“Io ti invito...”magazine
San Calò Rivista online dell’Associazione culturale di fotografia e cinematografia “Io ti invito...”
“Io ti invito...”magazine “Io ti invito...” nasce a Milazzo nel 2011. E’ un’associazione culturale di fotografi non professionisti. Ha lo scopo di promuovere l’arte e la cultura fotografica. Vuole fare incontrare le persone che amano la bellezza e credono nella magia della luce, quelle che vogliono esprimersi, raccontare o trasmettere emozioni con le immagini. Crede nella forza e nella gioia che lo stare insieme può dare e che anche i fotografi, per loro natura “lupi solitari”, possano trarre reciproco vantaggio dall’associarsi e dal mettere in comune le conoscenze di ognuno, praticando il confronto nella cordialità e nel rispetto reciproco.
“Io ti invito magazine” nasce per sottrarre le buone foto alla bulimia dei socialnetworks che le fagocitano senza posa, nasce dal desiderio di sottrarre le buone foto agli sguardi fugaci e distratti ed offrirle in una veste dignitosa a chi invece vuole guardarle.
“Io ti invito...” ha realizzato numerose esposizioni collettive su temi ambientali e sociali. Ha prodotto mostre personali di esordienti e di grandi fotografi. Si è spesa in eventi fotografici di rilievo sociale ed umanitario, anche in collaborazione con altre associazioni. Ha realizzato numerosi corsi di fotografia rivolti ai soci ed al pubblico. Ha indetto conferenze ed incontri con maestri della fotografia. Utilizzando i social-network pratica un incontro-confronto quotidiano. Partecipa organicamente agli eventi delle estati milazzesi, adoperandosi per la promozione turistica, con mostre e conferenze all’interno della prestigiosa cornice del castello di Milazzo. Ha donato gratuitamente al comune le foto realizzate dai soci consentendo di realizzare l’unica brochure fotografica della città.
“Io ti invito magazine” è:
Il logo che ci rappresenta spiega bene cosa vogliamo essere: “L’invito...” rivolto verso il nuovo e verso tutti; “gli occhi di Milazzo” che diventano due obiettivi con i quali vogliamo vedere ciò che ci circonda, in un modo diverso, come diverse sono le molteplici individualità che compongono l’insieme; “una bocca sorridente”, aggiunta al simbolo cittadino, che rappresenta lo stato d’animo che ci contraddistingue e l’insieme che si legge come un viso infantile, perchè dell’infanzia non vogliamo perdere la curiosità, la capacità di stupirsi ed il desiderio di conoscere e voler crescere, umanamente e culturalmente.
una rivista ed anche una mostra che si può visitare sempre e dovunque, uno strumento per comunicare e farsi conoscere, un’ occasione di confronto e di crescita, uno stimolo ai soci di “Io ti invito...” a concepire dei progetti, a realizzare dei lavori organici e di qualità.
Un invito rivolto a tutti i fotografi che vogliono condividere lo spirito della nostra associazione e quindi anche questa galleria virtuale.
Buona luce Carmelo Rampello, presidente di “Io ti invito...”
“Io ti invito...”magazine “Io ti invito...” was born in Milazzo in 2011. It is a cultural association of non-professional photographers, to promote art and photographic culture, so that people who love beauty and believe in the magic of light, can meet, people who want to express themselves, to tell or pass on emotion with images. It believes in the power and the joy of staying together and that photographers, usually lonely wolves, can derive common benefits by meeting together and sharing their experience in a cordial and respectful atmosphere. “Io ti invito...” has carried out many collective exhibitions on environmental and social themes. It has produced personal exhibitions of both beginners and well-known photographers. It has dedicated itself towards photographic events of social and human importance, also with the collaboration of other associations. “Io ti invito...”has organized various courses in photography open to members and to the public. It has organized conferences and meetings with expert photographers. ”Io ti invito...” keeps in touch thanks to social-networks. It takes part organically in the summer events in Milazzo, promoting tourism with exhibitions and conferences inside the magnificent Castle of Milazzo. “Io ti invito...” donated the photos taken by the members to the town administration thus allowing the realization of the only photographical brochure of Milazzo. The logo that represents us explains perfectly what we want to be: “An invitation...” to what’s new and an invitation to everyone. “The eyes of Milazzo” become two lenses through which we wish to see everything that surrounds us, each one of us in a different way; these numerous diversities in their own way form a group; “a smiling face”, added to the symbol of the city, representing us, shown as a child’s face, because we don’t want to lose the curiosity of children, the ability to be astonished and the desire to know and to grow, humanely and culturally.
