Silver e l’ambientazione agreste. Fine. Per quale motivo Lupo Alberto dovesse saltare in testa ai suoi amici per toglierli di mezzo non ci è mai stato spiegato (passi per quel malmostoso di Mosé che sparava a vista, ma Enrico la Talpa a me stava simpatico), e nemmeno il motivo per cui Beppe tirasse le cuoia non appena veniva sfiorato da uno qualsiasi dei suoi compaesani. Delle situazioni e dello humor che animavano la str iscia non vi era traccia, se non per un controverso particolare: al te rmine di ogni livello su schermo veniva visualizzata una vignetta che concludeva una delle dieci strisce incomplete incluse nel libretto di istruzioni. Ricapitolando: Lupo Alberto è una striscia, LATV è un gioco che dal punto di vista dei contenuti espressivi non ha nulla a che vedere con la striscia, ma la cui grafica ne ricalca il look di personaggi e ambienti; per supplire a questa sostanziale estraneità il gioco include segmenti incompleti di testo fumet-


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tistico (pertanto in un codice estraneo al videogioco) la cui interpretazione dipende da un ulteriore testo fumettistico incompleto. Al di là di quella che non è altro che una curiosa trovata per stabilire un flebile punto di contatto tra fumetto e videogioco, il contenuto originale della striscia (espresso mediante il c odice fumettistico) è stato bellamente ignorato e nessun tipo di traduzione ha avuto luogo. Probabilmente continueremo a ricordarci di LATV come di un grazioso platform ispirato dall’omonima striscia, ma sicuramente no n come della striscia fatta videogioco.

:Tie-infamy: Blade 2 (PS2/XBOX, Activision, 2002)

Nostalgia. Dal third place Blad e 2 ci riporta ai bei tempi dell’Amiga, dei 16 bit e dei tiein della Ocean, quando mai a nessuno sarebbe venuto in mente di definire traduzione il processo di involuzione di un film in videogioco di serie Z. E anche voi che state leggendo, tirate il fiato, nessuna velleità da teorico del videogioco potrebbe spingermi a scrivere a ltro di Blade 2 se non questo: spazzatura digitale. Materiale per il cestino del GW dell’Arsenal Gear. Con un improbabile gameplay a metà tra Britney’s Dance Beat e Fighting Force, Blade 2 è caricatura avvilente di se stesso, esponente di razza del genere ammazza-licenze. Il granitico Blade suggerisce: “Keep your friends close, keep your enemies closer”. Keep away from this game. Suggeriamo noi.

_________Yin e Yang, Hokuto e Nanto, fabula e ludus, anime e videogame Una traduzione parziale impura: Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu Seisyu De nsetsu Proprio perché il codice filmico e quello fumettistico sono codici complessi, una soddisfacente tr aduzione in codice ludico del loro contenuto può rivelarsi un’impresa semi-impossibile. Per questo motivo capita molto spesso che i game designer selezionino uno o più aspetti che contraddistinguono il nucleo comunicativo dell’opera originale e si limitino a svolgere una traduzione il più fedele possibile esclusivamente di questi aspetti, scegliendo di trascurare quei significati che hanno ritenuto intraducibili, oppure riproponendoli nel loro codice originale, proprio come quando nel tradurre un testo dall’inglese all’italiano decidiamo di mantenere un termine anglosassone, perché difficilmente p otremmo restituirne il senso con una parola della nostra lingua. L’esempio di Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu Seisyu Densetsu (PSone, Bandai, 2000) incarna alla perfezione questa casistica. Dopo 14 anni che il celebre manga di Bronson e Tetsuo Hara veniva oltraggiato da tr asposizioni ludiche ai limiti della moralità, Bandai decide di riscattare la sua fama di ammazza-licenze consegnando al pubblico giapponese il primo videogioco su Kenshiro religiosamente rispettoso dei contenuti della prima serie TV, la quale, episodi inventati permettendo, aveva a sua volta tradotto degnamente in anime il fumetto originale. In merito ai contenuti da tradurre in codice ludico, Bandai non ha dubbi: sono i combattimenti l’aspetto più facilmente riproponibile in termini di gameplay. Un picchiaduro dunque, un picchiaduro secondo il principio titanico dell’uno contro tutti, tanto rivendicabile dalla tradizione del videogioco d’azione quanto riscontrabile nella sanguinaria biografia del successore della divina scuola di Hokuto. L’adozione della grafica poligonale garantisce agli scontri quel minimo di regia che riesce a evocare istantaneamente le immagini dei combattimenti cui per anni abbiamo assistito in TV. Il gameplay è molto esile, una decina di mosse per personaggio, non di più, nessuna interazione con gli ambienti e una varietà piuttosto limitata. Tuttavia il gioco diverte, la risposta ai comandi è ottima e l’iconografia originale è stata riprodotta in tre

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dimensioni con una fedeltà stupefacente. Le leggendarie tecniche di Hokuto basate sulla pressione delle terminazioni nervose dell’avversario sono innescabili mediante l’esecuzione di combinazioni di tasti predefinite. Se la combinazione viene eseguita con successo una spettacolare sequenza non interattiva r icompensa immediatamente l’abilità del giocatore. La straordinaria aderenza di queste sequenze alle animazioni della serie TV, unita alla loro frequente occorrenza, r iscatta la monotonia delle pur gradevoli battaglie. Il segmento testuale relativo ai combattimenti (nelle sue componenti iconiche, musicali e sonore) è stato dunque tradotto con discreto successo, complici le musiche e gli urletti di Ken presi di peso dalla serie televisiva, nonché una realizzazione tecnica complessiv amente inattaccabile.

La sequenza introduttiva di Hokuto No Ken consiste in un remake p oligonale della sigla di apertura della prima serie animata. I l brano originale "You Wa Shock" accompagna incalzante le immagini. Tuttavia Hokuto No Ken non è solo combattimenti, sebbene l’immaginario collettivo dei nati tra il ‘70 e l’85 abbia ormai incatenato il nome di Ken alle sue incredibili performance marziali. Infatti il gioco si propone come una fedele trasposizione della prima serie TV, la cui componente narrativa e il respiro epico che le permea ha certamente contribuito a conferire a Kenshiro la sua indiscutibile fama internazionale. Ed è qui che gli sviluppatori Bandai sono dovuti scendere a compromessi. Lo sviluppo di una trama dipende in larga parte dal contributo espressivo consentitole dal codice linguistico, tanto più in questo caso, visto e considerato che in Kenshiro l’interazione tra i vari personaggi se non avviene mettendosi le mani addosso deve per forza avere luogo mediante la comunicazione verbale. Riproporre in termini ludici questo tipo di contenuti, bisogna ammetterlo, è pressoché impossibile. Gioco e narrazione sono da sempre un binomio difficilmente e la presenza dell’uno


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:Impura è impura. Parziale è parziale. Ma è traduzione?: Il Signore degli Anelli - Le Due Torri (Il Signore degli Anelli - Le Due Torri) (PS2/XBOX/GC, Electronic Arts, 2002) Electronic Arts bussa in casa Stormfront Studios e commissiona loro lo sviluppo del “giochino” del Signore degli Anelli. Stormfront Studios esegue alla lettera. Il videogioco de Le Due Torri propone intrattenimento digitale allo stato broadway: pulsanti da martellare c ome fabbri e violenza inferta più alle falangi del giocatore che non all’esercito di Sauron. Eppure la Terra di Mezzo secondo Stormfront Studios vale perlomeno una cartolina della Nuova Zelanda filmata da Peter J ackson. Scampoli di game design autentico te ngono in piedi la baracca, i poligoni ci sono tutti, le texture meravigliano e la colonna sonora è da Oscar. Infatti è la stessa del film. Generosi spezzoni dei primi due episodi della trilogia cinematografica i nframmezzano un genocidio di orchi perpetrabile in una sola nottata. L’incoscienza suggerirebbe la dicitura “traduzione parziale impura”, ma questo è davvero solo un “giochino”. L’opera di Tolkien è un’altra cosa. Respect. A Tolkien e a Sto rmfront Studios. 4 euro di noleggio spesi bene. implica quasi di regola l’oscuramento dell’altro. Pochissime le eccezioni. Ormai le produzioni più ambiziose coinvolgono sempre più spesso dei codici comunicativi distinti da quello ludico, per assicurarsi uno sfondo narrativo che completi e arricchisca l’esperienza ludica pur esulando dal videogioco in senso stretto. Di conseguenza Bandai ha rinunciato in partenza a tentare una qualsivoglia traduzione in linguaggio ludico dell’intreccio di Hokuto No Ken, optando per un’accurata ricostruzione in grafica poligonale degli accadimenti più memorabili della prima serie televisiva. L’illusione è che queste sequenze, realizzate con la stessa grafica del gioco, e che intervallano le fasi di gioco vere e proprie, vengano espresse esse stesse nel m edesimo codice comunicativo del gioco. In realtà dal punto di vista semiotico non è stata effettuata alcuna traduzione, se non una traduzione inte rlinguistica, cioè da un tipo di codice filmico (che si avvale del disegno a mano per riempire di contenuto il codice iconico) ad un ulteriore codice filmico (che ottiene l’immagine utilizzando invece la grafica poligonale dell’engine di gioco, ovvero impiegando lo stesso codice iconico integrato nel codice videogioco). Il risultato complessivo è quello di un testo impuro, perché scritto mediante il continuo avvicendamento di due differenti codici comunicativi, come risultato di una traduzione parziale del testo originale. Le ripercussioni di questa parzialità della traduzione sono immediatamente percepibili a livello di fruibilità del nuovo testo. Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu Se isyu Densetsu è un gioco imperdibile per tutti gli appassionati (e quindi

conoscitori ed estimatori) del t esto originale, che non potranno esimersi dall’apprezzare lo sforzo profuso da Bandai per trasformare Hokuto No Ken in un videogioco. Tuttavia chi non ha mai sentito parlare del manga e della serie TV (i Ma rziani?) lo etichetterà come un mediocre picchiaduro a scorrimento, eccessivamente diluito da un invadente quanto esaltante comparto narrativo. __(Inter)azione e traduzione, la forza e il lato oscuro del tie-in Due traduzioni parziali pure: Star Wars: Rogue Leader | Die Hard Trilogy Nel caso di Hokuto No Ken il rispetto dei contenuti del testo originale ha comportato dei sacrifici in termini di coerenza formale del t esto finale. La maggior parte degli sviluppatori in genere è motivata a scartare l’ipotesi di un simile compromesso optando invece per una soluzione più radicale. Se il testo che deve risultare dal processo di traduzione (target text) deve essere un videogioco, quei contenuti del testo originale (source text) che non si prestano a una tr aduzione soddisfacente è bene che vengano accantonati, in modo che gli sforzi degli sviluppatori siano concentrati unicamente sulla realizzazione di un gioco autentico, in grado di riproporre con la dovuta fedeltà quei tratti del testo originale che si è scelto di tradurre. In questo caso si può parlare ancora di traduzione parziale, riconoscendo però la p urezza del target text, ora compiutamente espresso con il linguaggio del codice videogioco. È questo il caso del recente Star Wars: Ro-

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gue Leader – Rogue Squadron 2 (GC, LucasArts, 2001), seguito e pseudo-remake di Star Wars – Rogue Squadron (N64/PC, LucasArts, 1998), con il quale si è scelto di riproporre in verbo ludico tutta quella sfera di significati legati alle battaglie stellari della trilogia di Star Wars. Della spropositata mole di contenuti dei tre film si è individuato un nucleo particolarmente incline a una trasposizione ludica, in quanto basato sull’azione, elemento da cui non può prescindere totalmente nessuna categoria di videogioco. Il risultato della traduzione è uno sparatutto spaziale immediatissimo, che non ambisce a ricreare delle routine fisiche di volo particolarmente sofisticate per assicurarsi un gameplay di profondità memorabile (aspetto che aveva invece contraddistinto lo storico X-Wing - PC, L ucasArts,1992), ma punta piuttosto a catapultare il giocatore nel bel mezzo di quelle battaglie che venti anni fa hanno lasciato un segno i ndelebile nella storia del cinema di fantascienza. E sotto quest’aspetto Rogue Leader è formidabile. I caccia, gli incrociatori, le ambientazioni, le voci dei compagni di squadra (“Copy that Rogue Leader!”), la galvanizzante colonna sonora: le componenti iconica e musicale del codice filmico trovano una traduzione che non consideriamo un a zzardo definire “letterale”. Nella sua snellezza, quanto espresso tramite il codice ludico beneficia del portentoso impatto estetico/emotivo assicurato dall’aspetto più tecnico della traduzione. Nel complesso RL è da annoverarsi come un tie-in riuscito ma come un capolavoro mancato, a causa però di alcune scelte di game design che esulano dal processo di traduzione vero e proprio.

Star Wars: Rogue Leader rivendica le sue origini c inematografiche implorando uno schermo sopra i 29 pollici e un impianto audio surround. Il cielo in una stanza, canterebbe qualcuno... Si potrebbe obiettare che a nche per RL sia stato svolto un lavoro di traduzione a metà, dato che numerose sequenze non interattive, prima, dopo e durante le varie missioni, ripropongono degli spezzoni dei film


:INDEPTH: ricostruiti con la grafica di gioco, il che suggerirebbe che anche questo titolo ricada nella casistica delle traduzioni parziali impure. Falso. Anzi, vero, ma fino a un certo punto. RL è indubbiamente un gioco, nient’altro. Le cut-scene invadono la materia giocabile in misura così contenuta da non prevaricare mai sul testo ludico né tanto meno sostituirsi ad esso (come abbondantemente accade in Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu Seisyu Densetsu) , limitandosi piuttosto ad ornarne e scandirne gli sviluppi dell’azione con piacevoli intermezzi “in lingua straniera”. Due parole per un caso singolare di traduzione parziale pura (mancata): quello di Die Hard Trilogy (PSone, Saturn, Electronic Arts, 1996). A differenza di Rogue Leader, qui si è scelto di selezionare un nucleo semantico diverso per ciascuno dei tre film di riferimento: la blasto-esplorazione nel grattacielo della Nakatomi in Trappola di Cristallo, le sparatorie all’aeroporto di Washington in 58 Minuti per Morire e le peripezie automobilistiche di Die Hard – Duri a Morire. Nell’insieme il processo di traduzione ha conseguito un esito insufficiente, in quanto l’azione willisiana dei tre film si è riversata nel gioco con e ccessiva approssimazione, fornendo a Die Hard Trilogy unicamente gli spunti su cui costruire il gameplay dei tre giochi che lo compongono. Tuttavia rimane lodevole l’intuizione degli sviluppatori di estrapolare da ciascuna delle tre pellicole un segmento di significato rappresentativo dell’intero film, da tradurre, seppur con risultati non soddisfacenti, in codice ludico.

______Meglio un gioco da l upo che cento da pecora Una traduzione completa: Ralph il Lupo all’Attacco

Ogni singolo episodio dei cartoni animati da cui è tratto Ralph il Lupo all’Attacco (PSone/PC, Info-

Ring#06 grames, 2001) concentra il suo p otenziale comunicativo in un’unica sfera semantica: l’umorismo. Le esilaranti disavventure dell’affamato Ralph traggono la loro ilarità da molteplici componenti di rilevanza variabile. Lo humor è ottenuto innanzitutto presentando situazioni surreali, ove imprevisti scaturiti dall’assurdo e imprevedibili controffensive di Sam Canepastore decretano l’insuccesso di ogni te ntativo di sequestro ovino da parte di Ralph. Gli sviluppatori Blacksheep sono acutissimi nel cogliere il mix di ingredienti che compongono la ricetta di ciascuna, brevissima, puntata del cartoon, per poi tradurre il tutto in gameplay escogitando delle soluzioni ludiche da a pplauso. Il livello di tutorial è un’autentica chicca. Il giocatore controlla Ralph in un apparentemente convenzionale scenario piattaformico. Due cartelli intimidatori ci ragguagliano circa i rischi cui si va incontro cominciando lo stage: “Attenzione! L’utilizzo prolungato di questo gioco potrebbe condurre alla pazzia!” – “Io ti ho avvertito, per cominciare supera la linea bianca”. Ci si concede un sorriso e si indirizza lo scalcagnato lupacchiotto oltre la linea di confine. Seguono in quest’ordine: - picchiata di un incudine in fronte a Ralph - stiratura da parte di un camion in corsa - arrivo | “bip bip!”slinguazzante | dipartita a razzo del Road Runner - crollo di un pianoforte a coda che seppellisce d efinitivamente Ralph - schermata di Game Over Tempo una frazione di secondo e sopraggiunge Duffy Duck in atte ggiamento cattedratico, a confortarci per l’accaduto e impartirci qualche nozione di base sui comandi di gioco. Gli sviluppatori Black Sheep s ono riusciti a tradurre in un segmento ridottissimo (20 secondi di gioco, non di più) di codice ludico uno degli elementi cardine dello humor del cartoon: il nonsense. Vediamo c ome. Molto frequentemente nel cartone animato non sono gli errori di Ralph a condannarlo alla sconfitta, bensì accadimenti completamente al di fuori della logica e quindi di ogni previsione. Allo stesso m odo i primi 20 secondi di gioco sovvertono a scopo umoristico una delle r egole base del videogioco, s econdo cui sono l’errore o la poca destrezza del giocatore a determinarne

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:Ai confini del tie-in: 007 NightFire (PS2/XBOX/GC/PC, Electronic Arts, 2002) 007 con licenza di uccidere, ma senza licenza cinematografica. Nessun tie-in: Nightfire non si vede nelle sale, si gioca nei salotti. Electronic Arts ingaggia quella canaglia di James Bond e lo sbatacchia da una parte all’altra dell’emotion engine impegnandolo nelle cose che sa fare meglio: l’umorista di serie B, il prestigiatore di gadget, il pirata della strada e il cascamorto con le donne. Non si traduce nessun film. Non si traduce nessuna storia. Si traduce una filosofia di spettacolo all’insegna della magia balistica, del trastullo tecnologico e della passera digitale. Sezioni FPS dall’intrigante componente stealth; sottogiochi a go-go a bordo di una Vanquish che se v olesse arriverebbe sulla luna; e quell’adorabile faccia da schiaffi di Pierce Brosnan. Nightfire non sarà un tie-in, ma è di sicuro 007. Garantito. l’insuccesso ludico, ovvero il tradizionale “Game Over”. Il tutorial prosegue. Al momento di prendere dimestichezza con il pulsante della corsa Ralph viene nuovamente affiancato e sorpassato dal Road Runner, del quale viene istintivo prendere la scia. Lo str(uz/on)zo devia dal percorso s egnato per imbucarsi in una galleria e scomparire al suo i nterno. Ralph incalza a tutta velocità, ma invece di entrare in galleria si sfracella contro una parete di roccia su cui solo ora, grazie a un leggera rotazione dell’inquadratura (il codice iconico interviene a supporto di quello ludico) realizziamo essere stata dipinta l’ingannevole prospettiva dell’interno di un traforo. Occhi strabuzzati, incredulità, risata fragorosa, standing ovation.

