Le Proiezioni di Bruno Munari. Parte I
Bruno Munari’s Projection. Pt. I
In occasione della mostra «Munari Politecnico» al Museo del 900 di Milano, curata da Marco Sammicheli e Giovanni Rubino, si è tenuta il 3 giugno 2014 una giornata internazionale di studi su Bruno Munari sponsorizzata dal Massimo & Sonia Cirulli Archive di New York con la partecipazione di Pierpaolo Antonello (Univ. Cambridge, UK), Carlo Branzaglia (Accademia di Belle Arti, Bologna, IT), Anna Mazzanti (Politecnico di Milano, IT), Matilde Nardelli (UCL, UK), Maria Antonella Pelizzari (NY Hunter School, USA), Jeffrey Schnapp (MetaLAB, Harvard, USA), Margherita Zanoletti (Univ. Cattolica, Milano, IT). Le Proiezioni sono state oggetto di una breve conferenza in chiusura della giornata. Arshake ha il piacere di pubblicare l’intero intervento, qui diviso in due giornate.
On the occasion of the «Munari Politecnico» exhibit hosted at Milan’s Museum of the 20th century (Museo del 900) curated by Marco Sammicheli and Giovanni Rubino, an international study day dedicated to Bruno Munari was held on 3 June 2014. This special day was sponsored by the Massimo & Sonia Cirulli Archive (New York) with the participation of Pierpaolo Antonello (University of Cambridge, UK), Carlo Branzaglia (Accademia di Belle Arti, Bologna, IT), Anna Mazzanti (Politecnico di Milano, IT), Matilde Nardelli (UCL, UK), Maria Antonella Pelizzari (NY Hunter School, USA), Jeffrey Schnapp (MetaLAB, Harvard, USA), Margherita Zanoletti (Cattolica University, Milan, Italy). The Projections were the object of a brief conference closing the day and Arshake is pleased to published it, divided in two parts.
di Luca Zaffarano
by Luca Zaffarano
Figura 1
Bruno Munari. Dipingere con la luce.
Bruno Munari. Painting with light. If I have seen further, it is by standing upon the shoulders of giants Isaac Newton
L’artista Lazslo Moholy Nagy (1895 – 1946) pubblica nel 1925 il libro Pittura Fotografia Film[1], un saggio diventato presto celebre come l’ottavo volume della collana edita dalla scuola Bauhaus, fondata a Weimar per iniziativa dell’architetto Walter Gropius e di artisti come Wassily Kandinsky e Paul Klee. In un capitolo intitolato La pinacoteca domestica l’autore chiarisce il suo pensiero ipotizzando alcuni possibili percorsi dell’arte a venire: «È probabile che lo sviluppo futuro conferisca grande importanza alle proiezioni di composizioni cinetiche, ottenibili addirittura, con molta probabilità, dall’intersezione vicendevole di raggi e masse colorate liberamente fluttuanti nello spazio…». Ed ancora, cercando di delineare un futuro tecnologico ormai incombente: «Oltre a ciò sussiste la possibilità di raccogliere diapositive a colori proprio come si fa coi dischi». L’artista ungherese, inoltre, fa ampio riferimento alle possibilità offerte dagli sviluppi tecnologici più recenti
Artist Lazslo Moholy Nagy (1895 – 1946) published Painting Photography Film[1] in 1925, an essay that soon became famous for being the eighth volume of a series edited by the Bauhaus School founded in Weimer by architect Walter Gropius and such artists as Wassily Kandinsky and Paul Klee. In the chapter The domestic pinacotheca, the author clearly states his opinion by hypothesizing on several possible approaches to art in the future: «It is probable that the future development will attach the greatest importance to kinetic projected composition, probably even with the interpenetrating beams and masses of light flowing freely in the room…». He adds, in his attempt to delineate the approaching future technology: «Aside from this, there is also the possibility of collecting slides just as we collect records.» Moreover, the Hungarian artist made broad reference to the possibilities offered by the latest technological development in regards to the reproduction of paintings,
Laszlo Moholy Nagy, Pittura Fotografia Film, Einaudi, Torino, 1987