“Io ti invito Magazine”: was created to avoid good quality photos being gobbled up by social-networks. it was created by the desire to remove good photos from the fleeting and distracted glances and to present them in a dignified way to those who just want to look at them.
“Io ti invito Magazine” is: a magazine and also an exhibition to visit anytime and anywhere; a tool to communicate and to make oneself known; a chance of comparison and grouth; a stimulus to the members of “Io ti invito...” to devise projects, to realize organic and quality works.
An invitation made to all photographerswho want to share the spirit of our association and also this virtual gallery.
Buona luce Carmelo Rampello, Mr.president of “Io ti invito...” 2
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Collettiva
Index:
Antonello Alagna
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Barbara Caldarone 33 Carmelo Rampello
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Andrea Amendolia
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Monica Spanò
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cover Antonello Alagna
© Copyright Tutti i diritti riservati. Tutto il materiale pubblicato in “Io ti invito...”magazine è di titolarità esclusiva degli autori, ne è pertanto vietata l’utilizzazione totale o parziale, la riproduzione, la rielaborazione, l’adattamento, la diffusione, se non al solo scopo promozionale ed informativo, in qualsiasi modo o forma, senza previa autorizzazione scritta da parte del suo proprietario.
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SAN CALÒ 7
La
foto persa
Nel Giugno di quest’anno, Tano Siracusa viene a farmi visita e trascorre alcuni giorni a Milazzo. Lo invito a tenere una conferenza nella quale propone ai soci di “Io ti invito…” le sue più recenti visioni sulla fotografia e le contaminazioni con musica e video: “Fotografia in movimento”. Una sera a casa mia i ragazzi lo ascoltano affascinati raccontare di San Calò. Barbara, Monica, Andrea ed Antonello si mostrano entusiasti dell’invito che Tano ci rivolge per raggiungerlo ad Agrigento a fotografare insieme il prossimo San Calò. Si presenta una prospettiva molto allettante: un grande fotografo, un intellettuale e fine conoscitore della travagliata storia della singolare manifestazione, che si propone nelle vesti del Virgilio che ci guiderà attraverso una tra le più insolite ed intriganti processioni siciliane. Non si poteva non accettare il cordiale invito. Arriviamo a casa di Tano, il sabato pomeriggio, districandoci con difficoltà ed imbarazzo tra vicoli medievali del centro storico inadatto alle auto ma ad esse irrimediabilmente immolato. Vivere oggi nel centro storico di Agrigento non è per tutti. E’ una cosa da extracomunitari o da agrigentini che non si son potuti permettere di fuggire verso l’orrida nuova città che cresce disordinatamente ovunque. Ma se scegli di viverci è per amore. Per amore delle proprie radici e della storia che trasuda da ogni pietra e forse per la visione di una fantascientifica civiltà a misura d’uomo. Dedichiamo la vigilia della festa ad un giro turistico della città e delle vie, che la Domenica saranno attraversate dal Santo e Tano ci indica i luoghi giusti, quelli dove ci saranno le soste e si svolgeranno gli eventi più interessanti. Andrea non era nel gruppo e raggiungerà Tano la Domenica seguente per la chiusura della festa. In Via Atenea recupero la mia “foto persa” guardando sopra di me il balcone dello studio di mio padre. Eravamo in tanti a guardare la processione di San Calò dal balcone dello studio di Via Porcello che si affaccia su Via Atenea. Io aggrappato alle gambe di mio padre, sovrastato dagli adulti, guardavo tra le sbarre della ringhiera il fiume di persone che scorreva sotto di noi. Mia madre commossa, come ad ogni evento religioso, mormorava preghiere ed al passaggio del santo, con il capo coperto, si segnava, mentre i parenti spettegolavano indicando questo o quel conoscente che sfilava sotto di noi.Questa è la scena di un mio ricordo d’infanzia che sarebbe certamente rimasto nel cestino dei ricordi smarriti, un file che non avrei mai più riaperto. Una “foto persa”. Solo il giorno seguente però, mi rendo conto che i miei occhi infantili di allora non avrebbero potuto comprendere. La Domenica, alla processione faceva caldo e la mia attrezzatura fotografica troppo pesante, ma la luce era intensa e quel colore mi metteva euforia e mi
inondava del giallo riflesso dalle pareti degli edifici in tufo. Davanti alla chiesa di San Calò c’è una piazza che si trova sotto il livello della strada. Una grande folla la invadeva circondando i “tammurinara di Girgenti” e disposta a semicerchio anche sul margine superiore della piazza, mi toglieva la vista di ciò che accadeva sul sagrato. Solo il rullo potente dei tamburi saliva dalla piazza giungendo amplificato dall’anfiteatro. Sentivo il ritmo sensuale delle percussioni che mi pervadeva. La folla si è aperta e la processione ha avuto inizio. I tammurinara precedevano i portatori che numerosi sorreggevano il baldacchino con in cima la statua lignea che raffigura un uomo nero come l’ebano con un libro in mano. Solo l’aureola suggeriva una relazione con la religione cattolica. Non ho visto croci. Alla processione non c’erano preti , suore, chierici o altri membri del clero. Non si udivano canti religiosi o preghiere. Non c’erano