Che Spettacolo 2014 - Numero 09 - Ottobre

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Anno II - Numero 9 - Ottobre 2014

Euro 4,50

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Il ritorno degli Zero Assoluto con un disco «sincero, onesto e immediato», motivato «semplicemente» da «una sana ispirazione» Quinto album («Alla fine del giorno») in 15 anni di carriera per il duo formato da Matteo Maffucci e Thomas De Gasperi, con all'attivo partecipazioni al «Festival di Sanremo» (nel 2006-2007) e centinaia di migliaia di dischi venduti, in attesa di un nuovo tour in tutt'Italia

MUSICA - LE NOVITÀ DEL MESE

Marina Rei Il Cile

LE SIGNORE DELLA CANZONE

Fiordaliso Viola Valentino


Anno II - Numero 9 - Ottobre 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Letizia D'Amato, Roberta Giucastro, Sante Cossentino, Stefano Telese, Andrea Vacchiano, Paola Bosani, Nora Bentivoglio, Tatiana Corvaglia, Valentina Valore, Nando Palazzo, Giovanni Germanelli, Brunella Piacentini e Alessandra Placidi. SI RINGRAZIANO Zero Assoluto, Ilenia Lazzarin, Cristina Moglia, Marina Rei, Il Cile, Riccardo Fogli, Fiordaliso, Viola Valentino, Davide Mengacci, Edoardo Raspelli, Emilio Martire, Candida Livatino, Renata Soli, Paolo Di Sabatino e Noire per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per i contatti e le foto; Fabrizio Cestari per lo scatto di copertina e gli interni degli Zero Assoluto; Jacopo Lorenzini per le immagini di Lorenzo Cilembrini (Il Cile) e l'agenzia “Parole & Dintorni”. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il viaggio. Una metafora che rappresenta un po' il mio percorso, sia giornalistico che letterario, messo a punto in questi anni con passione, sacrifici e tanto amore. Sì, amore per quello che faccio, senza chiedere nulla ad alcuno, mettendomi al servizio degli artisti, dando loro una ribalta, una voce, un momento di risonanza. E spesso, come avrete notato, le interviste sono il mio “cavallo di battaglia”, perché cerco di instaurare con l'interlocutore un incontro (che sia di persona o telefonico) “umano, intenso e fuori dalle solite logiche dell'editoria”. E sapeste finora, in tutti questi anni di carta stampata, quanti personaggi sono saliti “sul mio treno”: quanti sguardi ho incrociato; quante solitudini ho raccontato dietro apparenti sorrisi e quante belle persone mi hanno arricchito. Ogni volta è stata, a mio avviso, unica e irripetibile. Custodisco nel cuore tutto quello che ho ricevuto e, forse, un giorno lo raccoglierò in un libro. Un libro nel quale vivere e far vivere le emozioni, in maniera autentica. “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)” è una “creatura” che non immaginavo mai di incontrare “nel mio viaggio”: mi sembrava troppo, troppo grande rispetto alle mie umili facoltà. Ho lavorato per un quotidiano per decenni, dando puntualmente il massimo. Sono stato direttore di un trimestrale a lungo. Ma mai, dico mai, avrei pensato di prendere il coraggio a quattro mani, come ho fatto nel settembre del 2013, fondando, ideando e dando vita ad una rivista “cucita su misura”, arrivata oggi, di 64 pagine alla volta in 64 pagine, alla sua dodicesima uscita di fila. Un piccolo, grande miracolo, considerando i tempi nei quali ci troviamo. Ma il bello è che, “dietro le apparenze”, non avete minimamente idea cosa mi sia potuto accadere in quest'annata: ho lavorato nelle condizioni più disparate, nei luoghi più impensabili, pur di onorare ogni uscita, ricercando sempre la novità, il personaggio sul quale puntare, il talento da scoprire, spaziando dalla tv al cinema, fino alla musica, al teatro e alla danza. Tante carriere hanno preso il volo dalle mie e vostre pagine. Tante altre sono state “rilanciate” e moltissime non hanno potuto che aumentare la propria popolarità, come Alex Belli e Flavio Insinna, nelle cover degli ultimi numeri. Ho ricevuto le vostre e-mail, gli sms, le telefonate ad attestazione del vostro affetto. Siamo, pian piano, arrivati al prezzo di copertina e il cartaceo è giunto nelle mani di tanti artisti che sono stati ospitati, congratulandosi per il risultato, contenutisticamente ed esteticamente (un ringraziamento va a Benny Maffei, la mia “anima grafica”). Con lo stesso coraggio (e l'incoscienza) degli inizi, ora bisogna andare avanti, anche con fatica, sudore e lacrime: una “creatura” che compie un anno va amata, coccolata, fatta crescere con sentimento e difesa nella sua autenticità, facendole rimanere intatta quell'innocenza dell'infanzia che, in fondo, dovrebbe essere parte di tutti noi. La mia linea editoriale, volutamente “fuori dal coro e dalla sfera voyeuristica”, continuo ad alimentarla giorno dopo giorno, perché vi assicuro che l'identità del mensile si sta facendo strada, anche fra le testate nazionali, alla luce dei riscontri che ho puntualmente. Per ottobre ho deciso di dare ampio spazio alla musica, ad iniziare dalla copertina con gli Zero Assoluto, nuovamente sulle scene (dopo tre anni d'assenza) con l'album “Alla fine del giorno”: Matteo Maffucci parla nella sua intervista di “ispirazione”, di “amicizia” (un sentimento che nutre nei confronti di Thomas De Gasperi) e di “bisogno di essere se stessi”, arrivando direttamente al pubblico. Per non deludervi, viste le numerose richieste, ho mantenuto intatta la mia trovata delle “tre copertine”, ospitando in quelle interne due giovani promesse della recitazione, protagoniste delle soap del momento: sto parlando di Ilenia Lazzarin, la “Viola Bruni” di “Un posto al sole” (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, oltre 2milioni di spettatori in media e il 10% di share) e Cristina Moglia, la dark lady “Rowena Fassbinder” di “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, quasi 3milioni d'audience e il 17% di share). Fate molta attenzione ai loro ritratti: ne rimarrete piacevolmente “coinvolti”. Ancora: sul versante televisivo ci sono Davide Mengacci (in un pirandelliano modo di descriversi, fra “maschera e volto”) ed Edoardo Raspelli, rispettivamente alla guida di “Ricette all'italiana” su Rete4 e “Melaverde” su Canale 5. A seguire: tanti giovani esponenti della nuova generazione cantautoriale come Marina Rei (curioso il suo “Pareidolia”) e Il Cile, in concomitanza a chi ha fatto la storia della nostra canzone (Riccardo Fogli, Fiordaliso e Viola Valentino). E non finisce qui: nell'ultima parte troverete chiacchierate esclusive con Emilio Martire (prossimamente in un tv-movie di Pupi Avati), la grafologa Candida Livatino, la medium Renata Soli, il maestro jazz (noto a livello internazionale) Paolo Di Sabatino e Noire, la nuova promessa del rap italiano. Davvero personalità a 360°, scelte appositamente per voi, per motivare la vostra curiosità nella lettura, custodendo un altro numero irripetibile (anche perché so che state, gelosamente, collezionando ogni edizione della rivista: non posso che esserne entusiasta). Io sto viaggiando nel mio universo, cercando di lasciare una piccola traccia del mio operato e voi mi state accompagnando. Di conseguenza, cari amici, buon viaggio a tutti. All'orizzonte del mio cuore. Gianluca Doronzo


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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Ilenia Lazzarin e il suo «posto al sole» in tv da ben 14 anni, nella speranza di interpretare sempre storie che «facciano immedesimare il pubblico» Incontro con l'attrice che veste i panni di «Viola Bruni» nella storica soap di Raitre (dal lunedì al venerdì, ore 20.30, oltre 2milioni di spettatori in media col 10% di share), di grande seguito per «le tematiche attuali», in un «mix di freschezza, commedia, dramma, mélo e affiatamento del cast»

TV E CONDUZIONE

Davide Mengacci Edoardo Raspelli I MAESTRI FRA LEGGERA E JAZZ

Riccardo Fogli Paolo Di Sabatino


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Zero Assoluto «Fare musica è per noi vitale: senza cuore, anima e passione, non avremmo costruito un percorso così intenso nel tempo»

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Ilenia Lazzarin «Tv, teatro e cinema: ecco, a mio avviso, la vera grande bellezza dell'essere artisti in Italia» 8 IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Cristina Moglia «Sono le storie e gli attori il segreto del successo di una soap: col nostro lavoro corale e sincero ne siamo un esempio»

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MUSICA - IL RITORNO Marina Rei «Nel mio nuovo album sento di aver vissuto piena libertà nella mia urgenza espressiva, in un bisogno di valori essenziali e comprensione della diversità»

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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA Il Cile «La mia generazione dovrebbe tramutare la rabbia in propositi costruttivi: io lo faccio attraverso la musica, credendoci profondamente» IL SIGNORE DELLA CANZONE ITALIANA Riccardo Fogli «Oggi sento di avere tanta energia, per affrontare nuove imprese artistiche: sono pronto a vivere qualsiasi emozione, dalla musica al teatro» LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA Fiordaliso «Sono in un momento di assoluta serenità artistica: ho 33 anni di carriera alle spalle e molta voglia di continuare» LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA Viola Valentino La classe e l'eleganza? Hanno il nome e il portamento di Viola Valentino, «un artigiano al servizio dell'arte» che, con umiltà e impegno, ha lasciato traccia di sè nel cuore del pubblico

IL SIGNORE DELLA CONDUZIONE Davide Mengacci La maschera e il volto di Davide Mengacci: storia «di un personaggio che non ha mai voluto farsi conoscere come persona»

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TV - L'INCONTRO Edoardo Raspelli «Nella mia vita non posso rinunciare ai quotidiani e a fare la televisione: spero di rimanere in video il più a lungo possibile»

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TRA FICTION E CINEMA IL TALENTO IN ASCESA Emilio Martire «Avere talento vuol dire cercare di fare qualcosa nel migliore dei modi: io vorrei continuare a crescere come attore, magari con una parte da protagonista al cinema»

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LA GRAFOLOGA DEI VIP Candida Livatino Candida Livatino e «le sfumature della scrittura» dei vip, fra personalità decise, commozione e «fragilità insospettabili»

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LA MEDIUM DEI VIP Renata Soli «Ho sempre messo le mie facoltà al servizio di chi ne ha avuto bisogno, senza mai giocare sui sentimenti o sulle debolezze umane»

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IL MAESTRO DELLA COMPOSIZIONE JAZZ Paolo Di Sabatino «La musica è indispensabile alla nutrizione dello spirito: le emozioni legate all'arte ci aiuteranno ad uscire dalla situazione di stallo, nella quale siamo finiti» 56 MUSICA - LA RIVELAZIONE DEL RAP Noire La fresca ironia di Noire, «fra incoerenze e casualità», in uno scenario scandito dal bisogno di raccontarsi, per capirsi «oltre le apparenze»

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La «rinascita» di Cristina, con la consapevolezza di essere diventata un'attrice matura, in grado di affrontare i ruoli più diversi, magari«anche sul grande schermo» La Moglia, dopo tante fiction «made in Italy», è entrata a far parte del cast di «Centovetrine» (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, quasi 3milioni di spettatori in media e il 17% di share), animando la dark lady «Rowena Fassbinder», un personaggio «molto più fragile e umano di quanto possa sembrare»

I TALENTI IN ASCESA

Emilio Martire Noire GRAFOLOGA E MEDIUM DEI VIP

Candida Livatino Renata Soli


Zero Assoluto


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Gli Zero Assoluto (Matteo Maffucci e Thomas De Gasperi) stanno scalando le classifiche con il quinto album in carriera («Alla fine dei giorno»), convinti che «i talent siano delle grandi macchine di intrattenimento televisivo» e, soprattutto, che «l'amicizia sia un valore unico, da alimentare e custodire gelosamente negli anni»

«Fare musica è per noi vitale: senza cuore, anima e passione, non avremmo costruito un percorso così intenso nel tempo»

Sono “semplicemente” tornati, all'insegna di un disco “sincero, onesto e immediato”. E il pubblico non ha potuto che premiarne “una sana ispirazione”, facendogli conquistare in poche settimane la vetta delle classifiche. Per gli Zero Assoluto è un momento di grandi soddisfazioni, a tre anni di distanza dall'ultimo cd pubblicato: “Alla fine del giorno” è entrato subito nel cuore degli ascoltatori, dimostrando quanto “il sentimento” sia la vera chiave di volta dei pezzi scritti (alcuni in collaborazione con Ermal Meta e Stefano Scandaletti, fra gli altri). Già in estate il singolo “All'improvviso”, in rotazione radiofonica, ne aveva anticipato l'estrema pulizia e autenticità nella composizione, facendo ben sperare sul futuro. Premesse per nulla smentite. Al telefono Matteo Maffucci chiacchiera amabilmente, spaziando dalla genesi del lavoro al ventennale rapporto amichevole con Thomas De Gasperi (“siamo come una sorta di famiglia, pronti a condividere qualsiasi avventura”), dichiarando quanto i “talent siano delle grandi macchine di intrattenimento televisivo” e, magari, sperando in una nuova partecipazione al “Festival di Sanremo” targato Carlo Conti (“stiamo mettendo giù altri pezzi: se ci fosse quello giusto, perché no?”). L'importante è che protagonista sia “sempre la musica, per noi un procedimento necessario e vitale per andare avanti”. In concomitanza a “sinergia e

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passione”. Domanda – Matteo, 5 album in 15 anni di carriera: in che modo definirebbe “Alla fine del giorno” e a che punto del vostro percorso arriva? Risposta – Il nostro è un disco sincero, onesto e immediato. Ben inteso: non che gli altri non lo fossero, ma questo trovo sia molto intimo e sentito. Come dire: ci appartiene nel profondo. Rispetto a tre anni fa siamo decisamente cresciuti e le canzoni scritte sono state generate da storie realmente vissute, con un taglio e una cifra molto semplici e d'impatto, fra veridicità e lealtà. Ritengo che l'ispirazione sia stata la nostra chiave di volta, il leitmotiv. In quanto alla seconda parte della sua domanda, non posso che risponderle dicendole che “Alla fine del giorno” fotografa come in un fermo immagine quanto sta accadendo, non solo a noi, ma direi alla nostra generazione. Un disco che si racconta e racconta è sempre, a mio avviso, una vittoria. D . – Avete dichiarato, in occasione della presentazione del vostro lavoro: “Per noi il pop è una cosa seria. Questo è il disco in cui ci siamo esposti di più”. R . – Io penso davvero che il pop sia una cosa seria: l'immediatezza di un brano è impagabile rispetto a qualsiasi altra trovata a tavolino. Noi siamo quello che siamo, senza filtri o sovrastrutture: la spontaneità della nostra musica è l'identità che ci contraddistingue. Cerchiamo sempre di fare del meglio e, a nostro avviso, ci esponiamo ogni volta mettendoci in gioco. Dando il massimo al nostro pubblico. D . – Fra i vari brani, figurano collaborazioni con Ermal Meta (“All'improvviso”) e Stefano Scandaletti (“Dove”), fra gli altri. In base a quali criteri scegliete gli autori che vi affiancano? R . – Sempre da un punto di vista umano: si tratta di persone che conosciamo e, soprattutto, apprezziamo nella totalità del loro universo espressivo. Da non dimenticare che da parte nostra è importante il cuore: si creano delle sinergie uniche e irripetibili con persone, con cui poi decidiamo di collaborare, condividendo un pezzo e, appunto come le dicevo prima, un'ispirazione. D . – Lei e Thomas vi conoscete da più di 20 anni: avete, pertanto, trascorso gran parte della vostra vita assieme. Un caso più unico che raro d'amicizia, visti i continui tradimenti e le fragilità nei rapporti umani. R . – Thomas è un mio amico e di conseguenza, caro Gianluca, non posso che essergli fedele e stargli accanto. Si può dire che noi abbiamo finora condiviso gran parte della nostra vita assieme: l'amicizia è un grande impegno e va alimentata col sentimento, la perseveranza e il rispetto. Essere sulla stessa linea d'onda in merito alla musica per noi è naturale, senza alcuno sforzo. Viviamo in una simile direzione, all'unisono e in sinergia. D . – Non è da tutti quello che sta dicendo: le sue dichiarazioni rivelano un animo sensibile e sincero, esattamente come nelle canzoni. R . – La ringrazio per la constatazione, ma le ribadisco che è naturale quanto le sto dichiarando. Noi facciamo spesso le stesse cose nella vita, condividiamo tanto tempo anche al di fuori delle scene e proviamo una grande soddisfazione nel

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mettere a punto il nostro lavoro. L'affetto e l'amicizia ci appartengono, quasi fossimo da sempre una famiglia. D . – Matteo, la sua carriera letteraria come procede? R . – Partiamo dal presupposto che i libri hanno bisogno di tempo per essere scritti, generati e messi a punto nel migliore dei modi. Di sicuro continuerò a pubblicare, ma per il momento provo molta soddisfazione nel redigere articoli per “Vanity Fair”, ad esempio. Per il futuro si vedrà, senza fasciarsi troppo la testa o avere grandi aspettative. D . – Qual è la sua opinione sui cosiddetti “talent show”? R . – I “talent show” sono grandi macchine di intrattenimento televisivo. Vanno bene nella misura in cui consentono realmente a sane carriere di decollare. Avere talento, a mio avviso, vuol dire essere determinati nel portare avanti un progetto con tutta la propria forza, dando il meglio di sé. Per costruire un sano e duraturo percorso nella vita, bisogna capire, crederci e non farsi sconfortare dalle porte sbattute in faccia. Se si ha un sacro fuoco, prima o poi qualcosa accade. Di sicuro. D . – Su chi punterebbero oggi gli Zero Assoluto, se vestissero i panni dei discografici? R . – Non lo so, non lo so. Non mi ha personalmente mai divertito il gioco del discografico. Certamente se ci fosse, a mio avviso, qualcuno veramente valido da poter far emergere, mi adopererei in questa direzione, ma non è la mia velleità principale nella vita. Preferisco fare musica e avere qualcosa da raccontare attraverso le canzoni e il nostro universo. D . – Il “Festival di Sanremo” targato Carlo Conti potrebbe essere nei vostri progetti? R . – E chi lo sa? Stiamo scrivendo nuovi brani e se ci fosse davvero un pezzo forte da presentare sul palco dell' “Ariston”, perché no? Mai dire mai. D . – Cosa vi piacerebbe potesse essere compreso di “Alla fine del giorno”? R . – La genuinità della nostra ispirazione. Senza ombra di dubbio. D . – E come vorreste potesse proseguire il vostro percorso? R . – Continuando a fare musica, per noi un procedimento necessario e vitale per andare avanti. Oserei dire quasi un bisogno fisiologico. Il tutto sempre all'insegna del cuore, del sentimento e della passione. D . – Siamo quasi alla conclusione della nostra chiacchierata: se vi doveste riflettere allo specchio oggi, che immagine verrebbe fuori? R . – Siamo un soggetto molto sano, oserei dire. Possiamo senza ombra di dubbio ritenerci soddisfatti del nostro percorso, ricco di sorprese, riconoscimenti e gratificazioni del pubblico. Ne verrebbe fuori, a mio avviso, un'immagine edificante. D . – Bene, bene. Giusto un'ultima battuta, Matteo: Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – (Dopo una risata comune, ndr) Non mi ha sottratto nulla: non mi sento “stuprato” o “violentato” da questa intervista. Per niente. Anzi: è stato puntiglioso, meticoloso ed empatico. Complimenti! Gianluca Doronzo

