Interventi di rigenerazioneurbana: criteri per il recuperosostenibile dei centri storici

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Carlo Patrizio Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, CRITEVAT sede di Rieti Istituto Nazionale di Bioarchitettura

Interventi di rigenerazione urbana: criteri per il recupero sostenibile dei centri storici

Nelle discipline del progetto, sia alla scala urbana che a quella edilizia, il tema dell’intervento sul patrimonio esistente, per coloro che a diversi livelli e con differenti competenze vi si sono cimentati, ha rappresentato da sempre una sfida – spesso impervia – tra le istanze della conservazione e le spinte all’innovazione; tra i cultori dell’intangibilità dell’originario valore storico-documentale di un edificio e coloro che, invece, si mostrano disponibili a sacrificare tali valori con sospetta e colpevole superficialità; e ciò in nome di una modernità – talvolta almeno chiassosa – che spesso è apparsa funzionale solo alla rendita immobiliare. D’altronde, è sotto gli occhi di tutti che i centri storici delle nostre città, soprattutto quelli minori, sovente si trovino in condizioni di forte degrado ambientale, cui spesso si intrecciano anche fenomeni L’articolo propone un nuovo strumento altrettanto significativi di disagio sociale. interpretativo per i centri storici: Quando invece, più recentemente, la politica e il mondo professionale dalla dimensione storico-architettonico-edilizia, e della ricerca scientifica hanno compreso che le azioni di trasformazioal loro valore paesaggistico-territoriale, ni e di modificazione del territorio dovessero avere nella sostenibilità il loro registro fondamentale, la loro qualità irrinunciabile, quella dialettialla "rigenerazione urbana". ca (innovazione/conservazione), invero un po’ accademica, è stata superata da una nuova prassi del “fare città” ; e il dibattito che essa aveva alimentato ha ceduto il passo a un confronto, sicuramente più utile del precedente e, nondimeno, più stimolante sul piano disciplinare, su quali possano essere i criteri paradigmatici per una re-integrazione dell’edificio storico, finalmente inteso come un componente del più ampio sistema territoriale, nel cui contesto è fisicamente collocato, storicamente datato, antropologicamente stratificato e infine, socio-econoFigura 1. Il centro storico micamente integrato. di Mesagne, lambito dalla Via Appia, Con questa chiave di lettura, appare evidente il cambio di prospettiva: non mette più conto stabilire se si con gli assi principali debba “conservare” o “innovare” questo o quell’edificio (monumentale o meno), quanto piuttosto se si della sua struttura urbana. In giallo, l’edificio debba riconoscere valore alla sua potenzialità di essere re-integrato in un “corpus” urbano che ne trascene la piazza oggetto de le dimensioni fisiche e i suoi stessi valori storici, per interpretare invece la sua qualità più significativa: dell’intervento cioè quella di essere un elemento di un sistema, la rappresentazione di una stratificazione del tessuto il di riqualificazione. quale è allo stesso tempo edilizio, urbano, storico, culturale, ambientale, territoriale. Anzi, si potrebbe ben Figura 2. L’edificio dire che non è più neanche il singolo testo architettonico a dover essere al centro dell’attenzione dei e la Piazza Commestibili prima dell’intervento decisori politico istituzionali e dei progettisti, ma un intero sistema, complesso e integrato, composto non di recupero solo da edifici differenti, pur tra loro interrelati, ma comprensivo anche di altre componenti, prime fra e di rigenerazione urbana. In giallo, si riconoscono tutte quelle ambientali e antropiche. alcune pesanti alterazioni Sotto questa luce, la dialettica tra conservazione e innovazione lascia spazio al problema dell’integraziodella pavimentazione lapidea originale. ne. Le modalità con cui sapremo integrare i monumenti e le città storiche, la qualità delle relazioni che sapremo rigenerare tra di essi e anche tra essi e le urbanizzazioni più recenti: queste saranno i nuovi struFigura 3. La pianta menti paradigmatici con cui misurare tutti gli interventi sul patrimonio storico; queste saranno i nuovi del piano terra dopo l’intervento di recupero strumenti concettuali attraverso cui rileggere i singoli organismi architettonici come parte di un sistema previsto nel progetto territoriale, al quale appartengono anche i centri storici, in grado di garantire da una parte l’identità di di variante. lunga durata agli abitanti di un luogo, dall’altra una nuova tappa al percorso co-evolutivo che si stratifica Figura 4. La pianta sul patrimonio territoriale e sul suo valore relazionale1. In un certo senso si potrebbe ben dire che è prodel piano copertura prevede la realizzazione prio la dimensione territoriale dell’intervento nei Centri Storici e il suo valore strategico che consentono di un giardino pensile, di superare la vexata questio sottesa alla dialettica innovazione/conservazione. Sottrarre un Centro che sarà realizzato nel secondo lotto di lavori. Storico al rischio dell’abbandono, al pregiudizio del degrado sociale, al pericolo del decadimento fisico