rappresentanti delle istituzioni o fasce tricolori. Forse sono state anche le percussioni dal ritmo tribale che mi hanno estraniato ed indotto a leggere ciò che vedevo come se fossi stato un antropologo che assiste al rito di un’altra cultura. Uomini forti e bruschi nei modi gestivano il flusso di gente che si accalcava per salire in cima a baciare il volto della statua e regolarmente detergevano il legno dal sudore dei devoti. Ho visto neonati, terrorizzati ed in lacrime, passare per una catena di mani estranee ed issati contro il volto del Santo perchè lo baciassero. Assistevo ad un rito taumaturgico incentrato su una statua trattata come fosse un uomo in carne ed ossa e capace di guarire malattie,di proteggere dalle avversità a patto che si stabilisse con essa un contatto fisico. Un pensiero corroborato anche dalla insolita familiarità dei modi con cui i devoti si approssimavano e si relazionavano con il Santo. Non ho visto tra gli astanti quei segni o atteggiamenti di deferenza che ci si aspetta in una manifestazione religiosa. E poi, non metaforici petali di fiori ma pane vero, lanciato dalle finestre sulla folla e dai devoti raccolto e mangiato. Tutto convergeva a darmi la percezione di un rito eccezionale e molto diverso da qualunque altra processione avessi mai visto prima. Un punto di vista certamente laico il mio, mitigato solo da quel ricordo ritrovato in cui mia madre, al passaggio del Santo, pregava. Da questa magnifica esperienza è nato questo racconto fotografico collettivo che offre una stimolante visione plurale. Attraverso gli occhi di cinque fotografi è possibile vedere ciò che ognuno ha visto e voluto mostrare di uno stesso evento. Solo testimonianze per immagini e forse parziali verità che come tessere vanno a comporre un mosaico anch’esso nient’ altro che un simulacro del vero.
Last June Tano Siracusa came to visit me and spent a few days in Milazzo. I invited him to hold a conference in which he proposed his most recent visions about photography and the contaminations with music and video, “Photography on the move” ,to the members of “Io ti invito…”. One evening at my house we were enchanted listening to his story about SanCalò. Barbara, Monica, Andrea e Antonello were enthusiastic after Tano invited us to go to Agrigento to take photos of the next SanCalò. This was a very tempting perspective: a well-known photographer, an intellectual and refined connoisseur of the troubled story of the singular manifestation that is offered in the guise of Virgil who would guide us through one of the most unusual and intriguing Sicilian processions. We couldn’t help accepting this warm invitation. We arrived at Tano’s house on Saturday afternoon, after having driven with great difficulty, extricating through the medieval lanes of the old town unfit for cars but hopelessly sacrificed to that. Living today in the old center of Agrigento is something very unusual because mostly immigrants or people from Agrigento who couldn’t afford to flee towards the awful new town that has grown untidily everywhere, live there today. But if you choose to live there it is for no other reason than love. Love for one’s roots and for the history that seeps from every stone and maybe even for the vision of a fantastic civilization fit for humans. We spent the eve of the feast on a sightseeing tour of the town and of the streets where the Saint will pass from on Sunday and Tano showed us the places where the Saint will stop for a little while and where the most interesting events will take place. Andrea wasn’t in the group. He would reach Tano the following Sunday for the conclusion of the feast. In via Atenea I recovered my “lost photo”, looking up at the balcony of my father’s surgery. We used to watch the procession of SanCalò from the balcony of the surgery in via Porcello that overlooks via Atenea. I used to cling to my father’s legs, with lots of adults around me, looking, through the bars of the railing, at the stream of people strolling beneath us. As always during religious events, my mother deeply moved, recited prayers with her head covered and, as the Saint passed, crossed herself, while relatives gossiped indicating this or that acquaintance who was passing in the street below. This is a scene of my childhood memory that would have certainly remained in the basket of lost memories, a file I wouldn’t ever have opened again.A “lost photo”. However only the following day I realized that my childish eyes at that time couldn’t have understood. On Sunday, during the procession it was hot and my photographic equipment was too heavy, but the light was intense and the colour made