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Ilenia Lazzarin


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Ilenia Lazzarin racconta la sua «Viola Bruni» in «Un posto al sole» (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, oltre 2milioni di spettatori in media col 10% di share), sognando di fare «film, fiction e pièce in cui diventare trasversale, crescendo giorno dopo giorno»

«Tv, teatro e cinema: ecco, a mio avviso, la vera grande bellezza dell'essere artisti in Italia»

“Tv, teatro e cinema: in Italia abbiamo davvero enormi potenzialità. Questa, a mio avviso, è la grande bellezza dell'essere artista”. Ilenia Lazzarin è una giovane esponente dell'attorialità “made in talento”, con sani principi e tanta voglia di “crescere e mettersi in discussione”. Da ben 14 anni a questa parte veste i panni di “Viola Bruni” nella soap “Un posto al sole” (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, oltre 2milioni di spettatori in media col 10% di share), interpretando storie “di grande attualità, nelle quali il pubblico si riconosce”, contribuendo ad alimentare un autentico senso di “affiatamento nel cast, quasi si fosse una famiglia”. Fra una risposta e l'altra, in una sorta di fiume in piena, arriva a riflettere, metaforicamente allo specchio, l'immagine di una “donna in evoluzione”. E dalle sue profonde parole ne scoprirete “il perché”. Domanda – Ilenia, dal 2001 è nel cast della soap “Un posto al sole” (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, oltre 2milioni di spettatori in media col 10% di share), nei panni di “Viola Bruni”: che bilancio sentirebbe di fare? Risposta – Proprio vero che il tempo è passato: da ormai 14 anni faccio parte di questa bellissima soap e le assicuro che ogni giorno è diverso dall'altro. Non c'è mai monotonia, si respira sempre entusiasmo con i colleghi, si vive davvero un'avventura puntualmente diversa in ogni episodio. Io ho un'età molto simile a quella del mio personaggio: cresciamo in contemporanea e portiamo avanti dinamiche esistenziali molto vere, quotidiane e di grande immedesimazione col pubblico. Davvero una gran bella avventura. Concludo solo in merito ai dati d'ascolto: lei ha giustamente parlato di oltre 2milioni di spettatori, ma vorrei dire che un tempo ne facevamo ben 3milioni e mezzo perché non c'erano il digitale, il web e tutti gli altri canali a pagamento. Di conseguenza è come se noi avessimo sempre lo stesso pubblico, quasi non fossimo mai scesi da quelle cifre iniziali. D . – Assolutamente: il vostro seguito è rimasto invariato, si sono solo moltiplicati i canali di fruizione e il web è diventato un mezzo di comunicazione dominante. Fatto sta che per Raitre siete un punto di forza: quale, a suo avviso, il segreto del successo? R . – Il segreto del successo di “Un posto al sole” ritengo sia nell'attualità: quanto raccontiamo è contemporaneo a chi lo vede. Giriamo sei mesi prima per arrivare al momento giusto, sviscerando le dinamiche che i telespettatori vivono nelle giornate della messa in onda. Gli autori sanno essere molto lungimiranti, anticipando gli eventi. Affrontiamo, ad esempio, l'emergenza rifiuti, di scottante contingenza. Da non sottovalutare poi la freschezza: abbiamo dell'action, del mélo, della commedia e del dramma, riflettendo anche su casi scottanti legati alla cronaca. E poi, non ultimo, un grande affiatamento nel cast. Cosa non così comune, quando si lavora con altri. D . – Quello che lei sostiene sul “grande affiatamento” nel cast è stato ribadito, tempo fa, da Nina Soldano in una mia intervista. Vuol dire, allora, che siete proprio uniti sul set. R . – Assolutamente. Siamo come una famiglia e ci vogliamo bene reciprocamente, aiutandoci l'un l'altro. Davvero “Un posto al sole” ci regala tante emozioni. D . – Ilenia, entriamo nel merito di una questione che sto affrontando spesso e volentieri con i suoi colleghi: gli attori

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delle soap il più delle volte sono bistrattati, considerati di serie b, sebbene abbiano formazioni teatrali e percorsi di tutto rispetto. Si tratta di un pregiudizio particolarmente italiano, no? R . – Sicuramente c'è nei nostri confronti quest'occhio un po' più critico. Io partirei innanzitutto dal presupposto che i tempi di lavorazione sono ben diversi, ad esempio, dal cinema: lì si punta più sulla qualità, da noi in un giorno abbiamo più scene ed è logico che se ti concentri su poco, hai modo di farlo venire meglio. A mio avviso, tuttavia, gli attori bravi sono tali a prescindere dal mezzo col quale decidono di esprimersi: c'è chi fa della versatilità il proprio motivo conduttore, esulando dal piccolo o grande schermo. In realtà, per dirgliene una, non credo che i teatrali siano sempre i migliori per le soap, in quanto hanno tempi diversi, più accademici e impostazioni non sempre all'unisono con la tv. C'è il rischio che rallentino una lavorazione, anziché renderla dinamica. Sul palco sei rigoroso, fai un lavoro sulla voce in modo da arrivare anche all'ultima fila. La tv è più popolare, d'impatto, senza filtri. Ora, detto questo, più che un pregiudizio trovo ci sia un'etichettatura nei confronti degli esponenti delle soap. Se, però, ci si guardasse attorno, all'estero magari, si potrebbe imparare tanto sulla concezione dell'essere artista. D . – A proposito di teatro, lei ne ha fatto nel 2014, animando

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la pièce “Come sopravvivere ai lavori in casa”: che esperienza è stata? R . – Esatto: l'ho fatto a maggio. L'ho trovato bello, divertente ma estremamente faticoso. Tra l'altro, non è stato facile incastrarlo con i tempi di “Un posto al sole”: per cui di sera studiavo e di notte facevamo le prove. Un'avventura edificante, ma molto impegnativa. Da ripetere con i tempi e le giuste modalità. D . – Qual è, Ilenia, il suo punto di vista sulla fiction italiana, essendo stato un genere da lei praticato negli anni? R . – A me la fiction piace tanto: diciamo che, forse, quella italiana ha la pretesa di emulare la cifra americana, ma noi non abbiamo né i mezzi, né i tempi, men che meno i soldi per permettercelo. Va bene invece se fai un prodotto tipo “Orgoglio”, o una saga sulla Sicilia, su Napoli, su “Vallanzasca” o altro tipo “Romanzo criminale” e “Gomorra”. Io sono italiana e non voglio andare negli Stati Uniti per fare ciò che qui si potrebbe mettere a punto, rispettando la nostra identità. Per cui, io dico: tiriamo fuori quello che sappiamo e possiamo fare, valorizzando le nostre risorse e potenzialità. Se si racconta quello che siamo, non si bluffa mai. D . – E il cinema italiano? R . – Lo adoro, vorrei farne tanto, ma c'è sempre poca roba in giro ed è troppo ristretto ad un'esigua cerchia di persone,


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R . – Mi vedo come una donna in evoluzione. Sì, questa è la metafora che mi rappresenta meglio. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – A mio avviso la sua intervista, caro Gianluca, pone un aspetto riflessivo nei confronti dell'artista, invitandolo e motivandolo a fare un po' il punto della situazione sul suo percorso, tirando le somme. Di conseguenza non sottrae nulla, bensì dà. D . – Grazie, Ilenia. Riflettere, in tempi celeri come quelli nei quali stiamo vivendo, è un po' una rarità. R . – E che ben vengano questi momenti. Siamo sempre talmente tanto in movimento e di corsa, da fermarci molto raramente, per capirci e comprenderci. Gianluca Doronzo

puntualmente le stesse. Se ci fossero più cultura e creatività, sarebbe bello per tutti noi, creando delle occasioni di lavoro anche con poco. Registicamente parlando, adoro i vari Sorrentino, Verdone e Garrone. A me di loro piace tutto, ma proprio tutto quello che hanno fatto e fanno. D . – Di conseguenza ha apprezzato “La grande bellezza”, il film “Premio Oscar” di Sorrentino? R . – Tanto, mi è piaciuto tanto. Forse un po' lungo, ma gli americani hanno visto proprio giusto scegliendolo e premiandolo. Lo trovo talmente pieno di metafore e di verità, da doverlo vedere più volte per cogliere tutte le sottigliezze nascoste. D . – Bene, Ilenia: a che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Io, caro il mio amico, mi sento a buon punto: diciamo che passo da momenti in cui ho grandi ambizioni ad altri nei quali sono soddisfatta di quello che ho, senza desiderare altro. Ad esempio, sono molto appagata dal mio personaggio in “Un posto al sole”: è difficile staccarsi di dosso qualcosa che ti calza a pennello, in cui ci stai bene oltremodo. Sento di avere, in quello che decido di fare, la forza dell'artista e la gratitudine del pubblico, che non ha prezzo. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che modo si rifletterebbe Ilenia Lazzarin?

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Cristina Moglia


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La sua «dark lady» sta conquistando il pubblico di «Centovetrine» (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, quasi 3milioni di spettatori in media col 17% di share), dopo tante interpretazioni nella fiction italiana: Cristina Moglia e la sua stagione «di luce», convinta che il cinema si stia «umanizzando» e il teatro possa essere una nuova impresa stimolante (col monologo «Lettera a un bambino mai nato» della Fallaci)

«Sono le storie e gli attori il segreto del successo di una soap: col nostro lavoro corale e sincero ne siamo un esempio»

Oggi sente di essere in un momento di “consapevolezza, coscienza e luce”. E come darle torto, in virtù della estrema versatilità messa a punto nella sua carriera? Studi attoriali a Los Angeles e Sidney; fiction di successo (da “La stagione dei delitti” a “Distretto di polizia”); film, teatro (“ho esordito proprio sul palco”) e soap (da “Un posto al sole” a “Vivere”). La nuova avventura di Cristina Moglia ha il nome di “Rowena Fassbinder”, una sorta di “dark lady” (tutta da scoprire, con “aspetti anche di estrema fragilità e un taglio quasi cinematografico”) all'interno di “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, quasi 3milioni di spettatori in media e il 17% di share), con buone attestazioni di pubblico e critica. Ripercorrendo i tratti salienti del suo itinerario, al telefono si lascia andare quasi fosse con un amico di vecchia data, dichiarando di aver “affidato la propria anima” nel racconto, con la certezza di “essere stata ascoltata”. Cos'altro desiderare? Domanda – Cristina, da poco è entrata a far parte del cast di “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, quasi 3milioni di spettatori in media e il 17% di share) nei panni della misteriosa “Rowena Fassbinder”: cosa aspettarci dal suo personaggio? Risposta – Per me si è trattato di un personaggio abbastanza diverso dal solito: mi è stato proposto come una “dark lady”, ma in realtà è molto più sfaccettato e articolato di quanto si

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possa credere. Apparentemente “Rowena” è una donna aggressiva e forte: nel tempo, senza che io scopra dettagli particolari, rivelerà le sue profonde fragilità, avversando il pregiudizio di “cattiva”. Come dire: ha una sorta di corazza che la fa sembrare in una maniera errata, rispetto alla sua precisa identità. Il tutto a causa di tanti dolori vissuti nel passato. Ammetto di aver lavorato sui particolari, sul “quid”, motivandomi ad una resa molto suggestiva, a mio avviso. Infine le confesso che, quando sono stata invitata ad entrare a far parte del cast di “Centovetrine”, mi sono resa conto di dare vita ad una performance quasi cinematografica nella scrittura. Di conseguenza non ho potuto fare a meno di accettare. D . – Lei non è nuova a partecipazioni nelle soap: nel suo passato figurano anche “Un posto al sole” e “Vivere”. Quali differenze ha riscontrato? R . – In “Un posto al sole” ero piccola: vivevo in una sorta di palestra televisiva, nella quale farmi le ossa. Ma ammetto che mi è servita tanto. In “Vivere” sono stata poco e avevo lo stesso produttore di “Centovetrine”, dove sono oggi con mia grande gioia, respirando quasi un senso di famiglia, di affiatamento e di passione. Nelle storie che raccontiamo mettiamo in primo piano i sentimenti, rarità nello scenario mediatico. D . – Visto che ha parlato di “racconto dei sentimenti”, ritiene sia questa una delle chiavi vincenti del segreto del successo di “Centovetrine”? R . – Io credo che siano sempre gli attori e le storie a fare la differenza: di sicuro i grandi sentimenti che descriviamo sono davvero un punto di forza della soap. Quando c'è verità, caro Gianluca, non si sbaglia mai. D . – Ben detto, Cristina. Rimanendo in tema seriale: qual è il suo punto di vista sulla fiction italiana? R . – Ne ho fatte tante, anche da protagonista. Ne seguo alcune, ma ammetto di appassionarmi a quelle americane, soprattutto sul crimine. Detto questo, non posso fare a meno di constatare come in Italia ci siano bellissime produzioni tipo “Squadra antimafia” o “Distretto di polizia”, a cui ho anche preso parte. Se, tuttavia, si osasse di più, non sarebbe male. D . – Diciamo che, forse, qualcosa sta accadendo con “Un'altra vita” di Cinzia Th Torrini, con oltre 7milioni di spettatori in media su Raiuno e il 30% di share. R . – Bravo, avevo dimenticato di nominare Cinzia Th Torrini: lei sta rischiando e il pubblico la sta premiando. Ha fatto, a mio avviso, proprio un bel lavoro, tutto al femminile. D . – Un ricordo dei suoi studi a Sidney e Los Angeles? R . – A Los Angeles avevo 16 anni: ero veramente piccola e vivevo tutto con gran stupore. In Australia ne avevo 18. Devo dire di aver portato avanti un gran lavoro sulla mia timidezza. Lì ho fatto anche fotografia, ma voglio raccontarle un aneddoto legato a Sidney: un giorno presi un taxi e, parlando con il conducente, scoprii che si trattava di un ragazzo che voleva fare l'attore. Mi diede, pertanto, l'indirizzo della scuola che avrebbe voluto frequentare: mi iscrissi e vi rimasi per ben due anni e mezzo. Un episodio curioso che potrebbe ricordare il film “Taxisti di notte”, ma tutto è iniziato proprio così. Che bello! D . – Il suo punto di vista su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, film “Premio Oscar”? R . – Sorrentino è un grande regista: trovo che con “La grande bellezza” abbia rischiato molto, dimostrando di conoscere

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

bene la musica, l'obiettivo della dinamica della storia da raccontare e le trame di fondo della decadenza romana. D . – Qual è, pertanto, il suo punto di vista sul cinema italiano? R . – Diciamo che negli ultimi quattro anni si stanno sviluppando belle cose nel nostro cinema, anche in maniera molto diversa fra loro. In Italia si va un po' a filoni: c'è stato il periodo dei film comici dei toscani, quello delle pellicole di ricerca e l'altro sul sociale. Credo che il grande schermo oggi si stia, per così dire, umanizzando. Ciò non può che farci bene. D . – Teatralmente cosa le piacerebbe fare? R . – Il teatro ci poteva essere fino a tre, quattro mesi fa, quando mi è stato proposto di fare un monologo tratto da “Lettera a un bambino mai nato” della Fallaci. Per il momento ho accantonato il progetto, fermo restando che io ho iniziato il mio percorso attoriale proprio sul palco: è come, per farle capire, se io dovessi superare il blocco che mi si pone dinanzi ad una scelta così forte, come quella di animare un testo intenso e struggente. Devo prima lavorare su me stessa e poi proporlo al pubblico. D . – Chiaro quello che dice, Cristina. Ogni cosa a suo tempo: adesso vive la sua stagione a “Centovetrine”. Se dovesse,

tuttavia, fotografare questo momento, a che punto sentirebbe di essere? R . – In questo preciso momento avverto di essere un po' in una “rinascita”. Adesso sento di essere un'attrice che può fare di tutto, che crede di aver raggiunto un certo tipo di maturità, mettendosi in discussione magari in una bella storia, possibilmente cinematografica. D . – E metaforicamente, allo specchio, che immagine verrebbe fuori? R . – Oggi vedrei: consapevolezza, coscienza e, finalmente, luce. Ho capito le cose importanti della mia vita, le priorità e non ne posso più fare a meno. D . – Cristina, è stato un vero piacere chiacchierare con lei. Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto? R . – (Scoppia una sonora risata, ndr) In realtà mi è stato dato tanto, vivendo un autentico scambio di energie e di verità. Io le ho affidato la mia anima, raccontandomi, e lei mi ha consentito di essere ascoltata: il che non è poco. Gianluca Doronzo

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Marina Rei


MUSICA - IL RITORNO

Marina Rei ha fatto la sua rentrée sulle scene musicali col nono disco in carriera, intitolato «Pareidolia», preceduto dal singolo «Lasciarsi andare», dimostrando la maturità di una cantautrice «fuori dal coro», avulsa da tv e concezioni modaiole da «talent»

«Nel mio nuovo album sento di aver vissuto piena libertà nella mia urgenza espressiva, in un bisogno di valori essenziali e comprensione della diversità»