Pecore e lupo. Bianco e nero. C'è dell'Ikaruga in Ralph il Lupo... Il livello di tutorial e i vari minitutorial disseminati per gli stage


:INDEPTH: successivi svolgono con straordinaria efficacia un’altra funzione di traduzione. Nei cartoon della W arner Bros in generale (un po’ meno, per via del loro mutismo, in quelli dedicati a Ralph il Lupo e Wile E. Coyote) anche il codice linguistico viene sfruttato intensivamente per suscitare ilarità: ammettiamolo, le imbeccate sputacchianti di quel fanfarone di Duffy Duck e il balbettio nevrotico di Porky Pig hanno fatto la storia dei cartoon. I Black Sheep non hanno voluto sacrificare questo aspetto nel loro gioiellino di game design, ragion per cui hanno assegnato a questi personaggi s ubalterni il compito di fornire al Ralph/giocatore tutte quelle informazioni indispensabili per il prosieguo del gioco, alternando alle spiegazioni spassose battute recitate con i loro irresistibili difetti di pronuncia (mantenuti anche in italiano grazie a un impareggiabile lavoro di doppiaggio). Fine del tutorial, inizio del gioco. Due componenti contraddistinguono nel cartoon i piani d’attacco di Ralph: l’invisibilità (il farsi sorprendere da Sam nelle vicinanze del gregge equivale a una garanzia di ricovero ospedaliero) e l’impiego dei mitici gadget ACME. Detto fatto, il superamento di ogni livello di gioco non può prescindere dall’esercizio di manovre stealth e dal corretto impiego di razzi, elastici giganti (utili tanto per fiondare le pecore oltre i baratri quanto per del bungee jumping alla buona), ventilatori, robot e chi più ne ha più ne metta. Assistere al destreggiarsi furtivo di Ralph con indosso un c ostume da pecora (con tanto di zip e buchi per naso e orecchie) getta più di qualche ombra sulle reali capacità di infiltrazione di chi riesce a m alapena a nascondersi in una scatola di cartone... Come nel cartoon, ogni episodio/livello è diverso da tutti gli altri: nuove le situazioni, nuovi i gadget. Non solo, le conoscenze acquisite nei livelli precedenti, invece di semplificare il superamento degli stage che seguono, costituiscono spesso il punto di partenza per nuove trappole e nuove risate. Se in uno stage la guardia di Sam è stata elusa ipnotizzando il cagnone con l’ausilio di un flauto magico, in un altro livello si presenterà una situazione affine, ma sul più bello Sam si estrarrà dalle orecchie un paio di tappi isolanti, per poi sferrare a Ralph un micidiale montante. E perdonateci lo spoiler. L’impeccabile lavoro di traduzione compiuto dagli sviluppatori è completato da una riproduzione in stile cartoon di ambientazioni e personaggi, che nel caso della ver-

Ring#06 sione PC godono di un azzeccato effetto cel-shading. Seppur in m aniera a tratti minimalista (specialmente nella versione PlayStation) i contenuti iconici del cartoon sono stati riprodotti adeguatamente, in special modo le animazioni: leggendaria la mossa con cui Ralph, ormai sospeso per aria, tasta il vuoto con la punta di una zampa prima di scomparire in un precipizio (“nome chic di burrone”, come ci tiene a precisare Duffy Duck durante il tutorial). Eppure anche in Ralph il Lupo all’Attacco esiste una sostanziale differenza di contenuto tra gioco e cartoon: l’esito di ogni episodio/livello. Nel cartone animato Ralph non riesce MAI a rubare una pecora, e se ne torna a casa immancabilmente a pancia vuota; nel gioco la riuscita del furto è conte mplata, giacché qualsiasi tipo di azione ludica sarebbe improponibile se non fosse ammesso un epilogo p ositivo. È forse questo un difetto? Il complessivo lavoro di traduzione risulta compromesso? Assolutamente no. Nel cartoon Ralph viene regolarmente braccato mentre sta facendo incetta di pecore, perché se riuscisse a portare a termine anche una sola volta i suoi piani non ci potrebbe essere una “prossima puntata”, dal momento che a Ralph non resterebbe più alcunché da r ubare. Allo stesso modo, nel gioco è sì possibile rubare le pecore, ma solo una per livello, di modo che, f ino al completamento dell’ultimo livello, all’interno del gregge rimangano o-

vini a sufficienza da garantire un “prossimo livello”. Si tratta in entrambi i casi di scelte dettate dalle necessità interne ai codici in cui si esprimono i due testi. Queste scelte non pregiudicano minimamente l’eccellente traduzione in v ideogioco di tutti i contenuti del cartone animato. E la non-traduzione delle gag del cugino Alberto sono ormai un lontano ricordo. ________________Conclusioni Dalle casistiche analizzate in questo saggio sono emerse molteplici p eculiarità del tie-in che lo distinguono nettamente da qualsiasi altro tipo di traduzione semiotica. Il tiein è una traduzione molto libera, che decostruisce la struttura del testo originale, sostanzialmente compiuto e aperto solo a un’interpretazione dall’esterno, per ricostruirlo secondo un principio di apertura interna, che si presta a un doppio livello di interpretazione. Il primo livello è legato alla natura e al contenuto del solo codice l udico (giocare è interpretare il gioco effettuando delle scelte tra le possibilità offerte dal gioco stesso - cfr. Bruno Fraschini, Il videogioco come testo incompleto - Il Videogiocatore Attore, Super Console #93), mentre il secondo livello, più ampio, consiste in una più classica lettura del contenuto e del messaggio globale del videogioco come opera complessa ma unitaria. Affinché si realizzi con successo il passaggio dal codice filmico (o fu :Una traduzione “clandestina”:

Dino Crisis (PSone, Capcom, 1999) Dino Crisis prende Jurassic Park alle spalle e lo trascina su PlayStation sotto falso nome. Capcom non versa alla Universal un centesimo di dollaro, e fischiettando traduce in videogioco la pellicola tra(do)tta a sua volta dal romanzo di Michael Crichton. In principio Mikami si arma di Coca Cola, pop-corn :Una e VHS.traduzione Due ore dopo ha tutto chia“clandestina”: ro: vuole un tirannosauro che faccia da mina vagante, velociraptor di due metri (quelli del Giurassico erano alti circa la metà) e una manciata di cliché del cinema horror da re-impastare vorticosamente. Il tutto condito con una protagonista piacente e pericolosa, che nell'era di L ara Croft non guasta mai. Il risultato è tanto prevedibile quanto eccellente. Jurassic Park assume i panni panicogenici del survival horror. Più survival che horror. I velociraptor fanno le veci degli zombie scattisti, il T-Rex sbuca da ogni dove sfoggiando una dentatura da diva di Hollywood e ruggendo in posa per 3-4 secondi prima di ogni assalto. E tra una stanza e l'altra porte stillicide ribadiscono che Jurassic Park si è trasferito a Raccoon City. Una traduzione parziale, ma forse solo perché mancano i nomi e i marchi del film di Spielberg. Una traduzione riuscita, perché Dino Crisis strilla dinofobia parlando la lingua del videogioco. Una traduzione clandestina, perché mai dichiarata. Una licenza onorata e mai acquisita. Misteri e potere del videogioco.

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:INDEPTH: mettistico, ecc.) a questo codice così sofisticato è necessario l’intervento decisivo e intensivo della fantasia dei traduttori (tradurre è un’arte? La sola idea di un dibattito sulla questione mi mette i brividi..), che si troveranno sempre costretti a re-inventare il testo originale seppur nel massimo rispetto del medesimo. Perché i giochi vanno inventati, c’è poco da fare, e non è lavoro da tutti. Questo genere di traduzione ha anche dei punti deboli, in virtù dei vincoli espressivi intrinseci di qualsiasi codice comunicativo, cui il v i-

Ring#06 deogioco non fa eccezione. Sono pochi i film, i cartoni animati e i fumetti per i quali è possibile compiere un lavoro di traduzione soddisfacente: i contenuti del testo originale devono necessariamente ruotare attorno a un qualche genere di azione, senza la quale risulterebbe impossibile anche solo gettare le fondamenta di un gameplay accettabile. Inoltre la piena interpretabilità del testo tradotto rimane strettamente legata alla conoscenza, da parte del fruitore, del testo originale, che il nuovo testo non richiede come prerequisito alla sua comprensione o inte rpretazione di

primo livello, ma che si rende indispensabile qualora lo si voglia a pprezzare al 100% (Incredibile! Sembra proprio il film!). O ltretutto, la lettura del nuovo testo difficilmente potrà mai sostituirsi a quella dell’opera originale: quest’ultima, per contro, costituirà sempre il primo stimolo per il fruitore ad a ccostarsi alla traduzione di un testo che lo ha già emozionato “in lingua originale”, e di cui non vede l’ora di riviverne i contenuti dall’interno, secondo le intriganti modalità espressive esclusive del linguaggio videoludico.

wELCOME tO tHE mACHINE_________________________ [Ecco the Dolphin II - The Tides Of Time] di Federico Res Quali che fossero gli intenti espressivi di Novotrade nella creazione di Ecco the Dolphin II – the Tides of Time [1994, Megadrive], con questo scritto ci proponiamo di trasporre uno dei suoi possibili significati, quello che da dieci anni a questa parte non smette di scalpitare sottopelle, nei nervi e nei gangli e nelle ossa di chi scrive. Perché spesso i significati viaggiano paralleli tra le righe, i suoni, le immagini, il gameplay. E i significati hanno corpo solido, sanno costruirsene uno, sanno attingere al bagaglio d’esperienza di un essere senziente. I significati pensano. Du-nque sono. Parlano, attraverso i modi originali con cui l’individuo reagisce con il mondo, e non si curano di ricercare una verità che sia perfetta conoscenza analitica, (impossibile) certezza dell’oggetto. Tides of Time potrebbe inquadrarsi in una banalissima ottica scifi. La narrazione1 rischia di dare adito a sguardi miopi e interpretazioni superficiali. Perché se è vero che nei canovacci intessuti da Novotrade si esplica un leit motiv vecchio quanto il mondo - l’eterna lotta tra bene e male -, ciò che la sintesi di design e gameplay restituisce è una contrapposizione sofferta, sfumata, infinitamente più profonda. E la vera forza di Tides of Time sta proprio lì, nel simbiotico rapporto tra level design, gameplay e soundtrack, nella perfetta fusione di ambient music ed environment: Tides of Time non racconta il Bene e il Male. Tides of Time racconta la vita. Racconta la Bellezza e l’Indifferenza, il senso del meraviglioso

da una parte e il rigido meccanicismo dall’altra. Racconta un conflitto tanto aspro quanto eterno, due aspetti della medesima realtà incapaci di conciliarsi. E se p otessimo tradurre in parole Tides of Time, esso direbbe soltanto: la vita ha un unico senso. L’opera di Novotrade è un affresco, un idillio marino: la riproduzione degli habitat e delle svariate specie acquatiche (dagli anemoni di mare agli squali, fino alle megattere) è inarrivabile per l’intensa carica evocativa che effonde; l’atmosfera creata dal bellissimo soundtrack è a tratti tenue, maestosa, i ntrigante, inquieta, mai troppo in risalto, mai troppo distante. E il gameplay invita il giocatore in spazi aperti, vastissimi, lo gratifica di un sistema di controllo impeccabile, gli concede ampia libertà di movimento. In questo modo, Tides of Time cattura la Bellezza (qui incarnata nella vita mammifera), imprimendola in forma e contenuto 2. Seppur non privo di sbavature – riscontrabili più in alcune imperfezioni del gameplay che nel pregevolissimo costrutto tecnico - Tides of Time magnifica e mitizza la Bellezza, tradotta in un elogio al mare dal sapore fortemente hemingwayano. Al lato opposto, in netta antitesi, il gioco ritrae l’Indifferenza: l’invasione aliena cui l’oceano pare soccombere è un’effige i mmediata del costante procedere della vita. L’idillio marino è trafitto dal dilagare di una razza aliena macchinalmente

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ostinata. Novotrade raffigura l’opposizione tra Bellezza e Indifferenza mediante una rappresentazione di quest’ultima ispirata all’opera dell’artista svizzero Hans R. Giger: tuttavia, seppur rappresentati in fogge ricercatamente orrorifiche – che rimandano palesemente ad Alien – gli alieni di Tides of Time non assumono mai i connotati malvagi che la narrazione vorrebbe attribuirgli. Tale stereotipo fantascientifico e nfatizza l’Indifferenza della vita, quell’incessante movimento teso alla sopravvivenza e alla procreazione: dal comportamento della razza aliena emerge u n istinto nudo e crudo, la volontà di persistere e colonizzare nuovi spazi tipica di ogni forma di vita, ma scevra del calore della vita mammifera. Parallelamente, il gameplay evolve/involve r estringendo i propri orizzonti. Al giocatore si affacciano livelli spazialmente rigidi (Tube of Medusa), in certi casi lo scrolling diventa automatico e poco indulgente (SkyWay), subquest ed enigmi raggiungono vette di difficoltà inedite (Globe Holder). Tides of Time restituisce quindi l’Indifferenza [il rigido schema basilare della vita] con la stessa verve con cui ha reso la Bellezza, tramite un frenetico avvicendarsi degli elementi ludico e iconografico, nonché mediante lo sfoggio di una colonna sonora agile e sempre opportuna.


:INDEPTH: Il contrasto che ne deriva, a partire da un momento ludico-narrativo ben preciso, tende ad uno str idere ancora più inte nso. In Black Clouds e in Vortex Future la fluida mobilità di Ecco s’incaglia in un level design sincopato, spezzettato; le meccaniche tendono a combinare la gestione di forze inerziali e gravitazionali richiedendo una precisione fuori del comune (Gravitor Box). Ecco è ancora libero di muoversi secondo il proprio arbitrio, ma è costretto a farlo rivedendo costantemente le proprie possibilità. Dal punto di vista iconografico l’elogio marino si scontra violentemente con le architetture e gli organismi meccanici dei Vortex, Lunar Bay segna il compenetrarsi di Bellezza e Indifferenza preludendo al collasso sistematico di New Machine. Ma poco prima, tra le a cque di Lunar Bay, Tides of Time compie un guizzo con cui raggiunge l’apice della sua forza comunicativa: in seguito al contatto con un alieno, Ecco viene teletrasportato in una porzione di Macchina e trasformato esso stesso in un esemplare di Vortex3. Lo stacco è brutale, i controlli si fanno rigidi e unilaterali, il delfino diviene un oggetto meccanico in un sistema automatico. Il gameplay costringe il giocatore a sperimentare l’Indifferenza sulla propria pelle: in forma di Vortex Ecco si muove e agisce come gli alieni, lungo pattern dove non vi è nulla che possa connotare i Vortex come esseri spietati, e dove l’unico obiettivo è la sopravvivenza. In questo scambio s’intravede anche la velleità di rendere la sostanziale uguaglianza tra Ecco e i Vortex: la mutazione equivale a spogliare il delfino di ciò che lo annovera tra i mammiferi, mette ndone a nudo l’essenza più intima. Il gameplay rivela ora ciò che sarà più chiaro nel finale dell’opera, tramite un a lternarsi ipnotico di Bellezza e Indifferenza, giocato tra il valore ludico/grafico della Macchina e dell’oceano… Negli ultimi livelli Ecco precipita negli anfratti meccanici della Macchina (New Machine). Si esprime qui la negazione di un qualsivoglia controllo sui meccanismi della vita [espressi nell’Indifferenza, ma che sottendono in pari misura alla Bellezza]: il libero arbitrio a cui la gran parte dei livelli fa riferimento, è ora violentemente negato e soppresso. L’autarchia prima concessa è definitivamente annichilita dal rigidissimo schema della Macchina: l’incedere del delfino è costretto in un intricato complesso che si muove obbedendo a leggi proprie e non conoscibili. Ogni movimento della Macchina4 è intenzionalmente teso a

Ring#06 confondere e distruggere il delfino: i cambi di direzione sono repentini e imprevedibili, la Macchina rallenta fin quasi a fermarsi per poi esasperare il proprio regime e scagliare Ecco alla deriva. All’interno della Macchina si combatte contro un infido intreccio di forze inerziali. Si combatte contro un meccanismo che non concede tregua. Un meccanismo che le ‘Tides of Time’ definiscono vita, senza ulteriori precisazioni.

_____________________Note [1] Questa breve esegesi non tiene conto del comparto più tradizionalmente narrativo del titolo. La trama di Ecco II è puerile, inutile e fuorviante. Nella frase “ Tides of Time racconta la vita ” il verbo ‘raccontare’ fa dunque riferimento alla forza comunicativa del costrutto ludico artistico, come ampiamente illustrato nelle righe successive. [2] Forma e Contenuto del VG sono qui intesi come sintesi graficosonora e gameplay. Si tratta di una distinzione sommaria, usata solo perché funzionale ai temi trattati nel testo. [3] La trasformazione in Vortex non è l’unica che Ecco deve affrontare: nei primi livelli – dunque in pieno idillio – il delfino trova il modo di ‘vestire i panni’ di gabbiani, meduse, squali e perfino di un banco di plancton…

L’ultimo atto parla da sé. La Macchina conduce all’inevitabile e violento scontro tra Ecco e la Vortex Queen. La simbologia dei fronti o pposti è palese, e il fatto che lo scontro - dopo un’ingannevole vittoria del delfino - non riesca a risolversi, può essere un ulteriore indizio sugli intenti dell’opera. L’epilogo è la City of Forever. La Città di Per Sempre. La veemenza con cui Lunar Bay ha reso il contrasto tra Bellezza e Indifferenza - e la sua sintesi - si risolve in un più esplicito richiamo all’unicità della v ita in entrambe le sembianze che ha qui assunto [quella mammifera e quella aliena]. City of Forever si compone di una meccanica più volte ripetuta, che obbliga Ecco a servirsi della larva della Vortex Queen per attraversare un complesso labirinto [e viceversa: la Vortex Queen sembra poter trovare la strada soltanto affidandosi a Ecco, finendo per girare a vuoto nel labirinto]. Entrambi i contendenti ricercano la macchina del tempo che garantirebbe la sopravvivenza e l’affermazione delle relative specie, ma che, una volta raggiunta e attivata, non può che ricondurre al significato iniziale di Tides of Time, e cioè: la vita ha un unico senso. Perché ad essere in gioco non sono due specie distinte, ma due aspetti della vita stessa5, che è unica, immutevole e ciclica. La Città di Per Sempre inghiotte tanto la larva della Vortex Queen quanto lo stesso Ecco, li assorbe, li metabolizza e li disperde nel disegno infinito delle Maree del Tempo.

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[4] Il nome di New Machine è un omaggio a A New Machine dei Pink Floyd (contenuta nell’album A Momentary Lapse of Reason, del 1977), come Welcome to the Machine (l’ultimo livello del primo Ecco) era una citazione dell’omonimo brano di Roger Waters e David Gilmour, contenuto in Wish you were here (1975). [5] La reciproca dipendenza tra Ecco e la Vortex Queen suggerisce una pari necessità per Bellezza e Indifferenza. Tuttavia, il carattere necessario della Bellezza è ben lungi dall’essere dimostrato.

:Errata Corrige: Nel corso della recensione di Primal pubblicata su Ring#5 è stata mossa una critica ingiusta all’effetto di blur applicato agli scenari di Super Mario Sunshine , presente anche in Zelda: The Wind Waker. La redazione si scusa per l’errore e ci tiene a precisare che l’abuso degli effetti di blur non


:INDEPTH:

Ring#06

mETROID pRIME VS mETROID pRIME_________________ [VERSUS: Metroid Prime] Red Corner: Federico Res

Blue Corner: Il Pupazzo Gnawd

Metroid Prime, sparatutto, in prima persona ma non FPS. Metroid Prime, arcade adventure capace di trasmigrare un’anima 2D in un corpo 3D perdendone solo un’infinitesima frazione di magia. Metroid Prime, opera prima di Retro Studios per Nintendo e punto di riferimento per la massa cubica. Dall’angolo sinistro del Ring un’ode ad un gameplay nuovo ma antico. Dall’angolo destro del Ring, la voce dello sfidante, del blasfemo, del dissidente. Let the fight begin.

Round 1. Level Design __________Anatomia di un gioco (quasi) perfetto

Nella landa di Gelindo Bordin________________

Parlare di level design in Metroid Prime significa trattare la costruzione sintattica di una struttura macroscopica. Il mondo di Tallon IV non si adatta infatti ad una concezione classica, che professi l’organizzazione del gioco in livelli scollegati tra loro. MP si compone di un unico livello, enorme e complesso, risultante dall’intreccio di cinque ecosistemi differenti, i cui meandri riescono ad incastrarsi alla perfezione e a dar luogo ad un mondo coerente, avvolgente, seppur costretto in un s istema di diaframmi e ascensori. Lo streaming tramite cui il gioco è caricato – seppur inficiato da imbarazzanti tentennamenti – concorre a dare un forte senso di continuità ad un universo immenso. Ma perché MP deve considerarsi un capolavoro di level desing? Per rispondere a questa domanda si deve necessariamente tirare in ballo il gameplay. Perché in MP gameplay e level desing si fondono in un binomio inestricabile, come da manuale del perfetto videogioco: impossibile analizzare le innumerevoli strutture di Tallon IV senza stupirsi per la loro spiccata funzionalità, per il loro porsi al servizio d’ogni possibilità d’azione concessa dal gameplay. Impossibile restare indifferenti dinnanzi alla costante evoluzione del gioco, grazie a cui l’acquisizione di nuove abilità trasmette il dominio su un mondo che si apre nei suoi meccanismi più intimi: ad ogni strumento ottenuto il level design risponde rivelando strati più profondi, non soltanto percorsi inediti ma nuove possibilità d’azione. Chozo Ruins, Fornace. Un esempio concreto dell’ingegnosità con cui level design e gameplay sono legati i nsieme: la prima volta che Samus giunge nella sta nza, si trova davanti ad una porta sbarrata (che si può aprire con un’arma r eperibile più avanti nell’avventura), e ad una serie di rotaie magnetiche sospese ad un’altezza proibitiva. L’unica cosa che può fare è a ttivare la morfosfera e infilarsi in un buco nel muro [primo strato]. La successiva a cquisizione del raggio gelo le consente di ottenere l’accesso ad un percorso inedito [secondo strato]. Il conseguimento della gigabomba le permette invece di distruggere u na lastra nel pavimento [terzo strato], e di rivelare un half pipe: ottenuto il super boost [quarto str ato], Samus è in grado di rotolare sull’half pipe come uno skater, e di raggiungere le rotaie magnetiche nella parte alta della sala. L’ottenimento dell’aracnosfera [quinto strato] le permette infine di agganciarsi alle rotaie e svelare ulteriori nuovi percorsi. In MP gameplay e level design si accordano in base ad un’armonia che lungo il corso dell’avventura non viene mai meno. È innegabile che il valore di questa armonia oscilli e non sempre si avvicini alla perfezione (culmine assoluto del gioco è il complesso delle Chozo Ruins), ma resta sempre capace di appagare e stupire per le innumerevoli trovate di Retro Studios. Ancor più se consideriamo che MP sfrutta il poligono e l’asse Z

Gelindo Bordin, italico Filippide, sarebbe lieto di incontrare Samus Aran, una vera maratoneta. C’è qualcosa di stanco in Metroid Prime ed è il modo in cui si corre da una parte all’altra del mondo di gioco, quasi si fosse in una versione futuristica di Resident Evil. C’è un momento che definisce alla perfezione l’abbondanza di pendolarismo succitata: il ritrovamento del raggio al plasma. Trattasi di una lunga scarpinata fino alle c averne Magmoor per appropriarsi di uno strumento o ffensivo che in quella zona servirà giusto per un paio di ulteriori azioni, e poi via di nuovo a trotterellare verso una lontana località di Tallon IV. L’andirivieni è un piccolo flagello per il giocatore. E se è vero che nelle prime fasi il suo ingombro è m inimo (per poi accentuarsi nella metà finale), è altrettanto certo che a fare le veci di artificiale diluitore della longevità c’è il respawn, il rigenerarsi, cioè, degli avversari una volta chiusa la porta alle spalle di Samus. Caverne Magmoor, la musica riempie l’aria i n modo fastidioso, l’attenzione tuttavia è altrove, più precisamente è indirizzata nello sbrindellare le torrette di d ifesa. Fattene fuori un paio si esplora la nuova zona f ino a trovare una via d’uscita. La si varca, ma subito ci si ricorda di aver sentito il tipico rumore emesso da un potenziamento. Si torna dentro e… “Chi siete, dove andate, cosa trasportate? Due torrette!”. E giù di cannone: gli elementi ostili sono smantellati per la seconda volta. Potenziamento recuperato e di nuovo col piede sull’uscio. “Ehi, forse saltando da quella roccia p otevo raggiungere la passerella. Meglio andare a provare” Dietro front e.. “Chi siete, dove andate, cosa trasportate? Due torrette!” E ancora a sputare piombo. Ma dalla roccia non si poteva andare da nessuna parte senza la tuta gravitazionale, quindi si ri-esce. La nuova area pare zeppa di difficoltà. Meglio controllare se dal passaggio sul lato sinistro della c averna precedente ci sia un punto di salvataggio. Inversione a U e… “Chi siete, dove andat…” Mavaff… zelante servizio di manutenzione delle mie palle. L’insensata rigenerazione automatica degli elementi ostili distrugge la sospensione dell’incredulità, mortifica la splendida atmosfera che Metroid Prime riesce a convogliare così bene in molte delle sue fasi d i esplorazione. Come per le maratone talloniane, l’obiettivo pare essere una pretestuosa dilatazione dei tempi di gioco. Ma un sistema più intelligente di rimpiazzo degli ostacoli, così come avviene nella seconda metà di gioco, e una dislocazione di punti di teletrasporto avrebbe indubbiamente giovato all’intensità dell’esperienza. Certo, un prodotto del genere avrebbe avuto una durata minore, si sarebbero dovute pianificare altre aree da esplorare, ma sarebbe stato un male?