me feel euphoric and I was flooded by the yellow colour reflected by the stone buildings. In front of the Church of SanCalò there is a square which is below the level of the road. There was a big crowd surrounding the “tammurinara di Girgenti”(the drum players from Agrigento), arranged in a semicircle on the upper margin of the square, prevented me from seeing what was happening in the church square. Only the mighty roll of the drums was coming up from the square, arriving amplified from the amphitheatre. I felt the sensual rhythm of the percussion pervading me. The crowd then opened and the procession began. The “tammurinara” preceded the many persons who were carrying the canopy with a wooden statue, representing a man as black as ebony with a book in his hand, on top of it. Only the aureole suggested that it had something to do with the Catholic religion. I didn’t see any crucifixes. During the procession there were no priests, nuns, clerics or other members of the clergy. No chants or prayers could be heard. Neither were there any representatives of institutions or tricolour flags. The drums with their tribal rhythm seemed to have induced me to consider what I was watching as if I were an anthropologist looking at the rites of another culture. Strong men brusquely managed the flow of people who huddled to reach the top and kiss the face of the statue while regularly cleaning the wood from the sweat of the devotees. I saw infants, terrorized and in tears, being passed through a chain of strange hands and hoisted to the face of the Saint to kiss him. I was watching a thaumaturgical rite centred on a statue treated like a man in flesh and blood and able to heal diseases, to protect from adversities, on condition that a physical contact was established with it. This thought was strengthened by the unusual familiarity of the way the devotees came near and related with the Saint. Among these persons I didn’t see those signs or attitudes of deference expected in a religious event. Not even metaphorical petals of flowers but real bread thrown from the windows on the crowd and picked up and eaten by the devotees. Everything converged to give me the perception of an exceptional rite, very different from any other procession I had ever seen before. My point of view is certainly that of a layman , softened only by the memory of my mother praying as the Saint was passing by. This collective photographical story is the result of this wonderful experience; it provides a stimulating plural vision. Through the eyes of five photographers it is possible to see what each of them has seen and what he wanted to show others of the same event. As a sort of story through images and maybe partial truths in segments which join together to form a mosaic which in itself is also nothing more than a semblance of reality.
Carmelo Rampello
The Lost Photo
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Tano Siracusa
Intervista
SAN CALÒ 9
Le prime due Domeniche di Luglio, ogni anno, ad Agrigento ricorre la processione di San Calò, santo nero d’iconografia bizantina le cui origini e pratiche di culto sono state variamente trattate da storici e artisti. “Ho cominciato a seguire la festa per caso, nei primi anni ‘80”, afferma il fotografo Gaetano Siracusa, poggiando la tazzina di caffè sul tavolino e predisponendosi al racconto, con parole lente e precise che sembrano tutte necessarie all’equilibrio della storia narrata. “Prima avevo l’atteggiamento tipico del ceto borghese, che evita di partecipare a questo contenitore teologico, musicale e culturale; la reazione è quella dell’estraneità di chi guarda l’evento da dietro le persiane, oscillante tra l’ironia distaccata e un malcelato spavento.” Incuriosita, chiedo quale possa essere l’elemento di timore insito nella popolazione, andando con la mente alle tante processioni che sfilano in ogni paese. La risposta è spiazzante, destinata ad alimentare l’interesse: “Hanno paura della carnevalata, intesa come rovesciamento delle consuetudini sociali e aggressività tollerata per un giorno. I contadini del quartiere arabo del Rabato, cresciuti fuori dalle mura, sono stati fino al dopoguerra il soggetto sociale della festa, successivamente sostituiti da un generico popolo. La prima Domenica, alla fine della messa, la folla che ha accalcato la piazza irrompe nella chiesa espugnandola, accompagnata dal ritmo mediterraneo dei tamburi (la “Diana”). All’ingresso di questa massa, determinata ad appropriarsi del Santo, le autorità religiose
e civili spariscono, per poi tornare la sera”. Sembra una vera e propria liberazione di un prigioniero, riconosciuto come autorità superiore ma al contempo sentito come un fratello, con un misto di devozione e familiarità. L’impressione è confermata dal fotoreporter agrigentino, e il racconto si fa più suggestivo e romantico. Noto che in nessun momento viene nominata la statua, simbolo razionale di un’osservazione più distaccata; per tutta la chiacchierata sarà invece nominato il Santo, riflettendo una visione che oltrepassa il materiale e fornisce la pienezza di una reale vicinanza al protagonista della festa. “Quando esce dalla chiesa, viene assaltato dal popolo che lo abbraccia, lo bacia sulle labbra e gli deterge il sudore dal volto per poi portarlo in giro per le strade, seguendo un percorso a tappe che attraversa la sola città medievale da est a ovest; alla fine della processione, intorno alle 20.00, le autorità lo riprendono, non si sente più suonare lo “Zingarello” dalla banda e i tamburi tacciono. Il Santo viene fatto rientrare in chiesa e uscirà di nuovo la Domenica successiva, per poi aspettare un altro anno. Mi viene sempre in mente, a tal proposito, l’immagine di S. Calò che, per un anno, sogna la luce e la folla che lo accompagneranno per due giorni”. Durante il tragitto la statua è accompagnata da una moltitudine varia, caotica e festante, idolatrante e a volte aggressiva, che non lascia spazio ai tentativi di imbrigliarne il fervore. Ecco spiegata la diffidenza che colpisce parte della città, esclusa da questo rito collettivo che scardina per un giorno l’ordine sociale contrapponendogli riti propri dal sapore arcaico, di