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Laszlo Moholy Nagy, Pittura, fotografia, film [Painting Photography Film], Einaudi, Turin, 1987
Figura 2
riguardanti la riproduzione di quadri, le fotografie, il cinema sperimentale. Il passo verso una pittura proiettata non si è ancora concretizzato, anche se durante gli anni ’20 autori come Thomas Wilfred (1889-1968), Kurt Schwerdtfeger (1897-1966) e Lazslo Moholy Nagy (1895-1946) realizzano astrazioni meccaniche grazie alla modulazione di diverse sorgenti luminose. Con buona probabilità lo scritto teorico dell’artista ungherese è stato determinante nella formazione del pensiero estetico di Bruno Munari (1907-1998), proprio perché in esso l’artista milanese ritrova enunciato un interesse condiviso verso un’arte totale, d’ambiente, smaterializzata, in cui la pittura non è più statica, ma assume forme completamente dinamiche. Proprio sul tema delle installazioni e degli ambienti di luce, in un’intervista rilasciata verso la fine della sua vita, Munari mette in relazione l’insoddisfazione per il modo statico in cui il futurismo aveva trattato il movimento con la necessità di sperimentare «una materia che prende corpo nello spazio e che rende visibile una cosa che prima non si conosceva, questo potrebbe essere anche un raggio di luce»[2]. I lavori dei pionieri delle avanguardie europee degli anni ’20 e ’30 rappresentano per Munari il punto di partenza per lo sviluppo di una pittura immateriale (Proiezioni dirette, 1950), dinamica e non statica (Proiezioni
photographs and experimental cinema. The step towards projected painting had not yet come to pass, even though in the 1920s, authors such as Thomas Wilfred (1889-1968), Kurt Schwerdtfeger (1897-1966) and Lazslo Moholy Nagy (1895-1946) had created mechanical abstractions thanks to the modulation of different sources of light. It is very probable that the theoretical essay by the Hungarian artist was a determining factor in the formation of the aesthetic thought of Bruno Munari (1907-1998) precisely because the Milan-born artist found in this essay the expression of a shared interest in a total dematerialized environmental art in which painting was no longer static, taking on shapes that were completely dynamic. Regarding the issue of installations and lighting environments, Munari gave an interview towards the end of his life in which he related the dissatisfaction with the static way in which Futurism had treated motion with the necessity to experience «a material that takes shape in space, making something that had been previously unknown visible; this could even be a beam of light»[2]. Works by the pioneers of the European Avant-Garde movement during the 1920s and 30s were a departure point for Munari in his development of immaterial painting (Direct Projections, 1950) that was dynamic instead of static (Variable
Intervista a Bruno Munari, a cura di Miroslava Hajek, in Bruno Munari Instalace, Catalogo della mostra al Castello di Klenova, 1999
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Interview with Bruno Munari by Miroslava Hajek, in Bruno Munari Instalace, Catalogue of the exhibit at Klenova Castle, 1999
Figura 3
a fuoco variabile, 1952), interattiva e senza ripetizione meccanica (Proiezioni polarizzate, 1952 e Polariscop, anni ’60). Analizzeremo queste ricerche mostrando come la loro successione temporale è legata allo sviluppo di un pensiero estetico e teorico che, proprio con gli ambienti di luce, raggiunge uno dei punti di maggiore innovazione della creatività munariana.
Focus Projections, 1952), interactive and without mechanical repetition (Polarised Projections, 1952 and Polariscope, 1960s). We will analyse these explorations by showing how their succession in time is linked to the development of an aesthetic and theoretical thought which, like the lighting environments, reaches one of the most innovative points of the artist’s creativity.
Proiezioni dirette. Il dinamismo di una pittura tascabile.
Direct Projections. The dynamism of portable painting.
