Ring#007

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pROJECTrING GESTALT 2.0

rUBRICHE mE nINTENDO

tESORI sEPOLTI Valkyrie Profile pEOPLE Ron Gilbert !sPOILER! Final Fantasy XII iL dAVIDE Il Davide Sette fRAMES

Il Videogioco è idrofobo?

Il gioco del giudizio Apodiasi del filodasto iNDEPTH

VERSUS. Legend of Zelda: The Wind Waker

.28 .30 0 .34 .37 .40 .00 .03 .04 .06 .00

Rygar

.08 .00 .14 .15

Zelda Oracle of Ages/ Seasons Time Splitters 2 Radiant Silvergun Cannon Spike Eye Toy: Play Xenosaga

.16 .17 .19 .22 .23 .25

rECENSIONI Silent Hill 3

aGOSTO2003

GESTALT 2.0_________________________________ [Cover Story]

::sOMMARIO::

Il crepuscolo degli dei

_____________________ #07

Ring non va mai a dormire se prima non ha almeno cercato di demolire un mito. In questo caso l’ultimo Zelda. Riuscirà Satorman, il supereroe di voi giovani, a contr obattere alle accuse del malvagio Evil Cryu e dei suoi alleati matusa e governi? La risposta a p agina 8.

Percezione variabile. Il VG è anche questo. Propagatosi come germe inarrestabile, il VG si è imposto all’attenzione dei mass media come un costoso, ricercato, complesso e asocializzante spreco di tempo. Sappiamo che è così, ma facciamo spallucce. Gli studi, un tempo, hanno dimostrato come la prassi videoludica comprometta in concreto la nostra comprensione del reale, frastornando l’utente con possibilità impossibili, confondenLa cover è di done i valori effettivi, amplificando e disto rFrancesco Bicci cendo i messaggi. E rende pure ciechi, come le seghe. Gli studi, oggi, dimostrano che il videogioco concorre allo sviluppo accelerato di certi percorsi mentali laterali/latenti, favorisce l’associazione di idee e aumenta la rapidità delle reazioni agli stimoli visivi. Roba da mandare a farsi fottere le distanze di sicurezza in auto. Gli studi, un giorno, dimostreranno che il VG è un musica numerica, una pratica da pederasti coprofagi e che é anche la reincarnazione di Hitler. Gli studi sono un po’ stronzate. Il VG è indubbiamente un’occasione molteplice nella quale intervengono numerosi fattori, ognuno capace di variare la resa finale dell’opera: un g ameplay deficitario porta inevitabilmente ad un cattiva lettura del testo ludico con susseguente scazzo dell’utente. Ci sono opere con altissime componenti espressive, in grado di stimolarti a livello intellettuale, emotivo o estetico. Il VG, nel momento in cui ne raccogli gli input, diventa anche un riflesso del Contesto Esterno, del Maestro di Giochi e del Giocatore; un GTA non nasce per caso, non senza una precisa collocazione socio-culturale, una solida base di sana repressione morale e violenza sopita. Ahhh, che bello spaccar teste! Scrive l’amico Ruffino: “Dovete sapere che l'atteggiamento tenuto dalle scimmie nel risolvere un problema, come quello di raggiungere una banana troppo lontana, è drammaticamente simile a quello di un videogiocatore di fronte ad un dilemma in stile Zelda/Monkey Island. Si può dunque dire, parafrasando Kohler, che le scimmie/i videogiocatori percepiscono una Forma "imperfetta" in cui gli elementi che ne compongono la struttura sono sep arati tra loro e solo attraverso una sorta di illuminazione, un'eureka che Kohler chiama I nsight, si ha la percezione della Forma "buona" (cioè “integra”) e si capisce d'un colpo la soluzione al problema.”

Ebbene sì, il VG è l’anello mancante fra Uomo e Scimmia. L’avresti mai detto? Visione d’insieme, si chiama. Ma l’amico continua: “Ecco un breve parallelismo tra il comportamento delle scimmie e quello dei videogiocatori: 1) Appena la scimmia vede la banana, cerca di raggiungerla allungando il braccio. Non ci arriva, ma non ci può credere, non si dà pace. E qui è come di fronte ad un tipico enigma videoludico, all'inizio si prova con le maniere più ovvie e se non funzionano si ritenta anche se già si è visto che non funziona. 2) La scimmia, dopo essersi slogata un braccio, si incazza e morde i ferri della gabbia. Proprio come in uno Zelda, in cui si prendono a spadate gli ostacoli, pur sapendo che non servirà. 3) La scimmia fa finta che non gliene frega più niente, tipo "la volpe e l'uva". Si allontana, neanche guarda più la banana. Proprio come di fronte ad un enigma che non riusciamo a risolvere tendiamo a lasciar perdere, a farci un giro, ad uscire e rientrare dalla stanza. 4) Insight! La scimmia riconsidera gli elementi della struttura problemica sotto una luce inusuale: le casse possono essere usate come gradini, il bastone come prolungamento del braccio. E qui non c'è bisogno di illustrare gli infiniti collegamenti con gli enigmi di molti VG...

La Natura riflette il videogioco. O forse è il contrario. E adesso te ne stai lí, un po’ perplesso, tu che sei un Primate Tecnoludico e ti chiedi cosa diavolo voglia significare questo articolo. Sono solo pezzi, caro mio. La Visione D’Insieme è compito tuo cosí come nel VG spetta al lettore l’interpretazione del testo ludico. Aspettiamo dunque l’Insight… Nel frattempo, una vicendevole spulciata non sarebbe un’idea cattiva. Nemesis Divina


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iL vIDEOGIOCO è iDROFOBO? _______________________ [L’acqua come tomba del gameplay] di Cristiano Bonora È quasi un teorema. Il videogioco se la cava benone finché relega l’acqua a un ruolo decorativo (Onimusha 2). Il videogioco resiste finché galleggia in superficie, meglio se a bordo di qualche roboante veicolo a motore (Wave Race). Ma quando c’è da immergersi nelle gelide acque digitali, il v ideogioco affo nda. Inesorabilmente. Perché qualsiasi gameplay pare s ubire una picchiata di godibilità ogni qualvolta il contesto di gioco presenti una situazione subacquea?

_______________Ecco Defender of the Future

the

Dolphin

In particolare il secondo e il terzo epis odio della serie, nelle sezioni sommerse, soffrono le problematiche espresse nei punti 1 e 4.

Il naturalistico adventure di Sega si emancipa dai difetti evidenziati nei punti 2 e 3, pagando dazio però per quelli d escritti nei punti 4 e 1.

2 – Per ragioni di realismo i movimenti dell’alter ego vengono di norma rallentati e/o ostacolati, a simulare la resistenza opposta d all’acqua all’incedere del personaggio controllato. Questo provoca un abbas samento del ritmo di gioco, molto spesso a danno del p otenziale ricreativo del gameplay. 3 – Immergere nell’acqua un s istema di gioco concepito per “l’asciutto” comporta generalmente la completa riconsiderazione delle sue meccaniche, spesso con esiti non soddisfacenti. Il caso simbolo è dato da Devil May Cry, il cui livello subacqueo ne stravolge il sistema di gioco, proponendo una visuale in prima persona e un ventaglio di a tt a c c hi effettuabili assai ridimensionato. 4 – L’ambientazione subacquea i mpone scelte cromatiche limitate. Le s ezioni sommerse propongono nella maggior parte dei casi videate circ oscritte a varie sfumature di blu, verde e grigio, caratterizzando eventualmente l’immagine con effetti di blur o distorsione. Nel più delle volte il risultato è v isivamente stancante, estetic amente noioso. Esplorare microcosmi digitali ancorati sulle stesse tinte è stucchevole a prescindere dalle potenzialità del gameplay che in essi si esprime. Richiamando alla mente i videogiochi subacquei o con sezioni subac quee più recenti e/o conosciuti è possibile riscontrare in ciascuno di essi uno o più di questi problemi :

________Zelda: the Ocarina of Time

________________Kingdom Hearts

Risposta in quattro tempi: 1 – Nei sistemi di gioco in 3D free roaming le sezioni subacquee consentono totale libertà di movimento lungo i tre assi cartesiani. Ciò espone il gameplay al rischio di dispersività. Discriminante diventa il fattore level design, assai raramente all’altezza della situazione. I noltre l’implementazione di una regia virtuale non ottimale può esasperare il rischio dispersività, aggiungendo un ulteriore fattore di disorientamento.

___________________Tomb Raider

Ebbene sì, anche Zelda è idrorepellente. Il lentissimo dungeon sommerso costituisce la sezione meno appagante dell’ intero Ocarina of Time (punti 2 e 4).

Nel mondo di Atlantica l’RPG nato dalla collaborazione Square- Disney soffre di quanto espresso nei punti 1 e 4.

~ L’eccezione ~

___________Super Mario Sunshine ______________Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty

La sezione per raggiungere il laboratorio di Emma non brilla per godibilità del gameplay (punto 3). Se solo Kojima avesse fatto in tempo ad includere gli squali da lui paventati nel corso di un’intervista forse le cose sarebbero a ndate meglio. È poi interessante ricordare che Kojima aveva inizialmente previsto una fase di gioco in cui Snake fuggiva dal Tanker mentre l’acqua ne invadeva le strutture (vedi foto). Una volta ultimata tale s equenza, Kojima ritenne che, per quanto spettacolare, non fosse affatto divertente, e non la incluse nel gioco finale.

__________________Metroid Prime Anche il capolavoro Retro Studios mostra il fianco al punto 2, quando la res istenza dell’acqua infastidisce l’azione di salto, decretando la ripetizione di lunghe fasi di risalita (almeno finché non si o ttiene la Tuta Gravità).

________________________Primal Nei mondi di Aquis e Aetha il d is c u s s o titolo di Studio Cambridge risulta inficiato da tutte le problematiche descritte nei punti 1, 2, 3 e 4.

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Alla luce delle considerazioni sopra esposte risulta del tutto comprens ibile la scelta operata da Miyamoto in Super Mario Sunshine – il gioco dell’acqua per eccellenza – nel quale le sezioni i nteramente subac quee sono ridotte al minimo, a favore di più stuzzicanti livelli a pelo d’acqua, in cui l’elemento l iquido costituisce uno strumento del g ameplay o coinvolge una porzione del level design, ma mai la sua totalità. In definitiva, bagnarsi in un videogioco non è mai stato bello come nei panni di Super Mario, non per niente un idraul i c o. [Ring è] Indepth! «[La telecamera virtuale] all'inizio la consideravo oscena. Imbarazzante davvero. Poi ho capito che la telecamera in Super Mario Sunshine non c'è, perlomeno quella automatica. Bisogna fare tutto da soli, anche la regia, fa parte del gioco.» «Come no. Stavo proprio pensando che la mancanza di cose da fare in Primal fosse strumentale al senso di oblio che gli Oltremondi devono rappresentare.» Botta e risposta tra Cristiano Bonora e Nemesis Divina. Live from Ring forum!


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iL gIOCO dEL gIUDIZIO____________________________ [Il videogioco come medium meritocratico] di Cristiano Bonora “Vaffanculo agli Action Replay, ai Game Shark e a tutti quei dildo videoludici che servono a fottere la CPU. Se non si hanno le palle per giocare, meglio guardare la TV. È lì per quello...” Max Marino Chi se lo merita va avanti. Level up. Loading next stage. Chi non se lo merita ricomincia da capo. Game Over. Press start button to try again. Chi sa fa. Chi fa va avanti. Il videogioco non lo i mbrogli. Non puoi andare avanti facendo finta di aver capito. Il videogioco non è un l ibro. Puoi terminare la lettura della Divina Commedia senza aver colto il senso di uno solo delle migliaia di versi di cui si compone. Ma in Super Mario Sunshine se non sai padroneggiare l’innaffiaggeggio non ottieni neppure una shine. Perché non te la meriti quella stellina dorata, luminosa e sorridente. Il videogioco non è la scuola dell’obbligo. Il videogioco non promuove tutti. Il videogioco non sente ragioni né giustificazioni: non c’è influenza, giornata storta o compleanno che tenga. Chi sa fa. Chi fa va avanti. Il videogioco ti mette alla prova. Il testo videoludico non si lascia leggere senza che il suo lettore dimostri di sapere (fare) qualcosa.

municazione dei messaggi del VG (di cui anche la narrazione è responsabile), dipende dalla spontanea dedizione del giocatore. I contenuti del videogioco non sono i mmediati, alla mercé del giocatore/ lettore. Esigono dei requisiti (ma si badi, non dei pre-requisiti). La difficoltà del videogioco è la difficoltà di ottenere questi requisiti. E ottenere questi requisiti è parte intima del videogioco e del videogiocare.

In Crazy Taxi la natura meritocratica del videogioco si esplicita nella valutazione che si riceve al termine della partita. Essere valutati class S driver è davvero una bella soddisfazione.

Senza difficoltà non c'è sfida. Senza sfida non c'è videogioco. La difficoltà, come l'interazione, è una delle cifre d istintive del videogioco. È forse questo un limite del videogioco e del suo potenziale mediatico? Affatto, è una garanzia: • Garanzia per il videogioco: Il gioco si lascia giocare solo da coloro per cui è stato pensato. C oloro che se lo meritano.

Ikaruga: bello e impossibile. Il gioco più stylish e difficile al mondo è il titolo prediletto della redazione di Ring.

L’acquisizione di una competenza specifica come requisito per la lettura di un testo non è necessariamente una prerogativa del videogioco. Tutti i testi specialistici sono incomprensibili ai non addetti. A differenza di questi, però, il videogioco fornisce tutti gli strumenti necessari al suo completamento. Il videogioco non è un cruciverba. Non è un quiz televisivo. Il videogioco contiene in se stesso tutte le informazioni necessarie alla sua risoluzione. Tuttavia, tale risoluzione, la quale si accompagna alla completa co-

• Garanzia per il giocatore: Solo chi vuole davvero giocare tutto il gioco lo giocherà fino in fondo. Gli altri saranno cautelati dal rischio di annoiarsi con un gioco che non li appassiona o non possono comprendere. • Garanzia per la storia che il videogioco racconta: La storia si lascia leggere solo da coloro per cui è stata pensata. C oloro che se la meritano. • Garanzia per il lettore della storia: Solo chi vuole davvero conoscere tutta la storia ne leggerà la fine. Gli altri saranno cautelati dal r ischio di annoiarsi con una narrazione che

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non li appassiona o non possono comprendere. Inoltre il racconto ludico 1, che si compone di tutte le azioni compiute dal giocatore per portare al termine un gioco, si scrive giocando. E non può essere letto se non nel momento in cui è scritto dal giocatore. Sarebbe pertanto impossibile che un giocatore immeritevole fruisse di un racconto ludico meritevole, giacché non sarebbe in grado di scriverlo. Il game designer, autore del videogioco (ovvero del testo videoludico, non del racconto), stabilisce un livello di difficoltà per definire i requisiti minimi di dignità del racconto ludico che il giocatore scriverà giocando. Perlomeno di quel racconto ludico che si concluderà con il finale del gioco, cioè quel racconto ludico la cui conclusione coincide con la conclusione del testo videoludico. Quello della dignità del racconto ludico è un aspetto spesso sottovalutato. Di che valore è il racconto ludico di un action game terminabile semplicemente premendo i pulsanti di fuoco a casaccio ( Devil May Cry 2)? Assai più sofisticato, sorprendente e avvincente è il racconto ludico di un action game che impone al giocatore/scrittore/lettore acrobazie e numeri circensi ( Devil May Cry); pena il non completamento del gioco. Pena l’interruzione della stesura del racconto ludico e della lettura di entrambi il racconto e il testo videoludico. Ma si badi: non della stesura del testo videoludico, già scritto e compiuto nella propria strutturale apertura a infiniti racconti, e che si vieta a una completa lettura nel momento in cui questa non è accompagnata dalla stesura di un racconto ludico sufficientemente degno. Infatti, scrivere un racconto ludico indegno significa non sfruttare a dovere le possibilità offerte dal testo videoludico. Significa giocare male. Sprecando il videogioco, oltre che il proprio tempo. Per cui è giusto che il gioco si opponga al suo stesso spreco, difendendosi a colpi di game over.


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Pikmin contraddice parzialmente la natura meritocratica del videogioco. Per terminare l’avventura, infatti, non è indispensabile recuperare tutti i pezzi dell’astronave del Capitano Olimar. Tuttavia, qualora il giocatore ci riesca, sarà premiato con un finale migliore.

Scrivere un racconto ludico degno presuppone l’acquisizione di una certa comprensione del testo videoludico: del suo sistema di controllo, del suo gameplay in g enerale. Il game designer decide il l ivello di comprensione necessario per leggere l'ultima pagina del suo t esto. Un potere apparentemente t irannico, esclusivista, e ppur logico e legittimo. Dopotutto, che senso avrebbe per un letterato leggere un manuale di 500 pagine di fisica quantistica? Non ne capirebbe nulla, farebbe bene a fermarsi a pagina 10. Parallelamente, che cosa capirebbe vostra madre assistendo a una sessione di gioco a Final Fantasy X? Non ne capirebbe nulla, perché non possiede le competenze necessarie. Esattamente c ome il letterato alle prese con le teorie subatomiche. Solo chi si dedica al gioco, acquisendo coscienza del testo videoludico, può effettivamente capire ciò che compare sul video. Forza del videogioco è anche quella di essere allo stesso tempo testo e manuale di se stesso. Giocando si fruisce del gioco (divertendosi, scoprendo una storia, ecc.) e al contempo si impara a giocare meglio (memorizzando i pattern secondo cui si presentano gli avversari, scoprendo le v arie funzioni delle armi, ecc.). Al contrario, non si può fruire r ealmente di un manuale di fisica quantistica senza previo possesso delle specifiche nozioni della materia. Assai diverso è il d iscorso circa i contenuti extra-ludici del VG moderno, soprattutto per quanto concerne la materia narrativa. La piena comprensione di questi tratti del testo videoludico, se di spessore, abbisogna della stessa preparazione culturale che si renderebbe

Ring#07 necessaria per decifrare i contenuti di un romanzo, di un film o di un’opera teatrale. Una preparazione che il videogioco non può e non vuole fornire. Ciononostante, il game designer può stabilire che uno specifico contenuto extra-ludico (il filmato finale del gioco, ad esempio) merita di essere decifrato solo da chi ha saputo acquisire una certa competenza ludica. Esistono poi innumerevoli casi in cui la dimostrazione di una certa competenza ludica è premiata con dei contenuti ludici aggiuntivi (Sega Rally ), e rari casi in cui la dimostrazione di una certa competenza extra-ludica è premiata con un contenuto extra-ludico particolare (Silent Hill 2). Grande VG è quello con r ichieste altissime in termini di difficoltà, ma che al tempo stesso sa sempre fornire al giocatore gli str umenti e gli stimoli per andare avanti, senza frustrazione. Fino alla degustazione del meritato finale, giusta ricompensa per la scrittura di un superbo racconto ludico. Tuttavia... In una società in cui tutti vogliono guadagnare, ma non necessariamente lavorando... In una società in cui tutti esigono il diritto di iscriversi all'università ma nessuno sente il dovere di laurearsi, perlomeno in tempi dignitosi... In una società in cui tutti vogliono vincere, ma possibilmente senza sudare... In una società come questa, la natura intrinsecamente meritocratica del videogioco dà fastidio. L'acquisto di una copia del gioco (poco importa se originale o pirata) è considerato un merito già sufficiente per viverlo tutto d'un fiato, senza intoppi.

Eppure a noi piace pensare a un videogioco, giudice supremo e i mparziale, che resiste alle raccomandazioni, alle agevolazioni, alle “buone parole”. Un giudice, un po’ maestro e un po’ papà, che ti premia quando meriti di essere premiato, e ti condanna (ma solo al game over. Press start button to try again) quando meriti di essere condannato. E non c’è legittimo sospetto che tenga. Perché il VG, il buon VG, ha sempre ragione, è sempre giusto, ed è incorruttibile. Per il figlio del politico più influente d'Italia, terminare Ikaruga non è più facile che per il figlio di un muratore di Pavia. Tra dieci anni il figlio del politico avrà assicurati una professione redditizia, una macchina da sogno, donne a profusione e tutte le console del pianeta ammassate in un angolo della sua reggia. Ma sprofondato nell'indolenza dei suoi vizi rimarrà tutta la vita senza sapere come finisce Ikaruga. Fallito. Fuori dalla finestra del suo ufficio, al decimo piano di un palazzo in Piazza del Duomo a Milano, un giorno farà capolino un lavavetri pavese, appeso a un paio di carrucole cigolanti, con le mani screpolate, i jeans rattoppati e una Fiat Uno di seconda mano parcheggiata a due chilometri di distanza. Il lavavetri fischietta, sicuro del suo nulla. E della perfect play a Ikaruga che dieci anni prima lo ha fatto grande. _____________________Nota [1] Cfr. IVAN FULCO, Lo zero ludico – Decostruzione del videogioco e fondamenti della pulsione ludica, saggio raccolto in: MATTEO BITTANTI (a cura di), Per una cultura dei videogames - Teorie e prassi del videogiocare, Unicopli, Milano, 2002 (recensito su Ring #4).

[Ring è] Pragmatica

Per assistere al (solo?) finale pos itivo di Silent Hill 2 è necessario dimostrare di aver compreso e interpretato adeguat amente i suoi conten uti extra-ludici . Indipendentemente dall’abilità dimostrata con il pad, il gioco premia la deduzione anticipata di ciò che la storia svelerà solo in seguito. I giocatori che colgono sin dal principio l'inconsistenza del personaggio di Maria, frutto dell’immaginazione corrotta di James, ne eviteranno la compagnia, preservando la coscienza del protagonista dalla completa dissoluzione.

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«Prendere in considerazione (un gioco) non significa comprarlo, s ignifica che la prossima volta che vado in negozio prendo in mano la scatola, me la guardo e, accarezzandomi il pizzetto, dico: umh. Poi faccio "quanto costa?" al negoziante indaffarato, mi fingo interessato e lo ripongo. Questo è prendere in considerazione.» Paolo Jumpman Ruffino, in risposta a chi aveva biasimato il suo proposito di prendere in considerazione l’acquisto di P.N.03.


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aPODIASI dEL fILODASTO_____________________________ [L’intervispa] di Amano76 Ring intervista Ugo Magelli, psicologo italiano che in questi giorni pubblica il suo libro: Apodiasi del filodasto, un parere assennato sul medium videoludico, frutto di dieci anni di sedute, interviste, e documentazione. Ring: Buongiorno. Ugo Magelli: Buongiorno. (sorride scocciato) Lo studio di Magelli trabocca di facsimili di opere d'arte (L'urlo di Munch, Guernica di Picasso, Monnalisa di Da Vinci) e di un odore di tabacco che impregna tutti i divani. Quando la segretaria ci lascia entrare, l'atipico psicologo resta dietro la sua scrivania, senza scomodarsi. L'atteggiamento è quello classico di chi non vede l'ora di aprire bocca e cerca a tutti i costi di dissimulare la sua ansia. Ring: Bene, direi di cominciare s ubito, gli argomenti sono tanti. UG: Come ti pare, figliolo. E' solo allora che Magelli, con un gesto teatrale, sfila un sigaro da un cassetto della scrivania e lo accende pigramente. Ring: Come nasce "Apodiasi del filodasto"? UG: Il motivo ufficiale è che volevo addentrarmi in un mondo sconosciuto, troppo spesso oggetto di sguardi denigratori e critiche precostituite, preso di mira da politici alla ricerca di un capro espiatorio o da associazioni sconosciute, che hanno una gran voglia di finire sui giornali per farsi un nome e ricevere fondi. Ring: E il motivo non ufficiale? UG: Nessuno ha mai scritto niente del genere. In una gara senza a vversari arrivi primo comunque, e a me servono soldi. Anzi, guarda: (raccoglie una lette ra aperta, abbandonata sulla scrivania, e ci m ostra il mittente) questa me l'ha spedita Costanzo. Venerdì prossimo sarò l'ospite di punta. Non sarebbe mai successo se avessi scritto qualcosa su un argomento serio. Ring: Accidenti. Una dichiarazione un po’ fuori dalle righe; non le scoccia se la pubblichiamo? UG: Che mi frega, non se la incula nessuno la vostra rivista (sorride compiaciuto della sua malvagità).

Ring: (tossisco) Er, Dunque... ci dica, secondo quali nodi si articolano le sue t esi? UG: Mah, il mio obiettivo è stato quello di mettere in piazza le vicende di alcuni casi umani, miei pazienti con turbe tutt'altro che sorvolabili nate proprio a forza forza di passare il tempo con PlayStation (da lui pronunciato: plaistescion) eccetera. Dalle trascrizioni delle loro sedute è partito tutto il resto: ho frequentato vari newsgroup, chat, mailing list, e sono riuscito ad intervistare molti altri ragazzi. Ring: Sorprendente. Come è riuscito a farli "aprire" con tanta spontaneità? UG: Mi sono finto una donna MUHAHAHAHAHA (si toglie il sigaro di bocca e sghignazza a crepapelle, ridendo verso l'alto) ahh (si pulisce una lacrimuccia) certo che ce ne sono di fessi in giro... Ring: Una volta ottenuto il materiale, secondo quali criteri lo ha o rganizzato? UG: Dehihihoho, ho creato uno schema di insiemi in cui raggruppare le casistiche. Alla fine ho elaborato 6 tipologie di videogiocatore, secondo altrettante manie/fobie legate al medium. Ring: Ce le vuole dire? UG: Sei ansioso di scoprire la tua? Eheheheh (gongola) scusami figliolo, oggi sono di buonumore. Allora... sì, ecco: la prima tipologia è quella del videogiocatore sta ndard. Generalmente una persona isolata, che non potendo trovare sfogo nella sua fantasia, perché non ne ha, cerca rifugio in quella degli altri. Ovviamente è l'insieme più nutrito. Di regola il videogiocatore standard non è solo appassionato di videogiochi ma anche di cartoni animati, fumetti, cinema, insomma tutti quei mezzi di comunicazione immediati e dal registro linguistico elementare. Si tratta di individui che hanno un età compresa tra i 12 e i 25 anni, raggiunti i quali o si suicidano o si sposano il mostro del quartiere. Ring: Una visione abbastanza spietata UG: La vita è spietata, figliolo, noi

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possiamo solo affrontarla al n ostro meglio... ecco, per esempio se fossi stato da Costanzo adesso ci sarebbe stato l'applauso, eh sì (annota la frase su un taccuino). C omunque. La seconda tipologia è il videogiocatore di cro-magnon. Ho soprannominato così tutti i fissati di retrogaming... sai cos'è il retrogaming? (mi guarda interrogativo, puntandomi contro il sigaro fumante) Ring: Certo che lo so, sennò che... UG: Dehihihoho, scusa ragazzo, mi sto divertendo troppo (finisce di ridere e si rimette il sigaro in bocca). Dicevo. Il videogiocatore di cro-magnon. Il videogiocatore di cro-magnon è di solito ultratrentenne, con attività estemporanea (giornalaio, proprietario di un negozio di elettronica, strozzino) e portatore di tutta una serie di traumi infantili: violenza domestica, complesso di edipo, povertà, cose così. Ring: Mi scusi, ma i traumi infantili di solito vengono rimossi... UG: Figliolo (mi indica di nuovo col sigaro, minaccioso) chi è lo psicologo in questa stanza? Ascolta, io non mi metto a fare paragoni tra Metal Gear Solid 1 e 2, tu non venirmi a dire come si reagisce ai traumi i nfantili. Ring: Mi perdoni, errore mio. UM: Fa niente, è dagli errori che si impara... (segna di nuovo la frase sul taccuino) torniamo alle tipologie. Lo scopo del videogiocatore di cro-magnon è quello di rievocare il disagio degli anni di infanzia in m odo da collocarlo nell'attualità: in sostanza esorcizza i suoi traumi consumando, oggi, una pratica che in passato era stata una via di f uga ai suoi problemi. Si prende una rivincita minimizzando i giochi di un tempo, poiché non deve più pagarli un centesimo e può batterli con un paio di salvataggi, affermando quindi la sua maturità e il suo successo come adulto. Ring: Quindi il retrogaming non sarebbe un atto tributario ma un atto di disprezzo? UM: Esattamente. Il videogiocatore di cro-magnon odia i videogiochi, e tutto quello che vi è collegato. Ecco perché poi se la prende con i veri amanti di questo medium: perché


:FRAMES: rappresentano l'incarnazione di quello che lui era e ripudia. La terza tipologia è il videogiocatore Solange. Coloro che, sistematicamente, giocano titoli con personaggi femminili come protagonisti. Tomb Raider è uno degli esempi più limpidi, in questo senso. Spesso sono persone appassionate di picchiaduro, perché il genere permette loro di identificarsi con l'altro sesso senza per questo calarsi in attività esplicite (ricamo, pulizie domestiche, pompini) ma anzi inappellabilmente maschili, e quindi consolando quanto sufficiente la loro tensione all'identificazione con la donna, evitando di renderla manifesta a loro stessi e agli altri. Ring: ...non ci avevo mai pensato... UM: Stacci attento, ragazzo, è pieno così di gente del genere. La quarta tipologia è quella del videogiocatore Jekill. In questa categoria rientrano tutti gli appassionati di giochi di ruolo, che sono, sostanzialmente, degli schizofrenici. A differenza di tutte le altre tipologie, il videogiocatore Jekill consuma un solo prodotto alla volta, e non si dà pace finché non lo finisce: sega la scuola, dà buca alla fidanzata (nel raro caso ne abbia una), non mangia, non dorme, e se si concede pause, è solo per una breve e insoddisfacente masturbazione. Il gioco di ruolo, in sé, è molto più pericoloso di un Resident Evil qualsiasi: perché l'utente viene c alato in un contesto consolatorio, ideato apposta per essere oltrepassato senza difficoltà, dove lui è l'eroe e la salvezza del mondo dipende da quante ore di tempo passerà a consumare combattimenti casuali. Capisci il paradosso? Più un soggetto è un nerd, e si chiude dentro casa a level-uppare i suoi alter-ego invece di uscire a trombare, maggiore sarà il merito ricevuto nell'ambito del gioco. In sostanza finisce col sacrificare la sua vita effettiva, per la gloria di quella fittizia. (scuote lentamente la testa e alza gli occhi al cielo). Disfunzionalissimo.... Ring: Mi scusi, ma allora quelli che praticano gioco di ruolo dal vivo? UM: Dovrebbero prendergli impronte e dna, perché sono personalità violente a un passo dal collasso completo. Non è ancora successo nulla di drammatico, ma è solo questione di tempo; già vedo i titoli dei giornali: quindicenne uccide la nonna con un ascia di plastica e dichiara "era un troll, aveva rubato il mio scudo +4". Ring: Sono rimaste ancora alcune