quando la religione era vissuta in maniera personale “adattandola” a una comunanza diversa, nella quale l’amore verso il Santo si unisce alla prossimità sociale ed umana. “San Calò è avvertito come una minaccia, che le autorità sono costrette a subire in maniera differente. Alcuni sindaci hanno partecipato e altri no, ma la Chiesa ha sempre mantenuto una guerra permanente, cercando di arginare la manifestazione e provando di tutto per osteggiare la pratica della festa: si pensi alla diffusione delle litanie con gli altoparlanti per disturbare la musica dello Zingarello e della Diana, o alla soppressione del lancio del pane, rito secondo il quale durante la processione venivano scagliati a terra pezzi di pane. Il gesto è stato letto nei secoli alla luce di diverse interpretazioni, dal pasto mistico del Settimio Biondi alla raffigurazione della lapidazione ai danni del capro espiatorio del Giandomenico Vivacqua, secondo il quale l’estraneità di un Santo nero riproduce il rituale del sacrificio per risolvere un conflitto all’interno della comunità; Quello che si riproduce, con il lancio del pane e la scalata al santo, è il bisogno popolare di assistere ad un miracolo, attività munifica che i cittadini attribuiscono di buon grado a San Calò che celebrano addobbando la sagrestia di ex voto a testimoniare la grazia ricevuta. Secondo me il vizio degli esponenti della Chiesa sta nel non riconoscere nella festa e nelle sue consuetudini una vera espressione religiosa legata al Santo, perché sembra riemerge il terrore per l’eresia in quanto espressione di un modo diverso di vivere la fede”. Torna qui il concetto di carnevalata, quale contenitore di partecipazione, violenza e sensualità. Questa dimensione sospesa tra materialismo ed elevazione religiosa è confermata da Carmelo Rampello che, attenendosi fin’ora ad un rispettoso silenzio tradito solo dal rumore del flash con il quale immortala l’intervista, interviene raccontando la sua esperienza: “Quando io e alcuni soci di Io ti invito… siamo stati ad Agrigento per vivere in prima persona la processione, siamo rimasti colpiti dal trattamento riservato ai bambini piccoli che, spogliati fino a rimanere con il solo pannolone e una crestina, abbandonano le braccia dei genitori e vengono fatti passare di mano in mano, fino a quando non arrivano in prossimità del Santo e vengono issati per ricevere la benedizione. La scena è di grande impatto per la violenza dei pianti disperati che scuotono gli infanti, trovatisi all’improvviso in mezzo alla confusione di voci e corpi sconosciuti che li circondano, ma anche questo viene ricondotto nell’ambito della festa perché la paura provata è ritenuta simile all’effetto collaterale di una medicina”. La lontananza di questa ricorrenza dalla casistica delle altre processioni, sviluppata come comunanza terrena con un Santo che si avvicina
all’uomo in una visione meno spirituale e più concretamente familiare, ha quindi creato una dicotomia tra due autorità, quella ufficiale che guarda con sospetto e quella del popolo “sovvertitore”. È sul fragile filo della coesistenza che si gioca ogni anno la delicatissima partita narratami, sulla quale agiscono concessioni e divieti non assoluti. Tano Siracusa riprende la parola citando un evento che ha dimostrato come gli equilibri siano precari, rendendo ancora più evidente la valenza sociale della quale è investito il Santo nero. “Fin dagli anni Novanta la presenza degli immigrati è divenuta percettibile e così il collegamento tra loro e il Santo, che diviene immagine speculare di questa realtà. Caso emblematico è quello del 2004, anno in cui una nave umanitaria tedesca che recuperava in mare uomini e donne in fuga dai loro paesi aveva imbarcato 300 naufraghi ma, per mancanza di autorizzazione, erano stati costretti a rimanere per una settimana al largo di Porto Empedocle. La prima Domenica di Luglio, provati dall’esperienza, i passeggeri della nave avevano deciso di attraccare illegalmente, e da qui si alimenta un improbabile incrociarsi di coincidenze significative. Proprio quell’anno, infatti, una delibera comunale vietava di “scalare” San Calò a seguito della rottura di una mano e la piazza antistante alla chiesa era stata svuotata; alla seconda stazione una donna era riuscita a rompere il blocco, ma la vera svolta è avvenuta a Porta di Ponte, quando uno dei leader del comitato di San Calò chiese al Sindaco di effettuare la scalata, provocando così imitazioni collettive in seguito alle quali il Santo venne riportato in chiesa.” Appare evidente il parallelismo tra le due realtà, separate da pochi chilometri: ci sono delle persone di colore in carne ed ossa che vogliono entrare nonostante fosse fatto loro divieto, e ne pagheranno le conseguenze (verranno infatti trasferiti in Ghana, nonostante non fosse il loro Stato di provenienza), mentre al Santo è impedito il contatto con i fedeli e con le strade che ogni anno lo accolgono. La sensazione di comunanza con la folla degli immigrati prende poi forza se si fa riferimento ad un’omelia pronunciata nel 2006 dal Vescovo Don Franco Montenegro, secondo il quale, se nel V secolo fossero state attuate le leggi oggi vigenti San Calò, non sarebbe potuto entrare. “ La conversazione si è conclusa, affidando alla vaghezza allusiva delle descrizioni ancora non effettuate il fascino di una manifestazione il cui disperato vitalismo può essere colto solo partecipando alla giornata, sentendo sulla pelle l’afa di luglio accentuata dalla pressione della calca ed immergendosi nella parte antica di Agrigento. 10
