Babele – anno 2021 – n. 3 (vol. 81)

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PENSARE ADOLESCENTE 45

Il valore di uno sguardo a scuola Riflessioni e racconti sul flusso comunicativo durante la pandemia CHIARA DEL VECCHIO, SILVIA D’ALESSANDRO psicologhe, psicoterapeute dell’età evolutiva, IdO (Istituto di Ortofonologia) – Roma

Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze (Calvino, 1988, p. 58).

Lavorare negli sportelli d’ascolto a scuola come terapeute dell’età evolutiva ci porta costantemente a ingrandire la lente sul tema dell’incontro, inteso come spazio fisico ed emotivo, fra noi stessi e con l’altro. Durante questo periodo pandemico ci siamo più volte trovate a riflettere su come l’uso della mascherina chirurgica abbia modificato il modo di comunicare, soprattutto all’interno della scuola. Tale lavoro nasce, quindi, per raccogliere le osservazioni e le considerazioni che ci hanno accompagnato fino a oggi negli sportelli d’ascolto delle scuole secondarie di primo grado, dove anche durante il periodo di emergenza sanitaria abbiamo continuato a lavorare in presenza. La prima parte che andremo a sviluppare sarà dedicata a una riflessione sul singolo, ossia il caso di una ragazza preadolescente con mutismo selettivo, mentre la seconda parte sarà dedicata all’esperienza svolta con il collettivo, o meglio con il gruppo classe di una scuola di Roma. MONIA E IL SUONO DEL SUO SILENZIO Durante questo anno e mezzo di pandemia, le osservazioni, le riflessioni e i pensieri sulle nuove realtà comunicative con cui ci siamo trovati a confrontare sono state molteplici e differenti. Hanno cambiato forma nel tempo e nei luoghi e tuttora sono in divenire. La stessa scuola ha avuto o dovuto modificare continuamente gli stili, metodi comunicativi richiedendo a volte molti sforzi e sacrifici da parte del personale coinvolto. Il nostro spazio nelle scuole è chiamato sportello d’ascolto, uno spazio quindi dove la parola d’ordine è «ascoltare». Già solo questa parola racchiude il senso profondo del nostro lavoro come psicologi scolastici e poi come psicoterapeuti dell’età evolutiva. Ma pensandoci bene, una delle prime cose che ci vengono insegnate nella nostra formazione come psi-

coterapeuti è «osservare»: guardare in silenzio per percepire luoghi, persone, movimenti, suoni dai primissimi mesi di vita. L’ascolto a 360° è un ascolto non solo percepito dalle nostre orecchie, ma dagli occhi, dal nostro corpo e dalla pelle. Un ascolto viscerale profondo che con il tempo e l’esperienza diviene sempre più emotivo e affettivo. Soprattutto quando ci si trova a osservare i bambini piccoli spesso il silenzio fa da cornice, non solo il nostro in qualità di osservatori, ma anche quello dell’altro presente davanti a noi. In questi anni mi è capitato più volte di confrontarmi sul tema del silenzio e su quanto spesso sia difficile da mantenere e anche da tollerare da chi ascolta. È stato arricchente scoprire quanto poi negli anni il mio vissuto rispetto a questo tema sia cambiato in base all’esperienza professionale, ma anche rispetto alle esperienze di vita personale. Il silenzio assume un significato differente in base alle persone, all’età, ai luoghi, al setting, al periodo di vita. Il silenzio serve a capire, ad ascoltare, a parlare, a scrivere e serve a pensare, a sognare, a immaginare. Joseph Antoine Toussaint Dinouart, nel suo libro pubblicato a Parigi nel 1771 con il titolo L’art de se taire, principalement en matière de religion, tradotto come L’arte di tacere definisce il silenzio come un’essenza, un’arte paradossale della parola. Secondo l’autore non basta tenere la bocca chiusa per tacere. Il silenzio dell’uomo non è il mutismo dell’animale, perché il suo silenzio è espressione: l’uomo parla la lingua del volto. Sembrerebbe quasi un elogio della mimica. Inoltre, uno degli aspetti probabilmente più profondi del silenzio è il suo suono. Sembra paradossale, ma il silenzio che può essere vissuto come un «vuoto» è pregno, invece, di suoni. Ascoltare il silenzio per noi psicoterapeuti è una condizione essenziale: è la dimensione della scoperta, dell’attesa, della tolleranza, della speranza. È il momento in cui si osserva dentro di noi, si elabora un pensiero, in cui si coglie un’intuizione, si esplora il vuoto, si entra in profondità e in contatto con l’inconscio (se si vuole). Il silenzio è una scelta in alcune situazioni, è una presa di posizione, ma può essere anche una gabbia, una trappola dalla quale non si riesce a uscire. Mi trovo a esprimere queste riflessioni sul silenzio, perché l’anno passato, in una scuola dove collaboro, ho avuto modo


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