Il Quarto livello

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1 L’elenco

La ricerca È abitudine nel linguaggio giornalistico catalogare gli appartenenti alla criminalità organizzata collocandoli in diversi livelli come se appartenessero a diversi gironi danteschi. Nel Primo livello vengono collocati gli esecutori materiali del crimine. Nel Secondo vengono collocati i capi dell’organizzazione criminale alla quale appartengono gli esecutori. Nel Terzo vengono collocati i politici che hanno rapporti organici con l’organizzazione criminale attraverso il voto di scambio, tangenti in cambio di favori, progetti che favoriscano le attività controllate dall’organizzazione, operazioni di riciclaggio per investire i capitali sporchi eccetera. Nel Quarto livello vengono collocati personaggi di alto livello istituzionale o professionale che, per ragioni non soltanto riconducibili al semplice interesse personale, hanno agito al di fuori delle loro funzioni istituzionali Questo fenomeno ha assunto un certo rilievo nel nostro Paese, grazie a nuove testimonianze che hanno permesso di indagare e, in alcuni casi, di condannare rappresentanti delle istituzioni per aver agito al di fuori delle loro funzioni. All’inizio di questo lavoro non siamo in grado di attribuire al Quarto livello nessuna caratteristica precisa: non


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sappiamo se abbia la struttura di una organizzazione, se abbia le caratteristiche di un apparato segreto, se sia riconducibile a una lobby internazionale, politica, industriale o militare. Non sappiamo nulla nemmeno sulle motivazioni che potrebbero giustificare l’esistenza di questo livello. Lo studio delle persone che secondo il racconto di Massimo Ciancimino sono state indicate, a torto o a ragione, da Vito Ciancimino, già condannato per associazione mafiosa, come appartenenti al Quarto livello, e poi da Massimo Ciancimino comunicate ai magistrati, sarà l’oggetto di questo libro. Vogliamo chiarire senza ombra di dubbio che fare una ricerca su questo elenco di persone non significa per noi in alcun modo condividere o sostenere le tesi di Massimo Ciancimino. Non è compito di un giornalista sposare le tesi di alcuno, tantomeno quando la loro formulazione è talvolta imprecisa e frammentaria Massimo Ciancimino racconta in modo non sempre completo e coerente, i ricordi di fatti e opinioni raccontatigli dal padre, spesso suffragati da fotocopie o appunti di incerta attribuzione. Lasciamo ai magistrati e agli inquirenti il difficile compito di verificare il loro valore giudiziario. Quello che a noi interessa è utilizzare questo materiale come spunto per rileggere alcuni dei casi più inspiegabili della storia degli ultimi sessant’anni, mettendo in fila i fatti, le date, i personaggi, analizzando la storia delle persone che appaiono in questo elenco, studiarne la carriera istituzionale, gli uffici nei quali sono transitati gli incidenti professionali che hanno affrontato, e sullo sfondo rileggere gli scontri durissimi dei gruppi di potere che hanno attraversato le nostre istituzioni in diversi periodi della loro storia. Cercheremo di capire se ci possa essere un legame ipotetico che riesca ad accomunare queste persone; un criterio comprensibile che spieghi le loro solidarietà o le loro rivalità; un’analisi che possa permetterci di mettere a fuoco in modo più preciso le caratteristiche politiche e organizzative di questo grado del potere.