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appare un’operazione rivolta più alla reintegrazione di un sistema territoriale, altrimenti smagliato nella sua continuità fisica, funzionale e simbolica, che un intervento teso esclusivamente a restituire valore storico a un edificio, fosse anche monumentale. Le diverse dimensioni del sistema territoriale obbligano tutti gli attori (decisori politico-istituzionali, progettisti, soggetti sociali ed economici, abitanti) a immaginare interventi “pluri-obiettivo” che siano in grado di rimettere in valore i beni patrimoniali di un territorio; dove per patrimonio territoriale si deve intendere la stratificazione sintetica di tutti gli atti dell’abitare che si producono nel contesto del paesaggio naturale, del paesaggio costruito e del paesaggio culturale. Si tratta, in ultima analisi, di un approccio epistemologicamente del tutto differente: interventi introversi, esclusivamente orientati alla dimensione del singolo oggetto architettonico e quindi inviluppati nella dialettica, tutta disciplinare, innovazione/conservazione, oppure programmi e azioni che, con atteggiamento olistico, sappiano integrare soluzioni progettuali interdisciplinari, in grado di affrontare il tema del recupero dei Centri Storici in

termini di strategie complesse e complessive, fino alla elaborazione di veri e propri piani di gestione? Com’è noto, l’olismo è quella concezione secondo cui il tutto è un’entità più ampia della somma delle singole parti di cui esso si compone. Ecco dunque la questione centrale del ragionamento che stiamo conducendo: ogni volta che si passa a un sistema di ordine superiore (dall’edificio al centro storico, dal centro storico alla città, dalla città al territorio) non possono rimanere validi ed efficaci gli stessi strumenti interpretativi e di intervento. Dal concetto di re-stauro o re-cupero si passa allora all’approccio proprio della rigenerazione, dove le stesse differenze lessicali non sono casuali. Non si tratta più di “ridare stabilità” o di “riprendere” in uso un bene patrimoniale che aveva perso le sue funzionalità essenziali, semmai bisogna assicurare con un processo nuovamente generativo, una reinterpretazione originale di tutto un contesto attraverso la trasformazione attiva di un paesaggio (urbano, nel caso dei Centri Storici) che – solo – ne può conservare i suoi caratteri identitari. In questo senso, i processi di rigenerazione

urbana appaiono delle strategie più dinamiche rispetto ai classici progetti di restauro o ristrutturazione. Questi ultimi avevano come terminale l’organismo architettonico o il comparto urbano, nel caso della ristrutturazione urbanistica, intesi nella loro fisicità; anche quando si finiva col decidere interventi di sostituzione, ciò avveniva considerando solo aspetti di carattere strettamente disciplinari, come ad esempio il programma funzionale, i costi, le quantità da insediare, nei casi migliori anche i valori storico-documentali o storico-monumentali. I nuovi programmi di Rigenerazione Urbana invece, muovendo dalla urgenza di ridurre il consumo di territorio necessario per le trasformazioni urbane, offrono uno strumento integrato e meta-disciplinare per pianificare lo sviluppo di quella data porzione di territorio, ma lo fanno avendo a riferimento della loro azione non solo e non tanto gli elementi che rappresentano la fisicità di un quartiere, ma anche e soprattutto un tessuto economico, sociale e culturale e, nel caso dei centri storici, anche un tessuto paesaggistico sul quale si intrecciano i caratteri identitari durevoli dell’abitare. Nei Programmi di Rigenerazione


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Urbana, il centro storico non è più solo una “riserva di storia”; esso è invece un pezzo di territorio da restituire ai processi produttivi e riproduttivi dei suoi abitanti. Proprio nell’integrazione di tali processi, impossibili da rappresentare attraverso modelli statici, risiede nello stesso tempo la dinamicità e l’originalità dell’approccio della rigenerazione urbana. Le stesse dinamicità e originalità che sono contenute in ciò che appare molto simile ad un vero e proprio atto ri-creativo, compiuto non già dal progettista/pianificatore, ma da un soggetto locale e plurale che, pure attraverso il contributo di saperi esperti, tuttavia non rinuncia a esercitare in prima persona la fondamentale facoltà dell’abitare, intesa come processo complesso e integrato di identificazione in un luogo, di costruzione di un immaginario e, infine, di autoriconoscimento in una visione di futuro. Lo strumento della rigenerazione urbana è sicuramente future-based nella misura in cui esso stabilisce, attraverso la partecipazione degli attori sociali, un modello per mezzo del quale prendersi nuova cura di quella parte del patrimonio territoriale oggetto di intervento,

