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Ragazzo plusdotato: Intelligenza è essere se stessi
gli alunni con DSA, il report del Miur dello scorso novembre conta a livello nazionale, nell’arco di 9 anni, dal 2010 al 2019, un aumento che va dallo 0,9% al 4,9%. La popolazione con DSA rappresenta, quindi, un trend in continua crescita ed è urgente interrogarci sulla qualità delle esperienze di questi ragazzi, delle loro relazioni e dell’apprendimento, ma anche sulle loro traiettorie di sviluppo. Nei servizi sociosanitari continuano ad aumentare le richieste di intervento – afferma la terapeuta – e nel corso degli ultimi anni i genitori arrivano ben documentati al servizio. In certi casi la diagnosi l’hanno già ipotizzata e attendono di avere conferma». Ma come si effettua una diagnosi di Dsa? «Bisogna tenere conto del profilo globale di sviluppo, oltre alle necessarie valutazioni effettuate mediante test e osservazioni cliniche. Sono riconosciuti a livello nazionale e internazionale – precisa Andrea Pagnacco, neuropsichiatra infantile dell’IdO – tutti gli strumenti testologici che si usano per definire un quadro clinico, che non può prescindere dai contesti di vita del bambino: il suo ambiente familiare, scolastico e in tutte le aree in cui è coinvolto». Quello che non bisogna mai dimenticare però, secondo Pagnacco, è che «al centro della proposta riabilitativa e terapeutica c’è il bambino. Un disordine, un disturbo o un deficit, in realtà, potrebbe avere un’evoluzione di cui non conosciamo del tutto la traiettoria e il percorso, se non in considerazione anche di quelli che sono i fattori protettivi e di vulnerabilità del bambino e del suo ambiente». Infatti i DSA l’IdO li tratta con un progetto riabilitativo e terapeutico di tipo integrato: «Da una parte teniamo conto del lavoro riabilitativo funzionale, principalmente logopedico –aggiunge Paola Vichi, psicoterapeuta e logopedista dell’IdO –che agisce sul processo di letto-scrittura e che sostiene il bambino nell’acquisizione di questo processo, ma non solo. Dall’altra parte, però, associamo sempre un lavoro di sostegno di tipo psicologico. Non possiamo prescindere dalla componente affettiva che a volte è fondante, sta nel disturbo e quindi nell’immaturità che questo bambino presenta nell’approcciare il processo. A volte, invece, è conseguenza della difficoltà che il bambino sperimenta a scuola e nel suo ambiente, ricorda la terapeuta. Per questo l’intervento non è rivolto solo al bambino, ma prevede anche il counseling ai genitori». Poi c’è il counseling con gli insegnanti: «Svolgiamo un grande lavoro con la scuola, in quanto i docenti hanno bisogno di molte indicazioni – precisa Vichi – e per noi è importante sapere com’è il bambino a scuola». A che età è possibile individuare un disturbo specifico dell’apprendimento? «In genere nel secondo quadrimestre della seconda elementare – risponde Vichi – e in questa fase il bambino viene agganciato nel momento in cui sta acquisendo il processo di letto-scrittura. Quando arriva, invece, con una diagnosi tardiva, già in quarta o quinta elementare, o addirittura al passaggio alle medie, subentrano altre difficoltà. Il bambino a quel punto ha già strutturato alcuni meccanismi, ha scelto il carattere di scrittura, spesso ha attivato anche sul piano psicologico dei rifiuti o delle inibizioni e tutto ciò rende più complessa la possibilità di agganciare la sua motivazione ad apprendere». Il consiglio di Paolo Segalla, neuropsichiatra dirigente medico presso la Aulss 17 della Regione Veneto, è di «privilegiare un modello di intervento aperto e multidimensionale. Tale approccio garantisce nella presa in carico un’attenzione all’integrazione delle competenze dei vari aspetti della personalità e può costituire un fattore di prevenzione primaria di quello che da molti viene indicato come il problema del futuro: i disturbi della personalità».
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In italia uno per classe. Da IdO kit a 700 scuole per individuazione precoce
«L’intelligenza è essere se stessi». Definisce così la sua plusdotazione un ragazzo gifted ed è su questo che l’Istituto di Ortofonologia (IdO) punta la sua attenzione: «Far capire che al di là del funzionamento, è importante che ogni individuo plusdotato si sintonizzi con se stesso e con tutto ciò che ruota intorno al suo Quoziente Intellettivo (QI)». Per Laura Sartori, psicoterapeuta dell’età evolutiva e coordinatrice del progetto Gifted dell’IdO, c’è ancora molto da fare nell’ambito della plusdotazione. La terapeuta lo ribadisce al convegno in diretta streaming, che celebra i 50 anni di attività dell’Istituto e totalizza 22.000 visualizzazioni nei primi tre giorni. Come il concetto di intelligenza, anche quello di plusdotazione è in continua ridefinizione, ma quando i gifted raccontano cosa sia per loro l’intelligenza, «riescono a farci capire la loro velocità, questo affollamento di pensieri divergenti o, potremmo dire, arborescenti. Hanno una capacità di processare le informazioni che genera tutta una serie di risposte, idee e associazioni alternative decisamente superiore a quelle prodotte da un soggetto con un QI nella media. Vivono in un mare di possibilità e di elementi creativi e originali – spiega la specialista – che a volte, però, può creare anche un affaticamento e una dispersione all’interno del loro divergere del pensiero». Verosimilmente, sottolinea il neuropsichiatra infantile dell’IdO Davide Trapolino, «la plusdotazione ospita in qualche modo il germe di un genio dentro quello del plusdotato. Ma il genio per definizione coglie ciò che gli altri non riescono a cogliere. Questo dono sembra essere bilanciato da un rischio costante di non aderire esattamente al cosiddetto senso comune. Quindi – precisa il neuropsichiatra – vedere le cose diversamente dall’altro non è soltanto un dono, può diventare una dannazione che amplia lo scarto tra me e la realtà, trasformandosi in una difficoltà di ordine relazionale». A livello epidemiologico i dati sono noti. Se si considerano i soggetti che hanno un QI maggiore o uguale a 130, si parla di circa il 2,5% della popolazione, mentre quelli che hanno un alto potenziale cognitivo con QI superiore a 120 sono circa il 5-6% della popolazione. Statisticamente si tratta di uno studente per classe. «L’individuazione precoce – aggiunge Sartori – è fondamenta-