Ring#07 categorie, mi sembra... UM: Senza fretta, ragazzo. Ora a rriviamo ai miei preferiti. Il videogiocatore Sandokan e il videogiocatore Lebowski. Ring: Prego? UM: Sotto la denominazione di v ideogiocatore Sandokan rientra tutta la fascia di utenza che acquista materiale copiato. È un fenomeno consumistico molto interessante: quasi tutti gli altri beni superflui che sono oggetto delle attenzioni giovanili, come il motorino, le scarpe, o le magliette griffate, vengono preferiti in base alla marca, quindi sostanzialmente alla qualità. Nel caso dei videogiochi invece, è la quantità a contare: è più importante avere una miriade di ciofeche, da abbandonare dopo qualche giornata per passare alla "novità" successiva, che possedere meno titoli ma acquistati con più sacrificio. Le loro case sono veri e propri forzieri: possono nascondere tesori inestimabili, ma loro, piuttosto che consumarli, preferiscono accumularli, come ogni sacrosanto pirata. A quel punto vengono beccati dalla finanza, e guardacaso, si fanno venire una crisi di c oscienza e si convertono. Così si reiventano nerd mandando lettere disperate alle r iviste di videogiochi, facendo pubblica ammenda con la speranza di venire consolati per gli errori commessi. In un certo senso sono come quei ladri del cazzo che dopo averti rubato il portafogli, ti spediscono a casa la patente e la carta d'identità. Ring: Mentre la tipologia Lewboski? UM: La peggiore. Si identifica con quella categoria di casi che più dei giochi stessi ne ama l'idea. Sono persone che consumano dosi enormi di preview e news, costruendo castelli immaginari sui titoli che più attendono. Quando poi li comprano, hanno un eiaculazione spontanea al contatto con la plastica del package, sniffando febbricitanti la carta patinata dei manuali che si ossida. A questo punto tornano a casa, provano il gioco, e ci passano tutta la giornata. Scorsa una settimana non si ricordano più neanche di averlo acquistato perché è in procinto di uscire l'ennesimo titolo che promette mari e monti (finendo per dimostrarsi invece puntualmente piatto come una cartina geografica), e così preferiscono concentrarsi su quello, immaginando chissà quali esperienze liberatorie. Tutti i recensori di videogiochi rientrano in questa categoria: caricano di significato le loro esperienze quando un

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medium come questo, giovane di appena vent'anni o giù di lì, ancora non è in grado di reggere il confronto con le loro aspirazioni, e a llora anche roba c ome quel Renz là. Ring: Rez...? UG: ...sì, quello là... dicevo, anche roba come Rez diventa un concentrato di genio e stile. Il bello è che loro stessi si rendono conto dei limiti della loro passione, e quando fanno critica bocciano qualsiasi c osa, incontentabili come dei satiri. Almeno ai satiri interessava roba più stimolante... Ring: Quindi, dopo dieci anni di studi, la fulminante conclusione a cui è giunto è che noi videgiocatori saremmo comunque una massa di fessi? UG: Beh, se vogliamo metterla in termini nudi e crudi.... Ring: Adesso basta! Lei è un insulto per la categoria che rappresento, e per la categoria che lei rappresenta. UG: Figliolo, se è questo quello che pensi non hai mai conosciuto uno psicologo in vita tua... E mentre il ciccione pronuncia sarcastico i suoi ennesimi caustici insulti, col sigaro ormai spento ancora incastrato a ll'angolo della bocca, infilo la porta d'ingresso ed esco da dove sono arrivato. Non sono affatto turbato. Sono fiero di quello che sono. Mi piacciono i videogiochi, e non mi sento per nulla infantile. Certo, ho paura del buio, adoro le caramelle, detesto mangiare carote, e la mia ragazza forse non sarà bellissima, ma mi capisce. Non mi vergogno di nulla, tant'è che appena salgo in metropolitana, sfilo dal marsupio il mio gba e comincio a giocare, incurante degli sguardi pieni di dissenso intorno me. D'un tratto mi accorgo di una biondona discinta che mi fissa. Le lancio un sorrise complice, e poi faccio il sostenuto continuando a impegnarmi su Castelvaniglia. C ome immaginavo, lei mi si avvicina. Il mio inestimabile fascino ha colpito ancora. E io sarei un nerd? MUHAHAHAHA...un attimo, cos'è quella peluria sopra il labbro? e c os'è quel bozzo in mezzo alle gambe? Dedicato a tutti i compagni videogiocatoristi. El pueblo unido, yamas sera vencido para el intelinghencia artificial.


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Ring#07

wIND wAKER VS bALL bREAKER_________________________ [VERSUS: The Legend of Zelda: The Wind Waker] Red Corner: Sator Arepo

Blue Corner: Cristiano Bonora

La serie di The Legend of Zelda è uno di quei granitici franchise della storia dei videogiochi che è sempre riuscito a mettere tutti d'accordo circa la qualità dei suoi episodi. The Wind Waker contravviene questa consuetudine presentandosi come il prodotto più controverso e discusso dell'intera produzione Nintendo per GameCube. All'angolo rosso il difensore, il paladino di Hyrule, il Wind Waker. All'angolo blu l'accusa, il Ganondorf della situazione, il Ball Breaker. Nota di Sator: Nel mio angolo del ring ho sempre chiamato il protagonista della serie con il nome “Popippo”, in quanto è così che l’ho sempre rinominato nei vari Zelda. Fanculo: siete voi che dovete adattarvi a me. Non viceversa.

Round 1. Il Mare _____________________Sailing Emotion Type Z

E il naufragar m’è noia in questo mare...______

Il Pubblico Ministero, qui a fianco, tenterà di darvi a b ere una teoria secondo la quale il mare di Zelda: The Wind Waker è una noia mortale. Bella forza. È mare. E il mare è noioso. C’è anche scritto nella formula H2O, tra una stanghetta e l’altra, che è noioso. Pensate alle regate della Coppa America: secondo voi è un caso che vengano sempre trasmesse a notte fonda? Ma perché il mare è noioso? Perché è vasto, perché è sempre uguale, quale che sia la latitudine o la stagione. In Ocarina of Time Nintendo si è potuta permettere di realizzare un Hyrule Field delle dimensioni di un salottino perché ciò non guastava alla sospensione dell’incredulità. Ma con il mare è diverso. Con il mare devi garantire una distanza minima tra un’isola e l’altra, in modo che, stando su una, le altre siano forme scure all’orizzonte. Altrimenti la sensazione è quella di essere dentro ad una tinozza. Il bello è l’esplorazione. Il bello è navigare, intravedere la silhouette di un’isola, aprire la mappa, rendersi conto che si tratta di un luogo che non abbiamo ancora esplorato, inforcare la bacchetta, orientare il vento in quella direzione – oppure perché no? andarci di bolina – e mentre ci avviciniamo alla destinazione, ricordarsi che nel quadrante accanto c’è un tesoro da recuperare, quindi cosa costa una deviazioncina? Con questo atteggiamento, possiamo proseguire per il nostro peregrinare marino dimenticandoci completamente della main quest (se non fosse per il Re Drakar, che non smette di rompere i coglioni al riguardo). E se, insensibili questi occhi all’esterno mondo, non avremo voglia di pescar tesori o bischereggiar pel mar? Vorrà dire che, mentre Popippo veleggia per la sua d estinazione, noi potremo comodamente consultare il televideo. Questa è una feature che quel ronzino di Epona non permetteva. Ma è appunto avendo il pallino dell’esploratore che si riesce a trarre il meglio da uno Zelda, e Wind Waker non fa eccezione. Le cose da fare, infatti, sono tante. La mappa è composta da quarantove settori. In ogni settore c’è un’isola/atollo/arcipelago da v isitare, nonché un pesce-cartografo da scovare. (Trattasi di un personaggio cardine: essenziale per il completamento della mappa, prodigo di consigli utili anche per la main quest e più simpaticamente antipatico di un leghista.) Ogni isola contiene come minimo un minigame o un puzzle da risolvere per ricevere un premio; oppure qualche personaggio con cui interagire per il prosieguo d i una subquest. Poi, disseminate per il mondo, ci sono sei di tutto: sei sottomarini, sei seppie giganti, sei negozi di Terry, sei piattaforme dei pirati, sei bordelli galleggianti. Trovarli può essere un gioco nel gioco. Trovare le mappe che ne indicano l ’ubicazione riesce invece a conferire una bella sensazione di graduale conoscenza dei luoghi. Della serie: Deh sono troppo un capitano Ahab!

“In Zelda: The Wind Waker il regno di Hyrule è sommerso dalle acque. Il mare è l’autentica rivoluzione rispetto ai precedenti capitoli della serie. Laddove riproponendo scenari sulla terra ferma non sarebbe stato possibile creare un epis odio realmente innovativo, lo stravolgimento dell’ambientazione di gioco ha permesso a Nintendo di dare vita a situazioni ludiche senza precedenti nella storia del v ideogioco. Link, novello Poseidone, è padrone del mare, oltre che del vento. Grazie ai poteri a lui conferiti dalla Bacchetta del Vento, può generare vortici d’acqua in cui risuc chiare gli avversari; può innalzare spaventosi cavalloni per raggiungere le vette degli scogli più alti e ripidi; imponendo la bacchetta sul mare può squarciarne la superficie alla maniera del Mosè della Bibbia, per esplorare il fondale e lasciare a secco i mostri marini; Link può ammaestrare i delfini e saltargli in groppa: s orv olando scogli, impegnando cunicoli subacquei ed esplorando anfratti oceanici inaccessibili con un comune mezzo di navigazione. Il mare, questo concerto di onde in cel- shading governato da un Link direttore d’orchestra, è lo spettacolo più maestoso e poetico che un videogioco mi abbia mai offerto.”

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Questo è ciò che sognavo quando venni a sapere che il mondo di TWW sarebbe consistito in un’immensa distesa marina punteggiata di isole e arcipelaghi. Purtroppo, però... Navigo da giorni in questo mare posticcio. Un enorme lenzuolo azzurro, piatto come una sogliola. Un mare in coma, che si rianima di tanto in tanto per sbuffare sulla chiglia della mia barca qualche onda timidissima, da non impensierire neanche la mia rotta. Un mare pigro e stanco. Grande, obeso. Quasi una penitenza cui sottostare ogni volta che si rende n ecessario il trasferimento da un’isola all’altra: traversate lunghe minuti, con il pad appoggiato per terra e il mento addormentato sorretto da una mano in cancrena. Ma come? - Esclamerà qualcuno – il mare pullula di cose da fare! Certo, ci sono centinaia di tesori da scovare... Operazione che potrebbe dispensare qualche diletto, perlomeno se non fosse resa insensata dal fatto che ogni tesoro segnala la propria posizione innalzando un fascio di luce dal punto ove è necessario posizionarsi per recuperarlo. Perché rovinare il g usto della ricerca a mezzo mappa con un simile espediente? Ma soprattutto, perché così tanti tesori tutti uguali? Che barba. Passi per quelli che custodiscono pezzi della Triforza, ma gli altri contengono solo rupie, che il gioco dispensa in abbondanza, e cuori, di cui il gioco è ancor più colpevolmente prodigo. In altre parole, chi ce lo fa fare di improvvisarci tombaroli marini a tempo perso? Certo, ci sono decine di scogli da esplorare... Appunto, scogli, non isole: trattasi di frammenti di level design scandagliabili nel giro di pochi secondi, molti dei quali anche piuttosto divertenti, ma minati da due fattori.


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Ring#07

Certo, a lungo andare tutte queste deviazioni dalla retta via cominciano a diventare noiosette, ma nessuno obbliga il giocatore a coprirle tutte, così come la presenza del vortice-trasporto non obbliga ad estenuanti traversate. Il gioco, per essere apprezzato, non necessita di essere completato al 100%, e comunque, se in passato avete avuto la depravazione di allevare un chochobo d’oro, non siete certo nella posizione di protestare. Ah ah. No perché Internet è un brulicare di proteste, molte delle quali indirizzate alle scarse dimensioni della maggior parte delle isole: grandi quanto gli isolotti deserti presenti nelle vignette umoristiche. Ma che cosa pretendevano, lor signori? Quarantanove terreferme ognuna con l’area della foresta dei Kokiri? Chiaramente non c’è mai limite al meglio, ma è v eramente così scarsa l’offerta di Wind Waker in fatto di terra calpestabile? Tutt’altro: il gioco garantisce infatti alcune location splendide, e se non vastissime, quantomeno ottimamente allestite e ricche di c ose da fare. L’esempio più fulgido è l’isola Taura: semplicemente la miglior Kakariko Village mai apparsa in uno Zelda, con alcune subquest geniali, come quella del fotoreporter, l’asta, l’accensione del faro, il nascondino… Stupendo quest’ultimo, anche per il grado di personalizzazione che offre. Mentre i bambini credono, n ascondendosi, di avermi fregato, costringendomi ad estenuanti ricerche per l’isola, io, più furbo di una capra, mi metto una pera in testa e divento gabbiano. Una r apida svolazzata e… toh!… eccone uno!… toh… toh… toh… eccoli tutti! A quel punto ridivento Popippo e li stano a colpo sicuro. Spassoso!

Primo: si concludono con l’ottenimento di un tesoro inutile come tutti (again, ma chi ce lo fa fare?). Secondo: da contorno di quello che dovrebbe essere il gioco vero, ambiscono a incarnare la fetta più grande dell’offerta ludica di questo Zelda, tradendo però la propria natura di riempitivo. Perché in un oceano finto, piatto e in coma, qualcosa bisognava pur metterci. E così gli chef del ristorante Nintendo hanno disseminato questa zuppa di mare con dozzine di bauli, isolotti, piattaforme di pirati, sottomarini e sub-quest. Ma cenare a stuzzichini è stucchevole, non c’è bisogno di scomodare un sommelier per avvedersene. Infine, se n’è parlato molto in ICC, il mondo di TWW manca di coesione. È una scacchiera composta di pezze di mare quadrato, ciascuna con all’interno un’isola. Al di là della scarsa credibilità del paritetico criterio secondo cui ad ogni area è stato distribuito un isolotto più “n” riempitivi (tesori, piattaforme, sottomarini, ecc.), infastidisce la modalità secondo cui s ono gestiti gli spostamenti da un quadrato all’altro. Non in maniera fluida, sfruttando un logico streaming da DVD, bensì caricando un blocco per volta. Ne consegue che il motore di gioco trasforma automaticamente in opache sagome 2D le isole a vista che non rientrano nel blocco in cui ci si trova. “Adesso lo frego”, penso io. Prendo il cannocchiale, lo punto all’orizzonte, ingrandisco al massimo e che cosa vedo? L’isola dove sono diretto? Nope: una gigantesca s agoma bidimensionale. Ma allora, se il cannocchiale in questo mondo non serve, si può sapere per che cosa lo adoperava la sorellina di Link? (...)

Round 2. Il Vento __________________Blowing in the Wind Waker

Uno scomodissimo timone_________________

Più che Takt of Wind, questo episodio avrebbe dovuto chiamarsi Leaf of Wind. Il motivo è semplice: la bacchetta ha una sola melodia “in topic”, e per il resto si comporta come un’ocarina-bis. È invece la foglia regalataci dal tolkieniano albero Deku ad attuare la maggior parte delle interazioni tra Poppipo e gli starnuti di Eolo. La melodia del vento, inutilizzabile negli spazi chiusi dei dungeon, viene adoperata nella maggior parte dei casi quando siamo in barca, per gli spostamenti, ma qui ha più una funzione estetica che di gameplay, ed è comprensibile il tedio di ripetere l’operazione tutte le volte che l’occasione lo richiede. Per fortuna esistono usi i nteressanti negli esterni, ad esempio per la risoluzione di alcuni enigmi, e soprattutto in cooperazione con la f oglia Deku… Arcipelago dei boschi. Mi affaccio su una terrazza rialzata che guarda verso il mare. Uso lo stick C per d are un’occhiata intorno e, sulla destra, noto uno scoglio con sopra della vegetazione e… qualcuno. Inforco il cannocchiale – il gadget più stupendamente inutile del gioco – e osservo meglio. C’è un tipo, un turista sembrerebbe, vicino ad una botola ermeticamente chiusa. Mi inumidisco il dito. Il vento non mi è favorevole. Prendo la bacchetta ed eseguo la melodia del vento, orientandolo verso lo scoglio. A quel punto mi lancio con la foglia deku, raggiungo il pezzo di roccia, risolvo un puzzle, apro la botola e… tadà! La Galleria Minite ndo! (Ad essere sinceri la Galleria Minitendo è noiosissima da completare, ma volete mettere il gusto di averla trovata?) Come già scritto, è la foglia Deku il gadget più caratteristico di questo episodio. La si usa come paracadute per planare, quindi per superare budelli insidiosi, ma anche per esplorare le isole alla ricerca di segreti. La si usa come ventaglio per azionare interruttori ad elica, come mezzo di propulsione e, soprattutto, la si usa nei combattimenti.

La bacchetta del vento è utilissima. Anche troppo. Quando si è in mare è un continuo estrarla per eseguire la melodia del vento o del tifone. Una persecuzione. Eseguita una prima volta la melodia, sarebbe stato sufficiente deputare lo stick C al controllo della direzione del vento, così che il ritmo di gioco non v enisse spezzato ogni volta che si fosse r esa necessaria una virata. E invece ci si ritrova a dirigere il traffico dei venti alla maniera frustrante di un vigile urbano, più che di un direttore d’orchestra... Ma tutto questo vento, in fin dei conti, che risvolti ludici procura? Pochissimi. Si rende utile per velocizzare i viaggi in mare e qualora ci siano da coprire delle distanze in volo appesi alla foglia. Tutto qui? Tutto qui. Link è padrone del vento, ma con esso non può spegnere fiamme, sradicare alberi per creare ponti, spazzare via gli avversari o plasmare la superficie marina come suggerito nel paragrafo precedente. In definitiva, l’impressione è quella che il contributo ludico della Takt of Wind sia ben inferiore a quanto era lecito aspettarsi. Una bella idea, sfruttata quasi per nulla.

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Ring#07 Round 3. Il Sistema di Combattimento

___________________________Zelda Reloaded

Eroi per caso____________________________

I combattimenti, in Wind Waker, sono un’opera d’alta ingegneria… Isola dei mostri. Ho perduto la spada e, novello Snake, mi aggiro in punta di piedi per l’arsenal gear della situazione. Mentre volteggio aggrappato ad una corda penso: testiamo il sistema, e lascio la presa. Cado s opra ad un tavolo apparecchiato, piatti e bicchieri ondeggiano verosimilmente, alcuni cadono per terra i nfrangendosi. Il rumore non è sufficiente ad allertare le guardie, ma da una specie di pentolone escono dei miniblin: mostri in miniatura muniti di forcone che mi si parano innanzi gridando “Nenè, Nenè!”. Scappando dalla morsa di questi ministronzi, ricordo una regola fondamentale dei videogiochi: i mostri non salgono le scale a pioli. Salgo su una scala a pioli e mi metto in salvo su un livello rialzato della stanza. Mentr e sto ancora guardando al piano di sotto con le mani sul pacco, in segno di derisione, i miniblin procedono a saltelli sulla scala e mi circondano. Nenè, nenè, nenè. L’impressione che si ha nei combattimenti è quella di trovarsi in un sistema completamente stabile. Un sistema in cui ogni azione provoca una reazione appositamente studiata. È come se i game designer avessero costruito una tabella. Sulle righe hanno posto ogni tipologia di nemico, sulle colonne i vari gadget che P opippo trova nel corso dell’avventura; quindi hanno riempito ogni casella che si viene a creare pensando alla reazione più opportuna che un determinato mostro deve avere a contatto con un determinato gadget… Sull’isola Primula, andate per la salita che conduce al ponte sospeso. Verrete attaccati da un gruppo di miniblin. Selezionate la foglia deku e lanciate una ventata. I piccoli mostriciattoli verranno spazzati via e non li v edrete più ritornare. Perché? Sono caduti dalla rupe e sono morti al contatto con l’acqua. Toh, basta rdi. Ma potete essere ancor più sadici. Buttate a terra una manciata di bacche e i miniblin dimenticheranno di a ttaccarvi, gettandosi invece su questi frutti, litigandoseli. A questo punto sorridete, selezionate una bomba e adagiatela in mezzo alla mischia, poi allontanatevi e, prima che arrivi la deflagrazione, immortalate il tutto con una bella foto. Gli scontri coinvolgono spesso grandi quantità di nemici, con buona varietà di razze contemporaneamente presenti e senza che la scena subisca rallentamenti di sorta. I cattivi, dopo aver individuato l’eroe del vento, gli si fanno contro con manovre di accerchiamento. P opippo può adoperare le armi che i mostri più evoluti l asceranno cadere. Questi, disarmati, si faranno avanti con colpi di kung-fu oppure setacceranno i l terreno in cerca di una nuova arma. Non necessariamente la l oro: i darknut – soldati con spadone e armatura pesante – possono ad esempio adoperare le lance dei moblin. Ancora. I nemici, se per errore si colpiscono a vicenda, si tolgono energia: aspetto che può essere adoperato a fini strategici. Ancora. L’ambiente reagisce verosimilmente ai colpi inferti da Popippo e dai mostri. Se il fendente di un darknut colpisce una colonna, questa si spaccherà, cadendo di lato e travolgendo chiunque si trovi in traiettoria. Ancora. Nelle aree silvestri è possibile intrappolare un nemico gettandolo in una macchia di arbusti. Questi, disperato, non riuscirà a districarsi, aspettando coi lacrimoni che lo degniate di attenzione, magari con una bella bomba pacificatrice. E non perdetevi la scena del pirata aggrappato all’orlo di un precipizio. Rotfl. La telecamera manuale, che in un gioco frenetico come Super Mario Sunshine risultava spesso scomoda da gestire, si adatta splendidamente ai ritmi di Zelda, tanto che non si sa come abbiamo fatto fino ad ora senza.

Il sistema di combattimento di TWW: versatile, i mmediato, coinvolgente. Grande. Ma compromesso da un livello di difficoltà che ne ridimensiona drammaticamente il potenziale ricreativo. Esaminiamo il mini- dungeon sull'isola Primula cui si accede sollevando il t estone di pietra: una sequenza di 10-15 stanze di soli combattimenti. Mostri tutti d iversi, un sacco di armi a disposizione: sulla base di questi due elementi si poteva dar vita a d ieci stanze di combattimenti furibondi/tecnici/appaganti. Il Paradiso dell’action RPG gamer con le palle girate. E invece no. Basta agitare la spada a casaccio per uccidere tutti. Gli avversari sono dei sacchi da riempire di botte, e il fatto che per abbattere molti di loro basti un colpo rende gli scontri di una leggerezza deprimente. Si vedano i due nemici ordinari più agguerriti: i demoni porcellosi e cavalieri in armatura. Per avere la meglio sui primi è sufficiente stordirli con il boomerang in qualsiasi momento per poi massacrarli di spadate, per i secondi basta rimanere immobili aspettando il segnale per il colpo speciale. Avete capito bene: IM- M O - B I - LI. Pazzesco. Attendiamo per anni uno Zelda di nuova generazione e Nintendo ci propina un sistema di combattimento in cui per uccidere gli a vversari più tosti bisogna starsene fermi e pigiare un bottone quando ce lo dice la CPU...

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Ora, immaginate lo stesso demone di cui s opra che schiva il boomerang, carica Link, si protegge con la lancia, e carica ancora. Con Link che deve schivare le cariche, stordire il suino quando rimane scoperto d opo un assalto andato a vuoto, e quindi entrare di spada. S arebbe un altro gioco. Se non ci fossero così tante armi a disposizione, se il sistema di combattimento non fosse così bello, si potrebbe anche sorv olare sulla scarsa importanza attribuita alle battaglie, ma così è uno spreco, c'è poco da fare. La demenza degli avversari è poi accompagnata da una d isponibilità di energia sconsiderata. Dev’essere andato storto qualcosa durante la fase di testing. Come se all’ultimo minuto le alte sfere Nintendo avessero imposto un livello di difficoltà idiot- proof come risposta alle critiche ricevute da Super Mario Sunshine, da molti additato come difficile ai limiti della frustrazione. Basta poco per accorgersi che qualcosa non funziona nel sistema di ripristino dell’energia al termine di ogni scontro. Situazione di battaglia ordinaria: combatto senza eccessivo impegno, prima di capitolare il mio avversario mi colpisce 3 volte, mi toglie 3 quarti di cuore, e da morto mi regala 3 cuori interi. I conti non tornano... È infine negli scontri con i boss che TWW sembra prendersi in giro da solo, facendosi del male ai limiti del masochismo, annichilendo tutto ciò che di buono è in grado di p roporre. Se è vero che alcuni boss non eguagliano gli straordinari livelli di ispirazione di quelli di Ocarina of Time, è altresì vero che alcuni di questi offrono uno spettacolo maestoso e dei pattern di risoluzione accattivanti, come il gigantesco crostaceo dell’Isola del Drago o il vermone del Tempio della Terra. Ma lo sproposito di cuori a disposizione del giocatore (più eventuali fatine in bottiglia) ci restituisce queste creature impotenti, condannate a venire abbattute al primo tentativo, giocandosi così ogni chance di lasciare il proprio segno nella storia del boss- design. Ma soprattutto, la sensazione è quella di sentirsi derubati: derubati di quella soddisfazione i mpagabile, che solo i videogiochi sanno regalare, che si riceve al termine di una vittoriosa, sudatissima battaglia contro un gran boss. Questo Zelda è più diseducativo di un Grand Theft Auto: perché in TWW si vince senza merito. Bambini non giocateci, la vita non è così.


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Ring#07

Round 4. Puzzle & Dungeon ____________________________Poes’n’Moblins

Briciole dello Zelda che fu _________________

La serie di Zelda, da un regime di otto labirinti per gioco garantiti fino ad Ocarina of Time, è scesa ai quattro – invero cazzuti – di Majora’s Mask ed ai cinque bicchieri d’acqua di Wind Waker. Le cose sono due. O i ridotti tempi di sviluppo hanno costretto gli autori a tagliare parte del girato, oppure è presente in Miyamoto, Anouma e company la volontà di dungeon-decentrare la serie, spostando l’azione maggiormente sulla superficie. Questo – proteste dei fanboy a parte – potrebbe servire a rendere assai più vario il gameplay, a nche in ottica di produzioni future, ma senza comunque stravolgerlo. Come Majora prima di lui, Wind Waker rifugge parzialmente dalla struttura di gioco: mappa-dungeongadget-boss dei lavori precedenti, garantendo situazioni nuove come la sezione di tactical espionage action sull’isola dei mostri. Ma anche i dungeon veri e propri introducono novità. Ne segnaliamo tre.

Cinque dungeon. Pochi. Ma buoni? Nì. Il primo, lineare come un ferro da calza, si riduce a poco più che a un esercizio di stile. Con effetti di f umo e fuliggine che avvolgono maestose colonne di fuoco cel-shaded. Ma i puzzle sono scontati, i combattimenti ridicoli. Spettacolare il boss. Il migliore dell’intero gioco. Ottimo il secondo dungeon. Zelda allo stato puro. Il sapore è ocariniano, ma la foglia emancipa il tutto dal rischio di déjà vu. Boss anonimo per quanto visivamente appagante. Ordinario il terzo dungeon. Sorprendentemente grezzo sotto il profilo tecnico. Raffazzonato. Il quarto e il quinto sotterraneo sono opere di s apiente citazionismo. Si dosano bene gli ingredienti e si miscela un ottimo cocktail a base di Ico e OOT. Ma il gioco sta per finire, e dello Zelda del futuro non vi è ancora traccia. È tempo di rassegnarsi. Farciscono il tutto enigmi all’insegna dello sbilanciamento. Demenziale e illogico quello della parola d’ordine per accedere alla nave dei pirati dall'isola Taura (la password è palese da subito, ma non funziona finché non ci viene suggerita da un PNG). S eguono puzzle più ragionati, come quello nel Tempio della Terra che costringe all’uso simultaneo di scarponi e arpione. Poco dopo, però, ricompaiono gli enigmi telefonati, proposti insieme alla loro ste ssa soluzione, come quello dei quattro bersagli da colpire con il b oomerang nella torre di Ganondorf. TWW è un prodotto incoerente, sbilanciato, che tutt'a un tratto ti spiega come camminare quando f ino a un minuto prima ti chiedeva di correre. E senza neanche la giustificazione di aver tentato di proporre qualcosa di nuovo, di ardito. TWW soffre del complesso di Trapattoni. Propone un sistema d i gioco assodato, tradizionale, diluito nei tempi al limite dell'anacronistico, e questa mancanza di coraggio alla fine la paga tutta. Addirittura alcuni puzzle si spingono oltre il limite del nonsense. Come quello della nave fantasma. [SPOILER] Per accedervi è necessario recuperare la mappa in cui vengono illustrate le zone in cui appare. E se io sono riuscito a trovare la nave per conto mio? Di certo non mi salta in mente di lasciarla lì per cercare dall'altra parte del regno una mappa che mi spiega come ritrovarla. Nel frattempo le provi tutte. Tenti di abbatterla a cannonate, di dar fuoco alla vela nel momento in cui questa compare, di spegnere tutti i fuochi fatui di cui si circonda [/SPOILER]. E intanto le ore passano, dato che tra un tentativo e l'altro è necessario lasciar passare dei giorni di gioco, cosa che si traduce nell'abuso della Sonata in Dì No tturno. TWW riesce ad essere facile e frustrante allo stesso tempo. Un record.

