La Camera Chiara 4/2014

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bimonthly newsletter

la CAMERA

CHIARA

4/2014


* Beatrice Polivalente

ritorno...al futuro

Questo del rientro dopo le vacanze (ferie, riposino o comunque pausa estiva) è sicuramente un momento di profonda riflessione (18%? eh eh). Uno tira le fila di quello che ha fatto o potuto fare e si trova nel più profondo marasma: “..oddio, ora si ricomincia. Vuoi vedere che la prima o la seconda volta che ci incontriamo il tema sarà LE MIE VACANZE o al meglio LA MIA ESTATE e io non ho fatto quasi niente (o devo ancora scaricare la scheda, o devo ancora guardarle, o da quello che ho visto non me ne garba una ecc ecc)? E mi tocca trovare qualcosa da portare sennò passo proprio da bignellone/a o asociale/a(?)...”. E meno male che a Siena c’è il Palio e uno in qualche modo qualche scatto lo fa, quando porta la macchinetta a prendere un pò d’aria. Ma il limite di andare a giro con l’amata di turno è proprio lì, nella “foto di strada” che ha sempre meno probabilità di farci incontrare...il quadrifoglio (come l’Amica Beatrice “Polivalente”*...e non solo,eh eh. E i tanto scomodati “progetti” da anni a prendere polvere nei cassetti, hard disk o nella testa, che fine hanno fatto? Ehhh, il tempo. Non basta mai. Ma ora, nelle lunghe e piovose giornate d’inverno....NO. Non ci siamo amici cari. Questo è uno dei tanti postumi della amica foto digitale tanto ”facile” da scattare ma tanto antipatica da riguardare, scegliere, lavorare. “È il digitale, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!” direbbe Humphrey con il suo sorriso beffardo.E allora? Una volta tanto permettetemi una MIA citazione, dal Mitico Cofanetto 2014 CFG: Sembrerebbe una situazione senza speranza.” Le foto sopprimono la nostra coscienza critica, per farci dimenticare la stupida assurdità del funzionamento (delle macchine Ndr)…Bisogna rompere questo cerchio”**. Quale soluzione, allora, per ri-dare un senso alle nostre immagini? Per riappropriarsi della propria “libertà” espressiva e quindi artistica? Il Progetto. Il Soggetto. Fuggire dal clichet della “bella foto” (tutte le macchine fanno belle foto, ormai) per una cosa che le macchinette non potranno mai avere. Il Cuore. La Mente. L’ANIMA. Ecco l’ingrediente vincente del CFG e dei suoi Alfieri (AFI e Co.): foto con l’Anima. Alle loro Immagini, nessuna macchinetta, colore o b&n potranno mettere dei limiti. E allora, Signora, suvvia…. La prego, NON PIANGA. **V. Flusser “Per una filosofia della fotografia” – B. Mondadori


Q COME CULTURA

di fotografi e sciamani

Robert and Shana ParkeHarrison. Cloudburst, 1998

di Alessandro Pagni

Soffermandosi un momento sul mondo post apocalittico creato da Robert & Shana ParkeHarrison, non si può fare a meno di isolare alcuni denominatori comuni, che costituiscono la cifra stilistica dei loro progetti fotografici.....


Minor White, Windowsill Daydreaming, Rochester, 1958

Soffermandosi un momento sul mondo post apocalittico creato da Robert & Shana ParkeHarrison, non si può fare a meno di isolare alcuni denominatori comuni, che costituiscono la cifra stilistica dei loro progetti fotografici. Prima di tutto uno sguardo attento e partecipe, nei confronti di una natura in stato di prognosi riservata; una mise-en-scène di situazioni apertamente metaforiche, dove un personaggio anonimo, quasi commovente per la sua ostinazione, si adopera senza trovare pace, per tradurre in soluzioni concrete, seppur bizzarre, le richieste d’aiuto lanciate dalla “madre terra”; infine la presenza ricorrente nelle immagini, di strampalati apparecchi meccanici, utilizzati per comprendere e “curare” i mali del pianeta. Ho sempre attribuito a quel piccolo personaggio eroico, la spiritualità di una sorta di “uomo medicina”, capace di far coesistere nel medesimo luogo, due


