Citta' alta "mirabellissima"

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Città Alta “mirabellissima”...

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© caldebe Prima edizione febbraio 2009 www.calderola.it

“Subire” una città a volte può risultare piacevole e positivamente coinvolgente… Nel mio caso con gioia, piacere, interesse e curiosità “subisco” il fascino di Città Alta. E’ per questo che ho inteso cercare di descrivere fotograficamente il motivo che mi porta ad emozionarmi piacevolmente ogni volta che varco la soglia di ingresso da una delle sue quattro porte… Sono porte che non hanno soltanto una funzione fisica ma segnano anche la possibilità di un’evasione dalla realtà contingente, la possibilità di godere di un intimo piacere personale, di un viaggio nel tempo, di esperienze allo stesso tempo semplici ed eleganti, naturali e raffinate. Nel presente volume, ritenendo di far cosa utile, le tante fotografie (205) sono accompagnate da alcune pagine di storia: ho pensato che leggere un poco del passato possa aiutare a capire ed a conoscere meglio la “mirabellissima” Città Alta. (L’aggettivo “mirabellissima” è stato dedicato a Bergamo dallo scrittore veneziano Marin Sanudo, nel 1483…)

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Città Alta “mirabellissima” ... di Bernardino Calderola

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Bergamo nella storia. Partiamo dalla leggenda... Cidno re dei Liguri, figlio di Fetonte che a sua volta era figlio di Cam, era approdato in quella che oggi chiamiamo Lombardia. Fondò Bergamo, 2508 anni dopo la creazione del mondo, 501 dopo il diluvio, 1084 prima della nascita di Gesù Cristo. Ne farebbe testo un dipinto (perduto) che nella sala maggiore del palazzo del Podestà ritraeva una città costruita su un colle e la scritta che pressappoco diceva: “Cydnus Liguris Filius Bergomum Conditit”. Anche per Catone, che visse due secoli prima di Cristo, l’ origine di Bergamo è misteriosa, perché misteriosissimi erano gli Orobi, che sicuramente diedero origine a bergamaschi e comaschi, dei quali si può soltanto supporre che fossero di origine greca, dal momento che Orobi era il nome con cui, in lingua greca, si indicava la gente che viveva sulle montagne. Leggende a parte, nel VI secolo a.C. la zona viene occupata dagli Etruschi, che la fortificano. Verso il 550 a.C. è quindi conquistata dai Galli Cenomani, che si abbandonano a uccisioni e devastazioni. Il nome della città, da Barra diviene Berghèm, termine imparentato con i vocaboli del moderno tedesco “Berg” (montagna) e “Heim” (abitazione), infatti come altre città omonime dell’nord europa, Germania e soprattutto Norvegia, Bergamo (ancora oggi in bergamasco Berghèm) nella sua parte più antica nasce su una collina come da tipica usanza delle culture indoeuropee più arcaiche. Per la verità questa tesi, nonostante sia la più diffusa, non è condivisa da tutti. Circa un secolo e mezzo dopo arrivano i Galli Senoni di Brenno, che però devono vedersela con i soldati inviati da Roma per contrastarli. Secondo la leggenda il generale romano Torquato sfida il barbaro Brenno a singolar tenzone e lo sconfigge. Costui, per la vergogna, si suicida gettandosi in un fiume. Così i bergamaschi diventano sudditi di Roma, la vecchia società muore e viene sostituita da nuove leggi, nuovi ordinamenti amministrativi e, ovviamente, nuova religione. Inizia un periodo piuttosto lungo di benessere e prosperità e Bergomum, così ribattezzata dai nuovi padroni, diviene un fiorente municipio fortificato di circa diecimila abitanti. 4