“Sento di aver vissuto libertà nella mia urgenza espressiva”. Con una dichiarazione particolarmente testamentaria rispetto al suo percorso esistenziale, Marina Rei ha fatto la sua rentrée sulle scene musicali, pubblicando l'album “Pareidolia”, preceduto dal singolo in rotazione radiofonica “Lasciarsi andare”. In primo piano una maturità compositiva e di scrittura, con una spiccata personalità, al di fuori degli schemi promozionali televisivi, da “talent voyeur” o modaioli. Nei suoi brani c'è una dichiarata volontà di “raccontarsi”, andando al di là del prevedibile, con un chiaro bisogno di “verità”. Incontrarla per un'intervista non può che essere un momento di estremo arricchimento per chi l'ascolta, “senza filtri e sovrastrutture”. Domanda – Marina, nove album all'attivo (otto in studio e un “live”), diversi riconoscimenti conseguiti nella sua carriera e un exploit nel '96 a “Sanremo” con “Al di là di questi anni”. Nel suo percorso ha maturato continui cambiamenti, affrontando sonorità trasversali, mai prevedibili: oggi è tornata ad animare le scene musicali con “Pareidolia”, preceduto dal singolo “Lasciarsi andare”. Qual è stata la genesi del nuovo lavoro e, soprattutto, a che punto del suo itinerario artistico e personale arriva? Risposta – Grazie, innanzitutto, per il preambolo descrittivo: diciamo che con questo disco è come se si chiudesse un cerchio ed avesse forma un nuovo inizio, spirituale e compositivo, anche se in realtà, oggi come oggi, mettere a punto un'impresa

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discografica comporta numerosi rischi, alla luce della crisi del mercato. Non è diventato particolarmente gradevole lo spettacolo musicale, soprattutto a livello televisivo e l'inflazione mediatica alla quale stiamo assistendo davvero ci porta fuori binario: io, lo ammetto, non mi riconosco in questo sistema vorticoso e, per scelta, ho deciso di rimanerne fuori, pur di essere me stessa e preservare la mia identità. Sembra quasi che noi cantanti/cantautori siamo diventati un po' l'ultimo fanalino di coda, quando siamo ospitati in una trasmissione: una sorta di contorno, che non ci rende assolutamente onore. Io mi sento abbastanza soddisfatta di quanto fatto finora. Lei nel prologo alla sua intervista ha parlato di “Al di là di questi anni”: io sono partita con grande soddisfazione proprio da lì e parliamo, in sostanza, di un ventennio fa, in cui si dava la giusta importanza a quello che si scriveva e interpretava. Adesso c'è un grande mercato di artisti, di dischi, di realtà musicali, che non passano magari dal piccolo schermo, ma hanno un'enorme risonanza in altri circuiti, di tutto rispetto. Concludo dicendo che, a mio avviso, il sistema discografico è troppo legato alle tv e radio: ciò non va bene, in quanto bisognerebbe respirare un po' tutti i sapori dell'universo. Io faccio musica da sempre, provenendo da una famiglia (dai miei nonni in primis) nella quale le sette note erano di casa. Con “Pareidolia” sento di aver vissuto libertà nella mia urgenza espressiva.

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D . – Vivere “la libertà nella propria urgenza espressiva”: un principio davvero raro nello scenario odierno, condizionato da troppi diktat. R . – Lo ribadisco: ho insistito nel voler fare questo disco. Ho affrontato un anno di lavoro serio, intenso e ricco di gratificazioni. Credo sia un atto di enorme responsabilità mettersi in discussione perseguendo la propria cifra, quello che si è. A mio avviso questa è la rivoluzione della quale abbiamo intimamente bisogno. D . – Tra l'altro, Marina, non solo dalle sue parole si percepisce l'essere “fuori dal coro”, ma anche lo stesso titolo del disco è controcorrente: ci spieghi cos'è, per chi non lo sapesse, la “pareidolia”? R . – La “pareidolia” è lo scorgere figure umane fra le nuvole ma, più in generale, significa proprio dare un volto e un senso a ciò che, apparentemente, non ne ha. La cosa che a me interessava con un simile titolo era l'enorme libertà di trovare ciò che altri non vedono in una situazione, motivando un approfondimento nella vita di tutti i giorni. Siamo un po' troppo abituati a soffermarci e a farci “colpire” da quello che è visibile agli occhi. Difficilmente abbiamo pazienza di andare “oltre” il prevedibile, scegliendo qualcosa di diverso. Nei rapporti interpersonali spesso non si va in profondità e, a mio avviso, c'è una sorta di maleducazione a non capire, comprendere e scorgere la diversità. Ecco il senso della mia


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“pareidolia”. D . – Una scelta coraggiosa la sua, mi creda. R . – Direi abbastanza coraggiosa, fondamentalmente controcorrente e, per così aggiungere, giocata sulla dichiarata voglia di libertà d'interpretazione, rispetto a quello che si cataloga in una certa maniera. D . – Bene: espresse queste coordinate, entriamo nel merito (metaforicamente) della nostra, parafrasando il titolo del suo album, “pareidolia”: fare musica oggi cosa vuol dire? R . – Fare musica è la mia vita: sono cresciuta in questa direzione e, di conseguenza, mi trovo a mio agio quando sono assieme ai musicisti, a chi scrive e compone. Per alcuni è un lusso, per altri è l'accompagnamento alla propria esistenza, una sorta di colonna sonora. Purtroppo, le ribadisco quello che in sostanza le ho anticipato prima: c'è una sorta di maleducazione diffusa a considerarla solo in concomitanza alla tv, offrendo un messaggio sbagliato. Non si può crescere, ragazzi, credendo che tutta l'offerta del mercato sia sinonimo di tubo catodico. Ci vorrebbe nelle scuole, secondo me, almeno un'ora di educazione alla visione televisiva, in modo da strutturare le future generazioni rispetto a quello che fagocitano. Poi, per carità: io ci sono stata anche “sotto” quei riflettori e non rinnego nulla. Ma la vita è un'altra cosa. D . – Un tempo in tv c'erano molti programmi musicali, dal “Festivalbar” a “Top of the pops”, pronti a dare tante occasioni di promozione agli artisti. R . – Guardi, Gianluca, quello che lei dice è verissimo: davano delle possibilità di promozione, ma spesso erano in playback e non dal vivo, per cui l'artista si sentiva mortificato a parteciparvi. Il mio mestiere è bello farlo proprio per il contatto diretto col pubblico, per la vivacità del rapporto che si crea col fan, con lo spettatore che ti segue. D . – Concordo con quanto lei sostiene, ma sta di fatto che c'erano più spazi per farsi conoscere. Oggi ci sono fondamentalmente solo i “talent show”: a proposito, che ne pensa? R . – Oggi come oggi non si dà più importanza al talento vero e proprio: i discografici scelgono i personaggi sui quali puntare. Troppi ragazzi che hanno partecipato ai cosiddetti “talent” sono scomparsi dal video e, soprattutto, dal mercato discografico, profondamente in crisi. Credere in un artista, secondo me, vuol dire accompagnarlo nel suo percorso e non nella sua scalata alle classifiche. A me, in fondo in fondo, quello che preoccupa un po' è lo scopiazzare ciò che avviene “oltre i confini” nazionali, evincendo una profonda mancanza di personalità e di idee da parte nostra. Se ci pensa, i palinsesti fanno diventare l'unica ragione di vita i “talent”, monopolizzando l'attenzione su quanto vi avviene 24 ore su 24, al di là del serale o del programma in sé, soprattutto perché si ha una gran voglia di guardare “dal buco della serratura” quello che succede. Mi dica lei se questa è arte? Tutto ciò è decisamente mortificante, legato ad un sistema mediatico che trita ogni cosa incondizionatamente. Credo sia davvero giusto dare un'altra visione dell'Italia, da un punto di vista culturale. Ragazzi, a noi invidiano molto di quello che abbiamo, ad iniziare dalla Costituzione. Siamo nel mondo portatori sani di musica, arte e cultura: perché non valorizzare tutto quello che c'è di buono, piuttosto che dare spazio al peggio del peggio? Non riesco, Gianluca, sinceramente a capire questo modo di

fare. D . – Marina, la verità è che a fare notizia spesso è il cattivo atteggiamento e non ciò che si vuole costruire seriamente, soprattutto quando in ballo ci sono dati d'ascolto e curve da analizzare nei palinsesti. R . – Santo cielo quanto ha ragione, amico mio! Tutto ormai gira intorno allo share, tutto deve essere o sensazionale, o malinconico o pietistico. Quando invece la malinconia è un sentimento poetico, spesso fonte d'ispirazione per noi artisti. In tv si ha paura persino di far abbassare gli ascolti, se si inizia a parlare di qualcosa di più profondo. Fortunatamente, però, ci sono ancora spazi nei quali è possibile esprimersi liberamente, in concomitanza ad alcune radio. D . – Ovviamente dice “alcune radio”, perché non è così dappertutto. R . – Ormai non sono più libere neanche loro: sono diventate, per forza di cose e sopravvivenza, schiave del sistema. Ognuno è costretto a trovare risposte in sé, se vuole portare avanti la propria arte, rimettendoci spesso di tasca propria, investendo su se stesso. Ma, impagabilmente, essendo libero. D . – Marina, cosa le piacerebbe potesse essere compreso della sua nuova produzione? R . – Al di là del fatto che mi piacerebbe potesse saltare alle orecchie la concezione di una bellissima produzione, di arrangiamenti nuovi e di gradevoli canzoni, di “Pareidolia” vorrei arrivasse al pubblico un senso di profonda libertà. Come dire: mi piacerebbe che si ascoltasse un disco, facendoselo liberamente arrivare alla testa, al cuore, nei pensieri, senza paura di semplicità, una parola fondamentale, alla quale molto probabilmente non siamo più abituati. Oggi tutto tende ad essere complicato, articolato, arzigogolato: dovremmo tornare all'essenzialità dei valori per risalire la china. D . – Dulcis in fundo: se oggi, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori di Marina Rei? R . – Questa è una bellissima quanto abbastanza difficile domanda, caro Gianluca. Diciamo che verrebbe fuori l'immagine della Marina che vedo io tutti i giorni, senza filtri, avulsa da schemi, con un'unica possibilità: vivere l'importanza di essere liberi. Sempre. Gianluca Doronzo

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Il Cile


MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA

Secondo album («In Cile veritas») per il 33enne cantautore aretino, noto per il brano «Cemento armato», fra le migliori promesse della sfera musicale contemporanea: dall'11 dicembre sarà protagonista di una serie di «live», ad iniziare da Milano (e chissà che non ci sia «Sanremo 2015» fra i suoi progetti!)

«La mia generazione dovrebbe tramutare la rabbia in propositi costruttivi: io lo faccio attraverso la musica, credendoci profondamente»

Lorenzo sta crescendo. E la sua escalation discografica ne sta dimostrando, in pochissimo tempo, profondità di scrittura e impegno, con l'obiettivo della “positività rispetto al futuro”. Da “Siamo morti a vent'anni”, suo album d'esordio, sono trascorsi solo due anni, ma il Cilembrini (questo il suo vero cognome) sembra aver maturato già una nutrita serie di esperienze: una partecipazione a “Sanremo” nel 2013 nella sezione “Giovani” (vincendo il “Premio” per il miglior testo in gara); la pubblicazione del romanzo “Ho smesso tutto” (Kowalski); la colonna sonora della fiction “Braccialetti rossi” grazie a Niccolò Agliardi (un successo di Raiuno della scorsa stagione) ed ora un nuovo lavoro, dal titolo ironico. Stiamo parlando di “In Cile veritas”, in classifica da diverse settimane, preceduto dai singoli “Sole, cuore, alta gradazione” e “Sapevi di me”. Una “rabbia” che, pian piano, smussa le apparenti spigolosità del passato (“Cemento armato”, ad esempio) e diventa voglia di fare, “messaggio costruttivo ed edificante”. Per nulla polemico verso i “talent show”, uno dei cantautori più promettenti del panorama contemporaneo va per la sua strada, con “un senso di responsabilità, a prescindere, nei confronti del suo produttore e verso il pubblico”. Chapeau. Domanda – Lorenzo, “In Cile veritas” a che punto del suo percorso arriva? Risposta – “In Cile veritas” nasce dalle ceneri, in positivo, del mio precedente lavoro, intitolato “Siamo morti a vent'anni”:

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ne ripercorre la stessa urgenza espressiva, potenziando un messaggio edificante e costruttivo rispetto al futuro e alla mia generazione. Non è un caso che io concluda l'album con “Un'altra aurora”, un brano che manifesta un sentimento di speranza e buoni propositi. Come dire: alla rabbia, puntualmente una costante della mia cifra cantautoriale, subentra una maggiore consapevolezza del vissuto, fino a realizzare in meglio quello che si prospetta, credendo in noi stessi e nelle nostre potenzialità. D . – Quale riscontro stanno avendo pezzi come “Sole, cuore, alta gradazione” e “Sapevi di me”? R . – Mi fa molto piacere che il pubblico stia reagendo in maniera positiva rispetto a questo mio nuovo lavoro: di sicuro si respira un'evoluzione con terreni stilistici sia compositivi, che di scrittura e produzione. Ma, a mio avviso, è soprattutto la componente umana a farla da padrona. Anche il titolo dell'album ha, in fondo, una vena ironica, grazie alla quale posso raccontare le mie verità, il mio mondo e, soprattutto, lo stato d'animo nel quale mi trovo, senza filtri o esitazioni di sorta. D . – Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Decisamente è una responsabilità non indifferente, anche e soprattutto verso l'ascoltatore: si ha un'impalcatura stilistica ben precisa e la si deve, onorando se stessi, delineare attraverso musica e parole. Nel mio caso poi ho sempre

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adottato la cifra dell'autobiografia, partendo dal personale per allargare il campo d'esistenza verso il totalizzante. Dal mio punto di vista, in tutta onestà, quello che rende un cantautore completo è il fatto che molti si riconoscano in ciò che scrive e propone, senza esitazione di sorta. È bello entrare nel cuore e nell'anima delle persone che ti seguono, apprezzando quello che fai. D . – In che modo ricorda l'esperienza vissuta nel 2013 a “Sanremo”? R . – Il “Sanremo” fatto nel 2013 con Fazio me lo ricordo in maniera molto ansiosa, soprattutto a causa del contorno che anima la manifestazione: la gara, le interviste ogni giorno, le prove, le scalette. Diciamo che ho iniziato a godermelo quando stava per finire, ovvero all'annuncio della vittoria del “Premio” come miglior testo fra i brani in kermesse. Ho saputo che Piovani, in giuria, si è battuto fortemente per me e non posso che ringraziarlo ancora. D . – Nel 2015 parteciperebbe all'edizione condotta da Carlo Conti? R . – Con Carlo Conti farei un “Sanremo” più con un certo distacco emotivo, alla luce dell'esperienza maturata in passato. Non dimentichiamo che su quel palco ci sono stati i grandi della musica italiana e bisognerebbe rispettare una certa sacralità nell'esserci. Se ci fosse il pezzo giusto, andrei in gara. Perché no?


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D . – Lei è definito una delle giovani promesse della musica italiana da molti addetti ai lavori: si sente responsabilizzato da una simile aspettativa? R . – Guardi, la responsabilità in merito al mio lavoro io ce l'ho a priori, a prescindere da quello che sostengono o si aspettano da me. Nel momento in cui ti approcci ad un nuovo disco ci sono sempre ansie e molte attese. Le dico, pertanto, che in primis io ho responsabilità nei confronti del mio produttore, che crede e investe in me. E, a seguire, verso il mio pubblico. Nel tempo restano i valori più profondi, le belle canzoni, i percorsi sani. D . – Cosa ha rappresentato scrivere la colonna sonora della serie “Braccialetti rossi”, di grande successo su Raiuno nella scorsa stagione? R . – Diciamo che l'esperienza è stata voluta da Niccolò Agliardi, che mi stima molto. Quella serie ha toccato davvero le corde dell'anima, senza rasentare il populismo o le ruffianerie del dramma. È una fiction che fa riflettere e non dimentichiamo che Spielberg ne ha acquistato i diritti d'autore. Per cui stiamo parlando davvero di un gran bel successo per l'Italia. D . – Qual è, Lorenzo, il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”? R . – Io non ho niente contro i “talent”: molti artisti ne sono venuti fuori con grande successo e sono contento per loro. Personalmente non avrei mai fatto, però, la scelta di parteciparvi, in quanto si pensa più a far presa su come apparire sul palco. Ora, al di là delle opinioni personali, nonostante alcune meteore, credo che non si possa fare a meno di citare Emma e Marco Mengoni come esponenti di vero talento, venuti fuori da simili programmi. D . – Approfondiamo: che significa realmente avere talento? R . – Avere talento, caro Gianluca, è mettersi in gioco, credendo profondamente in quello che si fa. Bisogna portare avanti un bel progetto, un bel prodotto: questo è quanto consiglio puntualmente ai numerosi ragazzi che tentano di avvicinarsi a fare il nostro mestiere. Sebbene il nostro sia un lavoro precario per antonomasia, non mi sono mai lasciato andare e non ho mai perso la speranza di riuscirci: mi sono rimboccato le maniche, mi sono proposto, ho messo a punto il mio universo e non mi sono mai lasciato morire, riuscendo a scrivere quello che volevo. Oggi siamo qui io e lei a parlare di

quanto accaduto in questo lasso di tempo: non mi sembra poco. D . – Al suo attivo diverse collaborazioni (dai Negrita ai Club Dogo): con chi le piacerebbe duettare oggi? R . – Lo dico spesso durante le interviste: ho avuto la fortuna di aprire i concerti dei Negrita, di Jovanotti e Ligabue, fra gli altri. Oggi mi piacerebbe duettare col grande Ben Harper: vorrei seriamente concretizzare una simile collaborazione. Chissà che non ce la faccia. D . – In passato ha pubblicato il romanzo “Ho smesso tutto”: potrebbe esserci un'altra avventura letteraria a breve termine? R . – Il mio primo romanzo è nato in maniera istintiva, non a tavolino. Magari in futuro potrebbe esserci una nuova avventura letteraria, come la definisce lei, a quattro mani. Ci sto già pensando, ma non posso aggiungere altro. D . – Cosa si auspica per il proseguimento del suo percorso, Lorenzo? R . – Sicuramente sto raccogliendo tutte le mie energie per dare vita a dei “live” molto forti, a partire dall'11 dicembre a Milano. Io vorrei suonare il più possibile, scrivere canzoni e dare il meglio del mio universo al pubblico. Con la crisi che si respira, il vero divertimento per un artista è quello di esserci, proponendo tutto ciò che si sa fare. Ed io vorrei continuare a divertirmi e divertire con le mie sonorità. D . – Metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi Lorenzo? R . – Direi che si riflette come la stessa persona che circa 10 anni fa aveva deciso di incamminarsi su questa strada, con la volontà di far diventare la musica la propria vita. Di sicuro so di vivere un percorso che, giorno dopo giorno, mi sta portando a maturare più esperienze e una maggiore consapevolezza. Con un autentico desiderio: crescere sempre in maniera esponenziale. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto, Lorenzo, durante la nostra chiacchierata? R . – Smentisco quanto Longanesi sosteneva: quando un'intervista è fatta con domande intelligenti come le sue, non può che arricchirti, motivandoti ad una riflessione su te stesso. Per cui ben vengano giornalisti come lei: non è altro che positivo quanto ci siamo detti. Gianluca Doronzo

