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Il Risorgimento e l’unificazione italiana
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I primi decenni dell’Italia unita
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Catalano Biagio Dargenio Ruggiero Di Trani Nicola Paciolla Andrea
Tra il 1859 e il 1870 l’Italia riesce a conquistare l’indipendenza e a formare uno Stato unitario.
LE DOMANDE DELLA STORIA
In quale tempo? Nella seconda metà del secolo XIX. In quale spazio? In Italia Quali eventi? L’Italia diventa una nazione indipendente e unita in seguito a una serie di avvenimenti politici e militari che prendono il nome di Risorgimento.
Stampa satirica del XIX secolo
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
L’Italia, una giovane nazione in cerca di libertà La donna coronata che simboleggia l’Italia (come possiamo dedurre dalla bandiera tricolore che porta su una spalla) tiene per il collo l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe I. Già durante la Rivoluzione francese e la dominazione napoleonica si comincia a parlare di nazione italiana, ma è soprattutto a partire dagli anni Venti dell’Ottocento che questo sogno inizia a essere coltivato con passione. Molti intellettuali, ispirati dal Romanticismo, di dedicano a riscoprire la storia e le trazioni culturali dell’Italia e maturano la convinzione che il popolo italiano, da secoli sparso tra numerosi Stati e sottoposto al dominio di potenze straniere, sia ormai maturo per «risorgere», per tornare a essere libero.
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
Francesco Giuseppe I, il tiranno imperatore L’impero austriaco, nella persona del suo monarca, Francesco Giuseppe I, è il principale ostacolo sul cammino dell’indipendenza italiana. A partire dal Congresso di Vienna occupa il Lombardo-Veneto, ma controlla indirettamente anche il Granducato di Toscana, il Ducato di Parma e Piacenza e il Ducato di Modena e Reggio. Inoltre, nel 182021 e nel 1831 l’Austria ha mandato il proprio esercito a reprimere i moti costituzionali scoppiati rispettivamente nel Regno delle Due Sicilie, nel Regno di Sardegna e nell’Italia centrale. La monarchia degli Asburgo, per la prontezza con cui ha soccorso i sovrani assoluti al potere nei diversi Stati della Penisola, è stata soprannominata «gendarme d’Italia». La lotta contro l’assolutismo e quella contro la dominazione straniera, quindi, sono strettamente intrecciate.
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
I Savoia L’aquila sulla cui groppa vola L’Italia minaccia il cavallo dell’imperatore e lo mette in fuga. La corona sul suo capo e lo stemma che porta sul petto indicano che essa rappresenta la monarchia sabauda. Il governo di Torino, le persone dei sovrani sabaudi e l’esercito del Regno di Sardegna avranno un ruolo decisivo nella conquista dell’indipendenza italiana.
Le idee del Risorgimento
Mazzini e la Giovine Italia Nell’estate del 1831, il genovese Giuseppe Mazzini (18051872), che aveva fatto parte della Carboneria, la società segreta attiva durante le insurrezioni del 1820-21 e del 1831 fondò la Giovane Italia. Si trattava di una nuova organizzazione clandestina che sfidava apertamente sia i sovrani italiani sia l’impero austriaco.
Le idee del Risorgimento
Unità, repubblica, indipendenza Il programma della Giovine Italia poteva essere riassunto in tre parole d’ordine: unità, repubblica e indipendenza. Questa organizzazione si proponeva di abbattere i governi della Penisola e di creare al loro posto un’unica repubblica, comprendente tutti i territori italiani e basata sul suffragio universale. Per Mazzini e per i suoi seguaci, nazione era sinonimo di repubblica, democrazia e sovranità popolare. Per ottenere tutto ciò era necessario cacciare gli austriaci cioè il governo degli Asburgo dall’Italia.
Insurrezioni e repressione Per realizzare questo ambizioso programma, i membri della Giovine Italia si affidarono a una strategia rischiosa. Fin dall’inizio degli anni Trenta organizzarono alcune sommosse in varie località italiane (nel 1833 e nel 1834 nel Regno di Sardegna, nel 1843 e nel 1845 nelle Legazioni pontificie), con la speranza che da queste nascesse un’insurrezione popolare generale contro le dinastie regnanti. Questi tentativi, però, furono scoperti e facilmente stroncati e ogni volta contro i mazziniani si abbatté la repressione dei governi italiani, con arresti, processi e condanne a morte.
Le idee del Risorgimento
I fratelli Bandiera
Attilio Bandiera
Nel 1844 la vicenda dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (1810-1844; 18191844) suscitò molto scalpore. Erano due giovani nobili veneziani, ufficiali della marina austriaca e affiliati alla Giovine Italia. Con alcuni compagni, i due fratelli prepararono una spedizione nel Regno delle Due Sicilie. Sbarcarono in Calabria, convinti che il loro esempio sarebbe bastato a scatenare una rivolta contro i Borbone; ma la popolazione si disinteressò del loro arrivo ed essi furono catturati e fucilati dalle forze dell’ordine.
Emilio Bandiera
Le idee del Risorgimento
I fratelli Bandiera
La fucilazione dei fratelli Bandiera, dipinto del secolo XIX, che ritrae l’esecuzione dei due fratelli veneziani, avvenuta nel luglio del 1844.
Le idee del Risorgimento
Il fallimento dei mazziniani
Il problema maggiore fu che al progetto di una Italia unita, repubblicana e democratica a quell’epoca credevano realmente in pochi. Tra i mazziniani c’erano per lo più esponenti della piccola e media borghesia (studenti, piccoli commercianti, artigiani,…) e anche alcuni aristocratici. Essi invitavano il popolo alla rivolta, ma le loro idee tra la maggior parte della popolazione (prevalente composta da contadini) non trovavano ascolto.
Carta geografica dell’Italia risalente al 1800.
Le idee del Risorgimento
Democratici federalisti Accanto ai mazziniani, in Italia, c’erano altri sostenitori dell’indipendenza, della democrazia e della repubblica, come ad esempio il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869). Egli, però, non era d’accordo con i mazziniani sulla questione dell’unità. Si augurava che ka nazione fosse liberata dal dominio degli stranieri e che gli Stati italiani, dopo essersi dati governi repubblicani, si unissero tra loro per formare una federazione, sull’esempio della Svizzera e degli Stati Uniti.
Carlo Cattaneo in una xilografia del 1887 di Edoardo Matania
Le idee del Risorgimento
Liberali: indipendenza, non unità
L’insofferenza per l’assolutismo dei regnati e per il controllo dell’Austria era diffusa anche tra i liberali. Essi appartenevano all’alta borghesia e all’aristocrazie ed erano assolutamente contrari ai progetti di Mazzini. In primo luogo i liberali – almeno fino al 1848 – aspiravano all’indipendenza dei vari Stati italiani, ma non all’unità; volevano, cioè, limitare l’invadenza dell’Impero austriaco negli affari italiani, ma non desideravano che gli Stati della Penisola scomparissero per lasciare il posto a un’unica nazione.
Un liberalismo antirepubblicano e antidemocratico
In secondo luogo essi non erano ostili alla monarchia, chiedevano unicamente ai rispettivi sovrani che i cittadini più ricchi e colti avessero la possibilità di partecipare alla vita politica e usufruissero delle libertà di pensiero, di stampa, di associazione. Si opponevano alla repubblica e alla democrazia perché temevano che esse, presto o tardi, avrebbero finito per scatenare la rivoluzione sociale.
I liberali condannano le insurrezioni
Inoltre i liberali criticavano le insurrezioni architettate dai mazziniani: queste provocavano morti inutili e irrigidivano la posizione dei sovrani di tutta Italia. Secondo loro, invece, bisogna dimostrare ai regnanti che soltanto emanando costituzioni liberali e respingendo il soffocante controllo austriaco i loro regni avrebbero potuto modernizzarsi e prosperare.