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I criteri che abbiamo utilizzato per selezionare le persone ipoteticamente appartenenti al Quarto livello sono i seguenti: che siano di alto livello professionale e istituzionale; che abbiano agito apparentemente al di fuori del loro ruolo professionale o istituzionale; che l’interesse personale non sia la principale giustificazione delle loro scelte controverse; che il loro agire non sia stato presumibilmente una iniziativa individuale. In questo libro non daremo ai fatti che racconteremo valore diverso da quello che verrà attribuito in sede legale. Alcune delle persone di cui tratteremo la storia sono state giudicate colpevoli di reati nei tre diversi gradi di giudizio, altre sono attualmente imputate, altre non sono state mai indagate. Altre, appartenendo ai servizi segreti hanno goduto di una sorta di impunità. Il nostro sarà un ragionamento su diverse ipotesi, ragionamento che nasce da fonti aperte: documenti giudiziari, notizie giornalistiche e controversi casi di cronaca che legittimano l’esercizio della supposizione. Non ci permetteremo alcun giudizio in ambito penale, attività che secondo noi non rientra nelle competenze di un giornalista, né tantomeno di salire su un pulpito e lanciare giudizi in campo morale. Si tratta soltanto del salutare esercizio di raccogliere dati, «fare ipotesi», ragionare su fatti complessi che fino a oggi non hanno mai trovato una spiegazione. L’elenco di nomi Prenderemo in esame, come materiale di partenza, l’elenco di nomi indicati in una cartolina spedita a se stesso da Vito Ciancimino in modo che in essa fosse indicata la data della sua spedizione.


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In questa cartolina, Massimo Ciancimino avrebbe scritto, su dettatura del padre Vito, i nomi di coloro che apparterebbero a questo livello superiore di potere, che il padre avrebbe incontrato in quel territorio di confine tra l’attività di Cosa nostra e l’attività istituzionale. È molto importante la data del timbro postale della cartolina: a prima vista sembra essere il 30 ottobre 1990. I nomi riportati sono di personaggi che hanno lavorato con i servizi del nostro Paese o sono stati loro vicini. Alcuni di loro erano già conosciuti nel 1990, altri invece non lo erano affatto allora ma lo diventarono nel corso degli anni successivi e proprio questa caratteristica rende questo elenco di grande interesse. Se il documento venisse confermato databile al 1990 dalle perizie e non si trattasse di una rozza falsificazione, l’avere segnalato da parte di Vito Ciancimino questa lista di persone nel 1990, darebbe a questo insieme di persone un interesse particolare. Vito Ciancimino non era un personaggio di poco conto nel complesso intrigo tra potere mafioso, potere politico, e servizi segreti. Lo stesso Vito Ciancimino, a detta del figlio Massimo, avrebbe confessato al figlio di avere fatto parte della organizzazione segreta Gladio, di cui si può ipotizzare che, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, abbia operato in modo contiguo a questo Quarto livello del potere. Tuttavia al momento non possiamo essere certi che sia stata l’unica forma organizzativa che abbia agito a questo livello del potere, né possiamo essere certi di quali siano state davvero le finalità operative di Gladio nei diversi momenti della sua esistenza. Come abbiamo già evidenziato, la cartolina di Vito Ciancimino è stata successivamente acquisita dai magistrati siciliani che indagano sui possibili complici di Cosa nostra all’interno delle istituzioni nel biennio 19921993.


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In questa cartolina postale vengono riportati i seguenti nomi:

Foto del documento originale

Questo documento esiste solo in fotocopia, l’originale non si sa dove sia finito. I documenti di Vito Ciancimino, tenuti dal figlio, sono stati oggetto di una strana vicenda. Il 17 febbraio 2005, la casa affittata di Massimo Ciancimino1 venne perquisita su mandato della Procura di Palermo da un gruppo di carabinieri comandati dal capitano Antonello Angeli per verificare l’esistenza di materiale documentale relativo al reato di riciclaggio per il quale Massimo Ciancimino era indagato.2 Massimo si trovava a Parigi ma quando per telefono fu avvertito della perquisizione, diede mandato al suo factotum, che si trovava nella casa di Palermo, di aprire la cassaforte e ogni altro luogo dove si trovassero i suoi documenti affinché i carabinieri potessero prenderne visione. Apparentemente i carabinieri che fecero la perquisizione, non aprirono la cassaforte e non sequestrarono materiale di particolare interesse.


