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Psicologia
Dipendenze patologiche? Il supporto alla famiglia
∞ A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA
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Alcol, sostanze stupefacenti, gioco d’azzardo. Sono milioni gli italiani che soffrono di dipendenze patologiche. Un problema in crescita che non investe solo chi ne è colpito in prima persona ma l’intero nucleo familiare, con pesanti ripercussioni sia dal punto di vista psicologico e relazionale sia economico e sociale. Per questo, nel percorso di cura, è fondamentale il coinvolgimento della famiglia. «Il lavoro psicoterapeutico con la famiglia è un percorso complesso che prevede innanzitutto un’indagine iniziale sulle motivazioni che portano il nucleo, o alcuni membri, in sede psicologica. È utile investigare l’esistenza di eventuali familiarità con la problematica in questione: la componente genetica e la familiarità con il disturbo costituiscono infatti fattori predittivi di rischio (per l’alcol dipendenza, per esempio, esiste un rischio 3-4 volte superiore nei parenti stretti di persone con disturbo da uso di alcol). Il NIDA (National Institute on Drug Abuse), l’organo
istituzionale tra i più autorevoli nel campo delle dipendenze, afferma che il coinvolgimento dei familiari nel percorso di cura può fornire un vigoroso contributo alla riabilitazione della persona in difficoltà. Sebbene questo passaggio sia consigliato, è facile intercettare dinamiche relazionali che al contrario possono interferire con il percorso di cura» spiega la dottoressa Margherita Zamboni, psicologa e psicoterapeuta.
Dottoressa Zamboni, quali sono in particolare gli atteggiamenti che possono ostacolare il percorso di cura? La famiglia della persona dipendente è un nucleo traumatizzato che manifesta ferite emotive come angoscia, paura, rabbia e disperazione. Può sperimentare un vissuto angosciante di preoccupazione costante circa l’incolumità del proprio caro, il senso schiacciante d’impotenza, il timore di eventuali danni legali o finanziari. Il nucleo familiare può inoltre sentire l’urgenza d’intervenire in una modalità assistenziale spesso sproporzionata rispetto al ruolo o alle risorse a disposizione. Altro scenario è quello connotato da un’intensa rabbia e da una dinamica di espulsione/ rifiuto del parente con dipendenza: questo può essere l’esito di disperazione ed esasperazione, oppure della convinzione che il problema riguardi esclusivamente il singolo. Il lavoro terapeutico prevede un impegno sinergico affinché la famiglia possa muoversi coerentemente con gli obiettivi di cura che non possono ridursi all’estinzione del sintomo: è necessario promuovere la trasformazione del sistema
in modo che le parti possano collaborare in una gestione emotiva e pratica funzionale al benessere di ciascuno.
Come si può riuscire ad arrivare a questo? Spesso questo passaggio avviene sull’onda di emozioni disperanti che conducono la famiglia alla ricerca spasmodica di una soluzione al problema del proprio caro: questa è un’aspettativa che va accolta e inevitabilmente ridimensionata introducendo il tema dell’accettazione della propria impotenza. Accogliere la valutazione della problematica da parte della famiglia è un passo importante: la dipendenza potrebbe essere intesa come una problematica esclusiva della persona, un motivo di colpevolizzazione e di messa in discussione delle proprie competenze genitoriali oppure una condizione di cui si è vittime inermi. Spesso è proprio la famiglia a chiedere aiuto per il proprio congiunto: la persona rifugge la cura per assicurarsi il mantenimento del comportamento problematico o per l’incapacità di individuare in esso una patologia autodistruttiva che merita un’attenzione clinica o ancora perché è convinta di poter gestire la tematica all’interno delle mura domestiche. Altre volte il familiare, reattivamente alla condizione del figlio o del parente, può soffrire di ansia, depressione, attacchi di panico, di disturbi somatici o del sonno: la priorità diventa l’elaborazione delle cause del malessere personale, l’introduzione di strategie per la gestione di stress, ansia e rabbia, la valutazione del grado di responsabilità che la persona avverte circa la condizione del familiare affetto da dipendenze patologiche. Possono risultare molto efficaci gli interventi di ristrutturazione cognitiva delle convinzioni e delle aspettative, gli esercizi di rilassamento, la guida all’autocura esperienziale. Ulteriormente può essere utile fornire informazioni per mettere al sicuro il patrimonio familiare. L’obiettivo è ristabilire un equilibrio tra cura di sé e cura del proprio caro limitatamente alle possibilità di azione che le proprie energie personali mettono a disposizione. È fondamentale veicolare il messaggio che il percorso psicoterapeutico è un tempo sospeso dal giudizio: l’accoglienza, l’ascolto e la validazione delle emozioni emergenti diventano dunque un passo fondamentale per una buona relazione terapeutica e un buon esito del lavoro stesso.
DOTT.SSA MARGHERITA ZAMBONI
Psicologa e psicoterapeuta
a Mozzo
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