Balkem

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Bal K e m

A p p l i c a z i o ne de l l ’ a r te p e r l a moda

Beatrice Brusca



ministero dell’università e della ricerca alta formazione artistica e musicale ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA

DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

BalKem

Applicazioni dell’arte per la moda

STUDENTESSA BEATRICE BRUSCA 6589

RELATORE PROF. SERGIO PAUSIG

A.A. 2014-2015


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INDICE

Introduzione

pag. 7

Il Progetto

pag. 8

Simulazione su carta Cartone cuoio Pasta polimerica BalharÄ Kemonia

pag. 11 pag. 14 pag. 19 pag. 21 pag. 31

Appendici

Duomo di Monreale Casa Professa

pag. 51

Conclusioni

pag. 82

Bibliografia e Sitografia

pag. 87

pag. 73

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“L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”. Goethe - Palermo, 13 aprile 1787

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Introduzione La Sicilia è molto più di un’isola ed è molto più anche di una semplice regione italiana, è una terra che nel lento snocciolarsi dei secoli ha visto passare sul proprio suolo praticamente tutti, perché tutti hanno sempre ambìto a far propria un’isola che stava al centro del Mediterraneo quando il Mediterraneo era il centro del mondo. La posizione geografica dell’isola, la bellezza dei suoi luoghi e la generosità della sua terra hanno contribuito a farne per secoli la meta prediletta di conquistatori che, pur tra guerre e rivolte, hanno però lasciato testimonianze artistiche e culturali inestimabili del loro passaggio. Basti pensare alla Valle dei Templi di Agrigento, ai mosaici bizantini del Duomo di Monreale agli affreschi di Piazza Armerina o alle architetture arabe palermitane per comprendere quanto considerevole sia stato il lascito delle popolazioni e delle civiltà che nei secoli hanno ambito l’isola. L’obbiettivo del mio progetto di tesi è mostrare al mondo le meraviglie artistiche della Sicilia. Attraverso un accessorio straordinario come la borsa, è possibile portare con se un pezzo dei monumenti che rendono unica la Sicilia. Dopo un approfondito studio della storia della Sicilia, delle tecniche artistiche e dei materiali , si è cercato di rendere attraverso l’uso della pasta polimerica, la borsa non soltanto un accessorio , o un semplice souvenir, ma una vera e propria realizzazione artistica che rievocasse la maestosità e la ricchezza dei vari monumenti. BalKem si concentra su due monumenti in particolare. Questi due monumenti mostrano la Sicilia normanna, attraverso il Duomo di Monreale con i suoi seimila metri quadrati di mosaico, e quella barocca attraverso Casa Professa, con le più pregiate decorazioni in marmo mischio. Queste borse non sono semplici riproduzioni di un elementi decorativi, sono creazioni artigianalmente, quindi pezzi unici, che riprendono le tecniche di intarsio che sono stati usati nei veri monumenti. 7


Il Progetto

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Simulazione su carta Al fine di verificare la fattibilità del prototipo che si intendeva realizzare, si è proceduto dapprima con una prova su carta. Come supporto si è utilizzato una tavola di medium density, (un derivato del legno) dalle dimensioni 21 cm. x 29,7 cm. (foglio A4) dallo spessore di 1cm, appositamente dipinta di acrilico grigio opaco, per ottenere una base quanto più simile al cemento. Con l’ausilio della carta copiativa si è riportato il disegno scelto sulla tavola. Quindi si è passato alla colorazione della carta, attraverso pitture acriliche. Una volta asciutta, questa è stata ritagliata in piccoli quadrati e rettangoli, al fine di ottenere dei pezzetti che simulassero le tessere del mosaico. Con la colla bianca le “tessere di carta” sono state applicate al supporto.

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Carton cuoio Dalla realizzazione su carta, si è passato alla creazione del primo prototipo di borsa. Si è pensato di creare una borsa dalla forma cilindrica, che avesse una struttura flessibile tale da poter adempiere al suo compito di accessorio funzionale, ma che al contempo riuscisse a mantenere la sua conformazione originaria. Per raggiungere tale scopo, si è scelto di utilizzare il cartocuio, quale base su cui applicare i tasselli. Per la copertura decorativa del cilindro si è pensato invece alla pasta polimerica, una pasta derivata dal petrolio, commercializzato in panetti colorati, che differenza dell’argilla e del das, che si seccano a diventano duri a contatto con l’aria, rimangono invece duttili e malleabili fino a che non vengono cotti. Con l’ausilio della carta carbone, si è trasferito il disegno prescelto sulla base di cartoncuio. Creati dei panetti più piccoli, per facilitarne la maneggevolezza, la pasta polimerica viene modellata con le mani, il calore delle mani infatti rende il panetto morbido e permette la mescolanza dei colori.Ottenute le colorazioni desiderate , i panetti sono stati stesi con il mattarello, fino a raggiungere delle lastre dallo spessore di 1 cm, successivamente sono stati cotti in un piccolo forno non ventilato ad una temperatura di 130° per 7 minuti circa. La cottura del materiale conferisce durezza, rendendo la consistenza del prodotto finale simile a quella della creta, è importante non superare temperatura e tempi indicati sulla confezione, altrimenti la pasta può bruciare e rilasciare fumi pericolosi; d'altronde un oggetto non cotto per un tempo sufficientemente lungo o a una temperatura troppo bassa rimarrà fragile o, al momento di un eventuale taglio ,tenderà a sbriciolarsi Le lastre di pasta polimerica, una volta cotte, sono state ridimensionate a piccoli pezzetti, attraverso l’uso di un taglierino, al fine di simulare le tessere di mosaico. I pezzetti sono stati fissati alla superficie tramite una colla per modellismo che con il suo beccuccio di metallo finissimo, permette di fissare le piccole tessere una ad una . A prova ultimata si è costatato che la colla, per quanto forte non riuscisse ad avere una aderenza duratura nel tempo. 14