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con una padronanza e una sicurezza che difficilmente si erano viste prima, e che riesce a combinare splendide meccaniche ‘old style’ – innescate dalla trasformazione in morfosfera – con un’impostazione totalmente tridimensionale. Esaurito il diluvio di lodi sperticate, resta da spiegare il ‘quasi’ nel titolo del paragrafo. Ebbene, quel ‘quasi’ risponde ad un rigido dogma Nintendo: l’aderenza totale alla tradizione, che vincola Retro Studios a rifarsi ad un template ben preciso. Così come in Super Metroid, il respawn dei nemici e le interminabili pedalate da un c apo all’altro della mappa di gioco la fanno da padroni, e non si può certo dire che questo sia un bene. Ma a tal proposito rimandiamo all’ultimo round di questo versus: Tradizione e Modernità.

Inventarsi un sistema di teletrasporto, elemento estraneo alla saga, avrebbe rappresentato un orrendo sfregio all’eredità di Metroid? Il limite più grande del lavoro di Retro Studios è, in sintesi, quello di essere c ostretto rigidamente su canoni preimpostati. Anche il design dei livelli tradisce una certa mancanza di libertà. L’impressione è di un lavoro s opraffino, portato avanti più con mestiere che con passione. I dettami nintendiani di progressione e potenziamento sono stati digeriti e assimilati, lo si nota in ogni particolare. P urtroppo però manca il colpo di genio. Non ci si trova mai a sorprendersi, inebetiti di fronte a una trovata innovativa. Solo l’utilizzo della morfosfera riesce in questo intento: un mix sublime di precisione dei controlli e appagamento d’uso. Peccato che il suo sfruttamento sia relegato a una percentuale criminalmente bassa rispetto alle p otenzialità del mezzo.

Round 2. Sistema di Controllo

_____________________Simmetrie e Cromatismi

Lockin’ lock on____________________________

Metroid Prime ha poco a che fare con i first person shooter, il sistema di controllo predisposto da R etro Studios sta lì a dimostrarlo. Chi si aspettasse l’uso combinato delle leve analogiche finirebbe per provare un senso di vuoto dentro: in MP lo strafe richiede la pressione del tasto L, mentre per guardarsi intorno è necessario tenere premuto R. Tutti i movimenti si effettuano col solo uso dell’analogica sinistra. Ma perché durante lo strafe non è consentito di spostare la visuale1? La risposta non soffia nel vento, ma nella prima riga di questo paragrafo: perché Metroid Prime ha poco a che fare con i first person shooter. MP si fonda sull’esplorazione, la ricerca, l’interazione con le piattaforme, l’evoluzione del personaggio. Le fasi di combattimento costituiscono un eccellente d iversivo all’esplorazione, ma restano un quaranta per cento scarso del gioco. E la dinamica stessa dei combattimenti è radicalmente differente da quanto visto in un qualsiasi FPS. Lo scontro non si risolve in una ricerca al bersaglio, tantomeno nella messa a punto di una strategia troppo elaborata 2. MP adotta un efficiente sistema di lock-on, che permette di agganciare l’obiettivo – nemici minori o punti deboli dei boss – e che risulta indispensabile per l’intera durata del gioco. Assurdo pensare di sconfiggere i boss senza ricorrere al lock-on: in parte perché l’impossibilità di muovere lo sguardo durante lo strafe si rivelerebbe – com’è ovvio – castrante; in parte perché la necessità di affrontare un nemico in movimento, e dalla lunga distanza, renderebbe un’impresa titanica centrare i suoi punti deboli (spesso nascosti e protetti). Pensate a Rogue Leader: chi non ha mai imprecato per la mancanza di un targetting system che aiuti a colpire i Tie Fighter a trecento metri? Ma soprattutto, in Rogue Leader, chi è mai riuscito a colpire un Tie Fighter a trecento metri3? E’ evidente come il lock-on non sia una conseguenza dell’uso di una sola leva analogica, ma r isponda ad esigenze e intenti ben precisi. Vediamo di d iscuterli. [1] Controllo. Puro e semplice controllo. E non è un caso se MP – insieme a Mario e Zelda – si sia rivelato uno dei giochi che meglio hanno saputo sfruttare il p otenziale dell’asse Z. In MP può accadere di compiere un balzo verso una piattaforma, accorgersi della presenza di un nemico sulla suddetta, lockarlo, distruggerlo, liberare un upgrade e atterrarci sopra, con assoluta precisione. Può accadere di evitare dei getti di f uoco con

“Metroid Prime non è un FPS”, un mantra ripetuto sin troppe volte. Ficcante quanto razzista. Quasi a declas sare Doom e soci ad intrattenimento di serie B. Nella sua accezione descrittiva, tuttavia, è un mantra veritiero ed efficace: Metroid Prime non è, nonostante le apparenze, un FPS. È contemporaneamente molto di più e molto di meno. Retro Studios ha cercato così fo rtemente di scrollare di dosso l’etichetta di sparatutto in prima persona al suo pargoletto da optare per un s istema di controllo diverso. Non migliore, diverso. Non originale, diverso. Così c ome Maken X prima di lui, Metroid Prime si munisce di un s istema di agganciamento del bersaglio: incassando il dorsale L, Samus indirizza i colpi sul nemico selezionato, ruotandogli a ttorno come un ipotetico punto lungo una circonferenza.. Risultato? Un coltello bilama, una medaglia bifronte. L’esplorazione (vero focus del prodotto) viene sgravata dal peso di combattimenti troppo invasivi, dando nel contempo sfogo ad un architettura dei livelli più action adventure che FPS e permettendo una buona diversificazione della fauna ostile. Perché poter agganciare gli avversari lascia liberi i designer di mettere in scena piccole minacce (difficilmente inquadrabili con un sistema di puntamento libero) con le quali ingaggiare duelli anche dalla lunga distanza. Perché poter agganciare gli avversari muta le condizioni spaziali richieste, sposandosi alla perfezione, complice il passo poco serrato, con una morfologia del terreno più ricca dei soliti stanzoni squadrati da FPS. La certezza di avere sempre il bersaglio nel mirino, potendo compiere movimenti rotatori senza abusare dello strafe selvaggio (saltuariamente origine di d isorientamento negli sparatutto in prima persona), scongiura in parte le cadute da altezze indesiderate, tiene l’antagonista in visuale anche se questi compie movimenti sull’asse verticale. La mobilità messa in scena è autocontenuta, tutto sommato più semplice, più adatta allo schema dell’arcade adventure. Sembrerebbe dunque un connubio perfetto, ma è solo il grande l ivellatore. Samus apre l’ennesima porta, un piccolo passaggio verso l’ammaliante bellezza di imponenti rovine Chozo. Blocchi di pietra sgretolati dal tempo, vestiti da piante rampicanti, movimentati da colonne venate da incrinature, da cedimenti strutturali, perfette imperfezioni la cui genesi è avvenuta chissà quando, chissà come. È una visione di palpabile desolazione, che scorre sotto pelle ricordando la grandezza che fu. Un paio di passi e la gita subisce una brusca frenata. Il turista videoludico viene messo da parte per lasciare spazio all’istinto di sopravvivenza, al lato più stimolato dal videogioco dalla notte dei tempi: la furia assassina. Agganciamento del bersaglio e pollice sul patac cone verde per caricare il colpo. Dopo un paio di secondi scarsi, passati masturbando la levetta analogica per trovare un riparo o per schivare gli attacchi nemici, il proiettile è rilasciato, già in rotta di collisione con la vittima des ignata. Loop dell’operazione quanto basta e l’ennesima minaccia non è più tale. Uno stanco rituale già messo in scena tante volte, troppe volte, senza variazioni

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combinazioni di salti in alto e laterali, e nel contempo switchare tra cinque bersagli diversi nella più assoluta scioltezza. Il tutto nello spazio di pochi decimi di secondo. Questo è controllo. Puro e semplice. E una volta che si è lockato un bersaglio, si comprende tutta l’inutilità di una seconda leva… [2] Esplorazione . In MP, per il settanta per cento del tempo, si esplora/salta/scansiona/raccoglie, non si combatte. E l’atmosfera del gioco cede alla frenesia soltanto durante le fasi di lotta. Ci si ferma spesso, ci si guarda intorno, si attiva lo scanner, si accumulano i nput. L’indice destro affonda sul dorsale e lo sguardo di Samus si sposta in ogni direzione. E in quei momenti si comprende tutta l’inutilità di una seconda leva4… [3] Il cannone di Samus. La progettazione del braccio-cannone di Samus è intimamente connessa alla dinamica degli scontri. Il modo in cui i nemici sono realizzati richiede uno switch costante tra i quattro differenti modi di sparo – e tra i quattro diversi visori, simmetricamente -, rendendo necessario un accesso immediato alle quattro armi. Ed è qui che si comprende tutta la convenienza di una leva analogica libera: lo stick destro consente di cambiare arma agendo sulle quattro direzioni principali. In questo modo l’arma desiderata è i mmediatamente d isponibile, ed esula dal dover scorrere l’intero armamentario. Ancora: esiste una corrispondenza ben precisa tra le armi in dotazione e la sensibilità dei nemici. Un Pirata Onda, per fare un esempio, reagisce unicamente al fuoco del Raggio Onda, mostrandosi renitente alle altre armi. Questa corrispondenza tra arma e nemico è suggerita (in modo intuitivo) tramite un ricorso cromatico immediatamente riconoscibile. Ogni arma è associata ad un preciso colore e ad una particolare direzione:

significative. Ecco la seconda faccia dell’agganciamento automatico, ecco il grande livellatore. Uno scontro in Metroid Prime è, di norma, una pratica burocratica. I nemici non sono d otati di alcun tipo di comportamento “intelligente”. Anche i pirati spaziali, teoric amente la razza più evoluta su Tallon IV, falliscono nel veicolare un senso di partecipazione alla battaglia, rivelandosi piuttosto come missili guidati verso il bersaglio Aran, con la saltuaria abitudine di schivare le carezze balistiche della cacciatrice (o almeno provarci). Il comportamento del nemico standard dello sparatutto standard, insomma. Il grande livellatore agisce in modo deleterio sul risultato finale, mitigando a ncora di più la dinamicità delle sparatorie. In Metroid Prime agganci il bersaglio, ti nascondi dietro a un qualche tipo di c opertura per caricare il colpo, esci allo scoperto e spari. Poi te ne torni in c opertura. Tanto il nemico rimane comunque inquadrato. E guai ad usare i proiettili standard: scatterebbe l’età pensionabile. Mettere mano al fucile, quindi, a s surge troppo spesso a ruolo di tediosa routine. I casi in cui la situazione si smuove sono così pochi da essere accolti con ovazioni a scena aperta: i pirati volanti (complice il sistema di controllo), quelli invisibili, gli spiriti Chozo, i sistemi di difesa robotici, i baby Sheggoth e i Metroid. Ma anche qui, dopo lo smarrimento della prima battaglia, il tutto rischia di risolversi nel solito rituale, complice anche il citato respawn, che nel primo terzo di gioco è fin troppo ottuso. Belligerare si dimostra quindi come un male necessario, da assumere con schematismo autistico e da evitare quando possibile. M eno apparizioni di nemici insulsi (non come caratterizzazione ma come schemi di attacco), sostituiti da minacce più c oriacee, più intelligenti, capaci di mettere in scena tenzoni di l ivello tattico superiore, non avrebbe di certo snaturato la struttura metroidiana, la avrebbe semplicemente resa più interessante. Perché qui non si vuole spostare l’attenzione sul lato sparatutto, bensì renderlo divertente. Il lock on e l’ingessatura data da alcune scelte di design nei controlli (per esempio, il rischio di trovarsi in balia degli avversari nel caso di scontri multifronte in spazi aperti) non aiutano in questo senso.

Raggio Energia

“Un metodo di controllo diverso?! No dico, un metodo di controllo diverso?! Miscredente di un pazzo pupazzo di pezza del cazzo, non lo sai che difficilmente un gioco Nintendo è miglior abile?”.

Un primo passo concreto nello trebbe derivare da una differente tasti. Perché, ok, “Metroid Prime che dal metodo di controllo”, ma

Raggio Onda

Raggio Plasma

Raggio Gelo

scardinare la situazione p ofilosofia nella mappatura dei non è un FPS, lo si vede a nse questo fosse diverso?

Eccovi il cavillo che salva capra e cavoli, lasciando a bocca asciutta il povero lupo: questo non è, nominalmente, un gioco Nintendo. Assicurata l’anima nei confronti del dio Miyamoto, proviamoci a vedere un mondo diverso. Non necessariamente migliore, diverso. Non necessariamente originale, diverso. Un modo più in prima persona, più sparatutto. Via le armi dalla levetta destra. Sì, avete letto bene, via da lì. Tutto su un tasto solo, un cambio ciclico come molti altri FPS perfettamente funzionanti su console. Dico, son ben quattro (4) di numero ‘ste cacchio di armi no, dove sta il problema? Sulla leva ora libera ci si può mappare lo spostamento laterale e l’asse verticale dello sguardo.

In una parola: geniale. Inutile ribadire che l’accesso immediato alle quattro armi/direzioni/colori è imprescindibile, come lo è un repentino switch tra i quattro visori disponibili [Combat, X-Ray, Termal e Scan], attivabili tramite la croce digitale. Inutile rilevare che in MP gli scontri (ma anche il puzzle solving) sottendono meravigliosamente a questo schema di fondo…

Area di contenimento, uno, prima. A - zione! Samus si avvicina con circospezione ad una balconata. Sotto pirati elite sospesi in liquidi di sostentamento. A far loro guardia pirati spaziali ben più pimpanti. Si direbbe alquanto gioiosi di tramutare la protagonista nella nuova anal queen. È tempo di timbrare il cartellino. R per abbassare lo sguardo e bloccarlo in posizione. Con fare dimesso e occhi fissi sul pavimento, la cacciatrice si avvic ina alla ringhiera dove balla scoordinata per inquadrare il cazzone dello spazio che intanto continua a tempestarla di proiettilame colorato. Che colore è il vaffanculo? No, perché qua ce ne vorrebbe una discreta quantità di quel cromatismo lì. Samus vede diminuire la sua barra energetica, senza possibilità di replica. Ma nel frattempo si segna qualcosa: “falcidiare il designer dei controlli”. Una volta finito su Tallon IV qualcuno sulla terra dovrà aver paura di quella tuta arancione kitsch. Alla fine il nemico è a gganciato e la storia prosegue come dovrebbe. Pausa. Warp à la Raziel in un mondo alternativo, quello del secondo ciak.

Prima di chiudere la disamina sul sistema di controllo non possiamo esimerci dal citare il superno s istema di salti. MP è riuscito a rendere il salto in prima persona una pratica semplice e precisa, a utomatica, di un’immediatezza disarmante . Questo mediante un leggero rallentamento del salto, che si traduce in una riduzione della gravità, per tramite di stabilizzatori non meglio identificati. L’effetto finale è assolutamente unico. L’impressionante mole di piattaforme, che Tallon IV sbatte in faccia al giocatore, dimostra quanto il gioco non abbia timore di osare ciò che in un FPS ordinario sarebbe i mproponibile. Anche grazie all’astrosalto, che consente un’elevazione doppia ed un controllo della traiettoria ancora maggiore. Splendido.

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Area di contenimento, uno, seconda. A - zione! Avanti veloce fino alla ringhiera. La cacciatrice le si a vvicina muovendo lo sguardo come le pare, ma non in una parodia di una stanza ginnastica da camera, piuttosto nella gioia di una ritrovata libertà preclusale in nome della forzata non appartenenza. Ora tracciare e inquadrare la feccia aliena è operazione ben più semplice e, soprattutto, indolore. Pirata agganciato, pirata fottuto. Buona la seconda. Pensateci: possibilità di spostarsi lateralmente e contemporaneamente muovere lo sguardo. Tutto al prezzo di un micros econdo in più per “indossare” l’arma appropriata. Tutto al prezzo di sporcarsi un po’ di un’identità che non si vorrebbe vestire. Con in più la possibilità di dar vita a minacce più variegate. M eglio la coerenza o la funzionalità?

Round 3. I Boss ______________________Questo è videogioco…

Spara o muori____________________________

I Boss di Metroid Prime sono quanto di più esaltante si sia visto negli ultimi tempi. Tralasciando l’incredibile lavoro di design – che con una quantità media di poligoni ha creato modelli splendidi e animazioni perfette – i boss del gioco stupiscono per come chiamano il giocatore a tener sempre in considerazione l’intero ventaglio delle proprie possibilità. Affrontare un boss di Tallon IV conduce ad un attento esame degli strumenti a propria disposizione, ad un’osservazione e una valutazione c ostante dei pattern d’attacco nemici: non è raro dover ripetere più volte uno scontro, prima di carpire il segreto di un nemico e svelarne il punto debole. E questo è v ideogioco: le dita si muovono tra la croce digitale – che attiva i quattro visori, alla ricerca di quello più utile -, la leva destra – che spazia tra le a rmi disponibili -, il tasto del salto e quello deputato al lancio dei missili. Ma non solo. La trasformazione in morfosfera non viene mai trascurata, e anzi si mostra indispensabile in taluni frangenti di gioco, aprendo una via di fuga in situazioni di rischio. Phendrana, Boss: Thardus. Thardus è costituito da rocce e giunture di phazon, segue un pattern determinato ma mai troppo rigido (caratteristica dei boss di MP è la capacità di variare gli attacchi i n risposta al comportamento del giocatore). Lo scontro si apre con la consueta scansione [utilizzo del visore Scan], che regala qualche preziosa informazione sui punti di forza e di debolezza del nemico. Poi scatta l’osservazione: Thardus sembra indifferente a qualsiasi colpo, il lock-on non trova punti su cui fissarsi. Il pollice cambia visore [utilizzo del visore termico], e subito rivela un punto in cui il boss non ha difese (evidenziato in rosso). Il lock-on si attiva, il pollice destro comincia a marte llare sul tasto di fuoco. Segue un’esplosione che sovraccarica il visore termico [il giocatore è costretto a tornare alla visione normale], e determina la perdita del bersaglio: il boss comincia a scagliare frammenti di roccia all’indirizzo del giocatore, e a bersagliarlo con raggi congelanti (che si dipanano sul terreno come scosse sismiche). La velocità dei frammenti induce a tralasciare il lock-on e a tirare al bersaglio [cambio di strategia o ffensiva/difensiva]; i raggi congelanti stimolano un frenetico ricorso al doppio salto e allo strafe. Terminato il bombardamento, Thardus assume una forma sferica e rotola sul terreno verso il giocatore. A questo punto l’alternativa è tra a llontanarsi a piedi o ricorrere alla morfosfera [cambio di modalità che influisce sulla mobilità, la visuale e le c apacità offensive]. La morfosfera, con l’ausilio del turbo (ottenibile premendo e rilasciando B), consente di spostarsi velocemente e di avere una visuale più consona alla fuga. Terminato l’attacco, il boss riprende le sem-

Dovendo valutare i boss di Metroid Prime secondo il tasso di spettacolarità si rischierebbe di andare fuori scala. Ognuno di loro è semplicemente imponente, incute timore, è impegnativo. Purtroppo a tanto coinvolgimento emozionale non corrisponde altrettanta ispirazione in fase di design. La parola d’ordine è violenza, ottusa violenza. I pericoli vengono smantellati poco a poco a colpi di missili e cannonate. L’approccio laterale tanto caro alla filosofia Nintendo non marca visita. Pensate a quando in Zelda: Ocarina of Time si uccideva un serpente di fuoco mimando una sessione a “wack a mole”, oppure quando in Super Mario Sunshine ci si ritrovava a strappare i tentacoli del Calamarcio. Retro Studios sporadicamente fa a ssaporare la bellezza dell’approccio indiretto. Lo fa magistralmente con Flaaghra, la pianta nelle rovine Chozo, ma poi scorda la strada. Così rientra in scena il grande l ivellatore, stemperato da un appoggio massivo su quelle che sono le risorse principali di Samus: i visori e i differenti tipi di raggio (purtroppo poco differenziati tra loro). Ogni boss si affronta cercando l’equipaggiamento adatto, ma spesso la differenza di approccio pare più formale che sostanziale. Aggiungendo poi che certi attacchi vengono reiterati con preoccupante frequenza (l’onda d’urto comune agli u ltimi tre boss e il lancio di missili guidati), il panorama non è così edificante come la qualità g enerale del prodotto porterebbe a pensare. Panorama che ha la distesa più brulla nello scontro col pirata Omega, un tedioso spara e salta, uguale a se stesso dal principio alla fine. Un maggior sfruttamento del rampino e della morfosfera, ad esempio, avrebbe potuto rappresentare una papabile via d’uscita. Così non è stato.