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Quattro anni dopo Massimo Ciancimino, alla fine di un interrogatorio con i magistrati della Procura di Palermo con i quali ha iniziato a collaborare, domanda incuriosito come mai non aprirono la cassaforte quando anni prima fecero la perquisizione a casa sua per il reato di riciclaggio. I magistrati rispondono che a loro non risultava dal verbale la presenza di nessuna cassaforte nella casa. Massimo insiste che la cassaforte non era nascosta e non si poteva non vedere. I magistrati decidono di fare un nuovo sopralluogo e si rendono conto che la cassaforte è davvero in evidenza al centro di una parete e capiscono che qualcosa non funzionò in quella perquisizione. I responsabili della perquisizione vengono chiamati in Procura per essere interrogati. Il capitano Antonello Angeli che comandava la perquisizione, interrogato dai magistrati, si appella al diritto di non rispondere. Il maresciallo Samuele Lecca invece racconta al magistrati Antonio Ingroia e a Nino di Matteo, che il capitano Antonello Angeli che comandava la perquisizione, in realtà trovò dei documenti interessanti che riguardavano accordi con Cosa nostra: il cosiddetto «papello» e altro materiale. Il capitano Angeli dopo quel ritrovamento chiamò al telefono il suo comandante il colonnello Giammarco Sottili e chiese come doveva comportarsi. Gli fu risposto di non occuparsene che era materiale già acquisito. Il capitano allora inviò il maresciallo Lecca a fare fotocopie dei documenti di Vito Ciancimino ma nessuno di questi documenti fu registrato nei verbali della perquisizione o consegnato ai magistrati. Questo episodio fa parte del processo per il mancato arresto di Bernardo Provenzano. Un processo che nasce da una storia ancora più drammatica e paradossale di quella che abbiamo appena raccontato: Luigi Ilardo, un mafioso che era in contatto con Bernardo Provenzano decise di collaborare con un ufficiale del Ros per fare arrestare Provenzano


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durante una riunione alla quale lui stesso doveva partecipare. Nonostante le insistenti richieste di collaborazione e di mezzi per intervenire, i vertici del Ros rimandarono l’operazione e il ruolo di confidente dei carabinieri svolto da Luigi Ilardo arrivò all’orecchio degli appartenenti a Cosa nostra che decisero di ucciderlo. Luigi Ilardo, il mafioso che aveva deciso di redimersi collaborando, venne ucciso pochi giorno dopo gli incontri con i vertici del Ros e della magistratura. Quando Massimo Ciancimino cominciò a raccontare della trattativa di suo padre Vito con Bernardo Provenzano per fare arrestare Totò Riina, nacque il sospetto che l’accordo tra Ros e Provenzano fosse stata la vera ragione della mancata cattura di Bernardo Provenzano e della conseguente uccisione di Luigi Ilardo e da qui ebbe origine il processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Non può dunque meravigliare che il materiale rimasto a Massimo Ciancimino sia solo in fotocopia. I fatti che abbiamo appena narrato hanno poi portato a un procedimento penale per concorso esterno in associazione mafioso nei confronti di alcuni esponenti dell’Arma. Altri documenti forniti da Massimo Ciancimino in fotocopia, quali ad esempio lo stesso «papello», hanno poi trovato conferme da testimonianze e da altre verifiche calligrafiche. Quello che desta preoccupazione nella fotocopia dalla quale parte il nostro lavoro, è la presenza di due grafie apparentemente diverse, i nomi scritti sulla sinistra della cartolina sono in stampatello da una mano che sembra diversa da quella che riporta in minuscolo il nome De Gennaro sulla sinistra, le due lettere iniziali del nome De Gennaro sembrano essere state scritte sulla cancellazione di altre lettere. Secondo il racconto di Massimo Ciancimino, che ri-