A partire dal 1950 Munari realizza delle proiezioni di composizioni costruite con materiali «trasparenti, semitrasparenti e opachi, violentemente colorati o a colori delicatissimi, con materie plastiche tagliate, strappate, bruciate, graffiate, liquefatte, incise, polverizzate; con tessuti animali e vegetali, con fibre artificiali, con soluzioni chimiche»[3]. Questi materiali vengono inseriti all’interno di comuni telaietti per diapositive. La proiezione ottenuta dalle micro composizioni toglie fisicità alle opere e restituisce, attraverso la luce, con proiezioni su larga scala, una dimensione monumentale, spettacolare. Munari spiega che con un piccolo vetrino si può affrescare una cupola o anche che in una tasca si può portare tutta una grande mostra. L’autore
Beginning in 1950, Munari created projections of compositions built with «transparent, semi-transparent and opaque materials, violently or delicately coloured with plastic materials that are cut, ripped, burned, scratched, liquefied, engraved, pulverized; with animal and plant fabrics, artificial fibres, with chemical solutions»»[3]. These materials were placed within normal slide frames. The projection obtained from microcompositions removes the physicality of the works while light and largescale projections restore a spectacular monumental dimension. Munari explained that a cupola can be frescoed with a small slide or that a large exhibit can be carried in one’s pocket. The author imagined a setting for this new type of art work
Bruno Munari, Le proiezioni dirette di Bruno Munari, in «Domus», n. 291, Milano, febbraio 1954
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Bruno Munari, Le proiezioni dirette di Bruno Munari [Direct projections by Bruno Munari], in «Domus», number 291, Milan, February 1954
Figura 4
immagina l’ambientazione di questo nuovo tipo di opere d’arte nel contesto della progettazione di una casa moderna: «Si suppone che la casa del futuro avrà un minimo spazio abitabile in rapporto al massimo comfort con la minima fatica di mantenerlo. In questo ambiente già funzionano le musiche incise su nastro, ma per le arti visive non si era ancora fatto nulla (salvo le riproduzioni fotografiche di opere del passato)»[4]. Si tratta di opere in miniatura, micro composizioni che vengono visualizzate attraverso un proiettore. Se il proiettore ha una lampada sufficientemente potente è possibile allestire ambienti luminosi di grandi dimensioni. «Non sono fotografie a colori, sono proiezioni dirette di materie» precisa l’autore nel pieghevole che annuncia la prima presentazione a Milano nel 1953. Queste composizioni pittoriche vengono proiettate per la prima volta nell’ottobre del 1953 a Milano nello Studio B24 degli architetti Brunori, Radice e Ravignani. Munari, nell’articolo riguardante le Proiezioni dirette scritto nel 1954 per la rivista «Domus», osserva orgogliosamente che l’ingombro di una raccolta di 100 quadri è di soli cm 5 x 5 x 30, pertanto qualunque collezionista può portarsi comodamente la sua pinacoteca in viaggio, proiettare le pitture sulle pareti della camera d’albergo, in dimensioni variabili dai
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Bruno Munari, Codice Ovvio, Einaudi, Torino, 1971
in the context of designing a modern home: «We can suppose that the house of the future will have minimum living space in relation to maximum comfort with minimal upkeep effort. Tape recorded music already works in this environment, but nothing has yet been done for the visual arts (except for photographic reproductions of works from the past)»[4]. These are all miniature works, micro-compositions visualized through a projector. Large luminous environments can be outfitted if the projector’s bulb is bright enough. «They are not coloured photographs, they are direct projections of material», the author clarified in the pamphlet that announced their first presentation in Milan in 1953. These pictorial compositions were projected for the first time in October 1953 at the Milan-based Studio B24 of architects Brunori, Radice and Ravignani. In the article written in 1954 about Direct Projections for «Domus» magazine, Munari proudly observed that the obstacle of 100 paintings is only 5 cm x 5 cm x 30 cm and so collectors could now conveniently carry their gallery around with them, project the paintings on the walls of a hotel room in sizes that could range from a few centimetres to a few metres. Among Munari’s various goals, there was also the one of introducing artistic production to a private
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Bruno Munari, Codice Ovvio, Einaudi, Turin, 1971
Figura 5
pochi centimetri a qualche metro. Tra i differenti obiettivi di Munari vi è anche quello di avvicinare la produzione artistica ad una dimensione culturale privata, cercando le modalità per un dialogo tra arte, sperimentazione e pubblico che includa elementi di divertimento, di spettacolarizzazione o di gioco come pre-condizione per il coinvolgimento degli spettatori. L‘affermazione presente nell’articolo: «Il vivere moderno ci ha dato la musica in dischi […] ora ci dà la pittura proiettata»[5] mette in risalto come, affinché davvero si possa realizzare un avvicinamento tra arte e vita quotidiana, sia necessario trovare le soluzioni adeguate, anche a problemi di natura tecnologica, in modo che la fruizione di un’opera possa avvenire con i mezzi più adeguati ai linguaggi della contemporaneità. Dopo aver esordito in pubblico a Milano nel 1953, Munari ripropone, nel corso dello stesso anno, le Proiezioni dirette nel grande studio di Gio Ponti e associati. L’anno seguente l’artista presenta le sue pitture di luce a New York, prima nello studio di Leo Lionni e poi nella personale, che condivide con il grafico americano Alvin Lustig, nel 1955 al MoMA.
cultural dimension, in an attempt to find a way to create exchanges between art, experimentation and the public that included elements of entertainment to make them fun and spectacular. This was a pre-condition for involving spectators. Munari also stated in the article: «Modern life has brought us music on records […] now it gives us projected painting»[5], emphasizing how necessary it was to find suitable solutions – even to problems of a technological nature – in order to bring art and everyday life closer together in such a way that the enjoyment of a work can take place with the means that are best suited to contemporary idioms. After having made their debut in Milan in 1953, Munari proposed Direct Projections later that year to the large studio of Gio Ponti and associates. The following year, the artist presented his light paintings in New York; first to Leo Lionni’s studio and later at the solo exhibit in 1955 at MoMA, which he shared with American graphic artist Alvin Lustig.