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bianze originarie e lo scontro ricomincia… Durante l’intera battaglia si è quindi fatto ricorso a molti degli strumenti fino a quel momento in mano al giocatore [visore ‘Scan’ e visore termico; Morfosfera, Lock-on, doppio salto e Raggio Energia], e solo uno studio accurato del nemico ha consentito l’elaborazione di una tattica efficace. La cosa più esaltante è che, procedendo nel gioco, la rosa degli strumenti si allarga e le azioni da compiere si moltiplicano. Fino al fantastico scontro con il Metroid Prime, che obbliga ad un frenetico cambio di raggio (suggerito con la corrispondenza cromatica di cui si parlava nel p aragrafo precedente), uno switch ripetuto tra i visori [termico, a raggi X e ‘Combat’], un uso calibrato del doppio salto, dello strafe, del lock-on; ed infine al ricorso alla morfosfera per sfuggire ai raggi traenti o per infilarsi negli incavi del terreno. Intenso, galvanizzante, stimolante. Questo è videogioco…

Round 4. Tradizione e Modernità __________________Evoluzione e Pollici Fumanti

Vincolato al passato________________________

Come già ac cennato nel capitolo sul Level D esign, l’attaccamento alla tradizione definisce i difetti maggiori del gioco. Un respawn spesso fastidioso – c omunque mitigato da un efficace sistema di aggiornamento dei nemici – e la mancanza di un circuito di teletrasporti minano lo spessore ludico dell’opera, d iluendola fin troppo. La rilevanza di tali imperfezioni è alta solo nell’ultima fase del gioco, ciò non toglie che un’epurazione da simili anacronismi avrebbe contribuito ad elevare esponenzialmente il valore di Metroid Prime: per il futuro (leggi ‘per MP2’), ci si augura che Nintendo aggiorni la propria bibbia come sembra voler fare per le strategie di mercato… Dal lato opposto, è proprio la fedeltà al glorioso pas sato della saga a rendere MP il capolavoro che è. T allon IV è, né più né meno, Zebes in tre dimensioni. Tutti gli aspetti positivi di SM – ambientazioni, nemici, soundtrack – sono qui implementati in una sintesi di tradizione e modernità comune a tutte le opere Nintendo (che sorprende anche per il cambio d i gestione, da un team interno ad una second party texana). MP non ha ceduto alle lusinghe di una first person di stampo effepiessistico, confermandosi un gioco di esplor/azione ibrido e del tutto unico. Ha anzi guadagnato dalla suggestiva visuale, di cui difficilmente si potrà fare a meno in futuro… Ma i suoi meriti più grandi sono a nostro avviso altri: l’aver reso il passaggio da due a tre dimensioni un’evoluzione in senso proprio (evento più unico che raro), e l’aver recuperato le gioie e i dolori di uno shooting vecchio stile, che obbliga ad un metodico – quanto esaltante – martellamento del tasto di fuoco. Senza a lcuna pietà per i nostri pollici atrofizzati…

Il passaggio al 3D è stato inaspettatamente indolore. Il mondo di Metroid pulsa in quegli ammalianti poligoni, ci si rispecchia così tanto da perdere talvolta l’occasione di cambiare. La struttura a comparti stagni, l’insistere su aree grandi o piccole ma sempre autocontenute, c ome nell’era bidimensionale, distrugge a tratti la sospensione dell’incredulità. Trovarsi di fronte a porte colorate, ad aree che i nemici non vogliono e possono varcare, pena la distruzione immediata, riporta troppo frequentemente il fruitore alla dura realtà: questo è un videogioco. Slegarsi almeno parzialmente da questa f ilosofia “old skool” avrebbe donato più ampio respiro a Tallon IV, permettendogli di spandere con esemplare efficacia la sua magia. D’altro canto la frammentazione del mondo di gioco e la realizzazione impeccabile della mappa (probabilmente la migliore mai sperimentata in un ambiente tridimensionale) è la chiave d’accesso verso la focalizzazione oculata degli aspetti importanti di ogni area. Non ci si sente mai di aver scordato qualcosa. Ogni passaggio momentaneamente inaccessibile, ogni dispositivo attualmente precluso viene memorizzato con impareggiabile facilità, indice di una pianificazione che, sotto questo punto di vista, è magistrale ed ineguagliata. Così come nel level e boss design la pecca di Retro Studios è quindi quella di non aver osato, errore quasi certamente non proprio ma dettato da una richiesta di ferrea adesione ai canoni della saga. Questo è Metroid al 100%, nel bene e nel male.

__________________________________________Note [1] Va detto che il sistema di controllo permette di bloc care lo sguardo in qualsiasi punto e strafare di conseguenza. Non è necessario raggiungere il bordo di un dislivello per guardare in basso: Samus può abbas sare lo sguardo PRIMA del dislivello e procedere senza sollevare la testa, e questa è una pratica a cui il gioco abitua, perché spesso colloca i nemici su un piano differente. In questo modo attivare il lock- on ed evitare il fuoco nemico diventa automatico. [2] I combattimenti assumono un elevato spessore tattico soltanto nel caso dei boss [cfr. 3. Boss]. Ma le differenze con gli iter tipici degli FPS sono evidenti, in particolare la totale assenza di ‘zone franche’ è sintomatica della sostanziale unicità di Metroid Prime. [3] A volte in Rogue Leader è un’impresa persino colpire i nemici che stanno a TRE metri. Figuriamoci quelli più lontani… [4] Il movimento del casco di Samus può talvolta rivelarsi troppo lento, soprattutto nelle fasi più concitate. Retro Studios, se sei in ascolto fai un nodo al fazzoletto…

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:RECENSIONI:

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dISASTERPIECE__________________________________ [SOS: The Final Escape] di Darknessheir “Speak to me now, and the world will crumble” Opeth, Death whispered a lullaby, da Damnation (2003)

gENERE

.:scHEda:.

eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Survival Disaster Irem Interno PS2 2003 1 PAL

Trasecolato, Keith scende dal treno. Mai si sarebbe aspettato uno spettacolo tanto immenso. Del resto è il suo primo giorno a Stiver Island. Splendente, il sole campeggia in un cielo terso, sconfinato. Il mare, placido sotto il ponte, lievemente manda un gradevole murmure di risacca. Mai, si sarebbe aspettato un simile scenario. Sventrati, i palazzi svettano prostrati all’orizzonte. Cemento, lamiere straziate in ogni dove: autobus e macchine disseminate tra i vagoni divelti, sopra ed a ttorno all’armatura che spunta deiscente dall’asfalto del ponte. Il tempo è maturo. Per Keith è il primo giorno a Stiver Island. E potrebbe essere anche l’ultimo. One, two, three, four… ____I cross the city backwards Benvenuti a Stiver Island. Benvenuti in Sos: the final escape. Un nome, un suicidio commerciale, soprattutto here in Italì. Perfetto. Consoliamoci con una tr ama in cui dopo un disastroso te rremoto si scopre un retr oscena, che poi verrà confutato dal sopravvenire di un altro. Eh, sì. E’ triste inserire degli spoiler in una recensione. Ed ancor più triste, in una recensione, descrivere una trama così minimalista. Ma che cosa ce ne importa? In fondo siamo soli su di un’isola in rovina. Soli, con una bella ragazza al nostro seguito. Peccato che l’isola sia destinata ad inabissarsi da un momento all’altro, sempre a causa del disastr oso terremoto di cui sopra… Consoliamoci, almeno facciamo un secondo tentativo. C’è la localizzazione, con il suo “Keith” (il protagonista) che sostituisce l’originale “Sudo”. Beh, magari affiancato da un punto esclamativo, questo si sarebbe potuto tenere in un’edizione nostrana per sottolineare l’importanza, all’interno del gioco, che ha la reintegrazione dei liquidi persi durante le numerose corse da un rudere all’altro. Poi ci sono le “Cristophe Constructions”, al posto delle costruzioni Tayakan… Takayan… Insomma, non è comunque bello scoprire, esplorando in un determinato passaggio dell’avventura la

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sede della succitata impresa, che il nome scritto sull’insegna della stessa è differente da quello con cui viene menzionata durante le cutscene… ______Is there anyone to find? Che dire. Nell’ultimo, meraviglioso album degli Opeth l’influenza di Steven “Porcupine Tree” Wilson si sente, eccome. L’eccentrico musicista interviene con carisma, ma lo fa comunque senza eclissare il talento di Akerfeldt & soci. I loro stili si r ivelano più affini del previsto, e salvo rare eccezioni collimano nel rendere con efficacia soave una str aordinaria atmosfera decadente. Come dite? Oh, scusate, ho sbagliato recensione. Si diceva, sì, Sos The Final escape… Questo fausto titolo, firmato nientemeno che da Irem (la madre di tutti gli R-Type), si propone come un innovativo “simulatore di terremoto”. In poche parole, un’avventura basata sulla risoluzione di semplici enigmi, e… Dove diavolo è finito il tasto per attaccare? …Scusate di nuovo. Ora che sono riuscito ad accettare la totale assenza di combattimenti (ma verso la fine si presenterà comunque l’occasione di fare del male a qualcuno), posso procedere alla descrizione delle peculiarità del gameplay. Che dire. In questo ultimo, prezioso gioco di Irem l’influenza di altri generi si sente, eccome. Esplorazione, risoluzione di enigmi, fasi in cui la destrezza con il pad è fondamentale e sezioni stealth intervengono con decisione, ma senza mai eclissare l’idea alla base del concept originale. Tutti questi stili di gioco, salvo rare eccezioni, collimano nel rendere con viva efficacia l’atmosfera che si respira a Stiver Island. Un’atmosfera decadente, of course… ___Million ways to lose control Il primo cruccio di Keith rimane comunque il terremoto. Entrando per la prima volta in una locazione è inadeguatp credersi al s icuro, impossibile prevedere in che modo la


:RECENSIONI:

Ring#06

Natura libererà la propria furia. La precarietà regna sovrana. A crollare potrebbe essere soltanto un muro, oppure un intero ponte. Usate pure tutta la circospezione di cui siete capaci. Appesi per una mano la vedrete inabissarsi in mare, assieme al pavimento che stavate calcando pochi istanti prima. Ma non è il solo istinto a guidare l’uomo in pericolo. Per raggiungere uno dei punti di soccorso presenti nell’isola Keith dovrà fare sfoggio delle sue capacità intellettive, improvvisandosi, nell’utilizzare costruttivamente oggetti apparentemente inutili, novello Mc Gyver. Sono semplici gli enigmi che vi tr overete ad affrontare, e paradossalmente, proprio questa semplicità è il loro punto di forza. Vi basterà mezz’ora per entr are nello spirito del gioco, e da quel momento intuire la via di uscita da ogni particolare situazione prima di averla esaminata nei particolari1. Non mancheranno poi saltuarie prove di abilità a movimentare (ulteriormente) le cose, come per esempio sezione di rafting a bordo di un’imbarcazione improvvisata. Che dovrete costruire voi. E quando, sentendovi ormai vicini all’apocalittico epilogo dell’avventura, penserete di aver già sperimentato tutto il possibile, una gradevole quanto semplice digressione stealth vi ricorderà che cosa rende speciale questo titolo…

________Speak to me now, and the moon will fall La tensione. Poderosi effetti s onori vi rammenteranno con magniloquenza il vostro problema principale. La libreria S-Force si fa sentire. Una tregenda di boati e rumori a ssortiti ridefinirà il vostro concetto di fragilità dei muri in cemento armato, sottolineando al contempo la compattezza del muro sonoro (gli Slayer confermano) creato dal sibilare infinito delle lamiere, delle travi in ferro prossime al punto di rottura. Inesorabile, l’acqua scorre assordante, bloccandovi la strada, ammonendovi sul destino in serbo per i vanagloriosi sprovveduti che vorrebbero vincerne la corrente. E l’utente, emozionato ringrazia. A nche per l’ammonimento. Riguardo alla grafica, si p otrebbe dire che SOS ha sopportato con dignità l’impatto dei mesi trascorsi dalla sua release nipponica. I colori slavati e le texture carenti in dettaglio incidono solo minimamente sulla maestosità della città in rovina. Suggestivo deambulare, tra i palazzi sventrati. Galvanizzante vederli crollare alle proprie spalle, lanciati in una corsa disperata verso qualcosa che anche vagamente possa assomigliare ad un riparo. Evocativo, soffermasi sulla rappresentazione delle varie condizioni climatiche: l’uso delle luci è semplice, eppure (ad eccezione dell’illuminazione fornita dalla torcia e dall’accendino, davvero disastrosa),

efficacissimo nel conferire, ad ogni ambientazione, la giusta... ___________________Closure Atmosfera. Questo si ama nel t itolo Irem. Sul mercato esistono decine di titoli migliori dal punto di vista ludico, da quello tecnico; titoli dotati di una varietà maggiore, o di un gameplay più articolato. Pochissimi sono invece quelli che lo eguagliano nel carisma, nel coinvolgimento emotivo, perché è su questi due elementi che Irem ha insistito maggiormente nel confezionare il gioco. Il consiglio, a questo punto, è di ricorrere al noleggio: in due o tre sere potreste completare l’intera avventura, ed impuniti riconsegnarla allo sporco Blockbuster di turno. Oppure, come il sottoscritto, potreste innamorarvene e conservarla, nell’angolo della vostra ludoteca che riservate a tutte le inattese, gradevoli novità. _____________________Note [1] Ovviamente (d’oh!) il sottoscritto si è trovato ad aver bisogno di aiuto, ma solo in una (1) situazione, nello scenario di K aren. Per chi non riuscisse a superare quel determinato passaggio, ho corredato questa recensione di uno screenshot a dir poco illuminante. Perché in fondo in fondo in fondo, ho un cuore d’oro…

tCHENN_________________________________________ [Tenchu: Wrath of Heaven] di Darknessheir

gENERE

.:scHEda:.

eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

__On Bai Shira Man Ta Ya So Wa Ka

Tactical Espionage Ninjitsu

K2 Interno PS2 2003 1-2 PAL

Secondo l’esoterismo cinese, tanto “l’Uomo Vero” (tchenn-jen) quanto “l’Uomo Trascendente” (cheunjen) sono tipologie di individui che hanno raggiunto la pienezza della condizione umana1. Eppure sono definiti con due termini distinti. Una ragione ben precisa c’è, nonostante le apparenze, e non è nemmeno tanto difficile da capire. Se non avete voglia di rifletterci, avete due alternative: saltare alla fine di questa recensione per svelare l’arcano, o passare quest’ultimo al vostro buddhi2 e continuare imperterriti la lettura… Alcuni lo fanno. Imperterriti continuano, e senza curarsi delle limitanti concezioni

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odierne sulle possibilità umane proseguono per la loro strada. I Ninja, tanto per dirne una. Ma non solo. Perché è dall’esoteri-smo cinese (ed in parte anche induista) che nasce il Kuji-Kiri. Dal Kuji-Kiri si genera il Ninjitsu, e dal Ninjitsu, appunto, i Ninja. Ed è proprio ai ferali “guerrieri d’ombra” dell’antico Giappone che s i ispira il qui presente Tenchu: Wrath of Heaven. _____On Ji Re Ta Shi I Ta Ra Ji Ba Ra Ta No-O So Wa Ka

Essere invisibile non significa necessariamente camuffare il proprio corpo. Affrontare un nemico di cui è impossibile prevedere le mosse, invece, s ignifica combattere con un essere invisibile. Nulla è l’influenza che il cambio del team di sviluppo (da Aquire a


:RECENSIONI: K2) ha sortito su questo terzo (addon esclusi) Tenchu. Il feeling – con i controlli, la grafica, l’ambiente di gioco - è rimasto pressoché i nvariato; personaggi ed ambientazioni, gameplay ed espedienti scenografici sono stati semplicemente rimodernati per adeguarsi agli standard odierni. Alla guida di uno dei tre protagonisti (il terzo, Tesshu, si renderà disponibile solo dopo aver ultimato le avventure di Rikimaru ed Ayame), il giocatore è dunque chiamato a portare a termine missioni in cui approccio stealth, combattimenti ed esplorazione si avvicendano con efficacia, seguendo una trama tutto sommato trascurabile ma raccontata attraverso cut-scene pregne di un’adorabile “enfasi orientale”. Tra luci ed ombre di templi, foreste e villaggi, caverne e castelli feudali, è assiomatico non dimenticare che solta nto colui che non si fa vedere sopravvive. Per cui è saggio sfruttare il tasto R1 per incedere chinati, o eventualmente aderire alle pareti, così come è o pportuno deambulare in zone più elevate rispetto a quelle calcate dai nemici. Del resto sono numerosi i tetti, gli alberi e le sporgenze a cui aggrapparsi, e sono lì giusto per essere sfruttati. Inoltre solo colui che sa usare con oculate zza il rampino riesce a raggiungere la fine degli stage. Perché questo insostituibile strumento è utilissimo per domare l’imbizzarrita morfologia degli scenari. Il loro design si espande cercando di lambire tutti i sette punti cardinali Indù3: da un ipotetico centro si dipanano in ogni direzione, indipendentemente sugli assi X, Y e Z, per sentieri labirintici o ariosi pianori, in angusti anfratti o in piattaforme che si ergono da precipizi senza fondo. S ovente ci si convince di trovarsi in strade apparentemente senza uscita, per poi scoprire molteplici sbocchi soltanto in seguito ad un’acuta osservazione. E ancora, a completamento d egli assiomi del gameplay di questo terzo Tenchu, è soltanto colui che combatte con feroce determinazione che può portare a casa la pellaccia. Dimenticate le blandizie da v ideogioco moderno. Volete salvare? Bene, lo potete fare o prima di a ffrontare un livello, o dopo averlo completato. E questo vale in ogni occasione, anche quando un malferato boss vi attende ad un passo dall’uscita… __On A Ga Na Ya In Ma Ya So Wa Ka

Un albero può vivere per secoli.

Ring#06 Una farfalla, una manciata di giorni. Ma davvero le loro esistenze hanno un peso differente all’interno del pianeta? No, ovviamente . Una diversa intensità piuttosto. Per il giocatore impegnato con il titolo K2 vige un unico imperativo: adattarsi. Trascorrere gli stage passando imperituri sopra baratri senza fondo, silenziosi sgozzando i nemici a tradimento, decimandoli solo quando sono le circostanze ad imporlo. Fortunatamente i controlli sono meno “legnosi” e più precisi rispetto ai precedenti due episodi. Tralasciando la triste introduzione del Tombraideriano meccanismo “trova la chiave/apri la porta” ad importunare il giocatore con ingombranti chiavi da introdurre a forza nel limitato (a 15 oggetti, di non più di 5 tipologie) inventario, è da segnalare la piacevole innovazione costituita dal Kuji Meter. Riempitolo uccidendo nove (kuji) nemici tramite una stealth kill, il nostro personaggio potrà fruire di una nuova “abilità Ninja”: da poderose spallate da aggiungere alla combo predefinita (per allontanare gli avversari, e spingerli eventualmente in provvidenziali baratri) a calci volanti sferrati previo appoggio ad una qualsiasi p arete verticale, dalla possibilità di zoomare nella visuale in prima persona ad una – ridicola - mossa per uccidere un nemico in un sol colpo, al prezzo di rimanere con un solo HP. Ogni stage serba, quindi, una nuova feature; sta alla discrezione dell’utente superare i livelli pensando solo ad avanzare od arrivare allo scontro ultimo con un maggiore potenziale. ___On Hi Ro Ta Ki Sha No Ca Ji Ba Ta I So Wa Ka

Sfolgorante la luce irradia gli uomini. Ma le tenebre custodiscono c elandole conoscenze che solo pochi possono raggiungere. Sull’aspetto tecnico di Tenchu: WoH c’è poco da dire. Una gradevole spettacolarità fatta di stacchi di camera durante i colpi più violenti (come il calcione con cui Rikimaru ed Ayame terminano le combo), un motore grafico p otente che, assieme al tasto per il riposizionamento della visuale, limita le imprecisioni (solo di rado fastidiose, comunque) delle inquadrature. Per il resto m odelli poligonali da urlo, animazioni eccezionali, texture encomiabili. Ma solo per i protagonisti. Stage curati e ricchi di dettagli, ma solo in pochi casi forieri di quella “poesia” che rende Arte il videogioco. Alti e bassi, insomma. Come nel caste llo di

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Godha, quando ci si trova a combattere in un salone il cui legno del pavimento restituisce, le vigato, i riflessi dei combattenti e delle to rce, fin quando abbacinante non giunge un fulmine a rischiarare a giorno l’intera stanza. Difficile pensare che, nello stesso scenario, le cariche nubi notturne viste poc’anzi parevano importate di forza da un titolo della scorsa generazione. Di console… ____________________“Vero” E’ l’uomo l’essere centr ale. Il re che siede nel mezzo, laddove cade il raggio divino. Ogni uomo è re. Perché il Re ed il suo popolo sono lo stesso principio, il primo “in a tto”, il secondo “in potenza”. Difetti minimali quelli che gravano sul giudizio complessivo. Impeccabile la conformazione degli stage, ottimi i controlli, difficili ma galvanizzanti i combattimenti. Ed un occhio di riguardo al level design, ad esaltare la furtività con cui si è tenuti ad agire. Solo un pizzico di frustrazione per essere costretti a ripetere “n” minuti di gioco dopo essere stati brutalizzati, in un batter di ciglia, mentre si cercava di analizzare la strategia con cui affrontare un determinato boss. Nient’altro. Allora perché una semplice B come valutazione? Perché Tenchu: WoA è un gioco ben realizzato. Ma avulso da un’ispirazione concreta. Da sfumature con cui arricchire sensibilmente il genere stealth, da innovazioni degne di tale nome. Al titolo K2 mancano tutte quelle caratteristiche che dividono il gioco “vero” da quello “trascendente”. Non ci resta che sperare in un sequel, con cui gli sviluppatori ci dimostrino di aver capito che, una volta raggiunta la “pienezza” di una condizione, è a rrivato il momento di operare su di un piano superiore. _____________________Note [1] In effetti, la contemporanea concezione del significato di “essere umano” è terribilmente limitata. E limitante. Vedasi So Sims, l’Indepth che Paolo J. Ruffino ha dedicato a The Sims, su Ring#5. [2] La manifestazione intellettiva umana pura, il semplice atto del “lavorare con la mente”. Ne abbiamo parlato in occasione dell’Indepth a Final Fantasy X, su Ring #4. [3] Immaginate un cubo; mettete un punto su ognuna delle sue facce, ed uno al suo esatto centro. Ora togliete il cubo, ed ecco a voi i sette punti cardinali indù.