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porteremo per esteso nel capitolo dedicato a Gross-De Gennaro, la grafia a sinistra, sarebbe la sua e quella a destra del padre. Massimo Ciancimino racconta che chiese a suo padre se Gross fosse la persona che lui sospettava essere e suo padre segnò accanto al nome di Gross una linea e scrisse il nome De Gennaro. Questa è la versione di Massimo Ciancimino, ciononostante ci potrebbero essere opinioni contrastanti sull’autenticità e sulla stesura di questo documento. Aspettando che la giustizia affronti questo dilemma, noi useremo comunque l’elenco come spunto per analizzare l’attività di queste persone, e la loro eventuale appartenenza a questo grado informale del potere che al momento è solo una categoria formulata per necessità di catalogazione descrittiva. All’inizio del nostro lavoro non possiamo ipotizzare che il Quarto livello sia una organizzazione, sarebbe per noi difficile dimostrarne l’esistenza e ancora di più dimostrane l’appartenenza dei singoli membri, così come non possiamo definirlo una struttura illegale della quale sarebbe diffamatorio indicare gli ipotetici membri. Per noi, all’inizio di questo libro, il Quarto livello è soltanto una categoria sociologica, una sorta di identikit che abbiamo definito, lo ricordiamo ancora una volta attraverso queste quattro condizioni. Gli appartenenti operano ad alto livello professionale e istituzionale. Almeno una volta hanno agito apparentemente al di fuori del loro ruolo istituzionale. L’interesse personale non sembra essere stato la principale motivazione della loro azione. La loro azione non è stata una iniziativa individuale. Vedremo nel corso del nostro lavoro se altre ipotesi potranno essere formulate in base a quello che la nostra analisi produrrà. Intanto cerchiamo di capire, parlando con Massimo


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Ciancimino, come è nato questo elenco e poi in ogni capitolo di questo libro, affronteremo un nome di questo elenco. _______________________ 1 Che si trovava al numero 3621 di lungomare Cristoforo Colombo all’Addaura. 2 Nel 2005 Massimo Ciancimino e l’avvocato tributarista Gianni Lapis furono indagati assieme ad altre sei persone in un’inchiesta sul riciclaggio avviata dalla Dda di Palermo basata in parte anche su alcuni pizzini ritrovati nelle tasche di Nino Giuffrè che parlavano di un coinvolgimento di Massimo Ciancimino nella società Gas. Secondo i magistrati Massimo Ciancimino avrebbe agito in concorso con Gianni Lapis in diverse e complesse operazioni finanziarie in Italia e all’estero, che altro non sarebbero state che operazioni di riciclaggio del «tesoro di Vito Ciancimino». Una di queste operazioni prevedeva l’acquisto del gas dalla società russa Gazprom e il suo trasporto in Italia tramite il gasdotto che portava in Slovenia il gas algerino, utilizzato in senso inverso per far entrare nel mercato italiano gas russo in concorrenza con l’Eni. Massimo Ciancimino venne arrestato; dopo nove mesi di prigione, scelse di essere giudicato con il rito abbreviato. Nel processo di primo grado venne condannato assieme alla madre a cinque anni e otto mesi e venne scarcerato. Grazie all’indulto gli vennero tolti tre anni e sottraendo i nove mesi già passati in carcere, gli rimasero da scontare solo un anno e nove mesi. Il 7 aprile 2008 Massimo Ciancimino iniziò a collaborare con i magistrati della Procura di Palermo e raccontò della trattativa che avvenne tra il Ros dei carabinieri, suo padre Vito Ciancimino, il medico Antonino Cinà, il capo di Cosa nostra Toto Riina e Bernardo Provenzano. Il 30 dicembre 2009 il processo in


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Appello, giudicò Massimo Ciancimino innocente rispetto all’accusa di tentata estorsione e invece lo condannò per riciclaggio e intestazione fittizia di beni a tre anni e quattro mesi. Ai magistrati venne confermato l’impianto accusatorio e riuscirono così a confiscare un patrimonio, di oltre sessanta milioni di euro.


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