concetti straordinariamente distanti fra loro come lo sciamanesimo e la fotografia. Da quel momento ho tentato di scoprire, nel mondo dei fotografi, chi avesse questo strano tipo di attitudine. «L’arte degli stregoni in realtà non è quella di scegliere, ma di essere abbastanza acuti per accettare », questo insegna il messicano Don Juan Matos, sciamano di etnia Yaqui, che ha reso Carlos Castaneda, un autore di culto, per tutte quelle anime alla ricerca di un percorso di vita alternativo e una risposta diversa alla cruciale domanda sulla direzione del nostro cammino. Mi piace pensare che la frase di Castaneda o il concetto che racchiude, sia stata un faro per molti fotografi che hanno scelto questo specifico medium, per ragioni per lo più distanti dalle logiche che lo hanno sempre accompagnato. L’arte (nel senso di mestiere, di capacità) di fotografare è per antonomasia l’arte di “scegliere”, ritagliare nel frame una porzione di mondo, per portarla all’attenzione di tutti e creare tramite essa, nuovi significati. Ma “scegliere” è solo una delle azioni cruciali del fare fotografia. Esistono alcuni fotografi che hanno la capacità di accordarsi con quello che li circonda, come se fossero in grado di captare messaggi a frequenze impossibili per l’orecchio umano. Alcuni di loro sembrano parlare la stessa lingua che parla la vita pulsante intorno e si limitano a registrare, come un dato di fatto, le lezioni impartite dalla natura e dal tempo. Il loro approccio, il loro sentire, mi ricorda l’empatia profonda con gli elementi, che hanno gli sciamani. A questo proposito un’opera rivelatrice che consiglio caldamente, è il volume di Dario Coletti, “Il fotografo e lo sciamano: dialoghi da un metro all’infinito , che racchiude, fra pagine di squisiti aneddoti e ricordi dell’autore, alcune piccole perle di saggezza, pregnanti come un mantra. Una di queste è certamente la seguente: «Quando si assume questo ruolo, ci si comincia a muovere in un universo di archetipi. figure di sintesi che scaturiscono

da dimensioni insondabili. L’Universo infinito è contenuto nella mente di ognuno ed è formato dalla stessa materia di cui noi tutti siamo composti. Bisogna farsi Sciamano. Usare i suoi strumenti. Lanciare dadi di ossa di animali e attraverso la loro combinazione, prevedere. In questo gioco è il caso che dispone tracce e indizi, e chi documenta deve saper cogliere il giusto tempo in cui la combinazione forma significati, traccia responsi ». Queste parole mi riportano al fotografo che più di tutti ha incarnato il senso della spiritualità in fotografia, Minor White: un modo di guardare al mondo con un’apertura di testa e di cuore sconfinati, la capacità di suggerire rivelazioni e segreti anche nelle cose più piccole, nei dettagli apparentemente più banali. In un’intreccio di rami secchi, nella luce che balla sulla parete ogni volta che il vento fa oscillare la tenda, in una formazione geologica che assume le musicali movenze di un quadro astratto, nell’intonaco sbollato di un muro troppo umido, si può trovare il segreto della vita, la mappa per sbrogliare quell’informe matassa chiamata ‘senso’. E sulla scia di Minor White altri “allievi” (consapevoli o meno) hanno “accetato” il mondo, indagandolo fisicamente: usando la fotocamera come un registratore fedele, si sono immersi (o hanno fatto immergere i loro soggetti) nelle cose, non con l’intento di possederle, ma con un desiderio di fusione, con il proposito di diventare le cose stesse. Chi con un approccio carnale, come Bill Brandt (coetaneo di Minor White), che usava corpi di donna in pose distorte, accentuate da lenti grandangolari, per trasformarle in monoliti inquietanti ma al tempo stesso vuoluttuosi, come antichi feticci di dee pagane. Chi, come Arno Rafael Minkkinen, imbastendo un gioco camaleontico di piccole metamorfosi, dove il corpo dei soggetti rappresentati, simulava elementi naturali coerenti con il paesaggio che li ospitava nello scatto. Infine chi, con sguardo vergine e un’anima libera da


Bill Brandt, Nude, East Sussex Coast, 1953


Ascolto: Pink Moon (Nick Drake) 1- C. Castaneda, Tensegrità, Milano, BUR, 2004. 2- D. Coletti, Il fotografo e lo sciamano: dialoghi da un metro all’infinito, Postcart, 2013. 3- D. Coletti, Il fotofrafo e lo sciamano, p.49. 4- D. Coletti, Il fotofrafo e lo sciamano, p.49.

Arno Rafael Minkkinen, Fosters Pond, 1993 Francesca Woodman, Providence, Rhode Island, 1975

previsualizzazioni e preconcetti, ha cercato disperatamente, fino al tragico epilogo, di annullarsi all’interno degli ambienti, di sparire per sempre fra le pieghe del tempo, come ha fatto Francesca Woodman. A lei probabilmente, queste parole di Dario Coletti, sarebbero piaciute particolarmente: «Per un fotografo raccogliere tracce consiste nell’isolare i segni e trovare una chiave di lettura che ne sveli i significati più reconditi ». Francesca Woodman non era solo una grande setacciatrice di segni, sapeva anche fabbricarne di nuovi, di inediti, potenzialmente infiniti. Bloccare il flusso del tempo, fermare il mondo, congelarlo un millesimo di secondo per studiarlo non da scienziato, per decifrarne un messaggio nel caos della natura, uno schema. Queste, a mio avviso, sono le capacità di certi rari fotografi: portare alla nostra attenzione una verità che non si vede, che non è la verità a cui tanto ci appelliamo nel motivare la nostra passione per la fotografia, niente di rassicurante e oggettivo, piuttosto una verità personale, che parla solo a chi sa vedere, come se scattando quella foto, il fotografo avesse posto una domanda ad un oracolo e il bagno chimico o la decodificazione telematica avessero dato il responso.