Le idee del Risorgimento
La diffusione del programma dei liberali
Nel corso degli anni Quaranta dell’Ottocento, soprattutto per merito dei piemontesi Cesare Balbo (1789-1853), Massimo d’Azeglio (1798-1866) e Vincenzo Gioberti (1801-1852), il programma dei liberali cominciò a riscuotere successo tra gli strati più elevati della società italiana. Balbo sosteneva che si potesse indurre l’Austria ad abbandonare il Lombardo-Veneto con le armi della diplomazia. D’Azeglio, invece, credeva possibile una guerra e pensava che, in quel caso, solo l’esercito piemontese sarebbe stato in grado di tener testa al potente impero nemico.
Stampa del secolo XIX che ritrae tre esponenti del liberalismo piemontese che furono a capo del governo di Torino: Vincenzo Gioberti, presidente del Consiglio dei ministri dal 1848 al 1849 (in alto), Massimo d’Azeglio, primo ministro dal 1849 al 1852 (a destra) e Cesare Baldo, primo ministro dal marzo al luglio 1848 (a sinistra). Raccolta Bertarelli, Milano
Le idee del Risorgimento
Gioberti e il neoguelfismo Gioberti era una abate e si ispirava al cattolicesimo liberale. Secondo il suo parere la presenza del papa a Roma e la sua autorità morale facevano degli italiani un popolo importante, un esempio di virtù spirituali per tutta l’Europa. Egli, perciò, per risollevare il destino della nazione, proponeva che si formasse una federazione di tutti gli Stati italiani, presieduta dal papa in persona e difesa, all’occorrenza, dalle truppe sabaude. A questa particolare forma di cattolicesimo liberale fu dato il nome di neoguelfismo.
Le idee del Risorgimento
Pio IX, un papa «liberale» Nel 1846 sembrò che le idee di Gioberti stessero per trasformarsi in realtà. In quell’anno fu eletto papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1792-1878). Appena salito al soglio pontificio, decretò un’amnistia che rimise in libertà i prigionieri politici e si mostrò disposto a concedere alcune caute riforme. Egli divenne allora un simbolo e una speranza per tutti i liberali italiani. Il pontefice era un punto di riferimento spirituale, per i principi italiani, più importante ancora dell’imperatore austriaco; perciò, se era propenso ad addolcire l’assolutismo in vigore nel proprio regno, perché gli altri sovrani della Penisola non avrebbero potuto fare altrettanto?
glossario
amnistia è un provvedimento di clemenza che mette fine alla pena inflitta a chi ha commesso un determinato reato.
Le idee del Risorgimento
1846-1848: una stagione di riforme In effetti, tra il 1846 e il 1848, anche il granduca di Toscana Leopoldo II (1835-1909) e il re di Sardegna Carlo Alberto (1798-1849) introdussero alcune riforme che stavano a cuore ai sudditi liberali. Inoltre, avviarono con il papa alcune trattative per dare vita a una lega doganale che aveva lo scopo di migliore i rapporti commerciali fra i tre Stati.
glossario
lega doganale è l’unione di vari Stati indipendenti i quali, considerandosi un unico territorio dal punto di vista doganale, aboliscono i dazi all’interno di questo.
Leopoldo II
Le idee del Risorgimento
Dimostrazioni a Firenze per ringraziare Leopoldo II delle riforme accordate nel settembre del 1846. Il granduca confermava con questa iniziativa «liberale» quello stile di governo aperto alla riforma dello Stato che aveva caratterizzato la sua dinastia (gli Asburgo-Lorena) già nel corso del XVIII secolo. Sopravvissuta alla Rivoluzione francese e al dominio napoleonico, la dinastia si era comunque irrigidita su posizioni conservatrici, riuscendo solo raramente a sottrarsi al pesante controllo dei «cugini» austriaci, che consideravano la Toscana quasi una dipendenza della corte di Vienna.
1848-1849
Costituzioni liberali L’insurrezione scoppiata nel gennaio 1848 a Palermo spinse Ferdinando II di Borbone a concedere la costituzione. Carlo Alberto, Leopoldo II e Pio IX, seguiti dagli altri sovrani, anche se a malincuore, nei mesi successivi scelsero di fare lo stesso, per accontentare le richieste sempre più pressanti dei propri sudditi.
Dipinto del XIX secolo, La barca dell’indipendenza, nel quale sono raffigurati Pio IX e Carlo Alberto che salvano l’Italia dalla tempesta: in molte città della Penisola si tennero manifestazioni in onore del papa «liberale» e molti pensarono che Pio IX avrebbe potuto guidare il Risorgimento italiano.
1848-1849
Lo Statuto albertino La costituzione emanata da Carlo Alberto nel febbraio del 1848 passò alla storia con il nome di Statuto albertino. Come la carta costituzionale francese del 1814, fu concesso per un atto di grazia del sovrano. Esso stabiliva che il potere legislativo fosse esercitato dal sovrano e dal parlamento, suddiviso in due Camere: il Senato, i cui membri erano nominati dal sovrano e la Camera dei deputati, composta da rappresentanti eletti dai cittadini. Godevano del diritto di voto gli uomini adulti che avevano un certo livello di istruzione e di ricchezza: in tutto circa il 2% della popolazione. Il cattolicesimo era riconosciuto come religione ufficiale dello Stato, ma anche ai sudditi che praticavano un credo diverso (ebrei e valdesi) venivano assicurati i diritti civili e politici e la possibilità di accedere agli impieghi pubblici.
Il Re mentre firma lo Statuto
1848-1849
Lo Statuto albertino Proponiamo alcuni articoli significativi. Art. 2 – Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il trono è ereditario secondo la Legge Salica. Art. 3 – Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati. Art. 4 – La persona del Re è sacra ed inviolabile. Art. 5 – Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato; comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra, fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere. Art. 6 – Il Re nomina tutte le cariche dello Stato, e fa i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne. Art. 7 – Il Re solo sanziona le leggi e le promulga […].
1848-1849
Lo Statuto albertino «Dei diritti e dei doveri dei cittadini» Art. 24 – Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinnanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessibili alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinare dalle leggi. Art. 28 – La stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiera non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo. Art. 29 – Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia quando l’interesse pubblico, legalmente accertato, lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
1848-1849
I calcoli di Carlo Alberto
Le barricate al ponte di Porta romana durante le Cinque giornate del 1848 a Milano.
Nel mese di marzo 1848 la rivoluzione scoppiata a Venezia e le Cinque giornate di Milano costrinsero i sovrani italiani a prendere decisioni impreviste. Carlo Alberto, spinto dall’opinione pubblica del Regno che chiedeva di portare soccorso agli insorti, il 23 marzo 1848 dichiarò guerra all’Austria. Il conflitto era l’occasione propizia per cercare di cacciare gli stranieri dalla Penisola, ma il re sabaudo contava anche di ampliare il proprio regno nell’Italia settentrionale. Inoltre, l’insurrezione milanese era scoppiata sotto la guida dei democratici (tra di loro in prima fila c’era Cattaneo). A Venezia era stata proclamata una repubblica indipendente e l’idea che ne potesse nascere una seconda nei pressi del proprio regno non era gradita al re piemontese.
1848-1849
La Prima guerra d’indipendenza A Milano, intanto, si precipitarono Mazzini e i suoi seguaci e da più parti d’Italia giunsero battaglioni di volontari decisi a combattere per l’indipendenza della nazione. Anche il re delle Due Sicilie, il granduca toscano e il papa, sollecitati dall’opinione pubblica dei rispettivi Stati, inviarono truppe a sostegno della guerra d’indipendenza. In poco più di un mese, tuttavia, uno dopo l’altro, le ritirarono. Il Regno di Sardegna non faceva mistero di voler annettere il Lombardo-Veneto ed essi temevano che avrebbe acquistato un’eccessiva potenza. Il regno Lombardo-Veneto
1848-1849
La guerra La guerra, dopo alcune vittorie iniziali, fu condotta con molte incertezze. Gli austriaci, cacciati dai milanesi, si erano rifugiati nelle quattro fortezze di Mantova, Legnago, Peschiera e Verona (il cosiddetto Quadrilatero). Ben presto però ricevettero rinforzi da Vienna e nel luglio del 1848 sbaragliarono l’esercito piemontese a Custoza. Carlo Alberto firmò un armistizio e riportò le truppe in Piemonte, mentre gli austriaci tornarono a occupare Milano.