:RECENSIONI:

Ring#06

sILENZIOSI fIGLI dELL’oMBRA______________

____ [Splinter Cell]

di Nemesis Divina .:scHEda:. Stealth Action gENERE eTICHETTA Ubi Soft sVILUPPATORE Interno sISTEMA Multipiatt. aNNO gIOCATORI vERSIONE

(rece: PS2/XB)

2003 1 PAL

Il cavo ottico viene infilato sotto gli stipiti delle porte. Nella versione Xbox è possibile aprire leggermente le porte per buttare uno sguardo oltre; un’azione superflua che, nell’edizione PS2, è stata abbandonata.

Grazie al night google possiamo muoverci agevolmente nell’oscurità più fitta. Le luci verdi sono una concessione extradiegetica al giocatore, che rendono Sam sempre rintracciabile nel buio. Naturalmente esse non vengono rilev ate dalle guardie.

Un’azione inedita, singolare e già distintiva di Sam Fisher. L’operazione permette di restare nascosti alla vista e di prendere la mira senza apprensione alcuna.

________Ferisce più la penna… Metal Gear Solid è stato un terremoto, non solo per il costituirsi di un brand potente e apparentemente incrollabile, ma anche per un modo nuovo di fare VG, una maniera cinematografica che strizza l’occhio (e cita) le produzioni hollywoodiane. Ma MGS ha dato il via ad altro: la nascita (rinascita) dello stealth game. Sviluppato da Ubi Soft, Splinter Cell fa parte della scuderia a firma di Tom Clancy, rinomato e vendutissimo romanziere autore di noti thriller fantapolitici. Già autore di un blockbuster c ome Rainbow Six, lo scrittore americano ha creato l’ennesima ambientazione da donare al mondo dei VG. Grazie al know how di Tom Clancy il contorno e gli scenari geopolitici guadagnano in credibilità e concretezza e, fra una infiltrazione e l’altra del nostro Sam Fisher, vedremo tessere sotto i n ostri occhi le trame di un disegno fitto e complesso, con intrighi, scossoni internazionali e trambusti ai più alti livelli del potere. Un modo non nuovo di fare giochi su PC ma che su console stentava a farsi notare, e non è un caso che sia proprio Xbox a fungere da testa di ponte per l’ingresso (in grande stile) di questa maniera videoludica. _________Stealth and Destroy Al pari di MGS, Splinter Cell chiede al giocatore una cosa semplicissima: non essere visti. O , al limite, far fuori chi ci vede. Il tema delle missioni è generalmente quello di infiltrarsi in silenzio e all’ombra dello sguardo di sentinelle, telecamere e sensori ottici. Il parco di mosse a nostra disposizione è ben nutrito, tanto che il pad viene usato in tutte le sue funzioni. E’ possibile avanzare correndo oppure adottare una postura accucciata che, oltre a renderci meno visibili, permette di muoversi in maniera silenziosa. Sempre per r idurre al minimo l’emissione sonora, è utile badare alle superfici su cui ci si muove dato che ghiaia o lamiere dichiareranno subito la nostra presenza. Sam può inoltre appendersi a tubature, penzolare dai cornicioni e percorrerli a forza di braccia e, opzione curiosa e inusuale, può reggersi fra due p a-

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reti vicine divaricando le gambe, in modo da cogliere le sentinelle con un attacco dall’alto. L’attrezzatura in dotazione è la vera chicca del gioco e fonte prima di varietà e coinvolgimento. Tra i numerosi aggeggi tecnologici, oltre ad armamenti più o meno convenzionali, avremo un v isore notturno (per muoversi agilmente in condizioni di buio estremo), un rilevatore di calore e soprattutto il cavo ottico da far passare sotto le porte per perlustrare le stanze. Si aggiungano poi corde per calarsi dai soffitti, kit di scasso, microfoni laser (per captare conversazioni), medikit e altro ancora. Tutto sempre all’insegna della massima verosimiglianza. I controlli di gioco sono inizialmente ostici proprio a causa dell’enorme rosa di possibilità concesse, ma con la pratica è facile prodursi in scene emozionanti e fluide. Il pad ufficiale Xbox si comporta in maniera discreta anche se l’attivazione dei tasti bianco/nero (aderire alle pareti/uso degli item) rimane piuttosto ostica, mentre le cose migliorano con il controller S e sono decisamente comode con DualShock2. A coadiuvare le nostre infiltrazioni, una barra di esposizione visiva ci comunica se siamo visibili o completamente in ombra (in questo caso, non facendo rumore, è impossibile essere notati). Da una posizione oscurata possiamo osservare la zona, calcolare i tempi delle ronde e agire di conseguenza. A vvicinarsi silenziosamente dietro un nemico consente di afferrarlo e trattenerlo, possiamo poi usarlo come scudo, stordirlo, oppure, in particolari contesti, interrogarlo o imporgli uno scan della retina. I corpi esanimi vanno opportunamente nascosti dove nessuno può vederli, questo per evitare che i compagni della vittima si mettano in stato di allarme. Non manca la possibilità di raccogliere oggetti e lanciarli per distrarre le guardie, anche se l’intelligenza artificiale delle sentinelle non è sempre i mpeccabile: succede talvolta che, pur avendo lanciato una bottiglia in lontananza, essi si dirigano verso di noi, oppure che delle guardie, pur avendoci visto distintamente, rinuncino alla caccia liquidandoci con un laconico ‘sarà stato un gatto’. Le missioni che ci coinvolgono occupano un discreto spettro di varietà che aumenta con il proseguire del gioco, il tutto favorito da una


:RECENSIONI: certa libertà d’azione; chiariamo, non è possibile fare veramente ciò che si vuole e di solito non esistono soluzioni multiple ad un problema, tuttavia l’impressione è quella di poter agire lungo numerosi percorsi e che quello che si è scelto sia semplicemente il migliore (e non l’unico). Un’esperienza ludica appagante ed emotivamente pregna, con un costrutto narrativo di prim’ordine tratteggiato da frequenti stralci telegiornalistici e da informazioni scritte dettagliate e avvincenti. ________ Le Forme nella Notte L’aspetto visivo è quello c he, prima di tutto, ha colpito il pubblico. Della prima presentazione del titolo, aveva stupito la disinvoltura con cui il codice approntato da Ubi Soft (basato sull’engine di Unreal) gestisse le fonti di luce e relative ombre d inamiche. Questo alle varie presentazioni e filmati, restava poi da v edere il risultato finale (su Xbox) e la qualità della conversione (su PS2). Ora, con le edizioni ultimate in mano, possiamo dare un responso definitivo in proposito. La versione Xbox mantiene il difetto già ravvisato in sede di demo disc: le scalettature, presenti e ben visibili sulla maggior parte delle linee oblique, frastagliano i contorni delle costruzioni poligonali facendo perdere quella stabilità tipica delle produzioni Xbox. La versione PS2 lenisce in qualche modo le asperità dei contorni, pur mantenendo le disfunzioni fisiologiche dell’hardware in questione (dunque un flickering più accentuato e una leggera sfocatura dei tessuti digitali). Ulteriori differenze tecniche i nsorgono nel calcolo poligonale, o vviamente a tutto vantaggio di Xbox che mostra strutture più solide e ricche di dettaglio. Il Bump Mapping è un'altra feature ad esclusivo appannaggio della console Microsoft, così come la definizione delle texture e le ombre dinamiche che ammantano tutte le forme del gioco. Va c omunque detto che il feeling generale non è per nulla sminuito nell’edizione PS2, la totalità delle ombre dinamiche sono puramente estetiche, mai funzionali al gameplay. E’ d’altra parte indubbio che la gestione di luci ed ombre di Xbox doni alle ambientazioni un aspetto più vivo e reale, con scenografie che pulsano di un buio intenso e avvolgente e fasce nere che corrono lungo le strade, sugli edifici e sopra il nostro alter ego. Muoversi in questa penombra d iventa un piacere tenendo conto della grazia dei movimenti di Fi-

Ring#06 sher; è ottima la resa della maggior parte delle animazioni, frutto di un abile lavoro che, purtroppo, non si è esteso ad ogni aspetto del gioco. Se le movenze del protagonista s ono quasi sempre splendide, non a ltrettanto può essere detto di quelle degli altri personaggi durante le scene d’intermezzo, per i quali un po’ di motion capture avrebbe di certo giovato. Stupisce invece la scarsa cura di alcuni dettagli minori che stridono con la bontà del resto, ci riferiamo ad esempio a certe fiamme bidimensionali (con 3-4 frame d’animazione di animazione su Xbox e 4-5 su PS2) o all’effetto dei vetri frantumati. Ma sono dettagli. PS2, come sempre, ottiene un vantaggio sul blurring dell’immagine, offrendo splendidi contorni s focati e deformati in vicinanza di fonti luminose. Buono il commento sonoro che aumenta d’intensità e ritmo nei frangenti di urgenza. Me nzione d’onore per il doppiaggio italiano, ottimo nella figura di Luca Ward, voce italiana di George Clooney e Samuel L. Jackson. Peccato che nei FMV aggiuntivi della versione PS2 (fra cui un’illuminante e gradita introduzione agli eventi...) non sia stato possibile scritturare nuovamente Ward. La sostituzione con un doppiatore che cerca di imitarlo rende preferibile il parlato inglese, a patto di poterlo capire.

sapienti limature dove il gioco era poco chiaro, fraintendibile o semplicemente troppo ostico. Sia chiaro, l’edizione PS2 non è per incapaci. Sono presenti anche qui diversi l ivelli di difficoltà, solo la calibratura della curva di apprendimento è più precisa e accompagna passo passo l’utente alla scoperta delle molteplici abilità di Sam Fisher. Alcuni aggiustamenti hanno coinvolto addirittura la progettazione delle mappe del gioco, con nuove stanze da visitare oppure nuovi modi di raggiungerle. Inoltre, chi ha provato la versione Xbox noterà che i cambiamenti sono stati posti proprio nelle situazioni più fastidiose e frustranti. In effetti, il lavoro davvero encomiabile di conversione svolto da Ubi Soft, dovrebbe essere preso come esempio per tutti i progetti multiformato. Su PS2, oltre ad una serie di FMV aggiuntivi ed una colonna sonora più calzante e maestosa (eseguita dall’Orchestra di Praga), giungono anche quattro nuovi livelli di gioco a prolungare un’esperienza ludica già notevole di per sé. Una nota extra anche per l’edizione GameCube: pare infatti che sarà una conversione diretta da Xbox, godrà quindi dell’interconnessione con il GBA (per il classico sbloccaggio di livelli extra) ma non delle aggiunte presenti nell’edizione PS2 che restano a tutti gli effetti un’esclusiva Sony .

:Ultimora:

___Ending Theme:_Traduzione Perfetta Se da un lato PS2 paga una m inore capacità prestazionale, dall’altro può avvantaggiarsi di un tempo di sviluppo maggiore e di un ampio game testing… quello dell’utenza Xbox. Per quel che riguarda la pianificazione della progressione di gioco, l’edizione originale offre alcuni passaggi scontrosi nei confronti dell’utente che già si trova impacciato con un sistema di controllo contorsionistico, che richiede l’utilizzo di ogni singolo tasto del dotato pad Microsoft. Su PS2 ci sono state

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Durante l’edizione 2003 di E3, appena conclusosi, Ring ha strappato a Hironobu Sakaguchi una confessione scottante. “Anch'io ho sempre detestato gli i ncontri casuali...” ha dichiarato il celebre producer di Square. D opodiché, intravedendo tra i convenuti l'amico Amano, Sakaguchi ha esclamato: “Yoshitaka, anche tu qui? Che piacevole coincidenza!”, e con questi si è incamminato verso il caffè più vicino...

:Errata Corrige: Nel precedente numero di Ring, Ikaruga è stato erroneamente bocciato con il voto “C”, nonché accusato di proporre un gameplay “assolutamente insensato”. La redazione si dichiara mortificata per l’infondatezza delle critiche mosse al capolavoro Treasure e promette che in futuro non affiderà più articoli a recensori daltonici.


:RECENSIONI:

Ring#06

mELANZANE sI nASCE____________

__ ____ [Rayman 3: Hoodlum Havoc]

di Nemesis Divina .:scHEda:. gENERE Platform eTICHETTA Ubi Soft sVILUPPATORE Interno sISTEMA Multipiatt. aNNO 2003 gIOCATORI 1 vERSIONE PAL

Fra un mondo e l’altro ricorrono sezioni di hoverboarding con scenografia rezziana, il tutto condito (giustamente) da un s ottofondo musicale psichedelico. Indubbiamente un simpatico i ntermezzo

L’improbabile coleottero verde sulla sinistra è il tutorial dieg etico del gioco. Il suo compito è di istruirci sui comandi, prenderci in giro, deridere il manuale e litigare con il suddetto…

___ “Il mio è più grosso del tuo…” “…Ma il mio è più lungo”. Cose belle. Cose che fa piacere sentir dire, specie se il contesto è quello di un platform colorato e tendenzialmente pacioc coso. La cifra distintiva dell’ultima avventura di Rayman è l’idiozia più sguaiata; non contenta d’aver partorito uno dei character più improbabili della Storia del VG, Ubi Soft ha infarcito Rayman 3 di commenti sarcastici e a mmiccanti, doppi sensi e un pizzico di volgarità. Sempre velata, sia chiaro, perché è di un titolo ‘giovane’ che stiamo parlando. E ppure il lavoro svolto nella stesura dei dialoghi è di certo apprezzabile e strizza spesso l’occhio al gioc atore esperto e smaliziato; è simpatico es sere presi in giro dal tutorial e sentirsi chiedere “non hai mai giocato a un videogioco? ”. Questa e molte altre battute condiscono un’esperienza di gioco abbastanza lineare, ma c omunque mai spiacevole.

____________Il bello delle cose note Rayman 3 non stravolge un bel nulla, né vuole farlo. Livelli e livelli fa rciti di piattaforme e semplici enigmi da risolvere, un esercito di avversari mai partic olarmente ardui ed un set di mos se/azioni standard per fronteggiare ogni insidia. Nulla di nuovo, dunque, ma nemmeno nulla di brutto. In Rayman 3 tutto sta dove deve s tare: una grafica puntuale descrive un mondo variegato (come al solito da salvare) punteggiandolo di forme piacevoli e particolareggiate che non appesantiscono mai lo schermo e non intaccano il frame rate o il ‘peso visivo’. Il freddo c alcolo dei poligoni si interrompe nei pressi di una cifra elevata, che però non scade mai nell’inutile esubero. I livelli, pur non estendendosi molto in dimensione, offrono ambientazioni varie e d iversificate con numerose situazioni di puzzle solving, esplorazione, uso delle abilità e scontri a pugno coi nemici. Ma il level design di Rayman 3 dà il suo meglio nei livelli a sviluppo verticale: questi passaggi, realizzati con perizia, offrono un ottimo bilanciamento fra difficoltà e soddisfazione. Si tratta di sezioni in cui memoria e riflessi contano molto più che nel resto del gioco ma in cui, in nessun caso, si scade in frustrazione da missione impossibile. In generale, il gioco propone un livello di difficoltà medio/basso, ma questo non va visto necessariamente come un difetto. Imparando al meglio la lezione di papà Mario, Rayman 3 cerca d’essere gustoso per tutti i palati: il giocatore frettoloso troverà piacere nel vagare indisturbato fra i livelli, affrontando una progressione c ostante e rapida, rallentata solo dai boss.

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Per il giocatore che cercasse una sfida più longeva e appagante si apre l’opportunità di sbloccare tutti i livelli e di ripulirli al 100%, i mpresa non da poco se si calcola che alcuni stage possono essere completati con appena il 4% del totale. Le azioni disponibili sono quelle solite della saga: salto, attacco, attacco caric ato e volo planato; in aggiunta l’ultima incarnazione della melanzana antropomorfa può godere di poteri temporanei da sfruttare nella risoluzione degli enigmi o nei combattimenti. Possiamo trovare un rampino in stile hookshot di Zelda: Ocarina of Time , guanti dalla superforza, missili teleguidati, elicappello, e via di questo passo…

___________________A reti unificate Lo sviluppo multipiattaforma prende sempre più piede all’interno dell’industria del VG. Se da una parte tale politica o ffre a tutti l a possibilità di giocare un certo titolo, d’altro canto riduce le p otenzialità tecniche di un prodotto. Se ciò sia un male oppure un compromesso accettabile non sta a noi deciderlo; resta innegabile il fatto che, nonostante l’ottima proposta visiva di Rayman 3, lo sviluppo congiunto su tre piattaforme abbia obbligato Ubi Soft ad optare per una media prestazionale del titolo, avente come comune denominatore la versione PS2. Questo rende le conversioni Xbox e GameCube un poco al di sotto delle loro reali potenzialità, ma è un rammarico che lascia il tempo che trova, poiché in tutte le sue incarnazioni il gioco si presenta in forma smagliante. Se da una parte Xbox propone effetti e riflessi di luce più convincenti, dall’altra la versione GameCube offre la connessione al GBA, attraverso la quale è possibile sbloccare un simpatico mini gioco. Se si è in possesso anche della versione per GBA, l’interconnessione fra le due piattaforme Nintendo offre l’accesso ad a lcuni livelli segreti per la versione portatile. Tirando le somme Rayman 3 risulta essere un platform più che onesto, d ivertente, piacevole, spiritoso e, volendo, anche impegnativo. Resta infine da dire che è sulla cons ole Microsoft che Rayman 3 ha maggior motivo d’esistere. Se è vero che l’utenza N intendo stravede per Super Mario Sunshine, è altrettanto vero che su PS2 si trovano ottimi titoli, anche in edizione economica, come Ratchet&Clank e Jak&Daxter. Su Xbox, invece, l’unica alternativa è lo scadente Blinx, per cui un possessore Xbox che des iderasse un po’ di azione platform può trovare in Rayman 3: Hoodlum Havoc un titolo di riferimento.


:RECENSIONI:

Ring#06

iL rITORNO dEI rITORNANTI

_________ [House of The Dead III]

di Emalord .:scHEda:. gENERE Shooter eTICHETTA Sega sVILUPPATORE Wow Ent. sISTEMA Xbox aNNO 2003 gIOCATORI 1-2 vERSIONE PAL

The House of The Dead 3 - I buoni Lei - Lisa Rogan, alla ricerca del padre scomparso. Fervida sostenitrice del Girl Power, alterna la doppietta a sagaci affermazioni neofemministe Lui- G. Nome in codice per un ex agente dell' AMS. Fervido sostenitore del Man Power, lascia che sia Lisa Rogan a parlare per tutta la durata del gioco. Cosa che le riesce senza sforzo alcuno.

The House of The Dead 3- I ca ttivi Il guardiano Death | Morte è stato scelto da Ring come rappresentante dei cattivi in toto. Ex buttafuori da d iscoteca, ex guardiano notturno narcolettico, si è rifatto una vita dal giorno in cui è morto. La sua clava fatta di teschi ha vinto il premio Predator come "arma fetish 2003", mentre per la sua divisa è stato citato in tribunale dal manager dei Village People con accuse di plagio.