Pasta polimerica Con l’obbiettivo di superare l’ostacolo del distacco precoce delle tessere, si è optato per una base interamente in pasta polimerica. Per il suddetto scopo, la pasta, è stata dapprima modellata e stirata con un mattarello da pasticciere, fino a raggiungere uno spessore di circa 1mm, infatti, essendo la lastra, di dimensioni notevoli, la stesura manuale, non riusciva a darle uno spessore omogeneo. Per sopperire, al problema riscontrato, una volta ultimata la stesura manuale, si è passati immediatamente (al fine di mantenere la temperatura che facilita la stesura), a rifinire, la lastra, con la macchina stendi pasta, questo le ha conferito l’uniformità e la compattezza necessaria allo scopo preposto. Una volta ultimata la lastra, su di essa, vi si sono applicate le sagome di carta, precedentemente preparate, e su di esse, ritagliata la lastra ed ottenuti i vari componenti della base. Impossibilitata ad utilizzare, la carta carbone, per trasferire il disegno del decoro sulla base appena creata (l’inchiostro rilasciato, avrebbe sporcato la base polimerica), le stesse sagome di carta, utilizzate per il ritaglio, sono state disegnate e riutilizzate per trasferire, il decoro, mediante la tecnica del ricalco, sulla base polimerica. La scelta della base interamente in pasta polimerica, apporta una modifica anche alla fase di cottura. La previa cottura della base, andrebbe infatti, a scaturire una reazione di precoce indurimento della stessa, che non permetterebbe l’aderenza delle parti decorative. La cottura, quindi, non avviene più in itinere al processo di creazione della singole parti, ma solo al suo termine, ad assemblaggio ultimato. Applicate quindi le parti decorative alla base, sarà l’intero composto a venire cotto. In questo modo, essendo sia la base, che l’elemento decorativo, formato dello stesso materiale, durante la fase di cottura, la reazione scaturita dal calore, determina una completa e permanente fusione, che conferisce la perfetta adesione tra i diversi elementi.

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BalharÄ

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Balharā Per il primo prototipo, si è scelto di creare una borsa baguette, dalla forma rettangolare di 18 cm. x 21 cm. Tale forma è stata creata con dei fogli di impiallacciatura di legno naturale, appositamente realizzata da un artigiano locale e in seguito dipinta con acrilico nero opaco, in modo da rendere l’interno della borsa esteticamente più accattivante. Una volta create delle sagome in carta delle varie parti della borsa con sopra riportato il disegno scelto, ovvero un angelo tratto da i mosaici di Monreale, è stata stesa la pasta polimerica di colore grigio avvalendosi di mattarello , per una prima stesura, poi della macchina per la pasta, poi nuovamente con il mattarello. Applicata la sagoma sulla pasta perfettamente stesa dallo spessore di 2 mm., vengono tracciati i margini e il disegno. Per questo prototipo si è voluto che le tessere avessero in sé, striature di differenti tonalità di colore, quindi la creazione delle nuance è dato dall’unione leggera ed a strati delle varianti di colore. Creati i vari toni, sono stati stesi a lastre, dallo spessore di 2 mm , e tagliati a tessere. Le tessere sono state applicate alla base facendo una leggera pressione. L’intero pezzo, una volta completato è stato messo in forno (in questo caso ventilato) con temperatura impostata su i 100°, funzionamento con sola resistenza sotto ed il vassoio posizionato al centro, per 15 minuti. Una volta uscito dal forno il pezzo risulta indurito, ma flessibile. Le parti della borsa cotte, sono state poi fissate alla struttura in legno tramite l’uso della collo bianca.

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Kemonia

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Kemonia Il procedimento è pressappoco identico a quello della borsa Duomo. Per il prototipo a marmo mischio, si è scelto di creare una pochette rettangolare di 13 cm. x 17 cm. di compensato, dipinta anch’essa con acrilico nero opaco. Si è stesa una lastra di pasta polimerica nera, dopo è stata applicata la sagoma sulla pasta perfettamente stesa dallo spessore di 3 mm., e sono stati tracciati i margini e il disegno per la base. Sono state create le lastre dei vari colori (alcune con striature, altre con sfumature) per gli elementi decorativi dalle spessore di 3mm. Per questo prototipo l’elemento decorativo d’applicare non sono tessere ma tarsie. Quindi sono state create le sagome di ogni singolo pezzo che compone l’elemento decorativo, sono state applicate sulla pasta polimerica dai differenti colori e ritagliate. Le sagome sono state accostate tra loro, creando una superficie più o meno omogenea. Una volta completata l’applicazione delle tarsie, è stato messo in forno l’intero pezzo. Le parti cotte, infine sono state incollate, per mezzo della colla bianca, alla struttura in legno.

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Disegni preparatori per la base in legno