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perché possa essere trasmesso alle generazioni future arricchito eppure integro. E risulta anche un tipico processo dal basso (bottom up), in quanto sinergicamente promosso da una pluralità di soggetti portatori di interessi, primo fra tutti l’Ente Locale, i quali, in un quadro generale organico e sistematico, si producono in un atto corale riguardante non solo la dimensione fisica dell’intervento di riqualificazione, ma anche quella socio-economica e culturale; in una parola, producono territorio o “atti di nuova territorializzazione”2. E ciò, in un contesto nazionale nel quale il sistema legislativo produce solo provvedimenti “spot o di natura derogatoria (…), dal cd. Piano casa al decreto sviluppo”3, sembra ancora più innovativo rispetto a una prassi diffusamente costituita solo da strumenti regolativi. Da quanto esposto fin qui, risultano evidenti almeno tre implicazioni concettuali irrinunciabili della rigenerazione urbana: lo strumento della partecipazione, il carattere della sostenibilità e il valore aggiunto della integrazione. A tale riguardo va anzitutto (e banalmente) ricor-

dato che di per sé i programmi di rigenerazione, al pari di ogni altro intervento di riqualificazione, consentono di evitare altro sicuro consumo di suolo; in questo senso essi assicurano la dimensione della sostenibilità ambientale. Inoltre, la sistematica messa in atto di processi di pianificazione e progettazione partecipata appare una strada indispensabile per il conseguimento di quel carattere di programma integrato che, solo, assicura la soluzione del disagio sociale e il risultato dell’inclusività. Infine, l’integrazione: le istanze della sostenibilità ambientale, quelle dell’inclusione sociale, le componenti culturali e simboliche di ogni intervento di rigenerazione che si voglia attuare in un Centro Storico devono trovare l’interesse convergente degli operatori economici, degli abitanti e degli Enti Locali. Ciò solo può garantire una gestione nel tempo dell’intervento che sia positiva e orientata al mantenimento degli obiettivi programmati e messi a fondamento della rigenerazione stessa. È questa, appena enunciata, la caratteristica fondamentale dell’approccio strategico, inteso come strumento metodologico per la pianificazione


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Figure dalla 5 alla 9. Prospetti e prospettive della nuova piazza. È visibile il ballatoio, in acciaio e legno, alla quota del giardino pensile.

Piazza Commestibili, Mesagne (BR) Progetto architettonico: Simonetta Dellomonaco e Luigi Pasimeni Progetto strutturale: Carlo Patrizio Progetto architettonico e strutturale di variante: Carlo Patrizio Direzione Lavori: Carlo Patrizio Impresa appaltatrice: IMER Service srl, Martina Franca (TA) Direttore tecnico: geom. Paolo Bottoni

Figura 10. La passerella di collegamento tra i due bracci dell’edificio è realizzata mediante un sistema reticolare tridimensionale. 10

di interventi che abbia tra i suoi caratteri più significativi la costruzione di una visione condivisa del futuro di un territorio e contemporaneamente – non secondaria – la capacità di rendere praticabili, fattibili e durevoli gli interventi pianificati. Viene a essere così assicurata anche la declinazione degli aspetti sociali ed economici della sostenibilità.

La rigenerazione di Piazza Commestibili a Mesagne (BR) Nel luglio 2008, la Regione Puglia, su impulso dell’Assessorato alla Qualità del Territorio e in linea con le politiche di radicale e avanzato rinnovamento nella gestione del territorio, messe in atto sino a quel momento a partire più o meno dal 2005, si è dotata di un testo normativo importante ed efficace, proprio per disciplinare gli interventi di rigenerazione urbana4. Detta legge è stata poi finanziata mediante interventi ricadenti in capo all’Asse VII del P.O. Fesr 2007-2013 della stessa Regione Puglia e ha trovato risposta ampia e consenso unanime presso gli Enti Locali interessati. Tra questi, il Comune di Mesagne che, nel corso della seconda metà del 2010, si vedeva riconoscere il finanziamento degli interventi di completamento della riqualificazione urbana di Piazza Commestibili che aveva già avviato con un primo lotto per mezzo di altre risorse. Si tratta di un luogo urbano posto nel cuore della città storica, il quale indubbiamente rappresenta un sito di altissimo valore identitario per tutti i mesagnesi. La piazza infatti ha ospitato a lungo, nei decenni passati, il mercato ortofrutticolo della città e, per quanto lo spazio che essa descrive sia stato in quegli anni impropriamente occupato da chioschi e baracche di natura provvisoria e di nessuna qualità, è stato comunque il crocevia del commercio alimentare al minuto per intere generazioni. Proprio il