La prima è la possibilità di raccogliere le armi perdute dai nemici. Queste, oltre ad essere utilizzabili nelle sessioni di combattimento, si prestano a funzioni di puzzlesolving, anche grazie alla possibilità di lancio delle stesse concessa dal tasto A. La seconda novità è garantita dall’ingresso nel sistema di un’ottima riproduzione della fisica delle corde. Popippo salta, si aggrappa tarzianamente ad un lampadario e poi via su un altro, fino alla piattaforma successiva. L’introduzione del rampino, uno dei primi gadget concessi dal gioco, consente evoluzioni molto più varie del semplice hookshot – che comunque ritroveremo verso la fine – grazie alla possibilità di orientare il personaggio, di farlo penzolare e di fargli risalire/ridiscendere la corda. La terza novità risiede n ell’interazione coi due Saggi che troveremo nel corso dell’avventura. Se in Ocarina la principessa Ruto, stronza, si faceva solo prendere in collo e, alla bisogna, depositare su opportuni interruttori, in Wind Waker i due personaggi che ci faranno da spalla, oltre ad avere differenti abilità di volo, possono anche cedere i comandi al giocatore tramite un’opportuna melodia. Una possibilità, questa, che spalanca la porta a nuove tipologie di puzzle, e che, a onor del v ero, avrebbe potuto essere usata in tutti e cinque i dungeon, in modo da imprimersi come caratteristica fondamentale del gioco. Certo, questi ultimi due aspetti possono dare a pensare che gli sviluppatori abbiano attinto a piene mani da Ico, ma l’accusa non sussiste: Ico è praticamente uno spin-off di Ocarina of Time…

Round 5. La Grafica _________________________Zelda Revolutions

Molto rumore per nulla____________________

Rivoluzione! Dopo Jet Set Radio – che ce lo eravamo giocato in nove – dopo Automodellista – che fa cagare – e dopo una serie di giochi dalla grafica solamente ibrida, arriva con Wind Waker il toon-shading in tutto il suo potenziale. E le lande geometriche e slavate degli altri titoli diventano qui cartone animato. Puro. Fluido. Interattivo. In continuo movimento.

Quanto parlare si è fatto di questo benedetto celshading? Ebbene, la scelta grafica impiegata in TWW si è rivelata azzeccata, evocativa ed efficace. Nessuno qui oserà sostenere il contrario. Questo, però, non significa che sotto il profilo estetico TWW abbia soddisfatto le aspettative. Innanzitutto la risoluzione: la solita risoluzione media interlacciata impiegata anche in SMS, che durante

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Wind Waker sdogana presso il grande pubblico una nuova concezione di resa cosmetica, dando il via a infinite possibilità di sperimentazione. I personaggi sono vivi. Popippo vanta una serie ineguagliabile di espressioni facciali: dall’esilarante volto attapirato per la scarsa energia, agli occhi sbarrati à la Ratman, all’espressione d eterminata durante gli scontri con i boss. In paragone, i coprotagonisti si rivelano i nvece belli da vedere ma piuttosto statici (con l’eccezione di quelli più importanti, come Dazel e Ganon, che però è il personaggio dalla caratterizzazione meno riuscita: dov’è il nasone?). Ma sono i mostri a contendere la statuetta al protagonista, producendosi in smorfie da perfetti caratteristi che, oltre a renderli oltremodo simpatici, prolungano i combattimenti, con il giocatore che tergiversa per ammirare il repertorio mimico del nemico. E magari per scattare qualche foto. Qui si va oltre al mero machismo dei chip grafici. Qui si esplorano i territori della sensibilità artistica, del videogioco d’autore.

i movimenti di macchina orizzontali affligge l’immagine con fastidiosissime zigrinature lungo i bordi di tutti gli oggetti. Secondo: l’effetto di blur. Assolutamente i nvadente sui televisori 100Hz (ma non solo) che ne esasperano la resa, coinvolge una porzione di schermo esagerata e non conferisce di certo pulizia all’immagine. Era proprio indispensabile? Ma soprattutto, cel-shading significa look cartoonesco, non minimalismo grafico estremo. La povertà delle texture e la nudità di certi ambienti (la Torre degli Spiriti su tutti) lasciano l’amaro in bocca. Si p oteva utilizzare la medesima soluzione grafica o ffrendo uno spettacolo di ben altra pompa. Infine la tanto decantata espressività di Link. Arrabbiato, felice, tranquillo, a bocca aperta: una manciata di buffe espressioni à la South Park, ma nulla di sconvolgente. Per di più, per valorizzare le animazioni facciali, rispetto a OOT la telecamera virtuale è stata modificata: ora non si posiziona più a utomaticamente alle spalle di Link qualora questo i nverta la direzione di marcia. Così non sappiamo più dove stiamo andando, ma in compenso possiamo g odere degli occhioni mobili e della frangetta svolazzante del nostro piccolo eroe...

Round 6. L’atmosfera ________________________The Incredible Tide

Magia, poesia, epica...____________________

Sono in mare aperto. È notte. Ho appena ripescato un tesoro e sono reduce da uno spensierato vagabondaggio per i mari del sud, alla ricerca di qualche fatina e dei suoi regali. Cerco di orientarmi; per farlo non è necessaria la mappa, né la bussola: bastano le stelle. Il cielo notturno ha tutte le costellazioni lì dove dovrebbero essere, facendomi sentire meno videogiocatore e più un personaggio di Hemingway. Vedo una luce all’orizzonte, a nord. Che diavolo è? Ah già! È il faro dell’isola Taura, che d opo tanti affanni sono riuscito ad accendere. Mi prende il desiderio di andare a salutare il commerciante Tefregu e, perché no, di partecipare ad un’asta, per vedere se riesco a trovare un bel pezzo di cuore. Oriento il vento verso Nord, isso la vela e, c on unico sottofondo lo scricchiolio del legno, navigo. Passano pochi istanti e un jingle importato da Ocarina annuncia che sta per arrivare l’alba. Il sole si alza luminoso all’orizzonte, portando con sé una bellissima melodia. Mi avvicino all’isola. I gabbiani mi vengono incontro e iniziano a seguirmi. Il mare è una tavola. Lascio la barca in un’insenatura vicino alla spiaggia e mi appresto a f are un giro in città. Tefregu non ha voglia di chiacchierare: sospetta che qualcuno nottetempo sottragga soldi dalla sua cassaforte. Decido di indagare sul fatto. Ma, non c’è fretta: prima passo dal fotografo a vedere se ha qualche bello scatto da vendermi…

TWW è poesia, TWW è magia, TWW è epica. Palle. Per chi nel cuore serba scolpita l’epopea di OOT, non è a rduo constatare come a questo Zelda manchino proprio la p oesia, la magia e l’epica. Poesia: OOT era fatto di momenti memorabili. Il mio preferito: quando Link in una notte imperlata di fate luminose si accinge a l asciare il bosco dei Kokiri. Su di un ponte sospeso incontra l’amica di infanzia Saria, che al chiaro di luna gli consegna un’ocarina... TWW: Link approda all’isola del Drago, R e Drakar - la barca parlante - tiene in bocca qualcosa e pretende di rifilarcelo. Ma che schifo. Che cos’è? Un osso? Seppelliscilo da qualche parte. Come? È la leggendaria bacchetta per domare i venti? E sarebbe questo il modo di consegnarmela? Non sono mai stato così p oco emozionato in vita mia. Magia: ricordate l’incanto di scoprirsi improvvis amente adulti in OOT? Ricordate lo stupore nel reincontrare il puledro Epona fattosi ormai destriero? R icordate la fuga dal ranch? Epona prendeva velocità, spiccava un balzo e superava la staccionata del ranch atterrando in mezzo alla piana di Hyrule. Frenava la corsa, si alzava sulle zampe posteriori e nitriva gagliardo. Libertà! TWW: sopravvissuto a un naufragio, Link riprende conoscenza. Si trova davanti una cialtrona di barca parlante che non fa altro che sbadigliare. E da dove è saltata fuori? Sarebbe questo il modo di introdurre il compagno di viaggio di Link per la sua nuova avventura? Epica. Non c’è respiro in questo Zelda. Non infonde il senso di appartenere a una grande storia. Non ci si sente mai eroi, complice anche il livello di difficoltà cazz- market. OOT raccontava una storia epica più grande di colui che era chiamato a compierla. Per questo per completare la sua missione Link era costretto a farsi adulto prima del tempo. TWW: questo Link under- 12 armato di foglia fa tanta t enerezza, ma non accende l’animo del giocatore al senso dell’impresa, della battaglia vera. La storia non è malvagia, è a tratti rivelatrice, ma non pompa mai adrenalina, non info nde il senso assoluto della lotta eterna tra il bene e il male, non incurva le spalle del giocatore con il peso di una responsabilità che lo emoziona. Io voglio salvare il mondo, ma tutto congiura per convincermi che farei meglio a fotografare piccioncini sull’Isola Taura o collezionare collanine...

(Gli artwork di questo articolo sono di Chiara Belvisi)

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Round 7. Tradizione VS Modernità _________________Such an easy game to play?

Da eroe del tempo a prigioniero del passato___

Il peggior Zelda di sempre. Ecco come parte della critica, dopo l’entusiasmo iniziale, ha descritto Wind Waker, fondamentalmente per la mancanza di sfida di cui soffrirebbe l’impianto di gioco. Dall’altro angolo del ring, qualcuno picchierà forte su questi tasti, ma riassumiamo qui gli elementi che fanno di Wind Waker un gioco fac ile…

Facciamo un passo indietro. Dimenticate Zelda. Ripercorriamo le tappe della produzione Nintendo per GameCube a partire dal day one.

I Kinder Sorpresa. Se nei precedenti Zelda i nemici alla l oro morte lasciavano, quando andava bene, un item da raccogliere, in Wind Waker gli avversari più massicci, crepando, cagano un ovetto che se infranto garantisce una manna di regali. Per Popippo, raccogliere questi pacchi dono dell’Onu equivale ad una fermata ai box, cosa che non rende certo impossibili i combattimenti, anche considerando che quindici/venti contenitori di cuoricini, insieme a quattro fatine opportunamente imbottigliate, sono la cosa più vicina ad un cheat mode da Action Replay che si sia mai visto in un videogame. Il medaglione-cellulare. Spesso quando Popippo indugia sul da farsi, magari ritornando parzialmente sui propri passi perché non ha le idee chiare… Drin! Suona questo medaglione e una voce all’altro capo della linea dice: “Telecom Italia: fai questo, questo e quest’altro”. P eggio di una fidanzata possessiva. I movimenti di macchina. Quando non ci si mette il telefonino, è la telecamera stessa a suggerire pesantemente cosa fare, andando ad inquadrare la porzione di scenario che ci servirà per risolvere l’enigma, togliendo di fatto il gusto dell’esplorazione. La tradizione. Sì, anche la tradizione non aiuta: che tensione potrà mai arrecare un boss, per quanto minaccioso, quando sappiamo già da prima di incontrarlo che per ucciderlo dovremo utilizzare il gadget trovato nel medesimo dungeon? Ecco che la a volte ottusa fedeltà con il passato, tipica di Nintendo, si rivela un passo falso. E i cubi, per carità, basta coi cubi da spingere e da t irare. Non se ne può più! Ma nonostante tutto ciò, forum e newsgroup di ogni dove traboccano di richieste di aiuto da parte di giocatori che non trovano il c ordardo dell’isola Taura, che non sanno dove sono gli stivali di piombo, che ad un certo punto non capiscono più che cosa fare. Questo nonostante le telefonate della Telecom e il cineoperatore di gamefaqs. Allora tutto si rimette in discussione, e Wind Waker non diventa più un gioco facile: diventa un prodotto dedicato alle grandi masse, pensato per tutti quei videogiocatori che non hanno giocato a Popippo’s Awakening e che credono che l’idea dei due universi paralleli sia farina del sacco di Soul Reaver. Non si tratta pertanto di errori in fase di progettazione, bensì di una precisa scelta che ha l’obiettivo di far entrare quante più persone possibili nella terra di Hyrule. Protestare per quella che, oltre ad essere una scelta legittima, è anche altamente comprensibile, fa assomigliare pericolosamente colui che protesta al negoziante di fumetti dei Simpson , che indossando la sua t- shirt: “Worst Episode Ever” è pronto a vomitare rabbia su i nternet ogni volta che i suoi idoli non producono esattamente ciò che egli si aspetta. Ciò che, come premio per anni di insana fedeltà, gli è dovuto. Wind Waker è un gioco per tutti: dai giocatori hardcore, che vivranno venti ore di grande avventura, sebbene un po’ facile, ai casual gamer, che scopriranno con questo titolo un mondo totalmente nuovo, il Nintendo way of gaming, e se ne innamoreranno. Sotto questo punto di vista, Wind Waker è un capolavoro. Capolavoro perché non sbaglia praticamente niente. Capolavoro per la forte idea visiva che reca con sé. Capolavoro perché è un videogioco d’autore che, a differenza di un Ikaruga, si lascia fruire meravigliosamente anche dalle grandi masse. Esattamente come i film di Kubrick. I miei rispetti,

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Luigi’s Mansion. L’alba di un nuovo giorno. Un a ntipasto, un gustoso divertissement, una breve anticipazione delle possibilità ludiche che il neonato cubetto e N intendo ci avrebbero potuto offrire in futuro: la mansion è davvero interattiva. È possibile scuotere, spalancare, risucchiare qualsiasi elemento 3D dell’arredamento. Ripensando a qualsiasi Onimusha o Resident Evil, in cui gli scenari sono intoccabili e i pochi oggetti interagibili luccicano per distinguersi dal fondale, il salto in avanti è notevole. In più il gameplay ci mostra come le soluzioni grafiche offerte dalla nuova generazione di console possono spalancare nuove possibilità ludiche. Gli e ffetti d i illuminazione sono parte integrante del gioco. Spengo la luce, accendo la luce in faccia al fantasma e lo risuc chio. Cool. Pikmin. Nulla di sensazionale sotto il profilo del gameplay. “Il Lemmings dei poveri” l’ha definito qualche maligno. Pikmin non sconvolge, ripropone in chiave Nintendo meccaniche soft da RTS e puzzle game. È comunque un mix inedito dal s apore esotico. Super Mario Sunshine. Molto più che un Super Mario 64 con l’innaffiatoio. Il level design è la sintesi della storia del platform game tridimensionale. Mondi compatti, affatto d ispersivi, zeppi di cose da fare, disegnati secondo una morfologia irregolare che ne moltiplica il fascino e la credibilità. Il Fludd rinverdisce il concetto di interazione mariesca con il videomondo. Chiusa la parentesi picchiaduristica di SM64, in cui si sgominavano i nemici a calci e pugni, questa sorta di pistolone ad acqua fluidifica le fasi di combattimento così c ome quelle di deambulazione. Da SM64 è progresso autentico. Metroid Prime. Il culmine della produzione Nintendo su GameCube. Un capolavoro del passato reinventato nel presente. Meccaniche 2D riproposte in 3D senza colpo ferire. Il first person shooter rinasce first person adventure. Level d esign da urlo, sistema di controllo innovativo, boss-design bello da impazzire. Samus Aran sbanca il Third Place. The Legend of Zelda: The Wind Waker. Benritrovati. Zelda il supremo, Zelda killer app a ncor prima di uscire. Macché. Mi sarebbe piaciuto riempire le righe che s eguono con qualcosa di simile al paragrafo con cui ha esordito questo articolo. Ma la verità è un’altra. Questo non è Zelda elevato al Third Place. Quanto ha di buono lo eredita da OOT. Lo copincolla, più che eredita. TWW è l’unica produzione Nintendo per GameCube che non muove un solo passo verso il futuro, o meglio, verso il presente. Perché citazionismo, cel-shading e una foglia da usare come paracadute non fanno di TWW un gioco moderno. Da questo Zelda ci si aspettava interattività come non mai. Speravamo di governare le maree, di incendiare alberi e di congelare l aghi a colpi di frecce magiche, di colpire una mensola con il boomerang per farla crollare in testa a un nemico, di dare fuoco alle chiappe di un avvers ario dalla distanza e di vederlo scorrazzare agitando il panico trai suoi commilitoni. L’essenzialità del nuovo stile grafico poteva dare il via libera a un’interattività senza precedenti, e invece ci ritroviamo ancora in ambienti ignudi e intoccabili c ome gli interni della Torre degli Spiriti, a negoziare combattimenti continuando a pigiare un solo tasto, a esaltarci quando una tenda prende fuoco colpita da una freccia. “L'uomo che non conosce la storia è schiavo delle mode. La conoscenza della tradizione è l'unica via per il progresso”, c i istruisce l’anziano dell’isola Primula. Di tradizione questo Zelda ne ha da vendere. Ma il progresso dov’è? I miei dispetti,


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Ring#07

mORE oF tHE s(H)AME________________________________ [Silent Hill 3] di Darknessheir .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Survival Horror Konami Interno PS2 2003 1 PAL

In sostanza, il survival horror è un g enere videoludico che si serve della tensione per colmare le lacune di un gameplay decisamente b asico. Quindi, per creare un survival horror almeno in grado di “funzionare”, è necessario puntare anzitutto a spaventare ed angosciare l’utente. _________________________Yang

Oltre ad alcuni enigmi veramente complessi, sono presenti fasi in cui è sufficiente combinare gli unici oggetti chiave disponibili nell’inventario.

Sono cani veri o semplici statue in cer amica? Ecco cosa si intende per “angoscia opprimente e continuata”…

Al pari del nostro caro James Sunderland, nel corso dell’avventura Heather si troverà a dover saltare in diversi pozzi per proseguire.

Tensione, spavento, angoscia. In questi campi Silent Hill 3 si destreggia con somma perizia. La protagonista Heather, e insieme a lei l’utente, vagano placidi in un ameno centro commerciale. Il tempo scorre inesorabile, e inesorabilmente si accavallano enigmi, perlustrazioni e rapide consultazioni alla mappa. Fino al momento in cui davanti ai nostri occhi si staglia una porta maledetta, varcata la quale la tranquillità della routine quotidiana viene scalzata da una decadenza ottundente. Ruggine e sangue rappreso adornano le pareti dei negozi, una putredine indefinita ammanta il lastrico; avvolgente, l’oscurità scende d’improvviso a mistificare i contorni delle cose. Ed opporle la tenue luce della torcia in d otazione ad Heather serve soltanto ad acuire lo sgomento. Irradiato, ogni singolo oggetto allunga un’ombra inquietante sulle pareti, sui pavimenti, sugli altri elementi del fondale. Grottesche creature oltremondane brulicano in ogni dove, mandando lamenti bizzarri, aggirandosi convulsamente nel tentativo di lambire Heather. E insieme a lei, l’utente. Silent Hill 3 è insomma un vero capolavoro di tensione emotiva; un’esperienza disturbante come poche, che nel giocatore instilla una angoscia opprimente e continuata. Il titolo Konami non punta a sorprendere infrangendo la calma di una situazione apparentemente sicura con un’inattesa incursione mostruosa. Preferisce tormentare l’utente, allestendo sotto i suoi occhi situazioni orrorifiche e grottesche, spesso innocue. In un qualunque Resident Evil è possibile mettere mano al fucile e brutalizzare il mostro che ci ha fatto saltare dalla sedia; fine del pericolo, fine della tensione. In Silent Hill 3… U n rapido esempio: nel centro commerciale, ci si trova di fronte ad una toilette occupata. Esaminandola Heather bussa alla porta, ed in risposta qualcuno, dall’altra parte, busserà a sua volta. Ma non aprirà. A c cingendosi ad abbandonare la toilette un rumore invita a tornare indietro. Una serratura sbloccata. La porta è aperta, finalmente, ma non c’è nessuno: solamente un WC colmo di sangue. E questo è solo uno degli innumerevoli espedienti terrificanti dis seminati nell’avventura. Avvicinandosi all’epilogo i casi di questo tipo si faranno sempre più numerosi ed agghiaccianti, enfatizzando al massimo la follia perversa che domina ogni scenario. A coronare ottimamente il lavoro degli sceneggiatori concorre un eccellente comparto audiovisivo. Siano in versione normale o “diabolica”, le ambientazioni

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vantano un livello di dettaglio elevatis simo e delle texture ricche e definite. I modelli poligonali di mostri e personaggi sono solidi e squisitamente curati; i mpossibile poi non lodare l’eccellente realizzazione ed animazione dei volti degli attori virtuali. Dal punto di vista sonoro il buon Akira Yamaoka torna a commentare le fasi ingame con la sua caratteristica tregenda di rumori e percussioni; per l’accompagnamento delle scene non interattive sono stati scelti motivi dalle sonorità blues e classic rock, avulsi dalle piacevoli contaminazioni elettroniche sperimentate in Silent Hill 2. __________________________Yin Finora abbiamo dibattuto su un prodotto apparentemente ottimo. Eppure Silent Hill 3 non è esente d a difetti, anzi. C ome detto in precedenza, il survival horror è un genere videoludico che si serve della tensione per colmare le lac une di un gameplay d ecisamente basico. Certamente è giusto concentrarsi sull’a spetto emotivo di un titolo di tale categoria; ma è comunque deplorevole trascurare completamente il game design. La sola tensione infatti non è sufficiente a sottrarre il giocatore alla monotonia; dall’inizio alla fine della avventura le ambientazioni si prestano ad essere esplorate senza offrire nessuno spunto atto a spezzare l’inarrestabile sopraggiungere della noia. Sono presenti un paio di enigmi originali, ma per il resto soltanto macchinali tragitti dal punto A al punto B, e ridicoli slalom tra mostri tremendi tanto per l’aspetto quanto per la goffaggine. A costituire la più grave mancanza di Silent Hill 3, comunque, è una trama banalissima e per niente articolata. Il plot ricalca quello del primo Silent Hill (di cui questo successore chiarisce alcuni retroscena), le sottotrame sono poche e superficiali, la narrazione è lineare e scontata. Un disastro. ________L’armonia del disequilibrio Ovviamente i difetti sopra elencati risulterebbero lievemente smussati per coloro che non hanno mai mes so piede nella diabolica città di Silent Hill; è però i mpossibile risparmiare una vergognosa C all’ultimo nato in casa Konami. Perché ciò che rende questa saga, o meglio, ciò che ha reso i primi due capitoli di questa saga meravigliosi ed ineguagliabili, è il felice connubio tra atmosfere spiazzanti e trame inestricabili, di fronte al quale i difetti del gameplay potevano essere perdonati. Silent Hill 3 puzza invece di “more of the same”, di prodotto pensato per accontentare anche le fasce d’utenza meno esigenti, incapaci di gustare le raffinatezze narrative dei predecessori. Non abbiamo mai biasimato i designer Konami per aver c urato l’a -spetto narrativo/emotivo a discapito di quello ludico. Riteniamo sia equo farlo quando a mancare è la cura verso gli elementi distintivi di uno dei suoi franchise più affascinanti.


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cONOSCI tE sTESSO__________________________________ [Rygar the Legendary Adventure] di DarknessHeir .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Action Tecmo Interno PS2 2003 1 PAL

Il Dual Shock 2 contempla b e n dodici tasti (inclusi select e start), una croce direzionale, e due levette analogiche. Questo lo sappiamo tutti. E suppongo che anche i programmatori Tec mo ne siano al corrente. Ciò che non riesco a capire, è il motivo per cui non abbiano sfruttato maggiormente questa cornuc opia di puls anti.

irrinunciabile per un action game di ultima generazione. In particolare, si lamenta tale assenza nei confronti con i boss. Al posto di schivare con agili balzi laterali, Rygar non può far altro che correre (o al limite scivolare, ma ne parleremo più avanti) goffamente per lo schermo, attendendo l’occasione giusta per iniziare una controffensiva: una pratica decisamente poco gradevole a v edersi, e di certo fuori luogo in un titolo d’azione dotato di grandi a mbizioni.

________________________Non è _________È, ma resta inconoscibile

Agganciando il Diskarmor ad apposite sfere gialle, Rygar può super are baratri in perfetto Tarzan Style

Il Labirynthos Palace, ambientazione ispirata ai celebri palazzi di Creta. Lo stile Minoico è stato ricreato in maniera eccellente

La principessa Harmonia denota una preoccupante somiglianza con Britney Spears…

E’ stata una bella idea riesumare un classico del 1986; ad essere ripescato non è stato un nome dal forte richiamo, bensì un gioco perfetto per essere sottoposto a un’opera di aggiornamento. Poiché il protagonista di quel vec chissimo Rygar dispensava morte e distruzione tramite uno strumento che i suoi colleghi, oggi come allora, gli invidiano. Il Diskarmor. Uno scudo agganciato ad una catena, da maneggiare come uno yo- yo. Un’arma potenzialmente in grado di spalancare situazioni belliche originali ed inusitate nella scena degli action g ame per PS2. E che Tecmo ha implementato egregiamente. Il protagonista del presente Rygar: The Legendary Adventure d i s pone di tre differenti Diskarmor. Hades, per a tt a c c are i nemici dalla media distanza con rapidi affondi; Heavenly, per domare gruppi di avversari con lenti attacchi dalla traiettoria semi circolare; Sea, da preferire nei corpo a corpo. Tre a rmi quasi identiche nell’aspetto ma differenti nell’essenza, ognuna d otata di decine di combo distinte (a volte culminanti in mosse speciali quali tornado o colonne di fuoco) ed in grado di richiamare una creatura mitologica la cui funzione è a ssimilabile alle smart bomb degli shoot’em up vecchio stile. Certo, dei pattern di attacco più elaborati per i nemici non avrebbero guastato, ma alla luce della grande varietà di tecniche atte a sterminarli, chiudere un occhio è lecito. Imperdonabile è invece l’assenza di un tasto per mirare i nemici. Il Dual Shock 2 è dotato di una croce direzionale, due levette e dodici t asti. Era tanto difficile deputare uno di questi alla funzione di lock? Inutile aggiungere che le ripercussioni di questa mancanza interessano pesantemente il valore ricreativo del titolo in oggetto. Il ritmo dei combattimenti risulta frammentato: i colpi vanno indirizzati manualmente, per cui è necessario mirare con cura prima di ritrovarsi a fendere l’aria. Capita spesso di iniziare una combo per poi accorgersi di non essere perfe ttamente allineati con l’avversario, e di conseguenza vedere gli ultimi attacchi della sequenza andare inesorabilmente a vuoto. È da notare inoltre la totale assenza di manovre evasive, feature a s solutamente

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Eppure le premesse per un capolavoro, in questo nuovo Rygar, abbondano. L’eccellente grafica attinge alla mitologia greca per riprodurre in maniera commovente un mondo ricco di scorci evocativi, ottimamente commentato da sublimi melodie sinfoniche e popolato da minotauri, centauri, sfingi e demoni di ogni genere. Allietato da tanta grazia il giocatore si aggira tra ambientazioni d iscretamente estese ed articolate, la cui esplorazione è subordinata al reperimento di determinate abilità. Una volta acquisita la possibilità di scivolare, per esempio, s aranno accessibili tutti quei varchi che ad un primo esame erano risultati troppo a ngusti: analogo discorso riguardo ai blocchi da spostare a suon di tackle, o agli interruttori da premere tramite poderosi pestoni aerei. Spesso questi ostacoli c us todiscono remunerative aree segrete, provviste di item di supporto e c ura, o più raramente una delle numerose pietre da alloggiare sui D iskarmor per ottenere gli effetti più disparati (come recuperare energia, o potenziare i pestoni di cui s opra). Incentivata è altresì la distruzione di ogni elemento interattivo del fondale: frantumando colonne, statue e rocce, è possibile ottenere punti esperienza – normalmente rilasciati da ogni nemico abbattuto - da investire in upgrade per i propri Diskarmor.

_______________È conoscibile ma inspiegabile, intrasmissibile Insomma, non si può che consigliare cautela ai potenziali acquirenti di Rygar: The Legendary Advent ure. Non si tratta certamente di un titolo mediocre, ma pur sempre afflitto da difetti che potrebbero fare rimpiangere un acquisto a prezzo pieno. I programmatori Tecmo eventualmente impegnati in un sequel sono pertanto invitati a prestare maggiore attenzione nella pianific azione d el game design, o in alternativa ad appendersi per il collo (c ome esortava a fare il buon Timone “Misantropo” Ateniese, tanto per rimanere in ambito classic o ) ad una rigogliosa pianta di fico. Con tanti saluti a Parmenide, Zenone e Gorgia.


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qUEL cHE iL mARE nON pUO’ dIRE_______________________ [Zelda Oracle Of Ages & Zelda Oracle Of Season] di Gatsu .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Action RPG Nintendo Capcom GBC 2001 1 PAL

Uno dei principali difetti accreditati a Zelda The Wind Waker è la mancanza del concetto di “molteplicità”, elemento presente in quasi tutti i suoi predec e s s ori. Mi s p i e g o meglio: in Zelda Link To The Past ci era concessa l’esplorazione del mondo normale e di un Dark World specchiato, in Ocarina Of Time Link poteva viaggiare nel tempo e la sua età influiva in maniera sostanziale nelle azioni eseguibili dal gioc atore, in Mask Of Majora l’uso delle maschere era fondamentale per risolvere gli enigmi: ogni trasformazione prevedeva che il nostro eroe assumesse particolari poteri e capacità. In Wind Waker non c’è nulla di tutto questo: Link può c omandare i venti ma ciò, al di là degli spostamenti via mare, influisce in maniera molto meno incisiva sul gameplay rispetto a quanto avveniva negli episodi della saga summenzionati. Non c’è nessun “mondo doppio”, nulla che ci consenta di modificare sostanzialmente le capacità di Link (item e s c lusi, ovviamente, ma questa è una caratteristica chiave della serie). A meno di non voler includere in questa categor i a anche Il Canto Del Burattino, che, c onverrete con me, è decisamente meno effic ace, più macchinoso e più l imitante delle feature citate prima. Ad ogni modo, non siamo qui per d iscutere della struttura di WW, ma per parlare di quella, geniale, di altri due titoli della saga passati un po’ troppo inosservati a causa della console a cui sono destinati, il Game Boy Color. Signore e signori, sono qui per presentarvi Zelda Oracle Of Ages & Zelda Oracle Of Season, due titoli che: a) Rispettano pienamente la tradizione della “molteplicità”, al contrario di WW; b) Sono molto più lunghi e impegnativi dell’ultimo episodio di Zelda; c) Introducono nella saga un geniale meccanismo di scambio dati che è probabilmente servito come base per quello, estremamente complesso, di Animal Crossing… _______________Una non l’avete vista mai

Capcom

così

Sul come abbia fatto Capcom a mettere le mani sugli Zelda portatili (ricordo che Capcom ha curato anche l’ottima c onversione di Link To The Past per GBA) c’è poco da ipotizzare: le esclusive di Resident Evil 0 e 4 devono essere c ostate a Nintendo un bel po’ di promesse. La cosa stupefacente è come Capcom, nota per il suo spiccato gusto per il ric iclaggio infinito di t itoli e meccaniche, sia riuscita ad adattare PERFETTAMENTE il suo team allo spirito della saga e a confezionare due titoli che, fossero usciti su Gamecube, avrebbero presto fatto dimenticare i fasti di Ocarina Of Time . Credetemi, tutto quello che troverete in OOS e OOA è “pure fucking Zelda’s style”, dagli enigmi presenti nei dungeon alle subquest che Link dovrà portare a termine.