Gli shooter con pistola ad infrarossi sono uno dei misteri del ludomondo. Sono pochi, le pistole costano un rene, e normalmente finiscono a collezionare pulviscolo. Questo perché poche softco hanno il knowhow per editare uno shooter degno di rispetto, e quelle poche, dopo avere immesso sul mercato una light-gun normalmente costosissima in bundle col prodotto, tornano a produrre platform o picchiaduro lasciando l'utente in balia di un prodotto dalla longevità normalmente limitata, col portafoglio svuotato ed in ardente attesa di un qualcosa di nuovo che motivi quella spesa dissennata. Su Dreamcast ricordo tre titoli, forse quattro, a giustificare l'acquisto di quel costoso idrante dal grilletto arancione e dalla mira strabica ma uno di quei titoli, The House of The Dead 2 mi ha stregato e tuttora mi avvinghia nella sua orgia horror-B-movica. Il successo della saga di Wow Entertainment, nata per le sale arcade e puntualmente convertita per i sistemi home, è frutto di una semplice combinazioni di ingredienti: sangue | violenza | zombie semoventi | grafica lugubrogotica | sangue | violenza. Il tutto secondo la più tradizionale delle ricette salegiochiche: tecnologia al top prestazionale | primi livelli facilmente accessibili | boss finale da muto in banca a tasso zorro [ovverosia: furbescamente mascherato da tasso amichevole] Dopo la conversione dell'episodio uno su Saturn a cura della bassa manovalanza Sega [leggi: terribile], e la conversione dell'episodio due su Dreamcast tramite trasfusione da Naomi [leggi: perfetta] tutti noi [leggi: il sottoscritto] aspettavamo con impazienza l'episodio tre con una grande domanda a bagno nella nostra materia grigia: Wow Entertainment proseguirà d egnamente il cammino tracciato da THOTD2? La risposta è proprio qui sotto, ma prima di far calare la palpebra vi invito a rileggere la recensione del nonspilberghiano episodio due per acquisire ulteriori informazioni utili The House of The Dead III tradisce le aspettative dei giocatori

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più esigenti e di chi si aspettava un'ulteriore evoluzione di quanto visto su Dreamcast. Di fatto la versione del franchise per Gatesmobile è un prodotto onesto, terribilmente attraente nella sua cosmesi ma palesemente castrato delle soluzioni ludiche che ancora oggi mantengono sul trono del migliore l'episodio due. Ma entriamo nel dettaglio, possibilmente con un bisturi e senza anestesia, e vediamo quante tacche riusciamo ad incidere sulla tibia degli aspetti positivi, da sempre m etro di giudizio in qualsiasi shooter a sfondo necrotico. Dal punto di vista tecnografico era logico aspettarsi obese prestazioni e così è stato. Il gioco gronda sangue a 60 fps costanti, con textures perfettamente definite, effetti di illuminazione pregevoli ed un vero massacro per quanto riguarda l'aliasing poligonale, letteralmente fatto a pezzi | annientato | annichilito dal motore grafico di Wow in combo letale con l'hardware xboxico. La stabilità di i mmagine | colori | textures è come sempre eccellente, riconfermando la supremazia della macchina Microsoft in questo campo dopo la prematura morte di Dreamcast. [Crick, prima incisione sulla tibia] I necroantagonisti sono ancora una volta splendidamente caratterizzati. Si segnalano graditi ritorni dagli episodi precedenti [cosa normale, per dei rito rnanti] ed il BossDesign di Sega si d imostra ancora una volta tutt'altro che rantolante: dopo gli esotici Boss osservati in Panzer Dragoon Orta [Smilebit], Sega colpisce ancora con i guardiani di THOTDIII: carismatici, ottimamente caratterizzati e con pattern di attacco tanto spettacolari quanto [purtroppo] limitati. [Crick, seconda incisione [nonostante la purtroppolimitatezza] sulla tibia] Il level-design mostra rispetto al passato una gran voglia di risultare attraente dal primo all'ultimo minuto di gioco. Laddove THOTD2 scorreva rutilante nei primi due livelli, splendidi esempi di design, ma si intristiva nella corsa finale verso i laboratori dell'Umbrella di turno, il nuovo episodio cerca invece di mantenere una qualità costante nel tempo, riuscendovi in maniera convincente. La palma del miglior d e-


:RECENSIONI:

Ring#06 vies di serie B lasciamolo credere ai soli Wow e al loro ufficio stampa.

The House of The Dead: The Movie The House of The Dead | XBOX, elenca tra i contenuti speciali The House of The Dead | The Movie.

[…silenzio dal fronte tacche] Dopo quanto detto HOTDIII parrebbe un gioco s cevro da grossi d ifetti ma….

Il promo, della lunghezza di circa 20 minuti e di ottima resa video, sulla carta dovrebbe avere il compito di pubblicizzare e promuovere la prossima uscita del film ispirato al franchise, diretto dal te utonico Uwe Boll. La demo non riesce esattamente in quello che si era prefissata. Il film invece si. Il promo mostra dialoghi scontati, banali, pessimamente recitati, ed una trama insulsa a condire il tutto. Inoltre mette in luce assoluta infedeltà nei confronti dei capostipiti del genere mostrando zombi potenti, muscolosi, centometristi e maldestramente truccati. Alla fine della visione l'unica cosa che rimane in testa è il bikini di una delle attrici. Niente che possa convincerci a pagare un biglietto del multisala. Il film riesce invece nel suo intento: riproporre fedelmente un videogioco dai dialoghi scontati, banali, pessimamente recitati, e una trama insulsa a condire il tutto. Non bisognerebbe mai giudicare prima di aver visto il prodotto f inale, ma Resident Evil-The Movie sembra di un a ltro pianeta pur con tutti i suoi limiti. sign resta in mano al secondo episodio, anche per la varietà di percorsi alternativi [irrisoria in quest' ultima puntata], ma come qualità complessiva il nuovo lavoro di Wow è indubbiamente superiore ai precedenti. [segnata altra tacca sulla tibia dei lati positivi] Nessuna variazione dal fronte del doppiaggio e colonna sonora. Era

impossibile fare peggio dei precedenti episodi, e così è stato. Ma non prendetela necessariamente come una buona novella. Fedele alla tradizione di un doppiaggio e colonna sonora degna di un campus-movie degli anni '80, il prodotto Wow riconferma la sua voglia di non emergere in questo camp[us], risultando di una piattezza sconfortante. E che la cosa sia un "omaggio" agli horror-mo-

Ma Wow si è dimenticata che questa è una produzione Home. Dove la conversione del precedente episodio risultava vincente per diversi extra ed una versione appositamente creata con tanto di bonus ad hoc [crediti infiniti, armi speciali, colpi perforanti], l'attuale versione brilla invece per un'assoluta piattezza extragiochica, per una scarsissima scelta di percorsi alternativi ed una longevità ancor minore rispetto al predecessore. L'inserimento di THOTD2 come bonus da sbloccarsi sembra un'ammissione di colpa, più che un gradito omaggio. Tutte le tibiotacche evidenziate s opra servono solo a salvare il prodotto di Wow dalla mediocrità più assoluta, dimostrando per l'ennesima volta che convertire un prodotto da sala per il mercato casalingo è opera da affrontarsi con estrema cautela ed impegno, se si vuole uscirne con merito.

e rOWLANDS vOLTEGGIA bEATO cON qUEL sUO sORRISO iDIOTA sUL mUSO… [CREATURES II - Torture Trouble] di Federico Res

gENERE

.:scHEda:.

eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

PuzzlePlatform Thalamus Apex C=64 1992 1 PAL

Il mondo è lordo di pretesti. L’uomo adora i pretesti, li ama così tanto che se fossero tangibili farebbe con loro del sesso selvaggio. Dalla notte dei tempi tanti uomini si sono appigliati ai pretesti più disparati, e per le ragioni più subdole. Una volta un tale ha usato il videogioco come pretesto. Si è nascosto dietro a un ‘giochino’ per esternare il proprio genio maligno, la perversione ed il sadismo. Una vergogna. L’ignobile individuo si chiamava (si chiama, che io sappia) John Rowlands. E dieci anni fa, tra i possessori del Commodore 64, furono in molti a vederlo svolazzare come un gufo con un sorriso stupidosadico in bocca… Tutto quanto, in CREATURES II, è all’insegna del politicamente scorretto. Dalla qualità del design sino alla più completa anarchia (v)ideologica alla base del gameplay. Se il primo CREATURES era un platform irreprensibile ma pur sempre convenzionale, Torture Trouble riget-

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ta ogni ortodossia. Perché TT è un vero complesso bondage, fin dal basico sistema di controllo, intessuto come una ragnatela intorno al giocatore: CREATURES ammette l’uso delle quattro direzioni - con ‘up’ deputata al salto - e di un tasto di fuoco (che serve - appunto - a ‘far fuoco‘). La pressione prolungata del tasto di fuoco scatena il fiato ardente del clyde, mentre la combinazione basso + fuoco consente di selezionare l’arma da un carnet di sette. Nient’altro. Ma dove finisce il sistema di controllo comincia il design bastardo, e non v’è nemmeno l’ombra del dubbio che si tratti d’incompetenza dei designer, quanto del loro preciso volere. Perché Torture Trouble tiene fede al proprio nome secondo un disegno più ampio, perverso. Come i Fuzzy Wuzzy torturano i clyde, così TT tortura il giocatore: Rowlands assiste dall’olimpo del suo genio malato, e se la ghigna di gusto...


:RECENSIONI: Cosa c’è di più crudele di un esserino peloso sventrato sulla neve? Niente, e Rowlands se ne compiace. Goliardico, incatena un clyde e lo appende per i piedi sopra una pozza d’acqua gelida. Qualche metro più in basso, ad attenderlo, un coccodrillo affamato (gioioso per il p asto che gli si sta offrendo), e un Fuzzy Wuzzy che si diverte a gettare palle di neve nell’acqua per alzarne il livello. Tempo due minuti e il coccodrillo spiccherà il salto (?) verso le carni tenere del clyde. Il giocatore si trova su una piattaforma in alto e ha a disposizione una grossa palla di neve. Più in basso, al centro dello schermo, Rowlands volteggia in forma di gufo, con un sorriso beato sul muso…

[primo tentativo] Il giocatore spinge la palla di neve sulla destra, verso un grosso tubo (contrassegnato ovviamente come ‘ACME’). Ma la palla casca giù per una fenditura, finendo fuori portata. Passati due minuti il coccodrillo si avventa sul clyde e lo dilania, in un lago di plasma rosso vivo… e Rowlands volteggia beato col suo sorriso ebete sul muso… [secondo tentativo] Il giocatore salta a piè pari la fenditura e raggiunge il tubo. Ci si butta dentro. Un paio di secondi dopo casca giù sotto forma di palla di neve, ma il Fuzzy lo acchiappa e lo getta nella pozza d’acqua. Il coccodrillo spicca un balzo e stacca le gambe/zampe del clyde, la neve si tinge di vermiglio… e Rowlands è ancora lì che svolazza di qua e di là e se la spassa. [terzo tentativo] Il giocatore s’incazza. Dimentica la palla di n eve e il tubo, si lancia su uno scivolo a sinistra. Stupore: lo scivolo gli fa compiere una parabola aerea, e sembra che la fine della curva coincida con un bersaglio ben preciso… Rowlands che gufa avanti e indietro in un frullio d’ali. Il giocatore sorride. Ma sorride anche Rowlands, e si sposta agile sulla destra. Il giocatore manca il bersaglio e precipita in una fossa infuocata.

Ring#06 Questo è Torture Trouble. Una forma sostanziale – ma spuria – di puzzle solving mascherata da platform. Dove i classici torture screens, da variazione occasionale nel primo CREATURES, diventano il fulcro su cui ruota l’esperienza [il supplizio]. Una bomba ad orologeria che concede pochi m inuti prima di esplodere e schizzare il sangue del clyde [del giocatore] sullo schermo, che si circonda di interludi ipnotici (Interlude), traversate oceaniche (Scuba) e scontri con demoni ghiotti di lassativi (Demons). CREATURES è la perversione di un folle. La rappresentazione del sadismo ammazzapupazzi di John Rowlands, che non perde occasione per mostrarsi al giocatore, ora come un gufo che se la spassa a mezz’aria, ora come un fuzzy che stringe una mannaia da mezzochilo. In qualsiasi forma a ppaia il suo perfido sorriso è sempre lo stesso. Ma è per questo che giocare e risolvere CREATURES II conduce a moti d’esaltazione pura. Perché farla pagare a quello psicopatico, che si diverte a motosegare esserini indifesi, è la cosa più bella del mondo. Ma non crediate che lui non lo sappia…

>> STOP & GO! >> [10 secondi al box] Meglio pochi ma cattivi. È questo il mio motto. Nel 2003 gli eserciti di antagonisti digitali senza arte né parte hanno ancora ragione di essere? Hanno ancora senso centinaia di stolidi zombie prodotti in serie per infestare il Resident Evil di turno? Dei 2000 combattimenti ingaggiati nell’ultimo Final Fantasy ne ricorderò sì e no una decina. Chi me l’ha fatto fare di sorbirmi i restanti 1990 per gustarmi una storia e ottenere qualche punticino esperienza in più? Di quale crimine si è macchiato il mio p overo pad perché lo tartassassi senza criterio mentre mi avventuravo per i mondi di Kingdom Hearts? Nel cuore serbo il ricordo di boss mastodontici, agonisticamente stimolanti, ma sui polpastrelli porto i calli della carneficina becera di centinaia di pate tiche creature satelliti. Il videogioco moderno può strutturare esperienze impagabili intorno a meccaniche sofisticate e storyline sorprendenti; perché deve ingozzarsi di un’infinità di combattimenti insensati per truccare la propria longevità? Nel mio passato c’è un Devil May Cry in cui si combattono sì dozzine di bestiacce, ma tutte contemporaneamente, e dotate di un’intelligenza artificiale autentica. E i boss fanno invidia a Cosa Nostra.

:non tutti sanno che: CREATURES lo si scrive tutto maiucolo non per manie di protagonismo, quanto perché è l’acronimo di: Clyde Radcliffe Exterminates All The Unfriendly Repulsive Earth-ridden Slime. Fico, no?

Nel mio futuro voglio un Final Fantasy in cui si combatte solo con strategia, coinvolgimento e volontà, non perché altrimenti mi è preclusa l’esplorazione dei due metri di erba che mi stanno davanti. Nei miei sogni c’è un Onimusha in cui ogni scontro è un combattimento a Soul Calibur. Con J ean Reno o senza. Quello servirà a vendere, non a farmi divertire. Nel Saturn di Emalord c’è Radiant Silvergun. Anno di pubblicazione: 1998. È uno shoot’em up, per definizione il genere in cui si spara come forsennati a miliardi di navicelle idiote. E invece Radiant è una gloriosa sfilata di avversari leggendari. Tutti diversi. Tutti grossi. Tutti cattivi. Meglio pochi ma cattivi. È questo il mio motto.

[XXX tentativo] ‘mabruttofigliodiputtana’. Mentre lui svolazza e sorride come un idiota…

Cristiano Bonora

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:RECENSIONI:

Ring#06

l’eVOLUZIONE dEL sERPENTE___________________________ [Ludologica #2 Metal Gear Solid – Hideo Kojima] di Nemesis Divina Meglio tardi che mai, è noto. Gli ultimi anni sono stati, per l’Italia, un periodo di crescita per quanto riguarda l’indagine del medium videointerattivo, un’indagine che se in altri paesi era iniziata già da un po’, da noi stentava ad attec c hire. Se in USA e UK non è difficile reperire un buon numero di testi sull’argomento, da noi queste letture latitano o sono comunque irreperibili. Oggi, guardandoci attorno, vediamo un fiorire di nuove realtà avanguardiste: una è RING, certamente, che si presenta c ome la proverbiale ‘botte piccola’. Abbiamo accolto con piacere la nascita di TheFirstPlace.it , sito in continua espansione grazie anche al contributo di una community ampia e volenterosa. Alle porte l’atteso progetto cartaceo Sim/otic@, contenitore specialistico e sperimentale, promosso da quel Matteo Bittanti che più volte ricorre su questo numero di RING, un Bittanti che, coadiuvato da G ianni Canova e s ostenuto da Edizioni Unicopli, è padre di una nuova collana, a tema videoludico, che troveremo presto in libreria: Ludologica. Ludologica nasce con il preciso intento di fornire un archivio info rmativo ma anche di ampliare la visione generalista del poco materiale oggi disponibile, sarà evitato un approccio onnicomprensivo prediligendo un’analisi approfondita del dettaglio, del gioco e dell’autore, tralasciando quindi un colpo d’occhio d’insieme giocoforza i ncompleto. Avremo dunque testi mirati la cui prima salva è rappresentata da un’interessante combo: un’analisi dell’intera saga di Metal Gear ed un lungo excursus su Age of Empires. In questa occasione ci occuperemo del primo titolo, benché esso costituisca il secondo numero della collana (ambedue disponibili da fine Giugno). Ad opera di Bruno Fraschini, ins egnante di Game Design presso l’Istituto Superiore di Comunicazione di Milano, il volume conc ede un ampio e dettagliato scorcio della nota saga videoludica, a firma Hideo Kojima. Fraschini passa agli infrarossi la serie o ptando per un’analisi cronologica e suddivisa in comparti stagni, non invischiandosi in comparazioni incrociate e rimandi che avrebbero reso forse confusa la lettura. La chiarezza è d’altra parte una delle caratteristiche proprie di Fraschini; evitando costruzioni arzigogolate o terminologie ad effetto, l’autore adotta quasi sempre un registro pulito che accompagna una lettura spedita e piacevole, colma di dati ed intuizioni spesso brillanti. Il testo è suddiviso in quattro s ezioni cui va aggiunto un intermezzo sul linguaggio videoludico e sul ruolo del videogiocatore (attore e regista del VG); i quattro capitoli sul brand Konami rappresentano il corpo del volume e ognuno di essi procede all’esame di un singolo episodio della saga. Si comincia con il primo Metal Gear, datato 1987, cui s egue la disamina di Metal Gear: Solid Snake: i due elaborati sono essenzialmente un sunto degli eventi occorsi a Solid Snake nelle missioni di Outer Heaven e Zanzibar, rispettivamente; in a ggiunta una serie di considerazioni

sull’influenza che il contesto tecnologico dell’epoca esercitò sul design d el gioco (pertinente l’esempio del binocolo che, se usato, concedeva ‘l’anteprima’ della schermata successiva, indipendentemente da eventuali ostacoli che ne i mpedissero la visione), si tratteggia poi l’interesse di Kojima verso i temi d’attualità e c’è tempo anche per indic are quei pic coli fermenti metareferenziali che esploderanno, anni dopo, in Metal Gear Solid e MGS2. Segue la seconda coppia di saggi, nonché la migliore per approfondimento e potenziale delle opere in discorso. Nell’esaminare Metal Gear Solid per PSX, va detto, Fraschini abbonda forse nel ‘riassunto sistematico’ e in eccessivi rimandi tecnici all’ambito cinematografico; ripercorrere i tratti s alienti di MGS e MGS2 resta comunque una pratica avvincente, specie alla luce dell’interpretazione che l’autore dà dei fatti del gioco e delle scelte di Kojima, scelte culmininanti in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, dove il VG esprime al suo meglio il proprio potenziale immersivo e comunicativo e dal quale l’autore estrapola un’interpretazione dei fatti singolare, a tratti inquietante. Ci troviamo di fronte ad un volume essenziale, dunque? Non è semplice rispondere. La struttura del libro è volutamente schematica e sintetica, ma fo rse avrebbe giovato alla completezza uno sguardo che esamin a s s e in profondità l’autore e le differenze/similitudini fra i vari capitoli della saga. Il difetto ‘grave’ del lavoro è però extratestuale e riguarda la non completa originalità dei lavori; alcuni di essi, infatti, sono già stati parzialmente pubblicati sulla rivista Super Console dacché potreste non gradire l’acquisto di un libro già letto. Va pure detto che, oltre alla comodità di avere una raccolta del materiale in es ame, l’acquisto ha senso poiché gli articoli sono stati arricchiti e non si limitano, quindi, ad una vuota riproposizione di materiale già pubblicato. Ci sentiamo quindi di cons igliare il supporto di questa importante iniziativa, sia ai cultori della saga sia a quanti vorrebbero approfondire lo studio del VG con esempi concreti cui fare riferimento (previo completamento dei relativi titoli, gli spoiler nel testo sono enormi e i nnumerevoli…). Sempre nella collana Ludologica, oltre ad Age of Empires – Bruce Shelley (di Carlo Molina), sono previste le pubblicazioni settembrine di The Sims – Will Wright (di Matteo Bittanti) e Ultima – Richard Garriott (di Paolo Paglianti). Ribadiamo: meglio tardi che mai. Metal Gear Solid – L’evoluzione del serpente Autore: Bruno Fraschini Editore: Edizioni Unicopli Pagine: 1 6 0 Prezzo: 12 Euro

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__Voci Veloci con… Bruno Fraschini RING: Perchè un libro sulla saga di Metal Gear. BF: Primo motivo: perchè sono convinto che i videogiochi possano essere molto più che semplice intrattenimento. Hideo Kojima è un autore che utilizza i videogiochi per dire qualcosa di interessante e non, più semplicemente, per d ivertire i giocatori. Secondo motivo: MGS2: Sons of Liberty è stato frainteso da molti (d'altronde è un testo ambiguo). Il libro vuole essere un contributo utile a comprendere meglio un'opera complessa. Terzo motivo: ambizione, fama e soldi. :) RING: Kojima è uno dei pochi creatori di VG con qualcosa da dire. Il mutismo di altri designer credi sia da imputarsi al loro disinteresse, alla loro in capacità o all'ostracismo dell'industria. BF: Penso si tratti di una situazione che la maggior parte degli sviluppatori nemmeno intuisce, dovuta essenzialmente all'idea che l'opinione pubblica si è fatta dei videogiochi. I videogiochi s ono da sempre cons iderati dei giocattoli (soprattutto su console) e, per ora, bisogna essere d i ampie vedute per cons iderarli dei testi al pari di film o libri. È già successo per i fumetti ed è esattamente la stessa cosa. RING: MGS prima e MGS2 poi affrontano tematiche extraludiche, che toccano nel profondo e stimol ano la riflessione. Il pubblico è pronto a questo (e se no, lo sarà mai)? BF: Credo esistano molti giocatori che non aspettano altro. Per i giocatori delle prossime generazioni, che non avranno certi pregiudizi in testa, probabilmente quello dei gioc h i ‘impegnati’ sarà solo uno dei tanti generi tra cui scegliere. Inoltre anche i giocatori della vecchia guardia, che hanno iniziato a videogioc are vent'anni fa, cominciamo a desiderare qualc osa di più ‘succoso’. È inevitabile, quando avremo sessant’anni vorremo giocare ancora ma cercheremo qualc os a che sia intelletualmente ancora più stimolante. RING: Che idea ti sei fatto di MGS3? Cosa pensi che sarà… o vorresti che fos se. BF: Ho visto molto poco di MGS3 e penso che, al solito, il signor Kojima si stia divertendo un mondo. Hideo cercherà cannibalizzare in qualche modo il suo personaggio (da cui il sottotitolo Snake Eater). Se sarà un gioco online Snake si moltiplicherà e magari diventerà un avatar, alla fine salterà fuori il ‘vero’ Solid Snake a reclamare la propria identità. Penso che comunque ci aspetti qualcosa di ironico (come al solito), epico e divertente. Non è da escludere qualche bel discorso metareferenziale, ma sono solo supposizioni.