Disegni preparatori per la borsa



Duomo di Monreale

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Storia del mosaico Non è facile stabilire con precisione l’origine del termine “mosaico”: l’uomo ha da sempre manifestato una naturale inclinazione a decorare suppellettili o architetture, utilizzando sia pigmenti sia pietruzze già colorate dalla natura stessa. Lo stesso termine mosaico è di origine incerta: alcuni lo fanno derivare dal greco μουσαικόν, “opera paziente degna delle Muse”; in latino veniva chiamato opus musivum, cioè “opera delle Muse” oppure “rivestimento applicato alle grotte dedicate alle Muse stesse”. Il richiamo alle Muse è dovuto all’usanza degli antichi romani di costruire, nei giardini delle ville, grotte e anfratti dedicati alle Ninfe o Muse , decorandone le pareti con sassi e conchiglie. Quindi musaeum o musivum indica la grotta e opus musaeum o opus musivum indica il tipo di decorazione murale. In seguito si affermò l’uso dell’aggettivo musaicus ad indicare l’opera musiva. Sono state indicate anche altre locuzioni, quali musium che significa esprimere qualcosa con diversi colori, oppure museos nel senso di elegante. Le ipotesi però sono molte e nessuna sembra avere titoli sufficienti per prevalere sulle altre. Le tessere erano chiamate in greco ἀβακίσκοι, quadrelli, da ἄβαξ, tavoletta, mentre in latino abaculi o tesserae, tessellae. I mosaici più antichi conosciuti sono stati scoperti nelle regioni greche dell’ Eubea , Olinto ,e della Macedonia, Pella , e risalgono alla seconda metà del IV secolo a.C. Sono realizzati con piccoli ciottoli e talvolta presentano sottili lamine di piombo che delimitano le figure. In età ellenistica, esempi di mosaici composti di tessere, si trovano a Delo e ad Alessandria. Fu proprio ad Alessandria che si sviluppò la tecnica del “vermicolato”. Una tecnica attraverso la quale, tessere molto piccole vengono accostate fittamente allo scopo di ottenere straordinari effetti pittorici. Ne abbiamo un meraviglioso esempio nel grande mosaico della “Battaglia di Alessandro dalla Casa del Fauno” a Pompei opera di artisti alessandrini. In età romana, il mosaico venne impiegato sempre più 52


Fig. 1


frequentemente per la decorazione di pavimenti, anche nelle abitazioni private. Nelle varie province sotto il dominio romano, esistevano scuole di mosaico regionali caratterizzate da repertori decorativi e cromatici specifici. Nelle Gallie, ad esempio, si producevano principalmente mosaici geometrici, mentre nell’Africa settentrionale si imposero i mosaici figurativi. Di gran lusso e molto costosi, erano i pavimenti in commessi di marmo (sectilia), destinati alle residenze imperiali e ai più importanti edifici pubblici, come i palazzi imperiali del Palatino a Roma e la Villa Adriana di Tivoli. Tra il IV-V secolo, si afferma uno stile “espressionista” con figure dai precisi contorni e nette campiture cromatiche. Seguendo questo stile, alcune grandi ville romane vennero decorate da vastissimi complessi musivi policromi, come i mosaici di Piazza Armerina, del IV sec. d.C. Anche nell’arte cristiana l’impiego del mosaico conobbe grande successo. A partire dal IV secolo si edificarono chiese decorate a mosaico soprattutto a Roma, a Milano e a Ravenna. Si eseguirono decorazioni di absidi, presbiteri e cappelle con cicli figurativi a soggetto biblico. Nelle prime basiliche cristiane, il mezzo espressivo privilegiato non sarà più la pittura con i suoi effetti chiaroscurali, ma il mosaico:si afferma progressivamente uno stile “espressionista”, con figure nettamente delineate e volutamente bidimensionali, ed un uso del colore a grandi campiture. L’arte musiva conobbe un grandissimo sviluppo nell’impero bizantino: gli esempi più antichi risalgono al V e VI secolo e sono stati rinvenuti in città anche molto distanti da Costantinopoli. Purtroppo, i cicli musivi della capitale imperiale sono andati quasi completamente perduti. I mosaici più famosi giunti fino a noi sono senza dubbio quelli di Ravenna, tra cui i cicli del mausoleo di Galla Placidia e del Battistero degli Ariani, entrambi del V secolo, e i preziosissimi mosaici della chiesa di San Vitale , realizzati intorno al 547. L’influenza di Bisanzio si fece sentire soprattutto a Venezia, dove l’arte musiva trovò la sua massima 54



espressione nelle chiese di Santa Margherita, San Teodoro, e soprattutto, nella basilica di San Marco (il cui interno è interamente rivestito di mosaici risalenti a periodi diversi) . La fiorente produzione veneziana è testimoniata dalla presenza in città, oltre che di vere e proprie botteghe di mosaicisti, anche di maestri vetrai specializzati nella fabbricazione di tessere. I capolavori veneziani risalgono soprattutto ai secoli XII e XIII, quando furono eseguiti la maggior parte dei mosaici della basilica e quelli del duomo di Torcello. La maniera bizantina si impose decisamente con l’immigrazione di maestranze da Costantinopoli. Nello stesso tempo, molti artisti veneziani si trasferirono a Roma. Così, anche molte chiese romane furono decorate a mosaico: le più note sono Santa Maria in Trastevere (1130-1143), San Paolo fuori le Mura (1218), San Giovanni in Laterano (1291) e Santa Maria Maggiore (1295). Durante il Rinascimento, nonostante fossero rimaste attive intere famiglie di mosaicisti (ad esempio gli Zuccato e i Bianchini) e laboratori specialisti, nel Seicento e nel Settecento si affermò l’idea del mosaico come mera riproduzione meccanica della pittura, determinando così la decadenza di questa forma artistica nella città lagunare. A Roma due episodi di rilievo nel campo dell’arte musiva, furono la decorazione della chiesa di Santa Maria del Popolo, basata su cartoni di Raffaello, e l’esecuzione delle pale dell’ altare di San Pietro. Solo nell’Ottocento si assistette a una rinascita dell’ interesse verso questa tecnica artistica, con l’istituzione dello Studio Vaticano, il cui laboratorio di restauro ispirò iniziative simili anche a Parigi, a Londra e a San Pietroburgo. Alla fine del XIX secolo, il mosaico, dopo un lungo periodo durante il quale viene soppiantato dalla pittura, riconquista importanza. Nei movimenti di rinnovamento artistico (Divisionismo, Art Nouveau, Liberty, Futurismo e Cubismo) che irrompono sulla scena artistica europea, il mosaico trova un valido strumento d’espressione e di ispirazione. In particolare, si ricordano Antoni Gaudì e Gustav Klimt per l’uso innovativo di questa tecnica ormai millenaria. E’ all’inizio del ‘900, che nascono in Italia le due importanti scuole di 56



