Libro Beppe Grillo is Back

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Ciao Milano Devo dirvi prima di iniziare che tengo molto ai milanesi, perché sono nato professionalmente a Milano, ci torno ogni tanto e mi piace. Sapete, la trovo piacevolmente… la trovo… la trovo… così com’è. Bin Laden è rimasto stupito perché lui ha fatto un Ground Zero solo, i milanesi una ventina. Di fronte al teatro ce n’è uno da sei anni: un cantiere, una voragine, con un omino dentro che fa finta di lavorare. Sono arrivato davanti al teatro Smeraldo e c’era un trattore, un cingolato enorme che per fare una manovra ha buttato giù un albero. Un marocchino ha piantato un casino all’uomo sul trattore, stavano già scoppiando quei casini per futili motivi. Voi ridete, ma qui si muore per futili motivi: butti giù un albero e l’altro ti dà una coltellata. È una città straordinaria. Lo spettacolo è stato registrato a Milano. Politica e iniziative locali e l’ostinata resistenza dal basso dei cittadini non sono che lo specchio della situazione nazionale, come confermano i contributi al blog di migliaia di lettori [N.d.R.]. 5


Beppe Grillo

I futili motivi Un’estrazione a sorte. Un incontro con uno sconosciuto, il tuo carnefice, scritto in qualche libro del destino. Il futile motivo è Oleg, ragazzo ucraino, che ti uccide per strada a Milano, tu immigrata filippina, la prima che vede, ti picchia fino a fratturarsi le mani. È Maricica, infermiera rumena colpita con un pugno da Alessio nella metropolitana di Roma per una precedenza in fila. Il futile motivo è un motivo di poca, scarsa importanza. Vive come una bestia nascosta dentro le persone e qualche volta esce e uccide. È Luca, un tassista morto dopo essere finito in coma con la milza perforata, pestato a sangue per aver investito un cane sfuggito alla sua padrona. Il futile motivo è improvviso e definitivo, senza ritorno. Ti lascia sgomento mentre muori. Aggredisce di solito le persone indifese, chi lo compie è in fondo un vigliacco, un futile vigliacco, che non rispetta nessuno e che vive grazie a una società in decomposizione. Per le strade di Milano si muore di freddo. Quando arriva il gelo di solito porta con sé, in cielo, anche le stelle. È successo poco dopo Natale, lei si chiamava Ulyana, era una donna ucraina di 48 anni. Ha mangiato qualcosa alla mensa dei poveri e poi si è addormentata per sempre su una panchina, a 100 metri dal quadrilatero della moda. Vicino a via della Spiga e via Montenapoleone addobbate con le luminarie di Natale. Morire di freddo a Milano è roba da barboni, come cantava Jannacci. Morire di freddo tra i pacchi regalo è inconcepibile. 6


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Ho iniziato a Milano nel cabaret trent’anni fa e ho una grande passione per questo teatro. Sono venuto qua perché altrimenti il proprietario con questo buco davanti si voleva ammazzare. Allora gli ho detto: «Aspetta un po’, vediamo di fare qualche lira». Ho girato un po’ il centro. Ho visto la Galleria piena di turisti che arrivavano da tutto il mondo: coreani, cinesi, questi venditori di castagne che sono quotate in Borsa. I milanesi hanno punti di riferimento turistici meravigliosi! In Galleria ci sono le palle del toro ed è pieno di gente che ci mette il piede e poi gira, gira, gira. Nella Galleria c’è anche la Mercedes esposta, e il McDonald’s e l’Autogrill: manca solo il casello. Poi c’è questo dito medio di Maurizio Cattelan davanti alla Borsa che è bellissimo, perché è in una posizione straordinaria, solo che manca il corrispettivo del messaggio: ci vorrebbe davanti anche un piccolissimo buco di culo. Così sarebbe perfetto: la legge del mercato, che significa adattamento strutturale. Avete le macchine ovunque: meravigliose, entrano sui marciapiedi da tutte le parti. Avete una densità di 7000 persone al chilometro quadrato: siete i primi nel mondo, c’è solo Hong Kong che vi batte. Avete grandi soddisfazioni in questa città meravigliosa. Per prendervi per il culo vi hanno messo le biciclette del bike sharing. Non si capisce che cazzo ci fanno senza le piste ciclabili. Ne muoiono più nel centro di Milano con la bicicletta che in Afghanistan! E allora 7


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scoppia la guerra dei poveri: quello che gira in bicicletta non va mica per la strada ma sul marciapiede, e i pedoni scappano da quelli con le biciclette.