:RUBRICHE:

Ring#06

iL rISPETTO pER gLI aNTENATI______________________ [Me Nintendo #6] di Gatsu ”Rispetta gli antenati, altrimenti te la pigli nel culo.” Antico proverbio cinese “Oggi scrivo un articolo trasversale” Gatsu, pensando che dopo l’E3 di Nintendo ne potrà parlare anche troppo Il revival delle vecchie glorie videoludiche è sotto gli occhi di tutti. Non parlo solo di vecchi personaggi riportati alla ribalta quali Rygar o Shinobi, ma mi riferisco alla sempre più massiccia presenza delle “versioni precedenti” di certi giochi nei prodotti odierni. Esempi eclatanti da inserire in questa casistica sono da ricercarsi nei recenti Panzer Dragoon Orta (Panzer Dragoon), House Of The Dead 3 (House Of The Dead 2), Shen Mue 1&2 (Outrun, Afterburner, Space Ha rrier, Hang On), Animal Crossing (decine di vecchie glorie sbloccabili – anche con l’ausilio delle carte dell’E-Reader, tipo Donkey Kong) e soprattutto negli eccellenti Zelda The Wind Waker (Zelda Ocarina Of Time e OOT Master Quest) e Metroid Prime (Metroid). Prima di tutto è interessante notare come le case dedite a questo nuovo espediente siano in realtà quasi solo i “nomi storici” dell’industria videoludica giapponese: una motivazione concreta non c’è (qualsiasi altra casa può riproporre alcune delle sue vecchie glorie come bonus all’interno di un gioco attuale), se non quella del “peso affettivo” che possono avere certi vecchi nomi nella fase di promozione di un prodotto. In secondo luogo è importa nte accorgersi di c ome l’inserimento di vecchie glorie nei giochi a ttuali non sia più “un semplice bonus”, ma un vero e proprio motivo che spinge il giocatore a comprare il prodotto. L’inserimento di DVD aggiuntivi o cd musicali all’interno di un gioco non è certo pratica recentissima,

già titoli importanti come MGS2, SH2 o FFX avevano gadget simili (ma perfino la versione PAL del vecchio Killer Istinct per SNES aveva un cd musicale in omaggio…), ma la svolta radicale in questo processo è stata data senza dubbio dall’uscita di L'edizione limitata di Zelda The Wind Waker. NoZelda: The Wind Waker. tare il classico colore dorato ("era fico negli anni L’omaggio di Zelda O'80", ebbe a dire l'infausto Pupazzo Gnawd a procarina Of Time e Master posito) e il terribile bollino 10/10 che ne rovina la Quest a chi prenotava il perfetta armonia grafica gioco (America e Giappone) ha dato vita nei paesi succitati ad un vero e proprio mercato nero riguardante la sola riedi:ringterview-mini: zione del capolavoro per N64! La mossa di includere direttaDurante un recente incontro mente il gioco nella confezione PAL, con la stampa, un redattore di in edizione limitata, è, oltre che Ring ha chiesto a Shigeru Mibenvenuta, anche ben studiata: yamoto per quale motivo, in questa fantomatica “quantità limiSuper Mario Sunshine , Nintata” è tutta da verificarsi, ma chi tendo non avesse incluso come può resistere alla tentazione di bonus-game il mitico Super prendere tre piccioni con una f ava? Mario 64: una strategia reCome per i cd musicali l’insericentemente adottata nella limimento di DVD bonus, versioni digited edition di Zelda: The pack, artwork irriproducibili sembra Wind Waker e che, se effetessere diventata la strada maestra tuata anche per l’ultima ediziocontro la pirateria. Anche per il v ine del platform per eccellenza, deogioco quindi si prospetta un’era avrebbe potuto trainare consiin cui la “confezione” del prodotto derevolmente le vendite. non sarà meno irrinunciabile del «Abbiamo valutato l’ipotesi, – prodotto stesso. Il videogiocatore ha risposto Miyamoto – ma alla gioisce, ovviamente, pensando fine l’abbiamo accantonata: beato al prossimo capitolo di Mario, non volevamo mettere in diffiche avrà incluso nella confezione coltà gli acquirenti nel tentatiSuper Mario 64. vo di capire quale dei due giochi fosse quello nuovo, e quale solo il bonus…»

:Scioccante!: «Esterno, giorno, un’isola sperduta in mezzo all’oceano. Link si sveglia stropicciandosi gli occhi, è la sorellina Aril a chiamarlo, oggi è il compleanno del suo fratellone e il desiderio di donargli, almeno per un giorno, il suo “tesoro” più prezioso è grande.» Dopo aver letto l’incipit della recensione di Zelda: The Wind Waker, pubblicata sul numero 13 di Nintendo Rivista Ufficiale, un parlamentare della maggioranza ha ventilato l’ipotesi del reato di incoraggiamento alla pedofilia, con l’aggravante dell’incesto. Si è quindi formata una commissione di indagine a cui hanno aderito deputati di tutti gli schieramenti. D opo due settimane di attento studio, la commissione ha inviato alle Camere i l seguente resoconto: “Chi diavolo è il v igliacco da fotografare sull’isola Taura?”

Due esempi perfetti di come invogliare gli utenti a comprare originale. Sulla sinistra lo spettacolare digipack dell'album Last fair Deal Gone Down dei Katatonia, sulla destra l'extended edition della Compagnia Dell'Anello. Quando la confezione diventa importante come il prodotto…

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:TESORI SEPOLTI:

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tESORI dI tREASURE______________________________ [Bakuretumuteki Bangaioh] di Emalord .:scHEda:. Shooter gENERE eTICHETTA Treasure sVILUPPATORE Interno sISTEMA Dreamcast aNNO 1999 gIOCATORI 1-2 vERSIONE Jap Quando sulla cover di un videogioco a ppare il logo di Treasure, è cosa poco saggia indirizzare lo sguardo altrove. Certo, gli shooter possono aver fatto il loro tempo, gli arcade sembraranno cose da bambini, gli action games con pers onaggi bicromi e pupazzosi possono apparire inutili, ma sottovalutare o misconoscere il nome di questa softco non è c osa sensata, se davvero si ama il videogiocare. Treasure è una delle poche softco che non sbaglia un colpo e quando lo sbaglia ti accorgi che comunque il prodotto è di gran lunga superiore alla media. Frasi grosse, ma vere. Prendere un qualsiasi titolo di questa softco significa trovarsi di fronte ad un gameplay impeccabile, ad una grafica mai banale, ad una difficoltà perfettamente calibrata. I giochi Treas ure sono sovente etichettati come difficili, ed è in parte vero, ma se cercassimo di definire la loro presunta difficoltà ci a c corgeremmo che si tratta di un giudizio solo relativo, un giudizio tratto dal nuovo corso di un mercato mass- market votato a giochi che ci preservino dalla tachicardia. Giochi dove il concetto di morte sembra tabù quanto nella realtà. I giochi Treasure sono difficili solo perché i nostri sensi sono annebbiati e rallentati da una vita videoludica che scorre pigra e senza clamori, senza scosse di adrenalina, dove tutto è studiato per permetterci di arrivare alla fine di un gioco senza scossoni bruschi, senza farci sentire degli inetti a causa di quattro game over consecutivi in 15 minuti 15 di gioco. Ma è davvero così b rutto sentire di dover dare il meglio di noi per battere un gioco e la macchina dietro di esso? È davvero fuori luogo un livello di difficoltà crescente, in modo da sentire l’inebriante odore della conquista di fronte all'ultimo, imbattibile- ma- solo-inapparenza, Boss? I giochi Treasure non brillano solo per la perfetta calibrazione della loro cattiveria, ma anche per un game design ineccepibile. Non è mai questione di ‘andare avanti p igiando bottoni a caso che tanto si arriva comunque alla fine’, come troppo sovente accade oggi. Ci s ono sempre molteplici fattori che concorrono al dis egno finale di un gioco Treasure e tutti sono figli dei concetti di ritmo | tempo | modo | colore. Non esistono tempi morti, non esiste un solo tipo di attacco e magari neanche un solo tipo di d ifesa. I nemici non sono mai uguali tra loro e normalmente ogni singolo avversario

necessita di un preciso approccio guerresco. Fraintendere un colore, un ritmo, un pattern, significa di solito andare incontro a morte sicura. Il cervello deve sempre essere sveglio, brillante, attivo, a ltrimenti è meglio lasciare la console spenta o dedicarsi al 98% della restante produzione ludica. Chi di voi è digiuno del concetto di game design sarà a questo punto portato ad immaginarsi giochi caotici e ostici sistemi di controllo, eppure (sta qui il bello) niente è mai complicato in un gioco Treasure. Di solito b astano tre, quattro pulsanti per godere di piccoli grandi capolavori. Caos controllato, devastazione chirurgica, dittatura anarchica. Questa è T reasure, e molto di più.

usato. Se nei primi livelli la presenza nemica è rarefatta, e nasconde la geniale meccanica sottesa all'uso della smart, dal decimo livello [circa] tutta la libidinosa filosofia Treasure trabocca dallo schermo dissetando i videoplayer arsi dalla sete di originalità ludica. Non parliamo di una smart- bomb qualunque, devastante bomboniera esplosiva e priva di stile. Tutt'altro, questo è un ordigno da usare con criterio ed intelligenza, d ato che la sua potenza è direttamente proporzionale al ‘rischio’ che stiamo correndo. In s oldoni: il suo uso in un tranquillo momento di gioco comporta il lancio di una piccola quantità [una quarantina] di missili | laser tutt'intorno al giocatore. Il suo utilizzo in un momento di crisi, ad esempio quando si è circondati da un centinaio tra proiettili e missili avversari, è invece doppiamente terapeutico ed incentivato: fino a 400 [leggi quattrocento] proiettili possono essere lanciati contemporaneamente su schermo dal proprio mech, con devastazione ad ampio raggio. Maggiore è la quantità di proiettili esplosi, maggiore sarà la presenza di bonus su schermo atti a reintegrare le smart bomb a disposizione. E non avete idea di quanto queste siano fondamentali per uscire indenni dall'ultima serie di livelli. Cinque smart- bomb sono l'abbondanza nei primi livelli ma diventano carestia negli stage avanzati.

Un lampante esempio della genialità di questo gruppo di programmatori è Bakuretumuteki Bangaioh. Uscito originariamente su N64 e successivamente portato su Dreamcast, questo gioco può e s s ere a buona ragione considerato un piccolo manifesto della loro filos ofia: in un periodo di rivoluzione treddì, in un epoca dove dire ‘bidimensionale’ significava bestemmiare contro il dio Gioco, Treasure partorisce un gioco sfacciatamente bidimensionale che è uno shooter ma anche un puzzle game. Perché Treasure e ‘banalità’ sono termini che non pas seggiano mai a braccetto. Bangaioh è uno shooter atipico e splendido. Tanto splendido quanto scon o s c iuto ai più. Una quarantina di livelli si susseguono velocemente, ed ogni l ivello è caratterizzato da un piccolo ma deciso incremento della difficoltà. Il giocatore controlla un mech dalla doppia funzionalità [il concept del ‘duplice’ ricorre in Treasure e la troviamo anche in Ikaruga e Silhouette Mirage] che si manifesta nel tipo di proiettili usati. Il personaggio maschile usa missili a ricerca automatica, perfetti negli spazi liberi e per colpire nemici nascosti dietro agli angoli, quello femminile usa un laser che paga con la monodirezione la possibilità di rimbalzare sui muri, con ovvi effetti devastanti in tunnel e strettoie. Già questa varietà potrebbe bastare ad elevare il prodotto dalla massa, ma il bello deve ancora v enire. All'inizio di ogni livello il gioc atore dispone di una smart bomb i cui effetti dipendono dal personaggio

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Stiamo parlando di uno shooter singolare, con approccio grafico fumettoso e disimpegnato, eppure dal gameplay ponderato in ogni sua forma, sempre perfettamente bilanciato e costruito attorno ad un’idea semplice ma brillante (come da prassi Treasure): l’uso a mente lucida di una smart- bomb ed i suoi effetti auto- rigeneranti. Infine, per variegare l'esperienza di gioco, ai passaggi di selvaggia devastazione vengono alternati puzzle stage, dove uno shooting ragionato e lento, che contrasta con la frenesia dei livelli normali, va di pari passo ad un design che c astiga ogni infinitesimo errore. Ma è una difficoltà che non spaventa, perché è una difficoltà che premia. Perché Treasure è soddisfazione, talvolta masochistica, ma sempre e comunque soddisfazione. Su vasta scala.


:RUBRICHE:

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sONIC tEAM_____________________________________ [Sega Saga #5] di Emalord Da SEGA SAGA #1 : …… Nell’anno che da sempre identifica l’immaginario di un futuro splendente nascono: Wow Entertainment – Sega-AM2 – Amusement Vision – Hitmaker – Overworks – Smilebit – Sega Rosso – Sonic Team – United Game Artists – Wavemaster e Visual Concepts ….

Appunti di viaggio: il importanti in assoluto mio quinto numero di non solo nella galassia Sega Saga mi sta porSega ma nel mondo tando verso una secca. videoludico più in geneO per usare un'altra rale. simbologia marinara, mi Sonic team, datti da sta portando verso il fare o ti faccio pulire il Mar dei Sargassi, un veliero di Ring con uno luogo misterioso | perispazzolino da denti. È coloso | algoso dove il una promessa. Da m arischio di arenarsi è rinaio. sempre dietro l'angolo. Perché si sa che il mare Sonic e Yuji Naka trabocca di angoli. _________Sonic Time (Naka è quello Il sito ufficiale di Asulla destra…) musement Vision, come Se all'interno dei clan quello di Overworks, Sega dovesse esplodetanto per fare nomi che non abbiare una guerra intestina per decidere mo ancora trattato in questa rubriquale, tra le softco di casa, sia la ca, mi hanno deluso per un'assoluta più amata e rappresentativa della mancanza di parti in lingua inglese segafilosofia ludica, probabilmente e per la stringata e l acunosa seziola battaglia finale si giocherebbe tra ne dedicata a storia e dati generali AM2 e Sonic Team. Una sfida inedelle due softco. I due siti, ma non briante, basata su enormi potenziasono gli unici, debordano come una lità produttive ma anche umane. mousse al cioccolato di news, inUna guerra condotta a suon di franformazioni generali, comunicati chise vincenti da due comandanti | stampa, ma sono assolutamente leader maximi universalmente ricoprivi di un'accurata storyline, di una nosciuti come due delle menti più lista delle loro produzioni, di sezioni geniali e creative dell'intero ludodedicate a chi, come il sottoscritto, mondo. Da una parte l'aemmeduico cerca semplicemente di fare una Yu Suzuki, papà di Shen Mue e Vircronistoria alla ricerca delle radici tua Fighter, probabilmente IL perdella filosofia e del pensiero di Sega sonaggio Sega da contrapporre a e dei suoi clan. È un peccato doverMyiamoto e concorrenza a ssortita; si affidare a riviste, siti Web amatodall'altra Yuji Naka, leader di Sonic riali e non, per trovare notizie che Team, un uomo d alla fama internadi norma dovrebbero essere parte zionale inferiore a quella di S uzuki integrante dei siti ufficiali delle sofma ciononostante nome di spicco tco Sega. Massimo rispetto in quenel panorama Sega in quanto creasto senso a Wow Entertainment, tore | papà di quell'icona ludica che AM2, Smilebit e Hitmaker, che ancora oggi è associata a Sega c ohanno realizzato siti seri, agili, in me Mario è associato a Nintendo. lingua comprensibile e ricchi di i nStiamo parlando di Sonic ovviaformazioni utili per la stampa spemente, il porcospino blu più famoso cializzata ma anche per avventori del mondo. Un mondo che invero più o meno causali. Note di biasimo non pullula di porcospini blu, ma invece per i siti già menzionati ma pareva comunque bello dirlo. anche per Sonic Team, il team preNaka, nato il 17 settembre 1965, so oggi in esame, per una ridicola nonostante la giovanissima età è parte in lingua inglese e per una un leader riconosciuto. Il suo grupscadente | lacunosa | irrilevante po, il Sonic Team [http://www.so sezione dedicata ai giochi prodotti nicteam.com], nasce ufficialmente nel passato. Una mancanza che il 21 aprile 2000 e risiede come posso tollerare per softco neonate o tanti altri clan sega nel Sega misconosciute come Wavemaster, Building a Tokyo, in uffici tinteggiati ad esempio, ma che mi sembra asdi blu dove è assolutamente obblisolutamente nonsense per una sofgatorio vestire scarpette da ginnatco che si presume sia tra le più stica rosse.

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Non è vero. Ma forse si. È invece vero che ST ha anche un secondo ufficio a San Francisco, ponte radio per diffondere notizie blu anche nel paese dove Army Men è un franchise apprezzato e la pornografia è una ragione di vita. E non è un caso che la bandiera yankee sia caratterizzata dai colori rosso e blu come la mascotte Sega. Ma forse si.

_______________Sonic Stream Le radici ludiche del Sonic Team si perdono nella metà degli anni '80, per la precisione nel 1984 quando Naka entrò a far parte di Sega, e la prima piattaforma da cui cominciarono a succhiare il midollo del successo è stato Megadrive/ Genesis. In omaggio alla [dis]organizzazione del sito di ST, diversamente del solito non redigeremo una cronistoria della produzione soniteamica, quanto piuttosto una lista delle uscite in base alla console di appartenenza, piccolo espediente che comunque vi permetterà di capire anno di produzione dei vari titoli grazie alla ikeica suddivisione del vostro cervello in tanti piccoli spaziotempo. Qualsiasi cosa significhi. _____________ Master System [Fine anni '80. Madonna canticchia True Blue | Baby I Love you ed il mondo scopre che non è più vergine] Sonic Sonic Sonic Sonic Sonic

the Hedgehog the Hedgehog 2 Spinball Blast Chaos

_________Genesis | Megadrive [Inizio anni '90. Il mondo scopre i 16bit, ed i 16bit scoprono che


:RUBRICHE: Megadrive, negli Stati Uniti, è una marca di preservativi. Sega Genesis è l'alternativa yankee. Phil Collins non sporge reclami e fa palloncini coi condom] Phantasy Star IV Shining Force Shining in the Darkness Sonic & Knuckles Sonic Classics 3 In 1 (Sonic Compilation) Sonic Spinball Sonic the Hedgehog Sonic the Hedgehog 2 Sonic the Hedgehog 3 ________________Game G ear [Inizio anni '90. Sega crea un Master System portatile che succhia pile come fossero spremute. Phil Collins fa spallucce e continua a fare palloncini coi condom]

Ring#06 Sonic X-Treme (Pr oject Sonic)

_______________________PC

_________________Dreamcast

[Quando il porting è l'arte del finanziare le proprie casse con il m inimo sforzo]

[Inizio del 21° secolo. Sega immette sul mercato il primo 128bit della storia, tutt'oggi ineguagliato per qualità delle textures e dei colori. Ma Sega stava raccogliendo la tempesta seminata anni prima. Lacrime e sangue] Chu Chu Rocket Phantasy Star Online Phantasy Star Online Version 2 Samba De Amigo Samba De Amigo Ver. 2000 (Import) Sonic Adventure Sonic Adventure 2 Sonic Adventure International Sonic Adventure: Limited Edition

[metà anni '90. Sega pensa che un Megadrive capace di gestire textures e poligoni è destinato ad un successo sicuro. Nel medesimo istante il mondo capisce che Sega è destinata ad un insuccesso sicuro]

Sonic CD ____________________Saturn [Metà | fine anni '90. Doveva essere il rappresentante di una nuova era. E lo fu. Il successo della concorrente Sony PSX rappresentò il tramonto dei fasti Sega dopo anni di dominio] Burning Rangers Christmas NiGHTS NiGHTS into Dreams Sega Ages: Phantasy Star Collection Sonic Jam

Sonic Heroes _____________________Xbox

[Una nuova console? Beh. Un portatile? Certo. La prima memory card | tamagotchi della storia. E anche l'unica] Chao Adventure 2 (Sonic Adventure 2) _______________Sonic Theme __________Game Boy Advance

[Un add-on per Megadrive che avrebbe dovuto godere della enorme capienza di dati del supporto digitale. Forse solo il 64dd di Nintendo è stato un insuccesso più fragoroso]

[Sonic Heroes è la risposta a chi accusa Sega di disprezzare la nuova console Sony. Si, certo, è un progetto multipiattaforma… ed è l'unico titolo per PS2 in cantiere…. Va bene, Sonic Heroes non è una risposta]

_____________Dreamcast VMU

Knuckles Chaotix ___________________Sega CD

_______________PlayStation 2

[Ed è festa. La console Microsoft gode fin da subito del più grande JRPG on-line di sempre in attesa di altri porting di successo] Phantasy Star Online Episode I & II

Dr. Robotnik's Mean Bean Machine Sonic the Hedgehog Sonic the Hedgehog 2 Sonic Spinball Sonic Blast Sonic Chaos __________________Sega 32X

Sonic and Knuckles Sonic CD

[2K. Sega produttore di Hardware è un ricordo. E decide di dominare il mondo del software. Sega e Nintendo cominciano a stipulare contratti inimmaginabili fino a poco prima. Ed i risultati non mancano] Chu Chu Rocket Nights Score Attack (GameCube Download) Puyo Pop Sonic Pinball Party _________________GameCube [La collaborazione tra Sega e Nintendo non si ferma ai portatili. E non si ferma al solo Sonic Team. Si prevede un futuro radioso] Phantasy Star Online Episode I & II Sonic Adventure 2: Battle Sonic Adventure DX Sonic Mega Collection

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Se guardaste ora il mio volto, notereste brandelli di stupore incastrati tra una ruga e l'altra. Se poteste leggere tra le rughe, la causa di siffatto stupore vi sarebbe lampante. Ma come - mi chiedo -, com'è possibile che Sonic Team sia tra le softco più conosciute di Sega? Da una rapida disamina della produzione ST, sembrerebbe che la fama di cui gode il clan di Sonic non sia forse così meritata. Com'è possibile che case come Smilebit o Hitmaker, a rtefici di moltissimi successi, godano di una fama di gran lunga minore rispetto alla softco sotto osservazione? Conto due [2] franchise di rilievo nella produzione ST: Sonic e Phantasy Star. Vedo molteplici episodi, varianti, spin-off, ma niente di veramente epocale. Vedo brillanti intuizioni come Samba de Amigo e Nights, ma niente che si possa definire ludicamente rilevante.