Spilimbergo e di Ravenna. Il massimo dell’espressività pittorica fu raggiunto dal mosaico parietale senza dubbio a Bisanzio dal VI secolo in poi. La decorazione delle chiese fu canonizzata per localizzazione e scelta di icone. I mosaici erano destinati alla parte alta della chiesa ed erano inframmezzati da strutture architettoniche che scandivano le zone decorate come in campiture. Lo schema rispondeva ad una concezione di fondo che voleva distinte nella Chiesa un’area spirituale (la cupola, il presbiterio, paragonati alla Volta Celeste) destinata al Cristo Pantocratore e alla Vergine ed un’area terrena (il naos, il nartece) destinata alle immagini della vita di Cristo e della Vergine; absidi secondarie erano destinate a santi, martiri ecc Mirabile è l’armonia raggiunta fra i marmi policromi delle pareti e delle strutture (incrostazioni) con i mosaici delle volte e delle cupole. L’arte bizantina raggiunse tale raffinatezza da affidare alle rifrazioni delle tessere di mosaico, soprattutto in oro ed argento, particolari funzioni di dilatazione dello spazio e della luce. Tali caratteristiche, esaltate dalla particolare tecnica di incastonare le tessere secondo angoli determinati, finiva per affidare all’arte musiva un ruolo espressivo determinante. Nel mirabile gioco delle policromie bizantine non v’è dubbio che anche i migliori affreschi non avrebbero potuto raggiungere il medesimo effetto; di qui la convinzione di non dover considerare il mosaico arte minore, come si diceva in premessa. Nell’era bizantina dobbiamo distinguere un primo periodo che va dal regno di Giustiniano all’avvento dell’iconoclastia (565-726) in cui si perfeziona e matura lo schema iconografico e tematico innanzi sintetizzato; al culmine di tale era la funzione dell’immagine dei Santi che viene esaltata fino a raggiungere anche ruoli centrali. In epoca iconoclasta (726-787 e 814-843) spariscono chiaramente le immagini per essere sostituite da semplici simboli (per lo più la Croce), animali, piante, uccelli ecc. Le prime immagini che riappaiono in epoca post iconoclasta ripropongono a figure isolate lo schema classico per poi produrre scene complesse e ordinate secondo cicli completi. E’ in questa fase (Nono Secolo) che si esprime la maggiore maestria delle “tessere inclinate”, 58


che citavamo prima, a punteggiare sfondi di solito bidimensionali e a rendere vibranti le superfici contornate da tessere dal colore più marcato (S. Sofia a Costantinopoli, ex voto di S. Demetrio a Salonicco). Dal “Decimo Secolo” le figure tendevano ad assumere forti caratteristiche plastiche; con l’accentuazione delle sfumature le immagini prendono corpo e sembrano animarsi; le linee raggiungono maggiore grazia nei contorni fino ai risultati “pittorici” di particolare efficacia e realismo del “Dodicesimo Secolo”. Ricordiamo i mosaici delle Ville di Dafne in Turchia, del Duomo di Monreale e della Cattedrale di Cefalù. In quest’epoca si raggiunge il massimo della capacità espressiva del mosaico a Bisanzio.


La tecnica La tecnica del mosaico utilizza vari tipi di materiali, che permettono effetti diversi ed hanno ciascuno i propri vantaggi. • i ciottoli: sono composti di pietre naturali,ciottoli di fiumi e marmi di cava. Le tessere lapidee venivano utilizzate prevalentemente nei mosaici pavimentali per la loro resistenza all'uso e perché possono essere levigate e lucidate. La lavorabilità è una caratteristica determinante, che comprende la spaccabilità, ovvero la qualità specifica delle pietre a spaccarsi in un certo modo sotto i colpi della martellina: la frattura prodotta non deve essere né conoide né scheggiata. Le pietre più usate nei mosaici sono i calcari, calcite pura o mescolata a minerali, perché più facili da lavorare e perché presentano più colori la ceramica smaltata: grande gamma di colori, ma di difficile conservazione • il marmo: Il termine marmo deriva dal greco “marmaros” con il significato di “pietra splendente”. La particolare colorazione del marmo è dovuta alla presenza di impurità minerali che con il calore si fondono alla roccia sedimentaria; più la pietra è bianca, minore è la concentrazione di impurità. Le classificazioni, la struttura ed il colore del marmo variano a seconda delle caratteristiche geologiche della cava di provenienza . Grande resistenza, ma molto pesante • il vetro: Ha un grande fascino, per le sorprendenti e meravigliose suggestioni di luce che producono. Vengono prodotti per la mancanza di colori particolari in natura, oppure per creare superfici brillanti e resistenti all'acqua. Possono essere utilizzati per mosaici prevalentemente parietali, data la scarsa resistenza all'usura che li rende fortemente deperibili se sottoposti a calpestio. Si distinguono diverse tipologie di tessere a matrice vetrosa :le paste vitree, gli smalti diverse tra loro per le fasi cristalline o gassose o per la presenza dell'ossido di piombo, e gli smalti a foglia metallica(i cosiddetti “ORI” perché all’interno hanno un sottile strato di foglia oro, o argento. Originariamente si utilizzava solamente l’oro 24 carati, oggi si utilizzano anche altri metalli e sono disponibili diverse colorazioni). 60