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Riccardo Fogli


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Simpatia, autenticità e una carriera ricca di soddisfazioni (ad iniziare dalla vittoria a «Sanremo» nell'82) per un esponente storico della canzone italiana: l'intervista «che non t'aspetti» a Riccardo Fogli fra bilanci, ricordi, tanti auspici per il futuro («ne ho ancora per vent'anni: che si sappia») e buone speranze verso le nuove leve («mi piacciono Emma, Mengoni e Scanu»)

«Oggi sento di avere tanta energia, per affrontare nuove imprese artistiche: sono pronto a vivere qualsiasi emozione, dalla musica al teatro»

Sapete come si definisce, metaforicamente allo specchio? “Un simpatico gentiluomo anziano, con ancora una bella voce”. Ma, in realtà, Riccardo Fogli (“vado per i 67: che si sappia”) è una forza della natura: travolgente al telefono, estremamente simpatico, ricco di progetti per il futuro (“mi sto appassionando al teatro e vorrei mettermi in discussione a 360°, oggi più che mai”). Non ha un attimo di “stallo” la chiacchierata con lui, vero Signore (con la maiuscola) della canzone italiana, in costante tournée nel mondo, dove i suoi motivi sono un “must” (dalla vittoria di “Sanremo” nell'82 è stato protagonista di un'escalation di successi). Fra una risata e l'altra, ricorda le sue partecipazioni a “Music Farm” anni fa (“un'esperienza irripetibile”) e “Tale e quale show” nel 2013 (“grande divertimento”), ringraziando ad epilogo l'interlocutore per “avergli motivato una sana riflessione sulle imprese animate nelle stagioni”. Domanda – Signor Fogli, lei fa parte della storia della musica italiana da decenni e decenni ormai: incontrarla non può essere che un onore per ogni giornalista che si rispetti. Ripercorrendo, in una sorta di fotogramma, quanto messo a punto nel tempo, si sarebbe mai aspettato un percorso così ricco di gratificazioni e successi, anche a livello internazionale? Risposta – Onestamente no, anche perché io nasco come un metalmeccanico-gommista, con ambizioni beat, rock e blues. Da ragazzino non avrei immaginato di poter fare tutto quello che è stato animato negli anni: nessuno mi aveva mai detto “quanto sei bravo e bello, piccolino, e come canti bene”! Parliamoci chiaramente, anche ai tempi in cui facevo parte dei Pooh, non è che vendessimo chissà quale quantità di dischi. Col passare delle stagioni ho capito quanto la mia voce rappresentasse un messaggio d'amore, spiegando il perché di così tanto successo, anche a livello internazionale, come ha giustamente ribadito lei nel prologo. In me c'è sempre stato entusiasmo in quello che ho fatto, creando una prospettiva di luce col mio canto, entrando nel cuore degli ascoltatori. Ne ho fatte tante, caro amico mio. D . – Proprio perché ne ha fatte tante, è il minimo avere rispetto e riverenza nei suoi confronti. Oggi, in tutta onestà, a che punto sente di essere e come vorrebbe potesse proseguire il suo viaggio nella musica? R . – Diciamo che vent'anni fa si vendeva da matti e un album, come minimo, conteneva dieci canzoni, una più bella dell'altra. Il massimo io l'ho raggiunto ancor prima, nel 1982, quando vinsi “Sanremo”: un momento fondamentale nella mia carriera, di grande impatto popolare. Oggi ci sono così tanti mezzi di comunicazione, da Internet a YouTube, che si può scaricare musica in qualsiasi maniera, gratuitamente. Per non parlare dei generi: io ho un figlio di 21 anni a cui piace, ad esempio, molto il rap. Che altro aggiungerle: a me va bene così e mi basta, onestamente, quanto ho umilmente lasciato nella storia della musica italiana. Per il futuro si vedrà. D . – Ha pensato ad un ritorno a “Sanremo”, proprio nell'edizione di Carlo Conti, visto che avete avuto modo di collaborare lo scorso anno in “Tale e quale show”? R . – Guardi, “Sanremo” è enormemente cambiato dai tempi in cui l'ho vinto e da quando, successivamente, ho partecipato

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fino agli Anni '90. La conduzione è diventata più importante di chi vi prende parte e i cantanti sono passati in secondo piano: basti guardare le ultime edizioni. Carlo Conti è un professionista e di sicuro saprà fare un ottimo lavoro: sarebbe bello tornarci, dopo tantissimo tempo. Se decidessi di tirare fuori dal cassetto uno dei tantissimi pezzi scritti in questi anni, lo presenterei con piacere. A me, in tutta onestà, oggi come oggi va di fare musica dal vivo, visto che i dischi non si vendono più. Nel passato c'era chi investiva in te, promuoveva un lavoro e ti faceva guadagnare da tutto ciò. Oggi è un'impresa piuttosto ardua affacciarsi sul mercato con una nuova “creatura”. D . – Un'impresa ardua, ma non impossibile. R . – D'accordo, ma ribadisco che la musica oggi si è diversificata molto rispetto ai miei tempi e, per forza di cose, noi artisti siamo portati a lavorare in vari ambiti. Ad esempio, io ho scoperto il teatro negli ultimi tempi e devo anche ammetterle che mi è piaciuto molto: ho fatto alcune repliche di uno spettacolo in Toscana, vestendo proprio i panni di un artista. Io vado per i 67 anni e, oggi più che mai, sono aperto a tutte le esperienze lavorative possibili. Dovremmo, forse, guardare un po' più fuori dalle nostra mura, per attingere da spazi creativi e nuove idee spettacolari. D . – Qual è il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”,

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signor Fogli? R . – Caro mio, una volta il percorso per un cantante era diverso: c'erano i talent scout che ti scoprivano nei locali, nelle discoteche, nelle manifestazioni varie. Da qui sono nate carriere come quelle dei Nomadi o dell'Equipe 84, per farle un esempio. Oggi mi sembra di capire che il primo veicolo di promozione dei ragazzi sia quello dei “talent”: al massimo fanno un disco, vendono 100mila copie e, spesso e volentieri, spariscono e passano nel dimenticatoio. Una volta c'era il mitico 45 giri e si vendeva davvero tanto. Fatto sta che, se dovessi puntare su qualcuno al momento, non mi dispiacerebbe avere a che fare con Emma, Marco Mengoni e Valerio Scanu, che sto molto apprezzando a “Tale e quale show”, un ragazzo con grandi potenzialità. Un altro che mi piace è Matteo Becucci. Ognuno deve trovare la sua collocazione nello scenario quotidiano, il suo equilibrio, tirando le somme di quello che è e fa. Non si potrebbe andare avanti, se non fosse così. D . – Ha citato più volte “Tale e quale show”: cosa ha voluto dire la sua presenza nella scorsa edizione? R . – Io ricordo un'esperienza vissuta con divertimento, umiltà e una gran voglia d'imparare. Sono stato accanto a nove colleghi fortissimi, capaci di fare teatro, tv e musica allo stesso


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tempo. Io diciamo che me la sono cavata, giocando con imitazioni alla Branduardi e Patty Pravo. Mi sono rimboccato le maniche, mettendomi al servizio del programma. I reality sono fatti così e, se decidi di prendervi parte, non puoi essere un elemento a se stante rispetto al gruppo. D . – E lei non era nuovo a simili contesti, avendo vinto la prima edizione di “Music Farm” su Raidue tanti anni fa. R . – Quella è stata una bella lente d'ingrandimento sul mondo dei cantanti: ci si allenava tutta la settimana e la gente da casa ti vedeva anche nella tua sfera più fragile e privata. Poi arrivava il serale ed entrava in campo la voce di ciascuno e si gareggiava con le proprie canzoni, assieme a quelle di altri. Ricordo quel periodo lì con grande dinamismo. “Music Farm” è stato un reality spietato, unico e irripetibile, dove ho potuto fare il mio mestiere: cantare, confrontandomi piacevolmente con illustri colleghi. D . – Alla luce della sua grande intraprendenza, in quale impresa le piacerebbe misurarsi in futuro? R . – Mia moglie mi vorrebbe mandare all' “Isola dei famosi”, giusto per togliermi un po' dalle scatole (e ride, ndr). Pensi che il mio figliolo Alessandro, oggi 21enne, fino a 5-6 anni fa mi incitava a prendervi parte, proprio perché sono uno che ama l'avventura. Lei me lo sta facendo ricordare in questa intervista. D . – Guardi che è ancora in tempo: “L'Isola” si rifarà molto probabilmente nel 2015 su Canale 5. R . – Davvero? E chissà che non ci vada sul serio (e ride ancora una volta, ndr). D . – Ad esempio, parteciperebbe ad un programma come “Ballando con le stelle”, visto che Giorgio Albertazzi ha deciso di animarlo a 91 anni? R . – Giorgio Albertazzi, a mio avviso, è unico al mondo. È un uomo d'altri tempi, con un'enorme grinta. Che si sappia in giro: io non mollo. Ho ancora tante cose da fare e di tempo ce n'è. D . – Che immagine, metaforicamente, verrebbe fuori di Riccardo Fogli oggi allo specchio? R . – Quella di un simpatico gentiluomo anziano, con ancora una bella voce: anzi, in molti mi dicono che è più bella oggi di decenni fa. Ho tante idee, numerosi progetti da mettere a punto e vorrei portare tutto avanti nel migliore dei modi, senza ostacoli. D . – Signor Fogli, siamo purtroppo giunti alla fine: Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto, sinceramente, durante la nostra chiacchierata? R . – Lei, caro Gianluca, mi ha regalato delle domande davvero stimolanti, motivandomi realmente alla riflessione. Di conseguenza non mi ha sottratto proprio niente, anzi: mi ha fatto persino ricordare una cosa rimossa, ovvero quando mio figlio mi suggeriva di andare a “L'Isola dei famosi”. Non posso che ringraziarla per aver “rispolverato” nella mia anima vecchi ricordi, facendomi fare il punto della situazione sui progetti futuri. Io devo andare avanti almeno per altri 20 anni: che si sappia. Devo vedere la mia figlioletta, ora piccola piccola, sposarsi come minimo (e la chiacchierata si conclude con una sonora risata in comune, ndr). Gianluca Doronzo

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Fiordaliso


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Fra musica («se ci fosse l'autore giusto, magari potrei presentare un bel brano al prossimo Sanremo») e teatro («Luciano Melchionna ha scritto per me un monologo struggente»), Fiordaliso vive la sua stagione migliore, dopo la partecipazione lo scorso anno a «Tale e quale show» su Raiuno, dove ha rivelato humour e una trasversalità interpretativa

«Sono in un momento di assoluta serenità artistica: ho 33 anni di carriera alle spalle e molta voglia di continuare»

Sta vivendo un “momento di assoluta serenità artistica”. In 33 anni di carriera ha spaziato dalla musica al teatro (“mi ha dato molto e ho scoperto che recitare è un'esperienza tanto ricca”), animando anche imprese televisive come “Tale e quale show” nel 2013 (“mi mancano da morire i miei colleghi”), mostrando humour, versatilità interpretativa e una smisurata voglia di divertimento. Il sorriso è oggi la peculiarità di Fiordaliso, con un sogno nel cassetto: “Fare una bella commedia o un film di Ozpetek”. La sua ricetta per la serenità? “Non guardare i telegiornali, visto che in questo periodo storico il futuro è un grosso punto interrogativo”. L'unica preoccupazione? Per i giovani, alle prese con numerose promesse “non mantenute da chi non fa ciò che deve, per dare una smossa a questo Paese”. Vi sentireste di darle torto? Domanda – Premesso che poterla intervistare è un onore, in quanto rappresenta col suo percorso un pezzo della storia della musica italiana, mi verrebbe subito voglia di farle una domanda: a che punto del suo percorso sente di essere oggi? Che fase sta attraversando Marina Fiordaliso? Risposta – Grazie, troppo buono. Sono in un momento di assoluta serenità artistica: amo il mio lavoro e faccio solo le cose che mi piacciono. Ho alle spalle 33 anni di carriera e tanta voglia di continuare. L'importante è non seguire i telegiornali perché, purtroppo, in questo momento storico il futuro è un

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grosso punto interrogativo. Sono molto preoccupata per i miei figli e per tutti i giovani. Anzi direi che sono delusa da chi non fa ciò che deve, per dare una smossa a questo Paese. D . – Alla luce del percorso fatto, dei successi conseguiti (anche all'estero) e dei numerosi riconoscimenti, si sarebbe mai aspettata una carriera come quella che ha messo a punto nel tempo? R . – Mah, all'inizio no. Fu mia mamma a credere in me, iscrivendomi di nascosto a “Castrocaro”: quando mi chiamarono mi disse “va', è l'ultimo piacere che ti chiedo”. Poi con la vittoria si aprì la mia carriera da solista. E oggi sono molto fiera di tutto ciò che ho fatto. Certo, si potrebbe avere sempre qualcosa in più, ma non bisogna lagnarsi troppo (e ride, ndr). D . – La versatilità è il suo motivo conduttore: musica, tv e teatro in primis. Cosa le piacerebbe fare oggi e, soprattutto, in quale impresa “inesplorata” vorrebbe misurarsi? R . – Il teatro mi ha dato molto e ho scoperto che recitare è un'esperienza tanto ricca. Io ammetto di essere filoamericana in questo: per me gli artisti devono provare a fare tutto ciò che è arte. Magari tenterò un giorno di approfondire l'esperienza da “Fiordattrice”. Mi piacerebbe fare, ad esempio, una fiction o magari del cinema: una bella commedia o un bel film tipo “Mine vaganti” di Ozpetek, stupendo. D . – Lo scorso anno era tra i protagonisti di “Tale e quale

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show”: cosa ricorda di quell'esperienza? R . – Una magia che è facile da spiegare: mi mancano molto i miei colleghi. Tanto lavoro, ma anche tantissimo divertimento. D . – Sta guardando l'edizione attualmente in onda? Che ne pensa? R . – Sono stata imitata da Rita Forte nella prima puntata: performance divertente. Quando non lavoro, certo che guardo il programma: lo amo. D . – Qual è il suo punto di vista sulla tv di oggi? R . – Mah, ci sono cose belle ed altre meno. Io guardo molti film e serie tv. Ultimamente mi appassiona tanto il genere investigativo: molto meglio se c'è un serial killer (e ride ancora una volta, ndr). D . – Non crede che “talento” sia un termine un po' bistrattato nel panorama odierno? R . – Beh, un po' direi di sì. Bisognerebbe coltivarlo di più: ci vogliono più gavetta, studio e meno popolarità improvvisa e a breve termine. Si creano tante illusioni in giovani che magari hanno talento, non coltivato nei tempi e nei modi più sani. D . – Su quali nuove leve musicali oggi punterebbe? R . – Tra i tanti, penso che Mengoni ed Emma abbiano personalità e talento. Senza ombra di dubbio. D . – Carlo Conti alla direzione artistica e conduzione del prossimo “Festival di Sanremo”: tornerebbe in gara?


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R . – Se trovo il pezzo giusto, perché no? Oggi, però, i grandi autori di una volta sono un po' più pigri. Vanno stimolati. Chissà! D . – Le sono piaciute le ultime edizioni del “Festival”? R . – Non molto, a dire il vero. Va bene lo show televisivo, ma la musica e le belle canzoni (non i personaggi) dovrebbero essere al primo posto al “Festival”. Confido in Carlo Conti, che riporterà i brani in gara in vetta alla kermesse. D . – Se le dico “Music Farm” e “La Talpa”, cosa mi risponde? R . – Tanti bei ricordi con i miei colleghi per “Music Farm”, un'altra esperienza magica della mia carriera. In quanto a “La Talpa” si è trattato di una bella avventura, a dimostrazione di quanto mi piaccia mettermi puntualmente in gioco. Spesso vado vicino Roma, in una foresta, dove ci sono i percorsi (sempre in sicurezza) e mi arrampico, mi lancio dagli alberi. Una figata pazzesca, ragazzi: ci vuole tanta forza fisica. D . – Teatralmente cosa sta preparando? R . – Ho debuttato il 28 settembre e sono stata fino al 9 ottobre nel cast di “Dignità autonome di prostituzione”, uno spettacolo diretto e ideato da Luciano Melchionna, un'idea di teatro rivoluzionaria, a mio avviso. Ho studiato e mi sono preparata: il “Brancaccio” di Roma mi ha visto protagonista di un intenso monologo, messo a punto appositamente per me. Davvero un'emozione grande.