Bruno Munari, Op. cit., Milano, febbraio 1954, Milano. Questa affermazione venne copiata da Victor Vasarely che la riprende nelle Note per un Manifesto scritte in occasione della storica mostra «Le Mouvement» alla Galleria parigina di Denise Renè nel 1955.
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Figura 6
Bruno Munari, Op. cit., Milan, February 1954, Milan. This statement was copied by Victor Vasarely who would make reference to it in Notes for a Manifesto, written for the occasion of the historic «Le Mouvement» exhibit held at Denise Renè’s Parisian gallery in 1955.
Immagini
Images
(1) immagine ottenuta proiettando il vetrino di fig. 2, fotografia Roberto Marossi (2) Bruno Munari, diapositiva per proiezione diretta (1950), collezione Fondazione Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Milano, fotografia Roberto Marossi (3) Bruno Munari, diapositiva per proiezione diretta, 1950, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Milano, fotografia Roberto Marossi (4) Immagine ottenuta dalla proiezione del vetrino di fig. 3, fotografia Roberto Marossi (5) Bruno Munari, esempio di proiezione diretta, 1950, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Milano, fotografia Roberto Marossi (6) Bruno Munari, esempio di proiezione diretta, 1950, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Milano, fotografia Roberto Marossi
(1) image obtained by projecting the slide of fig. 2, photo by Roberto Marossi (2) Bruno Munari, slide for Proiezione diretta [Direct Projection], 1950, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi (3) Bruno Munari slide for Proiezione diretta [Direct Projection], 1950, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi (4) image obtained by projecting the slide of fig. 3, photo by Roberto Marossi (5) Bruno Munari, example of Proiezione diretta [Direct Projection], 1950, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi (6) Bruno Munari, example of Proiezione diretta [Direct Projection], 1950, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi
Le «Proiezioni» di Bruno Munari. Parte II
Bruno Munari’s «Projections». Pt. II
Proiezioni a fuoco continuo.
Continuous focus Projections.
La prima esposizione in cui Munari presenta le diapositive a fuoco continuo si tiene a Milano alla Galleria del Fiore nel maggio del 1955, anche se in precedenza, per la precisione nel febbraio del 1954, la rivista Domus pubblica la fotografia di un esemplare di vetrino predisposto proprio per la proiezione multifocale[1]. Sull’invito della mostra milanese si annuncia che l’artista «proietterà le sue recenti composizioni a colori fissi a colori variabili come il giorno e la notte a due fuochi a fuoco continuo». Nella doppia fotografia (figure 2 e 3) di un vetrino multi-focale del 1952 si può osservare che la composizione è realizzata con strati di materie plastiche di colore giallo su sfondo rosso. Una matassa di pellicola aggrovigliata come una specie di nuvola fuoriesce dal vetrino (figura 1 e 4). Lo sviluppo nello spazio della micro composizione consente di non avere un unico punto di messa a fuoco dell’immagine, permettendo di creare immagini tra loro molto differenti. Lo spostamento graduale del fuoco consente un movimento virtuale, un effetto cinetico e cromatico che, pur
The first exhibition at which Munari presented the continuous focus slides was held in Milan at the Galleria del Fiore in May 1955, even though (for the sake of precision) the magazine «Domus» had already published a photograph in February 1954 of a sample of a slide that had been predisposed for multi-focus projection[1]. Upon invitation of the Milan exhibit, it was announced that the artist «will project his recent compositions of fixed colours and colours as variable as day and night at two continuous focuses». It can be observed in the double photographs (fig. 2, fig. 3) of a multi-focus slide from 1952 that the composition was created with layers of yellow plastic material on a red background. A tangle of twisted film like a kind of cloud sticks out of the slide (fig. 1, fig. 4). The development in the space of the micro-composition allows for more than one single focus of the image, making it possible to create images that are quite different from one another. The gradual shift of focus allows for a virtual motion, a kinetic and chromatic effect which
Bruno Munari, Le proiezioni dirette di Bruno Munari, in «Domus», n. 291, Milano, Febbraio 1954 Ibid.