Mondi (fotografici) a confronto di Costanza Maremmi


CINEMA & FOTOGRAFIA alla Bottega il 10 ottobre 2014

Riparte la stagione della Bottega dell’Immagine, e con essa anche l’appuntamento con le proiezioni di film e documentari, incentrati sul tema della fotografia. Nei prossimi incontri vorrei proporre una serie di documentari che Sky Arte ha dedicato a fotografi italiani contemporanei: alcuni nomi risulteranno noti al grande pubblico, altri meno e sarà interessante scoprirne le peculiarità, raccontate con uno stile registico che cerca di costruirgli attorno un’ambientazione e un immaginario visivo coerente con i loro scatti. I primi due autori che vorrei mettere a confronto provengono dal mondo della moda e del glamour e sono, per certi versi, due facce radicalmente opposte della stessa medaglia: Giovanni Gastel e Lady Tarin. Mettere in dialogo un binomio come questo, non nasce solo dal desiderio di confrontare due esponenti del medesimo genere fotografico, ma più profondamente di analizzarne


CINEMA & FOTOGRAFIA

il loro approccio e il loro sguardo, nei confronti della figura femminile. Da un lato troviamo Gastel, raffinato, nobile di estrazione e di attitudine, che guarda, seppur con tatto e gusto, il mondo femminile come può guardarlo irrimediabilmente un uomo. Dall’altro Lady Tarin, che si muove con disinvoltura nell’underground milanese, cercando, in particolare nei suoi lavori di nudo, non modelle di mestiere, ma donne autentiche che per qualche ragione sono riuscite a colpirla e vuole evidenziarne un’istintività e una spontaneità che è propria esclusivamente di uno sguardo partecipe, quello di una donna che guardando un’altra donna, come dice Tarin durante l’intervista, si riconosce e entrambe escono rafforzate da questa esperienza. Dove Gastel lima dettagli e


pose, scattando in digitale, curando luci e ambientazione, Tarin al contrario scatta in pellicola o polaroid, cerca una materialità fisica e forse anche mentale, prende i suoi soggetti e gioca con il contesto, le pone non su un piedistallo luccicante, ma dove si trovano più a loro agio, dove possono esprimere in maniera più compiuta la loro sensualità senza orpelli. Quindi vi aspettiamo alla Bottega, augurandoci che la visione di questi documentari faccia nascere un dibattito costruttivo sull’argomento. Costanza MAREMMI


INDOVINA CHI VIENE?

Augusto Mattioli, Fotografo con la penna. L’accordo era per uno spaghetto di lavoro. Chez moi. Per uno spuntino da “scapoli”: Fichi bardati con crudo del Pratomagno. Crostini con fegatini. E uno Spaghetto per compattare il tutto, bagnato da un generoso Chianti Rufina. Augusto si presenta alle 13 esatte. Puntualità da cronista. Mangiamo e parliamo. Per prima cosa… autodefinizione: “…sono un vecchio fotografo, operante nel settore giornalistico (quasi da verbale NdR) che ha sempre creduto che un articolo, corredato da una foto, la meglio possibile, fosse il mezzo più ampio, definitivo e completo di

informazione...” (Accidenti, ci si potrebbe fermare qui! NdR) E…il tuo modus operandi? Mah, forse scattare “il giusto”. Non sempre le sequenze a mitraglia di oggi risolvono il problema. Sì, meglio prevedere. Anticipare. Anche per un certo ritardo “fisiologico” che io avverto con le digitali (?). Non mi chiedete perché. Ma con una sequenza a mitraglia mi sento escluso dal controllo del soggetto. Anche se oggi questa tecnica ormai “televisiva” impera. (che abbia letto V. Flusser? NdR).

conversazione di Pico de Paperis con l’Autore

Ph: Luca Lozzi

l’informazione con le figure incontro con Augusto “Pinguino” MATTIOLI


Ma sai, avevo appena 13-14 anni e una macchinetta, una Kondoretta Ferrania. E un mio zio, il “famoso” maestro Grandi, mi faceva sempre tanti complimenti per le inquadrature delle mie foto. Dote innata, forse. Questo è sempre stato il mio “fisso”: puoi avere anche uno scatto non perfetto per tante ragioni, micromosso o leggermente fuori fuoco (specie “prima”), ma il momento, il soggetto e l’inquadratura prevalgono sulla “tecnica”. A proposito di “prima”…. Sì, la mia prima macchina è stata la corazzatissima Canon FTb comprata dal Colombini che mi suggerì un 50 f 1,4 che ormai mostra tutti i suoi anni… Figurati che durante i cazzotti fra Chiocciola e Tartuca prese una botta e l’ammaccatura è sempre lì. Oh, menomale, ora ci siamo. Palio e cazzotti. Te sei famoso per questo… Certo, figurati che qualche volta, tipo botte tra Nicchio e Montone degli ’80, la questura mi cercò e mi chiese i negativi della rissa (che erano in un posto sicuro). Io portai alcune