Non è raro trovare anche materiali meno ortodossi come plastica, metallo, gomma, oggetti di riciclo. Il supporto più diffuso è il calcestruzzo (sabbia e cemento) dato il suo basso costo e la sua adattabilità a vari contesti. Si pone sulla parete una rete, quindi uno strato di calcestruzzo almeno di 13 mm di spessore, così da proteggere il mosaico dalla fessurazione. Si possono anche trovare altri supporti, come il legno (lo si rende impermeabile grazie ad un trattamento chimico, o immergendolo in olio bollente), il vetro, le fibre di legno premute e fissate (epoca contemporanea), o il compensato (epoca contemporanea). I Romani usavano fissare le tessere anche con la cera, che si è rivelata un ottimo collante. Molti mosaici di Piazza Armerina sono appunto stati fissati con questa tecnica e sono ancora saldi alle intonacature. La più utilizzata è certamente la malta: applicabile su tutte le superfici, si può aggiungere calce per rallentare il tempo di presa. Si utilizzano anche adesivi a base di cemento, che sono concepiti in funzione del supporto, con vari tempi di presa. L'impiego di due tipi di colla bianca (normale e solubile in acqua) è anche frequente. Infine, in epoca contemporanea si constata l'utilizzo di adesivo siliconato. Metodologia Sul muro grezzo si stendeva l’arriccio, poi uno strato di malta fine, costituita da marmo, calce e pozzolana. A San Marco si faceva uso di chiodi, anche 37 al m², per sostenere il mosaico: col tempo si è capito che non servono e inoltre ostacolano i restauri. Nel XII e XIV secolo, a Firenze, si usano calce, polvere di marmo, tufo e gomme. Il Vasari tramanda una ricetta composta da calce, travertino, cocciopesto e albume: la calce aggiunta all’albume costituisce un cemento durissimo. Metodo diretto È il metodo migliore: viene eseguito in sito, nelle condizioni di luce nelle quali l’opera verrà vista, importante soprattutto per l’effetto dell’oro. È possibile anche la prefabbricazione su pannelli in cemento armato spessi 2 cm, rinforzati da rete metallica; il mosaico viene eseguito in laboratorio e montato con grappe di ottone. . Si dispongono inizialmente le tessere più grandi, quindi si inseriscono le più piccole; questa 62


disposizione è realizzata dell’esterno verso l’interno. In seguito si applica uno strato di cemento (per le giunzioni tra le tessere) che si asporta dopo essiccazione. Si dispongono inizialmente le tessere più grandi, quindi si inseriscono le più piccole; questa disposizione è realizzata dell’esterno verso l’interno. In seguito si applica uno strato di cemento (per le giunzioni tra le tessere) che si asporta dopo essiccazione Metodo indiretto Il mosaico viene preparato in laboratorio, con le tessere capovolte incollate con la colla di farina su fogli di carta o tela: è adatto per superfici piane, come pavimenti e rivestimenti di piscine, poiché le tessere risulteranno sullo stesso livello e avranno la stessa angolazione. Se il mosaico sarà di grandi dimensioni, la superficie verrà scomposta in parti più piccole e maneggevoli, con il perimetro che segue la decorazione o comunque con contorni frastagliati per mimetizzare meglio i giunti. Il mosaico o le sue sezioni vengono collocate sullo strato di malta o legante ancora fresco e poi battuto con un apposito strumento chiamato “batti”, fino a che il legante non sia penetrato attraverso tutti gli interstizi fra le tessere. A questo punto si può asportare la carta e portare così alla luce il mosaico finito. Sistema a rivoltatura Diffuso dal XIX secolo, è più preciso del metodo indiretto e consente una maggiore ricchezza di dettagli. Dentro una cassetta di legno, delle dimensioni del lavoro finale o di una delle sue sezioni, con il fondo impermeabilizzato, si stende uno strato di argilla miscelata a pozzolana bagnata. Su questo si traccia il disegno preparatorio e vi si inseriscono direttamente le tessere. Una volta ultimato il mosaico, lo si ricopre con dei velatini di garza, eventualmente rinforzati con tela di canapa, fatti aderire con colla di farina o di amido. Non appena i velatini sono asciutti, si può rivoltare il mosaico, liberarlo dalla cassetta e asportare l’argilla, pulendo accuratamente le tessere. Il mosaico viene così trasferito sulla parete di supporto, come nel caso del metodo indiretto.

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Duomo di Monreale Il duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo. L'interno del Duomo si presenta come uno dei più alti e significativi monumenti dell'arte bizantina del periodo normanno in Europa. Le sue pareti adorne di splendidi mosaici narrano le storie dell'Antico e del Nuovo Testamento oltre ad ospitare una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. La decorazione musiva, strettamente guidata da un filo teologico – dogmatico, si dispiega tra le navate, con profonda unità poetica anche se con una diversità stilistica che contrappone realismo analitico all’asciutta astrattezza di altre forme. Per dimensioni supera di gran lunga quelli analoghi del Duomo di Cefalù e della Cappella Palatina di Palermo. Gli oltre seimila metri quadrati di mosaici, che narrano l’intero ciclo divino ed umano del Verbo, furono eseguiti, probabilmente, nel breve arco di due anni, affiancando al lavoro delle maestranze bizantine quelle di maestranze siciliane che già avevano maturato un loro linguaggio, sicuramente più realistico rispetto ai maestri di Bisanzio. Le singole scene sono ricche di particolari realistici: ad esempio i legacci che reggono le impalcature della torre di Babele, i coltelli presenti sulla tavola delle nozze di Cena o l'incredibile varietà di pesci raffigurati sia nella creazione che impigliati nella rete dei pescatori nell'episodio della pesca miracolosa. Molti sono anche i simboli utilizzati, quali, ad esempio, la nuvola che avvolge il corpo di chi è addormentato o l'omino scuro presente in parecchie scene che rappresenta il diavolo, scacciato dal corpo degli indemoniati o dei malvagi. Il grandioso dispiegarsi della narrazione musiva è composto da 130 quadri e da migliaia di decori e figure isolate che stagliandosi sull’oro del fondo creano una fantasmagoria inimmaginabile ed irreale che conduce, ineluttabilmente, gli occhi del visitatore al punto centrale e focale di essa: l’immenso Cristo Pantocratore, severo e benedicente, che occupa l’intera superficie del catino absidale, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno 64



perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza. Nello spazio ad essa sottostante, tra le molte figure di santi, ed apostoli, vi è anche, raffigurato San Tommaso Becket, vescovo di Canterbury. Questo “ritratto” è l’unico che si conosca eseguito ameno di una generazione dalla sua morte.( Ad ispirarlo, infatti, fu, probabilmente, Giovanna d’Inghilterra, moglie di Guglielmo II, che lo aveva conosciuto alla corte del padre, Enrico II che, successivamente, di Becket, aveva voluto, per i motivi che ben conosciamo, l’atroce assassinio.) Il grande arco del presbiterio segna l’avvio della narrazione che si svolge su due registri, ove le scene che si susseguono sviluppano il tema della salvezza universale che, a sua volta, è suddiviso in cinque parti: prologo, preparazione, realizzazione, continuazione ed epilogo. Le due absidi laterali ospitano. nel catino, le due immagini di S. Pietro (a destra) e S. Paolo (a sinistra) seguiti da episodi significativi della loro vita. La storia della vita di Cristo è presentata nella zona presbiterale, a partire dalla crociera del transetto ove vengono raffigurati gli episodi dell’infanzia di Cristo. La maturità di Cristo è invece presentata nei due bracci del transetto (a partire da quello di destra), fino alla discesa dello Spirito Santo. Le navate laterali invece illustrano alcuni miracoli di Cristo. Nell’arco trionfale, sopra il trono episcopale (lato destro), il re Guglielmo II nell’atto di offrire il duomo alla Vergine; sopra il trono reale. Guglielmo II viene incoronato da Cristo.Il quadro della Sapienza Divina, raffigurato da una figura di donna velata ed incoronata tra gli arcangeli Gabriele e Michele posta al centro dell’arco di ingresso al presbiterio, apre la serie delle 42 scene che compongono i due registri. Quello superiore, in cui si contano 52 medaglioni, inizia con la creazione della materia dal caos informe. Navata centrale a partire dall’inizio della navata, lato destro. Creazione delle acqua. Creazione della luce alla presenza di sette angeli (come i giorni della creazione). Separazione delle acque che stanno sopra il cielo da quelle che stanno sotto. Separazione della terra dalle acque. Creazione della luna, sole e stelle. Creazione degli uccelli e dei pesci. Creazione dell’uomo. Il riposo di Dio. . Dio conduce Adamo nell’Eden. 66



Adamo nell’Eden. Creazione di Eva. Eva viene presentata ad Adamo Eva ed il serpente tentatore. Il peccato originale. Dio scopre Adamo ed Eva che si vergognano delle loro nudità. Cacciata dal Paradiso terrestre. Adamo al lavoro, Eva è seduta con una spola in mano. Il sacrificio di Caino ed Abele Seguono la raffigurazione di Caino ed Abele e l’assassinio di quest’ultimo per mano del fratello. Poi, ancora, la fuga di Caino e la sua morte per mano di Lamech I quadri continuano con la raffigurazione delle scene riguardanti il diluvio: l’annuncio divino a Noè di costruire l’arca, le fasi della sua esecuzione, l’ingresso degli animali nell’arca, la cessazione del diluvio e la comparsa dell’arcobaleno. Quindi la prima produzione del vino, con l’episodio di Cam che deride il padre Noè ubriaco e discinto Cam che chiama i suoi fratelli per deriderlo. Costoro, più rispettosi della dignità paterna lo coprono, Da qui la maledizione di Noè a Cam e alla sua discendenza I discendenti di Noè edificano la torre di Babele nel tentativo di creare un’unità.. Abramo, stabilitosi nella regione di Sodoma e Gomorra, incontra tre angeli inviati da Dio e li invita a casa sua. Gli angeli rappresentano la Trinità. L’ospitalità di Abramo. Dio invia due angeli perché distruggano Sodoma. Lot, nipote di Abramo, li ospita. Lot cerca di impedire agli abitanti di Sodoma di entrare in casa, dove si trovano i due angeli. Questa scena non fa parte del Vecchio Testamento, ma delle storie dei Santi Cassio. Casto e Castrense (protettore di Monreale) che continua nel registro inferiore. Cassio e Casto, condannati ad essere sbranati dai leoni per non aver rinnegato Cristo, si salvano perché i leoni si ammansiscono improvvisamente e leccano loro i piedi. Cassio e Casto portati ad un tempio pagano, lo fanno crollare sugli empi. S. Castrense libera un uomo dal demonio che si getta in mare e provoca una mareggiata. Sodoma è in preda alle fiamme e Lot fugge con le figlie, mentre la moglie, voltatasi a guardare, si è già tramutata in statua di sale. Dio appare ad Abramo e gli ordina di sacrificare il figlio Isacco. Un angelo impedisce il sacrificio. Abramo manda un servo a cercare una moglie per Isacco. Rebecca al pozzo dà da bere al servo di Abramo ed ai suoi cammelli. Rebecca si mette in viaggio per andare dallo sposo predestinato. Isacco. Isacco in compagnia del figlio prediletto, Esaù e del secondogenito Giacobbe. Isacco benedice Giacobbe convinto che sia Esaù (sulla de68



stra, mentre ritorna dalla caccia). Isacco, quasi cieco per la vecchiaia, viene ingannato dalla pelle di capretto che copre le braccia di Giacobbe che, al contrario del fratello, è imberbe. La fuga di Giacobbe dall’ira vendicatrice del fratello al quale ha sottratto la benedizione di Isacco. Giacobbe, in viaggio, sogna una scala che dalla terra sale fino al cielo ed è percorsa da angeli. Dio, dalla cima, gli dona la terra su cui si è addormentato e Giacobbe, una volta sveglio, pone la prima pietra, che gli era servita da guanciale. Giacobbe lotta con l’angelo. Quando torna dal fratello Esaù, Giacobbe, timoroso della sua passibile ira, gli invia dei doni. Di notte, dopo aver fatto passare un guado alla sua famiglia, un angelo lo avvicina e si batte con lui. All’alba, l’angelo lo benedice e gli impone il nome di Israele (colui che ha combattuto con Dio e con gli uomini ed ha vinto).