La secessione del Corvetto a Milano Piazzale Corvetto si trova a Milano, in una zona di prima periferia a sudest. È attraversato dai cavalcavia e dalla circonvallazione. Un quartiere di palazzi popolari, che non ha mai avuto lo splendore criminale del Giambellino o conosciuto le rivolte degli emigranti di via Padova e dintorni. Non è così lontano da piazza del Duomo ed è servito da svariati mezzi pubblici. Corvetto è Milano, quello che rimane di Milano. Il quartiere si è gemellato da anni con Scampia, i suoi abitanti non hanno ancora messo un cartello all’ingresso, come fanno nei paesi, ma l’amministrazione comunale dovrebbe valutarlo con in aggiunta la scritta: «Corvetto secessionista». Se a Scampia alle volanti della polizia lanciavano di tutto dalle finestre, al Corvetto sono scesi direttamente in strada per picchiare un vigile e impedire un arresto. Era in corso un pestaggio a sangue di un maghrebino da parte di alcuni abitanti del quartiere. I vigili sono intervenuti. Uno di loro ha bloccato un aggressore. Venti ragazzi hanno fermato e picchiato il vigile tra l’indifferenza degli abitanti. L’arrestato è fuggito, o meglio, è andato a dormire a nel «suo» quartiere. Il Corvetto è infatti «cosa loro». I

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ragazzi gridavano esultanti al vigile finito in ospedale: «Te la facciamo pagare, così capisci chi comanda». Si deve prendere atto che il Corvetto è il primo esempio di federalismo criminale a Milano. L’emigrazione non c’entra, al massimo è mano d’opera usata dalla criminalità italiana. Se a Scampia lo Stato è assente, a Milano è forse troppo presente. A Londra, a Vienna o a Madrid, il Corvetto, così come Scampia, sarebbero impossibili persino da concepire. La secesiùn comincia a dare i primi effetti. Se Boss(ol)i può invocare 300.000 fucili dalla bergamasca e il suo alleato Dell’Utri chiamare eroe Mangano, allora perché dei ragazzi, se provocati dai ghisa della Moratti, non possono difendere il loro territorio? È il diritto del suolo e il rovescio della Repubblica italiana, unita nella divisione.

Signori, forse voi siete assuefatti alla vostra città che è straordinaria – al Milàn del Milàn del Grand Milàn – ma dovete migliorare la qualità della vita, se no continuerete ad andarvene tutti i venerdì. Milano si svuota perché ci state male, non c’è alcun gusto, alcun significato per restare qui. Dovete migliorare la qualità della vita della città, altrimenti venite in Liguria a rompere i coglioni tre giorni e disintegrate il mercato a noi che siamo parsimoniosi. Voi milanesi andate al ristorante e chiedete: «Quant’è?». «Cento euro» vi rispondono. E voi: «Tiè» e glieli date. Siamo 9


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due mondi diversi. Voi entrate nei negozi e per pagare dite: «Quanto le devo?». Noi a Genova diciamo: «Quanto ci prende?». Le primarie dei faccioni A Milano a novembre si sono svolte le primarie del Pdmenoelle. C’era la pioggia, non c’erano i votanti. Solo 90.000 persone, l’equivalente di un quartiere semiperiferico. Si sono confrontati quattro signori il cui comune denominatore erano i capelli bianchi e un ricco passato. Ha perso l’architetto di Ligresti, Stefano Boeri, candidato (con linearità e coerenza) dalla sinistra del cemento e del nucleare sicuro, ma anche di Expo 2015 e dei grattacieli di CityLife. Le urne erano presenti anche dal parrucchiere Coupe de Cheveux in via Correnti 19, tra un colpo di sole e un riccio ribelle, dove ha votato per primo un sedicenne. Ma questi sono dettagli. La cosa stupefacente è che i milanesi hanno potuto scegliere solo delle facce, non il programma. Le primarie dei faccioni. Elezioni posticce di leaderini. Ai cittadini va presentato, spiegato, il programma nei minimi particolari, nelle motivazioni, nei vantaggi. L’elettore deve poter votare il programma, non un volto, ed essere messo in grado di controllare la sua attuazione attraverso la Rete. Non ha alcun senso presentare faccioni sui manifesti di persone dello stesso raggruppamento se poi il programma è lo stesso con differenze (se esistono) bizantine, impercettibili. Chi vota alle primarie vota uno

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slogan, la fotografia di un signore o di una signora, di solito la migliore della loro vita, un cartellone pubblicitario. Questa è democrazia? Il cittadino è trattato come un materiale inerte, una persona senza cervello. Le primarie i partiti se le facciano in casa, chiedano agli iscritti di votare il Franceschini o il Bersani di turno e non sprechino i soldi e gli spazi pubblici per prendere per i fondelli gli italiani. Non possiamo decidere cosa deve fare il politico, il nostro dipendente, ma ci è data la possibilità di scegliere tra una rosa di nomi che faranno esattamente le stesse cose, decise dal partito o dalle logiche di appartenenza, come gli inceneritori. Va eletto il programma, non un leader che non esiste. Quando gli italiani lo capiranno sarà sempre troppo tardi. Le primarie sono operazioni di facciata, anzi, di faccioni.


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