Insieme a tutti gli abitanti dei territori transpadani, anche i bergamaschi divengono cittadini romani nel 49 a.C., in seguito ad un editto di Giulio Cesare. Poco più avanti anche a Bergamo appaiono i primi Cristiani ed il 26 agosto del 303 d.C. Sant’Alessandro, oggi patrono della città, viene decapitato. A partire dalla caduta dell’Impero Romano la città viene ripetutamente invasa e saccheggiata. Nel 402 iniziano i Goti di Alarico I e nemmeno circa cinquant’anni dopo è la volta degli Unni di Attila. Quindi tocca ai Vandali, ai Bizantini e ai Greci. Nel 569 i Longobardi trovano una città quasi deserta e vi si insediano pacificamente. Durante il loro dominio la città conosce un periodo di relativa calma. Nel 774 arrivano i Franchi di Carlo Magno, che vi insediano un grande mercato commerciale. Nell’894 la città è distrutta dall’esercito dell’imperatore Arnolfo, sceso in Italia su invito di Papa Formoso. I Bergamaschi ricostruiscono Bergomum praticamente da soli sotto la gui_ da del Vescovo e questo spiega la fioritura di chiese. Nel 1098 il Vescovo Arnolfo, già scomunicato da Papa Gregorio VIII per simonia, viene dichiarato deposto dal Concilio di Milano ed è cacciato anche da Bergamo, che si proclama libero comune. Nel 1155 tale Giovanni Brusati (od un suo erede) possedeva in feudo il castello di Volpino. Brescia desiderava unire questo al suo territorio, ma il feudatario lo concesse, dietro compenso, a Bergamo. Questo fu causa di una guerra che vinsero i bresciani, nel 1156. Nel 1161 però i bergamaschi lo recuperarono, ed a seguito di questo evento venne stipulata una pace che prevedeva la distruzione del castello di Volpino e la spartizione della terra lasciando a Bergamo quella prospiciente il Lago d’Iseo e Lovere. Nel 1156 Federico Barbarossa concede alla città il diritto di battere moneta ma l’11 marzo dello stesso anno scoppia, per questioni di predominio territoriale, la prima guerra contro il libero comune di Brescia. Per Bergamo la situazione volge rapidamente al peggio e solo dopo dieci giorni la pace viene firmata grazie alla mediazione dell’Imperatore, che a Bergamo gode di molta popolarità. Quando però nel 1162 distrugge Milano, Bergamo è tra i comuni che il 7 aprile 1167, nel monastero benedettino di Pontida, fondano la Lega Lom-


barda. Quando questa, il 29 maggio 1176, sconfigge a Legnano l’esercito imperiale, i bergamaschi festeggiano per giorni. Poi però si torna alla vita di tutti i giorni e allora accade che, nel 1184, lo stesso imperatore entri in città salutato, secondo le cronache dell’epoca, da vere e proprie manifestazioni di entusiasmo. Accade anche che, il 7 luglio 1191, i bresciani sconfiggano i bergamaschi, obbligandoli a lasciare sul campo di battaglia di Cividate al Piano, sulle rive del fiume Oglio, oltre tremila cadaveri. Nel 1198, a Bergamo, viene terminato il Palazzo della Ragione e la città comincia ad espandersi fuori dalle mura, gettando le basi dell’odierna “città bassa”. Nel 1206 scoppia una vera e propria battaglia tra le fazioni bergamasche dei Suardi (alfieri dei nobili e ghibellini) e dei Rivola (alfieri della fazione popolare e guelfi). L’istituto comunale bergamasco è in profonda crisi e, quasi come reazione, nascono numerose sette religiose. Il Papa bolla Bergamo come città eretica. Tra gli inquisitori papali, per fanatismo e numero di vittime, si distinguono tali Padre Lanfranco e Padre Fontana. Sul fronte politico interno i Suardi si alleano con i Colleoni, e il 18 maggio 1226 la battaglia tra queste due famiglie e la famiglia dei Rivolta dura più di una giornata, nelle le vie della città,. I Bergamaschi però, stanchi di tante uccisioni, il 14 febbraio 1230 festeggiano la nascita della Società del Popolo, creata con speciale statuto e forte di circa duecento fanti, con il fine di provvedere al bene della città senza distinzioni tra cittadini. Il tempo passa e Bergamo, nel novembre 1237, si schiera con le truppe imperiali contro la Seconda Lega Lombarda. Nella battaglia di Cortenuova le perdite dei nemici dell’Imperatore Federico II sono altissime: circa seimila morti e quattromila prigionieri. Bergamo, nel timore di subire vendette da parte dei comuni traditi, arriva ad affidarsi alla protezione di altri, inizialmente dei Visconti protettori dei ghibellini. Numerosi guelfi vengono giustiziati ed i cittadini bergamaschi pagano i costi di tale alleanza in termini di nuove tasse e tributi. Nel 1265 nasce, su iniziativa del Vescovo e di Pinamonte da Brembate, il Consorzio di Misericordia, grande organizzazione assistenziale ancora oggi operante. 5