recupero dell’unità spaziale della antica piazza, ottenuta anche attraverso la rimozione definitiva di quelle baracche, è stata una delle più importanti scelte effettuate nel progetto di recupero, per il quale è stata necessaria una Variante in corso d’opera in seguito al ritrovamento di reperti archeologici rinvenuti durante le operazioni di scavo per la realizzazione delle nuove fondazioni. È stata quindi confermata la scelta di utilizzare la superficie di copertura dei due bracci di cui si compone l’edificio per altrettanti giardini pensili che saranno realizzati nel secondo e ultimo lotto dei lavori, al fine di migliorare le prestazioni energetiche dei locali al piano terra e soprattutto per mitigare il cosiddetto effetto “isola di calore”. Al contrario, ha dovuto invece subire una vera e propria riprogettazione in sede di variante, il ballatoio di collegamento posto alla stessa quota dei giardini pensili, ora interamente realizzato in aggetto dall’edificio esistente anziché essere appoggiato a pilastri di nuova realizzazione, come inizialmente previsto. Si tratta di un innesto architettonico di rilevante importanza nel quadro generale del progetto di recupero, cui viene demandato il compito di rappresentare nello stesso tempo il legame con il passato e uno slancio innovativo che data inequivocabilmente l’intervento. Da una parte infatti, la passerella è realizzata in acciaio, un materiale cioè tipico dei mercati di fine ottocento/inizi novecento; dall’altra, è stata progettata con un design che allude linguisticamente agli interventi high-tech delle grandi città europee, senza tuttavia assumerne gli eccessi o rievocare la chiassosità di taluni di essi. Questo atteggiamento, rivolto alla ricerca di un equilibrio più pacato e rassicurante, ha costituito la cifra generale del progetto di variante, con cui si è scelto di non realizzare, nel centro storico di una piccola città contadina del nostro Sud operoso, un intervento che potesse

apparire invece rappresentativo di una opulenza globalizzata, a-topica e a-cronica. Al contrario, è stato realizzato un recupero che fosse il più rispettoso possibile di un luogo urbano di raro pregio, nel quale ogni altra addizione sarebbe risultata quantomeno ultronea, se non pregiudizievole di una tensione e di un equilibrio tra le diverse parti che non sono sembrati ammettere modificazioni pesanti. L’edificio, completati i lavori con il secondo lotto, ospiterà circa quindici locali commerciali di vicinato; essi faranno da cornice permanente a una fruizione collettiva della nuova piazza che tutti aspettano di poter riutilizzare al più presto e compiutamente e che tuttavia ha già iniziato a ospitare manifestazioni ed eventi all’aperto proponendosi all’attenzione degli abitanti come luogo di aggregazione e di qualità. Al recupero urbano di Piazza Commestibili, la nuova Amministrazione Comunale attribuisce un alto valore strategico per il suo potenziale di rigenerazione, non solo in riferimento a quella puntuale centralità urbana, ma per il rilancio di tutto il Centro Storico, inteso come motore di uno sviluppo locale da perseguire sia sul piano sociale che sul versante economico/produttivo. E anche nel tessuto sociale della città c’è molta attesa per il suo completamento, segno evidente che i processi partecipativi messi in atto, da una parte, stanno già mostrando il loro esito positivo e dall’altra, stanno producendo ulteriore aggregazione sociale organizzata, ad esempio con la fondazione di un’associazione dei commercianti delle vie vicine. Note 1 - Cfr. A. Magnaghi, Il Progetto locale, Bollati Boringhieri, 2010. 2 - Cfr. ibidem. 3 - Cfr. A. Barbanente,“Sulla riqualificazione urbana” in Urbanistica Informazioni n. 237, 2011 4 - Cfr. la LR 21 del 29/07/2008, pubblicata sul BUR n. 124 del 01 agosto 2008.


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