Allenamenti tanburini Istrice

Amo “vedere” la mia immagine e cerco di non perdere il senso dell’inquadratura. Difficile da controllare a 8 fotogrammi al secondo... Ecco, bravo, l’inquadratura. Te hai sempre sostenuto che è fondamentale


Nicchio-Montone caduta montone casato

dia e loro si contentarono poco (e, pensieroso) ...ma sai, prima si poteva fare “più cose” perché tranne la corsa e il corteo quasi nessuno faceva foto di Palio. Si fotografava dappertutto. Anche nell’entrone mentre facevano la visita. Oggi sigillano anche le finestre. Neppure ai giornalisti…. La mostra Memorabilia del Bruco, per questo, è stata una pietra miliare di confronto. Oggi hanno blindato il Palio. Troppe regole. Troppa burocrazia. Paura. Ma di che? Ad esempio quest’anno alla 3° prova di luglio quando è successo il casino al canape hanno censurato la sequenza televisiva… che senso ha? Migliaia di scatti con telefonini, macchine GPS, ecc. avevano già inondato il mondo. Ma dove vivono? Anche il “Consorzio per la Tutela… Non mi sembri troppo ottimista Ma come si fa? Dai. Questa è diventata la città della paura. E questa è la ragione per cui ho cominciato a “uscire” da Siena. Kossovo, Libano, Palestina, India, Sarajevo, Bosnia, Burkina Faso. Come giornalista e fotografo. Ma anche e più come persona. Vedi situazioni, persone, bambini. Ci parli. Ti arricchisci e intanto ti rendi conto che il mondo non è il Comune, il Siena, la Mensana, il Monte, la Fondazione. Confrontandoti con situazioni ed esperienze diverse ti rendi


auschvitz

1987 lippi

1999 sarajevo basket


mens sana - caserta

conto “ancora di più” di come appena 10 anni fa si pensava di essere l’ombelico del mondo, mentre ora invece siamo…slittati all’…uscita dell’intestino. Va beh, parliamo di tenica, vai. Mai stato un maniaco, ma…? Come tutti “al tempo” io sviluppavo e stampavo il B.N. da me. In un box in cantina. L’acqua non c’era e ce la dovevo portare. La mia scuola? Il Colombini. Poi Luca Buccianti con l’esperienza del “So hito sodo” (numero unico dell’Istrice del luglio ’75 NdR). Qualche dritta da Elia Passerini. E poi Gigi Lusini, anche allora una miniera inesauribile di tecnica. Ma quando gli chiedevo le cose le sue risposte invece di chiarirmi, mi complicavano la vita. Ci dovevo riflettere a casa con calma…. Però con Gigi poi ho fatto anche una mostra, “Mode&Modi”, alla Festa dell’Unità sulle “Bande giovanili a Siena”. Un successo totale. In una settimana mostra distrutta. Dalle suddette Bande. Audience alle stelle. Comunque, con qualche casino e molte soddisfazioni, io ho


1976 occupazione & Gigi Lusini

mens sana - armani

Cana - ragazza libanese

INDOVINA CHI VIENE?

Augusto MATTIOLI


1976 tartuca - chiocciola

sempre tenuto tutto. Negativi B.N. belli e brutti. Dia e negativi colore. Non si sa mai…(e qui, lo vedi, si fa prendere dai ricordi)

fotografare, per umanità…

Anche se qualche volta, ricordo, con Italo Calvino o Adolfo Celi, colpiti da malore, a due passi da loro, ho scelto di non

Mah, sai, gioie e dolori, diciamo. La “nostalgia” rimane. Ma il digitale è molto più comodo con tutti gli ISO

Ritornando alla tecnica…vai. Il passaggio al digitale?

a disposizione. Certo le dia avevano più forza e il B.N. dal colore del digitale. “…ci devo ancora riflettere bene…”. Certo tutto è più facile. Anche se, sai, l’immagine è una cosa che resta. Deve restare. Io le mie foto di prima le riconosco tutte. Ora, nel computer, nei


ago 2014 corsa

...Paura. Ma di che? Ad esempio quest’anno alla 3° prova di luglio quando è successo il casino al canape hanno censurato la sequenza televisiva… che senso ha? Migliaia di scatti con telefonini, macchine GPS, ecc. avevano già inondato il mondo. Ma dove vivono? .......

dischi fissi, le riconosco meno. (ha letto anche SCIANNA? NdR) Le foto sono come le tante, troppe notizie che arrivano da tutte le parti…”tante notizie, nessuna notizia”, anche uno scoop, scritto o fotografato, si estingue veloce, carsicamente sopravanzato da altri. Una foto anche “eccezionale” viene subito superata e…dimenticata. Tutto ormai effimero e banalizzato. Ora, a settembre, ritorno in Libano. A ottobre, quando vengo a trovarvi, se ne riparla. E noi ti aspettiamo, Augusto Mattioli. Professore per tante generazioni. Pinguino per gli Amici più…datati. Ma sicuramente per TUTTI un grande tassello della Fotografia Senese.