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Diversi per ambientazione e indirizzo stilistico (OOS è ambientato a Holodrum ed è più improntato sull’azione, OOA è ambientato a Labrynna e propone enigmi più ostici e meno smazzuolamenti), i due titoli compongono un unico grande puzzle, con continui riferimenti al titolo che in quel momento non state giocando e ai titoli passati della saga. Chiariamo, sia OOA che OOS possono es sere giocati in maniera del tutto indipendente, ma non è questa la loro vera natura, come andremo a scoprire fra poco parlando del singolare sistema di collegamento dei due titoli. ___________Two is meglio che one Fra le principali novità introdotte d ai due titoli, c’è la possibilità per Link di indossare vari anelli (ognuno dotato di un potere particolare, ovviamente) e quella di upgradare i suoi item per un massimo di 3 livelli. Sia OOS che OOA presentano una certa selezione di anelli, che possono es s ere importati nell’altro episodio in qualsiasi momento, tramite un ingegnoso sistema si password, e così pure gli item. L’idea geniale consiste nel fatto che, giocando all’episodio non ancora completato, ci verranno fornite delle password da inserire nel titolo finito, che apriranno nuove subquest o consentiranno di upgradare altri item. E così via, in un reciproco scambio di informazioni che rendono di fatto OOA e OOS due fra i più longevi titoli della saga in assoluto. Come se non bastasse, l’aver completato uno dei due titoli influisce anche sugli eventi principali che ac cadranno nell’altro: nel nostro peregrinare non sarà raro ritrovare personaggi e situazioni già note. Lo stesso “true final boss”, Ganon, si può affrontare solo portando a termine entrambi i titoli (in caso contrario combatterete contro un finto boss finale, ma anche in questo caso la narrazione della storia, seppur incompleta, è garantita). __________________Lungo e duro Solo per darvi un’idea, una guida in txt tipica per OOA (il più impegnativo dei due) si aggira intorno alle 100 pagine scritte in piccolo. 100 pagine per un titolo dedicato al GBC sono una quantità spropositata, e vi assicuro che gran parte di quel testo riguarda la pura soluzione del gioco, non divagazioni sugli item o consigli su come pettinarvi (se vi state chiedendo se ho utilizzato la guida per terminare il gioco la risposta è: “Si, in più di qualche punto non sapevo come diavolo fare”). La difficoltà degli enigmi (particolarmente quella di OOA , ma a nche quelli di OOS sono molto g ustosi) ha ben poco da invidiare a quella dei fratelli 3D, così come la quantità di subquest che si pos sono affrontare anche grazie al sistema di “scambio item” illustrato prima. In definitiva, con una spesa che nel peggiore dei casi si aggirerà sui 70- 8 0 euro, rischiate di portarvi a casa due dei migliori episodi di Zelda mai apparsi su questa terra. Con buona pace di Wind Waker e del suo maledetto mare in cel s hading.


:RECENSIONI:

Ring#07

rADICALI lIBERI_____________________________________ [Time Splitters 2] di Federico Res .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

FPS Eidos Free Radicals Multi 2003 1-4 PAL

Da che mondo è mondo, il modo più efficace di far fuori uno zombie è spappolargli il cranio con un colpo ben assestato. Gli zombie di TS2 però ne sono coscienti, e sono soliti scartare di lato o abbassarsi all’improvviso nel tentativo di evitare l’emicrania…

Time Splitters 2 viene da un drappello di coder uscenti da R areWare, gli stessi responsabili del primo Time Splitters [PS2 e PC] e degli immortali Goldeneye e Perfect Dark [1997 e 2000, N64]. Lungi dal voler stoltamente sfruttare l’eredità dei pachidermici antenati, e spinta da volontà di rivalsa per le critiche mosse al primo TS, questa nuova opera di Free Radical ruota intorno a quattro punti cardine: [1] l’entusiastico scavalcamento dei limiti del prequel (in primis uno Story Mode ridicolmente incisivo); [2] l’edificazione di un multiplayer allo stato dell’arte; [3] l’im-plementazione di una sezione Arcade pericolosamente adrenalinica; e [4], last but not least, la presenza di un editor di mappe tanto esaltante quanto prodigo di opportunità. Una quantità di carne al fuoco da indigestione… __________Da Quantum Leap a Blade Runner

L’aspetto caricaturale del chara design contribuisce ad elevare TS2 dalla piattezza media delle prod uzioni occidentali. Alcuni personaggi, come la donzella in foto o il Gobbo di Notre Dame, sono davvero i mpagabili…

L’uso delle armi gemelle (che si estende a pistole e fucili) permette una potenza di fuoco e una vel ocità di sparo doppie. Un modo facile e rapido per ridurre gli avversari all’impotenza, e per vederli ballare al ritmo dei vostri otturatori...

Il difetto principale del prequel, si diceva, sta senz’altro nella povertà dello Story Mode, che riduce il gioco ad un multiplayer privo di grossi sbocchi ricreativi per un player solitario. Per questo seguito i Radicali Liberi hanno usato l’astuzia: una serie di dieci livelli – sufficientemente vasti e articolati – e una profusione di obiettivi primari/secondari da portare a compimento per ottenere l’accesso ai livelli successivi. Free Radical si m ostra però insofferente alla cinematografia imperante presso tanti esimi esponenti del genere (FPS), e preferisce rifarsi a un modello narrativo ben esemplificato dal telefilm Quantum Leap1: i dieci livelli sono ministorie autoconclusive, e si adagiano in una griglia di comando come gli stage di un gioco ‘old style’. Manca perciò una coerenza di fondo, la coesione di un solido plot narrativo che si faccia latore del giusto coinvolgimento emotivo – spezzato dai continui rimbalzi verso la griglia dei livelli – e della giusta sospensione d’incredulità, concessa in pillole dall’azione spesso blanda. Per contro, s’impone una verve iconografica di grande stile, e un design scaltro e attento: TS2 propone una splendida carrellata di epoche e ambientazioni, dalla Notre Dame di Victor Hugo (provvista di

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un goliardico Gobbo) ad una NeoTokyo sospesa tra Ghost in the Shell e Blade Runner, con tanto di soundtrack ricamato sull’opera di Vangelis; dalle sfumature rosse del Far West di Eastwood e Leone f ino ai laboratori segreti di un emulo di James Bond baffuto e playboy ( Ciclotrone). Senza tralasciare celebranti incursioni nelle fantascienza cinematografica degli anni cinquanta (Ritorno al Pianeta X), strizzate d’occhio a Indiana Jones (Rovine Azteche) e sparatorie a colpi di Tommy in un’affascinante Chicago degli anni ‘30… manca, si è detto, un solido canovaccio che leghi insieme il tutto, ma a ciò sopperisce in parte il coinvolgente mix di narrazione e gameplay: la trama si dipana determinando gli obiettivi che al giocatore è r ichiesto completare (cfr didascalia) e le meccaniche di gioco rispondono ad uno schema eclettico che sa reinventarsi ad ogni obiettivo che pone. Ripartito in tre livelli di difficoltà 2, che ne determinano la complessità della mappa e degli obiettivi, oltre che il numero e la prestanza dei bot, lo Story Mode di TS2 è uno scoppiettante concentrato di game design che gocciola frenesia da tutti i pori… Esaltante per l’incalzante e v ariegata sequela di obiettivi, che vanno dall’uccisione di particolari nemici (Big Tony nella Chicago anni ’30; un enorme demone in Notre Dame; un ammasso di lame e pistoni nella Fabbrica dei Robot), al dis/innesco di congegni quali reattori atomici e ordigni esplosivi; Coinvolgente per i tratti di un level design sorprendentemente ispirato (NeoTokyo 2019, Fabbrica dei Robot e Ritorno al Pianeta X gli episodi migliori); Stimolante per un’inclinazione alla scorrettezza del tutto peculiare: TS2 lesina al limite sugli upgrade energetici, stringe il giocatore in pattern scanditi da rigidissimi intervalli di tempo e concede sempre e solo un misero checkpoint anche nei livelli più articolati. Si è spesso costretti ad una serie d’azioni che, se non accuratamente ponderate , comportano un immediato fallimento della missione: il minimo errore durante l’infiltrazione nella base degli hacker ( NeoTokyo); la minima esitazione nel processo di neutralizzazione di una serie di congegni esplosivi (Ciclotrone). TS2 è una concatenazione di meccaniche priva di punti morti e costringe ad


:RECENSIONI: un’azione tesa e frenetica, che invoca ferrea determinazione e sudore sulla fronte. E questa è l’ode che Free Radical canta al videogioco. L’ode ad una sfida che mai emana il puzzo della frustrazione ma che penetra a fondo nell’attitudine estrema di ogni hardcore gamer a ssetato di “roba buona”. L’ode ad una massiccia produzione di adrenalina nel sangue, l’ode ad un miracoloso bilanciamento tra elucubrazioni tattiche e fasi di shooting furioso (magari ai comandi di una delle tante torrette difensive conquistabili). TS2 è ode al gameplay prima che alla narrazione. Lo si nota nella cura maniacale riservata all’esercito dei bot (che dimostra un IA intraprendente, capace di orchestrare cacce all’uomo, imboscate e fuochi incrociati), nella fantasiosa varietà dell’armamentario (balestre e lanciarazzi, mine teleguidate e fucili al plasma, pistole laser e fucili a pompa…). E lo si nota soprattutto nelle altre modalità che Free Radical ha confezionato… Ad integrare l’esaltante Story Mode – non più inutile orpello di un party game – si avvicendano la modalità Arcade e l’esagerato Multiplayer Mode. L’Arcade infradicia il giocatore con un diluvio di modalità e varianti da lasciar basiti: due s ezioni principali, la prima divisa in tre tornei (Principianti, Onorari ed Elite) dove lo scopo è collezionare medaglie di oro/argento/bronzo; la seconda – dotata di un selettore di frenesia3 – concepita come un raccoglitore di prove da sbloccare tr a-

Ring#07 mite l’accumulo delle medaglie in palio nei tornei. Entrambe le sezioni vantano una varietà di prove apparentemente infinita: Deathmach in singolo e a squadre; Cattura la Borsa (sic); Riduzione (dove, in base ad una classifica stilata sul numero d’uccisioni, i concorrenti subiscono un ridimensionamento inversamente proporzionale alla loro posizione, che si riflette sull’agilità, la resistenza e la forza); Vampiro (con la barra d’energia che si consuma rapidamente e deve essere reintegrata da assassinii multipli), Ladro (dove è necessario collezionare le monete rilasciate dai cadaveri) e decine e decine di varianti. Dal canto suo il Multiplayer si conferma il migliore fin’ora implementato in un FPS, riprendendo più o meno tutte le varianti dell’Arcade in un quadruplo spleet screen solo sporadicamente intaccato da fugaci cali di frame rate . Bellissima la modalità cooperativa, che, grazie alle strategie di copertura adottabili, alle torrette e alle sentinelle mobili aggiunge alla cooperazione un ingrediente fresco e saporito. Infine, ogni modalità (sia Arcade sia Multiplayer) concede un’ampia personalizzazione che riguarda decine di parametri diversi, come punti da ottenere, limiti di tempo, numero di bot, location… Cosa manca ancora all’appello? [1] Una modalità Sfida, dove è possibile sollazzarsi con atti di distruzione sistematica di finestre e vetrate o fare incetta di banane nei panni di una scimmia (!); [2] un

potente editor imbottito di opzioni e variabili, che permette la pianificazione di obiettivi più o meno complessi, la scelta della tipologia di bot, di armi, perfino la modifica di ogni singola fonte di luce; [3] Una grafica fluida e stilosa (che viaggia a 60 fps assolutamente costa nti); e [4] una longevità ostentatamente infinita. Burp. _____________________Note [1] Quantum Leap (in italiano: In viaggio nel tempo) raccontava le vicende di Samuel Beckett, perduto in un interminabile viaggio nel passato. Beckett saltava di epoca in epoca risvegliandosi nei panni di individui sempre diversi, e finiva per dover risolvere i loro problemi prima che i propri. Esattamente ciò che avviene in TS2. [2] Il livello Easy è davvero ignobile e non merita l’attenzione di nessun giocatore che si rispetti. Il nostro consiglio è di buttarsi a capofitto sul Normal, o sull’Hard, sempre che conosciate una nutrita schiera di santi cui appellarvi nella fasi più toste… [3] Il ‘selettore di frenesia’ (che permette la scelta tra Blando, No rmale e Frenetico) determina il numero di bot presenti nella mappa di gioco, e quindi la furia dell’azione…

>> STOP & GO! >> [10 secondi al box] Videogiocatori: quelli che ... Quelli che hanno salvato decine di principesse ma vorrebbero liberarsi della propria fidanzata perché preferisce fare sesso piuttosto che videogiocare. Quelli che vanno al cinema a vedere i film di Mortal Kombat, Street Fighter e simili solo per poter dire: “Col videogioco non c’azzecca una mazza”. Quelli che in giardino ci vanno armati, perché qualcosa di molto grosso può sempre nascondersi nell’erba. Quelli che al posto del confetto Phalqui utilizzano le riviste di videogiochi mainstream

Quelli che passano più tempo con le sub-quest demenziali piuttosto che con il gioco vero e proprio. Quelli che nella vasca da bagno si immergono perché potrebbe esserci un passaggio segreto. Quelli che mangiano solo quando stanno per morire. Quelli che in spiaggia si congratulano con il bagnino per come è stata riprodotta l’acqua. Quelli che, tifosi dell’Inter, dopo il 5 maggio 2002 hanno tentato inutilmente di ricominciare tutto dalla partita precedente.

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Quelli che nessun oggetto è davvero inutile, anche i canditi nel panettone, se ce li mettono, prima o poi potranno servire a qualche cosa.. Quelli che non sono pacifisti, perché la pace ha senso solo al termine dell’ultimo livello, e deve durare, al massimo, fino all’inizio del sequel. Quelli che X accelera, quadrato frena, ma Dio benedica il cerchio... Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa


:RECENSIONI:

Ring#07

lAMPI nEL cIELO, sIBILA lA lAMA rADIANTE________________ [Radiant Silvergun] di Emalord .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Shooter RPG ESP Treasure Saturn 1998 1 Jap

A chi si chiede perché Radiant Silvergun sia giudicato dalla quasi unanimità della popolazione videoludica come LO shooter per console, e quindi il più bello di sempre, Ring si impegna a dare una risposta. Operazione tutt'altro che semplice, a dire il vero. Quello degli shoot'em up è stato fino alla precedente generazione di console uno dei generi più gettonati, ed è quindi naturale che la quantità di titoli sul mercato sia prossima all'infinito. Se il mondo dei videogames fosse un'autostrada le cui corsie ne rappresentassero i generi, quella degli shooter sarebbe perennemente intasata di traffico. La maggior parte delle autovetture che la percorrono potrebbero sembrarvi vecchie e da rottamare, certo, ma il loro motore, ve lo g arantiamo, funziona ancora perfettamente, r egalando emozioni, divertimento ed adrenalina sconosciuti a molte auto nuove di fabbrica. Trovare in un pagliaio d'aghi un ago più bello degli altri, rischia di essere un'impresa ardua, perfino inutile, ma noi ci proveremo, basandoci su pochi ma essenziali punti di riferimento. Il primo di questi è che lo shooting è un genere colpevole. Colpevole di 5 crimini1 , 5 "vizi congeniti" che, con il passare del tempo, lo hanno allontanato dalle luci della ribalta. Radiant Silvergun è uno dei pochissimi prodotti che esce impunito da questo sporco affare, ed essere nominato il best shooter ever è forse il premio legittimo, per un prodotto che è una rara c ombinazione di grafica, sonoro, profondità di gameplay, spirito innovativo e contemporanea fedeltà ai crismi del suo genere. I 5 crimini che ci accingiamo ad elencare erano impercettibili per chi si godeva le prime generazioni di sparatutto. Le macchine su cui giravano, Commodore 64, Amiga, Nes e Master System, erano tecnologicamente limitate e già la sola compresenza di sprite, azione e musica poteva considerarsi un puro miracolo di programmazione. All'inizio degli anni '90, all'apice della sfida tra Megadrive e Super Nintendo, con la presenza ingombrante di PC Engine, gli shoot'em up raggiunsero il loro culmine evolutivo, regalando prodotti tecnica-

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mente eccellenti [scrolling fluidissimo, parallasse a go-go, colonne sonore adrenaliniche] e dal gameplay calibrato, con controlli impeccabili ed una vasta scelta di armi realmente incidente sull'avanzamento nel gioco. Erano i tempi di Thunderforce III e IV, di Musha Aleste , ma anche degli Axelay e dei demenziali Pop'n'Twinbee e Parodius, perché gli shooter sanno anche sorridere, nella loro basta rdaggine di fondo. Poi arrivarono loro, i 32 bit, con un gran carico di attese da parte dell'utenza. Una macchina più potente doveva significare giochi più belli, doveva sfruttare, come già era successo per le generazioni precedenti, tutte le proprie pote nzialità hardware. Piegate alla regola del "poligono per forza", le console a 32 bit hanno passato tre anni di purgatorio prima di trovare un'equilibrata fusione tra un game design fedele alla tradizione degli shooter e d una grafica che reggesse l'impatto con un mercato affamato di textures e poligoni. Ci troviamo in un momento della Storia del Videogioco in cui, da una parte, i limiti storici del genere sembrano decretare l'incompatibilità tra lo shooter e l'evoluzione del divertimento elettronico, dall'altra, Einhänder, R-TYPE Delta e Radiant Silvergun si fanno avanti per dimostrare che, se adeguatamente reinventato, lo shooter è un genere privo di scadenza. Tra questi, RS su tutti viene indicato dal popolo dei videoplayer c ome il titolo in grado di ribadire il valore della categoria, proprio in virtù di quelle sue caratteristiche che riescono ad elevarlo al di sopra dei difetti riconosciuti del genere cui appartiene, limiti che ci accingiamo ad elencare sotto forma di "accusa", dai quali il titolo Treasure, datato 1998 e convertito da coin-op, strilla la sua estraneità. __________1 Natura Reiterativa L'accusa: La struttura classica dello shooter è fondata sulla progressione lineare, con due cliché strutturali. Primo: Il gioco inizia dal primo l ivello, e si indirizza verso la fine passando attraverso scenari di difficoltà crescente presidiati da Boss di metà e fine livello.


:RECENSIONI: Secondo: la distruzione della propria nave significa spesso ricominciare il livello da una sezione precedente. Di questi, è soprattutto il primo ad infastidire i giocatori odierni, portando tutti a non-appassionati alla noia di ripetere forzatamente i primi livelli per poter arrivare alla fine, o di perdere vite anche in livelli ormai famigliari che non dovrebbero più costituire un pericolo per l'avanzamento. Negli shooter non esistono salvataggi, è nella loro stessa natura, ma questo rischia di portare ad un veloce disaffezione da parte di tutti gli utenti occasionali. La difesa: Radiant Silvergun riconferma la componente della progressione lineare, ma questa è l'unica attinenza con i cliché del genere. Grazie all'introduzione del sistema di "esperienza progressiva" proprio della versione creata appositamente per Sega Saturn, ogni volta che il gioco ricomincia, le armi mantengono il "livello di esperienza" acquisito con le partite precedenti [debitamente salvato nella memoria interna della console], r isultando sempre più veloci e devastanti. Grazie a questo fattore, tipico degli RPG, è virtualmente impossibile non progredire nel gioco, visto che i primi Boss possono e ssere spazzati via in una frazione di secondo dopo solo qualche ora di gioco. Inoltre, ogni partita è differente dalla precedente, proprio perché con l'esperienza e la sicurezza m aturata dal giocatore, si passerà da una fase di pura azione blastatoria, selvaggia, auto-difensiva, ad una fase più critica, ragionata, alla ricerca del "perfect play" e del punteggio più alto. Cosa che permetterà una più rapida evoluzione del proprio arsenale, grazie al sistema delle "chain" di cui parleremo più avanti. Tutto questo porta ad un unico ma importantissimo risultato: l'utente non corre mai il rischio di stancarsi od annoiarsi, visto il continuo rinnovarsi, diversificarsi e prolungarsi dell'esperienza. _____________2 Azione Basica L'accusa: Mentre tutti gli altri generi [Platform /RPG /Sportivi] hanno nel corso degli anni sviluppato trame, eventi ed azioni che hanno approfondito, variegato, ritmato il gioco stesso, limitando ai minimi storici la ripetitività delle azioni tipiche del genere [si pensi solo alla profondità raggiunta dalle simulazioni calcistiche], l'azione dello shoot'em up si è irrigidita su tre

Ring#07 sole azioni di base: sparare contro gli avversari, evitare i loro colpi e potenziarsi progressivamente. Davvero troppo poco per un genere c osì importante. La difesa: Radiant Silvergun mantiene le caratteristiche proprie del suo genere, ma le espande su più piani di gameplay. Sparare contro gli avversari non significa premere forsennatamente il pulsante di fuoco. No. Far fuoco sul nemico presuppone innanzitutto scegliere una delle armi di cui dispone il Silvergun. Ognuno dei sei pulsanti del joypad Saturn è adibito ad un'arma precipua, il che significa poter scegliere fra sei armi diverse, s ette se si conta anche la lama laser al cui uso è preposto il tasto posteriore R, che debitamente caricata funge anche da devastante, schermoilluminante smart bomb. Ogni singola arma, dal laser a r icerca a utomatica, al comune vulcan anteriore, ai missili laterali, fino alle 3 varianti deposte sui pulsanti X,Y,Z, ha più di un valore accessorio. Ognuno dei venticinque incazzatissimi Boss che vi troverete ad affrontare necessita di un diverso approccio, che tradotto in soldoni significa diverso arsenale di fuoco. Fuoco a cui rispondono sia i Boss che le comuni navi da battaglia sparse lungo i l ivelli, fuoco che non da mai l'impressione di essere scaricato a caso, che non sembra mai inevitabile. Evitare i colpi avversari, grazie allo splendido gameplay forgiato da Treasure, diventa un'arte. Ogni singolo colpo nemico offre sempre una luce, uno spiraglio, una via di fuga. È meraviglioso tr ovarsi in un inferno di fuoco, con un colpo ad un pixel dall'ala destra, un altro colpo che scivola lungo la fiancata sinistra, mentre il nostro vulcan esplode la raffica risolutiva verso quella fastidiosissima nave madre. Potenziarsi progressivamente rifugge invece la classica regola dell'item da raccogliere. Le armi vengono evolute fino alla 33a potenza tramite l'abbattimento delle navi avversarie, che si dividono in tre classi di colore: giallo, rosso, blu, affrontabili in due modi differenti. Abbattere selettivamente solo navi di un colore, porterà ad un aumento esponenziale del punte ggio e della potenza dell'arma che si sta usando in quel momento. Abbattere le navi secondo una precisa sequenza cromatica [che sta a voi scoprire] porterà invece ad ottenere bonus denominati "secret", che si alternano ad altri bonus nascosti nello scenario, sempre e comunque alla ricerca della

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partita perfetta, all'insegna della massima varietà e stimolazione possibile. ____3 Sistema di armi punitivo L'accusa: Nella maggior parte dei casi, perdere una vita nel bel mezzo di un livello significa perdere tutti i potenziamenti ottenuti, con l'enorme frustrazione di ritrovarsi m ilitarmente castrati ed in preda a furiose folate avversarie. Pochi sono i giochi talmente equilibrati da permettere una sfida dignitosa anche in presenza della d otazione di base, ma gli stessi possono anche essere paradossalmente tacciati, sotto quest'aspetto, di "scarsa competitività", o troppa facilità che dir si v oglia. La difesa: Radiant Silvergun, in questo caso, stravolge completamente l'essenza ludica. Non esistono "livelli", n i nanzitutto. Tutto il gioco è un unico, lunghissimo livello, caratterizzato da macrosequenze di scenari che si alternano su schermo, interrotte da brevi sequenze narrative, cui accenneremo in seguito per esaltarne la splendida regia. In tutto possiamo distinguere circa cinque fasi di gioco, ma all'interno di ognuna si susseguono diverse ambientazioni, interrotte ogni due minuti circa da un enorme, coriaceo Boss. Essere colpiti, in pratica, si riduce alla sola perdita di una vita sul totale. Perché quello che conta è che l'azione/attenzione/esaltazione non venga mai interrotta. ______4 Innovazione Nebulosa L'accusa: Gli shoot'em up sono un genere storicamente bidimensionale. Le innovazioni innestate nel g enere dagli albori [console | computer a 8 e 16 Bit, fine anni '80] fino al punto di massimo splendore [console a 16 bit, inizio | metà anni '90] sono fortemente strutturali, realmente incidenti sul gameplay, ma poco "visibili" ai non adepti. L'introduzione del 3D, di fatto, non ha costituito la rivoluzione "globale" che ci si poteva aspettare, risultando talvolta in una certa perdita di intuitività, altre volte perfino in un impoverimento del valore iconografico [si pensi alla pessima resa iconografica di Thunderforce V [Technosoft 1998] rispetto ai suoi meravigliosi predecessori]. In altre parole, lo shooter, agli occhi di un utente distratto, è riu-


:RECENSIONI: scito a stento a rinnovarsi pur attraversando diverse generazioni di hardware. La difesa: il grande merito di Radiant Silvergun è quello di mantenere la giocabilità e l'immediatezza dei vecchi shooter conformemente agli standard del proprio tempo. Stiamo parlando del 1998, anno in cui sono usciti anche i già menzionati R-Type Delta e Einhänder. Due splendidi shooter a nch'essi, nessun dubbio, più prestanti tecnicamente, ma purtroppo complici in più occasioni dei 5 crimini sotto osservazione, e quindi meno meritevoli del t itolo Treasure ad opinione di chi scrive. Ma andiamo con ordine. RS è innovazione grafica: L'ibrido bitmap/poligoni utilizzato dal titolo Treasure risulta vincente su più piani, brillando per creatività, innovazione e sapiente sfruttamento [e conoscenza] di pregi e limiti dell'hardware Sega. Il motore grafico di Saturn, generalmente poco avvezzo ad una perfetta gestione di mondi 3D-only, ne è uscito con lode, garantendo un'azione quasi sempre fluidissima [siano benedetti i rallentamenti nei momenti più concitati]. La grafica bitmap dei fondali, splendidamente definita, ne ha permesso lo zoom, la deformazione e la rotazione, garantendo un festival di lampi, esplosioni, distorsioni, rotazioni, che accompagna l'utente per tutta la durata del gioco. L'uso di meccaniche 2D, con Boss e particolari dei fondali in 3D, è riuscito a far convivere il perfetto controllo tipico dei titoli bidimensionali con la spettacolarità e fluidità dei Boss poligonali, ognuno con un comportamento ben distinto. Uno spettacolo di gameplay nello spettacolo delle coreografie. RS è innovazione concettuale: il gioco è l'apoteosi della filosofia del "warning- no refuge!!" che anticipa l'arrivo di ogni Boss. Mentre in tutti gli shooter a 16bit il Boss rappresentava l'ultimo ostacolo da oltr epassare, in RS il Boss è la costante di gioco, tanto che in pratica si può definire questo prodotto una continua sequenza di enormi ammassi d'acciaio animato. Le astronavi gregarie sembrano servire solo al potenziamento del Radiant e a scaldare l'ambiente, per arrivare preparati allo scontro cruciale. E al successivo. E a quello dopo. Per 25 e più volte. RS è innovazione stilistica: L'introduzione di fasi narrative e di spettacolari sequenze in r eal-time, nonché di un'eccellente regia durante tutti gli scontri coi Boss, garantisce al prodotto Treasure un

Ring#07 fattore innovazione assolutamente limpido e immediatamente percettibile, rifiutando, per l'ennesima volta, l'accusa rivolta. Il supporto CD ha permesso di r ifinire un'esperienza di gioco già di per sé esaltante, dotandola di una splendida introduzione in stile anime, di una colonna sonora maestosa e di sequenze narrative che per lo stile ricordano un altro famoso titolo Treasure: Sin and Punishment. _______5 Effetto assimilazione L'accusa: Per apprezzare uno shooter bisogna "immergersi" nell'azione, mantenendo sempre altissima la concentr azione e la soglia dell'attenzione. Condizione non f acile a sopportarsi, e che tende a scoraggiare ulteriormente l'utenza già fiaccata dai punti già precedentemente elencati. La difesa: Radiant Silvergun si adegua a questa regola, ma come avrete già intuito lo fa a modo suo. Il gioco di Treasure non è un gioco facile, e necessita di attenzione ed applicazione. Ma ciò che lo rende un titolo vincente è la netta, spiccata sensazione che tutti gli sforzi saranno premiati, che il gioco sia in perfetto equilibrio tra difficoltà e possibilità di sfondare le linee avversarie, tra bastardaggine compressa e generosità nell'elargire emozioni ad ogni pixel che si percorre. Portare a termine il gioco non è impresa per tutti, ma gli stimoli non mancano mai, per chi a rdisce di gettarsi nell'impresa. A chi si chiede perché Radiant Silvergun sia giudicato dalla quasi unanimità della popolazione videoludica come LO shooter per console, e quindi il più bello di sempre, Ring ha dato una risposta. Anche se probabilmente è solo una delle tante possibili. Di certo il titolo Treasure è uno dei pochi che ha saputo trovare una propria strada, una propria via, una soluzione per emanciparsi dai 5 crimini degli shooter e brillare sempre e comunque di una luce propria, personale, geniale e diverte nte pur nel rispetto delle regole non scritte del genere. Prima di chiudere richiamo la vostra attenzione e vi chiedo:ma esistono davvero questi 5 fantomatici crimini? Ci sono altri titoli che aggirano questi limiti intrinseci degli shooter? Il nostro Forum aspetta la v ostra versione dei fatti.

[1] cfr. Ivan Fulco, I crimini dello shoot'em up, Super Console n.92 (maggio 2002)

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>> STOP & GO! >> [10 secondi al box] Viva il videogioco b a stardo. Viva l'ibridazione giocoXcinema.