D . – Essere artisti cosa vuol dire oggi? R . – Per me è sempre lo stesso: ascoltare la gente, comunicare con il pubblico attraverso la musica, la recitazione, ma anche parlandoci direttamente. Io, per farle un esempio, prendo spesso l'autobus a Roma per andare a trovare la mia nipotina Rebecca Luna. Mi piace l'idea di normalità: l'artista, oltre a fare il suo lavoro col massimo impegno e professionalità, deve essere anche un “amico” della gente. Oggi, grazie ai social network, è più facile: io, per dirle l'ultima, gestisco personalmente la mia pagina Facebook, denominata Fiordaliso Marina. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: attualmente Fiordaliso come si rifletterebbe? R . – Come dicevo prima: sono estremamente preoccupata per il futuro dei nostri giovani. Di conseguenza: non serena al 100%. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Nulla, se non il piacere di condividere un po' di me col mio pubblico. E, soprattutto, anche un po' di tempo prezioso. Scappo. Ciaooooooooooooooo (e ride ancora una volta, segno di una simpatia disarmante, ndr). Gianluca Doronzo

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Viola Valentino


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Una carrellata di ricordi (dall'incontro con Gino Paoli al successo di «Comprami» e «Romantici») scandisce la chiacchierata telefonica con una delle icone della musica italiana degli Anni '80 (anche attrice), pronta ad essere fiduciosa nel futuro («so che mi può ancora accadere qualcosa di positivo»), attualmente alle prese con un «the best» dell'album «Rose e Chanel»

La classe e l'eleganza? Hanno il nome e il portamento di Viola Valentino, «un artigiano al servizio dell'arte» che, con umiltà e impegno, ha lasciato traccia di sé nel cuore del pubblico

La classe e l'eleganza? Hanno senza dubbio il nome e il portamento di Viola Valentino, icona della musica italiana degli Anni '80 (i suoi pezzi hanno venduto centinaia di migliaia di copie, da “Comprami” a “Sola” e “Romantici”, fra gli altri), dotata di una spiccata umiltà (“nonostante tutto quello che ho fatto, io mi sono definita sempre un lavoratore dello spettacolo, un artigiano al servizio dell'arte”) e generosità d'animo (affrontando nei suoi testi anche tematiche legate al sociale e alla violenza sulle donne). Al telefono, in un mite pomeriggio domenicale d'autunno, si racconta a tutto tondo, con estrema empatia, “affidandosi” al giornalista con sincerità, tracciando un bilancio di quanto avvenuto nel suo percorso (anche a livello attoriale), con un'enorme fiducia nel futuro (“so che mi può accadere ancora qualcosa di positivo”). Attualmente ha pubblicato un “the best” dell'ultimo album “Rose e Chanel”, interpretando due inediti (“un duetto con Virgo ed uno scritto da Cristiano Malgioglio”), che stiamo ascoltando in queste settimane (e chissà che non possa esserci una rentrée al “Festival di Sanremo”, dopo tanti anni d'assenza: mai dire mai). A voi il suono della sua voce, all'insegna di emozioni pure. Domanda – Signora Valentino, al suo attivo quasi un quarantennio di carriera, centinaia di migliaia di dischi venduti, due partecipazioni a “Sanremo” ('82-83) e un percorso d'attrice: in che modo sentirebbe di fotografare quanto fatto nel tempo? Risposta – Quando si intraprende una carriera artistica, in generale, ci si auspica ovviamente di fare il proprio meglio, portando avanti progetti con impegno, perseveranza, studio e approfondimento di conoscenze. Nel mio piccolo sono sempre stata del parere che, se fai un buon lavoro, prima o poi i risultati vengono. E devo dire che qualche soddisfazione me la sono presa anch'io negli anni. Ho cominciato tantissime stagioni fa come modella, dedicandomi alla pubblicità. In un secondo momento è avvenuto il mio incontro con la musica, vuoi per la relazione col mio primo marito, vuoi per una serie di circostanze, vuoi perché sentivo potesse essere il mio mondo. La mia esperienza d'esordio è avvenuta con i “Fantasy”, a cui dovevo prestare solo la mia immagine, apparendo semplicemente. Da lì mi si sono aperte tante possibilità, fino all'incontro magico con Gino Paoli, col quale ho dato avvio alla mia carriera: con lui è come se avessi inaugurato una sorta di “negozio di musica”. Ha creduto tanto in me. Col tempo sono stata protagonista di numerose esperienze, anche all'insegna della ricerca, fra emozioni e scoperte di universi sonori. Va da sé che, innegabilmente, ci sono stati dei momenti sì ed altri no: è questo il gioco della vita. Nonostante tutto, io ho puntualmente sentito di essere un lavoratore dello spettacolo, una specie di artigiano al servizio dell'arte. D . – Oggi, in tutta onestà, in quale impresa le piacerebbe misurarsi? R . – Io mi sono misurata un po' in tutto: ad esempio, ho vissuto l'esperienza teatrale, anche in un musical che, a dire il vero, mi ha entusiasmato moltissimo qualche tempo fa. Peccato ci siano state solo sette repliche su Genova, ma non escludo lo si possa riprendere, portandolo in tournée in tutt'Italia. Ho fatto la fotografa, essendo una mia vera passione. Il cinema l'ho messo a punto, con un discreto

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successo. Mi hanno fatto spesso tante proposte: ad esempio, di recente mi era stato chiesto di partecipare a “Tale e quale show” e “Domenica In”, ma ho detto di no. Qualcosina posso dire di averla fatta: anche sul versante “grande schermo” ho animato tre film leggeri, non volgari, che non mi sono dispiaciuti e se ci fosse una nuova opportunità in questa direzione, la coglierei al volo. Ho anche prodotto alcuni miei album e scritto testi dei miei pezzi. Non dimentichiamo, caro mio, che oggi come oggi la musica zoppica: c'è molto web, Internet e pirateria. Già andare avanti è un'impresa ardua, figuriamoci uscire con un album di inediti! Ad un'analisi complessiva, la mia carriera l'ho portata avanti a testa alta, in maniera dignitosa. Ci sono artisti che sono arrivati al successo e poi si sono arenati, con l'avvento della crisi: io credo che dal '94 non si venda più come una volta. Ma mi difendo e vado avanti. D . – Prima ha citato “Tale e quale show”: non ritiene, pur

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avendo rifiutato di parteciparvi, che si tratti di uno dei pochi contesti d'intrattenimento puro in tv, senza volgarità? R . – L'intrattenimento puro è una cifra di Carlo Conti: di conseguenza applica il tutto ai suoi programmi. Fa delle cose egregie: da “I migliori anni” a “Tale e quale show”. Sono sicura che il suo “Sanremo” avrà un bel picco d'audience, in quanto riporterà in auge la tradizione, quella alla Baudo e saprà farlo con gusto, classe ed eleganza. In merito a “Tale e quale show” io ho rifiutato per una ragione: a mio avviso, un cantante che va lì è un po' come se fosse alla frutta, senza offesa per alcuno. Mi spiego: quel programma va bene per chi non canta di professione. Quindi per conduttori, attori e showgirl, non per chi ha una carriera canora alle spalle. Viola Valentino è diversa e fa delle scelte personali, rimanendo puntualmente se stessa. Non so se questo sia un bene o un male, ma è il mio modo di fare. Pensi che una volta ci fu una persona, che mi disse: “Se tu entrassi in un ristorante con un'altra artista eccentrica, di


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sicuro guarderebbero tutti lei perché tu rappresenti la classe”. Non so se ho reso l'idea: io faccio delle scelte di qualità e magari non riscontrano la popolarità immediata, ma mi rappresentano e questo m'importa. D . – La classe, signora Valentino, fa la differenza assieme all'eleganza, anche andando controcorrente. R . – Ma sì, non potrei essere diversa da quella che sono. All'inizio della mia carriera mi tacciavano di essere “sfiatata”, ma non era una definizione giusta. La mia è una voce vellutata e il tempo ha dato le sue risposte: di sicuro se avessi continuato a cantare alla “Comprami”, la mia carriera si sarebbe conclusa almeno un ventennio fa. Oggi sono una donna matura, che interpreta con passionalità, che canta con trasporto negli incisi: punto su una performance calda, avvolgente, sensuale, diversificandomi dalle altre, che spesso e volentieri sono sparite dallo scenario musicale. E poi vogliamo considerare una caratteristica che si chiama “comunicazione”? Sul p a l c o s c e n i c o b i s o g n a s a p e rc i s t a re c o m u n i c a n d o , coinvolgendo chi ti viene a seguire, non avendo solo una bella voce: ed io so stare sulla scena e tutti coloro i quali vengono a vedermi nei “live” lo sanno benissimo. Pur essendo una gran timida, porto avanti concerti di due ore senza sosta, con estremo gradimento del pubblico. Mi piace. D . – Un ricordo dell'esperienza vissuta in “Music Farm” qualche anno fa su Raidue? La ripeterebbe? R . – Maledetto il momento in cui ho accettato di fare “Music Farm”: ho sbagliato ad esserci, ma le dico che in quel periodo mi sono lasciata trasportare da chi mi stava accanto. Sa, nella vita è più facile dire di sì che di no. Comunque ormai è fatta, esperienza archiviata. Oggi sono una cantante più matura e consapevole, forte anche di cambiamenti nei testi messi a punto, sebbene non rinneghi i motivi scanzonati che mi hanno dato grande popolarità, o gli autori alla Morra e Fabrizio. D . – Il suo punto di vista sui “talent show”? R . – Le dico: ancora oggi sono una moda e dobbiamo avere pazienza che passino, come tutto quello che va per la maggiore. Una volta c'erano tante manifestazioni musicali alle quali partecipare, anche itineranti. Oggi i vari “X Factor” e “The Voice” sono rivolti ai giovani o ai duetti con i “bigggghissimi” (mi lasci passare il termine enfatizzato), senza alcun posto per chi ha fatto la storia della musica italiana. Ci sono, detto questo, di sicuro tanti ragazzi bravi, ma bisognerà vedere quanto dureranno nel tempo: da un anno all'altro ne spariscono molti, oserei dire tantissimi, diventando delle meteore. Io sono pro e contro i “talent”: mi fa, ad esempio, un po' impressione quando vedo in “America's got talent” una ragazzina di 12 anni avere una sicurezza canora da artista consumata. A vent'anni cosa farà? Cosa diventerà? Non so. Non mi resta, pertanto, che prendere atto di quello che stiamo vivendo e aspettare, fermo restando la mia convinzione che l'arte sia comunicazione allo stato puro, non solo perfezione. D . – Avere talento cosa significa? R . – Il talento può anche esistere, ma per riuscire in una disciplina ci vuole molto altro: comunicazione, sfondare, “bucare” lo schermo, avere carisma, simpatia. E poi ci sono gli incontri, le scelte da fare: mettiamo assieme tutti questi elementi e, in concomitanza ad un po' di pazienza, troviamo un'alchimia giusta per delineare il successo. Il talento etimologicamente è “un dono di Dio”, il successo è un'altra

cosa, con tante altre caratteristiche da ricercare e vivere. D . – Torniamo un attimo a Carlo Conti: parteciperebbe al suo “Festival di Sanremo” nel 2015? R . – Magari! Ma io credo non ci siano gli spazi, nel senso che le major hanno una grande voce in capitolo e sanno già chi piazzare. Forse i veri posti vacanti saranno 3-4 al massimo su 16. Di artisti se ne presentano 700-800, ma alla fine sono pochissimi quelli che hanno realmente delle chance. A volte poi ci vuole anche un colpo di fortuna. A me farebbe un gran piacere, ma perderei in un solo istante 10 anni di vita, alla luce dell'ansia e della preparazione. Quando io ho fatto “Sanremo” ero giovanissima, ma già nella categoria “Big”. Chissà che non possa ricapitare! D . – Per lei hanno scritto Gianni Bella, Grazia Di Michele, Maurizio Fabrizio, Bruno Lauzi e Mario Lavezzi, fra gli altri. Da quale autore oggi vorrebbe ricevere un bel brano? R . – Tiziano Ferro, Vasco Rossi, Tricarico e Max Gazzè. Se poi volessi tornare indietro, mi piacerebbe un bel pezzo di Maurizio Fabrizio o di Bruno Lauzi. D . – Signora Valentino, ci stiamo pian piano avvicinando alla conclusione della nostra chiacchierata. Attualmente a quale progetto sta lavorando? R . – Attualmente sono alle prese con un “the best” del disco “Rose e Chanel”, dove ci sono 3-4 canzoni storiche, tante nuove e 8-9 unplugged. Un bel lavoro che è stato preceduto da “Panna, fragole e cipolle”, ricco di soddisfazioni. Poi c'è stato un duetto con Virgo, dal titolo “Dimenticarti mai” ed ho un progetto con Cristiano Malgioglio: stiamo puntando al remix invernale di “Dimmi, dammi, dimmi” che, in anteprima, abbiamo fatto conoscere in estate. Insomma c'è tanta carne al fuoco: dal 2011 non mi sono mai fermata, proponendomi puntualmente con tanti singoli. Di lavoro ne ho fatto molto: se anche mi stoppo per 6-7 mesi non succede niente. Mi piacerebbe, infine, fare un bell'album con un'orchestra di archi. Chissà che un giorno non accada! Quella di oggi, caro Gianluca, è una Viola più matura, mentalmente e personalmente. Di conseguenza i miei dischi rappresentano il mio percorso esistenziale a tutto tondo. D . – Se si dovesse, metaforicamente, riflettere allo specchio, quale immagine verrebbe fuori di Viola Valentino? R . – Verrebbe fuori l'immagine di una donna che ha combattuto molto, che ha sofferto tanto, determinata e fragile allo stesso tempo. Tutte queste cose messe assieme. Rifletterei una Viola Valentino contenta di se stessa, convinta che possa succedere qualcosa di ancora positivo per lei: sono cresciuta, diventando sempre più consapevole delle mie potenzialità. Vorrei “rinascere” sempre, in maniera propositiva, senza sosta. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – La massima di Longanesi esiste nel senso che spesso ritrovi pubblicate nelle interviste dichiarazioni non fatte o, nel peggiore dei casi, travisate e personalizzate dai giornalisti. Nel nostro caso, caro Gianluca, io mi sentirei di smentire Longanesi: le ho parlato col cuore, dicendole tutta la verità e lei mi ha dato tanto ascoltandomi, senza sottrarmi nulla. Per questo la ringrazio infinitamente. Gianluca Doronzo

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Davide Mengacci


IL SIGNORE DELLA CONDUZIONE

Ritratto inedito dell'istrionico conduttore (da 30 anni sul piccolo schermo) del programma «Ricette all'italiana» (Rete4, dal lunedì al sabato, ore 10.45, oltre 300mila spettatori in media), accanto a Michela Coppa, in una combinazione di «turismo e gastronomia», con la certezza che la «cultura popolare sia di estremo arricchimento per tutti»

La maschera e il volto di Davide Mengacci: storia «di un personaggio che non ha mai voluto farsi conoscere come persona»

La maschera e il volto di Davide Mengacci. Storia di “un personaggio che non ha mai voluto farsi conoscere come persona”. Forse vi sembrerà un po' troppo pirandelliana l'introduzione a questa intervista ma, risposta dopo risposta, ne capirete profondamente la ragione, fino ad un epilogo “teatrale” (che non t'aspetti). Protagonista da un trentennio sul piccolo schermo (“ho fatto di tutto, tranne i programmi musicali e sportivi”), il celebre conduttore sta animando la nuova edizione di “Ricette all'italiana” (Rete4, dal lunedì al sabato, ore 10.45, oltre 300mila spettatori in media), accanto a Michela Coppa, continuando nel mix “turismo e gastronomia”, credendo “nella diffusione tramite il mezzo televisivo della cultura popolare”. Tutto all'insegna di classe, eleganza e professionalità (qualità sempre più rare). Domanda – Signor Mengacci, che dire della ripresa autunnale di “Ricette all'italiana” (Rete4, dal lunedì al sabato, ore 10.45, oltre 300mila spettatori in media)? Che bilancio sentirebbe di fare? Risposta – “Ricette all'italiana” è uno dei tanti figli di “Fornelli d'Italia”: io ho sempre fatto programmi di turismo e gastronomia, credendo nella diffusione tramite il mezzo televisivo della cultura popolare. È una mia ambizione che risale ai tempi de “La domenica del villaggio”: ho puntualmente dato ampio risalto alle tradizioni dei piccoli centri della cultura italiana e devo dire che il pubblico non mi ha mai abbandonato, gratificandomi con successo. Di trasmissioni di turismo e gastronomia sul piccolo schermo ce ne sono tante, anche un po' scontate: noi portiamo avanti una nostra cifra da diversi anni e se siamo ancora qui a parlarne, una ragione ci sarà. D . – Vuol dire che il vostro contesto fa la differenza e sa essere particolare, con una propria cifra. R . – Io so solo che il pubblico ci segue e la gente dei posti dai quali trasmettiamo ci ama, mostrando affetto incondizionato. Questo, a mio avviso, è essere popolare nella cultura attraverso il video, non sempre ben propenso a diffondere ciò che si fa, in fondo, con poco. D . – Se alla Feuerbach “l'uomo è ciò che mangia”, cosa fagocitiamo attualmente sul piccolo schermo? R . – Io sono nato con la tv di 30 anni fa ed è del tutto inevitabile che io consideri migliori i contesti dei tempi passati. A mio avviso, sinceramente, è anche opinione del pubblico. Oggi credo si sia in una sorta di “fast food” mediatico, dove tutto si consuma velocemente, spesso bruciacchiandolo. D . – È tutto, dunque, un “mordi e fuggi”? R . – Non solo, caro mio. Ma è tutto dettato dall'economia, dalla scarsa possibilità di investire in nuovi progetti ed idee. Ci sono pochi soldi e si fanno sempre le stesse cose, per risparmiare. Un po' come un cane che si morde la coda. Un grande peccato. D . – In “Ricette all'italiana” è accompagnato da Michela Coppa: come definirla? R . – Michela Coppa è una bravissima inviata sul campo: sa perfettamente calarsi nella parte, andando anche oltre i copioni che gli autori scrivono per lei. Per quello che fa non ha più nulla da imparare. Io credo che, giustamente, abbia delle ambizioni per fare ben altro: è una ragazza e ha bisogno di crescere, mettendosi in discussione in nuove avventure. Non