Il 10 marzo 1296 scoppia in città una furiosa battaglia tra il partito dei Guelfi (capeggiati dai Colleoni, ormai ex alleati dei Suardi) e il partito dei Ghibellini, capeggiati appunto dai Suardi. È l’epilogo di una sanguionosa guerra civile che si conclude con la fuga dei Suardi a Milano, dove chiedono la protezione dei Visconti. Costoro inviano un piccolo esercito sotto le mura di Bergamo e allora tocca ai Colleoni sgomberare il campo. I Suardi rientrano in città e l’esercito visconteo, raggiunto lo scopo, ritorna a Milano. Allora gli alleati dei Colleoni, i Rivola e i Bonghi, attaccano i Suardi nuovamente e questi, sconfitti, devono fuggire una seconda volta. I Colleoni allora ritornano ma, incredibilmente, si alleano con i Suardi e a lasciare Bergamo sono ora i Rivola. Tutte queste lotte intestine indeboliscono ulteriormente l’istituzione comunale e, nel febbraio 1331, i Bergamaschi spalancano le porte a Giovanni I di Lussemburgo, Re di Boemia e di Polonia, accolto come un liberatore. L’illusione dura solo un anno perché nel 1332 Mastino della Scala, Signore di Verona, sconfigge Giovanni I a Brescia e poi a Bergamo. Nel 1337, come ex voto dei Bergamaschi a Maria per essere scampati dalla peste, iniziano i lavori di rifacimento e ingrandimento di una piccola chiesa risalente all’VIII secolo. Nasce la Basilica di Santa Maria Maggiore. Durante il dominio dei Visconti viene costruita a scopo difensivo e di controllo la Cittadella fortificata, mentre nel 1335 viene completata la fortificazione del castello di San Vigilio. Nel XIV secolo Raimondo da Bergamo traduce in volgare bergamasco il “Trésor” di Brunetto Latini. La città viene conquistata dai Malatesta nel 1407, cui dodici anni dopo segue una rivolta Ghibellina capitanata da Filippo Maria Visconti. Bergamo diviene infine parte della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1428, la quale fa completare la fortificazione della città bassa con la costruzione delle Muraine, per proteggere i borghi che si erano sviluppati fuori dalle mura medievali. Nel 1437 subisce un attacco da parte di Filippo Ma_ ria Visconti, ma la città viene presto riconsegnata a Venezia da Bartolomeo Colleoni. Durante la dominazione Veneziana la città subisce alcune modifiche: il Palazzo comunale viene ricostruito, per ospitare il mercato viene realizzata l’attuale piazza Mascheroni (già piazza Nuova) e viene sistemata l’attuale piazza Pontida. All’inizio del XVI secolo la città subisce due invasioni francesi e sette spag6


nole, alternate alla riconquista veneziana. È Venezia, nel 1561 che dà inizio alla costruzione delle mura di città alta. La carestia prima e l’epidemia di peste poi (quella descritta da Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”) mietono circa diecimila vittime a Bergamo nel 1630. Sono della fine del XVIII secolo la posa del Sentierone in città bassa e della fontana del Contarini nella Piazza Vecchia di città alta. Nel 1796 le truppe rivoluzionarie francesi entrano in città ponendo fine al lungo dominio veneziano e fondando la Repubblica Bergamasca, la cui breve vita si conclude col trattato di Campoformio e la sua inclusione nel regno d’Italia di Napoleone, nel 1805. Il Congresso di Vienna, nel 1815 fa di Bergamo una colonia austriaca. Nel 1837 viene aperta Porta Nuova e pochi anni dopo la via Ferdinandea, oggi viale Vittorio Emanuele II, principale via di collegamento tra le due parti della città. Nel 1848 Bergamo manda aiuti a Milano, impegnata nelle sue “cinque giornate” di rivolta anti-austriaca. La ferrovia arriva a Bergamo nel 1857. L’8 giugno 1859 Giuseppe Garibaldi fa il suo ingresso nella città, ponendo fine al dominio austriaco. Porta San Lorenzo, da cui passò, venne ribattezzata Porta Garibaldi. L’anno successivo 174 bergamaschi partirono con Garibaldi nella Spedizione dei Mille, dando ottima prova di sé, come testimoniò lo stesso Garibaldi con una lettera da Caprera del 10 febbraio 1864 indirizzata all’allora sindaco Camozzi Nel 1872 la sede del comune viene trasferita nella città bassa, ormai di_ ventata un centro urbano; nel 1887 entra in funzione il servizio di funicolare tra la città bassa e la città alta. Nel 1901 vengono demolite le Muraine, che svolgevano la funzione di dogana fino a pochi anni prima e, al loro posto, viene costruita la strada di circonvallazione.