Il Quadrilatero
1848-1849
Democratici al potere in Toscana e a Roma
Pio IX
All’inizio del 1849 si verificò un nuovo colpo di scena: i democratici, infatti, si impadronirono del potere nel Granducato di Toscana e nello Stato della Chiesa. Nel gennaio del 1849 Pio IX fuggì da Roma e il mese successivo Leopoldo II lasciò Firenze. A Roma fu proclamata la repubblica, le redini del governo furono affidate a Mazzini e nella città confluirono patrioti democratici provenienti da tutta Italia.
Leopoldo II
1848-1849
La definitiva sconfitta del Piemonte Carlo Alberto a marzo rifiutò di accettare le condizioni di pace che l’Austria intendeva imporgli e le dichiarò nuovamente guerra. Questa volta l’avventura militare durò appena tre giorni: il 23 marzo 1849 l’esercito
piemontese fu battuto a Novara. Il re abdicò e lasciò il trono a suo figlio, Vittorio Emanuele II che trattò la pace con gli austriaci. Soldati piemontesi durante la battaglia di Novara, stampa del secolo XIX, Torino, Museo del Risorgimento.
1848-1849
L’Austria riporta l’ordine in Italia A questo punto le truppe austriache riuscirono agevolmente a riportare l’ordine nella Penisola. Nel corso della Primavera, repressero le rivolte scoppiate a Brescia e nell’Italia centrale in seguito alla notizia della ripresa della guerra austro-piemontese e intervennero in Toscana a riportare il granduca sul trono.
La fine della Repubblica romana Fu invece la Francia a mettere fine alla Repubblica romana. Carlo Luigi Napoleone Bonaparte era stato eletto alla guida della repubblica anche grazie ai voti dei cattolici, scandalizzati per l’affronto subìto dal papa. Il presidente francese per accontentarli inviò l’esercito nello Stato pontificio. La resistenza di Roma, guidata da Giuseppe Garibaldi, fu accanita, ma nel mese di luglio venne piegata.
Gli anni Cinquanta
1848-1849: un bilancio Nel biennio 1848-1849 sia le speranze dei democratici-repubblicani sia quelle dei liberali erano andate incontro ad amare delusioni. Nello stesso tempo, tuttavia, l’idea dell’unificazione nazionale, che in un primo momento era stata sostenuta soltanto dai mazziniani, cominciò a convincere anche i liberali che fino ad allora si erano limitati a sognare l’indipendenza. Nell’estate del 1849 l’Austria aveva facilmente riconquistato il controllo della Penisola e in tutti gli Stati italiani, ad eccezione del Regno di Sardegna, le costituzioni concesse nel 1848 era state revocate. Ciò aveva fatto comprendere che i singoli Stati erano troppo deboli per resistere all'Austria e alla sua volontà di difendere a ogni costo l’assolutismo. I liberali italiani quindi iniziarono a guardare con interesse e crescente simpatia al Regno di Sardegna. Innanzitutto esso, malgrado la sconfitta subita, aveva dimostrato di essere disposto a impugnare le armi contro gli austriaci. Inoltre, come abbiamo detto, lo Statuto albertino del 1848 era rimasto in vigore. A Torino (unico caso in Italia) si riuniva un parlamento eletto dai cittadini con un sistema elettorale censitario. Nel corso degli anni Cinquanta dell’800, diversi liberali, fuggiti dagli altri Stati italiani, trovarono rifugio nella capitale sabauda. Molti di essi sedettero nelle aule di quel parlamento come deputati e alcuni divennero addirittura ministri.
Gli anni Cinquanta
Cavour: liberalismo ed espansione dinastica Nel 1852 Vittorio Emanuele II nominò come primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, un uomo politico molto abile. Egli era convinto che i Savoia dovessero mettersi alla testa del movimento nazionale. In primo luogo perché soltanto allontanando l’Austria dalla Penisola il Piemonte avrebbe potuto realizzare le proprie ambizioni di espansione, in secondo luogo per impedire che fossero i democratici-repubblicani a prendere l’iniziativa.
C. Bossoli, Vittorio Emanuele II accompagnato da Cavour lascia palazzo Madama dopo il discorso di apertura del Parlamento subalpino, 1853, Torino, Galleria Civica di arte moderna.
Gli anni Cinquanta - Ritratti
La politica interna di Cavour Cavour era un aristocratico piemontese che sosteneva le idee del liberalismo. Egli incoraggiò la politica liberale che era stata inaugurata con la concessione della costituzione; pensava, infatti, che per scongiurare le rivoluzioni che avevano sconvolto l’Europa nel 1848 e per rafforzare la monarchia fosse necessario proseguire sulla strada delle riforme. Ad esempio, anche se lo Statuto albertino prevedeva che fosse il re a scegliere il primo ministro, Cavour governò cercando di ottenere non soltanto la fiducia del sovrano, ma anche quella del parlamento; in questo modo, la monarchia sabauda da costituzionale che era, divenne a poco a poco una monarchia parlamentare.
Gli anni Cinquanta - Ritratti
La politica interna di Cavour Il conte di Cavour si impegnò anche a potenziare lo sviluppo economico dello Stato sabaudo, con l’obiettivo di farne il Paese più prospero della Penisola. Promosse l’agricoltura e avviò un ambizioso programma di costruzione di opere pubbliche: si preoccupò soprattutto di dotare il territorio del Regno di una moderna rete ferroviaria. Infine, adottò una politica economica liberista, allo scopo di intensificare gli scambi commerciali con i Paesi europei più progrediti (soprattutto con l’Inghilterra e la Francia).
Gli anni Cinquanta
L’inaugurazione della linea ferroviaria Torino-Genova nel 1854. Cavour attribuÏ alle ferrovie un’importanza decisiva nello sviluppo del progresso civile e del movimento nazionale.
Gli anni Cinquanta
La Guerra di Crimea Intanto, Cavour aveva intrapreso una spregiudicata politica estera. Nel 1854 mandò un contingente di truppe a combattere nella Guerra di Crimea, al fianco dell’esercito francoinglese. Il Regno sabaudo non aveva un concreto interesse per quel conflitto, ma il primo ministro ottenne in tal modo di poter parlare della situazione italiana durante il Congresso di pace di Parigi. Spiegò che l’oppressione austriaca provocava in Italia continue rivolte, che minacciavano la pace e la stabilità di tutta l’Europa. L’idea di Cavour era di convincere la Francia e l’Inghilterra che, appoggiando l’espansione del Regno di Sardegna in Italia, avrebbero potuto indebolire l’Impero austriaco.
Cartina storica della penisola di Crimea nel 1888
Gli anni Cinquanta
L’attentato Orsini Felice Orsini, un mazziniano romagnolo, per ironia del destino rese più semplice il compito che Cavour si era prefissato. Nel gennaio 1858, per vendicare la caduta della Repubblica romana, egli cercò di uccidere Napoleone III, ma l’imperatore francese scampò all’attentato. Immediatamente catturato e condannato alla ghigliottina, Orsini inviò una lettera all’imperatore per domandargli di aiutare i patrioti italiani. Egli scrisse: «Essi chiedono che la Francia non intervenga contro di loro: essi chiedono che la Francia non permetta che alcuna nazione intervenga nelle future e forse imminenti lotte dell’Italia contro l’Austria». E concludeva: «Rammenti che sino a che l’Italia
non sia fatta indipendente, la tranquillità dell’Europa e della Maestà Vostra Imperiale è un puro sogno» . Napoleone III, che già per le proprie ambizioni era interessato a frenare l’influenza dell’Austria sull’Italia, pochi mesi dopo si risolse a stringere un’alleanza con casa Savoia.