Francesca De Gaetano
Interview
Tano Siracusa 11
The procession of St.Calò takes place each year in Agrigento on the first two Sundays of August. St.Calò is the black Saint in the Byzantine iconography whose origins and cult have often been of great interest to historians and artists alike. Gaetano Siracusa, a well-known photographer, was putting down his coffee cup on the table and started explaining, ”My interest in this feast happened by chance in the early 1980s”. He continued speaking slowly and in a precise manner so as to create the necessary atmosphere for his story. “At first I used to consider it as many belonging to the middle class usually do, those who don’t usually take part in the theological, musical and cultural affairs. You know, like a person watching from behind shutters with mixed feelings of irony and instinctive mistrust”. I felt curious and asked him how a procession , similar to so many that take place in every town and vilage could instil such feelings. His answer was surprising and naturally it increased my curiousity. “They are afraid of the Carnival-like atmosphere, so different from the social customs, being so strongly felt that they find it difficult to tolerate for a day. The peasants living in the Arab quarter of Rabato, outside the city walls, have been the social subjects of the feast until the (19)40s. After that the crowd came from all parts.On the first Sunday, after Mass, the people waiting outside, take the church by storm, accompanied by the Mediterranean beating of drum (called the “Diana”). As soon as this crowd enters the Church, determined to take possession of their Saint, the religious and civil authorities simply disappear, to return in the evening”. It is something similar to a prisoner being freed, a prisoner who is considered as a superior being, but at the same time, as a brother, with a mixture of awe and familiarity. Even the photographer from Agrigento confirms this thus creating an aura of romanticism around the story. Surprisingly, the statue is always familiarly called the Saint, as though the people want to create an empathy with the main character of the feast. “ As soon as the Saint is carried out of the Church, the people rush to embrace him, kss his lips and wipe his face. He is taken out into the streets, following the route in stages passing only through the medieval city from east to west. At the end of the procession, around 8p.m., the Saint is reclaimed by the authorities and the band playing the Zingarello (little gypsy) and the drums are now in silent. The
Saint is now taken into the Church from where he’ll be taken out on the following Sunday. After that, another year has to pass. This always makes me think of St.Calò who patiently has to wait for a whole year to see the lights and the crowds that festively accompany him for two days”. During the procession there is a mixed multitude of devotees, some chaotic and festive, others are idolaters and at time aggressive, and it is impossible to even try to calm them down. This explains why part of the citizens are doubtful and mistrustful, as they feel excluded from the celebrations dating back to years before when religion was considered as something personal by which love for the Saint was part of human and social life. Now it was considered by these citizens only as something that created havoc to their daily life, their routine. “Many consider St.Calò as a sort of threat which the authorities have to endure in different ways. Some mayors take part in the celebrations, while others don’t, but the Church has always showed a sort of constant antagonism. It has always tried to limit and create problems for the public feast. Just imagine that the Church uses landspeakers reciting litanies to disturb the music from the Zingarello and the Diana. There is also another tradition involving the throwing of pieces of bread on the ground and which the Church has vainly tried to suppress. This has had various interpretations through the ages; some connect it to the “pasto mistico” (mystical meal) by Settimio Biondi, and others to the representation of the “lapidazione del capro espiatorio” (stoning of the scapegoat) by Giandomenico Vivacqua. According to this, the unfamiliarity of a black Saint represents the ritual of the sacrifice to end any conflict within the community. By the throwing of the bread and the rush to reach the Saint, the people seem to expect a miracle and this is all attributed to St.Calò. Thus they celebrate it by decorating the sacresty with “ex-voto” as a testimony of graces received.I think that the Church leaders are wrong to refuse the celebrations and the traditions as a very warm religious feeling towards the Saint and they shouldn’t fear it as an act of heresy but only as a different way of being religious”. Here we return to the Carnival atmosphere for the participation, violence and primitive sensuality. This is a dimension existing somewhere between materialism and religious exhaltation. Carmelo Rampello confirms this when he explains how he had always kept a respectful silence interrupted only by the flashes coming fom his camera.