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Le mura venete Le mura vennero costruite dalla Repubblica di Venezia nella seconda parte del XVI secolo, epoca in cui la città orobica rappresentava l’estremità occidentale dei domini veneti sulla terraferma. Erano tempi in cui, con la recente scoperta delle Americhe, la Serenissima stava iniziando il suo inesorabile declino nel dominio dei commerci marittimi e, a causa di ciò, rivolse una sempre maggiore attenzione ai commerci che avvenivano verso il centro d’Europa. A tal riguardo la terra bergamasca cominciò a rivestire un ruolo strategico di primissimo piano, accresciuto dal progetto di costruire la via Priula, una strada che avrebbe collegato, tramite la Valle Brembana, la città di Bergamo (e quindi tutti i territori della repubblica veneta) con il Canton Grigioni, considerato alleato e fino ad allora raggiungibile soltanto passando attraverso territori dominati dagli Spagnoli, e quindi soggetti a fortissimi dazi commerciali. Questi interessi della repubblica veneta vennero sovente attaccati e messi in discussione dal vicino Ducato di Milano, gestito dal ramo spagnolo della potente famiglia degli Asburgo, ma anche dalle truppe francesi. Le cronache riportano di numerose battaglie nella città bergamasca nei primi due decenni del XVI secolo, la più cruenta delle quali si verificò tra il 1515 ed il 1516, con un grande utilizzo di cannoni e colubrine da parte di entrambi i contendenti. I veneziani decisero allora di adottare provvedimenti volti a proteggere la città, che in quel tempo rivestiva appunto una notevole importanza strategica. Molti progetti furono esaminati, ma quello finale e definitivo prevedeva la costruzione di un’imponente cinta muraria che avrebbe interessato la parte collinare della città stessa, trasformandola in una vera e propria fortezza. Tuttavia la decisione di dotare Bergamo di una così ardita opera aveva una valenza politica piuttosto che militare: difatti le dimensioni della cinta muraria erano si imponenti, ma non sufficientemente da comprendere tutta la città bassa che, rimanendo quindi esclusa, la rendeva di fatto un’opera utilizzabile soltanto per fini difensivi, e non per organizzarvi un attacco ai vicini domini spagnoli. Era quindi una tacita ammissione di rinuncia da parte della Serenissima di ampliare i propri domini in Lombardia, anche a causa dei sempre maggiori impegni bellici profusi 16


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contro l’esercito turco: le dimensioni ridotte difatti non potevano permettere l’ammassamento di grandi contingenti militari al punto di farne una testa di ponte per attaccare la città di Milano ed i territori limitrofi. La decisione definitiva sul progetto venne ratificata dal senato veneto nel 1561, tanto che già il 31 luglio il conte Sforza Pallavicino era nella città al fine di avviarne il cantiere. Per quest’opera dalle grandiose proporzioni vennero mobilitate grandi quantità di operai, di architetti lagunari e bergamaschi (tra i quali spiccano l’ingegner Zenese ed il capomastro Paolo Berlendis), ma anche di soldati. Difatti bisognava anche demolire una grande quantità di edifici, quantificati nell’ordine di duecentocinquanta, e la reazione degli abitanti avrebbe potuto richiedere l’intervento delle truppe a protezione del cantiere stesso. Vennero quindi demolite numerose cascine, abitazioni, laboratori, ma anche luoghi di culto tra cui la cattedrale di Sant’Alessandro, la quale custodiva le reliquie del santo patrono della città, ma anche il convento dominicano di Santo Stefano, contenente le spoglie di Pinamonte da Brembate. Il totale di otto edifici religiosi demoliti portò altrettante scomuniche, lanciate dal clero locale, al conte Sforza Pallavicino, il quale dovette faticare non poco (nonché elargire una lauta somma) al fine di vedersele revocare negli anni successivi. L’imponente sforzo organizzativo portò un notevole sviluppo all’economia della città, grazie ad un’elevata richiesta di manodopera ed all’indotto che la costruzione comportò. Alcuni tratti di fortificazione erano comunque già presenti in epoca romana delle quali, documentate nel VIII secolo, sono rimaste alcune tracce ancora oggi visibili in via Vàgine, sotto il convento di Santa Grata e a sinistra dei viale delle Mura ad ovest dei tracciato della funicolare (ex via degli Anditi). Queste agli inizi del ‘500 si trovavano in condizioni di estrema decadenza e vennero quasi totalmente sostituite dalla nuova opera, eseguita in pietra bastionata continua. Le previsioni indicavano una tempistica dei lavori che si aggirava attorno all’anno, con una spesa di circa 40 mila ducati. Queste tuttavia vennero totalmente disattese, tanto che l’opera venne conclusa soltanto nel 1588, ben ventisette anni dopo, con un conto lievitato fino a raggiungere il milione di ducati. La struttura, che nel corso degli anni ha subito pochi interventi di modifica, ha uno sviluppo pari a sei chilometri e duecento metri, all’esterno 18