1-fotografare come scrivere con la luce (?) SCOMODIAMO ROLAND BARTHES?

I DUE ELEMENTI BASE PER LA DEFINIZIONE DI UNA IMMAGINE SONO: LA SIMPATIA, L’”INTERESSE UMANO”, L”AFFETTO MEDIO” E LA “CULTURA SULL’ARGOMENTO” LO STUDIUM L’ELEMENTO CHE SCANDISCE LO STUDIUM, “...la conoscenza della grammatica è fondamentale per potersi esprimere...”

Efrem RAIMONDI Lectio Magistralis 13° Portfolio dell’Ariosto Castelnuovo di Garfagnana Venerdì 31 luglio 2014

IL PARTICOLARE DI UNA FOTOGRAFIA, “QUELLA FATALITA’ CHE IN ESSA MI PUNGE” IL PUNCTUM


DIMMICOMEPARLI

alla ricerca del pinctum perduto

E’ “universale” che in una lingua piu’ parole si conoscono e piu’ abbiamo la possibilita’ dicombinarle insieme in modo che abbiano un significato che va oltre il singolo valore. Nasce così il linguaggio che è la maniera personale, tribale ecc per esprimersi in “quella” lingua Nota: uso del grandangolo in un periodo e contesto che ancora non lo considerava o ammetteva per la sua “novità” ed eccessiva distorsione della realtà (1975)

GUARDARE PER VEDERE La prima consapevolezza da acquisire, parlando di fotografia, è quella che il mondo di un’immagine non è lo stesso che vediamo direttamente. La mediazione che lo strumento tecnico (macchina, obbiettivo, sistema esposimetrico) opera, influenza le nostre azioni in misura determinante. Se si concorda su questo principio avremo sempre più bisogno


zoommata in ripresa per esaltare la dinamicità del soggetto (mossa del Palio 1986)

di conoscere con maggiore precisione quale sia la distanza che intercorre, in termini qualitativi, tra la realtà e la sua rappresentazione e questa conoscenza non può che essere conquistata unendo tecnica a sperimentazione. Se l’immagine, come la parola, è divenuta una forma di trascrizione ed interpretazione, guardare (come leggere) è un’abilità che deve essere coltivata ed esercitata costantemente se si vuole giungere all’emancipazione dalla posizione di ricezione passiva in cui l’organizzazione e la distribuzione dell’immagine tende a relegarci. E l’analisi dell’immagine presuppone, come quella dello scritto, non la semplice catalogazione dei singoli segni, ma la comprensione dei rapporti esistenti tra di loro, dell’importanza della regia operata dal fotografo al fine di trasmettere un messaggio intenzionale. Conoscere alcune delle tecniche di produzione della

immagine equivale, di fatto, a capovolgere la logica del rapporto che lo spettatore instaura con esse. È quindi l’inizio di un modo diverso di rapportarsi con l’universo della comunicazione visiva. Si potrebbe dire che oggi rappresenta più di una necessità. Una tecnologia sempre più avanzata, in grado di semplificare tutti gli aspetti operativi rendendoli esteriormente accessibili a chiunque, ha dato l’illusione a tutti di saper


DIMMICOMEPARLI

alla ricerca del pinctum perduto

teleobbiettivo luminoso, iso “digitali“ (3200) su D3S, tempo di scatto “sicuro” (1/1250°) autofocus “dinamico” inseguimento 3D a 51punti (2013)

fotografare (questo anche approfittando del fatto che viviamo sempre più in un contesto di superficialità e pressappochismo). Ma si tratta di un’illusione, appunto, e non si una capacità reale. La gestione tecnica di uno strumento, infatti, non coincide necessariamente con la possibilità di qualificarne la produzione. In altre parole: anche una matita è uno strumento di semplice utilizzo, ma con una matita si può fare uno scarabocchio, si può scrivere un appunto, una relazione scientifica, un sintetico riassunto, una poesia e così via. Lo stesso accade se si usa una macchina fotografica. Anche se



DIMMICOMEPARLI

alla ricerca del pinctum perduto

Se sorprende che la stessa cosa avvenga per l’immagine è perché scarabocchiamo ancora e non ce ne accorgiamo

a volte è più difficile rendersene conto perché, bene o male, basta premere un pulsante di scatto e quasi sempre ci viene restituita una immagine la cui complessità e suggestione ci fa sentire sempre autori orgogliosi anche se a volte la fotografia eseguita è molto simile più ad uno scarabocchio che a una poesia. Imparare a fotografare presuppone sia l’acquisizione di abilità tecniche che progettuali. Le abilità tecniche coincidono con la conoscenza degli strumenti, dei materiali e dei processi fotografici. Qualsia sia il genere fotografico. Una conoscenza che, approfondendosi, consente di perfezionare l’aderenza tra progetto e risultato e che spesso stimola di per sé esperienze creative ed espressive. Le abilità progettuali, di gran lunga le più trascurate, sono quelle che derivano dall’esercizio non passivo delle capacità visive. Per questo per svilupparsi hanno bisogno, di norma, di essere applicate coscientemente ed in forma analitica. Non sorprende, del resto, che per imparare a scrivere sia necessario un addestramento specifico attraverso il quale si acquisiscono le regole della corretta esposizione e si applicano, perfezionando progressivamente l’integrazione tra forma e contenuto. Se sorprende che la stessa cosa avvenga per l’immagine è perché scarabocchiamo ancora e non ce ne accorgiamo (segue)