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by Luca Zaffarano
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by Luca Zaffarano
Bruno Munari, Le proiezioni dirette di Bruno Munari [Direct projections by Bruno Munari], in «Domus», number 291, Milan, February 1954
Figura 1
nella sua breve durata, può delinearsi come un film astratto. La prima immagine richiama in modo diretto la forma ambigua e matematica del Concavo-convesso sospeso in una atmosfera evanescente di colore sfocato. La seconda immagine richiama il motivo di una composizione molto organica. Il movimento continuo di spostamento del fuoco dalla prima alla seconda immagine consente all’artista di creare una pittura di impianto cinematografico. Nel 1959 Munari progetta per l’azienda Danese di Milano un gioco in scatola al quale viene dato il nome di Scatola per proiezioni dirette. Nel foglio illustrativo Munari precisa che la confezione contiene: «tutto il materiale occorrente per fare piccole composizioni trasparenti da proiettare a colori (come quelle che Munari ha proiettato a New York e a Stoccolma, nei Musei e in case private) una tecnica nuova per l’arte visiva».
– even with it brief duration – can be delineated as an abstract film. The first image directly recalled the ambiguous and mathematical shape of Concave-convex suspended in an evanescent atmosphere of an unfocused colour. The second image recalled the pattern of a very organic composition. The constant motion of the focus shifting from the first to second image made it possible for the artist to create a painting with a cinematographic system. In 1959, Munari designed a boxed game for the Danese Milano Company which was given the title Box for direct projections. In the product’s leaflet Munari specified that the package contained: «all the necessary material to make small transparent coloured compositions to be projected (like the ones Munari had projected in New York and Stockholm, in museums and private residences) – a new visual art technique».
Figura 2
Figura 3
Nella fotografia che segue potete vedere una di queste opere proveniente dalla Collezione Vodoz-Danese di Milano e notare come la composizione ottenuta per sovrapposizione di materiale colorato e trasparente fuoriesca dal telaio della diapositiva.
You can see one of these works from the Vodoz-Danese Milano in the photograph below and note how the composition obtained by overlapping the coloured and transparent material sticks out from the slide’s frame.
Figura 4
Pittura cinematografica, polarizzata e scatole luminose
Cinematographic, polarised painting and luminous boxes
Nel 1952-1953 Munari realizza un’ulteriore variante, ruotando un filtro Polaroid davanti alla lampada della proiezione. La lente polarizzata ha una struttura a cristalli microscopici che funge da filtro per tutte quelle frequenze che non attraversano con incidenza perpendicolare il materiale. Pertanto, muovendo il filtro davanti alla lampada del proiettore, si possono ottenere un numero infinito di varianti nel continuo. La pittura può anche sparire purché resti l’arte, scrive Munari sull’Almanacco Letterario Bompiani 1961[2]. Negli anni Sessanta Munari proseguirà questa ricerca producendo prima delle scatole luminose di pittura polarizzata denominate Polariscop e poi producendo cortometraggi di cinema sperimentale che illustrano certi risultati della sperimentazione in ambito percettivo. Questa ricerca nasce dall’esplorazione delle possibilità offerte dal filtro Polaroid. Il film prodotto dall’azienda americana è costituito da lamine trasparenti che hanno la caratteristica di filtrare alcune componenti dello spettro luminoso in base al grado di incidenza della luce. Munari studia dunque a fondo questo materiale per identificare le sue proprietà caratteristiche e per capire come tale prodotto industriale possa essere
Munari created yet another variation in 1952-53 by rotating a Polaroid filter in front of a projector’s light bulb. The polarised lens has a microscopic crystal structure that functions as a filter for those frequencies that do not cross the material from a perpendicular angle. Therefore, an infinite number of continuous variants can be obtained by moving the filter in front of a projector’s light bulb. «Painting can even disappear as long as art remains», Munari wrote in the 1961 Bompiani Literary Almanac[2]. Munari would continue with his research throughout the 1960s, by first reproducing the luminous boxes of polarised painting denominated as Polariscop and later producing short experimental films that illustrated certain results of the experimentation in the perceptive sphere. This research sprung from the exploration of the possibilities offered by a Polaroid filter. The film produced by the American company is made up of transparent foils with the characteristic of filtering some components of the light spectrum based upon the light’s angle. Munari studied this material thoroughly in order to identify its characteristic properties and to understand how this industrial product could be