Perché il VG con scheletro narrativo si regge in posizione eretta. Perché il film con tessuti giocabili cammina a testa alta. Ludus e fabula. Gioco e narrazione. Possono anche rimanere separati. L'integrazione non è un imperativo categorico. È un'auspicabilissima alternativa evolutiva. Ma nel frattempo a ttendo febbrile Metal Gear S olid 3. Il segreto è l'equilibrio. Cutscene e gameplay. In affiatata staffetta. Senza che l'uno pesi mai sull'altro. Senza che il gameplay pianga ragioni per l'azione che in esso si dipana. Senza che la cut-scene prevarichi sul gioco estraniando il giocatore dagli eventi narrati. Uccidere Sephiroth sapendo di salvare il mondo è più emozionante di quanto lo sarebbe un combattimento con le medesime meccaniche e la stessa difficoltà contro il portinaio di casa Strife. Di converso, la morte di Aeris non scotterebbe tanto se non avessimo giocato tanto insieme a lei: evocando Ifrit, curando il party, negoziando pedanti incontri casuali. Il gioco è più esaltante se conduce al conseguimento di una risoluzione narrativa. C'è poco da fare: se c'è in ballo il destino dell'umanità mi impegno di più che durante un'amichevole contro il Giappone a PES2. Per contro, una storia che abbisogna dell'intervento decisivo del giocatore sarà da questi sentita con maggior partecipazione rispetto a quella proposta attraverso uno spettacolo non interattivo. È su questo punto che fanno leva i tie-in: rivivere dall'interno storie che ci hanno emozionato al cinema. Viva l'ibridazione giocoXcinema. Viva il videogioco b a stardo.

Cristiano Bonora


:RECENSIONI:

Ring#07

sTYLISH cLONING____________________________________ [Cannon Spike] di Emalord .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Shooter Capcom Psykio Dreamcast 2000 1-2 Usa

All'alba del 2000, anno simbolo di radicali innovazioni & cambiamenti, icona del progresso & del vecchio lasciato dietro le spalle, una sorniona C apcom si rende conto che è da parecchio tempo che nessuna softco ripropone il concept di Robotron [Williams, 1982] e Smash Tv [Williams, 1990] sugli schermi di casa. Partendo con il piglio di proporre qualcosa di originale per i più giovani adepti del videogaming, e sfruttando allo stesso tempo un concetto già rodato dall'alba dei tempi ludici, la softco di Street Fighter manda un'email a Psikyo con l'ordine di rimpinguare la softeca per Dreamcast con un prodotto sulla falsariga dei due simulatori di sterminio di massa sopracitati, simboli del gioco frenetico, mononeuronico, assolutamente disimpegnato. All'alba del 2000, portale d'accesso ad un futuro radioso e pieno di novità, Capcom raschia dal fondo della botte riproponendo un modo di giocare vecchio di vent'anni, d imostrando se non altro che le più recenti tecniche di clonazione ludica funzionano perfettamente. Perché a volte il futuro è l'anticamera della preistoria, qualsiasi cosa voglia dire. Consci del fatto che l'utenza a 128bit era ormai navigata e vogliosa di novità, consapevoli che le icone videoludiche sono come una cesta da picnic per le formiche, i programmatori di Psikyo decidono intelligentemente di sfruttare i mille franchise di Capcom per aggiungere sale ed aromi ad una minestra p otenzialmente insipida. Ecco quindi comparire nella rosa dei personaggi selezionabili una ultrasexy Cammy dalla saga di Street Fighter, Charlie da Street Fighter Alpha, un corazzatissimo Arthur da Ghosts'n Goblins, la cappuccettorossica B.B. Hood da Darkstalkers ed infine Megaman dall'omonimo, azzurrocromato franchise. Riuscirà la presenza di queste superstar ad alzare le quotazioni di un prodotto scarno nel concept e nel gameplay ad alto rischio di b analità su più livelli di lettura? Continuate a seguirci. Cannon Spike è l'essenzialità ludica. Dieci arene ben differenziate, popolate da una masnada di

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malintenzionati da abbattere, a loro volta capitanati da un semi-boss che invero non brilla quasi mai per carisma. Falcidiata la colonna infame compare il Boss vero e proprio, ultimo baluardo a proteggere l'arena successiva, adorato da schiere di donne urlanti in quanto, almeno lui, dotato di un seppur minimo carisma. Tutti i tasti del joypad Dreamcast sono sfruttati per diverse soluzioni di attacco: arma da fuoco primaria [a raffica], arma da fuoco secondaria [più potente ma più lenta nella ricarica], colpo a breve distanza rapido [per evitare il pressing avversario a corto raggio], colpo a breve distanza potente [che però lascia completamente scoperti d urante il caricamento]. Anche i grilletti posteriori non sfuggono allo sfruttamento: quello di sinistra attiva la smart bomb, mentre quello di destra targetta un avversario, in modo da non perderlo di mira durante le evoluzioni che dovrete compiere per sfuggire alle raffiche avversarie. Il che ci porta al commento finale. Cannon Spike riesce ad essere un prodotto piacevole, a dimostr azione che Psikyo ha giocato al m eglio le sue carte. Il gioco restituisce in maniera adeguata la frenesia dei suoi illustri predecessori mentre l'uso di sei pulsanti del joypad Dreamcast irrobustisce un gameplay altrimenti ridotto all'osso, visto che gregari, sub-boss e boss vanno affrontati in maniera diversa l'uno dall'altro. In totale sono presenti solo 10 l ivelli, e quindi stiamo parlando di un'esperienza di gioco abbastanza limitata nel tempo, ma la difficoltà è ben calibrata, e finirlo ai livelli più alti porterà via parecchio del vostro tempo. In definitiva quello di Psikyo è un prodotto onesto, attraente nella sua cosmesi, con textures e colori impeccabili come da brand Dreamcast. L'ingaggio di alcune popolari icone capcomiane si è a conti fatti rivelata un'idea vincente, in quanto foriera di un appeal altrimenti precluso a un titolo dello spessore di Cannon Spike. Tutto ciò mi riporta alla mente un vecchio detto, che parafrasato suona più o meno così: tira più un pixel di Cammy che un carro di buoi A buon intenditor…


:RECENSIONI:

Ring#07

iO, iO. aDESSO tOCCA a mE!!

_____________ [Eye Toy: PLAY]

di Nemesis Divina .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

_______L’Antipasto del Futuro Party Game Scee Scee PS2 2003 1-4 Pal

La camera prodotta da Logitech mantiene un design in perfetta sintonia con PS2, piccola e robusta può essere posizionata praticamen te ovunque. È possibile reg olarne l’orientamento e la messa a fuoco.

Vestirsi da idiot i non è indispensabile ma certamente aiuta. Come specificato nello spassoso video introduttivo/didattico di Eye Toy, conviene disporre di uno spazio generoso specie se si vogliono mettere in pratica tecniche avanzate. Importanti le condizioni di luce, meglio munirsi di una piantana facile da spostare.

PS2 e Eye Toy. Un’accopiata esteticamente (e ludicamente) vincente. Le schermate di selezione sono ovviamente user friendly, la modalità profilo permette di selezionare un nome e attribuirgli tre nostre foto (felice, buffa e triste) che accompagneranno i nostri risultati durante le sfide.

Da più di un anno si erano aperte le chiacchiere sull’ennesima, pretesa, rivoluzione del mondo dei VG. Non p ochi bollarono il progetto come l’ennesima fanfaronata dei PR Sony, lamentando a priori le scarse applicazioni che una simile tecnologia avrebbe avuto su PS2. Il progetto Eye Toy si è messo in disparte dai proclami sensazionalistici ed ha continuato a crescere negli studi europei di SCEE concretizzandosi in Usa prima e in Europa, ora. “Ha il potenziale per essere massmarket. Tutti sanno come usarla, è USB, basta collegarla, penso sia questa la differenza principale fra avere Eye Toy su PS2 piuttosto che su PC” dice Ron Festejo, producer del progetto. Ed i numeri per diventare un oggetto di largo consumo ci sono tutti. L’esperienza Eye Toy si compone semplicemente di una web cam (prodotta da Logitech) abbinata ad un software di rilevazione di movimento; cadono dunque le barriere archite ttoniche per i non addetti ai giochi, si inserisce il cavo e si è pronti a giocare. La maggior parte dei mini giochi disponibili (in numero di 12) sono basati su semplici logiche ludiche da innescare mediante il proprio movimento, la camera proietta la nostra immagine su schermo addizionandole gli elementi grafici con cui interagire. Ogni gioco detta r egole basilari e di solito ampiamente intuitive: ‘colpire’ è la cosa che vi viene richiesta più di sovente, sia che si tratti di stendere un pugile robotico, sia di rispondere ad un’orda di combattenti o di fantasmi o di topastri insolenti. D’altra parte la condizione che regola le possibilità di gioco è una sola: il movimento. La camera rileva infatti solo i nostri spostamenti, stare fermi significa confondersi nello sfondo inanimato e perdere uno dei tre tentativi a nostra disposizione. Tenendo bene a mente questa necessità invalicabile (sebbene le prime tech demo della c amera si basassero sul riconoscimento cromatico…), il team di sviluppo ha saputo elaborare alcuni giochi di discreto spessore ricreativo. Spicca indubbiamente Mirror Time, in cui è richiesto di colpire dei bersagli specifici posti agli angoli dello schermo, nel frattempo il programma si occupa di dividere l’im-

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magine in quattro porzioni e di rimescolarle, in tal modo il bersaglio in basso a destra potrebbe dover essere colpito alzando il braccio s inistro in alto. Molto meno semplice di come potrebbe sembrare. Quello che probabilmente più si avvicina ad una reale opera videoludica è Rocket Rumble, riproposizione di Fantavision in cui dobbiamo accoppiare i fuochi artificiali del medesimo colore ed innescarne poi la d etonazione (cercando di realizzare più combo possibile). Per il resto i mini giochi risultano ancora un p oco limitati in varietà ed in particolare quelli basati sul ritmo paiono o ltremodo sottosfruttati (vedendo l’ottima resa ludica che invece hanno tutti gli altri Rhythm Games). _____Il Cuore del D ivertimento Con una grafica caratterizzata ma certamente povera, una serie di giochi semplici e limitati, cosa resta? Un mondo di impagabile idiozia! Eye Toy:PLAY si gioca fuori dallo schermo ma non solo per la necessità fisica di compiere nella realtà le azioni dell’interazione digitale, Eye Toy:PLAY è un gioco di società ad alto tasso ilare. Se in singolo Eye Toy brucia brevemente ogni sua carta, in gruppo (quanto più numeroso) offre un divertimento assoluto sia in virtù della componente competitiva sia per lo spettacolo offerto a chi guarda da chi gioca. Semplicemente irresistibile vedere un vostro amico gesticolare nell’aria, contorcersi per colpire un angolo dello schermo, sbuffare di fatica nei giochi più impegnativi e magari concedersi qualche uscita stylish perché se Eye Toy impone il movimento, nessuno detta il modo in cui dobbiamo muoverci; ecco dunque che si palleggia con la testa, ma anche di tacco o si va in rovesciata sul divano, ecco che si colpiscono i ninja con i pugni, ma anche con coltelli, nunchaku e calci, ecco che il pugile robotico viene raggiunto da montanti, ma anche da gomitate e testate. Quello che ne risulta è uno spettacolo p ositivamente ridicolo che si rinnova ad ogni nuovo turno di gioco e che si potenzia al massimo quando un ignaro parente si cimenta nell’azione di gioco. Eye Toy è tanto semplice quanto coinvolgente e traduce perfettamente il termine videogioco, spremendone al massimo la funzione ludo-ricreativa e riempien-


:RECENSIONI: do il salotto di sguardi divertiti e magliette sudate. ___________________Gotcha! Il prodotto SCEE giunge inaspettato e forse in un periodo sfortunato per le vendite, specie per un a rticolo di cui troppo poco s’è parlato di recente. Semplicemente geniale nella intuizione e sul campo, Eye Toy soffre comunque di qualche lieve costrittura. In primis la natura ancora limitata dei giochi che, forse, potrebbero avvantaggiarsi di meccaniche più profonde ed avvincenti (come Rocket Rumble dimostra e ssere possibile). Qualche dubbio anche circa la sempre nota reticenza

Ring#07 del pubblico, in ambito console, ad acquistare periferiche este rne, ma in questo caso Eye Toy:PLAY si pone sugli scaffali con un prezzo di listino (59,90€) inferiore alla str agrande maggioranza degli altri prodotti, offrendo un disco di 12 giochi e una web cam con potenziali applicazioni in sede on-line e sui futuri giochi (SCEE e non). Purtroppo Eye Toy arriva con un certo ritardo sui tempi e pare improbabile un massiccio appoggio delle terze parti anche se ci auguriamo di vedere presto un PLAY 2, possibilmente a prezzo ridotto. Quello che resta impossibile n egare è l’effettiva freschezza intr odotta da questa periferica nel mondo del VG, nessuna rivoluzione ma

certamente un’interessante evoluzione che anche se non generasse una prole massiccia, continuerebbe a meritare uno sguardo interessato da parte nostra. Eye Toy:PLAY è un’occasione imperdibile per divertirsi con gli amici, per farsi un’allegra sudata, per testare i nostri riflessi (a livello rigorosamente Hard) e per diffondere maggiormente l’idea del videogaming a chi proprio non ne vuol sapere d’imbracciare il joypad. Certamente l’innovazione tecnologica dell’anno, certamente il gioco dell’estate e certamente l’idea regalo del natale (prendete nota). Fortemente consigliato a chiunque abbia la possibilità di giocare in compagnia.

>> STOP & GO! >> [10 secondi al box] Donne e Videogiochi: i perchè no. Racing Games: 1) 2) 3)

Quasi mai ci sono gli specchietti retrovisori, come farebbero a truccarsi? Si sentono a disagio con il cambio automatico: loro amano far spegnere la macchina in continuazione. Piuttosto che guidare, preferirebbero sedersi al fianco di un pilota gestito dall’IA.

RPG: 1) 2) 3)

A causa del loro folle amore per il pettegolezzo, faticherebbero ad uscire da ogni paese senza prima aver interrogato ogni abitante del posto ed essersi fermate a prendere un caffè con ciascuno di questi. Non sopporterebbero di finire un’avventura senza cambiarsi almeno una volta d’abito. Non sarebbero in grado di resistere dalla tentazione di fare shopping in uno qualsiasi dei negozi presenti nel mondo. Perciò comincerebbero a fare combattimenti con l’unico scopo di guadagnare denaro da spendere in oggetti inutili ai fini dell’avventura.

Picchiaduro: 1) 2) 3)

Passerebbero tutto il tempo a domandarsi: ma non si sarà fatto male? Sono troppo abituate a mandare un uomo a fare a botte al posto loro. Sarebbero troppo preoccupate di sporcarsi in un uno dei livelli ambientati nel fango o in spiaggia.

Sportivi: 1) 2) 3)

Odiano qualsiasi tipo di sport che appare in televisione, anche simulato, per il semplice fatto che a noi piace. Del calcio stanno ancora cercando di capire il “fuorigioco”. Perché nelle statistiche dei giocatori si dimenticano sempre di segnalare fattori importantissimi come d imensioni del pene e numero di carte di credito.

Action Adventure: 1) 2) 3)

Sono abituate alle loro borsette, non possono comprendere il numero di oggetti limitato nell’inventario. Troppa azione... sono appena uscite dal parrucchiere. Sono terrorizzate da una zanzara, figurarsi di un gocciolante rettile di dimensioni umane o di un cane lebbroso (soprattutto cane) che non ha alcuna intenzione di farsi un bagnetto.

Simulatori di pseudo\vita (Sim-X, GTA, ecc.): 1) 2) 3)

Sono terrorizzate dalle infrazioni stradali, nessuno le convincerebbe a passare con il rosso. Sono troppo abituate a porsi obiettivi precisi e tempi fissati anche quando vanno in b agno, impazzirebbero nella libertà di uno qualsiasi dei GTA. Immaginate come sarebbe una sim-città creata da una donna: solo villini, nessuna fabbrica e tanti, tanti, tanti negozi.

Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

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:RUBRICHE:

Ring#07

xENONCISIAMO_____________________________________ [Xenosaga] di Amano 76 È il 4215, ci sono astronavi e robot dappertutto, e questa ancora porta gli occhiali? Un lettore di Famitsu riguardo la miopia della protagonista Fragilità, il tuo nome è donna Albed, poco prima di infilare una mano nello stomaco di Momo e rovistarci dentro. La scena è stata eliminata/camuffata nella versione americana

.:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

JRPG Namco Reduci di Square

PS2 2002 1 Jap

L'RPG nipponico è ormai diventato la parodia di se stesso. I personaggi hanno guadagnato dimensioni realistiche ma presentano dettagli pacchiani, muovendo i loro passi in ambienti sempre meno vasti e sempre più concentrati nelle solite, abusate locazioni: il genere tende agli antipodi del punto di partenza, quando Cloud era stilizzato come un pokemon, le world map erano ta lmente estese da rendere l'esplorazione un gioco a sé, e l'ingresso in nuove città significava aprire le porte di un piccolo mondo. Purtroppo col successo di Final Fantasy VIII, che nonostante sia considerato da ogni essere vivente un’emerita puttanata risulta al tempo stesso un block-buster da milioni di copie, il gioco di ruolo ha attraversato un ponte pericolante che è definitivamente andato in pezzi al suo passaggio, un ponte che teneva unite ma distanti "l'isola felice" degli RPG e la "terra di nessuno" dei titoli nati nell’era PlayStation. Con l'ottavo capitolo della s aga di Square, un po’ tutti, pubblico e dirigenti delle software house, si sono improvvisamente accorti di una nuova soluzione per interpretare il genere: accorciando i tempi dell'avventura, aggiungendo filmati a non finire (soprattutto nella prima parte del gioco), e sterilizzando i sistemi di combattimento da qualsiasi parvenza di complessità. Prodotti più "veloci" (da consumare, ma soprattutto da realizzare) più appariscenti (per non deludere quello che potremmo definire "il pubblico delle preview") e più trendy (per accaparrare i favori di un pubblico femminile, nipponico, in costante aumento). Fortunatamente l'onda anomala prodotta da Final Fantasy VIII ha scavalcato la produzione a 32-bit e si è abbattuta su quella a 128, ma se è vero che questo ha dato la possibilità di ritagliarsi un proprio spazio a titoli come Chrono Cross, Valkyrie Profile, Final Fantasy IX e Persona 2 , è anche vero che su PlayStation 2, Dreamcast, Ga-

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mecube e X-box, a conti fatti non esiste nulla di lontanamente avvicinabile ad un gioco di ruolo memorabile1. _____Tra monoliti ci si intende Negli ultimi due anni sembrano e sserci ovunque reduci di Square. Esce Hoshigami: ci sono reduci di Square. Esce Magical Vacation: ci sono reduci di Square. Esce Xenosaga: ci sono reduci di Square. Se dovessi giudicare dall'ultimo Final Fantasy (X) direi che se ne sono andate tutte le menti migliori; se dovessi giudicare dai titoli di questi famigerati reduci, direi l'esatto opposto. La verità sta nel mezzo? Sì, ma nel mezzo di che? Qui non si capisce più un accidente. Com’è possibile che gli autori di Xenogears e Xenosaga siano gli stessi? Le differenze tra i due titoli sono da mani nei capelli! Da un lato abbiamo un prodotto dall'innegabile spessore testuale, con un sistema di gioco coinvolgente e un'ambientazione macroscopica; dall'altro un prodotto confuso, con una strategia di combattimento inutilmente complicata, e una world map più piccola di quella vista in Zone of the Enders (per giunta, sob, con meno locazioni). Perché? Perché?! La risposta è una sola e basta osservare i filmati d'intermezzo a rivelarla: tutto è stato speso nella necessità di raccontare una storia, attraverso un doppiaggio, un motore grafico senza sbavature e una colonna sonora impeccabile, composta da un ispirato Yasunori Mitsuda e performata nientemeno che dall'Orchestra Filarmonica di Londra. Se questo fa onore a T etsuya Takahashi, per aver creduto nella sua opera fino al punto di cercare un altro produttore che gliela lasciasse gestire come voleva, rinunciando così a tutto il lavoro svolto fino a quel momento, è anche legittimo rivendicare la trascuratezza che hanno subito gli aspetti immediatamente ludici di Xenosaga.


:RUBRICHE: ____________Xeno ex machina Il gioco di Monolith Software permette di avere il controllo assoluto circa le statistiche dei personaggi, permette di schierare i membri del party secondo la soluzione che si preferisce; inoltre l'impiego degli Agws (i mech della storia) offre un buon livello di profondità. La libertà concessa sarebbe di proporzioni disarmanti, se non fosse che i protagonisti si radunano solo verso la metà del gioco, mentre in tutto il corso della prima parte non si fa altro che comandarne due o tre alla volta, per sequenze anche abbastanza lunghe. Ad aggravare la situazione si presenta inoltre il sistema di boost, cioè la possibilità di anticipare il proprio turno d'attacco una volta accumulata la barra associata: mentre il giocatore necessita di un certo periodo di tempo per effettuarlo, gli avversari gestiti dalla cpu possono disporne a proprio piacimento senza l imite di sorta. Forse il proposito degli autori era quello di inserire una variabile di casualità negli scontri, per smorzare le probabilità che l'utente si lasci languire da un sistema di combattimento meramente improntato sulla pianificazione (e quindi prevedibile, scontato e noioso); tuttavia l'effetto di ritorno di quest’aggiunta risulta in battaglie con i boss che s’inaspriscono da un momento all'altro, concludendosi con il più irritante dei game-over. È vero che, grazie a questa caratteristica, affrontare avversari di secondo piano in Xenosaga rappresenta una sfida sempre vivace, ma l'impossibilità di gestire l'esito di uno scontro, magari prolungato per venti minuti e più (nonostante le proprie capacità), apre le porte al regno della frustrazione.

Ring#07 vità avevano già debuttato ma in condizioni acerbe. Un altro ormai classico paradigma negativo raggiunto dall'attuale generazione di RPG: quello di intensificare lo spessore di aspetti satellitari, come i mini-giochi, appunto, o come i filmati cinematografici, che finisce così per decurtare l’attenzione dei programmatori dagli elementi salienti e caratteristici del genere. Se le battaglie in tempo reale e il gioco di carte fossero stati un corollario ad un titolo con tutti i crismi, allora benvenuti, ma nel caso di Xenosaga siamo di fronte all'ennesimo esempio di una produzione che tenta di offrire ogni genere di intrattenimento e alla fine non riesce a brillare in nessuno di essi. Potrà sembrare un giudizio rigido, ma è un fatto che gli RPG di oggi soffrano di anoressia ludica: in Final Fantasy X non è possibile disporre di una world map, tuttavia mille sforzi sono stati profusi nell'elaborare quella merda del blitzball; in Breath of Fire V l'avventura può essere compiuta più di una volta, ma c'è un solo dungeon/ambientazione (complimenti!) e tutto si conclude in una decina di ore; in Persona 3 e Wild Arms 3, non potendo usufruire di somme ingenti per la creazione di un motore poligonale come si deve, si è optato per camuffare ogni poligono con quintali di cel shading, col risultato che scenari e fondali risultano di uno squallore indegno di un 128bit. Se c'è un genere che più di tutti ci ha rimesso con il passaggio alla nuova generazione di console, quello è l'RPG: le software house non riescono più a trovare un compromesso tra costi di produzione e profondità di gioco, e questo per colpa dei tanto idolatrati&fottuti motori poligonali che richiedono la partecipazione di decine di persone, succhiando il denaro che spetterebbe a staff di sceneggiatori più folti, ad un numero maggiore di betatester ed a registi capaci di dare l'anima pur di esaudire le proprie visioni. _______Le dimensioni contano, specie se sono tre

_________Paradossi meccanici Il risultato è che si finisce con l'affogare i dispiaceri in mini-giochi come il simulatore di combattimento tra mech e il card game, che n onostante la loro risma di appendici risultano oltremodo riusciti ed elaborati. Palliativi, distrazioni, eppure ben più consistenti di quelli visti in Xenogears, dove entrambe le atti-

Vedi... quest'attività è piena di stronzi poco realisti, che da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. Se vuol dire che diventa aceto, è così. Se vuol dire che migliora con l'età, non è così. Marcellus Wallace circa il pugilato Che poi, quale sarà mai la natura ammaliante del 3d, ancora è inco-

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gnito. Il dettaglio? La profondità? L'imponenza? Muhahaha, certo. Può darsi. Ma non giova trascurare due fattori: il primo è che i motori poligonali sono come il vino (e come il culo dei pugili), il secondo è che i costi richiesti per compilarli sono maggiori di quelli necessari per i motori bidimensionali, con la diretta conseguenza di una caduta libera degli aspetti decorativi. La prima considerazione è fragile, verissimo. Xenosaga apparirà sicuramente stagionato all'utenza europea e americana, destinata ad averne visione a quasi un anno di distanza dall'edizione giapponese, eppure il demerito va assegnato alla sfaticata distribuzione occidentale e non alla squadra di programmatori Monolith. Tuttavia la non-contemporaneità delle pubblicazioni da una nazione alle altre non è che il preludio alla sorte degli RPG a 128-bit, la cui estetica è destinata ad essere erosa dal frenetico avvicendamento delle conquiste tecnologiche, ben più sensibili di quelle legate al 2d. Così mentre titoli come Valkyrie Profile, Grandia, Xenogears, Chrono Cross, Tales of Eternia, o il dimenticato Saga Frontier 2 reggono ancora oggi, Final Fantasy X, Wild Arms 3, Dark Cloud, Star Ocean 3 sono già ridicoli a ridosso delle loro uscite, e lo scorrere del tempo non fa che scandire il conto alla rovescia della loro qualità visiva. Gli esempi come Grandia 2 sono rari: il secondo capitolo della saga di G ame Arts non può certo vantare l'impatto visivo di taluni scenari scorsi nelle avventure di Tidus e compagnia, ma i suoi autori sono stati capaci di trovare un soddisfacente compromesso tra le dimensioni delle architetture e la molteplicità degli arredamenti. Ancora oggi, le case dei villaggi presenti in G2 sanno raccontare l'identità e le abitudini dei loro occupanti, come anche i dungeon che coste llano l'avventura hanno mantenuto intatto il loro fascino grazie a piante brevi ma ricche di trabocchetti e scorciatoie. Uno smacco ancor più grande poi sono i fondali di Xenogears che, per quanto tridimensionali e destinati ad una piattaforma della generazione precedente, non hanno perso un solo indice del loro fascino: i mille vicoli nella città di Nisan o il credibile sfacelo dei m alandati bassifondi di Kislev; o ancora l'immensa, aliena, futuristica ma credibile astronave di Shevat, mettono a tacere il gusto architettonico del 99% degli RPG odierni. E certo Xenosaga non è soccorso dal fatto che per l'intera durata dello svolgimento non si veda una


:RUBRICHE: sola ambientazione capace di offrire dimensioni ottundenti. ____Nietzsche rilegge la bibbia D'altronde esiste anche una logica ben precisa dietro la claustrofobica minutezza di navi spaziali e porti di sosta. Come già annunciato in precedenza, Takahashi ha confluito ogni maestranza a sua disposizione nella riuscita di quello che in tutta probabilità è l'unico elemento valido del suo operato: le sequenze cinematografiche. Svolto da un motore grafico privo d’imperfezioni (raffinato da chissà quante puntigliose revisioni) l'intreccio di Xenosaga è un concentrato di grandi momenti narrativi, frutto di una sceneggiatura esemplare, di una regia professionale e di una colonna sonora che ha una capacità quasi chimica nel far venire la pelle d'oca. D'accordo, si dice altrettanto di chissà quanti titoli, ma anche l’ultimo arrivato è in grado di fare una scena con un paio di campi e controcampi, inquadrando prima chi parla, poi chi gli risponde, poi il paesaggio, poi di nuovo chi parla. Girare una scena significa reinterpretare "il vedere" in modo originale, o comunque personale, non puntare la camera contro un obiettivo e fargli dire qualcosa. A differenza di tanti registi improvvisati3, Takahashi sa gestire tutto. La mimica dei "suoi" attori è naturale e credibile, le reazioni dei volti sono impercettibili ma espressive, non ci sono rallenty ogni due minuti e i momenti d’azione sono restituiti con dinamismo ma non per questo risultano confusi. Inoltre la simbiosi con i brani orchestrali che accompagnano la narrazione rivela, più clamorosamente di qualsiasi altro elemento, il coinvolgimento e la cura con cui l'autore ha elaborato le sue "parole". E non è il solo linguaggio cinematografico ad essere ben riuscito: anche il contenuto di Xenosaga presenta un lodevole registro di temi e situazioni crude, ciniche, formidabili nel ricreare una coerente visione etica della natura umana. Merito forse delle contaminazioni nitzscheane, che non vengono meramente catalogate allo scopo di compiere un esotico atto di presenza, ma anzi si integrano con i diversi soggetti che già avevano preso corpo nel "precedente" Xenogears, e che organizzati attraverso le teorie del filosofo tedesco conquistano un rinnovato vigore. Un esempio palese in questo senso è dato dall'atteggiamento servile della protagonista, che si sente con-

Ring#07 tenta perché uno dei personaggi maschili le ha perentoriamente ordinato di cucinare, mentre non dedica di una sola occhiata il suo assistente, invaghito di lei ma "servo della gleba". Rielaborato poi un a ltro tema, quello della maternità: mentre nel lavoro prodotto da Square la donna rappresentava l'elemento principe della creazione, in Xenosaga una donna (robot, ma pur sempre dall'aspetto femminile) è invece l'arma tecnologica più s ofisticata esistente, provvista di un laser per la distruzione di massa che ospita proprio nel grembo. I contenuti si sono incupiti, e forse non incontreranno il gusto di tutto il pubblico, ma il fascino guadagnato in termini di drammaticità è impagabile. Purtroppo, non tutti i nodi narrativi vengono al pettine (altri sei capitoli sembrano di là a venire, ma l'ultimo fesso che ha provato a dirigere un RPG a puntate, tale Yu S uzuki, adesso va in giro a mendicare grana per concludere il suo faraonico progetto) escludendo pertanto la possibilità che lo spettatore colga significati e messaggi di senso compiuto dalla vicenda.