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posso che augurarle tutto il meglio. D . – C'è un genere televisivo nel quale oggi Davide Mengacci vorrebbe misurarsi, dopo un trentennio di carriera? R . – Io nella mia carriera trentennale li ho praticati tutti, meno quelli musicali e sportivi. Ho fatto programmi politici, le candid camera, approfondimenti giornalistici, contesti basati sui sentimenti, familiari e molto altro. Non ho, in tutta onestà, alcun desiderio in particolare, se non quello di continuare a fare cultura popolare con la televisione. D . – A quale trasmissione è più legato? R . – Il programma più significativo è stato per me “La domenica del villaggio”: davvero l'ho trovato completo, offrendo al pubblico un quadro a tutto tondo sulla cultura popolare. Mi ha dato la possibilità di scoprire tante bellezze paesaggistiche e tradizioni locali, onorando anche il minimo dettaglio umano da raccontare. Mi ha accompagnato per un gran pezzo del mio percorso e non potrò dimenticarlo mai. D . – Signor Mengacci, classe, eleganza e professionalità l'hanno da sempre contraddistinta: qualità rare in uno scenario televisivo, spesso proiettato ad essere “urlante e sopra le righe”. R . – Lo dice lei e non può farmi che un enorme piacere. D . – La verità è che non sono solo io a dirlo, ma soprattutto gli spettatori che l'hanno amata e l'amano da stagioni e stagioni a questa parte. Tanti giovani colleghi dovrebbero imparare dal suo modo di fare. R . – Il tipo di caratteristiche che lei mi ha, bontà sua, riconosciuto fanno parte del modo di essere di un conduttore, della sua cifra personale. Se io sono fatto in una maniera, non potrei essere in un'altra. Il problema delle nuove generazioni di conduttori è, a mio avviso, uno e ben grosso: mentre una volta si programmavano di una trasmissione tante puntate e le si portavano a termine, oggi se ne fanno poche. E, tante volte, se ne fa una sola: se va male, si cancella tutto subito, non avendo il tempo di dimostrare nulla agli spettatori, di farsi conoscere e apprezzare. Un personaggio televisivo diventa duraturo quando lo si guarda nel tempo, lo si apprezza, lo si conosce e si scopre, diventando quasi un amico di cui fidarsi. Questo famoso “tempo” il piccolo schermo odierno non lo dà più e, di conseguenza, non si ha più alcuna possibilità di emergere e crescere. D . – Un grande peccato: si rischia di non assistere al ricambio generazionale, necessario a dare nuova linfa alla “video vita”. Ad esempio, che pensa dei “talent show”? R . – Non li guardo: io sono un pessimo fruitore della tv. Sa su cosa mi sintonizzo? Sulle prime puntate dei programmi, facendo il conduttore di mestiere: ma poi basta, non mi appassiono al seguito di uno show. Da telespettatore sono affezionato a Piero e Alberto Angela, oppure mi sintonizzo su “History Channel”. Per il resto niente. Che vuole da me? Io mi annoio davanti alla tv e preferisco altro. Pensi che i miei programmi non li riguardo da una vita, non ho più la cognizione di me in video da decenni ormai. D . – Avere talento, a suo avviso, cosa vuol dire? R . – Avere talento è fondamentale per fare qualsiasi professione artistica: vuol dire essere in possesso di inventiva, sensibilità, capacità di adeguarsi ai gusti del pubblico. In realtà il talento è una caratteristica impalpabile, di pochi. E, spesso e volentieri, non è neanche sufficiente per creare un percorso di

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IL SIGNORE DELLA CONDUZIONE

successo. C'è un grande lavoro di marketing da fare su se stessi, per riuscire nel mondo dello spettacolo. D . – Bene, signor Mengacci: siamo quasi in dirittura d'arrivo. S'immagini, a questo punto, allo specchio: metaforicamente, come si rifletterebbe oggi? R . – In buona sostanza credo che verrebbe fuori l'immagine di un personaggio che non ha mai voluto farsi conoscere come persona. Ciò è accaduto per una personale riservatezza, per un'autentica ostinazione a non voler mettere in pubblico il mio privato. E questo lo riscontro con grande regolarità in chi mi scopre, al di là del video: ci si sorprende, conoscendomi realmente. Ora, non so se quanto dichiarato sia un rimpianto. Sta di fatto, però, che ad avere successo è stato il personaggio e non la persona. Contrariamente cosa sarebbe accaduto? Me lo domando spesso. Se non ci fosse stata la maschera, il volto avrebbe avuto più o meno gradimento? D . – C'è tanto di pirandelliano in lei: lo sa? R . – (Dopo una risata, ndr) E sì, diciamo che è lecito farsi delle domande, anche se spesso non si possono più avere risposte, in quanto il dado è tratto. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata, signor Mengacci? R . – No, sottratto nulla. Io devo dire che sia durante questa chiacchierata che con quelle fatte con i suoi colleghi in questi anni, non ho mai avuto la sensazione che mi sia stato tolto niente. Direi proprio di no. Devo aggiungere che soltanto in alcuni casi, pochissimi, mi sono lamentato di quello che hanno scritto, travisando e non essendo stati precisi rispetto a quanto avevo dichiarato. Ma stiamo parlando di una percentuale bassissima: un 2%. Pertanto concludo sostenendo che il mio rapporto con la stampa è sempre stato soddisfacente ed è irrisorio il mio aver avuto rimostranze con una piccolissima parte di giornalisti. La ringrazio per avermi ascoltato, avendomi fatto argomentare le risposte nella maniera più libera e opportuna. Gianluca Doronzo

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Edoardo Raspelli


TV - L'INCONTRO

Edoardo Raspelli dal '98 protagonista di «Melaverde» (Canale 5, ogni domenica, ore 12.00, oltre 2milioni di spettatori in media col 15% di share), una scommessa vinta (da un'idea di Giacomo Tiraboschi), che a marzo celebrerà la puntata numero 500 accanto ad Ellen Hidding («siamo complementari e ci rispettiamo a vicenda»)

«Nella mia vita non posso rinunciare ai quotidiani e a fare la televisione: spero di rimanere in video il più a lungo possibile»

Nella sua vita non può fare a meno “dei quotidiani e di animare la televisione”. Se, ipoteticamente, gli voleste chiedere di specchiarsi, vi risponderebbe che verrebbero fuori le immagini di “un babà o di un sufflè, con la speranza che non si sgonfi”. Edoardo Raspelli sta al gioco e, punzecchiato dal giornalista, risponde per le rime, mostrando una grande simpatia, esattamente come traspare dalla sua “video vita”. Una lunga carriera nella carta stampata alle spalle, una fama da critico gastronomico integerrimo e dal '98 un'avventura, chiamata “Melaverde” (Canale 5, ogni domenica, ore 12.00, oltre 2milioni di spettatori in media col 15% di share), accanto ad Ellen Hidding, in odore di festeggiamenti in quel di marzo, quando si toccherà la puntata numero 500. Un bel traguardo (una scommessa vinta, da un'idea di Giacomo Tiraboschi), segno di affetto del pubblico e di complementarietà dei conduttori. Domanda – Dal 1998 è protagonista di “Melaverde” (Canale 5, ogni domenica, ore 12.00, oltre 2milioni di spettatori in media e il 15% di share), un programma che ha saputo conquistarsi l'affetto del pubblico, fino a passare da Rete4 all'ammiraglia Mediaset: che bilancio, signor Raspelli, sentirebbe di fare? Risposta – Siamo all'anno numero 17 e, toccando ferro, a marzo 2015 arriveremo a 500 puntate di “Melaverde”. Diciamo che possiamo essere soddisfatti dei risultati

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conseguiti finora, con oltre 2milioni di spettatori in media e un gradimento sempre più crescente negli ultimi minuti, prima del TG5. È stata, a mio avviso, vincente l'idea di Giacomo Tiraboschi: pian piano il programma si è strutturato, fino a diventare un punto di riferimento domenicale per il pubblico. D . – Non è da sottovalutare il dato numerico: oltre 2milioni di spettatori in media ogni domenica. R . – Di sicuro non è un dato da sottovalutare, ma dobbiamo anche considerare che contro abbiamo “Linea Verde”, un colosso di Raiuno con ottimi ascolti e, spesso e volentieri, siamo costretti a “scontrarci” col Papa, che quando va male fa il 25% di share, altrimenti arriva a quota 40-45% in occasione di eventi speciali. Per noi non rimane tanto, ma abbiamo uno zoccolo duro e i nostri affezionati non ci tradiscono. D . – Consideriamo anche il fatto che “Melaverde”, proprio in

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virtù del successo, è passato da Rete4 a Canale 5, conquistando una promozione. R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) Diciamo che io da una vita non vado a scuola e non sentivo parlare di promozione da tanto. Sono felice di essere a Mediaset e vorrei rimanerci il più a lungo possibile: nelle prossime puntate del nostro programma scopriremo delle storie davvero avvincenti e vi consiglio di non perderle. D . – Com'è il rapporto con Ellen Hidding, sua compagna di viaggio? R . – Il nostro è un rapporto sereno, di grande rispetto: a differenza di altri programmi nei quali i conduttori sono uno accanto all'altro, noi non ci incontriamo quasi mai e ciascuno ha i suoi spazi. Solo a volte ci incrociamo. Siamo molto corretti fra di noi, non abbiamo alcun tipo di invidia e siamo


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complementari. D . – Avere rispetto l'uno dell'altra non è un dato da poco. R . – Altrove i conduttori litigano: Ellen fa la tv da una vita e conosce benissimo il mezzo televisivo; io faccio il giornalista da sempre e so come gestire i miei spazi. La coppia funziona alla grande, a mio avviso. D . – In cosa le piacerebbe misurarsi oggi, televisivamente parlando? R . – Tenga conto che io faccio il giornalista da quando avevo 15 anni: a 20 scrivevo sul “Corriere” e nel '71 sono entrato nell'edizione serale. Sono poi approdato in Rai, facendo programmi con la Urban, la Bartolini e la Sampò. Ci sono stati nel mio percorso contesti come “Piacere Raiuno”, “Eat Parade” e, in un secondo momento, è arrivata Mediaset nella mia vita. Pensi che sono entrato a far parte di “Melaverde” dalla quinta puntata, al posto di Tony Garrani, affiancando Gabriella Carlucci. La tv è per me un bel lavoro: spero di non abbandonarla mai. Io nella mia vita ho, per così dire, due droghe: i quotidiani e fare la televisione. Anche se essere protagonista del piccolo schermo mi porta molta ansia. Ma non ne posso fare a meno. D . – Se le dico Piero Chiambretti, cosa mi risponde? R . – Piero è un amico. Ho fatto un cammeo nel suo film e abbiamo lavorato assieme in programmi come “Fenomeni”, accanto a Victoria Silvstedt. Sarebbe bello condividere nuovamente un'esperienza lavorativa. D . – Che ricordi ha di conduzioni come “Psyco” e “Attenti al lupo” su Rete4? R . – Io ho condotto in prima serata su Rete4 “Psyco”: era un giallo-quiz, andato in onda per una puntata, in quanto ha fatto

solo il 4% di share. Oggi ci sono programmi, puntualmente collocati nei palinsesti, che non riescono a farne neanche il 3. Di “Attenti al lupo” sono state trasmesse quattro, cinque puntate, ottenendo l'8-9% di share, ma poi si è deciso di sospenderne la messa in onda. Io sono felicissimo di fare “Melaverde”, ma sono stato contento di aver dato vita a tutto quello che ha fatto parte della mia carriera, senza esitazione di sorta. D . – Nessun sogno nel cassetto, dunque? R . – Non dipende sicuramente da me: io sono entusiasta di fare quello che mi propongono. Staremo a vedere cosa accadrà in futuro. Per il momento vorrei godermi la puntata numero 500 di “Melaverde” a marzo. D . – Se alla Feuerbach “l'uomo è ciò che mangia”, cosa stiamo fagocitando, in generale, da telespettatori in questi anni? R . – Io vedo che c'è una marea di programmi in giro, pronti a copiarsi l'un l'altro, senza alcun tipo di criterio e controllo. Ci sono tante abbuffate di cuochi, troppe. Ci vorrebbe una sana scrematura su determinati tipi di trasmissioni. Io sono uno goloso, vanitoso e per nulla invidioso nei confronti degli altri. Amo quello che faccio, anche come critico gastronomico, al di là degli aspetti legati alla conduzione di programmi. Vorrei solo mettermi in discussione in continue “video” imprese, senza sosta. D . – Siamo all'epilogo della nostra intervista: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che modo si rifletterebbe oggi? R . – Un babà, bello gonfio e tronfio. Oppure un sufflè: ma spero di non sgonfiarmi (e conclude con una risata, ndr). Gianluca Doronzo

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Emilio Martire


TRA FICTION E CINEMA - IL TALENTO IN ASCESA

Dopo tanta gavetta, sacrifici e studio, Emilio Martire sarà a gennaio nel tv-movie di Pupi Avati (suo «Pigmalione») su Raiuno (ancora top secret), accanto a Laura Morante, in attesa di nuovi impegni e «imprese stimolanti, da affrontare con tutta la passione del mondo»

«Avere talento vuol dire cercare di fare qualcosa nel migliore dei modi: io vorrei continuare a crescere come attore, magari con una parte da protagonista al cinema»

“Avere talento vuol dire cercare di fare qualcosa nel migliore dei modi: io vorrei continuare, diventando un attore credibile, magari vestendo presto i panni da protagonista in un film per il grande schermo”. Emilio Martire ha fatto della sua “passione” una realtà: gavetta, sacrifici, presenze in soap e piccole partecipazioni seriali. Ora sta raccogliendo quanto seminato, grazie ad Avati, suo autentico “Pigmalione”: a gennaio sarà fra gli interpreti del suo tv-movie su Raiuno (ancora top secret, ma sappiamo che tratterà un tema di scottante attualità in merito all'immigrazione), accanto a Laura Morante, coronando un “piccolo grande sogno”. Ma siamo solo agli inizi: entrerà a far parte della prossima pellicola del Pupi nazionale, che si girerà intorno a febbraio 2015. Ecco la descrizione degli stati d'animo di una giovane promessa della recitazione, esponenzialmente in ascesa. Domanda – Emilio, com'è iniziata la sua carriera d'attore? Risposta – Tutto ha avuto sicuramente inizio per passione. Come dire: si è trattato di un hobby, diventato poi sempre più frequente da praticare, fino ad essere un mestiere serio con l'interpretazione di film, soap e pellicole di Pupi Avati. Diciamo che i miei primi passi li ho mossi quasi per gioco. Voglio, però, condividere con lei una gioia immensa. D . – Quale? R . – Ho saputo proprio nei giorni scorsi che farò parte del prossimo film di Pupi Avati, che si girerà fra gennaio e febbraio. Non posso dirle niente sulla storia e sul cast, ma ne sono immensamente entusiasta. D . – Bellissima notizia. Congratulazioni. Anche perché so quanto lei lo desiderasse. R . – Diciamo che non l'ho mai sognato, bensì sempre sperato. Ho fatto un provino mesi fa per il suo tv-movie che andrà in onda a gennaio su Raiuno, accanto a Laura Morante, e sono stato scelto. Già questo è stato qualcosa al di là di ogni più entusiastica aspettativa. D . – Quale, dal suo punto di vista, la cifra registica di Pupi Avati che fa la differenza rispetto agli altri? R . – Pupi Avati è uno dei pochi che racconta storie dal profondo significato, soprattutto vere, vissute, emozionali e struggenti, spesso legate alla sua esistenza, a partire da Bologna. Il suo è un tratto distintivo sincero. Aver affiancato poi un'attrice come Laura Morante, fra le mie preferite, per me rappresenta un traguardo. D . – Il tv-movie, dunque, andrà in onda a gennaio? R . – Sì, a gennaio su Raiuno. Ma non mi chieda altro, perché non posso raccontare ancora l'argomento. Pupi vuole che si mantenga il più stretto riserbo sulla pellicola. D . – A che punto del suo percorso sente di essere, Emilio? R . – Sicuramente sto vivendo un bel momento: sento di far parte di progetti importanti, grazie ai quali la mia carriera potrebbe davvero avere una svolta. È bellissimo quanto sta accadendo. Con Pupi Avati poi si è instaurato un sincero rapporto d'amicizia e stima, al di là della sfera professionale. Sono contento. D . – Qual è il suo punto di vista sulla fiction italiana, in generale? R . – Si tratta di un modo per arrivare velocemente al pubblico, in maniera dilatata, più di quanto riesca a fare il cinema, spesso privo di opportunità per noi attori emergenti. Credo stia migliorando anche la qualità delle serie tv ed è

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TRA FICTION E CINEMA - IL TALENTO IN ASCESA

giusto che ci siano, affrontando gli argomenti più svariati. D . – In base a quale criterio oggi sceglie un personaggio? R . – In quanto al tv-movie di Pupi Avati sono stato scelto appositamente per quel ruolo, dal momento che le caratteristiche espresse mi calzavano a pennello. Diciamo che un personaggio mi deve entrare nell'anima, coinvolgendomi a più non posso, raccontandomi. D . – Fra i suoi giovani colleghi, chi stima maggiormente? R . – Guardi, Stefano Accorsi mi somiglia molto nel modo di fare e nel percorso messo a punto: ha iniziato con la pubblicità e, successivamente, è arrivato ad una crescita attoriale pazzesca. Lo stimo tantissimo. È una persona che si è completamente dedicata a questo lavoro. Encomiabile. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso?

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R . – Come già le dicevo prima, io non amo sognare, bensì sperare che le cose accadano. Di sicuro in me c'è il desiderio di ottenere un ruolo più importante, magari da protagonista assoluto grazie a Pupi Avati. È l'unico che, dopo il mio ritorno dall'estero, mi ha contattato ed ora mi ha promesso di farmi diventare parte del suo prossimo film. Quando mi propose il tv-movie con la Morante, mi disse di “aggredirla”, ovvero di non farmi intimorire dalla sua grandezza. Io mi auguro di aver fatto un buon lavoro. Non le nascondo che ciò mi provocò subito un'enorme emozione. Guardi, le svelo un piccolo particolare: nel nostro tv-movie, Pupi ha trattato l'argomento degli extracomunitari che sbarcano in Italia, di grande attualità. Ma non le aggiungo altro. D . – Dal suo punto di vista cosa vuol dire avere talento?