Achille Perilli, Fabio Mauri (a cura di), Inchiesta: morte della pittura?, in Almanacco Letterario Bompiani 1961, Bompiani, Milano, 1960
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Achille Perilli, Fabio Mauri (edited by), Inchiesta: morte della pittura?, in Almanacco Letterario Bompiani 1961, Bompiani, Milan, 1960
Figura 5
impiegato nella comunicazione visiva e, ovviamente, con quali risultati estetici. L’effetto del filtro Polaroid diventa visibile ponendo del materiale incolore tra un sandwich di filtri, in particolare con il movimento rotatorio di quello più vicino all’osservatore si crea un movimento virtuale della composizione creata dall’artista. Alcune di queste scatole luminose denominate Polariscop hanno un solo filtro polaroid sul fondo ed un interruttore per accendere la luce al neon posta all’interno dell’opera. La composizione, realizzata con del materiale fissato sul fondo – un fondo costituito appunto da un lastra di polaroid – appare proprio come nella figura 6, ovvero poco attraente e scarsamente convincente. Allo spettatore viene fornito un disco trasparente – il secondo filtro polaroid – suggerendo di portarlo davanti agli occhi, ruotandolo a piacere mentre si osserva l’opera. La meraviglia si rivela spesso in una esplosione improvvisa che non lascia dubbi sulla piacevolezza dell’esperienza. In questo semplice esperimento sono racchiuse, a ben vedere, due caratteristiche cruciali del modo di intendere l’arte e la sua utilità sociale. Da una parte la sorpresa, la spettacolarità agiscono come leva fortissima al fine di avvicinare il pubblico alla poetica di un artista fortemente innovativo e non
used for visual communication and, obviously, with what kind of aesthetic results. The effect of the Polaroid filter becomes visible by placing colourless material between a «sandwich» of filters, specifically through the rotation of the one closest to the observer in order to create a virtual motion of the composition created by the artist. Some of these luminous boxes denominated Polariscop have only one Polaroid filter on the bottom and a switch located within the work to turn the neon light on. The composition, realized with the material fastened onto the bottom (a bottom made with a Polaroid sheet) appears exactly like the way it is represented in image 6: rather unattractive and barely convincing. The spectators were given a transparent disc – the second Polaroid filter – and invited to bring it to their eyes, rotating it as they pleased while observing the work. The wonder was often revealed by a sudden explosion that left no room for doubt as to the pleasure of the experience. By taking a closer look we can see that two crucial traits of the way art and its social usefulness are interpreted are found in this simple experiment. On the one hand, the surprise factor and the spectacular nature of the experiment act as a powerful stimulus for the purpose of familiarizing the public with the poetics of an extremely
Fig. 6 Fig. 7
tradizionale. Dall’altra parte la composizione pittorica, fatta con materiale povero, quasi dal nulla, nasce dall’azione dello spettatore stesso che è coinvolto operativamente nel processo di formazione dell’immagine. All’artista viene assegnato il compito di creare un framework, uno spazio di lavoro e di regole ben definite (un certo materiale, una data composizione, regole di utilizzo), allo spettatore invece è assegnato il compito di creare a piacimento, per pura soddisfazione estetica, una pittura che si adatta alla propria sensibilità, senza forzature o imposizioni. Ruotando il filtro più esterno è infatti possibile, nei 360 gradi di un giro completo, ottenere innumerevoli sfumature dalla scomposizione della luce che attraversa il materiale plastico incolore ed i due strati di filtro polarizzante del sandwich. Munari non è mai stato un pittore nel senso più tradizionale. Lo è sempre stato a modo suo, attraverso metodologie ed approcci inusuali, innovativi, aperti alla tecnologia, alle novità.
innovative and unconventional artist. On the other hand, the pictorial composition, made with simple material (almost from nothing) comes from the action of the spectators who are actively involved in the process of shaping the image. The artist is given the task of creating a framework, a work space and well-defined rules (a certain kind of material, a given composition, rules of use) while spectators are handed the task of creating a painting (at will or for pure aesthetic satisfaction) suited to their personal sensitivity without any pressure or imposition. By rotating the outermost filter for 360°, countless nuances of the light’s dispersion can be obtained as it crosses the colourless plastic material and the two layers of the «sandwich’s» polarizing filter. Munari had never been a painter in the traditional sense of the word. He had always been a painter in his own way, through unusual methods and approaches with an open mindedness towards technology and novelties.