della quale si trovava la cosiddetta Strada coperta, ovvero un camminamento protetto da muri, utilizzato dalle pattuglie poste a guardia. L’altezza delle mura in alcuni punti arrivava a cinquanta metri, sotto di cui si trovavano fossati, non riempiti d’acqua, posti a protezione. La cinta muraria risulta essere costituita da 14 baluardi, 2 piattaforme, 32 garitte (di cui solo una è giunta sino a noi), 100 aperture per bocche da fuoco, due polveriere, 4 porte (Sant’Agostino, San Giacomo, Sant’Alessandro e San Lorenzo, ora intitolata a Giuseppe Garibaldi). A tutto questo vi è da aggiungere una miriade di sortite, vani sotterranei e passaggi militari di cui, in parte, si è persa la memoria, collegati tra loro tramite un numero imprecisato di cunicoli. L’impianto militare prevedeva inoltre alcuni piccoli quartieri militari, tra cui un arsenale posto nella Rocca di Bergamo, in cui si riparavano le armi e si fabbricava la polvere da sparo. Al mastio della Rocca, già e_ sistente, fu aggiunto il torrione circolare che ancora oggi lo caratterizza e al suo interno un edificio, la cosiddetta scuola dei Bombardieri, come caserma degli artiglieri. Erano inoltre presenti due piccoli edifici, dalla tipica forma con tetto piramidale, adibiti a polveriera, mentre le scorte di armi e viveri erano collocate nella Cittadella che, poco discosta da Colle Aperto, era sede della Capitaneria Veneta. In ambito strategico era importantissimo il cosiddetto Forte di San Marco, una sorta di fortezza nella fortezza: questo occupava la parte nord della città alta, dalla porta di Sant’Alessandro a quella di San Lorenzo. Il suo compito era quello di difendere la città in direzione dei colli, nonché di permettere una protetta via di fuga di massa in caso di caduta della città, tramite un varco (o quinta porta), detto appunto Porta del Soccorso. Inoltre racchiudeva un passaggio segreto sotterraneo che consentiva di raggiungere la fortezza del Castello di San Vigilio, posta sull’omonimo colle sovrastante la Porta di Sant’Alessandro. Tuttavia i cannoni ed i bastioni, che esternamente danno alla città un aspetto di fortezza inespugnabile e concepiti con concezioni all’avanguardia, non furono mai utilizzati, soprattutto per l’affermarsi del cannone a tiro parabolico, denominato bombarda, che ne rende di fatto il “canto del cigno” di tale tipologia di costruzioni militari. In ogni caso le mura determinarono una sorta di cristallizzazione della parte collinare della città inscritta nel perimetro della fortificazione, 19


da allora chiamata Città Alta. La zona è rimasta isolata dalla parte detta Città Piana o Bassa, mantenendosi inalterata nel corso dei secoli e preservandosi da alterazioni architettoniche. Nella parte bassa della città fu inoltre costruita una cinta muraria, detta le Muraine. Questo, considerato l’anello difensivo più esterno della città, era una vera e propria barriera fortificata che isolava i borghi cittadini dalla pianura. Di esse, completamente abbattute nel 1901, rimangono poche tracce come il tratto di mura con merlature e feritoie originali in via del Lapacano e la torre circolare detta del Galgario nella parte sud-orientale. Come detto le mura venete non vennero mai utilizzate per fini militari, tanto che nel 1797 i francesi entrarono in città senza nemmeno esplodere un colpo d’artiglieria, a causa del disfacimento della Repubblica di Venezia, sancito con il Trattato di Campoformio. Già in quel periodo tuttavia l’intero apparato militare della struttura era in stato di abbandono, situazione accresciuta dal totale inutilizzo da parte delle armate della Repubblica Cisalpina prima, e dell’Impero Austro-Ungarico poi. Gran parte degli spazi vennero utilizzati in ambito civile, con l’aboli_ zione dei terrapieni e la demolizione di gran parte delle cannoniere, con le aree poste al di sotto dell’imponente struttura adibite ad orti e giardini. Soltanto l’8 giugno 1859 le mura balzarono nuovamente agli onori delle cronache grazie al passaggio di Giuseppe Garibaldi e ad i suoi Cacciatori delle Alpi, che entrarono nella città tramite la porta San Lorenzo, da allora nominata Porta Garibaldi. L’evento, preparato nei minimi dettagli dal maggiore Gabriele Camozzi, sancì l’annessione della città al Piemonte. Dopo il periodo di decadenza, oggi le mura sono al centro di un’ampia opera di rivalutazione, inserita in un contesto turistico in grande sviluppo. Negli anni compresi tra il 1976 ed il 1984 le mura venete sono state restaurate, ripulite e recuperate dall’incuria grazie all’Azienda Autonoma di Soggiorno.