:RUBRICHE: Vedo il puzzle game più divertente della storia [Puyo Puyo, sviluppato anche da WOW Ent.], vedo un gioco che ha saputo spremere il Saturn come pochi altri [Burning Rangers], ma ciò non mi toglie dalla testa che l'enorme | sterminato successo della casa di Na ka sia frutto di una fantastica campagna di marketing, più che di una rilevante innovazione ludica. Entrare nel sito di Sonic Team s ignifica entrare in un mondo meraviglioso popolato da pupazzetti di Sonic che passano i loro pomeriggi a vedere la serie televisiva di Sonic in una televisione tappezzata da adesivi di Sonic ed abbellita dalle statuette in vetro di Sonic. C'è del marcio in tutto questo. Perché il marketing è cosa buona e giusta, ma da una casa come ST mi aspetterei qualcosa di più. Vedo sforzi produttivi indirizzati male, vedo priorità che poco hanno a che fare con i videogames, vedo una casa che esiste da troppo te mpo per avere così pochi titoli in c atalogo. E così poco differenziati. Intendamoci: Sonic ha cambiato il mondo dei videogames, e Phantasy Star on Line tre anni fa faceva quello che fanno ADESSO le softco più rinomate: giocare in rete. Chapeau, certo. Complimenti vivissimi, certo. Ma non sarebbe ora di svegliarsi? Sonic team mi ricorda Squaresoft, e non è un complimento in questa sede.

Ring#06 Square si mise in luce a metà anni '90 con una produzione sconvolgente fatta di shooter, beat'em'up, giochi di guida, arcade/RPG di notevole fattura e fantasia. Ogni uscita era un successo, un'innovazione. Era l'originalità fatta pixel | poligono | soundtrack. Poi il buio. E un franchise sfruttato fino all'osso. La Square di oggi è il fantasma di se stessa. E non voglio che ST faccia la stessa fine. Dalla casa di Sonic è lecito aspettarsi tanto, ed è lecito aspettarlo in breve tempo. Sonic Team, se ci sei, batti un colpo.

Riallacciandomi alle altre tematiche di Sega Saga, è interessante in conclusione notare come ST sia forse uno dei clan sega meno indirizzato politicamente: Gamecube, XBOX, Gameboy e Dreamcast di dividono equamente le attenzioni del nakateam da qualche tempo a questa parte, facendo più che altro risaltare una certa antipatia per l'unica console esclusa, che gode di

un solo contentino, tutt'altro che esaltante. Appunti di fine viaggio Sega Saga finisce qui. Rimarrebbe molto altro da dire | fare | baciare | lettere | testamento, ma la verità è che sopraggiunti nuovi ed impellenti impegni di lavoro hanno castrato il mio tempo libero in maniera e unuchea, e questo fattore unito alle difficoltà di ricerca menzionate ad inizio rubrica rischiano di limitare fin troppo il mio contributo a Ring. Sono fermamente convinto che le cose vadano fatte bene, o non v adano fatte proprio. Ecco perché a bbandono, perché altrimenti la qualità di questa rubrica ne risentirebbe. E mi parrebbe ingiusto nei confronti di chi legge e si aspetta di trovare commenti o notizie interessanti. Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuto finora e mi hanno letto con [spero] interesse. Sega Saga mi ha aiutato a comprendere Sega, a capirne punti deboli e di forza, e nonostante molte critiche possano essere imputate alla casa di Sonic, credo che se Sega scomparisse il mondo dei videogames ne soffrirebbe terribilmente. Se qualcuno fosse interessato a mantenere viva questa rubrica, se addirittura volesse gestirla in mia vece, non esiti a scrivermi in privato. Grazie | grazie | grazie Emalord

cITIZEN mATT: sULLE tRACCE dEL fILOSOFO___________ [PEOPLE: Matteo Bittanti] di Paolo Jumpman Ruffino Il contesto rende difficile parlare di argomenti seri, ma oggi ci tocca, ed è importante farlo. Pochi giorni dopo l’arrivo in redazione dell’intervista pubblicata a pagina 14 abbiamo ricevuto una segnalazione da parte di alcuni familiari di Matteo Bittanti. La notizia, che ci ha lasciato sconvolti, merita una certa attenzione da parte di tutti. Abbandoniamo i campanilismi da scoop giornalistico e cerchiamo, con rispetto verso chi ama questo ragazzo, di approfondire la questione. L’intervista che trovate in questo stesso numero di Ring è l’ultima testimonianza lasciataci da MBF prima di sparire in circostanze m isteriose. Parenti ed amici sono in

cerca di indizi, tracce che permettano di ritrovarlo. Le ipotesi di rapimento o suicidio non sono probabili: troppo povero per un riscatto, troppo impaurito dalla vista del sangue per aver deciso di compiere un gesto estremo. Ma in effetti, e l’intervista ne è una chiara prova, da tempo MBF dava segni di squilibrio. Confusione e delirio d ovuti forse al troppo lavoro lasciano sperare in una semplice fuga vacanziera lontano da tutto e da tutti. Chi gli è sempre stato vicino ha deciso di non lasciar trapelare la notizia per non creare discussioni sulla sua vita privata. Pur rispettando questa scelta, abbiamo deci-

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so di approfondire la questione. Dobbiamo ammettere che la scelta di inviare le risposte alla nostra intervista subito prima di sparire è un gesto che ci lascia riflettere. Forse, anche sentire in colpa. Chiamati in causa da questo g esto abbiamo deciso di cercare tra chi lo conosce degli indizi che ci permettano di risalire alla causa scatenante di quest’azione. Dov’è finito Matteo Bittanti? Ma soprattutto, chi è Matteo Bittanti? Nato il 31 Gennaio del 1973 frequenta asilo ed elementari a San Pietro all’Olmo, passa poi alla scuola media Colorni di Milano e al liceo scientifico Majorana. Dotato di particolare intelligenza, si distingue dalla prima infanzia anche nel mondo dei videogiochi. Condotto


:RUBRICHE: dai genitori nella redazione di Zzap! all’età di soli sei anni, stupisce i presenti con la sua immensa conoscenza. Interrogato dai membri della redazione attorno a lui, risponde a domande spinose e contorte che da tempo facevano discutere i filosofi del videogioco. E proprio questa dimostrazione di saggezza, insieme ad una lunga serie di lettere inviate a Zzap! firmate dal “Filosofo”, fanno decidere ai piani alti di chiamare Matteo Bittanti a lavorare tra loro. E sarà proprio la rubrica della posta il luogo dove, nascondendosi sotto la sigla MBF, crescerà il giovane Matteo. “La posta cambiò completamente linea diventando, de facto, una delle rubriche principali all'interno di Zzap! prima e The Games Machine poi.” commenta un cupo Simone Crosignani “L’unico Paese in cui la posta sembra avere ancora un'importanza fondamentale nelle riviste di videogiochi è proprio l'Italia. Secondo me il merito (o la colpa) di questo è proprio di Matteo.”. Intanto, sotto consiglio del fratello Gianandrea, Matteo propone l’angolo di Zia Marisa, un esperimento unico nel suo genere nella storia del giornalismo. Una fantomatica Zia (a cui Matteo, negli ultimi tempi, sembrava credere davvero) risponde alla domande dei lettori riscuotendo successo ed ammirazione.

Il quarto anno di liceo lo passa a Chicago, nell’Illinois. Al suo ritorno trova un Riccardo Albini pronto ad accoglierlo tra le fila dello Studio Vit. Matteo cede al corteggiamento e passa a gestire la posta di K prima e Game Power poi, dove cura anche la sezione delle news e la rubrica Game Over. Saranno due anni intensi, quelli passati nello Studio Vit. Riccardo Albini ricorda che le rubriche erano “roba tosta, mica quello che di solito pensi di trovare in una rivista di videogiochi. Mi piaceva in Matteo la predisposizione a pensare –“filosofare”- di videogiochi. Tanto che ne ha fatto una professione”. Nel frattempo consegue la maturità scientifica col massimo dei voti e si iscrive al corso di laurea in Fi-

Ring#06 losofia con specializzazione in Comunicazioni Sociali presso l’Università Cattolica di Milano. Diventa dottore a pieni voti con la tesi “L’innovazione Technoludica: i videogiochi nell’era simbolica (1958 1984)”1 in cui propone tra le altre cose una visione “hegeliana” della storia dei videogames. Matteo distingue tre periodi (simbolico, classico, romantico) e approfondisce soprattutto il primo, che va all’incirca dal 1958 al 1983, in cui “i limiti tecnologici prevalgono sull’elaborazione soggettiva dei neo-artisti”. In questa prima fase i pionieri del v ideogioco mostrano la loro genialità con linee e puntini monocromatici, fino al momento in cui la “crisi del software” (J.C.Herz) fa crollare il mercato. Un periodo di grande fertilità creativa in cui i videogiochi iniziano a delinearsi e definirsi. Negli anni dell’università passa a collaborare con il Gruppo editoriale Futura per Super Console e Mega Console. È ancora l’angolo della posta il suo “non luogo” preferito. Per Super Console, negli ultimi tempi, cura la rubrica personale MBF Today dalla cui esperienza nasce poi l’omonimo blog http://mbftoday.blogspot.com. Gli studi di Matteo proseguono alla San Josè State University , dove consegue un Master in Mass Communications. La tesi che scrive in questi due anni californiani ha come titolo “The Technoludic Film: Images of Videogames in Films (1973-2001)”2 e tratta della contaminazione tra videogioco e cinema. In particolare si preoccupa di studiare i linguaggi e le strategie narrative emerse dalla sempre maggiore influenza tra i due media. MBF distingue tra tre diversi casi in cui il cinema si fa videogioco: l’adattamento, la citazione e il commento. Il primo caso racchiude tutti quei film esplicitamente tratti da videogiochi (ad es. Super Mario bros. Del 1993), il secondo quelli che usano delle scene particolari come citazione al medium videoludico (come in Wargames, 1983), infine il terzo caso è quello delle pellicole che affrontano il videogioco come un caso da discutere ed analizzare, con tutte le conseguenze che questo porta nel nostro m odo di percepire la realtà (Nirvana, 1997, o eXistenZ, 2000). Sempre sullo stesso tema è il saggio “Dell’influenza del cinema sui videogiochi”, pubblicato nel 2002 sul catalogo della mostra “PLAY: il mondo dei Videogiochi”. Negli stessi anni inizia la sua collaborazione con [duel], rivista di “cinema e cultura dell’immagine”. Il direttore Gianni Canova ricorda così il giovane e spensierato Matteo:

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“Ho conosciuto Matteo Bittanti come allievo a un corso di critica cinematografica. Per essere ammessi bisognava recensire una confezione di carne in scatola. Ricordo che quella di Bittanti era folgorante: tra il product placement e l'ermeneutica, faceva della simmenthal un ipertesto rizomatico in cui sentivi pulsare l'anima del mondo (e dei bovini). Da allora, ogni volta che gli faccio un complimento, mi risponde pavlovianamente con la stessa frase: "Bela lì", pronunciata con intonazione squisitamente brianzola. Il professore che l'ha laureato, Fausto Colombo, mi ha confessato che il Nostro commentò con la stessa frase, ad alta voce, anche l'annuncio del voto di laurea. Da due anni collabora con me all'università. Tra tutti i miei assistenti è l'unico che gode (Bela lì...!") quando gli assegno una nuova tesi da seguire. Agli esami si presenta puntualmente con un cappellino funny che lo rende molto trendy fra gli studenti. E' un genio, non c'è dubbio. Con un solo limite, almeno ai miei occhi: non sa nulla di cinema italiano. Proprio nulla. Quando gli ho detto che anche in molti film italiani (perfino in uno degli ultimi di Scola) si gioca a videogame, mi ha guardato incredulo e ha detto: "Bela lì...!". Sempre del 2000 è la sua collaborazione col sito Apogeonline . Diventato ormai un magnate dell’editoria Matteo tenta la corsa alla presidenza degli Stati Uniti. E’ questo il momento più misterioso della sua vita: nonostante i sondaggi l’avessero dato per vincente fino a pochi giorni dal voto, MBF è travolto da uno scandalo di natura sentimentale e l’opinione pubblica viene influenzata negativamente. L’attuale moglie Margot (il cui vero nome è Elena, ma è stata ribatte zzata così da Matteo senza una spiegazione logica…), interrogata per telefono in proposito, ha risposto con un “no comment” a qualunque indiscrezione in merito. Solo una cosa ci tiene a dichiarare: “Matteo è una persona molto particolare, ha una percezione tutta sua dello spazio e del tempo. Soprattutto del tempo. Comunque, sono convinta che sia stato rapito dagli alieni. Ne parlava spesso, era ossessionato da quest’idea”. Tornato in Italia trova Bruno Fraschini e Francesco Alinovi pronti ad accoglierlo come docente nel corso di “Teoria e Tecnica del Videogioco” presso la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA), ed inizia ad i nsegnare anche nel corso di “Teoria e Tecnica degli Audiovisivi” alla Cattolica di Milano. Bruno Fraschini commenta così il contributo di MBF alle lezioni: “è essenzialmente


:RUBRICHE: un vulcano, un data base immenso da sfruttare impunemente, un m otore di ricerca umano. Tu inserisci le parole chiave, premi "invio", e lui ti spara fuori una bella lista di libri, film, videogiochi e artisti vari. In pratica è utilissimo. I suoi studenti durante le lezioni vengono bombardati da una quantità di dati impressionanti e in genere si lamentano perché parla troppo velocemente.” Attualmente collabora con l’Istituto Superiore di Comunicazione (ISC) per il corso di specializzazione in “Progettazione di Videogame” e “Storia del Cinema 1950-2000”, con la Libera Università di Lingue di Milano (IULM) per “Storia e Struttura del Racconto Videoludico” e con la Cattolica per “Analisi del testo Videoludico”. Ritiratosi ormai in una magione dove vive senza vedere mai nessuno, Matteo raccoglie una serie di saggi sul videogioco e li pubblica, con l’aiuto di Gianni Canova e l’editore Unicopli, nel libro “Per una cultura dei videogames: teorie e prassi del videogiocare”. L’opera, recensita anche su queste pagine, è ormai uno dei suoi ultimi lavori. All’interno vi è anche un suo saggio, “Fuori Gioco”, in cui cerca di esaminare i punti di contatto tra videogames e produzione artistica contemporanea. Fino a pochi giorni prima della sua scomparsa Matteo collabora, essenzialmente come opinionista, per X-Box Magazine Ufficiale, Giochi per il mio Computer e PlayNation2 Magazine (dove cura le rubriche MediaLetture, Media Anime&Manga e Media Speciale DVD), oltre che per Cineforum, la già citata [duel] e UltraTomato, una rivista di “club culture”. Inoltre, sempre insieme a Gianni Canova, cura la collana Ludologica: Videogames d’autore, una serie di libri in cui vengono “letti, interpretati, discussi e ripercorsi con occhio critico i più grandi videogiochi e le serie della storia” e di cui dovrebbe uscire il primo numero in questi giorni. Altro progetto è Sim/iotic@, rivista che “si propone di dare spazio e visibilita' alla critica videoludica piu' intelligente e, allo stesso tempo, ripensarne la valenza teorica”, anch’essa di prossima uscita. Ludologica e Sim/iotic@ sono tentativi ambiziosi e del tutto originali di introdurre una critica del videogioco di stampo accademico nel panorama italiano, promesse di quella silenziosa rivoluzione che attendiamo da tempo. Ma, ovviamente, sono tutti progetti sospesi fino a che il Filosofo più amato dai videogiocatori non tornerà. Ma tornerà? Il fratello Gianandrea è sicuro: “o è in California, o a

Ring#06 Londra, o a Sim City”. Ma poi aggiunge, commosso: “Matteo è una persona molto intelligente, sensibile e generoso. Lo ammiro molto.” Quasi si parlasse di un defunto. E già, perché è solo la speranza ormai a restare viva. La stessa moglie Margot, pochi minuti prima che questo pezzo fosse messo online, ci ha chiamato in redazione perché ci tiene a far sapere che suo marito “è una persona geniale, ma molto modesta, di produttività irreale, sempre pieno di nuove idee e progetti, non smette mai di imparare, è un perfezionista e non è mai soddisfatto di quello che fa, lavora tanto, ma sa anche divertirsi, perde la testa per la Juve, è un uomo del futuro, molto avanti nel tempo, per cui a volte si perde nel tempo e nello spazio, vuole essere il migliore e lo è sicuramente, almeno secondo me...Posso continuare per giorni, comunque, credo che sia sufficiente.” La voce strozzata dalle lacrime a stento non fa commuovere anche noi.

Quella della sfasatura temporale sembra essere una costante nelle dichiarazioni di parenti ed amici. Bruno Fraschini nota che “non ha il senso del tempo. Quando si sposta a Milano è inconsapevolmente convinto che la metropolitana sia un teletrasporto e che per percorrere tutta la linea rossa ci vogliano al massimo 3 minuti.” Anche Biomassa, amico di lunga data, è di questa opinione: “è in grado di dare a tre persone d iverse appuntamento alla stessa ora in tre luoghi differenti. Il peggio è che poi si dichiara apertamente estraneo ai fatti. E' in grado di invitarti a una festa, dimenticarsi di darti gli estremi per parteciparvi e poi chiederti perché non sei andato...”. E, partendo da queste considerazioni, prevede che Matteo si sia “disperso nella Sala Bingo di via Foppa, mentr e protestava silente contro il casino e le numerose auto parcheggiate in quarta fila davanti casa sua. Un'altra ipotesi affermerebbe che sia in volo, su una mongolfiera, sopra i cieli di Mosca a riempirsi di Vodka cercando l'ispirazione per il suo nuovo libro. Notoriamente Matteo era astemio fino al giorno del suo matrimonio, quando l'ormai effettivo suocero lo obbligò a festeggiare

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filtrando un paio di galloni del mitico liquore Russo. Da quel giorno non si è più ripreso...” Tracce, idee, suggerimenti. Ma nessuna prova. Il caso Bittanti è destinato a durare ancora a lungo? Un coro unanime lo invoca. Amici, parenti, videogiocatori, fan, aficionados. Matteo, torna a giocare con noi. Bela lì. P.S.: Sotto consiglio di Biomassa vi invitiamo ad usare prudenza nel caso doveste incontrare MBF per le strade. “In particolare s tate attenti –consiglia l’amico- se vi chiede di assaggiare la sua "fenomenale" e "buoniSSima" Vodka al peperoncino”. Uomo avvisato… [1] Pubblicata da Jackson Libri ed allegata in omaggio al n.63 (Ottobre 1999) di Super Playstation Console [2] La tesi è disponibile sul sito www.gamasutra.com Ringraziamo per la gentile collaborazione Biomassa, Gianni Canova, Margot, Gianandrea e Marisa Bittanti, Orson Welles, Simone Crosignani, Steven Spielberg (per avergli messo in testa l’idea degli alieni), Bruno Fraschini, Massimo Maietti, Riccardo Albini, Luca Maggiolini.

:Precisazione: Sono giunte in redazione le proteste di genitori imbufaliti per i contenuti della poesia Ode al Fiume pubblicata su Ring#5, descritta da molti come “pericolosamente celebrativa della violenza”. Qualcuno è arrivato a definire l’autore del pezzo come “uno psicolabile, di quelli che si mettono a scrivere intingendo il pennino della stilografica nel loro stesso sangue”. Cristiano Bonora si scusa personalmente con coloro che si fossero ritenuti offesi dal suo

garantisce che non si renderebbe mai protagonista del gesto folle di cui è stato accusato. testo, ma


:RUBRICHE:

Ring#06

mUTI, sILENZI e pIGRE rOTELLE_____________________ [Il Davide Videoludico SEI] di Nemesis Divina

Silenzio, parla il cervello del Davide: ‌

[continua]

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