Gli anni Cinquanta
L’immagine descrive l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III. Cinque bombe vennero fatte esplodere al passaggio della carrozza sulla quale si trovavano il sovrano e l’imperatrice Eugenia. Nonostante l’attacco ravvicinato e i diversi morti e feriti fra i componenti del seguito, la coppia imperiale rimase illesa.
Gli anni Cinquanta
Gli accordi di Plombières Nel 1858 Cavour raggiunse il proprio obiettivo: strinse un’alleanza segreta con l’imperatore Napoleone III (accordi di Plombières). Nel caso in cui gli austriaci avessero attaccato per primi il Piemonte, la Francia si sarebbe mossa in suo soccorso. I patti prevedevano anche una nuova sistemazione dell’Italia. Il territorio sarebbe stato diviso in tre regni: uno al Nord affidato ai Savoia, il secondo e il terzo, al Centro e al Sud, destinati ai parenti dell’imperatore francese. Il papa avrebbe conservato Roma e il territorio circostante e ricevuto la presidenza della confederazione di tre regni. Infine, il Regno di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia Nizza e la Savoia, ovvero la regione da cui proveniva la casa regnante che a essa dava il nome.
Gli anni Cinquanta
La Seconda guerra d’indipendenza
Per cercare di indurre l’Austria alla guerra, Vittorio Emanuele II mandò le truppe lungo il confine con il Lombardo-Veneto. L’imperatore austriaco Francesco Giuseppe I chiese che queste manovre militari fossero immediatamente sospese. Il governo piemontese rifiutò; così nell’aprile del 1859, ebbe inizio la Seconda guerra d’indipendenza (cui prese parte una colonna di volontari comandata da Garibaldi, i cosiddetti Cacciatori delle Alpi). Con l’aiuto decisivo dell’esercito francese, i piemontesi sconfissero gli austriaci a San Martino e a Solferino. Nel mese di luglio, tuttavia, Napoleone III, senza consultare gli alleati, firmò con l’Austria l’armistizio di Villafranca. Questa conservò il Veneto, ma dovette cedere la Lombardia (con l’eccezione di Mantova) al Regno di Sardegna.
La sala a Villafranca in cui si incontrarono Napoleone III e Francesco Giuseppe
Gli anni Cinquanta
L’arrivo a Genova delle truppe francesi al comando dell’imperatore Napoleone III
Gli anni Cinquanta
Le cause dell’armistizio Nel corso del conflitto, la Società Nazionale aveva organizzato sollevazioni nel Granducato di Toscana, nel Ducato di Modena e nelle legazioni pontificie e i rispettivi regnanti erano stati costretti alla fuga. I rivoltosi avevano chiesto che i territori da loro controllati fossero annessi al Regno sardo. Questi avvenimenti spinsero l’imperatore francese a fermare la guerra. Il Regno di Sardegna, infatti, rischiava di ingrandirsi molto più di quanto egli avesse previsto.
Plebisciti e annessioni Nel marzo del 1860 nelle regioni insorte si tennero dei plebisciti e la grande maggioranza degli abitanti accettò do entrare a far parte del Regno di Sardegna. Napoleone III non si oppose e, in cambio, ebbe Nizza e la Savoia. All’inizio del 1860, dunque, quasi metà del territorio italiano era sotto lo scettro dei Savoia.
Gli anni Cinquanta
Garibaldi e i Mille A questo punto, tornarono nuovamente sulla scena i democratici. Alcuni ex mazziniani, tra cui Francesco Crispi, chiesero a Garibaldi di capitanare una spedizione in Sicilia, pensando che nell’isola, insofferente nei confronti del governo di Napoli, si potesse facilmente provocare una ribellione contro il nuovo re, Francesco II di Borbone, ed estendere in seguito la rivolta anche allo Stato pontificio. Garibaldi rispose all’appello e radunò attorno a sé alcune centinaia di patrioti, i cosiddetti Mille.
Francesco Crispi
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi» Giuseppe Garibaldi nacque nel 1807 a Nizza (la città che il Regno di Sardegna avrebbe ceduto alla Francia nel 1860) e in gioventù fece il marinaio. Conquistato dal programma politico della Giovine Italia, nel 1834 a Genova prese parte a un tentativo insurrezionale da essa pianificato e miseramente fallito. Riuscì a sfuggire all’arresto ma, colpito da una condanna a morte, riparò in America Latina, dove rimase per dodici anni, combattendo per la liberazione di vari Paesi. Quando, nel 1848, tornò in Italia, era già considerato un abilissimo comandante militare.
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi»
Partecipò come volontario alla Prima guerra d’indipendenza e, nel 1849, guidò la resistenza della Repubblica romana. Dopo la caduta di Roma, cercò inutilmente di raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli austriaci, ma durante il viaggio per la vita Anita, la sua prima moglie.
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi»
1849, Giuseppe Garibaldi e Anita Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica Romana
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi» Per evitare si essere catturato dalle polizie della Penisola, Garibaldi abbandonò di nuovo l’Italia. Prima si stabilì a New York (dove lavorò come operaio in una fabbrica di candele), poi viaggiò per mare, raggiungendo l’Oriente e l’Australia. Al rientro in patria, avvenuto nel 1854, aderì alla Società nazionale, l’organizzazione politica che aveva come obiettivo l’unificazione nazionale sotto la monarchia sabauda. Durante la Seconda guerra d’indipendenza fu incaricato da Cavour di formare e guidare un reparto di volontari, i Cacciatori della Alpi.
Uniformi dei Cacciatori delle Alpi
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi»
Cacciatori delle Alpi Da destra a sinistra: ufficiale in alta uniforme, guida a cavallo, fante, ufficiale in divisa da campagna
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi» La spedizione in Sicilia alla testa dei Mille accrebbe ancora la fama di Garibaldi; anche l’opinione pubblica europea seguì con simpatia e ammirazione quella straordinaria impresa militare. Consegnati i territori conquistati nelle mani di Vittorio Emanuele, egli, rifiutando onori e ricompense, si ritirò a vivere modestamente sull’isola di Caprera, diventando così il simbolo dell’eroe romantico, pronto a lottare generosamente per la libertà dei popoli (prima in America, poi in patria, perciò fu detto «eroe dei due mondi»), senza un tornaconto personale.
Gli anni Cinquanta
Garibaldi, l’ «eroe dei due mondi» Dopo l’Unità d’Italia Garibaldi non depose le armi; nel 1866 prese parte alla Terza guerra d’indipendenza e, in diverse occasioni, anche contro il parere del governo italiano, sempre alla guida di colonne di volontari, cercò di conquistare le regioni italiane che ancora non facevano parte del nuovo Regno. Quando morì, nel 1882, Caprera subito diventò meta di pellegrinaggi ed egli divenne un mito: le sue gesta furono raccontate da romanzi, poesie, quadri, cartoline. Dipinto del secolo XIX di Gerolamo Induno che raffigura l’imbarco dei Mille a Quarto il 5 maggio 1860
Gli anni Cinquanta
La conquista della Sicilia
La stele commemorativa dell'impresa dei Mille sullo scoglio da cui partĂŹ la spedizione, a Genova-Quarto
Nel maggio del 1860 i Mille salparono da Quarto, presso Genova, con la tacita approvazione di Vittorio Emanuele II (anzi, probabilmente sotto la sua protezione). Arrivarono in Sicilia in pochi giorni e, dopo aver sconfitto l’esercito borbonico in varie occasioni (celebre la battaglia di Calatafimi), in meno di due mesi la conquistarono. Al fianco dei garibaldini lottarono anche bande di contadini siciliani, che video l’occasione per risollevarsi dalla miseria nella quale vivevano.