[3] Non a caso, molti titoli con sequenze filmate tra le più riuscite, sono frutto di veri e propri registi prestati al mondo del videogioco, come quelle di Code Veronica, Shadow Tower 3 e la sequenza introduttiva del primo Onimusha.

:Sentite scuse: In seguito alle proteste di molti appassionati tolkieniani, che non hanno gradito la recensione a Il Signore degli Anelli: Le Due Torri, proposta nel precedente numero di Ring e ritenuta “troppo poco rispettosa del testo di riferimento”, riportiamo qui di seguito la bottom line dell’articolo con le variazioni così fortissimamente richieste: S v o l t o d a u n : motore gr afico

r p ivo

d’imperfezi

oni r ( affinato da chissà quante

u p ntigliose

re-

visioni) l'intreccio di __________Un domani migliore Ennesimo castello di carte nell'ambito della produzione di giochi di ruolo per 128-bit, Xenosaga non è in grado di reggere il confronto nemmeno con lo squallido Final Fantasy X, qualunque aspetto si scelga di assumere come m etro di paragone. L'unico fattore che eleva il prodotto Monolith al di sopra della valanga di produzioni analoghe è la maestria e la potenza delle sequenze cinematografiche: ma a questo punto, non era forse meglio che il caro Takahashi si fosse dedicato direttamente alla regia di un film o di un cartone, piuttosto che lasciare il compito di stacco pubblicitario al sistema di combattimento e all'esplorazione? Voglio la testa di quest'uomo.

X e n o s a g a è un concentrato di grandi momenti na

rrativi, frutto di una sceneggiatura esemplar e, di una regia r p ofessionale e di una colonna sonora che ha una ___________________NN o te [1] il r p odotto o M nolith al

di sopra della valanga di r p oduzioni analoghe è la

:Notizia Flash:

_____________________Note [1] Chi sta sbarrando gli occhi farebbe bene a comprare una cosa chiamata PlayStation e giocare un qualsiasi RPG a scelta tra quelli di Square. Tranne Racing Lagoon, d'accordo. E Chocobo Dungeon, d'accordo. E… [2] Autore delle splendide colonne sonore di Xenogears e Chrono Cross.

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La rivista giapponese Famitsu ha recentemente commissionato un sondaggio per conoscere quali fossero i giochi “most wanted” dall’utenza nipponica per ogni console. Tra i risultati, doveroso segnalare quelli della piattaforma Xbox, dove, per la prima volta nella storia dei sondaggi, hanno vinto i “non sa/non risponde”.


:RUBRICHE:

Ring#07

iL cREPUSCOLO dEGLI dEI_____________________________ [Me Nintendo #7] di Gatsu "Nintendo ha ufficializzato i risultati economici per l'anno fiscale che si è chiuso lo scorso 31 marzo, che ha visto una discesa nei guadagni della società pari al 36,8%. La prima ragione di questo calo negli introiti del gruppo è il GameCube, piattaforma che continua a faticare sul lato hardware e software rispetto alle previsioni. Inoltre, le azioni della casa di Kyoto hanno v isto un ulteriore deprezzamento (-12%) dopo l'annuncio della PSP, la PlayStation portatile che arriverà alla fine del prossimo anno. Investitori e analisti rite ngono che questa macchina rappresenti una seria minaccia all'attuale dominio del settore portatile, e alla salute dei conti Nintendo […]." Da Nextgame Nella scorsa puntata ho parlato di un fenomeno trasversale al mondo dei videogiochi, quello dei “bonus disc” e dei ben più appetibili “bonus games”. In una delle citazioni iniziali affermavo che di Nintendo avremo avuto modo di parlare molto più approfonditamente dopo lo svolgimento dell’E3 2003. Orbene, la fiera di Los Angeles è venuta e passata ed è tempo di tirare le somme… _________Analisi Del Problema Non ci sono (purtroppo?) molti dubbi sul trionfatore dell’E3. La notizia bomba di PSP ha colto praticamente tutti alla sprovvista ed ha catalizzato l’attenzione sugli stand Sony. Sono quasi certo che la prima ad essere stata presa in contropiede sia stata Nintendo stessa, che certo poteva immaginarsi una mossa del genere da parte di Sony, ma non in questi termini e con questi tempi. PSP inoltre promette molto più di quello che può offrire attualmente un GBA: se da un lato questo sposta la console Sony su un’altra fascia di prezzo, consentendo teoricamente la pacifica convivenza di ambedue le macchine, dall’altro si palesa come l’ennesimo tentativo di “cambiare le carte in tavola”. L’aggiunta di feature distanti dal semplice gioco si è rivelata vincente nel caso di PS2, quindi perché non dovrebbe funzionare di nuovo1? Tra l’altro la tendenza odierna dei telefonini (quella di incorporare un sacco di funzioni più o meno utili) potrebbe rendere PSP estremamente attraente agli occhi delle nuove generazioni: una Playstation portatile capace di riprodurre musica (come alcuni modelli di cellulari), fungere da palmare (come alcuni modelli di cellulari) e Dio solo sa cos’altro, puzza tremendamente da oggetto trendy. Certo, anche il GBA SP è parecchio b ello da vede-

re, ma appare evidente che fra i due contendenti PSP ne uscirà quasi certamente vincitore (a meno di poderosi ed improbabili passi falsi, come un prezzo inaccettabile2 o un design totalmente fallimentare).

Oltre alla cronica mancanza di notizie bomba dal fronte Nintendo, questo E3 ha registrato, da parte della grande N, la presentazione di una serie di giochi “tutti belli ma speravamo meglio”. Con l’esclusione di Metal Gear Solid: Twin Snakes, Final Fantasy Chrystal Chronicles e Resident E vil 4 (tre probabili assi nella manica, comunque), la selezione Nintendo è stata piuttosto desolante: pochi secondi di filmato per annunciare il seguito di Metroid Prime (lode, lode ai Retro Studios!) e poi una valanga di giochi già ampiamente annunciati e/o conosciuti. Certo, titoli come F-Zero o il nuovo Mario Kart fanno sempre estr emamente piacere ma questo ormai non basta più per essere competitivi su un mercato aggressivo come quello dei videogiochi. Lodevole l’essersi assicurati l’esclusiva di Phantasy Star Online 3, un titolo comunque di nicchia e poco rilevante per una console come il Gamecube che sembra preoccuparsi assai poco del gioco in rete. Sony del canto suo si può fregiare di un notevolissimo Metal Gear Solid 3: Snake Eaters (puro spettacolo, come era lecito aspettarsi), il supporto incondizionato di Square/Enix (intenzionata a portare Dragon Quest VIII in occidente), Jak II, Ratchet And Clank: Going Commando, Gran Turismo 4, Winning Eleven 7 … senza dimenticare le interessanti iniziative volte all’online, come Socom e Resident Evil Outbreak.

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Anche dal punto di vista della l ineup Sony sembra in vantaggio r ispetto a Nintendo: d’altra parte è un dato di fatto, su Gamecube non c’è un gioco di corse che sia uno, Winning Eleven è uscito solo in giappone e di RPG se ne vedono meno che su PS2 (bisogna dirlo, per gli appassionati di RPG in possesso di una PS2 PAL la s ituazione è ugualmente desolante…). Nemesis Divina, nei suoi sproloqui quotidiani sul forum, affermava che la prossima console casalinga di Nintendo sarà probabilmente l’ultima. Toccandomi saporitamente i genitali, mi chiedo se questa previsione non sia fin troppo realistica… _______________Svolgimento Dicevano di non avere paura nemmeno di PS2, perchè era "un lettore DVD e la fascia di prezzo sarebbe stata lontana da quella del GameCube" Nemesis Divina, noto agente Sony, dal forum di Ring Il fatto è che si devono scrollare di dosso questa verniciata di bambinosità che hanno, se vogliono sopravvivere. La butto li: il successore del cubo deve essere una sorta di piattaforma suppliziante ultrastylish progettata da Giger. E basta Mario, Zelda, Pokemon (o perlomeno non puntare solo su quello). R oba nuova. Roba cattiva. Roba cool. Metroid IMHO è l'unica serie che si è rinnovata di brutto con Metroid Prime, provate a dire che Samus non è stylish. Me medesimo commentando la notizia tratta da Nextgame, dal forum di Ring Kirby Air Ride non è la risposta a Gran Turismo 4. Non so come facciano in Nintendo per non rendersene conto. E nemmeno il nuovo Mario Kart è una valida alternativa al gioco di Yamauchi e soci. Qual-


:RUBRICHE: cuno potrebbe dire “ma sono palesemente titoli per un’utenza diversa”. Verissimo, ma questo non equivarrebbe quindi ad ammettere che la maggior parte dei giochi Nintendo sono rivolti ad un pubblico giovane? Badate, so benissimo che Mario Kart è godibilissimo per un’utenza che varia dai 6 ai 90 a nni, ma la domanda fondamentale è: “come viene percepito Mario Kart dal casual gamer?”.

Ring#05 creare anche due-tre icone adatte ad un’utenza cresciuta a fumetti di Spawn, film dei Wachowski e libri di Palaniuk?

_______________Conclusione? The Wind Waker è IMHO l'episodio meno riuscito e più mass market oriented della saga (non inganni la veste grafica). Una delusione quasi insopportabile. Federico Res, dal F orum di Ring

Mi sembra lampante che nel mercato odierno (facciamo pure nella società odierna, va) “apparire bene” è nettamente più importante di “contenere qualcosa di interessante”. A questa regola non scappano nemmeno i videogiochi. E io non sto chiedendo a Nintendo di fare videogiochi vuoti e scintillanti, ma di fare v ideogiochi PIENI e scintillanti. Diceva il colonnello Campbell in MGS2: “Sii buono con le altre persone, ma fa a pezzi la concorrenza”. La frase si potrebbe adattare a Nintendo con: “Offri qualcosa di interessante ai tuoi utenti, ma fa a pezzi la concorrenza”. Come dicevo nella citazione dal forum, il vero problema di Nintendo è quest’aura di “mocciosità” di cui continua ad ammantarsi. Non basta avere due o tre franchise adulti per mettersi a posto la coscienza: su PS2 e Xbox i titoli rivolti ai giovani (o comunque appetibili anche ai bambini) sono decisamente pochi. Per quanto mi riguarda, gli unici decisivi passi avanti fatti da Nintendo come software house verso un pubblico adulto sono stati il discreto Eternal Darkness e l’eccellente Metroid Prime. Samus è l’unica icona Nintendo che è stata a ttualizzata e resa stylish, cattiva, potente, moderna… eppure il contenuto di Metroid Prime è tutt’altro che povero3. Chiaro che sarebbe impossibile, per Nintendo, rendere stylish Mario a meno di non snaturarlo completamente. Non è assolutamente questo che voglio. Ma si può ripartire da altre icone (Zelda, ad esempio, la prima versione per Gamecube, estremamente dark e adulta aveva scaldato gli animi…sarebbe il caso di r iprenderla in mano, con il benestare di Miy amoto o senza) ed aggiungerne ALTRE. Cristo, tolti i Pokemon nuovi di Pokemon Ruby & Shappire ci rimangono solo i Pikmin! Possibile che Nintendo non sia in grado di

Peggior Zelda di sempre, ma comunque uno dei migliori titoli dell'anno. Paolo Ruffino, rispondendo a Res Vorrei chiarire un concetto. Io non vorrei che tutto questo succedesse, o almeno non del tutto. A me il modo di intendere i videogiochi di Nintendo è sempre piaciuto, e come ho già spiegato in una vecchia puntata di Me Nintendo non sono nemmeno un fan della violenza a tutti i costi. Ma tutto questo è necessario. Dicevo altrove che piuttosto che vedere Nintendo fare la fine di Sega, sono dispostissimo ad a ccettarne la mutazione. Ma Nintendo oltre a mostrare una certa riottosità all’aggiornamento sta anche perdendo dei colpi: sia Super Mario Sunshine che Zelda Wind Waker (sviscerato approfonditamente in questo stesso numero di Ring) hanno lasciato con l’amaro in bocca più di qualcuno. Perché sono facili | difficili | frustranti | sbilanciati. Nell’affannosa rincorsa del mercato è venuta a mancare una delle componenti fondamentali di Nintendo: la cura del più piccolo particolare. E poco conta se comunque SMS è il miglior platform disponibile per le console di nuova g enerazione e se ZWW è puro spettacolo visivo: Nintendo deve sempre fare i conti con il suo fin troppo glorioso passato e con un futuro che non promette niente di buono. Il successore del Gamecube sarà davvero l’ultima console casalinga di Nintendo? Tocchiamoci insieme, Amen. _____________________Note [1] Nintendo stessa sembra aver ammesso i suoi errori ed ha dichiarato che le sue future console combatteranno ad “armi pari” con quelle della concorrenza. C’è poco da

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fare, nel mercato dei videogiochi gli ideali sono fatti per essere calpestati. [2] Fino a che punto un prezzo sia “inaccettabile” è argomento da trattare con le pinze. Conosco ragazzini che riescono a farsi comprare tranquillamente cellulari da 4 99 euro, quindi perché non d ovrebbero riuscire a farsi comprare una PSP, se il costo dovesse essere circa quello? [3] Per inciso, credo che qualitativamente Metroid Prime sia per il Gamecube quello che Mario 64 o Zelda OOT hanno rappresentato per il N64. :Anticipazione: Nelle ultime settimane la mailbox redazionale è stata letteralmente sommersa di e-mail tramite cui centinaia di lettori hanno espresso il loro dissenso per la scala di valutazione adottata da Ring, ritenuta eccessivamente vaga e inefficace nel restituire un'idea precisa del valore dei giochi recensiti. Per esaudire le richieste dell'esigente pubblico di Ring, a partire dal prossimo numero l'ormai obsoleto "A/B/C" sarà sostituito da un ventaglio di giudizi che consentirà valutazioni più puntuali: i voti in milionesimi. Per coloro che si stessero ancora domandando quale dei due giochi sia il migliore tra SOS: The Final Escape e Tenchu: The Wrath of Demon, entrambi valutati "B" in Ring#6, ci teniamo a precisare che secondo il nuovo metro di giudizio i due titoli sarebbero stati valutati rispettivamente 878.556 e 833.932 su 1.000.000.

[Ring è] Bizzarro amarcord «Una cosa strana, le musiche riciclate da Zelda: The Ocarina of Time mi danno una sens azione fastidiosa, è come se mi ricordassero cose spiacevoli. È strano perché OOT mi era piaciuto molto e in quel periodo la mia vita non aveva nulla di tragico cui rimandare. Credo sia colpa del N64, è una mac china che detestavo.» Nemesis Divina, a proposito dei tradizionali motivetti della serie Zelda riproposti anche in The Wind Waker.


:TESORI SEPOLTI:

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vALCHIRIE iN pRIMA lINEA_____________________________ [Valkyrie Profile] di Amano76 .:scHEda:. gENERE eTICHETTA sVILUPPATORE sISTEMA aNNO gIOCATORI vERSIONE

Gioco di Ruolazione Enix Tri-Ace PS2-1 1999 l’anno della scimmia Uno per forza Per samurai e geishe

Vincitore di una quantità macroscopica di premi, pascolo di registi c ome Quentin Tarantino e Mimi Leder, trampolino di lancio dell'ormai affermatissimo Giorgio Cluunei, Emergency Room, il cui titolo italiano è meglio si perda nella zona negativa, è il serial televisivo creato da Michael Crichton che raccoglie l'eredità di M.A.S.H. e la mette a frutto arrivando dove nessun telefilm era mai arrivato. Ma che c'entra con l'epico gioco di ruolo prodotto da Enix? :GANOSSA:

Vecchio ma ancora ambizioso, vecchio ma ancora in piene forze, vecchio ma ancora avido di conoscenza, l'attempato guerriero dall'armatura rossa è il personaggio che più di tutti dà corpo alla determinazione umana nello sconfiggere la morte, anche ad un passo dalla fine. Esperto tanto di esoterismo quanto di vita militare, non per niente tenta di esaudire i propri scopi sia con la forza che con le arti mistiche.

___________Sturm und Drang Competere con la saga di Final Fantasy significa affrontare una sfida che economicamente e creativamente scoraggia molte software house nipponiche. Alcune accettano lo stato delle cose e si cimentano nella produzione di titoli senza troppe pretese, facendo leva sull'apporto di charac-

ter design appariscenti e trendy (gran parte del materiale Atlus), altre aggirano gli esempi di Square e tentano vie traverse, perdendosi nella mischia (Enix, Media Factory, Gust, Hudson Soft). Tri-Ace ha tentato per anni di rivaleggiare i successi di Sakaguchi e compagni, proponendo u n modello che non ha conosciuto sostanziali variazioni nel corso del tempo: da Tales of Phantasia, passando per Star Ocean 1 e 2, fino a Valkyrie Profile, Masaki Norimoto (concept designer) e Yoshiharu Gotanda (regista) hanno battuto a lungo il tasto del doppiaggio, degli incontri non casuali, di un sistema di combattimento che fosse dinamico e il meno "turnato" possibile, e di un cast di personaggi non predefinito ma da completare a proprio piacimento. Affermare che ci siano riusciti solo con l'rpg dedicato alle gesta di valchirie ed einherjer1 è forse eccessivo, tuttavia non si può negare che con la sua ultima opera su PsOne Tri-Ace sia finalmente riuscita a trovare una taratura ottimale dei propri strumenti concettuali. Come hanno fatto? Semplice, hanno riciclato i punti di forza della serie televisiva di Crichton. Ambientato nella sezione di pronto soccorso di un ospedale pubblico, il telefilm ideato dal prolifico scrittore propone una narrazione frammentaria senza capo né coda, dove la trama non viene costruita congiungendo una sequenza sull'altra ma anzi rimanendo incompleta, inconclusa, non finita. I personaggi ritagliano equamente i loro spazi senza momenti di protagonismo, con la telecamera che di volta il volta segue un dottore diverso o un paziente diverso: i malati arrivano, mettono in scena la loro vicenda (incidente, stupro, sparatoria, cancro in fase terminale) e poi si allontanano dal palco, lasciando il pubblico senza una conclusione effettiva alle loro vicende e quindi senza un "messaggio" di fondo. La narrazione trae la sua forza dagli spunti che dissemina, e il suo fascino dal non risolverli secondo un interpretazione univoca (salvifica, ottimistica, pessimista). È un coro dove ognuno va per i fatti suoi, eppure, strano ma vero, ben riuscito, in cui a stonare sono soltanto le interpretazioni dei doppiatori italiani (degne del peggior film hongkonghese). Su questo stesso ricambio continuo di punti di vista e situazioni si

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basa il labirintico intreccio di Valkyrie Profile, in cui le storie dei singoli protagonisti sono più importanti (e toccanti) di quella principale.

:JEYHAL:

È uno dei personaggi più validi dal punto di vista strategico ma è a nche uno dei più buzzurri: arruolata nell'esercito di Claire Mont Fe rnand sotto falsa identità, a causa di un esplicito regolamento che vieta l'ingresso alle donne nel corpo militare, è stata probabilmente portata ad assumere maniere sempre più androgine col passare del tempo. Le sue scatenate urla durante i combattimenti, e i suoi tormenti interiori (dovuti ai "mezzi" con cui si è garantita l'ingresso nell'esercito, e dato che è una donna dovreste dedurre quali) la rendono il personaggio femminile molto intenso.

___________Illudere di Ludere Final Fantasy, con la sua interminabile popolarità, ha messo in piedi un recinto invalicabile delimitato da quattro staccionate, in cui, sostanzialmente, pascolano un po’ tutti gli RPG nipponici. Nello specifico si tratta, e vado a elencare, di 1) la memoria (identità) del protagonista da recuperare 2) l'ordine costituito da sovvertire 3) l'amore vero da scoprire 4) avversari da affrontare casualmente e a turni. Queste attempate barricate Valkyrie Profile le ha scavalcate tutte, sullo slancio della quantità disarmante di personaggi raccolti nel cast, che hanno consentito di creare una trama più complessa e un sistema di combattimento più flessibile di quanto visto in passato. Anzitutto il giocatore sa perfettamente chi è la protagonista della storia: una donna che si fa chiama-


:TESORI SEPOLTI: re Valchiria, identica sotto ogni aspetto alla piccola Platina suicidatasi nel prologo dell'avventura. Già in questo esiste una cesura abissale rispetto ai tipici titoli di ruolo, perché (scandalo!) si impersona una figura femminile e non una maschile; se fate un attimo mente locale e provate a pensare quando è stata l'ultima volta che avete giocato un RPG con protagonista una donna, vi accorgerete di trovare riscontri z ero2. Inoltre l'identità di Platina costituisce un mistero esclusivamente per lei, non per lo spettatore. Come sia arrivata a diventare una valchiria non ha niente a che vedere con lo scopo del gioco, che ci si può g odere senza dover necessariamente ricostruire il passato del personaggio principale, limitandosi a spassarsela reclutando guerrieri morti, addestrandoli a combattere, e spedendoli nel Valhalla per infoltire l'esercito di Odino. E qui si arriva ad un ennesima caratteristica insolita: mentre nel RPG-tipo gli eroi devono affrontare uno status quo dittatoriale mantenuto da un qualche potere ecclesiastico, politico, o militare, finendo perennemente col fare i fuorilegge per metà del gioco, nell'opera di Gotanda i protagonisti compiono l'azione esattamente opposta, cioè favoriscono l'ordine costituito con tutte le loro forze. Invece di contrapporsi alla realtà in cui hanno vissuto (bellica, disperata, violenta) i personaggi "scelgono" di correre in aiuto di una potenza divina che non solo non è in grado di porre alcun rimedio alla natura tragica dell'esistenza umana, ma è oltr etutto incapace di mantenere il dominio del suo regno senza appoggiarsi a creature inferiori. I fanatici della mitologia nordica storceranno il naso, vomiteranno improperi, e malediranno i musi gialli che si s ono inventati un'interpretazione così distorta dei loro idoli; chi invece possiede un po’ di elasticità mentale si accorgerà di quanto attiguo sia il contesto teologico di Valkyrie Profile a quello shintoista, dove gli dei sono antropomorfi nell'aspetto quanto nel comportamento. L'ambientazione che viene riprodotta è pertanto più "nipponica" di quanto non appaia in superficie, e come tale viene gestita dagli autori con dimestichezza e cognizione, risultando in una rilettura del fantasy occidentale più elegante di quelle viste in tanti altri giochi di ruolo provenienti dalla patr ia del sushi.

Ring#07 :GREY: Uno dei personaggi esteticamente più cupi (quindi più cool, per chi ama questo genere di coattate) Grey è un guerriero tutto m uscoli e niente cervello. Dannato a una vita eterna, e tormentato dal ricordo della donna che si è sacrificata per farlo risorgere, soffre di una caratterizzazione alquanto anomala: pur distinto dall'aspetto enigmatico e dalla notevole forza fisica, nella versione nipponica il suo doppiatore ha un difetto di pronuncia piuttosto marcato che lo rende incredibilmente ridicolo. Tra le frasi più g ustose: "la mia fpada è cofì rapida, che neffuno può vederla".

______Life is a beach, and than you dive Il prodotto di Tri-Ace ed Emergency Room sono inoltre accomunati da un altro aspetto: il tema della morte. A dire la verità si tratta dell'effettiva croce e delizia del gioco. Le anime degli einherjer vengono reclutate dopo che Valchiria ha percepito le loro essenze e ne ha ripercorso, frammentariamente, le gesta che li hanno portati al decesso. Tali sequenze di evocazione, intessute di un motore grafico bidimensionale e ricamate da un doppiaggio esemplare (parlo ovviamente di quello giappo-giallo), sono commentate da una melodia struggente che mette in sintonia con il tenore drammatico dei racconti, e dimostrano un valore contenutistico indubbio: i temi trattati sono tanti e le morti spaziano dal ridicolo (Lawry che affoga come un imbecille senza aver mai combattuto una sola volta) all'epico (Lucio che si sacrifica per dare tempo di fuggire ai compagni), con eroi che hanno perso la retta via (Jun, Grey, Ganossa) e altri che non l’hanno mai percorsa (Badluck, Geraldo, Jeyhal). I racconti si svolgono con estr ema credibilità, narrati da una sceneggiatura che non concede preferenze a nessuno. La stessa scelta di una protagonista femminile è il s egnale che al giocatore non è richiesta un'identificazione diretta, ma è invece invitato a mantenere una sorta di distacco imparziale da personaggi che vengono mostrati eroici quanto tragici nelle loro contraddizioni. Come nel c aso di Shuo, che poco prima di morire, riflettendo sul suo passato, dichiara: "sognavo di difendere le persone, e invece non ho fatto altro che ucciderle". Così, mentre gli dei del gioco non mostrano mai esitazione o dubbio, e rispecchiano il mondo in cui vivo-

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no (segnato dalla predestinazione), gli einherjer riconoscono le conseguenze delle loro azioni e spesso disprezzano ciò che sono diventati: una bella differenza con il resto degli RPG nipponici, esponenti eccellenti compresi, dove il racconto è incentrato sul passaggio all'età adulta e in cui gli errori commessi non sono altro che passi inevitabili lungo il cammino verso la maturità. In Valkyrie Profile il tema è il significato della vita, non lo scopo, e le proposte sono tante quante i personaggi del gioco. Quest'indeterminazione potrà sembrare una scappatoia di comodo per non affrontare nessun argomento in particolare, ma in realtà risponde ad un preciso criterio etico, che restituisce un mondo in cui a essere esaltata è la dignità dei singoli individui a dispetto della rassegnata adesione a valori universali. :SHUO:

Può mancare un s amurai del cazzo in un gioco giapponese? Che te lo dico a fare, sentenzierebbe quello spione di Donnie Brasco. Il caso di Shuo è emblematico per quanto riguarda gli strafalcioni in fase di produzione, dato che il suo ritratto durante le sequenze narrate e il suo corrispettivo sprite in-game presentano due elmi differenti: il primo con uno sperone acuminato, l'altro con una caratteristica mezzaluna alla Zambot 3. Praticamente inutile nei combattimenti contro i boss, è invece il personaggio più versatile nelle battaglie con gli a vversari secondari; non per niente viene concesso al giocatore solo in prossimità della conclusione dell'avventura.

____________Terra di nessuno Eppure, per quanto lodevoli siano contenuto e costruzione delle sequenze non interattive, il grosso problema è che esse costituiscono l'unico momento di caratterizzazione dei personaggi, destinati a rimanere tali e quali per il resto del gioco senza evolvere mai. È vero che con il frenetico avvicendamento di nuovi membri e delle loro storie la noia resta un peri-


:TESORI SEPOLTI: colo improbabile, tuttavia è amareggiante constatare quanto sia inutile riportare i personaggi nei luoghi dove sono morti, o dove hanno vissuto, senza che nulla a ccada, e come inspiegabilmente a lcuni di loro riescano a combattere fianco a fianco senza scambiarsi due parole, nonostante un passato di amicizia o di ostilità. Le città presenti sulla mappa sono inoltre popolate da tre persone in croce, e farvi ingresso comporta un inutile dispendio di tempo: niente informazioni pratiche o strategiche da racimolare, niente oggetti segreti da scoprire (salvo un paio di tr ascurabilissime eccezioni), niente negozi in cui rifornirsi. Un vero peccato, in particolare ai danni dei suggestivi fondali bidimensionali, che avrebbero meritato di essere valorizzati per il loro c aratteristico gusto architettonico e per il grado maniacale di dettaglio. Gli ambienti pulsano di una vita che sembra averli appena abbandonati, ma se da un lato questo enfatizza il sapore lugubre e disperato delle vicende, dall'altro rende palese come molti traguardi ambiti dal concept design del gioco non siano stati possibili da raggiungere di fatto. Non per niente anche la fase di ascensione3 è molto asciutta, tanto che i dialoghi presenti durante queste pause narrative risultano del tutto inconsistenti, nonostante l'estrema varietà nella caratterizzazione grafica e comportamentale degli dei asgardiani, che appaiono solo in questo frangente di gioco; il che lascia intuire come una loro partecipazione più diretta sia stata sacrificata durante il corso della produzione. I tagli più drastici sono stati comunque commessi ai danni del plot: è probabile che gli spettatori più attenti riscontreranno incongruenze e buchi narrativi in più di un occasione, e questo perché il cast originale è stato dimezzato una volta che il sistema di combattimento ha raggiunto la sua forma definitiva4, dato che secondo gli autori un numero eccessivo di partecipanti avrebbe reso sovrapponibili le caratteristiche degli einherjer e avrebbe inutilmente confuso gli utenti. Fortunatamente, quello che è stato sacrificato, non lo è stato invano. :LAWRY: Il membro del cast più ridicolo in assoluto, Lawry è leccaculo, insicuro, e rovinosamente maldestro. Inspiegabilmente le circostanze della sua tragicomica morte vengono lasciate in sospeso durante la rispettiva sequenza di evoc azione, e vengono rivelate solo nel caso il giocatore sia in grado di recuperare l'oggetto segreto che lo riguarda.