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Casa Professa

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Storia del marmo mischio Nella storia dell' arte in Sicilia la vicenda della decorazione a marmi mischi, ossia a “tarsie marmoree pregiate”, occupa un ruolo particolare: non soltanto perché si tratta del contributo più originale alla civiltà del barocco europeo, ma anche perché nella tecnica di tarsie marmoree che dalla metà del Seicento dilagò da altari e lastre tombali sino a rivestire cappelle e intere chiese si intrecciano alcuni nodi metodologici e interpretativi fondamentali per la comprensione di quel periodo e dei suoi meccanismi culturali. Al punto da diventare una sorta di laboratorio dove potere sperimentare, come in vitro, una serie di approcci al testo figurativo capace di mettere in connessione i diversi livelli che nel corso del Seicento e del primo Settecento misero in opera un sontuoso gioco di specchi tra la magniloquenza teatrale e il sofisticato congegno iconografico, tra la lavorazione artigiana dei marmorari e la complessità della pedagogia religiosa e del discorso teologico, tra l' elaborazione locale e l' apertura a raggiera - dalla Spagna alla Toscana, a Roma e a Napoli - delle fonti tecniche e figurative. Un repertorio e un magistero esecutivo esemplari per quell' universo di concetti e del suo equivalente in immagini che costituisce ancora oggi uno degli aspetti di maggior fascino del labirinto della mente barocca. Il marmo Il termine marmo deriva dal greco “marmaros” con il significato di “pietra splendente”. Il marmo si forma attraverso un processo metamorfico da rocce sedimentarie, che determina una completa ricristallizzazione del carbonato di calcio, di cui sono in gran parte composte e che, danno origine ad un mosaico di cristalli di calcite o di dolomite (minerale). L’azione congiunta della temperatura e della pressione durante la trasformazione della roccia sedimentaria in marmo, porta alla graduale obliterazione delle strutture e tessiture in origine presenti nella roccia, con la conseguente distruzione di qualsiasi fossile, stratificazione o altra struttura sedimentaria presenti nella roccia originaria. La particolare colorazione del marmo è dovuta alla presenza d’impurità minerali (ar74



gilla, limo, sabbia, ossidi di ferro, noduli di selce), esistenti in granuli o in strati all’interno della roccia sedimentaria originaria. Durante il processo metamorfico, tali impurità vengono spostate e ricristallizzate a causa della pressione e del calore. I marmi bianchi, sono esito della metamorfizzazione di rocce calcaree prive d’impurità. Il settore lapideo della Sicilia è divenuto, negli ultimi anni, un comparto sempre più ampio e rilevante nell’ambito dell’export, conquistando progressivamente i mercati internazionali, potendo puntare su una gamma prodotta di ben 25 marmi di punta isolani. Il marmo estratto e lavorato nell’Isola, è molto richiesto ed apprezzato dai mercati esteri in virtù della resistenza, dell’adattabilità e della compattezza: • Marmi rossi: Pietra di gallo, Rosso di Bellolampo, Pietra di Piana dei greci (Rosso Montecitorio), Rosso d’Ogliastro aantico, Rosso di alcamo, Rosso di Castellammare, Rosso di Contorrana, Rosso di Taormina, Pietra di S. Marco d’Alunzio; • Marmi gialli: Giallo di Segesta, Giallo di Castronovo, Giallo di Buccheri, Giallo di Parco, Giallo di Ribera. • Marmi Grigi: Pietra di Billiemi (Bigio di Billemi), Grigio di Gallo, Grigio di Trapani, Grigio di Taormina. • Marmi bianchi: Lattimusa e Scaglia Bianca • Marmi neri: Nero di Roccapalunpa, Nero di Sciara, Nero di Erice, Nero di Marittimo, Nero di Taormina. La Tecnica Il marmo mischio e’ una tecnica affine all’ “opus sectile” (ovverosia) la produzione di tarsie marmoree usando appunto differenti tipologie locali di marmi colorati alternati a marmi di importazione ,come il celebre e prezioso bianco di Carrara o quello nero di La spezia (lavagna);il prodotto finale e’ molto simile .Fu durante il seicento che in Sicilia si ebbe una grande diffusione ed una produzione sempre piu’ diversificata.

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A partire dal XVIII secolo alle costose materie prima del marmo e delle pietre dure per le commissioni piu’ eccezionali furono preferite le paste vitree piu’ economiche e semplici da lavorare. Il ricorso alla tecnica dei marmi mischi richiedeva un procedimento analogo a quello utilizzato per l’intarsio fiorentino: i vari frammenti da accostare, venivano scelti in base ai colori suggeriti dal cartone del disegnatore, ed ottenuti da sottili lastre mediante il taglio con una sega a filo metallico che permetteva di sagomarne i contorni con estrema precisione; in tal modo le linee connettive risultavano impercettibili alla vista, una volta posti a contatto e fissati i vari pezzi al piano con misture adesive a base di polvere di marmo. Questa tecnica virtuosistica diventava ancora piÚ complessa qualora la superficie da rivestire presentasse delle curvature, come nel caso delle colonne provenienti dalla chiesa di San Nicola, esposte nel Museo Regionale di Messina.