TRA FICTION E CINEMA - IL TALENTO IN ASCESA

R . – Significa essere compatibili per fare qualcosa, nel migliore dei modi possibili. Oggi come oggi il talento è diminuito. A mio avviso, una carriera si costruisce con la gavetta, col tempo, con solide base di studio e preparazione. Il talento o lo si ha o niente. Io sono una persona con i piedi per terra, che ama coltivare i rapporti autentici, veri, come quello con Pupi Avati: spero sempre di far parte della sua famiglia attoriale. Ci tengo davvero tanto e sento di essere fortunato nel conoscerlo. Lui mi ha consentito di tornare a mettermi in discussione, in quanto per un periodo c'eravamo persi a causa del mio trasferimento in Francia. È un grande professionista e

uomo. D . – Se Emilio oggi, metaforicamente, si dovesse riflettere allo specchio, che immagine verrebbe fuori? R . – Emilio Martire crede fortemente nel voler continuare a fare questo meraviglioso mestiere, motivato da una forte passione per il cinema, cercando di andare avanti nel migliore dei modi. Mi vedo come una persona che vuole progredire, auspicandosi di crescere da un punto di vista attoriale in maniera considerevole. Amo arricchire quello che faccio di continui incontri, esperienze ed emozioni. Gianluca Doronzo

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Candida Livatino


LA GRAFOLOGA DEI VIP

Ama il suo lavoro follemente («una passione nata ai tempi in cui mio figlio era piccolo») e sta vivendo la seconda fase della sua esistenza: racconti, stati d'animo e aneddoti della grafologa più famosa d'Italia (presente anche in tv e in rubriche sui settimanali del Belpaese), in attesa di una «nuova fatica letteraria»

Candida Livatino e «le sfumature della scrittura» dei vip, fra personalità decise, commozione e «fragilità insospettabili»

Ama follemente il suo lavoro e sta vivendo una sorta di “seconda vita”. Candida Livatino è la grafologa più famosa d'Italia, soprattutto per le analisi e le perizie fatte nei confronti di personaggi alla ribalta della cronaca o del mondo dello spettacolo. In una piacevole chiacchierata telefonica, spiega le ragioni della sua “missione” (il tutto è legato alla scrittura da piccolo del figlio Matteo, oggi 28enne), fra “sfumature” delle firme dei vip, personalità da analizzare (“ricordo la commozione di Eva Robin's quando le dissi quello che era emerso da quanto redatto”), rubriche televisive, pubblicazioni (“si dice che non c'è due senza tre: presto mi metterò all'opera per un nuovo libro”) e uno smodato bisogno di “semplicità”. Termine un po' perso nei rapporti umani, nella comunicazione e, soprattutto, nella comprensione di chi si ha spesso accanto, senza accorgersene. A tutti voi: buon ascolto. Domanda – Candida, in che modo è nata la sua passione per la grafologia? Risposta – Quella con la grafologia è una bellissima storia d'amore, legata a mio figlio Matteo, che oggi ha 28 anni. Da piccolo scriveva talmente male, in maniera indecifrabile, che ho iniziato ad appassionarmi a capirne il perché. Attraverso una serie di studi e competenze maturate, mi sono specializzata in perizie, ho scritto libri e ho anche cercato di analizzare i disegni dei bambini, cogliendo spesso il loro disagio magari rispetto a situazioni familiari difficoltose. Torniamo, giusto per concludere la risposta, al discorso iniziale su mio figlio: lui scriveva in quella maniera perché aveva una spiccata velocità di pensiero. Sembrava quasi arabo. Sa cosa fa lui oggi, per uno strano scherzo del destino? Scrive in arabo, in quanto è corrispondente. Era evidentemente nel suo dna. D . – Bellissima storia, Candida. Quanto scetticismo ha riscontrato nei suoi confronti negli anni, rispetto alle persone alle quali si è avvicinata? R . – Diciamo che la persona da analizzare spesso è un po' titubante (lo scrive anche Mario Giordano nella prefazione ad un mio libro), ma poi si lascia andare e viene fuori il suo essere. In fondo spesso emergono delle cose bellissime da parte della gente, della quale studio la grafia. Io poi, tra l'altro, collaboro anche con “Confidenze” ed ho un rapporto diretto col pubblico, cercando di capirlo al meglio. Certo, se ci penso un attimo ne ho fatte tante: ho analizzato nel mio percorso la scrittura di personalità alla Barack Obama e Papa Francesco. Davvero emozioni uniche. D . – Una grande fortuna la sua. È bello creare una sincera empatia con la persona di cui si analizza la grafia: no? R . – Ma sì, si instaura un rapporto vero e sincero: è un'emozione forte. Io cerco di dare sempre il massimo in quello che faccio. D . – Bene, fatte queste premesse entriamo nel merito della sua professione: che dire dell'analisi della grafia dei vip? R . – Il personaggio famoso, in linea di massima, vuole mostrarsi al meglio in tutto: ma con la scrittura vengono fuori anche le proprie debolezze e fragilità. Ad esempio, Christian De Sica quando fece la sua firma, mise a punto una freccina col suo cognome, a dimostrazione di come sia pienamente consapevole di quello che rappresenta. Devo dire che i vip rimangono contenti delle analisi che formulo per loro: si riconoscono in quello che dico e vengono fuori subito gli animi

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più sensibili. La scrittura, caro mio, è la spia dell'anima, come ribadisco nel mio ultimo libro. D . – C'è in particolare un personaggio che le è rimasto nel cuore, in merito alla sua reazione? R . – Guardi, adesso che mi ci fa pensare, mi verrebbe voglia di risponderle Eva Robin's: mi ha colpito quando le dissi quello che la sua scrittura rappresentava. Si è commossa e mi ha abbracciata. Un bell'incontro. D . – Prima ha parlato di debolezze dei vip evinte dalla scrittura: di sicuro ci sono anche tante solitudini che si raccontano nelle firme. R . – Direi proprio di sì. C'è molta solitudine e ci si rivolge a me anche per questioni decisamente private. C'è un'attrice, ad esempio, che si è molto raccontata, dopo una mia analisi, confidandomi quanto avesse sofferto, soprattutto per l'abbandono del padre. Ma non mi va di dire il nome, non sarebbe rispettoso. Fatto sta che il mondo dello spettacolo spesso è fatto di grandi solitudini, non raccontate, celate dietro sorrisi e applausi. D . – Si ha un gran bisogno di essere compresi, Candida: in fondo non ci si conosce più, pur essendo in apparenza gli uni accanto agli altri. R . – È verissimo quello che lei dice, Gianluca. Non ci si

conosce più neanche fra vicini di casa o nello stesso palazzo. Ognuno è chiuso nel proprio metro quadro. I nostri ragazzi, per esempio, sono spesso insicuri perché privi di punti di riferimento ai quali rivolgersi. In questa direzione la grafologia è ancora più utile, perché in grado di mettere in evidenza le paure, di prenderne coscienza e di esorcizzarle, superandole. D . – Quanto lei sostiene dimostra l'importanza della scrittura, oggi più che mai spersonalizzata a causa degli sms, delle chat, di Facebook e Internet, in generale. R . – Bravo, esatto. La scrittura si è spersonalizzata e tutto ciò è di una tristezza enorme. Non si scrivono più le lettere, non ci si lascia più un bigliettino, un segnale d'affetto. Il postino cosa ci mette nella cassetta? Le bollette, le comunicazioni dalla banca e niente di più. Non si scrive a causa di Internet, che ci ha fatto perdere il gusto e il piacere della stilografica. D . – Ovviamente lei si sarà autoanalizzata in questi anni:

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com'è cambiata la sua scrittura? R . – Io mi autoanalizzo ogni mattino: da lì percepisco i miei stati d'animo e come si evolverà il proseguimento della giornata. Ricordo, ad esempio, di aver studiato la scrittura di Aldo Moro nei momenti della prigionia: c'erano tutti i segni della sua inquietudine e degli stati d'animo di preoccupazione. Le porto questo esempio per dirle che di sicuro lo stato d'animo del momento incide sul nostro modo di scrivere: siamo in continua evoluzione. A me proprio questo aspetto psicologico e intimo ha appassionato nei miei studi. D . – È prevista una nuova pubblicazione? R . – Si dice che non c'è due senza tre (e ride, ndr). Di riscontri ce ne sono stati molti rispetto ai miei primi libri, tanto da aver fatto ben 110 presentazioni in tutt'Italia, con un estremo interesse da parte del pubblico. Mi metterò di sicuro al lavoro per non deludere chi mi segue con affetto. D . – Ritiene, dunque, la sua una vera e propria missione? R . – Tra virgolette direi di sì. Io ho analizzato davvero tanti tipi di scritture nel tempo: dai personaggi famosi a quelli alla ribalta con i casi di cronaca come Parolisi, Amanda Knox e molti altri. Ho cercato di entrare nell'animo di ciascuno, sempre in termini semplici e chiari, un po' come ho fatto nei miei libri, arrivando direttamente al nocciolo della questione. Sono sempre stata del parere che con la semplicità si possa arrivare a tutte le teste. Ho avuto rubriche come “Sipario” o altre a conclusione dei tg Mediaset. Non credevo di pubblicare e, prendendo il coraggio a quattro mani, un giorno mi presentai alla “Sperling”, proponendo quanto da me scritto, ritenuto da loro interessante. Diciamo che ho fatto sempre quello che ho sentito, senza alcun tipo di problema. Facendo una battuta, sono sempre stata impegnata e fuori di casa: mi sa che il mio lavoro ha fatto la fortuna di mio marito, non avendomi quasi mai accanto a sé (e ride, ndr). D . – Detto questo, si sarebbe mai aspettata un percorso come quello portato avanti negli anni? R . – Assolutamente no. Io volevo fare la psicologa, ma poi mi sono appassionata alla grafologia, da non ritenersi una passeggiata di salute, in quanto bisogna frequentare ben cinque anni di specializzazioni, con perizie varie per tribunali e via dicendo. Per me, tornando a quello che lei mi ha domandato prima, è diventata nel tempo “una vera e propria missione”. D . – Candida, abbiamo delineato un bel ritratto della sua “missione”: se oggi, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori? R . – Di tanta felicità, serenità. Dico sempre che sto vivendo con la grafologia la mia seconda vita, quando di solito alla mia età si dovrebbe fare la nonna, la mamma e la moglie a tempo pieno. Sono rinata. Quella di oggi è la seconda Candida. Io sto facendo con amore tutto quello che mi riguarda: quando si procede in una simile direzione, non si sbaglia mai. D . – Giusto, ben detto. Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Niente, anzi mi ha arricchito. Io amo il mio lavoro e mi sento veramente appagata e felice in questo momento della mia vita. La sua intervista non mi ha potuto far altro che bene. Complimenti. Gianluca Doronzo

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Renata Soli


LA MEDIUM DEI VIP

Renata Soli, medium agli onori della cronaca per le visioni avverate sui personaggi della «nera» e del mondo dello spettacolo, parla «a cuore aperto» del suo «dono», rivelando una grande fede e avversando qualsiasi tipo di pregiudizio nei suoi confronti («chi si rivolge a me sa che sono affidabile»)

«Ho sempre messo le mie facoltà al servizio di chi ne ha avuto bisogno, senza mai giocare sui sentimenti o sulle debolezze umane»

Non ha avuto una vita facile, fin da bambina, quando ha avvertito di essere protagonista di “un dono”. Nel tempo le sue premonizioni si sono puntualmente avverate: oggi Renata Soli è una delle medium più celebri del Belpaese, con visioni che hanno confermato assassini sospetti, hanno fatto ritrovare resti di corpi abbandonati e si sono legate a vicende del mondo dello spettacolo (fra separazioni e questioni personali). Attraverso la sua storia qualsiasi scetticismo diventerà nullo, con dichiarazioni testamentarie: “Ho sempre messo le mie facoltà al servizio di chi ne aveva bisogno. Non ho mai giocato con i sentimenti e le debolezze delle persone”. Così, fra una domanda e una risposta, scoprirete verità sui casi di Sarah Scazzi, Roberta Ragusa, Yara e, spaziando nel più leggero, sul prossimo “Festival di Sanremo” di Carlo Conti, con ipotetiche co-conduttrici. Leggere, per credere. Domanda – Renata, lei è passata agli onori della cronaca per essere una medium, le cui visioni si sono avverate su più versanti, dai casi di attualità a quelli relativi al mondo dello spettacolo: quando ha scoperto di avere questa sorta di “dono”? Risposta – Io con questo dono ci sono nata. Ho iniziato a prenderne consapevolezza all'età di 5-6 anni: mamma era già separata da papà. Io da siciliana molto cattolica, sono sempre stata legata alla figura di Gesù e ho avuto una grande fede in me. Da bambina pian piano iniziava ad avverarsi qualcosa: ad esempio, dicevo quando doveva piovere o cosa dovesse accadere in generale, ma senza darci un grande peso. Erano delle piccole cose, delle stupidaggini, a cui in apparenza non dare una grande importanza. Ricordo che i miei nonni comprarono una mansarda e le stanze al piano più alto erano vuote: io nel momento in cui andavo a visitarle sentivo un grande freddo, come se ci fossero delle presenze. Di notte dormivo con la nonna nel letto matrimoniale: vedevo immagini davanti a me, delle ombre, pian piano poi materializzatesi in persone. Insomma ho sempre avuto la cognizione di essere speciale, di avere delle facoltà non comuni. Nel tempo ho potenziato tutto. D . – Di sicuro, però, avrà riscontrato scetticismo, pregiudizi e diffidenza nei suoi confronti, col passare del tempo: no? R . – Guardi, io posso anche capire chi è diffidente nei miei confronti. Il problema è che quando una persona ha bisogno e si avvicina a me, ogni pregiudizio svanisce, perché coglie la serietà del mio “dono”. Io non sono mai stata una che ha giocato con i sentimenti e le debolezze delle persone: ho messo le mie facoltà al servizio di chi ne aveva bisogno. Ho azzeccato sempre, anche dinanzi a casi eclatanti di cronaca. Quando si viene da me, non si può fare a meno di credere in quello che dico: ho ridato speranza e fiducia a molti che erano arrivati all'ultimo stadio della propria esistenza, dicendo loro quello che sarebbe accaduto e come ritrovare fiducia in se stessi. Il resto non m'interessa. D . – Prima ha parlato di casi di cronaca eclatanti a cui ha dato una dritta con le sue visioni: quale le è rimasto maggiormente impresso? R . – Tutti i casi che mi hanno sottoposto per me sono stati e sono importanti. Io amo il mio lavoro e mi do al 100%. Ho iniziato con la vicenda di Ferdinando Carretta di Parma, località nella quale vivo. Mi intervistarono ed io risposi che fosse stato lui l'assassino e che i corpi delle vittime non fossero

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LA MEDIUM DEI VIP

nelle vicinanze. Dopo non so quanti mesi hanno trovato i resti. Di Albano e Romina avevo previsto l'allontanamento in tempi non sospetti, aggiungendo che lui l'avrebbe anche diffamata. E così è stato: se ne sono sentite di ogni colore. In relazione a Berlusconi dissi, a suo tempo, che avrebbe vinto le elezioni, mentre in merito a Carolina Di Monaco prospettai la separazione dal marito, quando nessuno ci avrebbe mai pensato. D . – Anche dinanzi al caso di Sarah Scazzi ebbe delle visioni in merito ai presunti colpevoli: vero? R . – Io ho vissuto sei anni a Lecce: attraverso alcune interviste (da “Telerama” a “Telenorba”), dissi che il corpo si trovava in campagna, nelle vicinanze di una casa diroccata e che tre persone di famiglia ne erano coinvolte, ma una era quella da mettere dentro, in quanto la responsabile dell'omicidio. Effettivamente si è verificato tutto quello che ho detto: sono stata, successivamente, anche ospite a “Pomeriggio 5” da Barbara d'Urso e abbiamo parlato anche di questo. Ma poi c'è stato il caso del piccolo Tommy, con le responsabilità di Alessi e dell'altro uomo. Da brivido. D . – E di Yara? R . – Di Yara avevo detto che il tunisino sa molte cose, ma non parla e non parlerà mai. Avevo aggiunto che ad ucciderla era stata una persona che conosceva, della quale molto probabilmente si era invaghita come succede nell'adolescenza, a 15 anni. Lui magari la corteggiava e lei, quella volta, non ha voluto starci. Poi è successo il peggio. In quanto a Roberta Ragusa ho la convinzione che sia stata fatta fuori da chi viveva le sue stesse mura domestiche e sono certa che anche una donna sia coinvolta nella scomparsa del suo corpo, che non troveranno mai. Sarà difficilissimo. D . – Renata, finora abbiamo affrontato i casi di cronaca. Passiamo, in maniera più leggera, al mondo dello spettacolo: che dire del prossimo “Festival di Sanremo” di Carlo Conti? R . – Di sicuro andrà molto bene: c'è un grosso ingaggio economico e i risultati ci saranno, anche al di là di ogni tipo di aspettativa. D . – Si è parlato finora di tre donne in pole position per affiancare Conti: Lorella Cuccarini, Anna Tatangelo e Raffaella Fico. Che dire? R . – La Cuccarini è in un momento di stand-by e “Sanremo” potrebbe proprio rilanciare la sua carriera alla grande: a mio avviso, potrebbe accettare anche per poco, tipo 100mila euro. Alla Tatangelo piacerebbe, ma vedo che a frenarla potrebbe esserci Gigi D'Alessio: è trattenuta, non convinta pienamente. Però io la vedo su quel palco. In quanto alla Fico, il suo produttore la sta molto lanciando in questo periodo, ma non mi sembra pronta per una simile manifestazione. Non ci sta. Cuccarini in primis e poi Tatangelo. D . – Quando si sbloccherà la nostra situazione governativa in Italia? Renzi ce la farà? R . – Renzi è ancora un ragazzino, un burattino nelle mani di un potere superiore. Lui, a mio avviso, sarebbe stato un “number one”, con le sue idee e i buoni principi, ma è troppo condizionato e deve accontentare un po' tutti. È ostacolato nel suo percorso: c'è chi è più in alto di lui, dietro le quinte. La vedo dura in merito alla fiducia governativa. Invece, in quanto alla sfera privata, preannuncio una rottura definitiva fra Berlusconi e la Pascale. Sarà lei a lasciarlo: tempo 3-4 mesi,