This is his experience. “When I was in Agrigento with some members of our association”Io ti invito...”, to watch the procession, we were greatly impressed by the way little infants were treated. Their clothes were taken off and with only a nappy and a headband on, each child was taken away from its parents and passed from one person to another until they were lifted up in front of the Saint to be blessed. This scene was of great impact because of the desperate crying of these infants who found themselves in the midst of this confusion of strange voices and persons around them. Even this is part of the celebration because the terror experienced by these babies is considered similar to the side effects of a medicine”. The difference between this procession and other normal ones is the way in which it is developed, to create an earthly closeness with a Saint who goes towards men in a vision which is less spiritual and more familiar. It has created a dichotomy between two authorities, the official mistrustful one and the agitators,the people.So every year this delicate controversy takes place with the two sides co-existing and with various concessions and prohibitions which are never really definite. Tano Siracusa continues by talking about an event that showed how delicate the situation is, thus pointing out the social importance given to the black Saint. “During the1990s there was an increase of immigrants and by their connection to the Saint we have a perfect example of this reality. In 2004 a German Human Aid ship saved many men and women (about 300 immigrants) who had escaped from their countries. Unfortunately they weren’t permitted to land, and so they remained outside the port in Porto Empedocle for a week. On the first Sunday in July, the exhausted passengers decided to reach the port illegally. Some coincidences occurred during the feast of St.Calò. That year a civic decision was taken to forbid the people from getting near St.Calò, because one of his hands had been broken. So the Church Square had been closed, but at the second stage of the procession a woman managed to break through. What created havoc later at Porta di Ponte was when one of the Saint’s committee leaders asked the Mayor for permission to reach the Saint. This led to a general confusion because of others wanting to do the same and so the Saint was quickly taken back into the Church. There is a sort of parallelism between the two events, distant only a few chilometres from each other. There are black human beings who want to enter without permission, facing the conseguences (infact they will be sent to Ghana even though it wasn’t their country of
origin) while the Saint was forbidden to have any contact with his people and with the streets where he was awaited every year. A sermon pronounced in 2006 by Bishop Franco Montenegro explains why we find that the two events have a lot in comon. He said that if today’s laws had existed in the 5th century, St.Calò wouldn’t have been able to enter our country”. Our conversation has come to an end. We hope that our description of this fascinating celebration will obtain the desired effect of making our readers wish to take part in this procession, nobly enduring the heat in July amidst the crowd while joyfully entering the ancient part of Agrigento. Francesca De Gaetano
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Antonello Alagna
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Autori Biografia 101
Antonello Alagna
Barbara Caldarone
Inizio a vedere la “Luce” il 23 novembre del 1977, a Barcellona P.G. (ME), ma ancora ero incapace di fissarla in un fotogramma. In famiglia ho sempre respirato un pò di fotografia, grazie a mio padre, grande appassionato, che con costanza nei tempi ci ha donato il ricordo della nostra infanzia. Il vero e proprio colpo di fulmine inizia nel ‘99, amore fino ad oggi fedele e ricco di soddisfazioni. Intraprendo gli studi a Roma, presso lo I.E.D, frequentando un Master triennale in “Fotografia ed Arti Visive”. Lavoro per diversi anni presso l’agenzia “Lightshape” di Francesco Escalar, per me un maestro di Luce e grande ritrattista. Partecipo a diverse mostre personali e collettive in Italia e diverse fotografie hanno avuto la “fortuna” ed il piacere di essere state pubblicate su magazine, quotidiani ed annuali “Ente teatrale Italiano” . Continuo ancora oggi a mettere a frutto gli insegnamenti di chi mi ha dato tanto, ma soprattutto mi ha donato la capacità di guardare anche con l’occhio del cuore e passo dopo passo cerco ancora di comprenderlo a fondo. Per me la fotografia è questo “Sentire”, cercando di trasmetterlo a chi abbia voglia di nutrirsene.