Gli anni Cinquanta
Verso Napoli. Monarchia o repubblica? Ad agosto, Garibaldi e i suoi attraversano lo stretto di Messina e marciarono verso la capitale. Lungo il cammino incontrarono una debole resistenza da parte delle truppe di Francesco II ed ebbero per lo più il sostegno della popolazione. All’inizio di settembre i Mille entrarono trionfalmente a Napoli, fa dove poco prima era fuggito il sovrano, con una parte dell’esercito. Poco dopo, arrivarono nella città anche Mazzini e Cattaneo e ciò mise in allarme il governo di Torino. La Penisola, infatti, era divida in due: il Nord era sotto il controllo della monarchia sabauda, il Sud, invece, era nelle mani dei personaggi più illustri dello schieramento democratico-repubblicano.
Ingresso di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860 (Napoli, Museo civico di Castel Nuovo)
Gli anni Cinquanta
Il pericolo di una guerra tra italiani «Se Garibaldi persevera nella via funesta nella quale si è imbarcato, entro quindici giorni noi andremo a ristabilire l’ordine a Napoli e Palermo, anche se bisognasse per questo gettare tutti i garibaldini in mare». Era
Garibaldi a Roma Schizzo realizzato da George Thomas durante l'assedio di Roma
il conte di Cavour a esprimersi in maniera così brusca, deciso a impedire una svolta repubblicana a ogni costo. Egli temeva inoltre che se Garibaldi avesse puntato su Roma, Napoleone III (che dal 1849 vegliava sullo Stato pontificio) sarebbe sceso in guerra. Convinse quindi l’imperatore francese che era necessario un intervento piemontese al Sud per fermare i garibaldini, assicurandogli che il Lazio e Roma non sarebbero stati occupati.
Gli anni Cinquanta
L’esercito piemontese al Sud L’esercito sabaudo discese lungo la Penisola, entrò nelle terre dello Stato pontificio, sconfisse le truppe del papa a Castelfidardo e conquistò le Marche e l’Umbria. L’incontro tra l’esercito sabaudo e quello garibaldino (che nel frattempo aveva definitivamente sconfitto i borbonici nella battaglia del Volturno) avvenne alla fine di ottobre del 1860 a Teano, vicino a Caserta. Il comandante dei Mille non aveva alcuna intenzione di opporsi a Vittorio Emanuele. Consegnò al re i propri poteri e ordinò ai suoi uomini di sciogliersi.
L’incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, in un dipinto di F. De Alberti.
Gli anni Cinquanta
Il Regno d’Italia Tra l’ottobre e il novembre del 1860 una nuova serie di plebisciti decretò l’annessione si tutto il Mezzogiorno, delle Marche e dell’Umbria ai domini di casa Savoia. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia dal primo Parlamento nazionale riunito a Torino. L’unificazione e l’indipendenza dell’Italia erano state realizzate secondo i piani della monarchia sabauda e dei liberali, mentre i disegni repubblicani e democratici erano stati sconfitti.
Gli anni Cinquanta
La Terza guerra d’indipendenza Nel 1866 il Regno d’Italia entrò in guerra contro l’Austria al fianco della Prussia. Le forze armate italiane subirono due amare sconfitte, una a Custoza (a sinistra l’immagine dell’ossario), l’altra nella battaglia navale di Lissa (figura in basso). Grazie alla vittoria dei prussiani sugli austriaci, tuttavia, la monarchia sabauda riuscì ugualmente a ottenere il Veneto.
Gli anni Cinquanta
La conquista di Roma Nel 1870 la Prussia scese in guerra contro la Francia e la sconfisse. Con Napoleone III scomparve il supremo protettore del papa e dei territori che ancora rimanevano nelle sue mani. L’esercito italiano, allora, fu libero di marciare sul Lazio; dopo aver bombardato le mura di Roma, il 20 settembre 1870 entrò nella città. L’anno successivo Roma divenne la capitale d’Italia e questi avvenimenti lasciarono allo Stato italiano uno spinoso problema da risolvere.
La breccia, qualche decina di metri sulla destra della Porta Pia
Le imprese militari dell’esercito sabaudo, le spedizioni dei Mille e le annessioni hanno permesso di unificare quasi tutto il territorio della Penisola. Da questo momento le regioni che, per secoli, hanno costituito Stati tra loro diversi, devono diventare un unico Paese.
LE DOMANDE DELLA STORIA
In quale tempo? Tra il 1861 e il 1900
In quale spazio? In Italia Quali eventi? Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, i governanti del nuovo regno si trovano a dover risolvere numerosi e gravi problemi
Il dipinto della seduta del Parlamento, di autore ignoto, è conservato a Torino, Museo del Risorgimento
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
Da sudditi ad abitanti del Regno d’Italia È il 17 marzo 1861. a Torino, nella sala che dal 1848 ospita il Parlamento del Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II inaugura la prima seduta del Parlamento italiano. Lo Statuto Albertino diventa la carta costituzionale del Regno d’Italia. Le donne e gli uomini che fino ad allora erano vissuti da sudditi dei vari principi italiani sono ora membri di una nuova nazione: l’Italia.
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
Vittorio Emanuele II, Cavour, i ministri
Vittorio Emanuele II viene proclamato ufficialmente re d’Italia. È il primo sovrano d’Italia unita, tuttavia, invece di assumere il titolo di Vittorio Emanuele I, mantiene quello di Vittorio Emanuele II, ossia il nome che portava come re di Sardegna. In questo modo sembra voler ribadire che il nuovo regno è nato grazie agli ingrandimenti che, con il passare del tempo, casa Savoia è riuscita ad aggiungere ai suoi domini originari. Primo ministro sarà, ma solo per pochi mesi, il conte di Cavour.
I PROTAGONISTI SULLA SCENA DEL TEMPO
Deputati e senatori del Parlamento Nel gennaio del 1861 si sono svolte le elezioni per il primo Parlamento italiano. Hanno avuto il diritto di votare gli uomini di età superiore ai venticinque anni, capaci di leggere e scrivere e ricchi abbastanza da poter pagare quaranta lire di tasse all’anno: in tutto circa il due per cento della popolazione. In Parlamento si formano due schieramenti: a destra dell’aula siedono i continuatori della politica liberale di Cavour (che muove nel giugno 1861). Nella parte sinistra invece stanno coloro che hanno condiviso, almeno in parte, gli ideali democratici di Garibaldi e Mazzini e che ora, messe da parte le convinzioni repubblicane, hanno accettato la monarchia. I deputati della Destra sono la maggioranza e rimangono in vantaggio sui loro oppositori fino al 1876, perciò durante tutti questi anni sono loro a guidare il governo per incarico del re. Tra il 1876 e il 1896, invece, saranno al governo i rappresentati della Sinistra.
L’Italia nell’età della Destra
Uno Stato fragile Nel 1861, su una popolazione di circa 25 milioni di abitanti (se si conta anche il Veneto e il Lazio, conquistati nel 1866 e nel 1870) le persone in grado di parlare la lingua italiana erano circa 600000. Anche costoro (che in genere erano individui istruiti e benestanti), tuttavia, nella vita quotidiana si servivano principalmente del dialetto. Persino il re, che dell’Unità era il simbolo, aveva così scarsa confidenza con l’italiano da esprimersi abitualmente in piemontese, oppure in francese. Ciò dimostra che il nuovo Stato era molto fragile: se «sulla carta» l’unità territoriale era stata compiuta, in pratica rimaneva da fare ancora moltissimo. La mappa d'Italia con i confini del 1815 e le date dell'unificazione
L’Italia nell’età della Destra
Gli ordinamenti del Regno Ad affrontare i problemi più urgenti dell’Italia all’indomani dell’Unità fu la cosiddetta Destra, un raggruppamento politico di cui facevano parte gli eredi della politica liberale di Cavour. Nel 1861 gran parte dell’ordinamento dell’ex Regno di Sardegna fu esteso ai territori che a quella data facevano parte del Regno d’Italia. L’amministrazione del nuovo Stato venne organizzata seguendo il sistema centralistico già utilizzato nei domini dei Savoia. Le regioni furono considerate semplici suddivisioni territoriali dello Stato e in ogni provincia fu mandato un prefetto, che rappresentava il governo centrale. In ogni città o villaggio veniva eletto un consiglio comunale, ma il sindaco era nominato direttamente dal re.
glossario
prefetto funzionario dello Stato, rappresentante del governo nella provincia, che svolge funzioni di controllo e coordinamento all’interno della provincia cui è assegnato.