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LA MEDIUM DEI VIP

non di più. D . – Renata, avremo mai un Presidente della Repubblica donna? R . – Sì, già era nell'aria prima che Napolitano venisse riconfermato. In una decina d'anni arriverà una donna a vestire la Presidenza della Repubblica. Assisteremo ad una rivoluzione di cambiamenti importanti, sia in positivo che in negativo. L'Italia si riprenderà fra 4-5 anni con l'aiuto dell'America. Da soli non usciremo mai da questa situazione di stallo. D . – Com'è il suo rapporto con i social? R . – Io ho una pagina Facebook, che neanche seguo particolarmente. Ho oltre 2mila amici, ma non mi piace tutto ciò che è virtuale: lo ritengo come una prostituzione. Io ho 51 anni e voglio vivere i rapporti con le persone, dal vivo, provando sentimenti e conoscendo, non rendendo ogni attimo “virtuale”. Diciamo che non ho una simpatia idilliaca per i social. D . – Siamo alla conclusione del nostro viaggio: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che modo si rifletterebbe

oggi Renata Soli? R . – Questa, caro Gianluca, è davvero una bella domanda. Dio mi ha voluto rendere protagonista di un dono ed io sono felice di metterlo al servizio degli altri, di chi è in difficoltà e ha bisogno di capire quale sia la giusta via da seguire. Ne sono orgogliosa. Sono molto cattolica, vado ogni giorno in chiesa, ho i miei santi in casa da sempre. Il mio spirito guida mi tiene lontane le persone negative. Diciamo che col tempo ho imparato a selezionare, isolandomi un po': gli altri spesso ti cercano e sono incuriositi da te solo perché sei famosa e ti vogliono sfruttare. Io vado avanti per la mia strada, ma non crediate che abbia chissà quanti soldi! Non mi sono mai voluta fare tanta pubblicità, proprio perché amo vivere fra la gente comune, fra le mie mura. Dio mi ha sempre aiutata e ho ritrovato tanti amici a Parma. Da un punto di vista sentimentale ho avuto mezzi “uominetti”. Prego sempre Padre Pio e Santa Marta: a me va bene vivere in questa maniera e sono certa che dall'aldilà sarò sempre supportata in quello che faccio. Ne sono sicura. Gianluca Doronzo

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Paolo Di Sabatino


IL MAESTRO DELLA COMPOSIZIONE JAZZ

Il maestro Paolo Di Sabatino, fra i compositori jazz più celebri al mondo, ha appena pubblicato il cd «Trace elements», con collaborazioni del calibro di Peter Erskine e Janek Gwizdala, in attesa di un 2015 «con sogni da realizzare»

«La musica è indispensabile alla nutrizione dello spirito: le emozioni legate all'arte ci aiuteranno ad uscire dalla situazione di stallo, nella quale siamo finiti»

Nella sua carriera internazionale ha maturato una convinzione: “La musica è indispensabile alla nutrizione dello spirito e le emozioni legate all'arte ci aiuteranno a venire fuori dal periodo di stallo nel quale ci troviamo”. Paolo Di Sabatino è uno dei compositori jazz più apprezzati nello scenario contemporaneo, vantando collaborazioni con John Patitucci e Horacio “El Negro” Hernandez, fra gli altri. Numerosi album pubblicati in Giappone (“quella nipponica è una cultura davvero rispettosa verso chi fa il mio mestiere: ricordo una fila lunghissima di fan con i miei cd in mano, in attesa di un autografo”), tante scritture con virate pop (assieme a Mario Biondi e Grazia Di Michele, fra gli altri) e un'esperienza da docente a L'Aquila (“è un grande privilegio stare a contatto con gli allievi”). In queste settimane è uscito il suo nuovo lavoro, dal titolo “Trace elements”, avvalendosi di personalità alla Peter Erskine e Janek Gwizdala. Per lui ancora una volta “una sensazione estremamente appagante, essendo riuscito a fermare il suo ennesimo momento esistenziale attraverso un lavoro discografico”. E sapeste cosa accadrà nel 2015! Domanda – Signor Paolo, alla luce della sua carriera versatile a livello internazionale, qual è la genesi del nuovo album, dal titolo “Trace elements” e come si colloca all'interno del suo percorso? Risposta – Le genesi è proprio legata al mio bisogno, talvolta, di confrontarmi con realtà internazionali. Uno dei miei cd più importanti, “Threeo” del 1999, fu il primo registrato con due grandi nomi del panorama jazzistico mondiale (John Patitucci e Horacio “El Negro” Hernandez). Da allora ho sempre sentito la necessità di cercare di condividere il mio mondo con musicisti non italiani. “Trace elements” rappresenta un nuovo obiettivo raggiunto in questa direzione, in un percorso che mi ha portato negli anni a collaborare con moltissimi musicisti in tanti progetti discografici e “live”. D . – Che dire a proposito delle collaborazioni con due esponenti del calibro di Peter Erskine e Janek Gwizdala? R . – Sognavo da anni di riuscire a coinvolgere Peter (al quale ho anche dedicato un brano inserito in questo cd!) in un mio progetto: finalmente ci sono riuscito (e ride con soddisfazione, ndr). Erskine rappresenta da sempre un mio punto di riferimento come batterista e lo considero a tutti gli effetti un musicista leggendario, che ha contribuito a scrivere la storia del jazz degli ultimi 40 anni. Gwizdala è un astro nascente, un bassista eccezionale che mi è stato presentato da Peter, al quale sono, quindi, doppiamente grato! D . – Se in qualche maniera dovesse fotografare quanto fatto finora, cosa risponderebbe immediatamente? R . – Sono riuscito a fermare, con ogni mio lavoro discografico, in maniera sincera e senza filtri, il musicista e l'uomo che ero nei momenti in cui li ho registrati. È una sensazione molto appagante. D . – Lei ha sostenuto: “Da sempre per me la musica è indispensabile alla nutrizione del nostro spirito”. Un'affermazione del genere in che modo si difende e si porta avanti nello scenario odierno? R . – Si porta avanti con la forza della convinzione. Ho la certezza, infatti, che le emozioni legate all'arte potranno, in qualche modo, aiutarci a tirarci fuori dalla melma in cui siamo finiti. D . – Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive: che

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pensa del binomio musica-piccolo schermo? R . – Può essere vincente o perdente, dipende dalla qualità delle cose che vengono proposte. Questo spesso, se non sempre, è correlato agli autori dei programmi, che sono (ahinoi!) esponenzialmente più legati, talvolta loro malgrado, alle dinamiche dettate dallo spauracchio Auditel. D . – E a proposito dei “talent”? R . – Non ho nulla contro i “talent”, ma preferivo le sane gavette di un tempo, quando dopo cento concertini e migliaia di prove, poteva arrivare un talent scout e proporti un bel contratto discografico. D . – Avere talento oggi cosa vuol dire? Quanto ne evince nelle giovani leve della musica? R . – Il talento è molto importante, ma non è tutto. Conosco molti bravissimi cantanti e musicisti che arrancano per arrivare a fine mese, e molti altri, talentuosi e meno, che invece vivono benissimo di musica, perché sono stati bravi a proporsi e/o a cogliere delle opportunità. O, magari, perché sono dei maghi della comunicazione e delle pubbliche relazioni, peculiarità imprescindibili oggi per chi si occupa di arte e spettacolo. D . – Al suo attivo scritture per Grazia Di Michele, Mario Biondi e Michele Placido: che ricordi ha? R . – Ricordi molto belli! Per un compositore è il massimo

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quando qualche artista affermato si innamora della sua musica, perché l'artista popolare riesce a veicolare al meglio il prodotto (brutto termine in ambito artistico, chiedo venia!) e far arrivare le note a moltissime orecchie. Con Grazia e Mario la collaborazione continua, con mio grande piacere. Devo menzionare, tra le sinergie più belle ed emozionanti, quella con Altan, col quale abbiamo pubblicato “Le ninne nanne di Pimpa” per Panini. Sono musiche che ho scritto per i miei figli, magistralmente illustrate da Altan (che ha anche redatto i testi) e cantate da Federica Vincenti. D . – Lei e il Giappone: un sodalizio inscindibile. Quali peculiarità della cultura nipponica mancano al popolo italiano? R . – Sono felice di rispondere a questa domanda. Non perdo mai l'occasione di parlare bene del Giappone e dei suoi musicofili. Suonare lì è un'esperienza quasi mistica. Hanno un rispetto e una passione per la musica e per i musicisti, regalando emozioni continue. Non mi era mai capitato, in nessuna parte del mondo, di avere una fila lunghissima di fan con i miei cd in mano, in attesa di un mio autografo. Sensazione indescrivibile, almeno per me che non sono Vasco Rossi (e ci scappa un'altra risata, ndr). D . – Fra le numerose tournée in tutto il mondo (con annesse collaborazioni), quale ricorda con maggior trasporto?


IL MAESTRO DELLA COMPOSIZIONE JAZZ

R . – Al tour nipponico del quale ho parlato, devo sicuramente aggiungere quelli fatti negli USA, in Spagna e in Russia. Negli ultimi anni sono stato spesso in Russia (ci tornerò dall'1 al 10 novembre) e ogni volta è bellissimo. Il popolo dell'est ama l'Italia e la musica italiana: comunica grande calore ed entusiasmo. D . – La composizione che fase attraversa attualmente? R . – Purtroppo è molto più difficile, almeno per me, trovare brani appaganti dal punto di vista compositivo. Spero di cuore che ci possa essere un ritorno a quelle musiche che, appena finite, ti mettono immediatamente voglia di sentirle di nuovo. D . – La sua esperienza di docente a L'Aquila quale arricchimento le ha dato? R . – Sono profondamente convinto che stare a contatto con gli allievi sia un grande privilegio. Bisogna avere, però, voglia di donarsi e avere l'apertura mentale, da docenti, di cogliere gli insegnamenti che possono arrivare anche dal meno dotato degli studenti.

D . – Cosa vorrebbe potesse emergere da “Trace elements”? R . – La gioia, la soddisfazione, la sincerità, il desiderio di condivisione profondo delle proprie emozioni con chi ascolta l'album. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: come si rifletterebbe oggi? R . – In sovrappeso (e ride ancora una volta, ndr). Scherzi a parte, vedrei prima di tutto un uomo felice di avere una splendida famiglia. A seguire: un musicista soddisfatto del proprio lavoro e dei traguardi raggiunti. D . – Un desiderio inespresso, da realizzare magari nel 2015? R . – Uno, in effetti, lo realizzerò davvero. A fine ottobre registrerò col mio trio (Daniele Mencarelli al contrabbasso e Glauco Di Sabatino alla batteria) e con un'orchestra sinfonica, l'abruzzese “ISA”, diretta da Roberto Molinelli. In repertorio anche la mia “Jazz Fantasy for Piano Jazz Trio e Orchestra”. Il cd uscirà appunto nel 2015. Gianluca Doronzo

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Noire


MUSICA - LA RIVELAZIONE DEL RAP

Dopo Moreno, Clementino e Fedez, ecco la nuova promessa del rap italiano, in ascesa col brano «Come Frank Matano», in attesa dell'uscita del suo album d'esordio («anche se sto già pensando e lavorando al secondo, cucendolo su misura»), con la profonda volontà di arrivare a gran parte del pubblico

La fresca ironia di Noire, «fra incoerenze e casualità», in uno scenario scandito dal bisogno di raccontarsi, per capirsi «oltre le apparenze»

Ha freschezza, ironia e voglia di “farsi ascoltare”. Noire è una delle nuove promesse del rap italiano, con un'estrema capacità di autoanalisi: definisce, infatti, il suo percorso nello scenario contemporaneo “frastagliato da incoerenze e casualità”. Cresciuto fra fumetti e videogiochi, Quentin Tarantino e Tim Burton, Depeche Mode e Subsonica, sta mettendo a punto il suo universo nella stesura del secondo album (“sarà il mio vestito su misura”), in attesa che esca quello d'esordio. Si è finora fatto notare per il pezzo “Come Frank Matano”, riflettendo in maniera positiva sulla vita, fra humour e “necessità di prendersi in giro”. Trasparente, è convinto che “l'arte dia tante soddisfazioni, sebbene non gliene abbia ancora personalmente donate abbastanza”. E il tempo (“la cosa più preziosa che ho”) darà le sue risposte. Vedrete, vedrete. Anzi, per meglio dire: ascolterete (magari presto sul palco dell' “Ariston”)! Domanda – Noire, come si colloca il suo percorso nel panorama rap italiano? Risposta – Frastagliato da incoerenze e casualità. D . – Se dovesse, per così dire, mettere a punto un primo bilancio di quanto fatto dal 2009 ad oggi, cosa si sentirebbe di rispondere? R . – Beh, ho iniziato a capire come funziona l'ambiente, a muovermi tra le serpi, ma è stato anche soddisfacente sotto molti punti di vista. Ho conosciuto persone fantastiche, che mi hanno aperto gli occhi e Noire ha cominciato a prendere forma. D . – Nei suoi testi, anche in virtù della preparazione del prossimo album, quali tematiche prevalgono e su cosa le piacerebbe puntare? R . – Difficilmente penso alle tematiche, se non nel momento in cui decido di scrivere direttamente i pezzi. Solo allora c'è prevalenza di un tema preciso. Diciamo che posso stabilire una

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MUSICA - LA RIVELAZIONE DEL RAP

linea guida per l'intero progetto, proprio come sto facendo ora che sto scrivendo l'album successivo a quello che ancora deve uscire, ma non voglio rivelare niente. Come dice Salmo: “Pensiamo troppo intensamente e gli altri sentono”. Posso solo dire che sto tornando alle mie radici, mi piace fare il “deficiente” in alcuni brani, ma solo per scaricare ogni tanto quella che è la mia essenza. In realtà sono cresciuto tra fumetti, videogiochi, Quentin Tarantino, Robert Rodriguez e Tim Burton, ascoltando prevalentemente Depeche Mode, Duft Punk e Subsonica. Ammiro moltissimo altri artisti e ho una cultura musicale/cinematografica molto ampia, ma cado sempre nel cupo: è il mio habitat e do il meglio. Quindi il prossimo disco sarà il mio vestito su misura. D . – Nel brano “Come Frank Matano” ha dichiarato la volontà di riflettere in maniera positiva sulla vita, utilizzando l'ironia: non prendersi troppo sul serio è una delle chiavi di lettura per andare avanti meglio, no? R . – Ogni tanto ci vuole dell'ironia, come dicevo nella risposta precedente: fa bene a staccarsi dalle cose che si fanno sempre ed è anche un buon modo per mettersi in gioco, dimostrando di saper fare di più di quello a cui sei abituato. D . – Se le dico: Moreno, Clementino e Fedez, di primo impatto cosa mi risponderebbe? R . – Moreno è un ottimo freestyler: ha fatto, a parer mio, la

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miglior scelta che la vita potesse proporgli. Quindi tanto di cappello. Clementino è un grande rapper, decisamente carismatico. Fedez è bravo e mooooolto intelligente: ha saputo muoversi in questo ambiente difficile, ottenendo risultati fantastici. Grande “respect” per lui. D . – E Caparezza? R . – Capa è un altro mondo, è a sé: non ha bisogno di appartenere ad alcuna scena, perché c'è solo lui. È di nicchia, un grandissimo artista. D . – Il “Festival di Sanremo” potrebbe essere nei suoi progetti? R . – Non escludo di provarci, anche se è tosta. D . – Fare musica oggi cosa vuol dire, alla luce della crisi del mercato discografico e dell'avvento delle nuove forme di comunicazione? R . – Si parte sempre col fare qualcosa che ti piace, per sperare di farlo diventare un lavoro, cercando di vivere sereni e continuando con più soddisfazione. Il mercato è in crisi, perché tutti supportano gli artisti, ma alla fine pochi comprano i dischi. Tanto c'è uTorrent! Non capiscono il lavoro che c'è dietro, dalla realizzazione ai mastering: questo grava pesantemente sul mercato. Mettiamoci anche il fatto che il 90% dei ragazzi è convinto di saper fare rap, registra a casa e riempie YouTube di m…a, sovraffollando tutto e togliendo


MUSICA - LA RIVELAZIONE DEL RAP

spazio a chi potrebbe meritare davvero. Di conseguenza è più difficile anche emergere. D . – Parteciperebbe ad un cosiddetto “talent show”? Che pensa di un simile genere televisivo? R . – Non amo i “talent”, ma sarei ipocrita a dire di non voler parteciparvi. Bisogna sempre tentare il tutto per tutto, senza rimpianti, soprattutto adesso – come dicevo prima – che è più difficile emergere. D . – Avere talento, dal suo punto di vista, che significa? R . – Io sono dell'idea che ognuno ha talento in qualcosa, bisogna solo cercare di capire a cosa si è predisposti. Chi ci arriva prima è avvantaggiato. Comunque mi riferisco a tutto: il talento si trova in cucina, in un'azienda, a casa, ovunque. Quindi penso che se una persona ha l'impulso di creare un quid, dovrebbe tentare di non frenarlo: magari è la strada giusta. D . – Cosa le piacerebbe potesse emergere, una volta pubblicato il suo nuovo cd? R . – Mi piacerebbe quello che piacerebbe a qualunque artista: arrivare al top, per far conoscere la propria arte a un pubblico più vasto possibile; fare soldi e vivere felice, senza girare intorno a discorsi falsi, eccetera. Non è volontariato, è arte ed è

giusto puntare a tanto, se si crede in quello che si fa. Non capisco, ad esempio, chi critica i Club Dogo, attribuendo loro la colpa di non essere più come prima: hanno fatto il botto, i soldi, ed è più giusto e meno ipocrita il fatto che nei nuovi testi parlino di tutto questo. È la verità: ce l'hanno fatta, si godono la situazione, fanno bene. Bisogna solo avere le palle di accettare che vorremmo (mi ci metto anche io in mezzo) essere al loro posto! D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: come si rifletterebbe oggi? R . – Trasparente con me stesso e, di conseguenza, anche con gli altri. E questa è anche la mia forza. Mi sento ammaccato dalla fatica, perché l'arte ti dà soddisfazioni, ma a me non ne ha date ancora abbastanza. D . – Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto, in tutta onestà, durante questa chiacchierata? R . – Mi è stata sottratta la cosa più preziosa che ho: il tempo. Se una persona ti dona anche una piccola parte del suo tempo, è una cosa importantissima. Ma abbiamo parlato di musica: quindi non è andato sprecato. Gianluca Doronzo

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