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Il castello di S. Vigilio Situato ad un’altezza di circa 496 metri s.l.m., è una costruzione che da sempre è posta a difesa dei colli della città Orobica, considerati una porta d’accesso strategica verso la città stessa. Dalla sommità della struttura difatti è possibile controllare l’adiacente monte Bastia, nonché i paesi sottostanti. Tra questi vi sono sia quelli posti nell’antica val Breno (Valbrembo e Paladina) che l’intera spianata di Almenno, un tempo zona di grandissima importanza con il nome di Lemine. Oltre a questi si possono aggiungere i borghi collocati lungo la strada che porta all’imbocco della Val Brembana, nonché una grande visuale sulla catena montuosa delle Prealpi Orobie. Questa condizione di eccellenza altimetrica portò il colle di San Vigilio ad essere un eccellente luogo di avvistamento, tanto che si pensa che già in epoca romana vi fosse collocata una piccola torre di avvistamento. Tuttavia le prime notizie di una fortificazione risalgono all’incirca al VI secolo, anche se fino al IX secolo non vi si verificarono episodi di rilievo. In quel tempo infatti nella zona si era insediata una piccola comunità ecclesiastica, la quale vi costruì un piccolo edificio di culto intitolato a Santa Maria Maddalena. Le dimensioni del luogo sacro erano tuttavia molto ridotte, tanto che questo non veniva identificato come santuario o chiesa, ma con l’appellativo di cappella. Conseguentemente la piccola fortezza che si era creata nel corso dei tre secoli precedenti venne chiamata Castello della Capella. La posizione era tanto vantaggiosa strategicamente che ben presto co_ minciò ad essere al centro delle mire delle personalità militari più in vista, tanto che nel 889 il futuro re d’Italia Arnolfo di Carinzia ne decise la conquista, a scapito della piccola comunità religiosa presente, che si oppose fieramente, ma che nulla poté contro i militari Franchi. Tra i difensori del luogo si segnalò il chierico Gotefrido strenuo oppositore del re tanto da essere giustiziato dallo stesso. Il luogo venne quindi utilizzato per fini militari, principalmente come roccaforte a scopo difensivo e con un’elevata importanza strategica, tanto che nel 1166 il Consiglio Comunale della città di Bergamo decise di edificarvi un castello dalle maggiori dimensioni. Questo venne ulteriormente ingrandito e rafforzato con l’arrivo della potente famiglia dei Visconti, i quali nel 1335 ne completarono la fortificazione. 28

Il secolo successivo vide l’inizio della dominazione della Repubblica di Venezia, durante il quale la struttura assunse un ruolo di primissimo piano nella gestione della città. Numerose modifiche vennero apportate alla stuttura sul finire del XV secolo, tra cui i quattro torrioni muniti di cannoniere e feritoie, collegati tra loro con un muraglione di cinta di forma poligonale, nonché un fossato di protezione. Difatti nel corso del XVI secolo vi si verificarono numerosi assedi, tra cui si segnalano quello del 1509 in cui il Provveditore veneto fu attaccato dalle truppe francesi del Ducato di Milano, situazione ribaltata tre anni dopo, quando i militari della Serenissima ripresero il controllo del forte dopo mesi di scontri, durante i quali i soldati transalpini riuscirono a lungo a tenere in scacco gli avversari. Nuovi scontri si ebbero l’anno successivo (1513), con protagonisti gli Spagnoli che, interessati al controllo della Lombardia, fecero largo utilizzo di cannoni e colubrine, danneggiando la struttura. Ma fu con la costruzione delle Mura di Bergamo che il castello venne interessato da un progetto volto a farne un baluardo inespugnabile: venne infatti deciso di cingere la parte collinare della città con un’imponente cinta muraria. Il castello di San Vigilio, che la dominava dall’alto, vi fu collegato ad essa tramite un passaggio segreto sotterraneo che partiva dalla parte nord delle mura, denominata Forte di San Marco. I lavori portarono inoltre sia alla demolizione della torre centrale (tipica dei castelli medievali), al fine di garantire maggiore spazio alle guarnigioni militari, che all’allargamento della struttura in direzione della città, permettendo la creazione della casa del castellano e degli alloggi dei soldati. La pianta dell’edificio, arricchita dalla fastosa porta d’accesso, opera dell’architetto Mauro Codussi, assunse una forma simile a quella di una stella. Il potenziamento della stuttura comportò la creazione anche di un passaggio segreto da una torre ad una casamatta, oggi inutilizzabile a causa di una frana che vi ha crato un piccolissimo laghetto, nonché l’installazione di grandi cisterne per la raccolta dell’acqua. Si prese anche in considerazione la possibilità di abbassare il colle Bastia, a causa del fatto che in un eventuale attacco il nemico avrebbe potuto porvi dei cannoni con cui colpire i difensori del castello. Quest’opzione venne tuttavia accantonata, lasciando intatto il paesaggio collinare adiacente.


L’importanza che il castello aveva assunto fu resa tangibile dal fatto che, quando le truppe francesi della Repubblica Cisalpina entrarono in città a causa del disfacimento della Repubblica di Venezia, sancito con il Trattato di Campoformio, come prima cosa si insediarono nel castello di San Vigilio. Due decenni più tardi il poter fu preso dagli austriaci, i quali intrapresero una politica di smantellamento della principali strutture militari. Nel 1829 furono infatti demolite alcune parti del castello, tra cui la monumentale porta di accesso. Sul finire del XIX secolo l’intera struttura fu ceduta a privati, che vi insediarono un ristorante e diedero il via, nel 1912, alla creazione di una funicolare che collegava il castello con il piazzale attiguo alla Porta Sant’Alessandro, coprendo una distanza di 621 metri con un dislivello pari a 91 metri. Nel frattempo l’intera struttura era stata riacquistata dal comune di Bergamo, che ne decise il recupero, rendendo accessibile al pubblico l’intero castello nel 1962. Anche la funicolare, che funzionò fino al 1976, venne ripristinata nel 1991, quando si conclusero i lavori di restauro.