L’Italia nell’età della Destra
Un mercato unico Uno dei primi obiettivi del governo fu la creazione di un unico mercato in Italia. Le monete usate negli antichi Stati furono eliminate e sostituite con la lira italiana; le barriere doganali che avevano separato i diversi regni della Penisola scomparvero; in ogni regione furono adottate le stesse unità di peso e di misura; fu avviata la costruzione di strade e ferrovie.
Vittorio Emanuele II: 1 lira del 1863
L’Italia nell’età della Destra
Vie di comunicazione Si trattava di un progetto molto importante, un punto di partenza necessario per rendere possibile gli spostamenti lungo tutta la Penisola e per sviluppare gli scambi commerciali, ma anche un modo di dimostrare che l’Unità portava modernità e progresso. Nel 1861, infatti, in Italia esistevano appena 2100 km di strade ferrate, concentrate per lo più nel Centro-Nord, e anche le strade esistenti, soprattutto nel Mezzogiorno, non erano in buono stato. Nel 1880 i binari sarebbero arrivati a toccare gli 8000 km!
L’Italia nell’età della Destra
Una severa politica fiscale Costruire strade e ferrovia, allestire un esercito nazionale e organizzare l’amministrazione del nuovo regno richiedeva stanziamenti di denaro molto elevati. Il giovane Stato italiano, inoltre, era gravato dai costi della Seconda guerra d’Indipendenza e dopo pochi anni, nel 1866, fu costretto a finanziare anche la Terza. Per far fronte a queste spese il governo adottò una politica fiscale molto severa. Imposte pesanti colpirono le campagne e l’agricoltura, che era l’attività economica di gran lunga più diffusa (a quell’epoca gli italiani erano per la maggior parte contadini). Nel 1868 fu introdotta la tassa sul macinato. L’imposta colpiva la macinazione dei cereali (cioè la loro trasformazione in farina). In pratica, era una tassa sul pane, un alimento consumato da tutti, ma che per i ceti più poveri rappresentava la porzione maggiore dell’alimentazione. Il ministro delle finanze che l’aveva istituita, Quintino Sella (vedi figura), fu duramente criticato, ma rimase inflessibile e gli italiani continuarono a pagarla ancora per molti anni.
L’Italia nell’età della Destra
L’Unità: danni e vantaggi Per la grande maggioranza della popolazione, che poco aveva saputo degli ideali del Risorgimento e che, essendo esclusa dal diritto di voto, vedeva il nuovo Stato come qualcosa di lontano e irraggiungibile, la conquista dell’Unità aveva portato pochi vantaggi concreti. A tutti i cittadini venivano riconosciute le principali libertà (di pensiero, di stampa, di associazione), ma questi benefici erano apprezzati soprattutto nei centri urbani, mentre nelle campagne, dove viveva gran parte della popolazione, ci si trovava a fare i conti soprattutto con le tasse e con il servizio militare obbligatorio, che durava cinque anni. Non mancavano, quindi, i motivi del malcontento. Immagine tratta dal settimanale umoristico «Il diavolo», del marzo 1876. l’Italia è rappresentata come una giovane donna, spogliata di tutto – per colpa delle tasse – e sul punto di precipitare in un burrone per il peso della macina, cioè la nuova pesante tassa sul macinato.
L’Italia nell’età della Destra
Il brigantaggio Dalla fine del 1860, nel Mezzogiorno, lo scontento della popolazione esplose in maniera drammatica dando vita al fenomeno del brigantaggio. Tra il 1861 e il 1865 si formarono bande di briganti agguerriti e armati che contesero alle autorità del Regno d’Italia il controllo di intere province. Ne facevano parte briganti, ma anche ufficiali dell’ex esercito borbonico ed esponenti degli strati più umili della popolazione contadina. Le bande consideravano lo Stato italiano come un conquistatore straniero e si proponevano di favorire il ritorno dei Borbone, i quali da Roma (dove si erano rifugiati) le sostenevano con armi e denaro. Fotografia del secolo XIX che raffigura una banda di briganti
L’Italia nell’età della Destra
Il brigantaggio Oltre alle ragioni politiche, nella loro ribellione vi erano anche motivazioni sociali. I contadini, che da secoli vivevano nella miseria poiché la maggior parte delle terre era nelle mani di grandi latifondisti, durante la spedizione di Garibaldi avevano creduto di poter ottenuto una vita migliore. Le loro speranze, tuttavia, erano andate deluse e con l’Unità la loro «fame» di terra era rimasta intatta. I briganti vivevano alla macchia (cioè di nascosto, clandestinamente), sulle montagne, in grotte, baracche o ripari di fortuna. A cavallo, o anche a piedi, effettuavano incursioni nelle città e nei villaggi, dove si davano al saccheggio. I governanti reagirono con durezza. Nel Mezzogiorno fu inviato l’esercito (circa 120000 soldati) e proclamarono lo stato d’assedio: il sud fu considerato una regione in stato di guerra, perciò il potere venne affidato alle autorità militari. Intorno al 1865, tutte le principali bande vennero sciolte con la forza. Si trattò di una vera e propria guerra che costò migliaia di vite (è stato calcolato che i morti furono più di quelli causati in totale dalle tre guerre d’indipendenza!).
glossario
latifondista che possiede uno o più latifondi, cioè appezzamenti terrieri di grandi dimensioni, in cui viene praticata una coltivazione estesa.
L’Italia nell’età della Destra
I problemi del Mezzogiorno Anche dopo la sconfitta del brigantaggio, nel Mezzogiorno continuò a serpeggiare il malcontento. Dopo la proclamazione dell’Unità, per decenni, furono uomini politici piemontesi, o comunque settentrionali, a ricoprire le cariche più alte sia nel governo, sia nell’amministrazione, sia nell’esercito. Il Sud, che già prima della nascita del Regno d’Italia era più arretrato rispetto al resto della Penisola, fu duramente colpito dalla pressione fiscale. Inoltre, gli investimenti pubblici per la costruzione delle infrastrutture (strade, ponti, ferrovie ecc.) necessarie per favorire lo sviluppo dell’industrie del commercio, furono concentrati in prevalenza al Nord. Così il divario economico tra le due aree anziché colmarsi andò aumentando.
L’Italia nell’età della Destra
La questione romana Un altro spinoso problema che il governo della Destra dovette affrontare fu la cosiddetta questione romana. Il Regno d’Italia era nato sottraendo allo Stato pontificio buona parte dei suoi antichi territori. Inoltre, fin dalla proclamazione dell’Unità, era evidente che il giovane Stato mirava anche alla conquista del Lazio e soprattutto di Roma, per farne la propria capitale. Qualche mese prima di morire, Cavour aveva cercato di raggiungere un’intesa con il pontefice. Il suo progetto era riassunto nella formula: «libera Chiesa in libero Stato». In pratica il papa avrebbe dovuto rinunziare al potere temporale per occuparsi esclusivamente della cura delle anime dei fedeli. In cambio la Chiesa avrebbe ottenuto di svolgere i propri compiti spirituali in completa libertà all’interno dello Stato italiano. Il pontefice (Pio IX mostrato in figura), tuttavia, aveva respinto la proposta, dato che non era disposto a riconoscere alcune legittimità al Regno d’Italia.