Fig. 8 Fig. 9
Una molteplicità di immagini
A multiplicity of images
La pittura non è più una immagine, ma una molteplicità di immagini, non più statiche. Queste esperienze ci offrono l’occasione di riflettere sulla forma stessa del mondo, un mondo dinamico, in costante evoluzione, che può essere rappresentato e compreso solo attraverso una messa in scena (poetica) di questa stessa trasformazione continua. Se la realtà non riposa, per parafrasare il futurista Boccioni, la pittura, uscendo dalla cornice di un quadro, diventa ormai spazio visitabile, attraversabile, immateriale, diventa un ambiente di luce, è un’esperienza visiva, spaziale, totale e avvolgente. Nell’arte di Munari – come è stato sottolineato dal critico Carlo Belloli – «è difficile che un suo oggetto o una sua immagine stiano fermi a lungo: tutto si muove, o per l’aria, o per l’effetto ottico, o per altri possibili stimoli»[3]. Il linguaggio ha come dominio di definizione la tripla dimensione colore-spazio-tempo. Attraverso l’uso della luce e della proiezione vengono creati ambienti luminosi, attraverso la rotazione del filtro polarizzante vengono creati movimenti cromatici virtuali. La riproposizione di una pittura cromo-cinetica, teorizzata fin dagli anni ’20 da esponenti della scuola della Bauhaus, trova una raffinata reinterpretazione negli ambienti luminosi di Munari dei primi anni
Painting is no longer an image, but a variety of images that are no longer static. These experiences offer us a chance to reflect upon the shape of the world, a dynamic world in constant evolution that can only be represented and understood through the poetic staging of this very continuous transformation. If reality never rests, to paraphrase Futurist painter Boccioni, painting – once it has been drawn out of the frame of a painting – becomes an immaterial space that can be visited and crossed; it becomes an environment of light, a visual, spatial, total and involving experience. In Munari’s art – as critic Carlo Belloli has pointed out – «it is rare that on object or image of his stands still for long: everything moves, or through the air, or due to the optical effect or any other possible stimuli»[3]. The idiom’s domain by definition is the triple dimension of colour-spacetime. Luminous environments are created through the use of light and projection and virtual chromatic movements are created through the rotation of polarizing filter. The reproposal of chromo-kinetic painting, theorized as far back as the 1920s by exponents of the Bauhaus school, finds a sophisticated reinterpretation in Munari’s luminous environments from the early 1950s. Works by the Milan native artist anticipate
Carlo Belloli, Designers italiani. Con Bruno Munari continua la galleria dei personaggi che hanno inciso sull’evoluzione del costume artistico italiano, in Ideal Standard gennaio 1965 n.1-2, Milano
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Carlo Belloli, Designers italiani. Con Bruno Munari continua la galleria dei personaggi che hanno inciso sull’evoluzione del costume artistico italiano [The gallery of characters who influenced the evolution of Italian artistic tradition continues with Bruno Munari], in Ideal Standard, January 1965 numbers.1-2, Milan
Fig. 10
’50. Le opere dell’artista milanese precedono tanti lavori che, proprio a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, si avvicendano sul tema: dalle elettropitture di Frank Malina, ai mobiles luminosi dell’italiano Nino Calos, ai cromo-cinetismi di Gregorio Vardanega e di Martha Boto, alle esperienze ludiche, civiche e collettive del gruppo parigino del G.R.A.V. (Groupe de Recherce d’Art Visuel), alle opere di Julio Le Parc, di Heinz Mack, di Nicolas Schöffer e di molti altri protagonisti internazionali delle correnti cinetiche. «Se tra due dischi di polaroid si inserisce un pezzetto di cellophane come per fare un sandwich e lo si guarda controluce, si vede che il cellophane, incolore, ha assunto vari colori. Se si fa ruotare lentamente uno dei due dischi di polaroid, i colori cambiano fino ai complementari. Questo è il semplice fenomeno fisico da studiare. Si tratta di sapere: quante sono le materie plastiche senza colore che danno colori? Che colore danno? Come si possono usare? Come varia il colore? Si possono ottenere colori sfumati e colori a settori geometrici? Quale inclinazione occorre dare a una certa materia plastica per ottenere il colore voluto? Come può tutto ciò diventare oggetto di comunicazione visiva, di informazione e di espressione? In quale modo si possono alterare queste materie per avere una sensibilizzazione della luce? Che texture si possono fare? Che cosa succede col colore?»[4].
many works which, beginning with the second half of the 1950s, were variations on a theme: from Frank Malina’s electropaintings, luminous mobiles by Italy’s Nino Calos and the chromo-kinetics of Gregorio Vardanega and Martha Boto to the recreational, civic and collective experiences of the Parisian group G.r.a.v. (Groupe de Recherce d’Art Visuel), the works of Julio Le Parc, Heinz Mack, Nicolas Schöffer and the many other international protagonists of kinetic movements. «If a piece of cellophane is placed between two Polaroid discs like a sandwich and you observe it against the light, you can see that the colourless cellophane has taken on various colours. If you rotate one of the two Polaroid discs slowly, the colours change into complementary colours. This is a simple phenomenon of physics to study. It is all about knowing: how many colourless plastic materials are there that give off colour? Which colours to they give off? How can they be used? How does the colour vary? Can faded colours be obtained... or colours by geometric sectors? Which angle do you need to give a certain plastic material in order to obtain the colour you want? How can all of this become the object of visual communication, information and expression? How can these materials be altered in order to obtain light sensitivity? What kind of texture can you create? What happens with the colour?»[4].