Alessandro. Dal nord...e non solo di Gigi Lusini

Quando lo vedi “sembra” una persona quieta. Ma poi, dal suo sguardo, deduci molte più cose. E diverse. Uno sguardo acuto, curioso, e una forza, non solo fisica, che sicuramente si trasmette in tutte le cose che fa. Se poi lo vai a “trovare” su FB, ti accorgi che è uno che...non si fa mancare niente. In tutti i sensi. E tutto questo, come potrebbe non riflettersi nelle immagini che produce? Queste foto che Alessandro ci ha gentilissimamente “prestato” parlano da sole su come lui viva e veda il mondo. Una maniera meno superficiale per conoscersi meglio....


NONSOLOFACEBOOK

foto di Alessandro BOCCINI

“Andare a cercare l’Islanda su una cartina geografica è come cercare un bruscolo in un vaso pieno di sassi. Poi quando ti ci ritrovi però, capisci che ad essere piccolo e inerme sei tu. Ti mancano i riferimenti a cui sei abituato, ti perdi nei paesaggi privi di orizzonte e nei silenzi dei ghiacci. Non passa giorno che la terra non frema o sbuffi vapore, non passa giorno che l’oceano non si infranga su spiagge nere fra roccia e lava, non passa giorno che il ghiaccio non scricchioli in lagune gelate. Solo in posti come questo ti puoi rendere veramente conto che la Terra vive e non c’è momento in cui non si trasformi. L’Islanda è unica perché ti avvolge e ti costringe a fare i conti con le tue emozioni.” A.B.


SPUNTI PER RIFLESSIONI

Michele Smargiassi e...il diritto di Autore

da Fotocrazia - Blog - Repubblica.it 01/09/14 16:50 http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2014/09/01/siamo-tutti-macachi/ Pagina 2 di 5 Michele Smargiassi 1 settembre 2014 alle 15:53 @Il Nuovo Cassetto condiviso nella pagina FB de La Bottega dell’Immagine

Con quella bocca, può dire ciò che vuole (Carosello Chlorodont, anni Sessanta). Ma quanto mi diverte questa storia del macaco ladro e fotografo, ladro per amore della fotografia… Chi legge Fotocrazia sa quanto siamo appassionati di animali fotografi, in particolare primati… Una storia che sembra dar ragione a quella battuta di Henri Cartier-Bresson che citiamo anche troppo spesso: “Chiunque può scattare fotografie. Sull’Herald Tribune ho visto quelle di una scimmia che si destreggiava con una Polaroid, con la stessa abilità di molti proprietari di quella macchina”. Ve la riassumo in pillole. In Indonesia, tre anni fa, il fotografo naturalista britannico David J. Slater si fa incautamente rubacchiare la fotocamera da un macaco crestato, e riesce a recuperarla non prima che il


simpaticone peloso abbia sia scattato una raffica di foto, tra le quali alcuni selfie non disprezzabili. Molto divertito, e chi non lo sarebbe, Slater carica le foto (“alcune sono un po’ sfocate, ma si capisce, questo il macaco non lo ha ancora imparato”), sistema un po’ quelle migliori, le ritaglia e le raddrizza, poi le pubblica online. E diventano, ovviamente, virali. Ma qui comincia il guaio. Wikimedia Commons pubblica l’immagine. Slater chiede di rimuoverla in nome del (suo) diritto d’autore. Wikipedia rifiuta, affermando che non è lui l’autore. Ovviamente non si spinge a sostenere che il titolare del copyright sia il macaco: ma afferma che la fotografia, essendo stata scattata da un animale non titolare di diritti, è di dominio pubblico. Ultima puntata, di pochi giorni fa: dopo un costoso processo un tribunale americano ha dato ragione a Wikimedia. Le foto, devono aver soppesato i giudici, sono frutto dell’iniziativa di un animale, e quindi non hanno un autore umano che ne possa rivendicare i diritti. Uno spasso. Spiace per l’ottimo Slater, ma temo che tutto il mondo facesse il tifo per il macaco. Chi non sarebbe conquistato da un sorriso così… Eppure Slater ha alcune buone ragioni. E non tanto per quella norma, accolta da molte giurisprudenze, per la quale il proprietario di una fotografia è necessariamente il proprietario della fotocamera che l’ha scattata. Io non sono sicuro che sia così (ricordate la discussione qui in Fotocrazia sulle foto scattate da Berengo Gardin per fare un favore a turisti ignari di chi fosse?). Per affermarlo, come fa notare il sempre eccellente André Gunthert, bisogna considerare la fotografia come un bene materiale e non come un’opera dell’ingegno. Può valere per le foto-ricordo, per le foto private, personali, ma un professionistadell’immagine accetterebbe di rinunciare all’autorialità in cambio della mera proprietà? No, io credo che Slater possa avanzare qualche pretesa proprio come autore di quelle foto: ma soltanto in quanto co-autore. Ha provato a rivendicare in tribunale (inutilmente) la sua piena autorialità: avevo impostato io i programmi di sca to, ho poi scelto io le poche foto da pubblicare fra le tante insignificanti, le ho modificate io (riquadrate, raddrizzate), non il macaco. Ed è vero. Ma questo tipo di rivendicazione è a doppio taglio, almeno per i fotografi orgogliosi che pensano di essere gli unici autori delle proprie immagini. Se il solo fatto di selezionare, modificare e correggere una fotografia qualifica come autore chi lo fa, allora sono co-autori di un servizio fotografico a pieno diritto anche i tecnici di postproduzione, di camera oscura, i photoeditor, i grafici impaginatori. Per inciso, è precisamente quello che io penso. Siamo tutti macachi