Ring#07 _____Ma i vichingi ce l'avevano il bisturi? In Valkyrie non esiste il denaro: tutta l'oggettistica viene materializzata attraverso un globo dai poteri sovrannaturali. Esatto, come in Sfera di, indovinate un pò, Michael Crichton. Le armi più temibili e gli equipaggiamenti più vantaggiosi, inoltre, si spezzano con grande facilità. Pochi i personaggi che possono compiere magie, mentre il recupero di punti ferita non avviene tramite incantesimi di cura ma attraverso abilità individuali che si attivano automaticamente, secondo percentuali variabili. Come in qualsiasi altro gioco di ruolo, tutto cambia e tutto è sempre uguale. Eppure esiste un solco divisorio ancor più profondo di quello, blando, costituito da peculiari nomenclature di opzioni e oggettistica. Nel capolavoro di Gotanda, infatti, le battaglie sono gestite attraverso confronti diretti in cui ogni personaggio viene associato ad uno dei quattro tasti standard del dual shock, dimodoché possano essere utilizzati secondo la tempistica che si preferisce. Questo perché mentre la fazione avversaria, o l'avversario singolo, non ha la possibilità di concatenare gli attacchi, il giocatore può invece eseguirli nell'ordine e con il ritmo che ritiene più opportuno. E opportuno nel titolo di Tri-Ace vuole dire scientifico, vuol dire precisione chirurgica; come quella del Dr. Benton. Gli approcci possibili si piegano a qualsiasi necessità o g usto, e offrono una quantità esorbitante di finezze, pregi nascosti, sfaccettature, che ad elencarle i ndividualmente questa recensione si tramuterebbe in una interminabile guida strategica. Semplificando a grandi linee, si possono suddividere gli stili di combattimento in 3 categorie: 1) un metodo per ricevere il più ampio numero di punti esperienza, cioè eseguendo delle juggle 2) uno per risolvere velocemente le battaglie più ardue, cioè colpendo un avversario quando è stramazzato al suolo 3) uno per cimentarsi in punteggi da record e approfondire i pregi e i difetti di ciascun personaggio. Gli attacchi seguono infatti una specifica meccanica vettoriale5, e a seconda dei criteri con cui vengono coordinati possono cambiare profondamente gli esiti degli scontri. Sperimentare diventa quindi imperativo, e si possono perdere letteralmente ore a tentare di mette re a segno combo da decine di colpi, o escogitare interminabili juggle che

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restituiscano un poderoso compenso in termini di punti esperienza. Nel frattempo i personaggi gridano, sbraitano, si lamentano dal dolore, urlano minacce agli avversari, e annunciano ad alta voce i loro colpi più potenti, commentando ogni azione che compiono sul campo di battaglia con battute, improperi, o esclamazioni di trionfo. A conti fatti l'unica vera e propria sbavatura in ambito sonoro è frutto del soundtrack di Motoi Sakuraba, riconoscibilmente debitore dell'epoca sedicibittiana, elaborato a suon di agitati brani da tastiera elettronica e schitarrate metallare che ricreano un atmosfera musicale ben poco affine alle situazioni e ai luoghi presenti nell'avventura. Ovviamente non tutta la colonna sonora merita la bocciatura, saltuariamente compare qualche brano accattivante o azzeccato, ma ritmi più pacati e solenni avrebbero contribuito ad una simbiosi ulteriormente spiccata con l'azione su schermo. :LUCIO:

Il personaggio più riuscito di tutti, che brilla sotto ogni aspetto. Incontestabilmente proficuo nel combattimento, dotato di una super tra le più incisive dal punto di vista coreografico, è anche l'effettivo protagonista della vicenda assieme a Platina. È su di lui infatti che è costruito il cosiddetto percorso B6, durante il quale i misteri che avvolgono le vere inte nzioni di Odino, il rapporto tra Valchiria e Brahms, e il ruolo di Loki (che negli altri due percorsi resta quasi sempre in disparte) vengono dettagliatamente rivelati. A lui sono legate le sequenze più affascinanti e toccanti del gioco.

___________I cancelli del cielo Non c'è dubbio che il doppiaggio sia tra i migliori mai visti in un RPG, e che renda l'atmosfera dei combattimenti degna di un vero picchiaduro; tuttavia, dato il sovraccarico di input che si genera durante le azioni di gruppo, non sono rari i momenti in cui il motore grafico rallenta vistosamente, e in questi casi


:TESORI SEPOLTI: può anche capitare che venga pregiudicata la coordinazione del giocatore. Non si tratta di un particolare trascurabile: la sopravvivenza dei personaggi viene costantemente messa a dura prova dalla rosa di avversari a guardia dei vari dungeon, e spesso annientare la fazione nemica prima che essa reagisca è vitale. Affrontare l 'avventura senza l'ausilio di un manuale è improponibile. Troppi sono i sistemi escogitati per raggirare le ordinarie rassegne di menù e regolamenti presenti in tanti altri RPG, e se le meccaniche vettoriali degli attacchi possono anche essere acquisite c on una pratica costante, tanto la conversione di punti-materia in oggettistica quanto la sofisticazione delle statistiche individuali dei personaggi necessitano ben più che un introduzione. Persino il livello di difficoltà Easy può schierare avversari coriacei in grado di annientare il party del giocatore in un soffio, o presentare boss impenetrabili a qualsiasi aggressione, mentre sbloccare il finale principale richiederà la soddisfazione di condizioni assurde, impossibili da dedurre senza una voluminosa dose di indizi. Valkyrie Profile non è un gioco facile; eppure se da un lato si viene sottoposti all'umiliazione di ricorrere al disonorevole uso di una guida, dall'altro l'acquisizione della strategia che ordina ogni specifico aspetto del combattimento e del potenziamento dei personaggi viene ripagata con l'ingresso alle vere e proprie porte del paradiso: il labirintico e inespugnabile Seraphic Gate, un sotterraneo di quattro piani colmo di avversari assetati di sangue, trabocchetti, e nuove tipologie di mostri che nel gioco principale non sono presenti. Alla luce del sofisticato sistema di combattimento, questa opzione assume una validità autonoma: mentre durante il corso dell'avventura ci si è dovuti arrangiare tra la necessità di mandare eroi ad Asgard e allo stesso tempo ricorrere all'utilizzo dei personaggi appena acquisiti, in modo da beneficiare delle loro vantaggiose statistiche, nel Seraphic Gate è possibile dare fondo ai propri gusti tanto in fatto di strategia quanto di organizzazione del party. Questo perché ogni membro del cast è p otenzialmente in grado di affrontare ogni varietà di avversario, e quindi l'attenta valutazione delle sue statistiche e un’oculata scelta delle abilità automatiche da assegnargli permetteranno combinazioni di qualsiasi tipo. In questo dungeon alternativo è inoltre possibile recuperare tutti i personaggi segreti,

Ring#07 che altrimenti possono essere riscossi solo in modalità Hard, allo scopo di garantirsi alleati eccellenti per avere la meglio sul temibile boss, Iseria Queen, c he per essere battuto necessita di capacità superiori a quelle con cui il cast si ritr overà alla conclusione dell'avventura principale. Chiunque sia animato da un sano spirito competitivo troverà in questa opzione pane per i suoi denti, senza contare che la mancanza di punti di salvataggio per tutto il percorso comporterà in più di un caso di "ripartire dal via" anche per i praticanti più consumati. Chi ha apprezzato il Chrysler Building di Parasite Eve e i tunnel dell'Iron Maiden nell'amato/odiato Vagrant Story, ne sarà entusiasta.

combattimento innovativo e frenetico, perfetto per chi è convinto di non riuscire più a rintracciare un RPG capace di fargli scontare ogni trionfo. E adesso ditemi: è forse un caso che Crichton abbia scritto pure Il 13° guerriero?

:BADLUCK:

[3] Gli interludi che separano uno dall'altro i capitoli in cui è stata suddivisa l'avventura.

_____________________Note [1] Pronuncia: ainheriar; i guerrieri caduti in battaglia cui veniva concesso l'ingresso nel Valhalla, per andare a formare l'esercito che Odino avrebbe guidato contro Surt e la sua stirpe. [2] Non provateci neanche a fare i saccentoni: Xenosaga è uscito dopo.

[4] Inizialmente i suoi autori avevano intenzione di creare uno strategico a turni.

Sboccato, cinico, scarcastico e sprezzante, Badluck è il classico mercenario indurito da una vita di battaglie e scorribande. Non per niente a causa dell'assuefazione con cui accetta gli incarichi offerti senza mai porsi interrogativi di sorta, finisce con l'essere complice del decesso di un altro personaggio. La sua presa di coscienza in punto di morte è uno dei tanti must-see del gioco. Spassosi i suoi commenti durante gli scontri, tra cui meritano di essere ricordati: "sei così brutto che mi fai passare la voglia di fumare" e "fammi un piacere: crepa".

[5] Gli attacchi sono direzionati verso il basso, di fronte, o verso l'alto, quindi per combinare adeguatamente ogni combo è necessario prestabilire una sequenza di colpi che non si annullino a vicenda. Se ad esempio un personaggio colpisce un avversario alle gambe, e questi crolla in terra, tutti i colpi alti andranno puntualmente a vuoto, interrompendo così la concatenazione. [6] Il gioco può essere intrapreso secondo tre diversi percorsi: l'A, che consiste nel disattendere le richieste di Odino finendo così col doverne affrontare il castigo, il B, che permette di cogliere tutti i retroscena della storia, e il C, che consente di completare l'avventura senza troppe difficoltà.

________Battezzati dal sudore Valkyrie Profile offre diversi momenti di estrema difficoltà. Imparerete a temere i Bloody Dragon; degusterete a suon di amari bocconi la scalata attraverso le piattaforme sospese del Castello Celeste; conierete nuove beste mmie per maledire le Mandragola. Se non avete un’ulcera, questo gioco ve la farà venire. Adatto a chi vuole assaporarne il racconto grazie alla sua durata relativamente ridotta (una trentina di ore al massimo), adatto a chi cerca un sistema di

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[Ring è] Ansia di evoluzione «Di combattimenti credo di averne fatti tre, tutti gli altri mostri li ho evitati. Non è possibile, pare il gioco di Alberto Tomba.» Il Pupazzo Gnawd , in merito a una delle falle più grossolane del marcescente gameplay dello stanchissimo Silent Hill 3.


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Ring#07

uNA mATITA a lOS aNGELES___________________________ [PEOPLE: Ron Gilbert] di Sator Arepo Mario è appostato sotto ad una piattaforma sulla quale transita una tartaruga. Mario salta, andando a deformare la piattaforma: azione che provoca il ribaltamento del lento animale. Qualora non venga rapidamente calciata via dall’idraulico già falegname, la tartaruga abbandona il guscio, lo capovolge e vi rientra. Durante questa operazione la tartaruga appare vestita con mutande e canotta bianca. Risate del videogiocatore. Il Videogame h a imparato in fretta a svincolarsi dagli asettici ambienti spaziali degli esordi, proponendo scenari e personaggi forti di un grande umorismo visivo – pensiamo a Tapper, pensiamo a Burger Time… – ma è con Ron Gilbert che il genere Commedia, nel Videogame, ha compiuto una significativa evoluzione, acquisendo nuova consapevolezza di sé. Viene quindi spontaneo pensare a Ron Gilbert come ad un visionario, una mente nuova con il progetto di traghettare un intero genere in un medium tutto da scoprire. La realtà, come spesso accade, lava via gran parte di quell’alone di Mito che gli appassionati amano credere di intravedere… «Mi piace la commedia – dichiara Ron in un’intervista a Gamespot – e amo scrivere cose divertenti, perciò è sempre stato per me un modo naturale di esprimermi. Comunque si è anche trattato di una scelta ponderata. È molto difficile infatti realizzare un’avventura mantenendo un tono serio. I giocatori si arrabbiano ad esempio quando si ritrovano in un mondo in cui c’è una sola matita. Supponiamo di essere a Los Angeles e di non riuscire a risolvere un enigma perché è necessaria una matita che si trova a New York e che non abbiamo raccolto quando eravamo a New York. Ecco, è stupido pensare che non esistano matite a Los Angeles, ma in molte avventure è così che le cose sembrano funzionare. Usando l’umorismo, riesci a fare di una d ebolezza un vantaggio. Puoi usare idee folli per risolvere i puzzle, e quando la situazione diventa insostenibile, nessuno protesta. Se i videogiocatori ridono, sono molto meno propensi a lamentarsi e a d ire: “ma che diamine sta succedendo?”»

Ecco quindi che l’introduzione nel Videogioco di un aspetto fondamentale come l’umorismo scaturito dal dialogo non è figlia di una precisa scelta artistica, ma è servita soprattutto per ovviare agli i ntrinseci limiti di concept del genere Adventure. Ma fermiamoci un attimo. Siamo appesi ad una corda e t eniamo con una mano una pesante cassa del tesoro. Il Governatore Marley ci raggiunge e ci chiede di raccontare la storia dall’inizio… ______________La Golden Age Al College, un giovane e relativ amente magro Ron Gilbert, invece di intontirsi di birra e rubare mutandine da donna come facevano gli studenti dell’epoca, programmava il suo C64 realizzando un software che dotava la macchinetta Commodore di alcune capacità di multitasking, studiate appositamente per applicazioni grafiche. Questo software, chiamato Graphics Basic, varrà a Gilbert un posto alla HESware, dove realizzerà alcune conversioni di giochi da Sala per Commodore 64. Un’esperienza breve, perché dopo pochi mesi farà ingresso alla Lucasfilm Games con l’incarico iniziale di convertire, sempre per C64, i maggiori hit della casa usciti su Atari 800. Dopo fiumi di brainstorming con Gary Winnick, una delle migliori menti della Lucas di quel tempo, iniziò a delinearsi il progetto di un adventure game. Stava nascendo Maniac Ma nsion. Gilbert aveva giocato alle avventure della Infocom, come Zork, ma non le aveva granché apprezzate. Per due motivi. Prima di tutto c’era troppo testo d a leggere, rendendo l’esperienza di gioco poco immediata e gradevole. Altro problema era l’immissione dei comandi, che avveniva tramite digitazione per mezzo della tastiera. Il testo immesso doveva poi essere inte rpretato da un parser di stringhe che, per quanto evoluto, tendeva spesso a non capire le inte nzioni del giocatore. Quindi la sensazione era quella di dover lottare con questo interprete, prima che con il gioco stesso. È da queste considerazioni che nasce lo SCUMM (Script Creation

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Utility for Maniac Mansion): nessuna tastiera, un puntatore, oggetti graficamente visibili su schermo, un set ridottissimo di verbi tra cui scegliere. Questo approccio richiedeva però una sostanziale revisione del gameplay. Se nelle classiche avventure testuali avevamo solo gli oggetti necessari alla risoluzione del gioco e la difficoltà consisteva nel trovare i verbi giusti da associare ai nomi giusti, questo non poteva essere ripetuto con lo SCUMM. Il ridotto numero di azioni eseguibili infatti avrebbe consentito al giocatore di provare con facilità tutte le possibili permutazioni fino a risolvere l’enigma, senza averlo risolto veramente. Gilbert ovvia a questo difetto inserendo nel gioco molti più oggetti di quelli necessari e molte più porzioni di scenario con cui interagire. Quindi, mentre prima si poteva dire “apri cassetto” per aprire il cassetto giusto, adesso non basta più, e bisogna cercare, tra tutti i cassetti, quello che contenga l’oggetto che ci serve. Ma le novità di Maniac Mansion non finiscono qui: abbiamo tre personaggi da selezionare all’inizio del gioco, ognuno con la propria personalità che permetterà strategie risolutive diverse a seconda del team a disposizione. Moti di giubilo anche per gli enigmi, complessi ma mai senza una logica ben studiata, e che richiedevano spesso approcci laterali per la loro risoluzione.

“You’ll be hooked up to my machine getting your pretty brains sucked up!”, dice il malvagio Dottor Fred alla povera San dy.

“Help, Help!” grida Sandy quando il dottore lascia la stanza e, spostandosi, rivela una mappa con la sezione del maniero. Da questa possiamo vedere che l’ac qua della piscina è usata per raffreddare il reattore della mini-centrale nucleare sotterranea. Quindi è radioattiva. Quindi può dar luogo a mutazioni. Forse è arrivato il tempo di innaffiare quella dannata pianta carnivora…


:RUBRICHE: __Io sono la gomma, tu la colla Dopo il successo di Maniac Ma nsion, altri autori alla Lucas presero in prestito lo SCUMM per realizzare le loro avventure. Tra queste, segnaliamo Zack McKraken and the Alien Mindbenders, divertente e surreale gioco di David Fox che pesca a piene mani dallo stile Gilbertiano, e Loom, un’opera più originale ed evocativa basata sulla m usica in tempi pre-ocariniani. A Ron invece venne assegnato il compito di trarre un’avventura da Indiana Jones e l’Ultima Crociata : compito stimolante, ma che limiterà di molto il suo estro, costretto com’era a rimanere nei ranghi dello script del film. Ma è già tempo di scimmie. Ancor prima di Indy, Gilbert aveva iniziato a concepire quella che avrebbe dovuto essere la sua personale Trilogia. Il suo Guerre Stellari. L’ambientazione piratesca venne scelta da Gilbert in seguito ad una vacanza a Disneyland culminata con un giro sull’attrazione: Pirates of the Caribbean Ride (di recente divenuta anche un film con un sensazionale Johnny Depp). Curiosa anche la genesi del nome del protagonista. Non avendo alcuna idea di come chiamare il personaggio, Gilbert aveva nominato i file contenenti le immagini dello stesso con un generico e temporaneo: guy. Ora, a quei tempi i file grafici avevano estensione: .brush. guy.brush, quindi. Di gran lunga migliore di un ipotetico Guygif, o Guybmp. Eh eh. Scritto insieme a Tim Shafter, The Secret of Monkey Island rappresenta uno dei punti di massima espressione dell’elemento comicità in un videogioco, nonché un raro esempio di enigmi originali, brillanti e ottimamente calibrati. Sopra a tutto svettano i dialoghi che, oltre a possedere una verve umoristica degna di un Woody Allen (i duetti con Stan, con quel suo isterico gesticolare, rimarranno nella storia dei videogiochi), davano origine anche ad alcuni puzzle m emorabili, come il duello a suon di insulti contro il Maestro di Spade o l’estenuante contrattare con Stan per l’acquisto del galeone.

“Sembra che su quest’isola siano sempre le 22:00.” Ancora una volta un limite tecnico diventa l’occasione per una gag. Geniale.

Ring#07 Dopo aver curato anche il secondo degno episodio della saga, colpo di scena: Ron Gilbert a bbandona la Lucas! Verranno fatte molte ipotesi sulla origine di questa decisione: soldi, voglia di cambiamento, follia… Fatto sta che la terza avventura di Tiziospazzola, già scritta da Gilbert, non vedrà mai la luce, rimpiazzata da due dimentichevoli s equel apocrifi. E si può forse ricondurre alla volontà di abbandonare Lucas anche la decisione di inserire in Monkey 2 quel finale… quel finale un po’ così… quel finale un po’ di merda, per dirla tutta. Gilbert comunque manterrà buoni rapporti con la software house dello Skywalker Ranch; tant’è che gli verrà consentito di portare via con sé il codice alla base dello SCUMM, a patto però che le sue successive versioni possano essere utilizzate anche dai designer della Lucasfilm che ne facciano richiesta. È per questo motivo che Gilbert continua a comparire nei credit dei prodotti successivi alla diaspora, come Day of the Tentacle o Full Throttle. _________Balocchi per bambini Abbandonata la strada vecchia, Ron Gilbert e la sua compagna Shelley Day imboccano quella nuova creando Humongous Entertainment: una software house specializzata in giochi per bambini. Ron ritiene che il genere Adventure sia destinato ad una rapida morte e che l’unico modo per prolungarne la vita sia di proporlo, con le dovute modifiche, a coloro che sarebbero maggiormente in grado di apprezzarlo se ne avessero le possibilità: i cuccioli d’uomo. Esce Putt-Putt Joins the Parade. «Quando giochi a Putt-Putt, sembra quasi di giocare a Monkey Island – dice Ron Gilbert. – Ho usato le medesime te orie.» I primi due episodi di Putt-Putt, pur vantando una calorosa accoglienza da parte della stampa specializzata, non riscuotono un grande successo di vendita, piazzando circa diecimila copie cadauno. Ma Ron è convinto di avere scelto la strada giusta e che l’approccio sia il migliore, e ritiene che lo scarso successo sia da attribuirsi principalmente al fatto che Humongous è ancora una realtà piccola. I fatti finiranno per dare almeno parzialmente ragione a Ron. Lettere di genitori entusiasti precedono un generale aumento di vendite che faranno diventare Humongous la terza più importante software

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house del settore, dando vita a nuove serie che però manterranno l’Adventure come genere di riferimento.

Cerchio esterno, da sinistra in senso or ario: Putt-Putt, Freddi Fish, Spyfox e Pajama Sam. Nel cerchio interno il pesce verde si chiama Luther. Ignoro l’identità del cagnolino.

__________________L’allievo Ma i pupazzetti pacioccosi non saranno le uniche produzioni che Gilbert curerà dentro Humongous. Nel 1995 Shelly Day conosce Chris Taylor: giovane game designer che lavora per Electronic Arts, senza però sentirsi veramente a ppagato, in quanto non stava facendo l’unica cosa che avrebbe voluto fare: un gioco di strategia in real time. Sapendo che il marito è un grande fan di Command & Conque r, Shelley mette i due nella stessa stanza ed osserva la nascita di un amore. Chris lascia la EA per entrare in Humongous dove, con Ron Gilbert come producer, inizia a concretizzare il progetto a cui pensava da quando aveva quattordici anni: Total Annihilation, un RTS con grafica poligonale. Certo, non si tratta di un genere di gioco che suonerebbe bene nella line-up di una software house che vede tra gli esponenti di spicco un pesce giallo di nome Freddi. Così da una costola di Humongous nasce Cavedog Entertainment. Uscito nel 1997, Total Annihilation è un successo di critica e pubblico. Tutto sembra andare per il meglio per Cavedog. Comunità di appassionati nascono in tutto il mondo. Vengono rilasciate patch. Escono mods curati dai fan ste ssi. In definitiva, Total Annihilation si avvia a diventare un franchise c apace di generare vergognose montagne di dollari. Ma sul più bello, colpo di scenabis: Chris Taylor lascia Cavedog e fonda una software house tutta sua: la Gas Powered Games!


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Ring#07 calumet della pace e proclama p arole di gratitudine per Gilbert. D ecide inoltre di non entrare in diretta concorrenza con Cavedog, cimentandosi in un genere diverso: l’action RPG. Nel 1999 esce Dungeon Siege: un clone di Diablo con qualche elemento in più di strategia e un unico mondo poligonale caricato in streaming.

Chris Taylor in un artwork di Gamespy ________Tradimento e Calvario I vicini di casa raccontano di grida furenti e improperi blasfemi uscire dagli uffici di Humongous. Ron Gilbert, forte della sicurezza economica che avrebbe garantito la serie Total Annihilation, aveva venduto la software house a GT Interactive, pur rimanendone il leader. In questo modo il creatore di Weird Ed avrebbe potuto utilizzare il cash ottenuto dalla vendita per ingrandire in breve tempo la società; ma l’abbandono del giovane padawan comprometterà quasi totalmente gli obiettivi di Gilbert, lasciandolo a gestire una compagnia non più di sua proprietà, e quindi non più indipendente... «La prima cosa che devi capire quando vendi una compagnia – confida Gilbert sempre a Gamespot – è che la stai vendendo a qualcun altro. Questi potrebbe voler far fare alla compagnia cose che sono nel suo interesse, ma non necessariamente nel tuo. Vendendo Humongous, non ho considerato un eventualità simile. […] Così ho imparato che devi distaccarti emozionalmente dalla tua compagnia prima di vendere. Una volta venduta, appartiene a loro. Devi seguire la loro visione. E non significa che la loro visione sia peggiore, ma solo che può essere differente dalla tua. […] La compagnia che ti acquista può dirti che le cose rimarranno le stesse, e possono anche essere sinceri, ma il fatto è che le due realtà si scontreranno ad un certo punto. La compagnia più grande è un’entità che deve fare di tutto per sopravvivere e crescere, e i suoi obiettivi possono andare contro agli obiettivi originariamente prefissati.» Arrivano tempi duri. Il team responsabile di Total Annihilation, nonostante la dipartita di Chris T aylor, continua a lavorare alla serie producendo lo spin-off Total Annihilation: Kingdoms, ambientato in un mondo fantasy e che non riscuote il successo sperato. Chris Taylor, dallo scranno più alto di Gas Powered Games, fuma il

Nel mentre in casa Gilbert, a fronte di una produzione per bambini che continua nel suo piccolo a funzionare, si deve registrare una crisi del settore per adulti. Cavedog è infatti un cimitero di progetti interessanti sulla carta ma che non a rrivano allo svezzamento. Progetti tra i quali svetta il chiacchieratissimo Good and Evil, che nessuno mai giocherà. Fallimenti che faranno pronunciare a Ron Gilbert le s eguenti parole: «Non tentare mai di progettare un gioco e dirigere una compagnia nello stesso tempo. È un grosso errore.» È il momento della disillusione. Gilbert non è più innamorato dei videogiochi, o quantomeno non dei giochi odierni, né dei videogiocatori odierni che non siano under 12. Dopo la chiusura della fallimentare Cavedog, i coniugi Gilbert decidono di abbandonare la consolidata Humongous che, dopo l’acquisto di GT Interactive da parte del colosso Infogrames, entra a far parte del canale di vendita Atari Kids. Ron Gilbert ce l’ha un po’ con tutti. Ce l’ha con i designer di oggi... «Sono molto deluso quando vedo che molti nuovi game designer non hanno giocato ai tantissimi videogiochi creati negli anni ’80. Ci sarebbe così tanto da imparare. Non avevamo la grafica che c’è o ggi, ma avevamo il gameplay. Eravamo c ostretti ad avere il gameplay. Ora invece è tutta cosmesi tecnologica.» Ce l’ha con i giochi di oggi... «Un altro grosso problema è la mancanza di creatività nei giochi di oggi. Un sacco di gente se la prende con i publisher, ma non io. Non sono solo i publisher a voler creare l’ennesimo clone di Quake o di Diablo (frecciatina a Chris Taylor). Ho incontrato un sacco di sviluppatori che vogliono realizzare un clone di Diablo (ouch!). C’è proprio una mancanza di interesse nello spingere un po’ più in là i confini. (parole grosse per uno che ha prodotto un clone di Command & Conquer e che figura negli special thanks di Diablo stesso...)

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Ce l’ha con i videogiocatori di o ggi... «È dura fare in modo che le nuove idee vengano accettate nel mercato odierno. È uno dei motivi che mi hanno spinto a fare giochi per bambini. Con il software per bambini hai l’opportunità di parlare con persone completamente prive di preconcetti. Gli hard-core gamers invece pur essendo molto pochi ti tartasseranno finché non produrrai esattamente ciò che loro vogliono, o peggio, ciò che loro credono di volere. E possono farlo con la completa anonimità fornita da Internet. Non devono nemmeno provare coi fatti ciò che sostengono e, sfortunatamente, in molti li ascoltano. Se non esci fuori con un gioco che solletichi le corde di questo sparuto gruppo di persone, sei tagliato fuori.» Ce l’ha con Internet... «Il problema maggiore che noto con Internet applicato nei giochi è che sta diventando un’ulteriore d istrazione dal creare buoni videogiochi. I designer sono ossessionati dal fare in modo che il loro prodotto sfrutti Internet, anche se non è la cosa migliore per quel particolare gioco.» Siamo arrivati ai giorni nostri. Lasciamo il buon Ron al bancone dello Scumm Bar a scolarsi l’ultima bottiglia di grog, mentre dice “governo ladro” al pirata vicino di sgabello. Augurandogli buona fortuna per la sua prossima avventura – e sperando che lo sia in tutti i sensi – promettiamo di seguire e riportare senza preconcetti ogni notizia più recente che lo riguarderà, nonché di giocare a Putt-Putt, Freddi Fish & company per scrivere poi un dettagliato resoconto. Ma ora si è fatto tardi, sono già le 22:00 su quest’isola e... attenti! C’è una scimmia a tre teste dietro di voi!

[Ring è] Politically Correct «Guarda in effetti anche a me Ikaruga fa leggermente schifo (non per il gioco in sé, ma perché è uno sparatutto; l'unica cosa che detesto più degli sparatutto sono i francesi).» Amano76


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nON c’È II sENZA XII__________________________________ [!SPOILER! – Final Fantasy XII] di Cristiano Bonora Nonostante lo sviluppo di Final Fantasy XII si trovi ormai a uno stadio molto avanzato, tutto il materiale informativo sinora diffuso da Squaresoft-Enix si riduce a un paio di illustrazioni, peraltro non proprio significative. In vista dell’imminente uscita di Final Fantasy Crystal Chronicles (8 agosto), nessuna informazione più precisa sul dodicesimo episodio della serie principale è ancora stata divulgata, in modo da evitare effetti di cannibalismo all’interno del medesimo franchise. Ma Ring sa, prima di tutti. In un locale ibrido al confine tra la Tokyo bene e un quartieraccio underground ci siamo trovati al t avolo con Yasumi Matsuno (già producer e director di Vagrant Story), l'uomo a capo del cosiddetto “progetto XII”, che sotto gli effetti suasori di ottimi sigari e pessimo rum ha vuotato il sacco al nostro informatore, spalancando i cancelli di un mondo inedito e sconvolgente, degno teatro di un Final Fantasy di prossima generazione... _______Il Pianeta dei Chocobo “Nel mondo in cui è ambientato FFXII non vi è traccia di essere umani. A Cyxius sono i chocobo la specie dominante”. È con questa rivelazione che Matsuno esordisce ai microfoni di Ring. “Le ragioni per cui abbiamo scelto di dedicare un intero capitolo della saga ai chocobo sono essenzialmente due” – prosegue Matsuno – “la prima è che, come tutti gli appassionati della serie, anche noi amiamo i chocobo, pertanto ci è parsa una splendida idea omaggiare uno dei simboli della saga costruendo intorno ad esso un nuovo incredibile universo. La seconda ragione è che gli animali antropomorfi si prestano a veicolare messaggi con un’intensità superiore rispetto ai personaggi umani. La storia del leone Simba ci è stata di grande ispirazione, c osì come alcuni lungometraggi Disney, ma anche La fattoria degli animali dell’inglese George Orwell. Quel libro esemplifica splendidamente l’efficacia scenica degli animali “umanizzati”, soprattutto quando si vuole descrivere una regressione dell’uomo allo stato ani-

male. Non è stato facile mettere d’accordo l’intero team su una scelta così ardita, ma siamo sicuri che i fan della saga ne saranno entusiasti.”

Inizialmente orientato verso uno stile illustrativo piuttosto classico (a sinistra), il character designer Akihiko Yoshida ha poi abbracciato un'iconografia più eterea e meno fumet tosa (a destra), ispirata all'opera del pittore tedesco Martin E. Philipp (Zwickau 1887 - 1978). Non ostante l'evidente continuità stilistica con l'opera di Yoshitaka Amano, per questo dodicesimo capitolo non è prevista alcuna partecipazione del noto illustratore giapponese.

