BEATRICE SABATINI
IL TORRIONE UN MONUMENTO AQUILANO DA SALVARE
Lungo la conca aquilana avviene ormai sempre più spesso il rinvenimento di testimonianze dell'antichità arcaica o romana, che vanno ad aggiungersi alle altre emergenze archeologiche presenti sul territorio o alle antiche fonti letterarie, in un insieme che permette di disegnare una mappa man mano più precisa della frequentazione umana nella zona, lungo i millenni. Alcuni di questi siti, come Amiternum o la necropoli di Fossa, sono peraltro noti più all'estero che in Italia, fatto che rivela la mancanza di interesse istituzionale e l'indifferenza diffusa della popolazione verso questi tesori inestimabili. Fra di essi, derelitto, trascurato e frainteso nella sua valenza storica, è l'enigmatico monumento detto popolarmente Torrione, da sempre visibile fuori delle mura medioevali della città dell'Aquila. Si è giunti a tale indifferenza nei confronti di questa reliquia del passato che almeno due volte si è già tentato di demolirla: nel 1863 e nel 1951. Oggi, dopo i danni ingenti del terremoto del 2009, è abbandonato a se stesso. La spiegazione di questo abbandono potrebbe anche avere implicazioni ideologiche, data l'ormai consolidata resistenza ad ammettere la presenza di qualche manufatto risalente a qualsivoglia periodo precedente la fondazione più o meno federiciana della città. In effetti sul Torrione permane una seria disinformazione, anche fra gli storici. Cerchiamo dunque di segnalare le basi per un'interpretazione di questo monumento al fine da un lato di salvaguardarne la valenza storica, dall'altro di sollecitare in suo pronto ed approfondito restauro. Il Torrione, da cui un intero moderno quartiere ha preso il nome, è situato a circa quattro chilometri ad est del sito dove si presume si sorgesse Pitinum, in un luogo che per tradizione è associato al confine tra il territorio sabino e quello vestino. Qui passava la via Claudia Nova, che, dopo aver lasciato Foruli, costeggiava la stessa Pitinum per poi oltrepassare la strettoia nella valle rappresentata dalle estreme propaggini del monte Sant'Onofrio e dirigersi verso Aveja per poi proseguire fino alla confluenza con la via Tiburtina Valeria, all'altezza di Bussi. Si discute ancora su quale fosse il tracciato della Claudia Nova una volta che questa si trovava ad oltrepassare il colle di Sant'Onofrio, sul quale oggi sorge L'Aquila, optando per la precedente ricostruzione o, di contro, su un'altra che la fa correre lungo le attuali mura trecentesche della Rivera, nelle quali è stato inglobato un tratto di muro poligonale che alcuni vogliono interpretare come strutturalmente appartenente alla strada romana. Dalla localizzazione della Claudia Valeria a nord della città e dal tradizionale posizionamento del confine sabino-vestino in corrispondenza del colle Sant'Onofrio vi è chi ha interpretato il Torrione come miliario simbolico fra le due popolazioni. Un'ipotesi certo suggestiva ma senza prove storiche. L'interpretazione più diffusa, anche al livello popolare, ne fa invece un pilone dell'acquedotto costruito nel 1308 dagli aquilani. L'episodio assume i toni di un'epopea popolare nei versi di Buccio di Ranallo ed è rimasto evidentemente inciso nel legendarium
cittadino, tanto da coinvolgere anche il Torrione, che ne diventò parte assumendo il ruolo di una quelle piramidi descritte da Buccio stesso e successivamente dall‟Antinori. A gettare luce sulla reale funzione del Torrione fu però l'archeologo Cesare Miceli. Durante i lavori di restauro dell'Anfiteatro di Amiternum avvenuti negli anni 1967-68, Miceli si rese conto delle analogie strutturali fra il Torrione e l'anfiteatro stesso. Questa constatazione lo spinse ad eseguirne un rilievo di massima, corredandolo con alcune fotografie. Sulla scorta di una simile struttura presente in territorio ortonese identificata come tomba di epoca romana, Miceli segnalò il Torrione alla Soprintendenza. Miceli notò, nel suo scritto al riguardo (Il Torrione, Estr. dal Bollettino di Archeologia, n. 3, mag./giu.1990, Soprintendenza archeologica dell'Abruzzo) che la Cronaca Aquilana di Buccio relativa alla costruzione dell'acquedotto nel 1308 non indica il punto delle mura dove questo entrava in città, sottolineando che tutte le planimetrie antiche dell'Aquila ignorano, fuori porta Paganica, l'esistenza del Torrione stesso, nonostante la sua vicinanza alla cinta muraria e allo spigolo del bastione settentrionale del Forte Spagnolo. Miceli approfondì l'argomento Torrione, esaminandone forma e struttura muraria, pervenendo a una constatazione: gli elementi edilizi e architettonici non possono appartenere all'epoca della costruzione dell'acquedotto trecentesco e neppure a sviluppi e adattamenti tipici di periodi successivi. Inoltre non vi si possono rintracciare analogie con opere più antiche di contenimento o di trasporto idrico. Il Torrione è composto, infatti, da una di base a pianta ovale, sulla quale si elevano due elementi verticali sovrapposti, entrambi di pianta romboidale. L'altezza totale del monumento, all'epoca di Miceli, era paragonabile a quella dell'edificio moderno retrostante e cioè, senza considerare la parte ancora interrata, circa quindici metri. In tempi più antichi, fino alle testimonianze fotografiche di inizi '900, la struttura doveva essere ancora alta come in origine, dato che nelle immagini si evidenzia una cuspide di coronamento all'epoca ancora in situ.