L’Italia nell’età della Destra
25 aprile 1870. Pio IX benedice le truppe Vaticane
L’Italia nell’età della Destra
L’atteggiamento di Pio IX Nel corso degli anni successivi, Pio IX assunse un atteggiamento sempre più rigido nei confronti di tutte le principali idee politiche che si erano sviluppate nell’Ottocento. Nel 1864, insieme all’enciclica Quanta cura, rese pubblico il Sillabo, cioè un elenco di tutte le dottrine che la Chiesa condannava, tra le quali figuravano il liberalismo, la democrazia e il socialismo.
glossario
enciclica
Stemma papale di Pio IX
lettera apostolica, scritta in latino dal papa, indirizzata ai vescovi e ai prelati di tutta la Chiesa, su argomenti riguardanti la dottrina cattolica o su temi particolari riguardanti tutti i popoli.
L’Italia nell’età della Destra
La «legge delle guarentigie»
Nel 1871, il governo emanò la «legge delle guarentigie» (cioè delle garanzie). Lo Stato italiano si impegnava a garantire al pontefice il diritto di esercitare liberamente il proprio magistero spirituale su tutto il territorio nazionale, la sovranità su alcuni palazzi romani (il Vaticano, il Laterano, Castel Gandolfo), e a riservargli tutti gli onori previsti per i capi di Stato. Inoltre al papa veniva assegnata una cospicua dotazione di denaro annua.
L’Italia nell’età della Destra
Non expedit Pio IX respinse sdegnosamente la legge, scomunicò Vittorio Emanuele e la sua dinastia, proclamò di essere prigioniero all’interno dei propri palazzi e invitò gli italiani a non partecipare alla vita politica del Regno. Nel 1874 quest’ultimo principio venne fissato ufficialmente con una bolla, detta Non expedit, che dichiarava «non lecito», per quanti volessero rimanere fedeli alla Chiesa cattolica, prendere parte come elettori o candidati alle elezioni per il Parlamento italiano. L’ostilità del Vaticano mise in grave difficoltà lo Stato italiano. La grande maggioranza della popolazione, infatti, era cattolica e quindi sensibile alle direttive impartite dal papa. Nei primi decenni dell’Unità, probabilmente proprio per questo motivo, solo la metà di coloro che godevano del diritto di voto (perciò circa l’1% degli italiani) si recò alle urne. Altri cominciarono ad assumere un atteggiamento sempre più manifestatamente anticlericale (cioè di avversione nei confronti del clero e della religione).
L’Italia nell’età della Destra
La caduta della Destra Malgrado tutte queste difficoltà, la Destra aveva conseguito alcuni obiettivi importanti. Al Regno d’Italia erano stati aggiunti il Veneto (1866) e il Lazio (1870) e la fragile unità del Paese, almeno in parte, era stata rafforzata. Inoltre, nel 1876, il primo ministro Marco Minghetti annunciò che era stato raggiunto il pareggio del bilancio (cioè fra le entrate e le uscite): le spese sostenute erano state compensate da quanto si era potuto incassare con le tasse. Proprio alle elezioni di quell’anno, tuttavia, la Destra fu battuta: il re diede ad Agostino Depretis (vedi figura), che era alla guida della Sinistra, l’incarico di formare il governo.
L’Italia nell’età della Sinistra
Il programma della Sinistra La Sinistra era un raggruppamento che comprendeva i democratici, gli ex mazziniani e gli ex garibaldini. Nei primi anni dopo la proclamazione del Regno, la Sinistra si era battuta soprattutto per il completamento dell’Unità e per l’introduzione del suffragio universale. Verso la metà degli anni Settanta, Depretis lasciò cadere questa richiesta per proporre, invece, un limitato allargamento del diritto di voto, una riduzione delle tasse e una riforma della scuola. Fu proprio con questo programma che ottenne la vittoria elettorale.
Le riforme della Sinistra Nel 1877 fu emanata la legge Coppino (dal nome del ministro Michele Coppino, che la presentò) sull’istruzione elementare. Nel 1880 venne abolita la tassa sul macinato, ma la pressione fiscale, soprattutto sulle campagne, rimase elevata. Nel 1882, invece, fu varata la riforma del sistema elettorale: gli italiani chiamati alle urne aumentarono dal 2% al 7% della popolazione. Il corpo elettorale si allargò così a impiegati, artigiani e operai delle città, ma continuarono a essere esclusi dalla vita politica i contadini (che erano particolarmente numerosi al Sud e costituivano la maggior parte della popolazione della Penisola).
L’Italia nell’età della Sinistra
Vignetta di Casimiro Teja, della fine del secolo XIX, che rappresenta Depretis, il «grande trasformista». Lo statista italiano è raffigurato con il corpo del camaleonte, animale noto per le sue straordinarie capacità di mimetizzarsi nell’ambiente, assumendo di volta in volta i colori dell’ambiente che lo circonda. La «virtù» politica di Depretis fu proprio quella di adattarsi con disinvoltura alle più diverse situazioni della vita parlamentare.
L’Italia nell’età della Sinistra
La fine di un’epoca Con il passare degli anni fu evidente che la Sinistra al governo non intendeva stravolgere la politica fino ad allora seguita dalla Destra. I due schieramenti erano gli eredi dei liberali-moderati (la Destra) e dei democratici-repubblicani (la Sinistra) che, inseguendo progetti molto diversi, avevano lottato per l’indipendenza e l’Unità. Una volta conquistati questi obiettivi, tuttavia, le passioni che avevano animato il Risorgimento si erano spente e le differenze erano andate attenuandosi.
Il trasformismo Depretis (che, salvo due brevi interruzioni, rimase al potere tra il 1876 e il 1887), nel corso degli anni Ottanta, cercò di governare anche con l’appoggio di una parte degli esponenti della Destra. «Se
qualcuno vuole entrare nelle nostre file, se qualcuno vuole diventare progressista, come posso io respingerlo?» spiegò. In altre parole, chi era disposto a votare a favore dei provvedimenti proposti dal governo, anche se apparteneva alla Destra, veniva accolto nella maggioranza. Questa pratica politica, una sorta di accordo tra Destra e Sinistra, che fu definita trasformismo venne aspramente criticata, perché spingeva i deputati a mettere da parte gli ideali e a farsi guidare nelle scelte dai propri interessi personali piuttosto che da un chiaro progetto politico.
L’Italia nell’età della Sinistra
Il protezionismo Fi dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento i governi guidati da Depretis inaugurarono una politica protezionistica. Specialmente nel Nord, e in particolare tra Milano, Torino e Genova, erano nati i primi grandi stabilimenti industriali del Paese. La loro produzione, tuttavia, non poteva reggere il confronto con quella dei Paesi europei più industrializzati. Per permettere che le fabbriche italiane si rafforzassero era necessario introdurre dazi doganali elevati, che rendessero poco conveniente acquistare i prodotti importati dall’estero. Questi provvedimenti, tuttavia, danneggiare l’agricoltura del Mezzogiorno, in particolare i produttori di vino e olio. Essi infatti, fino ad allora, avevano fatto affari soprattutto grazie alle esportazioni ma, davanti alla svolta protezionista, i Paesi che commerciavano con l’Italia corsero ai ripari, imponendo tariffe pesanti sui prodotti provenienti dalla Penisola.
glossario
politica protezionistica politica economica che consiste nell’aiutare e privilegiare la produzione agricola e industriale nazionale rispetto a quella estera, per mezzo di dazi o altri strumenti di protezione.
L’Italia nell’età della Sinistra
La Triplice Alleanza Durante l’età del trasformismo, l’Italia cercò di ritagliarsi un posto tra le grandi potenze europee. Nel 1882 il governo Depretis stipulò con la Germania e l’Austria-Ungheria la Triplice Alleanza. Il Trattato impegnava i tre Paesi a prestarsi aiuto reciproco nel caso in cui uno di essi fosse stato attaccato da un altro Stato.