Nasco il 10 giugno 1981, a Berna (CH), ma mi trasferisco in tenerissima età in Sicilia. Da sempre curiosa verso questo “giocattolino del nonno”, chiamato macchina fotografica, inizio a sperimentare ed innamorarmi del “click”, mi innamoro contemporaneamente del colore e della possibilità di “creare” con le mani tutto ciò che la mia mente propone. La percezione di questo cammino mistico, intriso di luce, incisione, bianco|nero, colore, mi porta a seguire percorsi artistici, passando dal Liceo Artistico, all’Accademia di Belle Arti, in un inseguimento dell’arte assiduo, arte in tutte le sue forme, ma sempre cercando contatto con una nuova “luce”... Tra una tela, un negativo ed una “lampadina rossa” ho la fortuna di approfondire la mia conoscenza della fotografia, sperimentando in camera oscura. Ne diviene uno studio profondo teorico | pratico, che mi induce a fare esperienza presso un laboratorio di fotografia, come assistente fotografo e come photo-retoucher, occupandomi di post-produzione e stampa, analogica e digitale. Mi affermo nel settore grafico conseguendo la specializzazione di qualifica professionale di “Grafico visualizer” e il Master di “Assistente Art Director” nel 2010, a Roma. Durante i miei studi ho la possibilità di essere attiva sul campo artisticamente e graficamente, partecipando a concorsi, collettive fotografiche, pittoriche e performance artistiche. Rientrata in terra Sicula, continuo a nutrirmi di “luce”, incisa e materica.
Carmelo Rampello Nasco ad Agrigento nel ‘62. Fotoamatore sin dall’adolescenza, inizio con la Woiklander di papà, poi acquisto una Yascica 6X6 e mi cimento con la camera oscura. Proseguo con delle Canon reflex che poi lascio ibernare per anni mentre mi laureo in veterinaria. Oggi vivo a Milazzo dove mi prendo cura degli animali da compagnia. Il passaggio dall’analogico al digitale avviene con la Nikon D90 alla quale è succeduta la Nicon D800. Nel 2011, nella sonnolenta Milazzo, la magia della fotografia si fa improvvisamente artefice di inusitati eventi: grazie alla rediviva passione per questa magnifica forma espressiva e grazie ad un uso virtuoso di Facebook, ho incontrato splendide persone ed insieme a loro ho fondato un un’associazione culturale di fotografia, denominata “Io ti invito...” di cui sono il presidente.
Andrea Amendolia
Monica Spanò
Sono nato a Milazzo 29 anni fa, dove vivo. Mi sono avvicinato alla fotografia da pochi anni, in maniera autodidatta. Grazie all’Associazione “Io ti Invito...” ho potuto conoscere meglio questo mondo tanto intrigante, quanto ormai usurato dall’uso smodato di apparecchi elettronici. Ho partecipato ad alcune mostre collettive e ad una personale su di un mio viaggio in Marocco, che ho denominato “Passaggi”. Credo che la fotografia sia un grande strumento di comunicazione, quindi importante e da utilizzare intelligentemente. Per me la fotografia è divertimento, scoperta, conoscenza; è saper guardare, ascoltare; è una forma di piacere. In questo momento il mio percorso mi ha portato a scoprire le origini di questa “arte”. Giro con una macchina a pellicola e credo sia il modo migliore per poter capire l’essenza di questo gioco. Così da poter, da un lato migliorare l’attenzione e la tecnica, dall’altro non sciupare con milioni di scatti ciò che osservo.
Appassionata da sempre da tutto ciò che è forma ed espressione d’arte.. La fotografia? Questa sconosciuta... La pensavo così fin ad un paio d’anni fa quando ho incontrato, ad una loro collettiva, i fotografi di “Io ti invito...” L’entusiasmo e la voglia di crescer artisticamente divertendosi anche, mi ha trasmesso qualcosa che, con la preparazione tecnica che sto acquisendo, somiglia già ad una nuova passione.
art direction
Carmelo Rampello
| progettazione grafica Barbara Caldarone
assistente direzione artistica
Antonello Alagna
traduzione testi redattrice
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Monica Spanò
Francesca De Gaetano
redazione
presidente associazione
contributi
andrea amendolia antonello alagna barbara caldarone carmelo rampello monica spanò
un particolare ringraziamento a gaetano siracusa
“Io ti invito...”magazine
fotomilazzo@gmail.com http://www.iotiinvito.it “Io ti invito”|Facebook
sezione collettiva
Rivista online dell’Associazione culturale di fotografia e cinematografia “Io ti invito...”