CERINI DI TECNICA

La Luce che non si vede ovvero: il Flash, se lo conosci, lo usi a cura di CHENZ 2 ph: PdP

Chi non sapeva bene come funziona la sincronizzazione e non l’ha capito ancora, beh, forse meglio si iscriva ad un corso di giardinaggio dall’ottimo “Agro-Fantini”. Tutti gli altri hanno una facile alternativa: passare avanti, far fare tutto alla macchinetta magari giustificando il fatto con l’universale “... a me le foto piacciono naturali.(???!?) Il Flash rovina tutto. Non mi piace...” o “sorbirsi” una paginetta FONDAMENTALE. E non scherzo. Una volta capito come funziona la luce del “lampo” sarà un giochetto da ragazzi/e usarla in maniera creativa (leggi utile e servizievole). Infatti

P. Picasso - (periodi)


ci starebbe proprio male. Poche cose, sapete. Come? Cos’è il sistemino zonale? Ah, be questa è la pagina dell’intervallo...passate avanti. Qualcuno è rimasto? Bene vediamo un pò di essere succinti. Va bene così?

maggiore del fenomeno. Si scomodava la Legge dell’Inverso del Quadrato che recitava:”l’intensità della luce su una superficie è inversamente proporzionale al quadrati della distanza fra la sorgente di luce e la superficie.” Cosa dite? Passate ai Selfie? No, no, dai scherzavo. PRIMA queste cose servivano davvero, che ci crediate o no. Ma non secoli fa. Magari appena 15 anni orsono. E a qualche vecchio soldato che è rimasto in trincea senza sapere che la guerra è finita da anni, magari servono sempre. Ma ora ci sono i sistemi integrati. I lampi a sistema. Guidati e dosati dalla macchinetta. (?) Filling Flash si chiamano. Sarebbe come a dire Lampo di riempimento, farcitura, insomma di compensazione, vai. Ma se ci affidiamo, al solito, alla nostra macchinetta “intelligentissima” (vero Valentina?) non sempre ne saremo soddisfatti.

Eh eh. No no, siamo seri. Cerco di sdrammatizzare ma l’argomento è davvero breve. Ora tutto quello che dirò, non mille anni fa, quando il lampo, usato con superficialità e/o imperizia, molto spesso bruciava il primo piano e affogava lo sfondo in una melma grigiastra, presupponeva una conoscenza

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se si andasse ad analizzare la luce in mille fotografie, troveremmo che nella maggioranza un aiutino di lampo (ormai non ci metto nemmeno più le virgolette, ok?) non ci sarebbe stato male. Questo sempre e solo parlando di Fotografia a livello didattico, è chiaro. Non fate i furbi. Perché poi la Fotografia vera è un’altra cosa. Ma dovendo fare i pittori astratto-cubisti, pensate che sia bene saper ANCHE dipingere, oppure? (vedi pillole di Picasso in calce). Ecco, fermo restando che ognuno può applicare, o non applicare, certe regole di illuminazione e certamente dosate dalla personale sensibilità, trattandosi di attrezzature tecniche di precisione, io penso che una ri-letturina della Sistemino Zonale in chiave “compensativa”, non


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Che ne sa realmente lei, poveretta, pur così intelligente, di cosa stiamo fotografando? (beh, per ora, perchè tra poco...ad. es con Smile detection: Utilizzare la tecnologia Smile Shutter™ per fotografare un viso solo quando sorride. La fotocamera rileva fino a cinque volti e ne seleziona uno per il rilevamento sorriso e la messa a fuoco automatica. Quando il volto selezionato sorride, la fotocamera scatta una foto automaticamente. (e se serve vi da anche il lampo in omaggio NdR). Quando leggo questa pubblicità penso sempre ad un paesaggio irlandese sterminato, bellissimo, verde che scivola verso il mare, con una casetta fumante a mezza costa, il pastore che viene verso di noi, ed ecco....che una pecora ci passa all’improvviso davanti “sorridendo”mentre incantati scattiamo.