Vignetta umoristica del 1887 che rappresenta Crispi, Bismarck e Kalnoky. Il concertino che stanno eseguendo i ministri di Italia, Germania e Austria è l’accordo difensivo della Triplice Alleanza. Il concerto, nella vignetta, appare diretto da Bismark, mentre Crispi e Kalnoky prestano grande attenzione alla loro musica, come dimostra il loro enorme orecchio. Dietro la tenda spuntano le scarpe degli altri protagonisti della scienza politica europea (francesi, inglesi, turchi e russi) che sono costretti a fare da spettatori al concerto dei tre.
L’Italia nell’età della Sinistra
L’irredentismo La Triplice Alleanza in patria fu duramente contestata dai cosiddetti irredentisti. Questi erano per lo più repubblicani mazziniani che non accettavano il legame stretto con i due imperi autoritari e conservatori e che, soprattutto, rifiutavano l’accordo con l’Austria, l’acerrima nemica dell’Italia durante il Risorgimento. Ai loro occhi, infatti, allearsi con essa equivaleva a rinunciare alla conquista delle terre «irredente» (cioè non liberate) ancora sotto il suo controllo, il Trentino e la Venezia Giulia.
Contro il governo Nel frattempo, in Italia contro la politica del governo (e, anzi, contro lo Stato italiano così come si era formato) si era sviluppata una forte opposizione che comprendeva da un lato i cattolici che ancora rifiutavano lo stato laico, e dall’altro i repubblicani. Inoltre, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, avevano cominciato a prendere piede nella Penisola le idee dell’Internazionale socialista.
L’Italia nell’età della Sinistra
Il Partito socialista Mentre al Nord si sviluppavano le prime grandi fabbriche, le associazioni operaie crebbero di numero e si rafforzarono. Nel 1892 i rappresentanti di molte di esse si riunirono a Genova e, sotto la guida dell’avvocato milanese Filippo Turati (in figura) diedero vita al Partito dei lavoratori italiani, che nel 1895 prese il nome di Partito socialista.
glossario
partito Destra e Sinistra non erano veri e propri partiti, ma piuttosto alleanze strette dai deputati eletti nelle varie regioni italiane, una volta giunti in Parlamento. I partiti moderni sono organizzazioni che si propongono precisi obiettivi politici, hanno regole internet, dirigenti, iscritti e sezioni tra loro collegate su tutto il territorio della nazione in cui operano. In Italia il primo partito di questo tipo fu il Partito socialista.
L’Italia nell’età della Sinistra
I cattolici e la Rerum Novarum Non furono però soltanto anarchici e socialisti a dare voce alle esigenze dei lavoratori e dei ceti popolari. Dalla fine degli anni Settanta, anche il clero e i cattolici si erano impegnati attivamente in campo sociale, promuovendo opere di assistenza e di beneficenza a favore dei più bisognosi. Queste iniziative si svilupparono in misura ancora maggiore allorché, nel 1891, papa Leone XIII (in figura) emanò l’enciclica Rerum Novarum, nella quale il pontefice si soffermava sui problemi degli operai e condannava l’anarchismo e il socialismo. Egli affermò inoltre che i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori dovevano basarsi sulla concordia e sulla solidarietà e che questi ultimi dovevano avere la possibilità di riunirsi in associazioni ispirate agli insegnamenti del cristianesimo.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
Autoritarismo e democrazia Alla morte di Depretis, avvenuta nel 1887, era salito alla guida del governo Francesco Crispi (in figura), ex mazziniano ed ex garibaldino. Egli ricoprÏ la carica di presidente del Consiglio per due volte: la prima tra il 1887 e il 1891, la seconda tra il 1893 e il 1896. Sensibile alla questione sociale, Crispi era convinto che i cambiamenti che stavano emergendo nel Paese dovessero essere affrontai dal governo con estrema energia. Lo Stato italiano, insomma, doveva intervenire con leggi appropriate per cercare di risolvere i problemi sociali, ma doveva combattere con una politica autoritaria le proteste e le organizzazioni politiche che minacciavano l’ordine costituito.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
Le riforme dell’età di Crispi
Nel 1890 entrò in vigore un nuovo codice penale, elaborato dal ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli, che abolì la pena di morte (in contrasto con quanto accadeva negli altri Paesi europei) e riconoscendo il diritto di sciopero. Contemporaneamente, tuttavia, fu emanata una legge che limitava fortemente il diritto di associazione e concedeva poteri più ampi alla polizia.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
I Fasci siciliani Nel 1894 in Sicilia si verificarono alcune sommosse, animate da contadini e minatori che protestavano per la crescita del prezzo del grano e di altri generi alimentari e per le due condizioni di vita e di lavoro. Essi erano riuniti in associazioni di ispirazione socialista, dette Fasci siciliani. Crispi non esitò a proclamare lo stato d’assedio e fece reprimere il movimento dall’esercito. La repressione fu estesa a tutto il Paese e il Partito socialista fu dichiarato illegale. Dopo la repressione, Una delle rare foto che documentano il movimento dei Fasci tuttavia, Crispi cercò di affrontare le cause che avevano fatto esplodere il malcontento. siciliani. Nei Fasci si raccolgono soprattutto braccianti agricoli e Propose di distribuire tra i contadini una parte minatori delle solfatare: cioè quei lavoratori impiegati in lavori delle terre dei latifondi, ma i suoi tentativi non molto duri, spesso precari, sempre mal pagati. Lavoratori molto danneggiati dai rincari dei generi di prima necessità andarono a buon fine.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
La politica estera di Crispi Nel campo della politica estera, Crispi proseguì con decisione sulla strada già intrapresa dai governi Depretis. Da un lato rafforzò i rapporti con le potenze della Triplice Alleanza, in modo particolare con la Germania. Dall’altro sostenne con convinzione l’idea che l’Italia dovesse conquistare un proprio spazio coloniale in Africa, per mettersi alla pari con gli altri Paesi europei che, ormai da anni, erano impegnati a spartirsi i territori di quell’immenso continente. L’espansione sulla costa orientale dell’Africa, iniziata al principio degli anni Ottanta, sarebbe servita, secondo il primo ministro, a procurare terre da coltivare agli strati più poveri della popolazione della Penisola. Tuttavia, l’avventura coloniale italiana nel 1896 naufragò contro la resistenza del Regno d’Etiopia e, a causa di questo fallimento, Crispi fu costretto a rassegnare le dimissioni.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
L’espansione coloniale italiana in Africa orientale
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
La crisi di fine secolo Dopo la caduta di Crispi, l’Italia attraversò un periodo di crisi che durò per qualche anno. Di fronte alla crescita dei movimenti politici che si opponevano all’ordinamento liberale dello Stato, e in particolare del Partito socialista, il governo adottò una politica sempre più autoritaria e repressiva. Nel 1898 in varie città italiane si verificarono gravi tumulti contro il carovita. Gli episodi più tragici si registrarono a Milano, il 6 e il 7 maggio. Il governo proclamò lo stato d’assedio nella città. Il generale Fiorenzo Bava-Beccaris (in figura) che guidava le truppe dell’esercito, fece sparare con i cannoni sulla folla scesa in piazza, provocando una strage tra i manifestanti (80 morti secondo le fonti ufficiali; 300 secondo le opposizioni). Alle cannonate seguì una dura repressione: un’ondata di arresti si abbatté su socialisti, anarchici, repubblicani e cattolici.
Dall’età di Crispi alla crisi di fine secolo
L’attentato di Monza Il 29 luglio 1900 il re Umberto I – succeduto a Vittorio Emanuele II nel 1878 – che aveva approvato l’operato di Bava-Beccaris decorandolo con una medaglia, fu ucciso a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, che con quel gesto volle vendicare le vittime di Milano. Salì al trono il figlio di Umberto, Vittorio Emanuele III, sotto il cui regno sarebbe iniziata la cosiddetta età giolittiana.
L’attentato di Gaetano Bresci in una stampa dell’epoca
Catalano Biagio Dargenio Ruggiero Di Trani Nicola Paciolla Andrea