_________Dodicesima fantasia tra natura e tecnologia “La saga di Final Fantasy ha sempre abbinato ambientazioni naturalistiche a elementi hi-tech. Questa volta, però, non abbiamo voluto creare vistose opposizioni tra ciò che è natura e ciò che è tecnologia (estrae da una borsa un plico di illustrazioni - ndR). In FFXII la natura stessa è spontaneamente meccanica, cibernetica, evoluta. Paradossalmente, quindi, è *naturale* la sofisticatissima tecnologia che se ne avvale. I campi risplenderanno al chiaro di luna brillando di luce propria, che i fiori emettono trasformando in elettricità le risorse del suolo. I boschi del mondo di Cyxius sono rumorosi come fucine medievali, perché è attraverso giganteschi meccanismi di radici che gli alberi ricavano l’energia per innalzarsi fino al cielo. Di converso, la tecnologia usufruita dalle varie razze di chocobo riconverte elementi naturali per scopi architettonici, bellici, ecc. I Gohan forgiano a rmature ricavate da una lega metallica dalle straordinarie proprietà magnetiche: non appena una lastra si spezza, i due frammenti si caricano positivamente e negativamente producendo

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una potente attrazione che li ricompatta. Tuttavia, l’effetto non sarà quello di un mondo sintetico, artificiale, quanto quello di una natura cosciente, intelligente, industriosa. Solo da un’osservazione ravvicinata delle piante si potranno constatare i circuiti elettrici che attraversano le foglie, gli steli e i fiori; solo da un’attenta ispezione delle rocce si potrà coglierne la ragionata composizione geometrica. Ci siamo molto impegnati affinché il mondo di FFXII apparisse stupefacente, e mai finto o costruito. Tutto questo, naturalmente, è stato possibile solo dopo essere riusciti a far g estire a PS2 texture ad altissima definizione.”

Il render del cuore di un fiore notturno. Gli stami paiono di metallo, i pistilli di fibra ottica.

______“D’amore, di morte e di altre sciocchezze” “Abbiamo discusso a lungo sul fatto di inserire o meno una storia d’amore. Il problema e rano i chocobo. Rappresentare scene d’amore tra chocobo produrrebbe un effetto discutibile. Un bacio dato con il becco o un abbraccio ad ali spiegate non sarebbero credibili. Alla fine abbiamo pensato di raccontare comunque delle storie d’amore, ma del tutto differenti da quelle viste ad esempio nell’ottavo o nel decimo capitolo. L’amore si esprimerà attraverso gesti, parole e azioni che gli innamorati si rivolgono indirettamente. Quando il Gohan Buldok non può evitare la morte dell’amata Ilioc, di razza Nimmit, il giorno successivo si presenterà in battaglia con i c olori e l’armatura dei Nimmit, e da quel momento combatterà utilizzando solo tecniche che appartenevano a Ilioc. Il tema dominante di FFXII è la guerra. Abbiamo creato delle situazioni in cui su uno sfondo così cruento i protagonisti trovano il modo di stagliare comportamenti di profonda umanità.


:RUBRICHE: Siamo convinti di aver dato vita a storie d’amore molto più autentiche e delicate che in passato pur senza r icorrere ai cliché tipici della materia amorosa. Inoltre l’amore è stato utile anche a esemplificare una delle due tensioni contrapposte che animano il mondo di FFXII, quella disgregante e quella riconciliante: la prima responsabile della deriva dei continenti e della diaspora dei popoli, l’altra attiva nell’intrecciare legami che preservino Cyxius dalla completa dissoluzione.” _____________JRPG levels up Il sistema di gioco e di combattimento di FFXII può considerarsi sostanzialmente ultimato. Tra le innovazioni promesse da Matsuno spicca la rilevanza ludica dell’ambiente in cui si svolgono gli scontri: pendii, terreni particolari (paludosi, ghiacciati, sabbiosi) e conformazione degli scenari influiranno notevolmente sull’esito delle battaglie. Non sarà uno scherzo affrontare una creatura volante con i piedi invischiati in una spessa fanghiglia, con la velocità e la destrezza del party dimezzate. Al contrario, sorprendere il nemico da un’altura comporterà il vantaggio di un indisturbato primo attacco magico o con armi a lunga gittata. I combattimenti avranno luogo esattamente nello stesso scenario in cui si conducono le esplorazioni, al contrario di quanto a vveniva nei primi dieci capitoli della serie, in cui il party veniva “teletrasportato” in un’area apposita ogni volta che si presentava un incontro casuale. Ciò contribuirà alla credibilità e alla varietà delle battaglie, ora molto meno suscettibili al rischio di ripetitività. Inoltre la scelta del percorso da seguire per raggiungere la meta di un’esplorazione acquisirà importanza strategica, dal momento che affrontare le stesse creature in circostanze ambientali distinte può tradursi in battaglie completamente diverse. Interrogato sulla questione random encounters, Matsuno ci ha rivelato che anche sotto questo aspetto la dodicesima fantasia proporrà interessanti novità. “Gli incontri casuali sono un elemento tipico degli RPG giapponesi” – spiega Matsuno – “è solo in America e in Europa che questo sistema riceve delle critiche da parte della stampa e dell’utenza. Tuttavia per il dodicesimo capitolo abbiamo v oluto cambiare qualcosa rispetto al passato, anche perché ormai la s aga di Final Fantasy è popolare tanto in Occidente quanto in Oriente, e ci è sembrato giusto venire

Ring#07 incontro ai gusti dei giocatori occidentali.” Detto questo Matsuno ci illustra come nei dungeon e in tutte le fasi esplorative gli incontri non saranno casuali, e soprattutto saranno molto meno frequenti rispetto al passato. “Inutile annoiare il giocatore con decine di combattimenti identici” - ha aggiunto “molto meglio proporre meno scontri, ma più impegnativi e diversificati, alternati a intense sezioni di esplorazione. A questo proposito abbiamo molto lavorato sul design dei sotterranei, dei boschi, delle paludi e delle città”. Gli incontri casuali comunque non sono scomparsi. In molte zone della mappa saranno ancora presenti: “Abbiamo ritenuto di dover lasciare la possibilità di evolvere le caratteristiche del party indipendentemente dal prosieguo dell’avventura”. Infatti per ragioni narrative e di coerenza del mondo di Cyxius, non è stata implementata nessuna routine di respawn all’interno dei dungeon. Pertanto, in assenza di aree con incontri c asuali, una volta eliminate tutte le creature presenti in un sotterraneo non sarebbe stato possibile evolv ere il proprio party se non proseguendo nella storia. “Abbiamo pensato che gli affezionati della saga non avrebbero gradito un sistema di crescita così rigido. Inoltre, per ovviare a uno sviluppo di gioco troppo lineare, abbiamo inserito numerose sub-quest che svelano sorprendenti retroscena sul passato dei protagonisti, così che giocatori si sentano maggiormente stimolati a completarle.” __________Welcome to Cyxius

È solo uno schizzo d isegnato da Matsuno su un foglio di carta, ma è quanto basta per definire la geografia del suggestivo mondo di FFXII. La morfologia dei continenti appare tutt’altro che casuale alla luce delle rivelazioni di Matsuno circa la specie dom inante su Cyxius.

Cyxius è costituito da tre blocchi continentali originariamente uniti: Tergiulia, Estallea e Atsalea, popolati da tre distinte razze di choco-

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bo: i Nimmit, gli Aemarth e i Gohan. I Nimmit occupano la parte meridionale di Tergiulia, il continente più vasto. A causa della morfologia montagnosa della parte settentrionale, la razza Nimmit non può a ccedervi, perché la conformazione dei loro arti inferiori non gli consente di muoversi su superfici rocciose. Gli Aemarth occupano le terre emerse di Estallea, un enorme arcipelago a est di Tergiulia. Rispetto ai Nimmit gli Aemarth si caratterizzano per un aspetto più anfibio, con zampe palmate grazie alle quali possono correre sull’acqua per brevi distanze. Infine i Gohan abitano le lande vulcaniche di Atsalea, a ovest di Tergiulia. È una razza molto forte, con zampe possenti che fanno di loro abili scalatori. Atsalea si è s eparata da Tergiulia in tempi remoti, e i Nimmit raccontano leggende sui Gohan, dubitando al tempo stesso della loro esistenza. _______Storia di popoli, storia di chocobo Ogni Final Fantasy racconta innanzitutto la storia di un gruppo di amici. Tuttavia la stessa storia giunge sempre a coinvolgere l’intera popolazione del mondo in cui è ambientato il gioco. “Con FFXII abbiamo voluto raccontare una storia di popoli, prima che di singoli individui. Dopodiché abbiamo scritto per ciascun protagonista una storia personale che riflettesse quella del suo popolo.” Il giocatore si troverà a controllare chocobo appartenenti a ciascuna delle tre razze di Cyxius, vivendo le storie di differenti individui e di differenti popoli da prospettive distinte. L’avventura comincia a Tergiulia, con i Nimmit divisi in due fazioni da dieci anni impegnate in una sanguinosa guerra civile. Non si fa menzione delle ragioni alla base del conflitto, perché volevamo che i giocatori ricevessero l’impressione di una guerra insensata, come riteniamo che lo siano la maggior parte delle guerre reali. Successiv amente l’intero mondo di Cyxius a ssisterà al confronto delle tre razze di chocobo, questa volta sulla base di ragioni esposte. Le stesse ragioni saranno però sottoposte a sostanziali riconsiderazioni a seconda della prospettiva da cui verranno enunciate. Aemarth, Gohan e Nimmit appariranno tutti nel giusto, e solo nel finale realizzeranno di aver riprodotto su scala planetaria l’insensatezza del conflitto iniziale tra


:RUBRICHE: le due fazioni Nimmit. I personaggi che la storia consacrerà c ome eroi sono proprio quelli che sapranno avvedersi di questa insensatezza. Ogni Final Fantasy sviluppa a modo suo il tema della libertà: in FFXII libertà è consapevolezza. ______I due volti della guerra: Epica e Armageddon La storia di FFXII entra nel vivo quando una delle due fazioni Nimmit (quella che vive nella parte ovest del continente) entra in possesso dell’evocazione Leviatano, che intende utilizzare per sopraffare definitivamente la fazione opposta. Il Leviatano genera un maremoto nelle acque che separano Estallea da Tergiulia, inondando la parte est di Tergiulia e provocando al tempo stesso l’emersione di a lcune appendici occidentali dell’arcipelago di Estallea. Questo permette agli Aemarth di raggiungere Tergiulia spostandosi rapidamente da un’isola all’altra. Ripetute incomprensioni diplomatiche fomentate ad arte dai maligni di entrambe le parti faranno sì che i Nimmit interpretino l’arrivo degli Aemarth come un’invasione. Gli Aemarth, da parte loro, sono in cerca di una nuova terra in cui insediarsi per fuggire dai terribili cataclismi che affliggono Estallea, e non accetteranno l’espulsione. È l’inizio di una nuova guerra. I Nimmit, superata la loro div isione interna per fare fronte al “nemico” comune, si coalizzano contro gli Aemarth, comunque militarmente superiori. Nella disperazione di una guerra che sembra persa - soprattutto a causa della decimazione subita dalla popolazione durante i dieci anni di guerra civile - i Nimmit ripongono le loro speranze nell’antica leggenda dei Gohan, un tempo garanti supremi dell’ordine dell’intero Cyxius. Quattro Nimmit partono quindi alla volta delle montagne di Tergiulia alla ricerca di Ifrit, la creatura mitica a cui la leggenda attribuisce il potere di riunire le terre vulcaniche di Atsalea a Tergiulia, consentendo il ritorno dei Gohan nel continente. “Viaggiare attraverso le montagne è un’impresa praticamente i mpossibile per un Nimmit” ci tiene a precisare Matsuno, “è in questa fase dall’avventura che abbiamo voluto dare la rappresentazione più imperiosa della natura tecnologica del mondo di Cyxius. La terra si vuole opporre ai continui tentativi delle razze di chocobo di f omentare la guerra in atto, pertanto le montagne osteggeranno il cammino dei

Ring#07 quattro Nimmit spostandosi durante la notte, vanificando così i tentativi dei chocobo di aggirare i monti più impervi.” Miracolosamente i quattro riusciranno comunque a raggiungere il tempio di Ifrit e a evocarlo. La creatura del fuoco si calerà nelle profondità della terra provocando violenti terremoti, nonché prolungate eruzioni nel complesso vulcanico di Atsalea. Il fiume di lava così formatosi si depositerà sul fondo del m are che separa Tergiulia da Atsalea, fino a riemergere ricongiungendo i due continenti.

Un altro render impieg ato come concept art: uno dei crateri che punteggiano il complesso vulcanico di Atsalea. La conformazione del cratere, per quanto naturale e realistica, sembra obbedire a precise regole matemat iche, come se si trattas se di un frattale.

I Gohan, però, si rifiuteranno di intervenire in un conflitto che giudicano n i sensato. Un gruppo di giovani Gohan, però, sensibili al richiamo di un continente a loro ignoto, chiederanno ai quattro a vventurieri Nimmit di condurli fino a Tergiulia, offrendosi come cavalcature per riportarli a casa rapidamente attraverso le montagne. La loro cattura da parte degli Aemarth nel corso di un’imboscata motiverà l’entrata in guerra della razza dei Gohan al fianco dei Nimmit. “L’arrivo dei Gohan a Tergiulia è una delle sequenza più epiche di tutto il gioco” - ci confida Matsuno, visibilmente eccitato - “I Nimmit incalzati dagli Aemarth sono stati costretti ad arretrare fino alla città di Bibir, situata ai piedi dell’estrema propaggine meridionale della catena montuosa di Tergiulia. A nche la caduta di quest’ultima roccaforte sembra imminente, ma ecco che in cima ai monti che incorniciano la città compaiono i vessilli dell’esercito di Gohan. Abbiamo realizzato una sequenza di cinque minuti in CG in cui migliaia di Gohan si lanciano giù per le montagne respingendo l’avanzata degli Aemarth. Per realizzare questo filmato ci siamo ispirati alla battaglia finale del secondo film de Il Signore degli Anelli, ma siamo convinti di essere riusciti a realizzare qualcosa di ancor più stupefacente. Merito del fascino dei chocobo: vederli muovere a centinaia in perfetta sincronia mentre il vento ne scuote

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il piumaggio è uno spettacolo sensazionale.”

In alto, il drammatico attacco dei cav alieri di chocobo Al bhed a Sin in FFX. Qui sopra la carica condotta da Gandalf il Bianco presso il Fosso di Rohan nel film Il Signore degli Anelli - Le Due Torri. A detta di Matsuno, in FFXII assisteremo a un FMV che unirà il fascino della prima sequenza all’impatto epico del la seconda.

Matsuno si è poi dimostrato restio a svelarci i particolari della conclusione della storia, sotto la nostra pressione si è però convinto ad anticiparci un’altra emozionante sequenza, in cui i Gohan evocano Shiva per congelare le acque che gli Aemarth percorrono per spostarsi da Estallea a Tergiulia, provocando l’isolamento dei loro avanposti nel continente. Se del finale di gioco nulla ci è stato anticipato, Matsuno si è comunque azzardato a esporci il significato che con esso lui e il suo team intendono veicolare. “La storia di FFXII ha uno sviluppo a spirale: quella che inizialmente si presenta come una contenuta guerra civile assumerà via via proporzioni planetarie, fino a che tutte e tre le razze non capiranno di avere un nuovo nemico comune, e si troveranno a decidere se coalizzarsi contro questo nuovo nemico o cercare una soluzione alternativa alla guerra totale, che rischierebbe di provocare la completa d istruzione del mondo di Cyxius. “Credo che il f inale del gioco renda giustizia alla bellezza di Cyxius e sveli maestosamente ai giocatori l’inaspettata soluzione alla catastrofe” conclude Matsuno visibilmente soddisfatto. L’ora è piccola. Il mattino incalza. Il sonno e il tasso alcolico dilagano. Il nostro informatore accompagna al suo taxi un barcollante Matsuno, che si congeda bisbigliando al nostro uomo un’ultima, preziosissima informazione: il gioco uscirà in Giappone venerdì 12 dicembre 2003. 12/12/03. Sarà il Final Friday XII.


:RUBRICHE:

Ring#07

dAVIDE zERO fROM oUTER sPACE_______________________ì [Il Davide Videoludico SETTE] di Nemesis Divina C’era una volta che il Davide praticamente l’hanno abdotto… «Cosa volete da me?» «Vogliamo informazioni, Numero Zero. Informazioni.» «Io non sono un numero… io sono il Davide Videludicooooaaaahhhh!!!!» Il Davide si svegliò tachicardicheggiante. La notte era madida, la sua fronte umida, le coperte fradice. Sbarrò gli occhi fissando un buio severo, impietoso, cupo e anche un poco stronzo. Un incubo. Mandò una mano in perlustrazione, alla cerca della Silvia dormiente per trarre sollievo dall’amata presenza; ma nulla trovò e anzi la mano brandì il vuoto oltre i confini del talamo. Ora che ci faceva caso, sentiva un materasso duro sotto di sé, ben diverso da quello che era solito usare per l’espletamento dei bisogni notturni. Il Davide s’alzò e si scoperse ignudo sentendo il barbagallo sballonzolare fra le cosce, oscenamente ritratto in vergognose pieghe epidermiche. I piedi nudi, scandalosamente poco curati, posarono su un pavimento freddo e liscio. A tentoni brancolava nel nero quando una luce irruppe maestosa, accecante, rivelatoria, fulgida, splendente e anche un poco scassapalle. Gli ci volle un attimo, al Davide, per abituarvicisi. Una volta abituatovicisi, udette uno scalpiccio lesto ma deciso. Solo ora si o sservava atto rno e vedeva pareti fatte di specchi riflettere la sua figura triste e muta, solitaria e mesta, afflitta e sperduta, sola e angosciata. Una delle vetrate sibilò sollevandosi e l asciando intravedere un pertugio; emerse allora una figura ignota che dai movimenti lasciava intendere come non ci si sarebbe potuti appellare ad essa senza timore e reverenza. Una tipica figura alta, bassina e con il naso. Vestito in un completo dal taglio elegante ma ricavato da un lattex blu elettrico, quantomeno bislacco e anche un poco fetish. Il volto del visitatore appariva enigmatico con quegli occhi canuti, le labbra castane, gli zigomi sfuggenti, il naso alto, la fronte profonda ed il mento adunco. In pratica sembrava Alain Delon appena uscito da sotto i cingoli di un Caterpillar. «Welcome to the Third Place, Mr. Davide» appellò. «Se non le spiace potrebbe coprire le orrende vergogne che mette in mostra cingendo il suo flaccido ventre con quello stuoino di morbida vigogna che vede laggiù?» proruppe il misterioso. Il Davide, vagamente offeso ma comunque timorato, si coprì le orrende vergogne che metteva in mostra cingendo il suo flaccido ventre con uno stuoino di morbida vigogna che vedeva laggiù. Ricondotto ad umano sembiante, il Davide osò chiedere chi essi fossero, cos’essi volessero da lui e cos’egli potesse dar loro. «Non si preoccupi Mr. Davide. Si fidi di me e non opponga resistenza. Mi chiamo Adolf Gandhi e sarò il suo cicerone. Mi segua, abbiamo grandi progetti per lei. Lei è una persona mooolto speciale.» così dicendo si mosse con passi ampi verso il pertugio, invitando il Davide a seguirlo. Fu un viaggio silenzioso durante il quale attraversarono corridoi d’un bianco irreale, con pareti vuote e solcate solo da segnaletiche dai nessi indiscernibili e pittate di rosso. Il pavimento scorreva incurante sotto i loro passi e solo dopo minuti incronometrabili giunsero alla loro, sconvolgente, destinazione. «Ecco, ammiri Mr. Davide: Il Nido…» disse lasciando tre subdoli puntini di sospensione alla fine della frase. Il corridoio terminava su un balcone poco spazioso dove solo due persone potevano sostare. Un vaso di garofani appeso al parapetto. Al di sotto mostravasi un’area titanica dai confini indefinibili, discendente per chilometri ed estendentesi grossomodo per un parsec o due. Il balconcino brontolò e prese a discendere pigro lungo la propria verticale. Giunti che furono in prossimità del fondo, egli vide: tutti disseminati sulla s uperficie metallica ed illuminata da luci al neon bianche, fredde e pure un poco svogliate, trovavansi centimilionaie di banchetti tutti con un omuncolo sedutovicisi, gobbo su un minuscolo schermo innanzi. «Chi… chi sono… loro?» domandò titubante il Davide. «Beta Tester» rispondette laconico il cianotico virgilio, ponendo alla fine della frase un’inflessione subdola e vibrante che indicava come a ulteriori richieste avrebbe risposto frantumando i malleoli al nostro eroe. Il silenzio perdurò, dunque.

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Ring#07 Il ballatoio sbuffò stizzito e si arrestò con un leggero scossone sul fondo della sua c orsa. La ringhiera si aperse e i due s’incamminarono fra i banchetti. Il Davide poteva vedere questi omuncoli ricurvi con gli occhietti vacui fissi sullo schermo. L’indagine davidiana dardeggiava d’intorno registrando visi e volti e musi e facce. Sedevano curvi su uno sgabellino regolabile (tutti regolati troppo alti, da cui la postura gibbosa…), le gambe ciondolavano molli, quasi atrofizzate. Tutti tenevano lo sguardo fisso sullo schermo che lumineggiava i volti con multicromi aloni. Ora poteva vedere da v icino questi individui, erano costretti ai banchetti da solide cinghie, i polsi inanellati al tavolo con le mani che stringevano… joypad!! Non v’era dubbio, ce n’erano di tutti i tipi, quelli in uso ad oggi e quelli del passato, più altri sconosciuti e dalla fattura avveniristica. Davide notava sottili cavi penetrare negli avambracci degli omuncoli e altri uscire dalla base della n uca per innestarsi nel video innanzi a loro. Successe per un secondo solta nto; uno dei gobbi si voltò e parve per un attimo fissare il Davide. Scorgendone i tratti, il nostro sentì lo scroto farsi piccolo piccolo: aveva la fronte bombata e i capelli scompigliati, come chi non li pettina da quarantadue giorni, le guance flaccide disposte su più strati, labbra sbilenche e lucide di u n sottile strato di saliva e gli occhi… occhi persi nel nulla, con una sola vaga scintilla d’intelligenza, annegata in un mare di imbelle ignoranza. Una specie di Buttiglione, però con la scintilla. Davide continuava a seguire la sua imperscrutabile guida e intanto occhieggiava gli schermi dei beta tester. Erano indiscutibilmente videogiochi, quelli i cui frame muovevano i f osfori dei visori. Giochi di tutti i tipi. «Sono tutte nostre produzioni» irruppe l’accompagnatore, pur senza tuttavia voltarsi. Davide sussultò. Come poteva essere possibile?! Vedeva giochi di tutte le case possibili ed immaginabili, non v'era un comune denominatore o almeno egli non lo scorgeva. Gandhi si arrestò e il Davide per poco non gli cozzava contro. Poi, sempre dando la schiena al nostro, alzò un braccio ed estroflesse l’indice. Il Davide trascorse cinque minuti buoni nell’osservare il dito, poi guardò dove indicava. Stupefacimento! L’inconfondibile logo della EA campeggiava solido e fiammeggiante sopra le loro teste mentre una musica celestiale irrompeva fra le ampissime pareti. «Non… non è possibile!! Questi non sono giochi all’altezza della EA!» sillabò incautamente. «ANATEMA!!» il signor Gandhi si voltò funesto in volto «Mai più… mai più oserai pronunciare invano il sacro dittongo. Per quanto tu ci sia prezioso, non tollereremo altre mancanze di rispetto!!» poi, richetatosi «EA è un livello di percezione superiore, parto di menti a ltissime. Tutto quello che giochi, lo giochi per nostro volere.» Il Davide esterrepì. «EA non è un semplice marchio, noi siamo una voce totale, elevatasi nel sussurro della cospirazione ed oggi finalmente esposta alla venerazione delle genti! Osserva, tutti i giochi che vedi sono frutto del nostro mestiere…» Davide guardava gli schermi che ritraevano numerosissimi titoli che, a quanto ne sapeva (e lui ne sapeva... a quanto ne sapeva), non erano certo di casa EA. Videogiochi che nessun uomo avrebbe mai voluto vedere, ET per Atari 2600 alle porte di Tannoiser, ma anche Silent Hill 3, Zelda TWW, GT3, Super Mario Sunshine, Heart of Darkness, Great Giana Sister, Primal, Munch’s Oddyssey, Cruisin’ USA e molti altri. «Non devi stupefarti, questi sono tutti nostri lavori. Non noti il sublime marchio EA nell’inconsistenza di Zelda TWW? La cura della ripetizione in GT3? Il sublime contrappasso di un gameplay logoro e anticherrimo in SH3? La piaga di Army Men, le tette di Lara e le altre tonnellate di monnezza che siamo riusciti a vendere? A milioni di copie. A milioni di fessi MUAHAHHAHAHAHAH» «Herr Gandhi! » eruppe un inserviente, giunto di soppiatto, con un camice arancione e la faccia al contrario. « Scusi se interrompo il suo rimarchevole delirio; il B eta Tester che si è risvegliato l’altra settimana.. non siamo riusciti a recuperarlo… è morto.» Lo sguardo del Davide si fece inquieto e l’ano gli si contrasse involontariamente. Era dunque quella la ragione per cui era lì? Avrebbe dovuto sostituire il Beta Tester defunto? Una vita di giochi immondi, intollerabili sequel, minestroni riscaldati e add-on e spin-off e tie-in lo attendevano? FIFA lo attendeva?!?!?! Lo scroto quasi disparve. «Non temere. Tu sei qualcosa di superiore, Numero Zero.» Trasalì, il Davide, all’udire della rotonda cifra che ricordava di un incubo forse d ivenuto realtà. «Sarai il primo esponente d i una nuova razza di acquirenti dal potenziale infinito MUAHAHAHHA in te abbiamo ritrovato la sciorda

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Ring#07 genetica di tutti i più degenerati utenti di videoludismo MUAHAHAHA sei il culmine della degenerazione consumistica tecnoludica MUAHAHAHA il link diretto fra il portafogli e i nostri conti svizzeri MUAHAHAHA.» Il Davide esterreppì ancor di più. Come potevano dire ciò? Cosa poteva essere vero? Lui… lui non era così!!! «Come potete dire ciò? Come può essere vero? Io… io non sono c osì!!!» «MUAHAHAHA non devi temere. Lascia che il destino si compia, che tutto fluisca. Il Grande Disegno sta per compiersi. Le pedine sono sul campo e l’ultima partita è iniziata. Durerà a lungo ma con te e i tuoi figli noi vinceremo. Non vedi come tutto s’incastra alla perfezione? I l 3DO, l’uscita di Zelda per CDI, la line up del Saturn, John Holmes, il fallimento di DreamCast, i 4Mega di VRAM di PS2, il Cubo che non è cubico e l’Xbox che non ha la proboscide!!! Mira, Numero Zero!! Tra poco l’online gaming serpeggerà nel mondo delle console e allora EAO (Electronic Arts Online) sarà un essere vivo e portentoso, nostro invincibile Sigfrido!» All’udire di un così infame trittongo, il duo zebedeico del Davide si sganciò lesto e, discendendo lungo il pantalone, prese il largo. Qualcuno racconta d’aver veduto Evaristo in quel di Foggia, ha aperto una pescheria. Di Ernesto più nulla s’è saputo, ma forse ha cambiato sesso ed ora è un Grande Labbro. «Questo è il Nido. Qui raccogliamo dati per la creazione del Cliente Perfetto. Qui pulsa ed espande N.E.R.D. il progetto per il Peggioramento della Razza Utente!!! MWAHAHAHAHA!» ed esplose una risata inmalignita, rispetto alle altre, dalla vu doppia. «NO! Io non sono così. Io non sono un pecorone, non sono un mass gamer, non acquisto all’Auchan, non copio i giochi e non compro Tomb Raider. Sono early adopter, sono hardore gamer, retrogioco, colleziono giochi (che non gioco mai), compro titoli che ho solo sentito nominare che però dicono che sono belli (e poi sono in giapponese e non ci capisco mai niente), scrivo alle riviste nella posta (che così sono fico), prendo i giochi appena usciti (e li faccio finire agli amici), spendo grosse cifre per prodotti (immondi), scrivo r ecensioni su siti (del piffero per farmi passare le promo), compro dodici riviste al mese (che dicono tutte assieme la metà delle cose che leggo un mese prima su Internet, cose che sono centoventi volte più di quelle che mi interesserebbe conoscere), non esco la domenica pomeriggio (e nemmeno il sabato sera) per finire Final Fantasy Ennesimo, compro le guide e rigioco al 100% e frequento i Forum (sono qualcuno solo on the net), comprerò il network adapter (e finalmente qualcuno mi conoscerà e rispetterà il mio nome). PS3 sarà una rivoluzione, Xbox 2 è un PC ultrapompato e Nintendo fa i giochi per beneficenza…» Esausto, ingobbito e perlato di sudore il Davide vide le labbra di Herr Gandhi arricciarsi in un ghigno sardonico, perfido. «Và… e moltiplicati.» [Outro] Spalancò gli occhi. Il Davide. Le ghiandole sudoripare avevano innaffiato il magliettone da notte, con stampigliato sopra il logo di FF8 (frutto di una special edition pagata una cifra inverosimile…). Con la mano setacciò le coperte e incontrò una natica dura e scolpita che subito attribuì al prestante Mimmo. Sentiva un respirare sommesso e quieto. Solo per poco si chiese cosa ci facesse l’atletico Mimmo fra lui e la moglie, ma l’inquietudine della visita morfeica era troppa per perdersi in quisquilie. Infilò le pattine che se no la Silvia gli rompe il culo e scivolò verso The Mighty Buco di Merda. Scostò la porta a soffietto e accese la luce. La scansia propendeva pericolosamente in avanti ma custodiva ancora un cumulo di piattaforme più o meno vecchie. Scaffali esponevano una selezione finissima dei migliori titoli di tutti i tempi. Per un attimo un dubbio atroce lo investì. Aperse un cassetto e ivi occhieggiò. Avrebbe mai potuto lui esser parte di un ipotetico N.E.R.D.? Certamente no, che sciocchezza. Come avrebbe potuto, lui. Lui che aveva fatto del VG la sua vita, che tutto s apeva di ogni titolo, casa, autore o editore. Come avrebbe, ad esempio, potuto tradire il sommo giochino del calcio per quella squallida imitazione tutta scena e niente sostanza di FIFA della EA? No, non avrebbe mai potuto. Guardò nel cassetto e sorrise tranquillo. Accanto all’edizione USA e JAP, a quella Limited, a quella da gioco, quella da multiplayer e il back-up, c’era l’ultima edizione incellophanata (per dovere di collezione) del supremo giuoco del calcio. This Is Football. [continua]

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