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S. Alessandro Sant’Alessandro, vissuto a cavallo del III e del IV secolo, è patrono di Bergamo. Fu probabilmente, secondo quanto documentato dai tardivi atti del suo martirio (risalenti al VIII secolo), il vessillifero della leggendaria legione Tebea, composta da soldati egiziani della Tebaide e comandata dal ge_ nerale romano Maurizio anch’egli venerato dalla Chiesa cattolica con il nome di san Maurizio. Secondo la tradizione la centuria di cui Alessandro era comandante fu spostata intorno all’anno 301 dalla Mesopotamia alle regioni occidentali. Durante il lungo viaggio dei legionari, diverse persecuzioni contro i cri_ stiani furono ordinate dall’imperatore Massimiano, ma molti soldati si rifiutarono di eseguire gli ordini pagando con la decimazione, avvenuta ad Agaunum, nell’odierna Saint Maurice-en-Valais che si trova nel cantone Vallese, in Svizzera. Tra gli scampati al massacro, Alessandro riparò con alcuni suoi compa_ gni in Italia, ma fu imprigionato a Milano (nel luogo dove oggi sorge la basilica di Sant’Alessandro in Zebedia, in piazza di Sant’Alessandro) e qui si rifiutò di abiurare alla fede cristiana come ordinatogli dall’imperatore Massimiano. Fuggito dalla prigione, grazie all’aiuto di Fedele, sulla strada verso Como, secondo la leggenda compì il miracolo di risuscitare un defunto. Dopo essere stato riconosciuto, catturato e riportato davanti a Massi_ miano, Alessandro abbatté l’ara preparata per il sacrificio agli dei romani, facendo infuriare l’imperatore, che lo condannò a morte per decapitazione; la leggenda vuole che il carnefice non osasse colpirlo poiché Alessandro gli appariva come un monte, e, per lo spavento, gli si sarebbero irrigidite le braccia. La stessa sorte sarebbe toccata ad altri soldati chiamati ad ese_ guire la condanna; pertanto fu rimesso in carcere, a morire di stenti, ma riuscì nuovamente a fuggire. Alessandro passò l’Adda all’asciutto e si nascose in un bosco vicino a Bergamo, presso il Ponte della Morla, da un patrizio locale, Crotacio. A Bergamo Alessandro iniziò un’opera di conversione alla fede cristiana degli abitanti della città, tra cui i futuri martiri Fermo e Rustico, parenti di Crotacio. Fu presto scoperto da alcuni soldati romani che lo condussero in catene a Bergamo, dove fu condannato alla decapitazione, che questa 35


volta fu eseguita senza intoppi il 26 agosto 303 nel luogo dove ancora sorge la Chiesa di Sant’Alessandro in Colonna. Grazie alla nobildonna Santa Grata, il corpo del martire fu trafugato e trasportato nel podere della famiglia di lei, dove fu inumato. La santa, alcuni giorni dopo l’esecuzione, avrebbe trovato le spoglie di Sant’Alessandro, la cui presenza era segnalata da gigli, cresciuti in corrispondenza di alcune gocce del sangue del martire, le avrebbe raccolte e fatte seppellire in un orto della sua famiglia, fuori della città, là dove sarebbe sorta la grande basilica di Sant’Alessandro, poi abbattuta durante la costruzione delle mura venete di Bergamo.

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La Rocca La Rocca di Bergamo si trova nella parte alta della città sul colle di Sant’Eufemia, da cui domina, verso sud, la città bassa e la pianura circostante mentre verso nord guarda la corona delle Orobie. Nel XIV secolo Bergamo viveva le lotte fratricide delle fazioni contrapposte guelfe e ghibelline, partiti o meglio consorterie che dissimulavano aspirazionni di potere e nell’allenza con potentanti superiori, ora il Papato ora l’Impero, trovavano una propria legittimazione. Era il basso medioevo, un momento in cui le autonomie comunali si scontravano con gli emergenti poteri signorili, favoriti, oltretutto, questi ultimi, dalle lotte intestine che minavano dall’interno le libertà comunali. Interventi armati esterni, a volte subiti, a volte sollecitati come pacificatori, si trasformavano in dominazioni spesso intercambianti in un altalenante gioco politico-militare in cui il Comune cessava di essere soggetto per divenire oggetto politico. Tutto ciò accadde anche a Bergamo (5 febbraio 1331) e ad altri liberi comuni che, sfibrati dalle discordie interne, si offrirono all’azione pacificatrice di un potente, straniero, improvvidamente ritenuto “super partes”: in questo caso Giovanni del Lussemburgo, Re di Boemia e di Polonia. Bergamo non più libero comune venne a fare parte di una monarchia, passando, d’ora in avanti, da un dominatore all’altro seguendo il destino di altri comuni, anch’essi impotenti di fronte all’avanzare delle nuove istituzioni politiche, le signorie e quindi i principati. I principati, a loro volta, non avrebbero retto l’urto delle monarchie na_ zionali straniere che faranno dell’Italia uno degli scacchieri su cui confrontarsi nel tentativo di affermare la propria primazia. La costruzione della rocca iniziò lo stesso anno della dazione di Bergamo al re di Boemia, 1331. I lavori furono condotti sotto il coordinamento di Guglielmo di Castelbarco vicario del re, furono proseguti dai Visconti, dopo che l’effimera esperienza, circa 20 mesi, di Giovanni del Lussemburgo era sta chiusa dalle armi viscontee, e ultimati da Azzone Visconti nel 1336. I Visconti aggiunsero delle opere di fortificazione che ne aumentarono la funzione difensiva sia contro nemici esterni sia contro quelli interni e le loro eventuali velleità di ribellione: il castello come difesa ma anche come strumento di repressione e di controllo del territorio.