E’ un attimo: la macchina rileva il “sorriso” apre il diaframma per migliorare il ritratto, mette a fuoco la pecorella e la esalta con un sapiente colpo di flash che mette giustamente in leggera ombra tutto il resto. Fin qui niente male se al ritorno la foto non venisse spacciata come foto Autoriale. (http://blog. efremraimondi.it / ) Magari vince anche qualche premio... Guardate come la prendo larga per dire che ( la citazione di Adams è OBBLIGATORIA!) Se la Zona 1 rappresenta una unità, le altre Zone si trovano tra di loro in rapporto1:2 ECCO. Che ci crediate o no E’TUTTO QUI! Come si legge? Facilissimo. Con un soggetto che noi visualiziamo/stimiamo troppo contrastato (si, lo so, lo so che esistono gli esposimetri per determinare tutto questo con prescisione. Ma un passino alla volta. Per favore. Sono già passato per matto negli anni Ottanta quando ho incominciato a parlare di Sistema Zonale... Ricordo che il mio amico Ferri “taxista” mi credette solo dopo che presi una borsata di pesci dove lui non aveva preso niente ????!!!!!??) basterà mettere il lampo, (forse ora sarà arrivato il momento di chiamarlo con il suo nuovo nome a pieno diritto) il Flash dunque, regolato su TTL o, come fa qualcuno, io per esempio, su Auto, e “stararlo” IN MENO 1, MENO 1 e1/2, MENO 1 e 2/3...addirittura MENO 2. A MENO 2 , per capirsi, mentre l’Esposizione /macchina resterà immutata la Zona 3, in pratica, ZONE

I

II

III

IV

V

VI

VII

VIII

IX

UNITA DI ESPOSIZIONE

1

2

4

8

16

32

64

128

256

UNITA AGGIUNTE

4

4

4

4

4

4

4

4

4

UNITA TOTALI

5

6

8

12

20

36

68

132

260


sarà raddoppiata di illuminazione e quelle inferiori molto più rischiarate e leggibili (vedi tabella) mentre le Zone cosiddette in luce non risentiranno praticamente di questa “intromissione rischiarante”. Le voilà. Con tre o quattro prove saremo in grado di determinare quanta illuminazione di “conforto alle ombre” serve nel nostro soggetto. E il disturbo ve ne sarà grato, credetemi.Tenendo presente che sarebbe meglio (dico sarebbe, ma molti fotografi ne fanno invece un punto di forza) se la luce del flash - magari in un secondo tempo sapientemente schermata contro la sua aggressiva intonazione neutrobluastra con l’applicazione di un filtro 81A o anche 81B - si avvertisse meno possibile. A seconda dell’interpretazione soggettiva della scena da parte del Fotografo. Quindi, per concludere, basterà ri-scoprire un pò di “occhio” e quel bottoncino (sconosciuto o dimenticato) per “starare” la luce del flash a nostro favore. Bottoncino, tra l’altro, cugino, se non fratello di quello simile, segnalato da un simbolino +/- che io da anni mi”sgolo” a consigliare come IN-DISPEN-SA-BI-LE. Allora non ci sarà bisogno che ci augurino “buona luce” perché quella buona, ce la portiamo dietro con noi. Vero SuperGiulia?

CERINI DI TECNICA

La Luce che non si vede

le foto che corredano il testo sono di Gigi Lusini e tutte realizzate con l’aiuto del/i flash


fare mostra di sĂŠ (autoritratto?)

Domenica 3 agosto Castelnuovo di Garfagnana (LU) Rocca Ariostesca Sala LUCCHESI CIRCOLO FOTOCINE GARFAGNANA BFI FIAF MicroWorkshop sul Linguaggio (perduto) (locandina a lato)

O QUANTA BELLA GENTE.....


APPUNTAMENTI DA NON PERDERE

tradizionale autunno culturale:

IL PROGRAMMA

settembre - ottobre 2014 12 SETTEMBRE DOPO L’ESTATE

Foto dei Soci e Amici dal periodo estivo (Palio e no!) Alla ricerca del Linguaggio Estivo

26 SETTEMBRE RI-COMINCIAMO

FotoPizza e vecchi argomenti “progetti singoli e di gruppo” Novità e Vecch..ietà

10 OTTOBRE PROIEZIONE del Film Documentario MONDI ...a confronto 1 (Grandi fotografi Italiani) a cura di Costanza Maremmi

24 OTTOBRE Incontro con l’Autore:

AUGUSTO MATTIOLI “Informazione con...le Figure” Storia senese, e non solo, degli ultimi 40 anni nelle immagini del “fotoreporter” per antonomasia

..e dal 6 NOVEMBRE (seguiranno comunicati ecc)

GRANDE CORSO DI RIPRESA E MONTAGGO VIDEO

(con la reflex, compatte, smartphone e videocamere) la CAMERA CHIARA - NewsLetter del Circolo Culturale La Bottega dell’Immagine di Siena. Redatto in proprio - Settembre 2014


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