Il Torrione a fine „800
Nel 1903
MetĂ XX secolo
1960 ca.
Ante sisma 2009 Il corpo alla base, alto circa cinque metri, nel quale è presente una sorta di rientranza, purtroppo ridotta a immondezzaio, è costruito in opus caementicium, con prevalenza di frammenti fittili e litici, con paramento in opus quadratum.
La “rientranza”
Il rivestimento esterno, che nell'opus quadratum era posto all'inizio del lavoro come cassaforma, è costituito da blocchi squadrati inseriti nel nucleo murario alternativamente di testa (diatoni) e di taglio (ortostati). Sono evidenti circa trenta diatoni di cui otto erano all'epoca di Miceli ancora integri, fatto che gli permise di ricostruire per il Torrione una base di forma ovale. Si sono conservati in tale numero poichÊ essendo posti di taglio penetrano piÚ profondamente nel corpo di fabbrica e sono anche, di conseguenza, piÚ difficili da asportare.
Diatoni e paramento
Diatoni e paramento
Gli ortostati, giĂ mancanti all'epoca dello studio di Miceli, sono talvolta ricostruibili dall'impronta lasciata sulla malta.
Impronte degli ortostati
Gli ortostĂ ti erano disposti su dodici ricorsi orizzontali, testimoniati da tracce evidenti nel nucleo residuo e confermate dalle posizioni dei diatoni suddetti.
Anche i due elementi superiori sono edificati in opus caementicium, ma con prevalenza di frammenti di sabbia rustica bianca e cotto, con paramento in opus testaceum, ben conservato sui lati esposti a sud, mentre sui restanti si mostra frammentato, pur se ben organizzato in ricorsi orizzontali. I mattoni che compongono il paramento sono semilateres di cm 3,5 di spessore e di cm 22,5 per quanto riguarda il modulo (cfr La Basilica di Massenzio: il monumento, i materiali, le strutture, la stabilitĂ a cura di Carlo Giavarini). Tale caratteristica li rende databili all'epoca claudioflavia, epoca cui, di conseguenza, va inscritta la costruzione del monumento. Le pareti in opus testaceum sono separate in corrispondenza degli spigoli verticali, a causa della perdita degli elementi angolari che probabilmente erano di colore diverso. Gli spigoli erano strutturati a due ordini sovrapposti di paraste, con basi e capitelli, probabilmente di pietra. Tra la base, il secondo e il terzo ordine, e alla sommitĂ , restano tracce evidenti delle trabeazioni di tipo tradizionale (architrave, fregio e cornice), anche se semplificate. Al vertice, una piccola cuspide completava probabilmente l'intera struttura. Dalle foto piĂš antiche se ne intuisce ancora la presenza.
Separazione fra le pareti
La cuspide nelle foto più antiche
L'opus quadratum che costituisce la base è realizzata in pietra calcarea locale, con i conci disposti a strati di altezza uguale a dieci ricorsi di laterizi alternati a quelli di altezza pari a sette ricorsi di mattoni, secondo la disposizione vitruviana in alternis coriis.
La denominazione Torrione è familiare agli esperti di archeologia funeraria, dato che in genere si riferiscono con questo termine ai sepolcri romani sui quali in tempi successivi sono state impostate torri con funzione di avvistamento o di difesa. Miceli non ebbe dubbi che si trattasse proprio di questa tipologia. La presenza della tipica nicchia per l‟inserimento dell‟urna cineraria e del corredo funebre ne è prova stringente. Sepolcri di questo genere sono frequenti in Sabina e in Lazio a partire dal I secolo a. C.. I più famosi sono lungo l'Appia antica ma se ne trovano anche in Abruzzo, a Peltuinum, Alba Fucens, San Benedetto dei Marsi, Corfinium, Ortona.
Mausoleo a torre, Roma, Appia antica
Altri mausolei romani si rintracciano a Foruli, Amiternum e in zona periferica all'Aquila.
