Il Bollettino Salesiano – Marzo 2020

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LE COSE DI DON BOSCO B.F.

La berretta pompiere S

e pensate che un’umile berretta da prete non possa avere una vita avventurosa non guardate me. Adesso sono uno straccetto da museo, ma quando ero sulla testa del mio don Bosco ne ho viste di tutti i colori, ma la mia avventura più singolare mi prese di sorpresa sul mezzodì del 26 aprile 1852. Io e don Bosco eravamo in una sala del convento di san Domenico, in centro città, dove don Bosco aveva ottenuto di esporre i tremila e più oggetti raccolti per la lotteria, che aveva organizzato per costruire una bella chiesa per l’Oratorio. Ma al primo rintocco del mezzogiorno, un rombo tremendo, udito a quindici miglia all’intorno, scuoteva la città, sgangherando usci e porte, e infrangendo tutti i vetri delle finestre. Era saltata in aria la polveriera. Una terribile sventura, che poco mancò non riducesse Torino un cumulo di rovine. Ma in quell’istante, rimbombò un secondo scoppio e un grosso sacco di avena, cadendogli vicino da un carro, per poco non lo schiacciò. Don Bosco capì subito quel che era successo e, pensando che la polveriera era distante dall’Oratorio poco più di 500 metri, si diresse in tutta fretta a casa, nel timore che vi fosse accaduto qualche danno, ma fortunatamente, la trovò vuota; tutti, sani e salvi, erano fuggiti nei campi vicini.

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Allora, senza por tempo in mezzo, e senza badare al pericolo, portato dalla sua istintiva generosità corse sul luogo del disastro. Per via s’imbatté in mamma Margherita che tentò di trattenerlo, ma invano. Tomatis corse ad eseguire il comando ricevuto, ma non riuscì mai a capire come il Santo, senza preavviso, avesse conosciuto le disposizioni prese dalla Marchesa in quel frangente. Arrivato sul luogo, don Bosco a stento poté farsi strada tra le macerie, ma ebbe la consolazione di arrivare in tempo ad impartire l’assoluzione ad un povero operaio, che moriva dilaniato. Gli impedirono di fare di più e così scesi in campo io. Infatti, nel punto ove maggiore era il pericolo, si aveva urgente bisogno di portar acqua per impedire che il fuoco si appiccasse alle coperte stese sopra numerosi barili di polvere. Non avendo alla mano alcun recipiente, un eroico soldato, Paolo Sacchi, mi prese e mi usò come secchio finché non giunsero i pompieri. I danni prodotti dallo scoppio furono immensi e molti dei fabbri-

cati che sorgevano all’intorno ne soffersero tanto che dovettero essere demoliti. Ma in così grave frangente, fu visibile la protezione del Cielo sulla vicinissima Casa della Divina Provvidenza, sugli Istituti della Marchesa di Barolo e sull’Oratorio di Valdocco. E sulla gente di Borgo Dora che si era radunata impaurita sul prato davanti alla nuova chiesa di San Francesco di Sales. Proprio dove adesso sorge la Basilica di Maria Ausiliatrice. A Paolo Sacchi fu dedicata una delle più frequentate vie di Torino. A me niente. Così va il mondo.

LA STORIA «Ultimamente ancora, scriveva don Giovanni Bonetti nel 1881, il prode Paolo Sacchi mi parlava di questo episodio, con sua e mia grande soddisfazione».


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