Il podestà Negro Pirovano, che reggeva Bergamo in nome dei Visconti, fece apporre una targa commemorativa sui muri che erano stati fatti costruire per rinforzare il castello, 1345. « Anno milleno triceno terque quideno Vir Prudens dominus Niger e Pirovano natus Bergomi rector capitaneus atque potestas Pro excelsis dominis nostris Ioanne Luchino Hos condi lecit muros in tempore dicto. » Nel nuovo sistema difensivo visconteo la Rocca venne integrata da una nuova opera militare, la Cittadella, in un complesso visto soprattutto come strumento per tenere in soggezione la città, in quanto permetteva di mettere in sicurezza il presidio consentendone al contempo il soccorso e il rifornimento dall’esterno. Nel 1355 Bernabò Visconti iniziò la costruzione, sul colle San Giovanni, della Cittadella chiamata Firma Fides, come indicato in un’apposita lapide. « MCCCLV, DIE XI NOVEMBRIS DOMI NANTE MAGNIFICO ET EXCELSO D.D. BERNABOVE VICECOMITE MEDIOLANI PERGAMI ET CAETER. DOM. GENERALI INCOEPTA FUIT HAEC FORTILITIA SEU CITADELLA ET APPELLATA FUIT FIRMA FIDES » La lapide, oltre all’iscrizione e allo stemma visconteo, aveva in altorilievo una figura umana a tre teste come allegoria della concordia che regnava tra i Visconti. Quest’opera completò la funzione difensiva della Rocca, racchiudendo il centro storico tra i due colli ora entrambi fortificati. Le due fortezze costituirono così un unico complesso difensivo coordinato, di cui uno, la Rocca, rappresentava, in caso di occupazione nemica, l’ultima possibilità di salvezza e di contrattacco, l’ultima ridotta. Con la costruzione della Cittadella « i Visconti rendono bipolare, e quindi dinamico, il sistema difensivo della città di Bergamo ora non più legato alla staticità della tenuta di un circuito murato». Quel che rimane ora della Cittadella è poco meno della metà dell’opera originaria che comprendeva anche l’area dell’attuale Seminario vescovile. La città vecchia era così racchiusa in un recinto fortificato, vagamente 45


triangolare, che aveva ai propri vertici la Rocca a sud-est, la parte della Cittadella attualmente superstite a nord-est e la cosiddetta Cittadella Superiore, ora scomparsa, a sud-ovest. Nel 1428 alla signoria viscontea successe la dominazione veneziana che portò a nuove opere di fortificazione. Nella parte bassa della città fu costruita una cinta muraria, le Muraine, una vera e propria barriera fortificata che la isolava dalla pianura: il suo resto più vistoso è la torre del Galgario nella parte sud-orientale. Le Muraine costituivano l’anello difensivo più esterno della città mentre il baluardo più importante restava il complesso fortificato di città alta, che dal 10 agosto 1561, data d’inizio dei lavori, al 1588 verrà racchiuso da un imponente circuito bastionato che avrebbe reso Bergamo una città fortezza, nelle intenzione dei progettisti, imprendibile. Al mastio della Rocca fu aggiunto il torrione circolare che ancora oggi lo caratterizza e al suo interno un edificio, la cosiddetta scuola dei Bombardieri, come caserma degli artiglieri. La Rocca mantenne la sua funzione militare anche durante il breve periodo napoleonico, 1797-1814, e sotto la successiva dominazione austroungarica, dal 1814 all’8 giugno 1859, quando fu liberata da Garibaldi. Negli anni 1927/33 il complesso, già ceduto dallo Stato al Comune di Bergamo, fu sottoposto a un attento restauro al fine di ridare il suo aspetto originario e di utilizzarlo come luogo ideale per la celebrazione della storia risorgimentale bergamasca. Dal 7 maggio 2004 l’edificio all’interno del mastio, già alloggio dei granatieri veneziani, ospita l’attuale Museo Storico di Bergamo.

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