Foruli
L‟Aquila, periferia, sepolcro a camera
Quest'ultimo è destinato a più sepolture, è cioè una tomba a camera, mentre quelli di Foruli e Amiternum paiono più simili a basamenti di sepolcri a torre. In epoca romana le tombe erano situate sulle strade consolari o sulle loro traverse, ma in ogni caso si trovavano fuori dalle mura cittadine, poiché era vietato da una delle leggi delle Dodici Tavole promulgate nel 450 a.C.:
TABULA X «HOMINEM MORTUUM URBE NE SEPELITO NEVE URITO» "Non si seppellisca né si cremi all'interno della città alcun morto"
La legge che imponeva di realizzare le sepolture fuori delle mura, assieme all'uso della cremazione, erano pensate per provvedere una maggiore sicurezza dal punto di vista sanitario. Prendendo ad esempio Roma, i cimiteri si incontrano intorno alla città e i più noti sono quelli lungo le vie Latina, Appia e Flaminia. Anche a Pompei le aree cimiteriali si trovano al di fuori delle mura, lungo le strade. Coloro che avevano sufficienti risorse economiche tendevano a edificare il monumento funebre per sé o per la famiglia in prossimità di una strada Consolare o comunque di una via importante in modo che potesse essere visto da tutti coloro che la percorrevano, diventando testimonianza del prestigio e della ricchezza del proprietario. Questa consuetudine era diffusa ovunque in età imperiale ed è perfettamente testimoniata anche in Abruzzo. Varie erano le tipologie funerarie, ma comunque veniva rispettata la consuetudine sopra descritta.
Tipologie funerarie romane di tipo a torre
I sepolcri monumentali di epoca romana presenti nel territorio ad ovest della città dell'Aquila sono nella medesima posizione rispetto al tracciato delle strade, testimoniato da scavi e dalla presenza di ponti quali i ruderi presso Ponte Peschio, presso Coppito e Ponte Nascusci a Scoppito. La ricostruzione degli assi stradali romani nei pressi dell'Aquila è ancora controversa, soprattutto per quanto riguarda il tracciato della Claudia Nova. La presenza di monumenti sepolcrali maestosi potrebbe fornire indizi importanti. Il sepolcro di Amiternum è infatti posto alla confluenza tra la Caecilia e il diverticolo della Salaria che da Amatrice portava nella città sabina. Quello di Foruli è sopraelevato sulla Caecilia stessa, mentre quello di Pitinum (sul retro del complesso Gran Panorama), è sul tracciato della Claudia Nova, che in questo abitato aveva origine. La Claudia Nova costeggiava a sud il torrente Raio, superandolo nei pressi dell'attuale Ponte Peschio e prima dell‟abitato di Pile scavalcava il Vetoio, alla confluenza di questi due fiumi con l'Aterno, lì dove fino a qualche anno fa si vedevano chiaramente tre ponti ad un solo arco di quasi certa epoca romana (attualmente solo due sono visibili, essendo la zona affogata nel cemento). Dal ponte di Pile (dove il Persichetti segnalò il rinvenimento di una pietra miliare conservata nel palazzo Persichetti all‟Aquila), la strada si doveva dirigere a NE verso la località di S.Antonio (ancora oggi questa strada è chiamata via Salaria Antica) e successivamente doveva raccordarsi da un lato all'antico percorso che, attraverso Amiternum, si immetteva nella Salaria nei pressi di Amatrice, dall'altro proseguiva oltre il colle dell'Aquila. Si è ipotizzato che la Claudia Nova procedesse a sud della città, lungo l'attuale via Tancredi da Pentima, a causa della presenza di un tratto di mura poligonali di sostrato alla cinta medievale, ma quest'opera remota non appare essere collegabile alle metodologie romane per la realizzazione di strade. Restano una traccia enigmatica del passato di questo settore della città, almeno fino a quando non si praticheranno ricerche archeologiche più approfondite nell'area. Oltretutto più in alto lungo il pendio vi è un'altra porzione della stessa tipologia muraria.
Mura poligonali di sostruzione alla cinta trecentesca, L‟Aquila, via Tancredi da Pentima
Pare più plausibile che la Claudia Nova percorresse il versante settentrionale della città, dirigendosi verso Aveia evitando la strettoia sull'Aterno fra L'Aquila e la contrada Malepasso (il cui nome indica certamente una pericolosità insita nel passaggio, forse dovuta al fatto che il fiume, a quei tempi molto più ricco nella portata, era in quel punto più facilmente soggetto a esondazioni). Il tracciato potrebbe essere stato vicino alla via Bazzanese (ora sostituita dalla superstrada e ridotta a poco meno di una mulattiera) oppure la strada antica per Paganica, ora sostituita dalla Strada Regionale 17 bis.
Viabilità antica
Che a nord del centro storico aquilano passasse un'arteria importante nell'antichità è testimoniato, quindi, proprio dal Torrione, un monumento funerario di tale mole che non avrebbe avuto senso né sufficiente attenzione se posto su un percorso secondario o, addirittura, fra i campi disabitati. Un tale manufatto aveva lo scopo di essere notato dalla maggior quantità possibile di persone. In più, tal genere di sepolcro era, sempre per le stesse ragioni, vicino ad aree urbanizzate e popolose. Ma nel nostro caso, essendo Amiternum e Aveia lontane, qual era la città vicina? Domanda che necessita di una risposta.
©Beatrice Sabatini