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Casa Professa La Chiesa del Gesù, conosciuta come Casa Professa, è un gioiello barocco dalle forme sontuose, tipiche dello stile artistico di fine ‘500, quando ai Gesuiti giunti in città a seguito del viceré spagnolo venne affidata la realizzazione di una chiesa che rappresentasse il potere e l’importanza dell’ordine religioso in città. La grande costruzione venne ideata dall’architetto gesuita Giovanni Tristano e, in un primo momento, si presentava ad unica navata con ampio transetto e ampie cappelle laterali. Agli inizi del Seicento, per adeguarla alle esigenze di grandiosità tipiche dell’architettura gesuita, su progetto di Natale Masuccio vennero abbattuti i muri divisori delle cappelle, ottenendo così tre navate. La consacrazione della grande chiesa avvenne nel 1636. Nel 1892 il cav. Salvatore Di Pietro, già rettore di Casa Professa, ottiene tramite il ministro della pubblica istruzione Paolo Boselli che il tempio venga dichiarato monumento nazionale. Nel 1943 i bombardamenti distrussero gran parte della chiesa, successivamente ricostruita e completata nel 1954. L’idea di ricoprire interamente le superfici di marmi policromi, si fece strada non prima del 1652, anno in cui l’interno della grande chiesa, fu ornato da addobbi floreali in occasione dei festeggiamenti della città per le vittorie riportate dal re cattolico Filippo IV. L’interno della chiesa è uno dei più rappresentativi esempi della decorazione a marmi mischi, ricoperta interamente da preziosi e ricercati marmi policromi sul tono del blu e del bianco e da sculture marmoree che le conferiscono un’atmosfera di grande impatto visivo. L’abside offre un vero festival di marmi mischi,sculture in marmo ed in stucco che interpretano Cristo,Maria, Santi, angeli, putti, figure allegoriche, rappresentazioni bibliche a tutto tondo, affreschi di grande impatto cromatico. Nel romanzo Il Gattopardo viene ricordata una visita a Casa Professa di don Pirrone, il prete di casa Lampedusa, durante una passeggiata palermitana in carrozza del Principe. Riguardo alla decorazione a marmo mischio dell’abside di Casa Professa, “rappresenta indubbiamente l’apporto più significativo e originale della cultura artistica siciliana 78



alla civiltà del barocco europeo; integrazione dinamica tra architettura, scultura e pittura, secondo la prassi e l’estetica secentesche, animazione ipertrofica di colori e immagini (“in guisa che senza pennello sembra opera di pennello” scrive il Mongitore). Addobbo teatrale articolato attraverso ricchi e complessi sistemi concettuali, la decorazione a mischio e a tramischio (con parti a rilievo) è anche il genere dove con maggiore chiarezza si coglie il carattere distintivo del barocco siciliano: una collaborazione tra architetti e scultori, marmorari e pittori che spesso stabilisce confini assai labili tra le diverse categorie d’artigiani, e che anzi su questa ininterrotta continuità di mestieri fonda la dimensione trionfante del grande cantiere della Palermo barocca, dalla seconda metà del Seicento ai primi decenni del Settecento. Un’attività così intensa e prolungata esigeva la specializzazione d’intere botteghe spesso a conduzione familiare, e un’organizzazione del lavoro dove il programma concettuale fosse affidato, con una distinzione menzionata nei documenti, a marmorari, a scultori e architetti. Ma al di là dell’animazione brulicante e della ripetizione a moduli verticali derivata dalle grottesche rinascimentali e manieriste, la decorazione a mischio trovava, proprio nella composizione simbolica e dottrinale, la propria unità e il controllo di una vasta iconografia che recepiva ed elaborava un repertorio a cui l’ordine dei Gesuiti aveva dato, lungo tutto il Seicento, un contributo fondamentale recuperando il valore didascalico di molte figure ed episodi dell’arte medievale ed elaborando i modelli proposti da Ripa nella sua Iconologia. La chiesa dei Gesuiti di Casa Professa rappresenta in questo senso l’esempio più complesso e grandioso, il più unitario nella volontà di sottoporre l’intera decorazione a mischio, gli scultori e gli architetti che negli stessi anni prestavano la loro opera ad altre chiese e cappelle, sono chiamati ad approntare il ripetitivo ma variegato repertorio d’immagini ed ornamenti all’esaltazione dottrinale e a ribadire la potenza dell’ordine” .

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Conclusioni Ogni creazione lavorata a mano in quanto tale è diversa dall’altra. Non ci sono due oggetti fatti a mano uguali e questo rende ogni oggetto unico. Sebbene l’essenza di un prodotto artigianale risiede nella sua inequivocabile unicità, le imperfezioni riscontrate sui prototipi realizzati hanno evidenziato dei limiti di esecuzione. La scelta di associare la tecnica dell’intarsio alla pasta polimerica, per questo particolare scopo, si è rivelata ambiziosa. La mobilità che ci si aspetta dal battente di una borsa, infatti, prevede l’utilizzo di un materiale cha abbia, quale principale caratteristica, la facile malleabilità; una qualità che nella pasta polimerica “intarsiata”, è possibile riscontrare, solo con un minuzioso studio del suo adeguato spessore e del suo processo di cottura. La ricerca sperimentale fin qui condotta si è rivelata quindi, un ottimo punto di partenza per un’indagine più approfondita dell’intero processo di realizzazione. L’intento è quello di arrivare a creare delle borse che diano la sensazione di una perfezione quasi “industriale” mantenendo comunque quella unicità tipica del prodotto artigianale. Tuttavia, si è scelto comunque di utilizzare i prototipi fin qui realizzati, come matrici per la creazione di stampe su tessuto e modelli 3d.

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Composizione per la stampa su plotter 120x120 cm. supporto di stampa canvas 36 x 26 x 5 cm.


Composizione per la stampa su plotter 120x120 cm. supporto di stampa canvas 36 x 26 x 5 cm. Variante blu.


Composizione per la stampa su plotter 120x120 cm. supporto di stampa canvas 36 x 26 x 5 cm. Variante rossa.


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Bibliografia Sciortino Lisa , La cappella Roano nel duomo di Monreale. Un percorso d’arte e di fede, Sciascia Caltanissetta , 2006 Abulafia David, Massimo Naro, Il duomo di Monreale. Lo splendore dei Mosaici, Itaca , 2009 Stefano Piazza, I marmi mischi delle chiese di Palermo, Sellerio Editore Palermo, 1992

Sitografia www.comune.monreale.pa.it www.crocifissomonreale.it www.ilgiardinodiballaro.it www.itacaedizioni.it www.musivumopus.it www.palermodintorni.blogspot.it www.parrocchie.it www.pianalbanesi.it www.ricerca.repubblica.it www.siciliaincammino.it www.sinfoniediframmenti.com www.vincenzogiacchino.it www.wikipedia.org

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