Bruno Munari, Design e comunicazione visiva, Laterza, 1968.
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Bruno Munari, Design e comunicazione visiva [Design and visual communication], Laterza, Bari, 1968.
Tra le principali esposizioni, in cui Munari presenta le proiezioni polarizzate, ricordiamo la mostra al Museo d’arte Moderna di Stoccolma nel 1958, al National Museum of Modern Art di Tokyo nel 1960 accompagnato dalla musica elettronica di Toru Takemitsu, al Teatro Ruzante di Padova e nella sede del «Gruppo N» nel 1961, alla Biennale di Venezia del 1966 con una sala personale e nello stesso anno alla Howard Wise Gallery di New York, alla mostra collettiva «Campo Urbano» a Como nel 1969, alla Hayward Gallery di Londra nel 1970 all’interno della mostra collettiva «Kinetics» e in molte altre mostre ancora.
Among the main expositions in which Munari presented his polarized projections, we would like to mention the exhibits held at the Stockholm Museum of Modern Art in 1958, at Tokyo’s National Museum of Modern Art in 1960 accompanied by electronic music composed by Toru Takemitsu, at Padua’s Teatro Ruzante and the halls of «Gruppo N» in 1961, at the 1966 Venice Biennale in a solo hall and at New York’s Howard Wise Gallery that same year, at the «Campo Urbano» group exhibition in Como in 1969, at London’s Hayward Gallery in 1970 as part of the «Kinetics» group exhibit and many more.
Immagini
Images
(1) Bruno Munari, diapositive (con estrusione di materia plastica) per installazioni di pittura dinamica attraverso una proiezione a fuoco variabile, 1952, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz, Bruno Danese, Milano, fotografia Artribune (2 e 3) Bruno Munari, due immagini ottenute dallo stesso vetrino per Proiezione Multifocale, 1952, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz, Bruno Danese, Milano, fotografia Roberto Marossi (4) Bruno Munari, diapositiva per proiezione multifocale, 1952, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz, Bruno Danese, Milano, fotografia Roberto Marossi (5) Bruno Munari, un momento della proiezione polarizzata del 1953 sulla facciata del Palazzo Ducale di Sassuolo nell’ambito della mostra «Bruno Munari. Fantasia esatta», a cura di Miroslava Hajek e Luca Panaro, Festival della Filosofia, Modena 2008 (6 e 7) Bruno Munari, due momenti di un Polariscop, anni ’60, collezione Galleria Colossi, Brescia, fotografia Pierangelo Parimbelli (8 e 9) Bruno Munari, due momenti di un Polariscop, anni ’60, collezione Giancarlo Baccoli, Brescia, fotografia Pierangelo Parimbelli (10) Bruno Munari, Proiezione diretta, collezione Fondazione Jacquelin Vodoz – Bruno Danese, Milano, fotografia Roberto Marossi.
(1) Bruno Munari, slides (with extrusion of plastic material) for installation of dynamic painting throughout a projection with variable focus, 1952, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Arttribune (2 e 3) Bruno Munari, two images obtained by the same slide for Multifocal Projection, 1952, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi (4) Bruno Munari, slide for Proiezione Multifocale [Multifocal Projection], 1952, collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi (5) Bruno Munari, a moment of the polarised projection on the façade of Palazzo Ducale’s Palace in 1953 (Sassuolo, Italy) within the show «Bruno Munari. Fantasia Esatta», curated by Miroslava Hajek and Luca Panaro, Festival of Philosophy, Modena, Italy 2008 (6 e 7) Bruno Munari, two moments of a Polariscop (1960s), collection of Colossi Brescia Gallery, Italy, photo by Pierangelo Parimbelli (8 e 9) Bruno Munari, two moments of a Polariscop (1960s), Giancarlo Baccoli’s collection, Brescia, Italy, photo by Pierangelo Parimbelli (10) Bruno Munari, Proiezione diretta [Direct Projection], collection of Jacquelin Vodoz – Bruno Danese Foundation, Milan, photo by Roberto Marossi.